Le nuove linee guida per curare le sindromi coronariche acute di Roberto Ricci Primario Cardiologia Ospedale Santo Spirito
l Congresso Europeo di Cardiologia, (Londra, agosto 2015), sono state presentate le nuove Linee Guida per il trattamento delle Sindromi Coronariche Acute senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTE-ACS). Sotto il termine di NSTE-ACS sono raggruppate le più comuni patologie coronariche acute e cioè l’angina instabile e l’infarto miocardico non legato ad una occlusione completa dell’arteria coro n a r ica. Vediamo quali sono le principali novità: 1) Innanzitutto viene rafforzata la raccomandazione di pre f e r i re l’esecuzione delle pro c e d u re interventistiche percutanee (coronarografia e angioplastica coronarica con impianto di stent) attraverso l’arteria radiale (avambraccio) rispetto all’arteria femorale (coscia), in quanto lo studio internazionale MATRIX che ha arruolato oltre 8.400 pazienti con NSTE-ACS (studio a cui ha partecipato anche la nostra Cardiologia) ha dimostrato una riduzione significativa della mortalità totale e dell’evento combinato ischemico ed emorragico con l’approccio radiale. 2) Viene confermata la validità del protocollo attuale di valutazione al dopo infarto trattato o meno con angioplastica e stent coronarico, viene raccomandata una maggiore personalizzazione della scelta. La durata racco-
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mandata continua ad essere i convenzionali 12 mesi, ma può essere pre s a in considerazione l’estensione oltre i 12 mesi nei pazienti a basso rischio di sanguinamento e con alto rischio ischemico in base ai risultati recenti degli studi DAPT e PEGASUS. Allo stesso modo, alla luce dei miglioramenti tecnologici degli stent medicati e della drastica riduzione dei casi di trombosi intrastent, viene sottolineata la possibilità di poter ridurre la durata della doppia terapia antiaggregrante piastrinica a soli 3-6 mesi nei pazienti ad alto rischio di sanguinamento. 3) In merito alla durata della doppia terapia antiaggregante dopo infarto trattato o meno con angioplastica e stent coronarico, viene raccomandata una maggiore personalizzazione della scelta. La durata raccomandata continua ad essere i convenzionali 12 mesi, ma può essere presa in considerazione l’estensione oltre i 12 mesi nei pazienti a basso rischio di sanguinamento e con alto rischio ischemico in base ai risultati recenti degli studi DAPT e PEGASUS. Allo stesso modo, alla luce dei miglioramenti tecnologici degli stent medicati e della drastica riduzione dei casi di trombosi intrastent, viene sottolineata la possibilità di poter ridurre la durata della doppia
terapia antiaggregrante piastrinica a soli 3-6 mesi nei pazienti ad alto rischio di sanguinamento. 4) Viene ribadita l’importanza della coro n a rografia ai fini della rivascolarizzazione come approccio di routine nelle NSTE-ACS, particolarmente nei pazienti a rischio intermedio e alto. La tempistica di effettuazione della coronarografia dipende dalla severità della malattia e dal rischio individuale. La strategia invasiva immediata è consigliata entro due ore dalla presentazione nei pazienti ad elevatissimo rischio, cioè in caso di shock, arresto cardiaco, aritmie maggiori, ischemia refrattari. Un approccio invasivo precoce (entro 24 ore dalla presentazione) è raccomandato in assenza delle condizioni sopradescritte, ma in presenza di uno qualsiasi dei seguenti criteri di elevato rischio: livelli di troponina “fluttuanti”, nuove modifiche della ripolarizzazione e/o GRACE score >140. 5) Tra le raccomandazioni risaltano infine le modifiche dello stile di vita, l’attività fisica, la cessazione del fumo e la terapia con farmaci in grado di m o d i f i c a rela prognosi, quali le statine ad alte dosi. In caso di mancato raggiungimento dei livelli di LDL target con la sola terapia con statine ad alta potenza di azione, in base ai dati dello studio IMPROVE-IT, alla statina dovrebbe esser associato l’ezetimib.
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Novità nella cura della pericardite di Marco Renzi Dirigente medico Uoc Cardiologia Santo Spirito
a pericardite è una malattia infiammatoria che colpisce il pericardio, ed è accompagnata da alterazione degli indici infiammatori come VES, PCR. Spesso provoca dolore intenso, che aumenta in alcune posizioni o per inspirazioni profonde. Il pericardio è un sacco a doppia parete che circonda il cuore e le radici dei grandi vasi. Una piccola quantità di liquido tra i due foglietti del pericardio è fisiologica, ma in caso di infiammazione, il liquido può aumentare. Si parla in questo caso di versamento peric a rdico, che può essere di entità molto variabile. Spesso sono presenti alterazioni dell’elettrocardiogramma, non sempre tipiche, e sfregamenti pericardici all’auscultazione del cuore. Oltre al d o l o re toracico possono essere pre s e n t i febbre, astenia e difficoltà respiratoria. A volte possono verificarsi tachiaritmie. Nei casi più gravi, i sintomi sono quelli di un tamponamento cardiaco, situazione di estrema criticità, in cui il cuore è compromesso nella sua funzione dal liquido che lo comprime dall’esterno. Spesso la causa resta sconosciuta, ma molte malattie di origine infettiva o immunologica possono causare pericard iti. La definizione di pericardite “idiopatica” è una diagnosi di esclusione, dopo indagini su infezioni batteriche, virali e su eventuali malattie autoimmuni o neoplastiche. Al recente congresso di Londra sono state presentate le nuove linee guida sulla diagnosi e il trattamento delle malattie del pericardio, che hanno profon d a-
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mente modificato l’approccio a tali patologie, rispetto alle precedenti linee guida pubblicate nel 2004. Nell’ultimo decennio sono stati infatti pubblicati numerosi studi sulla prevalenza, sulla Cuore normale
Versamento pericardico
Pericardio
prognosi e sulla terapia delle pericarditi. Tali dati sono stati acquisiti dalle nuove linee guida che si presentano, quindi, come un documento innovativo e completo rivolto alla gestione delle pericarditi ma anche al trattamento del versamento pericardico e della pericardite costrittiva. Le nuove linee guida chiariscono definitivamente la classificazione delle pericarditi con criteri semplici e facilmente applicabili, distinguendo una forma acuta, una forma ricorrente, una incessante ed una forma cronica. Il documento include nuovi specifici criteri diagnostici per la pericardite acuta, che ora viene diagnosticata quando i pazienti presentano almeno due dei seguenti segni o sintomi: dolore toracico pericarditico, sfregamenti pericardici, nuovo sopraslivellamento diffuso del tratto ST o depressione del tratto PR o e ffusione pericardica (di nuova insorgenza o peggioramento di un preceden-
te versamento). Sono state inoltre introdotte nuove strategie diagnostiche per la selezione dei pazienti con pericardite e versamento pericardico, che permettono l’individuazione dei pazienti ad alto rischio, specificando quando e come ulteriori indagini diagnostiche dovrebbero essere eseguite. Infatti, l’imaging multimodale è ormai una parte essenziale della valutazione diagnostica. Riguardo la terapia, ci sono stati importanti pro g ressi rispetto al 2004, con la pubblicazione dei primi studi clinici randomizzati multicentrici, in particolare sull’uso della colchicina, un farmaco comunemente usato per il trattamento della gotta. La colchicina è ora raccomandata come terapia di prima linea per la pericardite acuta in aggiunta all’acido acetilsalicilico (aspirina ) o ai farmaci antinfiammatori non-steroidei (FANS) e nei pazienti con un primo episodio di pericardite acuta o recidiva. Questo trattamento dovrebbe migliorare la risposta dei pazienti all’aspirina e ai FANS, aumentare i tassi di remissione e ridurre il ripetersi di episodi di pericardite. Viene ridimensionato l’utilizzo del cortisone, che è attualmente la terapia più diffusa, ma anche una causa importante di re c idive. La pericardite è di estremo interesse perché rappresenta circa il 5% dei ricoveri al pronto soccorso per dolore toracico. La prognosi a lungo termine è generalmente buona, ma le recidive interessano circa il 30% dei pazienti nei quali la qualità di vita può essere estremamente limitata con gravi restrizioni fisiche.
I “dieci comandamenti” per prevenire la morte improvvisa di Andrea Porzio Dirigente medico Uoc Cardiologia Santo Spirito
a morte improvvisa è causata da un’aritmia ventricolare , detta fibrillazione ventricolare, che se non viene interrotta mediante una scarica elettrica, porta a morte in pochi minuti. Tale aritmia, che è responsabile della morte di circ a 50mila persone all’anno in Italia e 350mila negli Stati Uniti, si sviluppa in pazienti che hanno malattie cardiache note, quali infarto miocardico o scompenso cardiaco, ma anche in persone giovani, con un cuore apparentemente sano ma con difetti genetici che rendono instabile il ritmo cardiaco. Poiché nella maggior parte dei pazienti che muoiono improvvisamente l’aritmia fatale è il primo segno di malattia cardiaca, la sfida più importante per la cardiologia è quella di identificare questi soggetti prima dell’evento: la cosiddetta prevenzione primaria della morte improvvisa. Le ultime linee guida europee sulla prevenzione risalivano al 2006 ma, considerando i pro g ressi scientifici degli ultimi 10 anni, l’Esc, nell’ambito del Congresso tenuto di recente a Londra, ha deciso di aggiornarle in modo da guidare i cardiologi ad adottare protocolli medici più adeguati, sulla base delle ricerche e delle tecnologie più recenti. E’ stato quindi redatto un documento con una sorta di “10 comandamenti” per il trattamento dei pazienti con aritmie ventricolari e per la prevenzione
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della morte cardiaca improvvisa. A guidare il gruppo di lavoro che ha pre d isposto le nuove Linee Guida, un’italiana, la prof.ssa Silvia Giuliana Priori, dire t t o rescientifico dell’IRCSS Fondazione Salvatore Maugeri di Pavia e ord i n ario di Cardiologia molecolare all’Università di Pavia. Priori, chairperson del gruppo che ha stilato il documento, spiega che uno “sforzo importante fatto dagli autori è stato quello di definire i metodi per identificare i giovani a rischio di arresto cardiaco. In questa popolazione, lo screening elettro c a rd i ografico è di primaria importanza perché può identificare i primi segni di malattia cardiaca e rischio aritmico”. L’identificazione delle famiglie con ripetute morti i m p rovvise in soggetti giovani è anche importante “perché una parte delle morti improvvise è ereditaria”. Infine, il
L’attore James Gandolfini, fu protagonista nel 2013 di una morte improvvisa
documento ribadisce l’importanza dello svolgimento sistematico di autopsia nei casi di morte improvvisa in soggetti ritenuti senza malattie cardiologiche preesistenti ed in particolare se di giovane età: “Ancora oggi, ci sono forti resistenze in questo senso – sottolinea Priori – : comprensibilmente le famiglie di quanti sono colpiti, in modo imprevisto, drammatico e prevalentemente in giovane età, tendono a opporsi. Occorrerà che i medici, sensibilizzino i congiunti ad acconsentire agli esami autoptici che possono portare alla identificazione di cardiopatie congenite e quindi mettere in atto un’attività di pre v e n z i one sui congiunti di quanti perdono la vita”. S e m p re nello sforzo di pre v e n i re le morti improvvise, le nuove linee guida raccomandano la diffusione di defibrillatori in ambienti pubblici e che registrano quotidianamente il passaggio di molte persone. “Le evidenze scientifiche – ha proseguito Priori – mostrano che ogni minuto trascorso da un arresto cardiaco, prima che una persona venga rianimata, comporta la perdita del 10% della capacità di recupero cerebrale e delle altri funzioni vitali. Fondamentale quindi – conclude – la disponibilità di queste appare c c h i a t u re e anche la formazione, negli ambienti di lavoro, di studio, di persone in grado di effettuare le manovre di rianimazione”.
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Proteggere il cuore? due ore e mezza settimanali in bicicletta di Francesca Lumia Dirigente medico Uoc Cardiologia Santo Spirito
inattività fisica oggi è un grosso problema di salute, poiché predispone a molte patologie tra cui la malattia
scheletrici che si traduce in un aumento del consumo calorico oltre il dispendio e n e rgetico a riposo”. Sempre l’OMS puntualizza anche i livelli minimi di attività fisica raccomandati per fasce di età: gli adulti (18-65 anni) almeno 150 minuti a settimana di attività moderata (50’ tre volte a settimana) o 75’ di attività vigorosa o un misto tra le due, con sedute di almeno 10’ e con frequenza di almeno due volte a settimana. Anche per gli ultrasessantacinquenni valgono le stesse raccomandazioni, con l’aggiunta di eserc i z i per l’equilibrio, per la prevenzione delle cadute. Non esiste un’attività miPista ciclabile “naturale”, pianeggiante, nima al di sotto della quale esente da traffico e raggiungibile senza sforzo non si ha alcun beneficio, CERCA anche poco movimento pedalatori lenti, desiderosi di fare porta un vantaggio. Pedalaattività fisica piacevolmente e re in bicicletta è un’attività in gruppo per mattinate praticabile a tutte le età, svidi relax e benessere luppa resistenza, forza, equilibrio e coordinazione. c o ronarica, il diabete, il cancro della Inoltre l’intensità può essere modulata a mammella e del colon: la sedentarietà seconda delle specifiche esigenze indipuò essere identificata come la causa viduali. Si può usare la bicicletta quotidel 5% del totale dei decessi. Ma quan- dianamente per andare al lavoro, per fado si parla di attività fisica non si parla re una passeggiata nel tempo libero, per necessariamente di sport. L’Organizza- allenarsi, per effettuare una gara. Si pezione mondiale della sanità la definisce come ”qualsiasi movimento corporeo prodotto dalla contrazione dei muscoli
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dala in casa o in palestra sulla cyclette, o meglio ancora all’aria aperta su piste ciclabili cittadine o magari su strade di campagna poco frequentate. Ormai esistono biciclette per tutte le esigenze e con ruote adatte ai diff e renti terreni e per le salite perché no anche quelle con la pedalata assistita. Tra i molti buoni motivi per svolgere attività fisica andando in bicicletta, ricordiamo che: è un’attività che mantiene in esercizio l’apparato osteo-artro - m u s c olare, ma rispetto ad altre forme di esercizio come ad esempio la corsa, risulta meno traumatica e usurante per le articolazioni degli arti inferiori; è facile, rispetto ad altri sport non richiede particolari abilità tecniche e, una volta che si è imparato, non si dimentica più; è un modo divertente e non noioso per mantenersi attivi e allenati, se praticato all’aria aperta; può esser un modo per ris p a r m i a retempo. Se infatti si usa la bicicletta come mezzo di trasporto nella vita quotidiana, questo ci permette di sostituirla al tempo “sedentario” passato in automobile, autobus, ecc., un tempo “attivo” e proficuo per la salute; impegna grosse masse muscolari, e, se praticato con moderazione, è un eserc i z i o aerobico, adatto e allenante per il cuore. Uno studio finlandese su un gran numero di pazienti ha dimostrato che i soggetti che andavano in bicicletta per più di 30 minuti al giorno avevano un rischio del 40% in meno di sviluppare il diabete. I ricercatori dell’Università di Valencia in Spagna hanno voluto stu-
d i a re la longevità di 834 ciclisti pro v enienti da Francia, Italia, Belgio che avevano partecipato al Tour de France tra il 1930 e il 1964. Ebbene hanno scoperto un incremento di longevità del 17% dei ciclisti rispetto alla popolazione comune; l’età alla quale il 50% della popolazione moriva era di 73,5 anni rispetto agli 81,5 dei partecipanti al Tour. Senza essere un ciclista professionista,
anche il semplice spostarsi in città con la bicicletta potrebbe avere effetti benefici non solo sulla salute individuale, ma anche collettiva, contribuendo alla riduzione dell’inquinamento atmosferico e risulterebbe anche economicamente vantaggioso. Secondo una studio pubblicato dalla Commissione economica per l’Europa dell’Onu, a Copenaghen il trasporto in città avviene per il 26% in
bicicletta; se Roma adottasse lo stesso modello di bike sharing di Copenaghen potrebbero crearsi oltre 3200 nuovi posti di lavoro potenziali, salvando 154 vite in un anno. A Roma abbiamo una ciclabile “naturale” pianeggiante, fuori dal traffico, praticabile per buona parte dell’anno… Gruppo PEDALALENTO CUORE SANO, la banchina del Tevere ci aspetta !
Piramide addio? Peggiorano le abitudini alimentari egli italiani
Expo è stata questa volta occasione anche di un simposio sull’alimentazione seguita dalla popolazione italiana. L’iniziativa nasce in base ad un a c c o rdo di collaborazione tra Istituto superiore di sanità, Associazione cardiologi ospedalieri e Fondazione cuore. Premessa: l’Italia è considerata un paese a basso rischio coronarico, una caratteristica attribuita sin dagli Anni Sessanta del secolo scorso ai benefici della dieta mediterranea. Ma in quale misura l’alimentazione mediterranea, di cui giustamente vengono decantate le virtù, è ancora oggi seguita dagli italiani? E’ ancora valida oggi? E, soprattutto, in quale misura gli stimoli gastronomici “esterni”, il fast food, la manìa galoppante delle patate fritte (per giunta con olio dubbio), stanno compromettendo questa dieta?
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I risultati non sono affatto confortanti, come documenta una indagine dell’Osservatorio epidemiologico card i o v a s c ol a re/Health Examination Survey grazie alla quale oggi abbiamo alcune informa-
La redazione di Cuore Amico ringrazia le case farmaceutiche Daiichi Sankyo e Eli Lilly per il sostegno offerto alla pubblicazione di questo giornale
zioni sulla alimentazione degli italiani raccolte attraverso un questionario che indagava sui cibi, sulle quantità e soprattutto sui “modelli” alimentari. Ecco qualche dato illuminante, e insieme deprimente. Solo il 30% della popolazione adulta mangia almeno 200 gr di verdura al giorno e pesce (anche surgelato) almeno due volte a settimana. Di più: solo il 10% consuma dolci meno di due volte la settimana. Inoltre insaccati e formaggi sono ancora troppo abbondanti sulle nostre tavole, così come eccessivo è il consumo di sale, eccessiva la pro d u z i one indiretta del colesterolo, m e n t re scarso è il consumo di potassio. Il cosiddetto indice mediterraneo italiano applicato a questa popolazione suggerisce che solo il 20% degli italiani ha una sicura protezione derivata dal suo stile alimentare.
Un nuovo stent anti ictus di Flavia Belloni Dirigente medico Uoc Cardiologia Santo Spirito
l 20-40% degli ictus cerebrali è legato alla presenza di lesioni ateromasiche a livello delle arterie caro t idee extracraniche. Nel trattamento di stenosi carotidee extracraniche lo stenting dell’arteria c a rotidea sta emergendo come alternativa all’endoartere c t o m i a chirurgica. Inizialmente il trattamento con stent era riservato a pazienti con stenosi carotidee significative che presentavano un aumentato rischio operatorio. Dalle indicazioni inizialmente assai restrittive, si è passati ad un’applicazione elettiva per quasi tutti i pazienti con solo poche contro i n d i c azioni quali la presenza di trombo fresco o di lesioni critiche distali ed intracraniche. L’ampliamento delle indicazioni è dovuta ad una progressiva riduzione delle complicanze neurologiche periprocedurali; riduzione che a sua volta è principalmente legata a due fattori. Il primo è la messa a punto della tecnica di stenting. Il secondo è l’utilizzo di sistemi di protezione cerebrale. Infatti, nei più recenti studi pubblicati, tutti con l’impiego routinario di protezione cerebrale, è stata riscontrata una bassa incidenza di stroke e morte, confrontabile con i migliori risultati riportati per il trattamento chirurgico. Per ridurre la possibilità di queste embolizzazioni, che possono causare complicanze neurologiche periprocedurali , sono stati proposti diversi sistemi di protezione cerebrale. Attualmente sono uti-
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lizzati tre diversi approcci per la protezione cerebrale: due sistemi di pro t e z i one distale (palloncini occlusivi distali e filtri) e la protezione prossimale con occlusione delle carotidi comune ed esterna. L’analisi istopatologica dei detriti raccolti con i vari sistemi di protezione ha dimostrato che si tratta di frammenti di placca ateromasica dislocata durante lo stenting carotideo. Tutte le pro c e d u re d’angioplastica carotidea pre v e d o n o l’impianto elettivo di uno stent. Grazie allo stent si ottengono ottimi risultati immediati e a lungo termine, superiori all’angioplastica con palloncino semplice. Nella carotide si utilizzano quasi esclusivamente stent autoespandibili, perché presentano un più basso rischio di deformazione o rottura rispetto agli stent balloon-expandable, in caso di movimenti bruschi o traumi del collo. Stent espandibili mediante palloncino sono usati in pratica solo in casi dove il posizionamento di uno stent autoespandibile non riesce. La scelta dello stent più adeguato dipende dalla facilità di posizionamento con il minor rischio di com-
plicanze acute. Dopo l’impianto dello stent, in quasi il 100% dei casi per ottenere un accettabile risultato angiografico è necessaria una post-dilatazione dello stent con palloncino. Questa parte della procedura comporta un importante rischio d’embolizzazione di materiale Per ridurre il rischio d’embolizzazione, evento raro ma devastante (0,40,5 %) si effettua un unico breve gonfiaggio. Inoltre, per limitare al massimo questa evenienza, si stanno sviluppando nuovi stents, di cui uno recentemente uscito in commercio, appare molto promettente. Si tratta di uno stent a doppia struttura circ o l a re (in nitinolo e titanio autoespandibile). Lo strato più esterno schiaccia la placca appiattendola alla parete interna del vaso ormai riaperto, il secondo grazie ad una trama a rete dalle maglie finissime impedisce ad eventuali particelle di placca di colpire il cervello. A causa di esperienze iniziali positive con il dispositivo nelle pro c e d u re di stenting carotideo, è stato iniziato un trail clinico, prospettico, multicentrico CLEAR-ROAD che valuterà l’efficacia di questo stent nei pazientei ad alto rischio. L’endpoint primario è il tasso di 30 giorni di eventi avversi, definiti come l’incidenza cumulativa di tutti i decessi peri-procedurale, ictus o infarto del miocardio. L’arruolamento inizierà a marzo e i primi risultati saranno attesi per la fine del 2016.
«Per consolarmi del dolore mi fumavo una sigaretta...» E così, sigaretta dopo sigaretta, il dolore non è passato ma è arrivato uno stent...
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uesta è la storia di un faticoso spostamento domestico di scatoloni che doveva essere – come in realtà era – un avvertimento. Fu ignorato. Così è arrivato l’infarto. E poteva anche andar peggio, come vedremo dalla confessione dell’interessato, Luciano Spaziani, 55 anni, bancario, sposato, ora piacevole conversatore nella palestra di riabilitazione cardiaca del Santo Spirito. Allora, com’è questa storia degli scatoloni? «Giusto tre anni fa stavo trasportando da un poco all’altro della casa degli scatoloni. Ho avvertito un dolore al braccio sinistro. Mi sono detto: un movimento fatto male. E mi sono acceso una sigaretta consolatoria…» La storia è finita lì? «Macché. Il giorno dopo il dolore allo stesso braccio è ricomparso in ufficio, e stavolta non c’erano scatoloni da tra-
sportare. Ma il dolore è passato presto, ho lasciato p e rd e re. E mi sono acceso una sigaretta…» Sigaretta dopo sigaretta… «E già, anche quelle hanno la loro parte in causa… Dopo un paio di giorni, tàcchete, il dolore è ricomparso di notte, ma non se ne è andato come le altre volte. E allora mi sono deciso a recarmi al Pronto soccorso del Santo Spirito…» Com’è andata? «Intanto ho scoperto che tutto funzionava come nei film. Infarto accertato, prime cure prestate immediatamente, trasferimento in Emodinamica (a proposito, ho scoperto che anche all’alba il reparto funziona, eccome), applicazione di uno stent ad una delle coro n a r i e . Poi la degenza, e infine fuori: nessun fastidio successivo e allo scadere di un anno dall’intervento il suggerimento di cominciare a frequentare la palestra.»
E qui come ti sei trovato? «Molto bene, almeno per tre motivi. Intanto perché ne traggo un evidente beneficio, sento il mio corpo più agile, più reattivo. Una seconda ragione sta nel fatto che, andando in palestra, sai che devi onorare un impegno nei confronti di chi si dedica ai pazienti e nei confronti dei tuoi stessi colleghi.» Il terzo motivo? «E’ uno dei aspetti più positivi: quello di confrontarsi con i colleghi, di scambiare con loro esperienze, di verificare i progressi non solo personali ma di questa piccola comunità che vive sì la stessa prova, ma ciascuno con la propria sensibilità.» E com’è finita con le sigarette? «Capitolo chiuso. Purtroppo. O per fortuna.»
Il Pronto Soccorso rinnovato
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pazi triplicati (da 300 a 800 mq.); grande area di accoglienza; nuova camera calda (per l’accesso immediato dei codici rossi alle sale operative) e raddoppio delle sale d’attesa: ecco in sintesi le importanti novità del rinnovato Pronto soccorso del Santo Spirito, realizzate in appena cinque mesi grazie ad un finanziamento straordinario della Regione di un milione e mezzo di euro (800mila per i lavori di ristrutturazione e 700mila per nuove attre z z a t u re elettromedicali).
L’inaugurazione dei locali a novembre con il presidente del Consiglio Renzi, la ministra della Salute Lorenzin, il presidente della Regione Zingaretti. La grande sala di accoglienza permette al personale sanitario di controllare a vista i pazienti. In più una sala operativa per l’ortopedia, una zona di isolamento per le malattie infettive, una stanza per le vittime di violenza, servizi igienici per i senza fissa dimora che accederanno al Pronto soccorso. (Nel prossimo numero del giornale una illustrazione più ampia della rinnovata struttura).
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I nuovi farmaci anticoagulanti orali di Francesco Biscione Dirigente medico Uoc Cardiologia Santo Spirito
a terapia anticoagulante orale Questi farmaci presentano indubbi vanper la prevenzione delle com- taggi. Per prima cosa, agiscono dire t t aplicanze tromboemboliche mente sui fattori cruciali della coagulagravi e potenzialmente letali zione, con effetto clinico più prevedibicome ictus o tromboembolie è stata fat- le, non variabile fra i diversi soggetti e ta in passato con l’acenocumarolo (Sin- meno influenzato da interazioni con citrom) o il warfarin (Coumadin). Si trat- bo e altre sostanze. Ne è quindi possibita di farmaci efficaci che riducono il ri- le la somministrazione a dosi fisse e staschio di ictus per fibrillazione atriale di bili, senza la necessità di adeguare la pocirca il 60%, contro solo il 25-30% degli sologia agli effetti misurati nei singoli antiaggreganti piastrinici (aspirina); pazienti e nel tempo. In secondo luogo, tuttavia sono sottoutilizzati, perché dif- a parità di efficacia, i NAO sono risultati ficili da maneggiare e gravati di effetti alla prova dei fatti molto più sicuri dei sfavorevoli (emorragie gastrointestinali vecchi, per la riduzione delle complio cerebrali). La risposta individuale a ta- canze emorragiche più gravi (emorragie li sostanze è variabile, ed è influenzata cerebrali e sanguinamenti fatali), pur al dal cibo, dalla assunzione di altre so- prezzo di un lieve incremento del ristanze, da stati di scompenso o disidra- schio di sanguinamenti meno gravi (gatazione e da malattie del fegato. Per s t rointestinali o da traumi), con un biquesto i pazienti in trattamento devono lancio favorevole sulla sopravvivenza. contro l l a respesso l’efficacia della cura, Infine, i NAO presentano una minore misurando l’INR (International Normalized Ratio della coagulazione), da mantenere fra 2 e 3,5. I nuovi anticoagulanti hanno Tutti i valori inferiori a 2 indicano un effetto clinico maggiormente prevedibile e meno influenzabile che il rischio tromboembolico è dalle interazioni con cibo elevato, mentre quelli superiori a e altre sostanze 3,5 si associano ad elevato rischio di sanguinamento: è pertanto necessario adeguare le dosi della terapia ai valori di INR misurati nel tempo. Da qualche tempo sono disponibili nuovi anticoagulanti orali (NAO): il Dabigatran (Pradaxa), il Rivaroxaban (Xarelto) e l’Apixaban (Eliquis).
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durata di azione, cosicchè risulta più pratico interrompere la terapia in caso di interventi chirurgici programmati o in caso di complicazioni improvvise: l’effetto termina nel giro di 12 o 24 ore. Questa caratteristica dei NAO, tuttavia, rende indispensabile la costanza dell’assunzione della terapia. La mancata assunzione incrementa il rischio tro mboembolico in modo più significativo rispetto ai vecchi anticoagulanti. Poiché i NAO vengono “smaltiti” dai reni o dal fegato, è importante verificare periodicamente la funzione renale ed epatica e pro v v e d e re, se necessario, a riduzione delle dosi. Dubbi sono stati avanzati in merito alla indisponibilità di antidoti. Sono in corso di approvazione per l’uso clinico degli anticorpi in grado di blocc a re istantaneamente l’azione dei NAO (saranno disponibili nel corso del prossimo biennio), ma giova sottolineare che la necessità di antagonizzare con urgenza l’azione anticoagulante è risultata fino ad ora minore rispetto a quanto accadeva con i vecchi anticoagulanti. Non tutti i soggetti possono utilizzare i NAO, o per caratteristiche cliniche o per restrizioni di rimborso da parte del sistema sanitario nazionale (il costo è superiore). In conclusione, i NAO costituiscono un sicuro vantaggio per la qualità e l’aspettativa di vita dei soggetti a rischio di complicazioni tromboemboliche.
Buon Natale e ottimo 2016 (col caldo invito a sostenere Cuore Sano) di Alessandro Carunchio Presidente Associazione Cuore Sano onlus
l dire t t o re mi ha chiesto di scrivere il consueto articolo conclusivo dell’anno appena passato. In queste occasioni, prima degli auguri, si fa un consuntivo dell’anno trascorso ed un programma per l’anno successivo. E, allora, ricorderò per prima cosa i consueti corsi mensili su temi importanti delle patologie cardiovascolari ed i corsi di rianimazione cardiopolmonare per pazienti e parenti dei dimessi dal nostro reparto. Tra le attività sociali rammenterò l’incontro tra i soci, rallegrato dalla Orchestra filarmonica di Tivoli, che ha eseguito brani di musica molto belli e coinvolgenti; la visita guidata agli scavi di Ostia antica nel corso della quale una guida molto esperta e con buone capacità didattiche ha illustrato tutte le bellezze ed i tesori dell’antico porto di Roma. Più di recente abbiamo avuto l’incontro di fine anno con “le musiche e le parole del cuore” nel corso del quale, alcuni brani, eseguiti al pianoforte dal Maestro Cristina Leone, si sono alternati con brani letti dalla giornalista e poetessa Baba Richerme. Sono stati eventi interessanti e/o molto gradevoli e assai apprezzati dai partecipanti. Allora viene subito da domandarci: va bene così?, dobbiamo f a re altro ? , cosa si aspettano i nostri soci? Sicura-
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mente abbiamo lasciato da parte altre iniziative come “Roma in bici” e poi c’è la grande incognita: come mai alla Montagnaterapia, tanto apprezzata in passato, quest’anno abbiamo dovuto rinunciare per mancanza di iscrizioni? Perché non usare ad esempio le e-mail per rispondere a questa domanda?. Quello che manca al presidente ed ai dirigenti della nostra onlus è un riscontro delle attività dell’associazione, commenti, critiche, reclami o suggerimenti che vengano dai soci. Sento allora forte la necessità di sollecitare tutti i soci ad una partecipazione più attiva alle iniziative ma anche al dialogo. Nell’ultimo volantino abbiamo messo la mia mail presidente@cuore-sano.it e quella della nostra segretaria Carla Maria Rossi: segre t e r i a c s @ c u o re-sano.it. Usiamole per comunicare e re n d e re più viva l’associazione che, al momento, utilizza
come strumento, il sito web www. c u o re-sano.it (visitatelo spesso!!!) e questo giornale che è un buon mezzo per comunic a re ai soci quello che avviene nella sanità e nell’associazione ma al quale manca il ritorno delle impressioni. Fateci domande, a quelle di interesse comune potremmo rispondere sul giornale stesso. Bene, come programma per il p rossimo anno vi ho invitato alla partecipazione. Come ogni anno vi invito anche a contin u a re a versare la quota associativa. L’associazione ha bisogno del vostro contributo per continuare ad esistere e proporre e sostenere iniziative valide. La quota associativa può essere versata direttamente in segreteria (3° piano Ospedale Santo Spirito o durante le manifestazioni) o con conto corrente po stale n. 83738005, oppure in banca con Iban IT66Z0200805135000400005512. E infine eccomi agli auguri! A tutti un Buon Natale ed un anno nuovo pieno di salute anzitutto, e quindi anche di serenità, gioia, affetto, amicizia, relazioni umane piene di simpatia e cordialità! Soprattutto auguro a tutti di poter sorridere sempre perché la positività nella vita aiuta e “fa buon sangue”. Evviva l’anno nuovo !!! Nell’immagine, la copertina del calendario 2016.
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Un modello per il paziente che sia bio-psichico-sociale? È una sfida culturale di Giulio Scoppola Psicologo-psicoterapeuta, ospedali Santo Spirito e San Filippo Neri
lla luce degli attuali modelli i n t e r p retativi della salute e della malattia, come in part i c o l a re il modello bio-psico-sociale di Engel (sviluppato sulla base della concezione multidimensionale della salute descritta già nel 1947 dalla WHO) non appare più possibile per la diagnosi clinica in un individuo descriv e re e poi trattare separatamente la salute del corpo, quella della mente (e delle emozioni), quella delle relazioni. Questo stesso modello, che pone l’individuo al centro di un ampio sistema influenzato da molteplici variabili, tende a superare il consolidato approccio socio-sanitario, inteso ancora come principale paradigma teorico interpre t a t i v o ed applicativo di riferimento nel lavoro delle aziende sanitarie pubbliche. Le patologie, anche quelle cardiologiche, per essere affrontate dovrebbero essere “lette”, curate e riabilitate a partire da un paradigma scientifico-culturale che integri l’attenta verifica e l’utilizzo delle t re radici epi-
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stemologiche alla base della cura di ogni individuo: quella biologica, quella psicologica e quella relazionale. Come fossero radici di un albero che metaforicamente rappresenta l’interezza della persona. Prendersi cura del paziente, quando presenti i segni clinici della rottura di un equilibrio di salute, rappresenta allora una sfida, che vede medici, psicologi, assistenti sociali, infermieri, tecnici della riabilitazione impegnati ognuno ad integrare il proprio percorso clinico-professionale. L’organizzazione funzionale di una azienda sanitaria deve tenere conto di questa lettura. Pena la progettazione di risposte parziali od inefficienti. A volte fornite con grave ritardo nella risposta verso patologie divenute oramai gravi proprio a motivo di una presa in carico tardiva. Occorre rebbe qui riflettere sui rischi e le conseguenze della mancata diagnosi della radice psicologica delle s o ff e renze e delle malattie; un ritard o che si ripercuote negativamente sull’op e r a reed intervenire efficacemente nei meccanismi di costruzione della malattia stessa. I sintomi clinici, nel nostro caso cardiologici, si innestano inevitabilmente nel percorso di pro g ressiva “perdita della salute”. Parliamo delle conseguenze psicosomatiche di dinamiche emozionali e cognitive che originano da relazioni (fa-
miliari scolastiche o lavorative) disfunzionali o francamente patologiche. Il rischio di un mancato riconoscimento del p e rcorso etiologico della malattia rivela un errore teorico che può quindi a v e re origine da una superata lettura della salute. Un erro re che fino ad oggi appare per lo più conservato se guardiamo alle basi su cui si fonda la progettazione sanitaria. Il mancato riconoscimento della dimensione psicosociale e psicosomatica della malattia ha come conseguenza, dato l’aumento spropositato delle prestazioni diagnostiche e delle visite specialistiche, l’esaurimento delle risorse a disposizione del Sistema Sanitario (ma pre f e r i re i continuarlo a chiamare: “Servizio Sanitario”). Ci auguriamo, per tutto ciò, che anche l’azienda USL RM E vorrà rispondere positivamente a questa sottolineatura, assumendosi per prima il coraggioso percorso di pro g ressiva modifica di un paradigma clinico ed organizzativo, che da bio-medico è opportuno che diventi bio-psico-sociale; avviando quindi una formazione paradigmatica in tal senso.
Un rischio poco conosciuto? L’abbandono della terapia di Gabriella Greco Dirigente medico Uoc Cardiologia Santo Spirito
e principali patologie di cui attualmente soffre l’umanità sono le malattie cronico-degenerative (cardiopatie, ictus, c a n c ro, diabete, malattie respiratorie c roniche) che, una volta manifestatesi sul piano clinico, sono ormai stabilizzate e non è possibile una restitutio ad integrum, cioè una cura definitiva che ristabilisca una completa condizione di salute. E’ allora necessario controllarne gli effetti e il rischio di riacutizzazioni per mezzo di cure in particolare farmacologiche. Si tratta di trattamenti prolungati spesso per tutta la vita, talora complessi, ma indispensabili per evitare le conseguenze sulla qualità della vita, il verificarsi ricorrente di eventi acuti e ridurre la mortalità. Purtroppo molti pazienti dopo un periodo più o meno lungo abbandonano in tutto o in parte le cure con gravi conseguenze sul loro stato di salute con ricadute, nuove ospedalizzazioni, invalidità. Nei pazienti con cardiopatia ischemica l’assunzione di farmaci risulta assolutamente insoddisfacente: in uno studio statunitense le percentuali erano del 71% per l’aspirina, 46% per i betabloccanti, 44% per le statine e addirittura del 21% per tutte e tre i farmaci in associazione. Il problema è ancora più p reoccupante in situazioni specifiche come la mancata assunzione della doppia antiaggregazione dopo l’impianto di stent, che espone al rischio di trombosi con elevato rischio di mortalità o di diuretici nello scompenso con ricorre n t i instabilizzazioni e ospedalizzazioni, o dei nuovi anticoagulanti per i quali non è possibile garantire l’efficacia se non
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con un trattamento costante. L’aderenza è “il grado con il quale il comportamento di un soggetto – assumere un farmaco, seguire una dieta e/o modificare il proprio stile di vita – corrisponde a quanto concordato con l’operatore sanitario”. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, “accre s c e re l’efficacia degli interventi sull’adesione può avere un impatto a più ampio spettro sulla salute della popolazione rispetto a qua-
è stato attivato da alcuni anni un serv izio ambulatoriale gestito da infermieri professionali dedicato ai pazienti dimessi di recente per eventi ischemici, scompenso o aritmie, ed ai pazienti che al follow-up presentino insufficiente c o n t rollo dei fattori di rischio o scarsa aderenza ai trattamenti. L’intervento ha come riferimento il modello IMB (information-motivation-behavioural skill) i cui principi fondamentali sono:
Dopo un evento cronico-degenerativo non è possibile un ritorno a) informare sulla malattia, le cure, il realla precedente integrità fisica gime di vita e aumentare le conoscenze
lunque miglioramento ottenuto mediante trattamenti medici specifici” (OMS 2003). Le cause della mancata aderenza alla terapia sono molteplici (fattori socio-economici; fattori legati alla patologia, fattori legati alla terapia, fattori legati al paziente, fattori legati al sistema sanitario e al personale sanitario. Oggi l’attenzione è posta soprattutto sull’importanza del rapporto tra il paziente e il medico o più in generale con le strutture sanitarie. Nella UOC di Cardiologia del S. Spirito
necessarie al paziente alla comprensione della propria condizione; b) motivare ciascun paziente perché sviluppi i propri valori per attuare e mantenere un comportamento (sulla base del modello degli stadi del cambiamento); c) stimolare le competenze in modo da “assicurare al paziente l’insieme degli strumenti specifici e delle strategie necessarie p e rché possa mettere in atto un comportamento di adesione alle terapie, ottenere un adeguato supporto sociale e sviluppare ulteriori strategie di auto-regolazione”.
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Pillole di salute LAVATI I DENTI? – Il 90% degli italiani over 60 non si lava abitualmente i denti dopo mangiato e spende meno di dieci euro al mese per l’igiene orale (dentifricio, cambio dello spazzolino, ecc.). Lo ha scoperto FederAnziani Senior Italia che ha passato sotto la lente d’ingrandimento 3.200 questionari
traendone il primo rapporto seniorigiene orale. Ed eccone qualche anticipazione. L’83% utilizza un comune spazzolino, solo una minoranza quello consigliato dal dentista. Il 41% del campione sostituisce lo spazzolino ogni due mesi, ogni tre il 27%, il 12% ogni sei. La metà del campione dichiara di andare dal dentista al massimo tre volte l’anno. UNA STRETTA DI MANO – Una stretta di mano forte può essere un segnale di buona salute. E’ la conclusione di un ampio studio (su 140mila persone tra i 35 e i 70 anni di 17 paesi testate per
q u a t t ro anni) pubblicato dal’autorevolissima rivista inglese Lancet. La stre t t a di mano è stata misurata con un apposito strumento. I dati dimostrano che per ogni riduzione di cinque chili della forza applicata alla mano aumenta il rischio di malattie cardiovascolari. “La capacità predittiva è risultata addirittura maggiore della misura della pressione arteriosa”, ha spiegato il dr. Darryl Leong, il cardiologo della MacMaster University di Hamilton (Canada) che ha coordinato l’indagine. “ELETTRONICA” IN CALO – L’uso in Italia della sigaretta elettronica è in diminuzione: 510mila persone la usavano abitualmente nel 2013; l’anno dopo i “fumatori” (ma sugli effetti della e-cig ci sono ancora molte incertezze) sono scesi a 25mila per poi risalire l’anno scorso a 350mila. Gli utilizzatori occasionali, invece, sono più che dimezzati negli ultimi due anni, e ora sono circa 200mila. Chi la usa ha in media 45 anni; in crescita la fascia degli over 65; consumatori soprattutto maschi e con netta (e quindi pericolosa) preferenza per la cartuccia alla nicotina… I NUMERI DELL’ICTUS – Circa il 40% di chi è colpito da ictus in Europa, non riceve cure adeguate. Lo rivela il Progetto Eis (European Implementation S c o re), che ha coinvolto dieci paesi europei e il cui studio è pubblicato su Stroke, l’organo ufficiale dell’American Heart Association. L’ictus cerebrale rap-
presenta la prima causa di disabilità e la seconda causa di morte e di demenza nel mondo. In Italia colpisce circ a 200mila persone l’anno e un milione di italiani ne porta le conseguenze, con costi annui per il Servizio sanitario nazionale stimati in 3,7 miliardi di euro. T ROPPO SALE – Il consumo di sale nella popolazione italiana adulta è significativamente maggiore nelle regioni del Sud rispetto a quelle settentrionali e centrali. In particolare in Sicilia, Calabria, Puglia e Basilicata il consumo medio si attesta oltre gli 11 grammi al giorno contro valori inferiori ai 10 grammi in tutte le altre regioni (nel Lazio siamo a 9,08). Questa differenza sarebbe attribuibile alle diseguaglianze di ordine socioeconomico tra le diverse aree geografiche. Lo suggerisce uno studio pubblicato sul British Journal of Medicine e realizzato nell’ambito del Pro g r a m m a MINISAL-GIRCS, una ricerca a livello nazionale sul consumo di sodio e potassio. Il sale da cucina rappresenta la principale fonte di sodio nell’alimentazione. L’evidenza scientifica disponibile sugli effetti negativi che il consumo eccessivo di sale ha sulla salute è indiscutibile, soprattutto riguardo al rischio di malattie cardio e cerebrovascolari. L’Oms raccomanda un consumo giornaliero di sale da cucina inferiore ai 5 grammi (che corrisponde a circa 2 grammi di sodio).
Periodico dell’Associazione Cuore Sano in collaborazione con la Uoc Cardiologia S.Spirito • Anno XX - n.4 - ott./dic. 2015 • Reg. Trib. di Roma n.00323/95 • Direttore responsabile Giorgio Frasca Polara • Comitato scientifico Roberto Ricci (presidente), Edoardo Nev o l a , Antonio Cautilli, Alessandro Danesi, Gabriella Greco, Francesca Lumia, Alessandro Totteri, Marco Renzi, Giulio Scoppola • Redazione Lungotevere in Sassia n. 3 • 00193 Roma Ospedale Santo Spirito • Recapiti: Cardiologia-reparto terapia intensiva (Utic) tel. 06.68352579; Cardiologia-reparto Subintensiva (Usic) tel. 06.68352213; Segreterie Cardiologia, Ass. Cuore Sano e redazione di Cuore Amico tel. 06.68352323 • E-mail: dmed.car@asl-rme.it •segreteriacs@cuoresano.it • www.cuore-sano.it • Stampato dalla Stamperia Lampo