Cuore Amico n. 4 2010

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Periodico di informazione dell’Associazione Cuore Sano Anno X V- n.4 ottobre/dicembre 2010

“Grassi vegetali” nell’etichetta? Sono un pericolo

In questo numero: NATURA E RISCHI DELLA SETTICEMIA ANCHE D’INVERNO BERE MOLTA ACQUA LA DIETA IPOCALORICA ALLUNGA LA VITA UN BUON BILANCIO DELLA VITA ASSOCIATIVA

Nuovi farmaci per frequenza e fibrillazione


Un pericolo per la salute soprattutto dei cardiopatici

“Grassi vegetali” in etichetta? Diffidare: c’è l’olio di palma di Claudio Coletta*

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iffidate sempre dei cibi confezionati che, tra gli ingredienti stampati in etichetta, citano un generico “grassi vegetali” o “oli vegetali”. Diffidate e non acquistate: siano biscotti, surgelati o qualunque altra cosa impacchettata/inscatolata (persino omogeneizzati per neonati), rappresentano un pericolo per la salute di tutti e dei cardiopatici in particolare. Dietro questa definizione imprecisa – quali oli? quali grassi? – si nasconde infatti assai spesso l’olio di palma, tutt’altro che raccomandato come alimento per i suoi danni alle coronarie e, per giunta, prodotto a detrimento delle foreste tropicali. Perché l’industria alimentare, e non solo la meno affidabile, sfrutta proprio l’olio di palma? Intanto per una questione economica: la palma da olio produce da sette a dieci volte di più di olio (per ettaro) delle altre piante olearie: soia, girasole, ecc. Ma poi anche per le caratteristiche fisiche di questíolio: solido a temperatura ambiente, può essere stoccato per lungo tempo, si lavora facilmente, può essere utilizzato non solo per gli alimenti ma anche per i prodotti cosmetici. Insomma, per tutte queste ragioni è diventato l’olio più prodotto nel mondo: per l’80% in Malesia e Indonesia, ma anche le regioni tropicali dell’Africa e dell’America del Sud sono interessate a sviluppare la coltura della palma olearia. Questo sviluppo va esattamente in senso contrario alle raccomandazioni nutrizionali che puntano a favorire l’uso dei grassi non saturi (oliva anzitutto, e poi girasole e lino) e di limitare gli apporti in grassi saturi come i grassi animali e gli oli di palma, palmisto e cocco: gli acidi grassi sono un fattore primario di sviluppo delle malattie

cardiovascolari. Bisognerebbe non ingerirne più di 20 grammi al giorno, ma meglio scendere ancora, ideale toccare quota zero. Ma il peggio sono i così detti grassi trans, cioè idrogenati: fanno ancora più male al cuore. Allora l’Europa ha stabilito già tre anni fa che i grassi vegetali trasformati (e quindi solidificati) attraverso l’idrogenizzazione vanno limitati al 2% dei lipidi complessivi di un prodotto. Decisione importante dal punto di vista della salute pubblica ma, per contro, responsabile in larga misura della moltiplicazione dell’uso dell’olio di palma che non ha bisogno di essere solidificato artificialmente. Abbiamo accennato anche al danno ecologico. Parliamone ancora insistendo sulla circostanza che le piantagioni di palma da olio, che si sono sviluppate in zone di (originarie) foreste tropicali, sono spesso sinonimo di devastazione delle aree più ricche di biodiversità. Di più: la produzione crescente di olio di palma pone anche dei rilevanti e crescenti problemi sociali dal momento che le popolazioni autoctone sono spesso letteralmente espulse dai loro territori. Come garantire al consumatore una trasparenza reale sulla natura degli ingredienti nascosti sotto le generiche defini-

zioni di “grassi vegetali” e/o di “oli vegetali”? Non essendoci quasi ovunque (men che mai in Italia) una precisa e severa disposizione che obblighi gli industriali dell’alimentazione a precisare quali grassi e oli adoperano, per ora ci si affida al buonsenso e alla correttezza dei produttori e/o dei distributori. Ma in Europa, a quanto si sa, solo in Svizzera prima e in Italia dopo, c’è unicamente il sistema Coop (e solo per la quota di prodotti di marca Coop) che stampa in etichetta il tipo o i tipi di olio/grassi utilizzati per la proprie confezioni. Sia per ragioni di salute che per ragioni ecologiche è giusto, anzi è necessario che il consumatore possa scegliere in base ad una corretta e generalizzata informazione. In Svizzera è stata presentata qualche mese fa dai deputati socialisti (che sono in minoranza) una mozione al Consiglio nazionale in cui si chiede di aggiornare la legislazione produttivo-commerciale in materia alimentare, prevedendo l’obbligo per tutti i prodotti del dettaglio degli ingredienti. Ancor meglio sarebbe informare il consumatore della catena degli approvvigionamenti. In Italia, manco a dirlo, siamo fermi alle raccomandazioni dei medici più avvertiti e alle richieste delle associazioni consumeriste.

In copertina... Emblematica come poche l’etichetta (che pubblichiamo in copertina) di una busta di biscotti. “Grida” che il gusto è «leggero». “Tranquillizza” il consumatore che si tratta di roba «senza uova, senza latte e derivati del latte». Poi però ammette, ma in caratteri minuscoli, che tra gli ingredienti ci sono «olio e grassi vegetali». Non basta: mentre per gli altri componenti sono indicate le percentuali, per olio e grassi vegetali la percentuale sparisce. Ma, dato che per legge gli ingredienti vanno elencati in ordine decrescente, di questi grassi deve esserci comunque una quantità inferiore sì al 18% dello sciroppo di manioca ma superiore all’8% della farina di kamut! Leggete le etichette, leggete….

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4 Una sindrome che solo da un decennio è stata inquadrata in modo organico

Natura e rischi della setticemia di Aldo Castagna*

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marzo di quest’anno muore in Puglia, per shock settico, una ragazza di 22 anni operata tre mesi prima di cisti sacro-coccigea. I sintomi erano stati attribuiti a sindrome influenzale, curata con antipiretici. Causa e cure erano purtroppo ben altre. La sepsi è una sindrome che solo agli inizi del 2000 è stata inquadrata in maniera ragionevolmente organica. Si è stabilito che esistono tre condizioni, progressive ed ingravescenti: la sepsi, la sepsi grave e lo shock settico. Il viraggio tra le tre forme, se la terapia non è adeguata, è solo questione di tempo, la prognosi è inquietante: la sepsi grave ha una mortalità che oscilla tra il 30 ed il 50%, lo shock settico è letale nel 70% dei casi. Nel 2001 comparve nel “New England Journal of Medicine” un articolo che mise le basi di un nuovo approccio alla sepsi e da cui nacque una collaborazione mondiale: la Surviving Sepsis Campaign. Oggi, a distanza di quasi 10 anni, si cominciano a vedere i risultati che questa campagna si prefiggeva; ma la diffusione, non ancora capillare, dei protocolli di diagnosi (o meglio dire di “giusto sospetto”) e di trattamento precoce della sepsi – peraltro incredibilmente semplici – produce tragedie. Riassumiamo brevemente i concetti della SSC, partendo dalle definizioni.

Il dottor Aldo Castagna

SEPSI. E’ una sindrome infiammatoria sistemica correlata ad una infezione dimostrata o presunta che abbia determinato batteriemia. Il perdurare di questa batteriemia determina il coinvolgimento progressivo di sei organi vitali: cervello, cuore e circolo, polmoni, reni, fegato, sistema coagulativo. SEPSI GRAVE. E’ la sepsi che abbia coinvolto almeno uno dei sei organi vitali; l’interessamento in successione di ulteriori organi determina l’insufficienza multi-organica e il numero di organi rende conto della mortalità della sepsi grave che appunto oscilla dal 30 al 50%. SHOCK SETTICO. Una sepsi grave con ipotensione, che non migliora dopo infusione massiva e veloce di liquidi, e che richiede l’impiego di amine vasoattive per mantenere una pressione arteriosa media sopra i 65mmHg, si definisce shock settico. Lo shock settico è sempre associato ad una sindrome multi-organica. Il tempo che intercorre tra l’inizio della sepsi e lo shock settico è variabile in quanto condizionato dall’efficienza dei sistemi di difesa dell’ospite e dalla carica batterica. E’ quindi sufficiente la presenza contemporanea di due segni (temperatura maggiore di 38° o inferiore a 36°, frequenza cardiaca maggiore di 90/min, frequenza respiratoria maggiore di 20/min, globuli bianchi superiori a 12000 mm3 o inferiori a 4000) ed il semplice sospetto di infezione per porre il paziente sotto stretta osservazione con lo scopo di monitorizzare alcuni semplici parametri che sono spia di inizio di danno d’organo. I tempi di intervento sono pressanti: due ore in ambiente non intensivo e altre quattro ore, le successive, per riuscire ad ottenere il controllo dell’evoluzione della sepsi grave. La sintomatologia della sindrome setticemica è riconducibile all’iper-attivazione di meccanismi pro-infiammatori e all’insufficienza relativa dei meccanismi di regolazione ant-infiammatoria. Si verifica in maniera sistemica un danno endoteliale con

edema interstiziale, ipovolemia e danno cellulare diffuso da ipossia. Il danno cerebrale, spesso il primo a manifestarsi, consiste in una variazione dello stato mentale di tipo depressivo fino a stato di coma, oppure agitazione. Il danno respiratorio è legato alla lesione endoteliale ed alveolare che porta a compromissione degli scambi gassosi e nei casi estremi ad ARDS (Acquired Respiratory Distress Syndrome). Il danno renale è testimoniato dalla contrazione della diuresi che diviene significativa quando la diuresi oraria in ml inizia ad essere inferiore alla metà del peso corporeo. Il danno epatico è testimoniato da una bilirubinemia superiore a 2mg/dl. Quello coagulativo dalla comparsa di petecchie, riduzione delle piastrine sotto le 100000/mm3, consumo dei fattori della coagulazione e nei casi estremi da una sindrome di coagulazione intravascolare disseminata. Per ultimo il coinvolgimento cardiovascolare. Considerato in passato, a torto, essenziale per sospettare una sepsi grave, può invece comparire tardivamente, solo dopo l’esaurimento dei vari potenti meccanismi di compenso. A livello cardiaco si verifica dilatazione, dovuta all’effetto tossico dei fattori pro-infiammatori, di tutte le camere cardiache con riduzione della gittata. Nel compartimento arterioso si rileva vasoplegia e crollo delle resistenze. A livello capillare la lesione dell’endotelio determina ipovolemia per fuoriuscita di plasma. Nel distretto venoso causa un imponente, drammatico, sequestro ematico. In sintesi si ha una riduzione del precarico, della contrattilità cardiaca, del post-carico e della volemia con conseguente ipo-perfusione ed ipoossigenazione tissutale, ne consegue il viraggio dal metabolismo aerobico a quello anaerobico. L’aumento dei lattati oltre valori di 2 mmol/L è l’indicatore del ridotto metabolismo aerobico. Se i lattati superano il valore di 4 mmol/L si deve inquadrare la situazione come shock settico imminente,


anche in assenza di ipotensione. La localizzazione iniziale di infezione è più frequentemente a livello polmonare, seguita da quelle addominali che comprendono anche le forme urinarie, dalle infezioni dei tessuti molli, encefaliche e ossee. Le misure da prendere sono semplici, ma devono essere assolutamente tempestive poiché il passare del tempo determina invariabilmente l’aggravamento della sindrome. Dal momento dell’iniziale sospetto di sepsi è necessario, entro due ore, monitorare i parametri vitali; assicurare un apporto di ossigeno tale da assicurare una saturazione superiore al 90% e preferibilmente intorno al 95%; iniziare infusione aggressiva con cristalloidi e colloidi (30 ml * Kg peso corporeo ideale in massimo 90 min); effettuare prelievi ematici per esami laboratorio

re le terapie in reparto. Se invece l’interessamento è pluriorganico o si stenta ad ottenere i risultati auspicati nei tempi dovuti, è preferibile indirizzare il paziente in terapia intensiva dove sarà possibile una monitorizzazione completa e continua dei parametri vitali, l’impianto di accessi venosi centrali, il controllo della pressione e saturazione venosa centrale, la monitorizzazione cruenta continua della pressione arteriosa, l’infusione continua di vasopressori ed inotropi, il monitoraggio emodinamico. I tempi sono brevi, le possibilità tecniche sono determinanti, il sospetto di sepsi è indispensabile. Si verificano, indubbiamente, molti allarmi “inutili”, ma l’obiettivo di portare la sepsi “evoluta” ad una mortalità del 30% è probabilmente realizzabile. * Dirigente medico Uoc Rianimazione S. Spirito

e prelievi per colture adeguati alla sede dell’infezione; solo dopo il prelievo dei campioni colturali va iniziata la terapia antibiotica empirica, adeguata per dosaggio, tempi di intervallo tra le somministrazioni e germi sospettabili sulla base della sede originaria d’infezione; effettuare monitoraggio stretto dei parametri vitali, ed in particolare della pressione arteriosa media, della diuresi, dell’evoluzione dei lattati. Queste procedure devono essere attuate al massimo entro due ore. L’evoluzione dei dati di monitoraggio confrontati con i dati di laboratorio indicheranno la gravità e l’evoluzione della sepsi. Se a distanza di due ore si ha evidenza del possibile raggiungimento degli obiettivi prefissati, anche in caso di sepsi grave, ma con coinvolgimento di solo uno o due organi, è possibile continua-

L’esperienza dell’insegnante Antonella Lotti che, dopo l’infarto, ha scoperto la palestra

Se prendi “il guaio” per il verso buono

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orride sempre, dolcemente. Ha preso “il guaio” per il verso buono. È decisa a vivere con serenità il dopo-infarto dividendosi tra la famiglia (marito e tre figlie tra i 21 e i 31 anni), la scuola dove insegna, e – ora – la palestra di riabilitazione del S. Spirito dove va puntuale al primo mattino del martedì e del giovedì per passare qualche ora “tra i colleghi”. È Antonella Lotti, 59 anni portati davvero alla grande, docente nei corsi di formazione professionale, giusto tra i disabili: “una fatica in più, ma ricca di soddisfazioni”. È stata questa fatica la causa dell’infarto? «Forse la causa scatenante in un momento di grande impegno anche fisico, ma c’è dell’altro, a causare il guaio, e di maggior peso: una importante familiarità, la pressione alta, la scoperta (successiva al ricovero) di una discendente bloccata al 50%. Fatto sta che un giorno dello scorso giu-

gno, a scuola, avverto un fortissimo dolore al petto. Faccio finta di niente con me stessa, ma poi finito il lavoro, passo con l’auto davanti al Santo Spirito. Mi dico: dài, vediamo che cosa era ‘sto dolore. Tutto matura rapidamente: pronto soccorso, ricovero, coronarografia, decisione di non intervenire neppure con uno stent, dimissione, ma insistita raccomandazione di cominciare subito la riabilitazione in palestra».

La signora Antonella Lotti

«Esperienza molto significativa anche sul piano umano. Ritrovarsi tra colleghi che hanno vissuto esperienze analoghe alla mia è stata e resta una esperienza molto positiva. Ti consente un confronto, tacito ma evidente, con gli altri; riesci ñ come dire? ñ a verbalizzare le tue eventuali ansie (ne ho avute, all’inizio, e ti dà una mano anche lo psicologo, qui al Santo Spirito); ti aiuta ad affrontare il “dopo” con una certa sicurezza».

E come ti trovi, in palestra? «È un’esperienza molto interessante e molto importante. Voglio dire che mi interessa molto misurare la mia capacità di ripresa: una sfida con me stessa a base di esercizi di progressiva intensità cui non ero abituata e grazie ai quali avverto una ripresa, lenta (quel fiatone, ogni tanto...) ma piuttosto sicura».

Come vede il futuro, il suo futuro? «Con serenità, e con qualche speranza: sono ormai alle soglie della pensione e voglio godermela. Soprattutto in famiglia. E in palestra.» (E sorride)

Ma lei ha parlato anche di importanza: in che senso?

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Buon bilancio delle iniziative dell’ASC e della Cardiologia di Maurizio Burattini*

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ilancio 2010 decisamente confortante, quello delle iniziative congiunte di Associazione Cuore Sano e Cardiologia del S. Spirito per la diffusione della cultura della prevenzione e per incrementare il volontariato. Iscritti all’Acs in aumento come mai in precedenza (anche questo deve essere uno stimolo per andare ancora avanti nell’anno che sta per cominciare), crescita delle “uscite” (sia strettamente mediche che culturali), diffusione più mirata di “Cuore Amico” attraverso la rete dei medici di base, le farmacie, il territorio della Asl RmE. Vediamo IL BIS DI MONTAGNATERAPIA. Considerato il successo, a primavera, della due giorni al Terminillo, l’esperienza della Montagnaterapia è stata ripetuta ai primi di ottobre, mèta le rovine del convento di San Rocco, sempre nell’area del Terminillo. Percorso non dei più semplici, ma lo spirito di gruppo (diciotto i pazienti con cardiopatia ischemica stabile), la solidarietà e la consolidata capacità di superare brillantemente difficoltà sempre maggiori hanno fatto sì che anche questa uscita straordinaria abbia avuto ottimo successo.

Com’è tradizione, i pazienti sono stati frequentemente monitorizzati. I pazienti erano accompagnati dai cardiologi Francesca Lumia e Alessandro Carunchio; dall’infermiere professionale Mauro Romano e dalla coordinatrice tecnica dell’area palestra, Clara Amari; e dalla guide del Cai di Rieti Stavolta, per il bis, nessuna necessità per i pazienti di usare le proprie auto: l’Associazione ha messo a disposizione un pullmann. INCONTRI MENSILI. Per tutto l’anno, e con puntualità, si sono svolti una volta al mese presso la sala del Teatro del S. Spirito gli incontri, totalmente gratuiti di uno o più cardiologi, psicologi e fisioterapisti con pazienti e loro familiari. Di volta in volta, al centro degli incontri, la illustrazione di patologie cardiache, i metodi per fronteggiarle e curarle, e un dialogo con i presenti. L’esperienza sarà naturalmente ripetuta l’anno prossimo. I CORSI PER FAMILIARI. Sotto la direzione e il coordinamento del dr. Antonio Cautilli, si è conclusa il mese scorso una nuova tornata di corsi (gratuiti) di rianimazione cardiopolmonare e per l’uso del defibrillatore dedicata ai familiari di pazienti car-

diopatici. Cinque corsi, ognuno della durata di cinque ore, tra maggio e novembre in cui è stato insegnato in modo semplice e pratico (anche con l’ausilio di un manichino) quanto occorre fare nel caso ci si dovesse trovare a fronteggiare un’emergenza cardiologica. PERCORSI CULTURALI. Dopo la gita di primavera a Tarquinia per visitare la necropoli etrusca e l’importante museo (l’iniziativa era stata organizzata per i soci dell’Acs dal dr. Totteri), è stata organizzata prima di Natale un’altra originale iniziativa, ideata dal dr. Cautilli: un concerto di musica Gospel del gruppo Voices of Freedom diretto da C.A. Gioja. CUORE IN PIAZZA. E’ previsto che l’attività del 2011 si apra con una uscita, in Roma, del tradizionale meeting del “Cuore in piazza”, realizzato in collaborazione con la Cardiologia del S. Spirito (medici e infermieri realizzeranno analisi e visite, con una media, riferita alle esperienze precedenti, di 100-150 cittadini) e la Polizia di Stato che mette a disposizione un grande tendone che ospita due studi e gli spazi per il primo approccio dei cittadini con i volontari dell’Associazione.

Buon anno ai soci e ai tanti amici di Cuore Sano (senza dimenticare l’iscrizione all’associazione) augurio non è formale, ma è nutrito anche della certezza che i soci vorranno rinnovare al più presto l’iscrizione all’Associazione Cuore Sano, e della speranza che molti dei nostri amici vogliano dimostrare la loro simpatia verso l’Associazione iscrivendosi pure loro, così rafforzando la struttura dell’Acs, contribuendo al suo sostegno, partecipando attivamente alle iniziative sociali, iniziative, aggiungiamo, che saranno tante di più quanto maggiore sarà il sostegno anche finanziario di tutti alla vita dell’Associazione. Per sostenere l’Associazione è sufficiente versare annualmente un importo facoltativo (da 20 euro in su, più in su) sul conto corrente postale n. 83738005, o con bonifico ban-

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cario presso Unicredit-Banca di Roma, Roma 173, Ospedale Borgo S. Spirito 3, 00193 Roma, c/c 400005512, codice Iban 28M0300205135000400005512; oppure presso la segreteria di Cuore Sano, all’Ospedale S.Spirito, reparto cardiologia, terzo piano; oppure, ancora, nella palestra di riabilitazione cardiologica dell’ospedale. L’iscrizione, che ora è condizione per prendere parte delle iniziative associative (montagna terapia, marcia nordica, gite e visite culturali, concerti, ecc.), dà anche diritto a ricevere gratuitamente a domicilio questa rivista: “Cuore Amico”. Ancora tanti e tanti auguri!


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Alcune importanti novità nella cura delle patologie del cuore sono svoltosi quest’anno a Stoccolma alla fine In un primo tempo era stato indicato per le trombosi dopo intervento all’anca

Un nuovo farmaco per la fibrillazione atriale (ne soffrono in 500mila) di Alessandro Carunchio*

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ra le buone nuove del Congresso di Stoccolma ecco la possibilità dell’ impiego differenziato del Dabigratan etexilato, commercializzato in Italia da Boehringer Ingelheim con il nome di Pradaxa. In buona sostanza, un farmaco indicato per la prevenzione delle trombosi venose profonde nei pazienti sottoposti ad intervento ortopedico all’anca si è rivelato, dopo anni di studi e di esperienze, assai utile anche per i pazienti cardiopatici affetti da fibrillazione atriale. Questo farmaco è stato già autorizzato negli Stati Uniti. In Italia si attende uguale avallo dall’Agenzia per i farmaci. Al Congresso sono stati presentati i risultati dello studio RE-LY (Randomized Evaluation of Long - term anticoagulant therapY) che ha confrontato due dosi del nuovo anticoagulante orale – il dabigratan – con la Warfarina su oltre 18.000 pazienti con fibrillazione atriale. La fibrillazione è un’aritmia molto comune che, se non trattata cronicamente con gli anticoagulanti orali, aumenta il rischio di ictus. In Italia ci sono circa 500.000 pazienti con FA con 5060.000 nuovi casi l’anno. In assenza di terapia anticoagulante vi è un rischio annuo

di ictus del 5%. Il Warfarin riduce tale rischio del 65% mentre l’aspirina lo riduce solo del 20%. Quindi la terapia con anticoagulanti orali

Il dottor Alessandro Carunchio

antagonisti della vitamina K rappresenta oggi la terapia di elezione per la prevenzione dell’ictus in pazienti con fibrillazione atriale. Tuttavia la difficoltà nel riuscire a mantenere l’effetto anticoagulante nel range terapeutico ne limita notevolmente l’efficacia aumentando la possibilità di emorragie oltre a rappresentare una controindicazione alla prescrizione della terapia in pazienti con scarsa compliance o impossibilitati ad effettuare i necessari controlli laboratoristici. Il dabigatran è un inibitore diretto della trombina in grado di fornire un effetto anticoagulante stabile senza necessità di con-

trolli periodici di laboratorio (INR). Lo studio RE-LY ha confrontato l’efficacia del dabigatran alla dose di 110 o 150 mg due volte/die rispetto al warfarin in 18.113 pazienti con fibrillazione atriale e ad elevato rischio di ictus. Lo studio era un trial di non inferiorità e l’outcome primario in termini di efficacia era rappresentato dal verificarsi di ictus cerebrale (inclusa l’emorragia cerebrale) o di embolia sistemica. Entrambe le dosi di dabigatran sono risultate non inferiori al warfarin in riferimento all’endpoint primario; la dose più elevata di dabigatran è risultata inoltre superiore al warfarin sempre rispetto all’end-point primario. In dettaglio, il tasso annuo di ictus o embolia sistemica è stato dell’1,53% per i pazienti trattati con dabigatran 110 mg, dell’1,11% per i pazienti trattati con dabigatran 150 mg e dell’1,69% per i pazienti trattati con warfarin. Il tasso di infarto del miocardio è risultato più elevato con entrambe le dosi dabigatran rispetto al warfarin. Il dabigatran ad entrambe le dosi è risultato associato ad una riduzione di incidenza di ictus emorragico. Al momento attuale, in presenza di fibrillazione atriale, medico e paziente si trovavano di fronte ad un dubbio a volte di difficile soluzione, mi assumo i rischi e le difficoltà connesse all’utilizzo degli anticoagulanti orali (attualmente Coumadin o Sintrom) o mi accontento dell’aspirina, meno potente ma più pratica? Tutti aspettavamo la conferma dell’efficacia, della tollerabilità e sicurezza del nuovo farmaco dabigatran, ora l’abbiamo con lo studio RE-LY e lo potremo usare. * Dirigente medico Uoc Cardiologia S. Spirito


scaturite dai lavori del congresso della Società Europea di Cardiologia dell’estate. Ne segnaliamo due in queste pagine. Una medicina, l’Ivabradina, sperimentato su 6.500 pazienti

C’è un’arma in più per tenere a bada la frequenza cardiaca di Antonella Chiera*

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a frequenza cardiaca (FC), cioè il numero di battiti cardiaci in un minuto, a riposo, è stato ormai definito un fattore di rischio per le patologie cardiovascolari, come l’ipertensione, il colesterolo elevato, il diabete o l’abitudine al fumo. Questo vale soprattutto per i pazienti che hanno già avuto un infarto miocardio, per chi ha una cardiopatia ischemica cronica o per chi soffre di scompenso cardiaco cronico. Ci sono ormai evidenze scientifiche che una elevata frequenza cardiaca si correla direttamente con i livelli di morbilità e mortalità cardiovascolare. Questo perché la frequenza cardiaca costituisce un fattore chiave nel determinare il consumo di ossigeno del miocardio (tessuto muscolare cardiaco). Ora, In quali condizioni una riduzione del consumo di ossigeno potrebbe portare vantaggi clinici? In generale in tutte le cardiopatie, sia su base ischemica (malattia coronaria), ipertensiva, valvolare o anche idiopatica (non si conosce la causa). La cardiopatia ischemica cronica o angina pectoris stabile cronica (dolore al torace, alla mandibola e alla schiena a seguito di uno sforzo fisico) potrebbe essere controllata agendo proprio sulla frequenza cardiaca. Infatti un notevole vantaggio in termini di miglioramento sia dei sintomi che della mortalità si è avuto con l’avvento dei beta-bloccanti che appunto agiscono riducendo, in prima istanza, il numero di battiti cardiaci e secondariamente anche la pressione arteriosa sistemica. Ma i beta-bloccanti presentano alcune controindicazioni come la grave insufficienza respiratoria dovuta a asma o a patologie re-

spiratorie ostruttive e hanno inoltre effetti a livello cardiaco come quello di provocare una riduzione della contrattilità. In aggiunta, i b-bloccanti, ormai definiti come indispensabili, non sempre riescono ad ottenere un risultato ottimale nel ridurre la frequenza cardiaca a riposo. Chiediamoci allora quale sia la frequenza cardiaca ottimale in chi ha una malattia cardiaca. E’ stato recentemente posto come target terapeutico (cioè valore ottimale da raggiungere con la terapia) una frequenza cardiaca a riposo inferiore ai 70 battiti al minuto. Sono molti i farmaci che possono aiutarci a controllare e a raggiungere questo valore. Recentemente è stata studiata e immessa nel mercato farmaceutico una nuova molecola ad azione bradicardizzante (cioè che riduce il numero di battiti cardiaci in un minuto): l’Ivabradina. Questo farmaco agisce inibendo in maniera selettiva i canali, denominati If del nodo seno-atriale (il nostro pace-maker naturale) che regola la frequenza cardiaca, portando ad una riduzione esclusiva della stessa, preservando la contrattilità del miocardio. Quando i canali si bloccano, la frequenza

cardiaca diminuisce, il cuore lavora meno e quindi richiede una minor quota di sangue ossigenato. Ciò determina una riduzione fino, a volte, alla scomparsa dei sintomi dell’angina. Viste le sue caratteristiche, l’Ivabradina è quindi indicata nel trattamento sintomatico della cardiopatia ischemica cronica, in pazienti con ritmo sinusale normale che non possono essere trattati o che non tollerano la terapia con beta-bloccanti. La dose iniziale è di 5 mg. due volte al giorno, aumentabile fino a 7,5 mg., sempre due volte al giorno. Nei pazienti con età superiore ai 75 anni è meglio iniziare con dosi più basse , in genere 2,5 mg. due volte al giorno. Gli effetti collaterali più comuni sono due: la presenza di fenomeni luminosi o “fosfeni” e la bradicardia (frequenza cardia molto bassa) sintomatica. La bradicardia sintomatica è più frequente nei pazienti che, già prima dell’inizio della terapia, presentano una frequenza cardiaca inferiore a 60 battiti al minuto. Quali le prospettive? Al Congresso di Stoccolma sono stati presentati i risultati di uno studio (studio Shift) che ha coinvolto 6.500 pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico, provenienti da 37 diversi paesi . In questo trial tutti i pazienti ricevevano le terapie raccomandate nella cura dello scompenso ma un gruppo (circa la metà) riceveva anche I’Ivabradina. I risultati sono stati incoraggianti, con una riduzione significativa sia della mortalità che dell’ospedalizzazione nel gruppo che assumeva l’Ivabradina. Nei prossimi mesi l’Ivabradina potrebbe essere inserita tra la terapia medica raccomandata per lo scompenso cardiaco cronico.

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10 Non perdiamo una buona abitudine

Due litri d’acqua al giorno da bere anche d’inverno di Eugenia Olivieri*

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uante volte ci è stato raccomandato di bere, di bere molta acqua (del rubinetto, inutile spendere per la minerale): una diecine di bicchieri al dì, da un litro e mezzo a due litri ma – attenzione ! – fuori dei pasti. E non è che, passate primavera ed estate, dobbiamo smettere questa buona abitudine nella stagione invernale, solo perché fa freddo e si suda meno, o comunque sente meno la sete. Vediamo i benefici, non stagionali, di una buona riserva d’acqua nell’organismo. Anzitutto è un fattore fondamentale per l’eliminazione delle tossine che introiettiamo senza rendercene neppure conto. E, di conseguenza, contrasta anche gli effetti dannosi dei farmaci: aumentando la diuresi, ne favorisce l’eliminazione attraverso i reni. Poi l’acqua attiva il sistema nervoso simpatico e aumenta il livello di attenzione, soprattutto in chi non è più tanto giovane. Per intender-

ci: il simpatico è quello che ci predispone ad affrontare situazioni di pericolo o di stress, che stimola lo stato di allerta, che aumenta il dispendio energetico. Inoltre alcuni studi hanno rivelato che l’acqua ha un effetto regolatore della pressione: non che sia una assoluta panacea, ma rappresenta un contributo di equilibrio. Infine – è la più recente scoperta, di ricercatori americani – il bere, bere tanto fuori dei pasti (ed anzi, nello specifico, prima dei pasti), favorisce la perdita di peso riducendo la quantità di calorie acquisite con i cibi. Qui vale la pena di spiegar meglio la ricerca e i suoi risultati, frutto del controllo su un gruppo di persone tra i 55 e i 75 anni, tutte a dieta ipocalorica. E noi sappiamo bene come un peso normale (nelle “pillole di salute”, in fondo alle pagine di questo giornale, ricordiamo come si calcola facilmente l’indice di massa corporea di ciascuno di noi) sia una delle prima raccomandazioni che il cardio-

La campagna Coop: l’acqua del sindaco al posto della minerale acqua minerale? Sarebbe meglio lasciarla sullo scaffale (a meno che non sia prescritta dal medico: calcoli renali, neonati, ecc.) e ricorrere al rubinetto: minore impatto ambientale – pensiamo allo smaltimento di miliardi di contenitori: l’Italia produce e consuma quantità enormi di acque minerali: primo paese in Europa, terzo nel mondo – e un consistente risparmio economico: paghiamo ogni bicchiere di minerale circa 6 centesimi (ma assai di più al bar!) mentre la stessa quantità che sgorga dal rubinetto ci costa un decimillesimo di euro. Ma se proprio non si può fare a meno delle bollicine, allora sarebbe il caso di capire – basta guardare l’etichetta – quanti chilometri hanno fatto le bottiglie, dalla fonte al punto di vendita, per limitare l’impatto sull’ambiente. Sono queste le parole d’ordine su cui si poggia la nuova campagna della Coop, “acqua di casa mia”, per promuovere la così detta acqua del sindaco. Certo, è una campagna un po’ anomala, dal momento che a farla è chi vende l’acqua minerale come super/iper mercato intermediario tra il produttore e il consumatore. Ma risponde ad una logica non mercantilistica: educazione al consumo consapevole, rispetto per l’ambiente, risparmio energetico: in termini di CO2 per l’imbottigliamento e il trasporto su gomma di 100 litri d’acqua minerale che viaggiano per cento chilometri appena si producono emissioni pari almeno a 10 chili di anidride carbonica contro i 0,04 kg emessi per la stessa quantità di acqua del rubinetto. La Coop sa bene che in un primo tempo ci rimetterà (calo dei volumi di vendita stimato: 10%); e d’altra parte è già in atto la controffensiva, a colpi di spot – dei produttori di acque minerali: le nostre sono “molto più che potabili”, ma intanto registrano un calo di vendite del 4,7%. Ma la campagna ha anche una resa indiretta di grandi potenzialità: la fidelizzazione del cliente che vuole migliorare la sua coscienza critica. E che, non è stata proprio la Coop ad aver lanciato, prima di questa e con successo, la campagna per la sostituzione e la biodegrabilità dei sacchetti di plastica e, prima ancora, per eliminare i fosfati dai detersivi?

L’


logo rivolge ai suoi pazienti. Bene, quanti tra queste persone di mezza o terza età bevevano due bicchieri prima dei pasti, introducevano, con il cibo, dalle 75 alle 90 calorie in meno rispetto agli altri. Con il risultato di una perdita di 2,2 chili in più, nel giro di tre mesi, rispetto a chi non ha applicato la regoletta dei due bicchieri prima dei pasti. Perché questo? Per un banale effetto meccanico di riempimento che determina senso di sazietà. Se poi la dieta è icca di verdure e fibre, il risultato è una accelerazione del transito intestinale con un vantaggio aggiuntivo per chi vuole/deve dimagrire. Come abituarsi, allora, al consumo giornaliero di un litro e mezzo, due litri d’acqua?

La prima regola (originaria, si dice, della medicina cinese) è quella di ingerire al mattino, appena svegli e prima del sacro caffè, il primo bicchiere d’acqua, magari non fredda per evitare di infastidire l’organismo. Poi…il resto viene prima con un impegno mirato e poi con l’abitudine. Notata quanta gente (soprattutto i turisti che vengono dal nord) oramai porta con sé nel sacco, nella borsetta o anche in mano una bottiglietta? Magari è acqua minerale, niente male soprattutto se non è gassata. Ma una volta consumata quell’acqua, la bottiglia può essere riempita ad una fontanella, o a una sorgente. A proposito: il consiglio di bere sempre

molta acqua vale naturalmente ancora di più in gita, in viaggio, in montagna oggi, e la prossima estate al mare: la fatica o il caldo, come pure un qualunque esercizio sportivo (anche in palestra o in piscina), esige di fronteggiare anche con l’acqua il dispendio di energie e/o di sudore. Anzi, se ci si abitua a bere molto acqua durante una vacanza, poi sarà più facile mantenere questa abitudine alla ripresa del lavoro, o in casa. Vedrete: si può ritenere difficile mantenere il ritmo dei dieci bicchieri, ma una volta che ci si è abituati alla cadenza – vien voglia di dire: alla scadenza – non si perde l’abitudine. Il segreto? Non bere solo quando si ha sete ma prevenire la sete.

Troppe bistecche, si rischia l’infarto. La dieta ipocalorica allunga la vita

I topolini di Boston e i vecchi del Chianti

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e troppe proteine distruggono le arterie. Almeno quelle dei topi. Ma si sa: gli esperimenti scientifici cominciano molte volte dai topolini, salvo poi….La ricerca è stata fatta a Boston, presso l’Istituto di ricerche cardiovascolari della Scuola medica di Harvard. Due gruppi di topi sono stati alimentati con due regimi diversi: dieta “mediterranea” classica, e dieta iperproteica, cioè con una forte riduzione dei carboidrati (pane, pasta) e degli zuccheri ed un aumento di proteine e grassi: carne, formaggio, uova, salame. Risultato: la dieta iperproteica ha prodotto all’interno dei vasi placche aterosclerotiche doppie rispetto a quelle provocate dalla dieta “mediterranea” classica. L’obiettivo della ricerca era la valutazione delle conseguenze delle diete squilibrate che vanno ancora molto di moda soprattutto negli Usa (le diete Atkins e Scarsdale e tante altre) ma anche in Italia (la famosa dieta “punti”): eccesso di proteine a scapito degli zuccheri semplici o complessi. Certo i topi non sono gli umani, e sono predisposti all’aterosclerosi perché carenti di apoliproteina E. Pur con queste difformità di partenza, un dato è saltato fuori per la prima volta e con tutta evidenza: una dieta sbagliata

non solo facilita la comparsa di malatìe, il diabete, l’obesità, la pressione alta (tutto cose notissime da tempo), ma “produce” direttamente una patologia: una placca di tale portata da essere l’anticamera dell’infarto. Nei topi, diciamo… Ma una controprova dei benefici, soprattutto ma non solo negli anziani, di una dieta ipocalorica (ma comunque equilibrata, basata sui principi della “mediterranea”) viene dai risultati di una ricerca presentata a Firenze al congresso della Società italiana di gerontologia e geriatria. Sono stati “seguiti” per un decennio 1.200 anziani ultra-

settantenni residenti in due paesi del Chianti fiorentino (la ricerca aveva il nome suggestivo di InChianti): Greve in Chianti e Bagno a Ripoli. In quanti di loro hanno applicato le raccomandazioni dietetiche mirate ad una riduzione di appena 100 calorie al giorno – uno sforzo possibile senza enormi sacrifici – è stata apprezzata la riduzione nell’arco dei tre anni successivi del rischio di disabilità: difficoltà di camminar e di stare in equilibrio, di svolgere certe mansioni in modo autonomo. La presenza di popoli dalle tradizioni particolarmente frugali conferma l’ipotesi: i giapponesi delle isole Amami e Okinawa mangiano poco “spontaneamente” (cioè non per indigenza o mancanza di cibo) da secoli: una media di 1.800 calorie al giorno contro le nostre (se va bene) 2.500, e le oltre 3.000 degli americani. E i morigerati giapponesi arrivano in media agli 85 anni. Come si spiega? La risposta prevalente è che mangiamo meno (in modo equilibrato naturalmente: meno di tutto) cala il metabolismo degli zuccheri, processo che contribuisce, non poco, allo stress ossidativo delle cellule, stress che accelera l’invecchiamento dei tessuti e predispone ad alterazioni che aprono le porte al cancro.

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12 Ne consumiamo il doppio di quanto è necessario

Troppo sale! È pericolo per la salute di Flavia Belloni*

Uno studio della Società europea di ipertensione

Quota ideale: cinque grammi al giorno Da ricordare: il sodio si nasconde anche nei cibi preconfezionati

S

ì, parliamo ancora una volta del sale, del suo consumo eccessivo, dei pericoli per la salute se si supera la quota media giornaliera di cinque-sei grammi. E invece l’italiano medio ne consuma il doppio, da dieci a dodic e persino quattordici grammi al dì. Attenzione ora ai mali che vengono associati anche (ma non solo, d’accordo) ad un consumo eccessivo di sale: ipertensione, malattie cardiocircolatorie, ictus, e poi ancora tumore allo stomaco, osteoporosi, calcoli renali. Come assumiamo il sale? E’ un problema serio, che non si risolve solo con determinazione individuale: il 54% di sale è infatti presente nei consumi fuori casa (il maledetto tramezzino, il pasto veloce nella pausa di lavoro) e nei prodotti trasformati; il 36% è aggiunto in cucina o a tavola (e qui deve scattare l’autolimitazione: allora, primo atto, via la saliera dal desco); appena il 10% è contenuto allo stato naturale negli alimenti. Uno dei più autorevoli periodici medici inglesi – il British Medical Journal – ha pubblicato uno studio della Società europea di ipertensione, frutto della collaborazione tra il Dipartimento di medicina clinica e sperimentale dell’Università Federico II di Napoli e il Centro per la nutrizione dell’Università di Warwick (Inghilterra) che ha coinvolto 170mila partecipanti

a tredici studi condotti (per un periodo compreso tra i tre anni e mezzo e i 19)nella stessa Gran Bretagna e poi ancora in Giappone, Stati Uniti, Olanda, Finlandia e Cina nell’arco di dodici anni. Le conclusioni: sono stati registrati 11mila casi di malattie vascolari, dall’ipertensione all’infarto all’ictus; è stata accertata un’associazione diretta tra elevato consumo di sale (si pensi per esempio al consumo di soja in Giappone, alle salse diffuse in Usa, ecc.); è stato scientificamente calcolato che la riduzione del consumo di sale a cinque grammi giornalieri ridurrebbe del 23% il rischio di ictus, e del 17% quello di patologie cardiovascolari. In altre parole significherebbe evitare (all’anno, in tutto il mondo industrializzato) più di un milione di morti per ictus e circa tre milioni di morti per malattie di cuore. Come rimediare? Le resistenze dei produttori di alimenti sono fortissime e, in Italia almeno, il ministero della Salute nicchia. Cos’ che è sin qui rimasto lettera morta persino un protocollo d’intesa tra ministero e organizzazioni dei panificatori per ridurre il sale nel pane del 15% entro il 2011. Sulla carta si sarebbe dovuti partite a settembre dell’anno scorso. Sulla carta, ché il ministero non ha ancora diffuso il vademecum che dovrebbe essere distribuito ai singoli laboratori di panificazione. Ma attenzione: il rispetto dell’intesa non è neanche obbligatorio. Non parliamo poi dei produttori di cibi inscatolati o precotti o surgelati: con il timore del tracollo delle vendite nessuno si azzarda a cambiare stile di produzione. E dire che gli psicologi sono unanimi nel sostenere che è solo questione di abitudine: nel giro di due, tre settimane qualsiasi persona si abituerebbe. Altrimenti come spiegare il comunissimo pane senza sale che la fa da padrone in Toscana?


Per non perdere il piacere della tavola (senza farsi del male) FAVE E CICORIE. Si va verso il pieno inverno, ecco un piatto sano che può valere anche come piatto unico (accompagnato da tanta frutta) dal momento che fonde carboidrati e verdure. Per quattro perso-

ne, mettere in acqua lievemente salata 250 grammi di fave secche senza buccia e due patate sbucciate. Fate cuocere lentamente. A cottura completata mettete nel passaverdura con l’aggiunta di un poco d’olio. A parte cuocete mezzo chilo di cicorie preferibilmente selvatiche. Scolate e aggiungete al purè. Servite caldo, con un filo d’olio a crudo. (Questa è la ricetta di Matera. A Modica si fa a meno delle patate: è il “maccu”.) NASELLO E CAPPERI. Anche il secondo è un piatto molto sano, a base di pesce.

Uno spicchio d’aglio e un po’ di prezzemolo in padella con un filo d’olio, aggiungete quattro filetti di nasello (il surgelato va benissimo) e rosolate leggermente. Aggiungete mezzo bicchiere di vino bianco e un po’ di capperi dissalati. Cinque minuti prima della fine della cottura, trasferite il pesce in una pirofila, spargete sopra un poco di pan grattato e fate gratinare in forno. SCAROLA E FAGIOLI. Questo può essere un contorno al pesce, o un secondo alternativo. Ci vogliono 250 grammi di fagioli cannellini, da lessare o utilizzando quelli in scatola. A parte pulite e fate lessare in poca acqua due chili di scarola riccia. Poi prendete uno spicchio d’aglio e rosolatelo in un tegame con un poco d’olio (quando parliamo d’olio intendiamo sempre e solo olio extravergine d’oliva). Gettate quindi in padella la scarola sgocciolata con un’ambra di sale. Quando si è insaporita, gettate in padella i fagioli, mischiate e lasciate cuocere per una ventina di minuti. Se fosse necessario, aggiungete un po’ d’acqua (di cottura o di conservazione) dei fagioli. Buon appetito.

La stagione delle arance... È cominciata la stagione delle arance, importante fonte di vitamina C. Ormai è assodato da tempo che la razione normale di vitamina C è di 60 milligrammi al giorno che stanno, o dovrebbero stare in una piccola arancia sbucciata da 120 grammi. Ma il contenuto di vitamina C varia secondo il tipo di arancia e addirittura da pianta a pianta di una stessa coltivazione. Da un’indagine di qualche anno fa, sono risultati degli scarti notevoli e, fra i principali tipi di arance destinate al consumo fresco, è il Tarocco quello che, in media, contiene più vitamina C.

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PILLOLE DI SALUTE… CIBI E BEVANDE OK – Fanno bene ai sani, benissimo ai cardiopatici. Parliamo di pesce, in particolare di quello azzurro e del salmone per i famosi acidi grassi omega 3: consumarlo almeno due, tre volte la settimana. Di cioccolato: un quadratino al giorno, purché nero al 70-90%. Di noci e nocciole: tre delle prime, sei delle seconde ogni giorno riducono il colesterolo e non sono troppo caloriche. Di olio extravergine d’oliva (polifenoli), di vino rosso (un bicchiere ai pasti come antiossidante), di birra e champagne, anch’essi antiossidanti ma molto più calorici del vino, quindi saltuariamente. No, invece, ai superalcolici.

tratta di pubblicità occulta. Sono state studiate, per nove anni, le abitudini di quasi 32mila donne svedesi (tra i 48 e gli 83 anni) che consumavano fondente. Messi in rapporto i loro consumi con quelli di un analogo numero e tipo di consumatrici Usa la Scuola medica di Harvard ne ha tratto la conclusione scientifica che le svedesi traevano maggiori benefici in termini

A PROPOSITO DI CIOCCOLATO – Su un recente numero della importante rivista Circulation c’è un nuovo studio sugli effetti benefici del cioccolato fondente. Non si

di incidenza dall’insufficiente cardiaca (sino al 32%) non solo per la moderazione nel consumo ma anche per la qualità del cioccolato: quello americano è mediamente amaro solo al 30%, contro il doppio/triplo di quello consumato in Svezia.

CARDIOASPIRINA NON SEMPRE OK – Nessun allarmismo, ma qualche prudenza nell’uso. Intanto per gli effetti collaterali, prime tra tutte le ulcere emorragiche (per questo il medico accoppia spesso al classico antiaggregante anche un gastroprotettore). E poi perché è stato accertato che nel 10-20% della popolazione il farmaco non assolve al suo compito. Perché? Cercano di spiegarlo un gruppo di ricercatori americani della Duke University con uno studio mirato a individuare le caratteristiche delle persone resistenti all’azione antiaggregante dell’aspirina.

…E SALUTE IN PILLOLE VERDURE IN BUSTA? PRO E CONTRO – I giusti orientamenti per un maggior consumo di frutta e verdura freschi (sei porzioni distribuite nella giornata) spingono sempre più frequentemente le persone più abbienti a comperare verdura e frutta già pronta per il consumo: i supermercati ne hanno di tutte le varietà e quantità, persino in porzioni mirate per i single. Vantaggio e svantaggi: i valori nutrizionali (in particolare per quel che riguarda gli antiossidanti) sono sostan-

zialmente equivalenti; i lavaggi persino più accurati (non c’è bisogno del risciacquo). Qualche problema per la conservazione: i “pronti” si conservano più a lungo rispetto al prodotto intero non confezionato; il contrario se il rapporto è fatto con l’intero confezionato. E poi c’è il problema del costo: i prodotti pronti ostano da cinque a sei volte di più di quelli non confezionati, ma non c’è scarto. Certo, pesano manodopera e confezione. Ma ne vale la pena?

INDICE DI MASSA CORPOREA – Vogliamo ricordare un metodo tanto semplice quanto rigoroso per verificare se e quanto il nostro peso corporeo è normale o no? L’indice (IMC) mette in rapporto il peso con l’altezza: peso diviso per l’altezza al quadrato. Esempio: peso 85, altezza 1,78. IMC: 85: (1,78 x 1,78) = 83:3,16. Il risultato (26,8)

che è segnale di lieve sovrappeso. L’IMC maggiore di 40 significa obeso grave; tra 30 e 40 obeso; tre 25 e 30 in sovrappeso; tra 18,5 e 25 normale; inferiore a 18,5 in sottopeso. Gli obesi adulti in Italia sono il 9,1%, le persone in sovrappeso il 33,4%.

ANZIANI E VACCINI – Tra vent’anni ci saranno 16 milioni e mezzo di over 65, e 5 milioni e mezzo di over 80. La vita media salirà a 82,2 anni per gli uomini e a 87,5 per le donne. I centenari, oggi oltre 7mila, saranno quasi 30mila. L’Italia è uno dei paesi al mondo dove si vive più a lungo. L’importante e restare in forma e fronteggiare – con la prevenzione, sin da giovani, malattie e patologie degenerative. Ecco il toccasana dei vaccini. Anche e soprattutto per gli anziani, specie contro l’influenza e le infezioni da pneumococco.

Periodico di informazione dell’Associazione Cuore Sano • Anno XV - n.4 - ottobre/dicembre 2010 • Reg. Trib. di Roma n.00323/95 • Direttore responsabile Giorgio Frasca Polara • Comitato scientifico Roberto Ricci (presidente), Alessandro Carunchio, Antonio Cautilli, Alessandro Danesi, Gabriella Greco, Francesca Lumia, Alessandro Totteri, Marco Renzi • Redazione Lungotevere in Sassia n.3 • 00193 Roma Ospedale Santo Spirito • Reparto di Cardiologia tel. 06/68352443 – 06/68352375 • E-mail: cuoresano@yahoo.com • www.cuore-sano.it • Stampa Tipolitografia Visconti - Terni


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