Cuore Amico n 3 2010

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Periodico di informazione dell’Associazione Cuore Sano

Farmaci via Internet? Pericolo per la salute!

010 no, 17/06/2 di Cuore Sa o t i r i p Assemblea S o t n ieria del Sa Antica Spez

Anno X V- n.3 luglio/settembre 2010

In questo numero: TRE VIE D’ACCESSO PER LE CORONARIE

Cuore Sano in assemblea nuovo impulso all’associazione

LA CAMMINATA NORDICA UNA CURA PER IL CUORE DUE PARERI SCIENTIFICI SULLA MONTAGNATERAPIA RACCOMANDAZIONE ONU MUTARE LA DIETA GLOBALE


L’Italia ha il primato nell’Europa occidentale

Acquisto di farmaci via web? È un pericolo per la salute di Claudio Coletta*

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edicinali contraffatti (almeno per la metà secondo l’Organizzazione mondiale della sanità) e venduti via Internet o in palestra? E’ una pratica che si è diffusa fulmineamente in Italia dove si è raggiunto purtroppo il primato europeo con cifre da vertigine. Pratica pericolosissima, aggiungiamo. Intanto perché gran parte di questi farmaci sono copie fasulle, in cui spesso o sono mischiate molecole non solo inutili ma anche dannose, o costituite da sostanze inerti, quindi placebo del tutto inutili alle cure per cui dovrebbero essere usati. Poi (e di conseguenza) perché il consumatore ignaro ingerisce sostanze inefficaci o addirittura nocive alla sua salute. Infine perché l’ordinazione dei farmaci via internet scavalca la spesso necessaria prescrizione medica, il sistema cui una parte dei consumatori ricorre per evitare la “seccatura” di ricorrere al medico (21%), ma una parte più grande (34%) per superare l’imbarazzo della richiesta della ricetta o per pura ignoranza. Esempio classico, l’acquisto e il consumo del Viagra. Secondo un’indagine il 23% di un folto gruppo d’intervistati non sa (o non vuole sapere?) che per acquistare la miracolosa capsula risolutrice dei problemi di erezione ci vuole la prescrizione medica. E non per caso, dal momento che in molti casi (in primo luogo le cardiopatie) l’uso di questo farmaco è vincolato ad una serie di condizioni prudenziali. Per giunta son pochi gli acquirenti via web di medicine che si preoccupano dell’autenticità e della sicurezza di quanto acquistano. “Sottovalutare questi fenomeni – ha sottolineato Mirella Miracapillo, responsabile dell’Osservatorio farmaci&salute del Movimento consumatori – è un errore: la pressione economica per l’acquisto attraverso Internet è alta da parte so-

prattutto della criminalità organizzata. Solo chi acquista in farmacia è sicuro. Chi compra su Internet o in palestra (qui c’è un grande smercio dei “farmaci” per dimagrire) mette a repentaglio la salute e persino la vita, quando per esempio di tratta di falsi farmaci per il cuore”. Per fortuna l’Italia è in realtà soprattutto un paese di transito verso mercati più remunerativi. E per fortuna, comunque, “l’Italia – ha rilevato Domenico Di Giorgio, che è il coordinatore delle attività anticontraffazione dell’Agenzia italiana del farmaco – è il paese dove si fanno più controlli e quello dove la rete legale è più protetta”. Tra le barriere c’è il sistema di tracciatura dei farmaci che segue dal produttore al grossista al farmacista. Il che non impedisce, purtroppo, che medicinali illeciti e illegali continuino ad arrivare soprattutto dalla Cina, dall’India e dai paesi dell’Est. Attenzione, dunque, massima attenzione.

Alcune cifre dell’illegalità

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Italia è in testa tra i paesi dell’Europa occidentale per la spesa in farmaci potenzialmente falsi (3.587 milioni di euro), seguono la Germania (2.756), Spagna (1.511), Francia (1.176). Molto distaccati l’Inghilterra (442,7), l’Austria (260,2). Sotto i duecento milioni di euro Svizzera, Norvegia e Belgio, sotto i cento Svezia, Irlanda, Paesi Bassi, Danimarca e Finlandia). L’anno scorso, in appena due mesi, sono state confiscate alle frontiere italiane 34 milioni di pillole fasulle. Tra i farmaci acquistati senza prescrizione – tre persone su dieci hanno ammesso di comprarne senza la necessaria ricetta – primeggiano quelli per dimagrire (45%); seguono gli anti-influenzali (35%) e quelli per disfunzioni erettili (25%). Come e dove sono fatti questi acquisti? La metà su siti internet stranieri, e un 6,5% rispondendo a e-mail spam con pubblicità. Il 58% di quanti hanno acquistato on line farmaci (pur con obbligo di prescrizione ma naturalmente senza ricetta) non si è preoccupata dell’autenticità dei prodotti. E anzi il 12% degli intervistati è convinto che un farmaco con obbligo di prescrizione ma acquistato senza di essa sia sempre autentico. Ma il 71% degli intervistati sostiene che non avrebbe acquistato il farmaco se avesse saputo che poteva essere un falso. L’ignoranza circa l’obbligo della prescrizione gioca un ruolo impressionante. Il 32% sostiene di non sapere che per acquistare il Viagra è necessaria la prescrizione; il 29% non sapeva che anche per il Cialis (altro farmaco per la “virilità”) ci vuole la ricetta.

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4 Un’esperienza su cui si lavora anche al Santo Spirito

In campo lo studio Euraction per la prevenzione cardiaca di Gabriella Greco*

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e modificazioni dello stile di vita, il trattamento dei fattori di rischio e l’impiego di farmaci cardioprotettivi, quando indicati, rappresentano i cardini della prevenzione cardiovascolare: la ricerca scientifica ha dimostrato in modo indiscutibile che queste misure possono ridurre l’incidenza di eventi coronarici e la mortalità soprattutto nei pazienti con cardiopatia ischemica nota ed in quelli sani ma ad alto rischio. Tuttavia l’applicazione nella pratica clinica ha dato risultati spesso insoddisfacenti: studi internazionali hanno documentato sia una scarsa applicazione delle indicazioni delle linee guida da parte dei medici sia un insufficiente controllo dei fattori di rischio in una percentuale significativa dei pazienti. Sebbene infatti gli obiettivi ottimali in termini di stile di vita (dieta, cessazione del fumo, attività fisica) e di controllo dei fattori di rischio ( livelli di pressione arteriosa, colesterolemia, glicemia, peso corporeo) sia ben definiti ed esistano esaurienti riferimenti per la pratica clinica (linee guida) la metodologia ottimale per il raggiungimento ed il mantenimento di un pieno controllo del rischio cardiovascolare è ancora oggetto di ricerca. Il semplice intervento di tipo informativo-educativo e l’approccio di tipo prescrittivo da parte del medico (indicazioni sullo stile di vita) non sono in grado di assicurare l’aderenza del paziente e il raggiungimento di risultati adeguati e persistenti. Per questo motivo si stanno valutando metodi alternativi di applicazione dei principi di prevenzione cardiovascolare che tengano soprattutto conto della necessità di coinvolgere il paziente con attore principale del processo terapeutico e della complessità del processo di cambiamento delle abitudini di vita che richiede opportuni interventi di supporto e una maggiore continuità assistenziale. Una figura professionale importante per l’applicazione

di questo approccio è rappresentata dall’infermiere specializzato che può svolgere un ruolo centrale grazie alle competenze sia in termini di cura che di relazione con i pazienti. L’Euraction è uno studio internazionale ideato per valutare i risultati attenibili in termini di modificazioni dello stile di vita, correzione dei fattori di rischio e aderenza alla terapia farmacologica con un approccio multidisciplinare coordinato da infermieri professionali. Lo studio ha coinvolto sia pazienti con cardiopatia ischemica nota (prevenzione secondaria) sia pazienti sani ma ad alto rischio di eventi cardiovascolari (SCORE > 5% a 10 anni, prevenzione primaria). Entrambi i gruppi di pazienti trattati erano poi confrontati con due gruppi di controllo (rispettivamente uno di pazienti cardiopatici ed uno di pazienti ad alto rischio) seguiti secondo le modalità abituali. Per i primi il programma era attuato ambulatorialmente in ospedale da un team costituito, oltre che dal cardiologo, da un infermiere, un dietologo e un fisioterapista. I soggetti ad alto rischio erano invece seguiti dal medico curante e da un infermiere. Gli interventi coinvolgevano i familiari, in particolare il coniuge, e erano basati sui principi della teoria del cambiamento e dell’intervento motivazionale. All’inizio sono stati valutati lo stile di vita abituale, i livelli di colesterolemia, pressione arteriosa e glicemia, il peso corporeo, le convinzioni sul concetto di salute e la percezione della condizione di malattia, le condizioni psicologiche (eventuale presenza di ansia o depressione sia dei pazienti che dei familiari). Nei fumatori il grado di dipendenza veniva valutato con il test di Fagerstrom; per l’alimentazione e l’attività fisica le abitudini prima dell’intervento erano valutate attraverso la compilazione di questionari e diari relativi al comportamento usuale. Successivamente per i pazienti (e i loro familiari) trattati in

ospedale erano previsti sia incontri individuali che di gruppo e sessioni di esercizio fisico. Lo stesso programma era applicato per i soggetti ad alto rischio trattati presso il medico curante con l’esclusione delle sedute di esercizio fisico. Per lo stile di vita gli obiettivi erano: a) l’astensione dal fumo (o la prevenzione delle ricadute per coloro che avevano smesso di fumare) convalidato dal dosaggio del monossido di carbonio nell’aria espirata; b) l’adozione di una dieta a basso contenuto di grassi (< 10%), ricca di pesce (> tre volte per settimana) e frutta (> 400 gr. al giorno); c) l’adozione di un programma di attività fisica regolare: 30 minuti per almeno quattro giorni per settimana. Per i fattori di rischio le finalità erano: a) il raggiungimento o mantenimento del peso corporeo ideale (indice di massa corporea < 25 Kg/m2) o, per i soggetti in sovrappeso, una riduzione del peso di almeno il 5% in un anno e il controllo dell’obesità centrale (circonferenza vita < 94 cm. negli uomini e < 80 cm. nelle donne); b) colesterolemia totale, colesterolo LDL, pressione arteriosa, emoglobina glicosilata nei limiti previsti dalle linee guida. Al controllo ad un anno, i risultati sono stati significativi per i cambiamenti dello stile di vita: i pazienti trattati (sia cardiopatici che ad alto rischio) avevano smesso di fumare, adottato una dieta adeguata e intrapreso un programma regolare di attività fisica in una percentuale significativamente superiore rispetto ai soggetti di controllo seguiti secondo le modalità abituali. Una risposta minore si è invece ottenuta nei familiari. Quanto al peso corporeo la riduzione media è stata maggiore nei pazienti sottoposti all’intervento che nei controlli ma l’obiettivo di un dimagrimento di almeno il 5% del peso iniziale e del raggiungimento del peso ideale non è stato raggiunto, non essendo state registrate differen-


ze significative tra trattati e controlli. Lo stesso si è verificato per l’obesità centrale: maggiore riduzione della circonferenza vita nei pazienti ma senza significative differenze in termini di raggiungimento dei valori ottimali. Rispetto ai controlli (trattamento abituale) una proporzione superiore di pazienti cardiopatici ipertesi inseriti nel programma risultava adeguatamente trattata con valori di pressione entro i limiti ottimali, sebbene nel 34% la pressione non fosse sotto pieno controllo e nel 2% non fosse stata prescritta alcuna terapia. Anche nei pazienti ad alto rischio ipertesi si è riscontrato un miglior controllo nei pazienti sottoposti ad intervento, ma la percentuale di pazienti non trattati era del 21% (41%

to da infermieri professionali, è in grado di migliorare i risultati ottenibili nel campo della prevenzione sia secondaria che primaria. Questo ci sostiene nel proseguire nelle attività intraprese in questo campo dall’UOC di Cardiologia del Santo Spirito per i pazienti cardiopatici (ambulatorio infermieristico per la prevenzione secondaria) e per i pazienti ad alto rischio (studio Prevasc di cui si è qui parlato a lungo). Tuttavia è anche evidente che vi è un margine di ulteriore miglioramento dell’efficacia di questi programmi che stimola ad un maggiore impegno sia culturale che organizzativo.

nei soggetti ad alti rischio seguiti con modalità abituali). La percentuale di pazienti cardiopatici con valori di colesterolo LDL ben controllati era dell’80% nei trattati rispetto al 72% dei pazienti di controllo. Anche nei soggetti ad alto rischio il trattamento della dislipidemia è risultato migliore in quelli inseriti nel programma. Per quanto concerne il diabete, nei soggetti trattati, sia cardiopatici che ad alto rischio, la tendenza è stata di un miglioramento dei risultati (valori inferiori emoglobina glicosilata) anche se le differenza rispetto ai controlli non era significativa. In definitiva i risultati dell’Euroaction documentano come un approccio strutturato, multidisciplinare, in cui un ruolo rilevante è svol-

* Dirigente medico Uoc Cardiologia, S. Spirito

A colloquio con la “matricola” della palestra

“Nessun segnale premonitore e la Pasqua non fu di festa” ancora fresco di infarto, di stent, di palestra. Ancora avverti in lui certi tratti d’incertezza. Ma a dargli sprint e speranza di una piena ripresa c’è la palestra che frequenta disciplinatamente al mattino, di prim’ora, sfidando una lunga traversata di Roma, dalla Cristoforo Colombo al Santo Spirito. Francesco Barea, 71 anni, due figli, faceva il ferroviere. Tutto, in salute, era filato liscio sino a questa primavera.

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Poi che cosa è successo? «E’ successo che ai primi di aprile, giusto il venerdì santo, mi sono sentito male. Compressione al petto, sudore, smarrimento. Sono andato al pronto soccorso del Cto. Infarto. Mi hanno trasferito al Santo Spirito. E l’indomani mi hanno messo due stent nelle coronarie.» Avevi avuto qualche segnale premonitore? «Nulla. E’ vero che non avevo mai fatto qualche controllo specifico, ma mi piace camminare. E camminavo, eccome, senza

E quando non vieni in palestra, fai comunque qualche esercizio fisico?I medici raccomandano di camminare almeno una mezz’ora al giorno. E un grande primario cardiologo del Santo Spirito, il prof. Vincenzo Ceci, raccomandava di camminare così spediti da non vedere che cosa c’è nelle vetrine dei negozi… «L’ho detto: a me piace camminare, eccome se lo faccio. Sino a quando mi reggono le gambe. E la palestra mi aiuta molto anche a migliorare le forma.»

avvertire disturbi da affaticamento.» E poi, quando sei uscito dall’ospedale, come si sei sentito? «Un po’ spaesato. Chi mi diceva che la mia vita cambiava da così a così. Chi mi raccomandava di non fare sforzi. Ognuno diceva la sua: il mare no perché c’è il sole a picco, la montagna manco a parlarne. Io mi sono fidato solo dei cardiologi del Santo Spirito, e della loro insistita raccomandazione: in palestra appena stabilizzato. E in palestra sono andato, appena loro hanno deciso che era il momento.» Come ti sei trovato in palestra? «Mi sono sentito meglio, molto meglio. Fisicamente: gli esercizi mi stanno rimettendo in forma, persino il mal di schiena mi sta passando, una mano santa. Psicologicamente: stare tra colleghi serve molto, ti consente di socializzare la nostra comune condizione, ti spinge a cercare di imitare chi ha maggiore esperienza e maggiore pratica con gli esercizi.»

Francesco Barea, ex ferroviere

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6 Importante segnale di crescita del primo e più forte organismo associativo dei cardiopatici della capitale

“Cuore Sano” in assemblea Nuovo impulso al volontariato di Maurizio Burattini*

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essanta nuovi soci nel giro di due mesi. Forse basta questa cifra – citata in apertura dell’assemblea annuale di “Cuore Sano” dal presidente uscente (e riconfermato) Aldo D’Alessio – a dire del successo della iniziativa intrapresa da un gruppo di soci fondatori per riorganizzare la struttura interna e le aree operative dell’Associazione. Qualche altro risultato? La creazione di un’efficiente segreteria, vero punto di forza per il coordinamento dell’attività del gruppo dirigente. Il potenziamento della campagna (ora capillare, in palestra e non solo) per l’adesione di nuovi soci. L’aggiornamento del software gestionale, curato dall’ing. De Vita. La diffusione di questo periodico tra tutti i medici di base della Asl

RmE, cui fanno capo ben quattro municipi della capitale. L’intensificazione, in collaborazione con i medici della Cardiologia del S. Spirito, dei corsi di rianimazione e defibrillazione per i parenti dei pazienti cardiopatici (cinque quest’anno); e degli incontri psicoeducazionali (dieci per anno). La prosecuzione dell’espe-

Le nuove cariche e il Comitato scientifico

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assemblea dei soci dell’Associazione Cuore Sano ha provveduto al rinnovo delle cariche sociali. All’unanimità Vincenzo Ceci è stato eletto presidente onorario; voti unanimi anche per Aldo D’Alessio (presidente), Aida Di Censo (vicepresidente vicaria), Paolo De Gregorio (tesoriere), Franco Ubaldi (assistente del tesoriere), Roberto Capparucci, Giancarlo Velati e Gianni Bellini (iniziative esterne), Bruno D’Ancona e Nilde Zonno (responsabili del tesseramento), Giorgio Frasca Polara (direttore di “Cuore Amico”) e Luciano De Vita (responsabile delle risorse informatiche e del sito web dell’associazione www.cuoresano.it), Marinetta Ciasca, Bruno D’Ancona e Luciano De Vita (revisori dei conti). Alla segreteria della associazione confermata Carla Maria Rossi. A far parte del Comitato scientifico sono stati chiamati Roberto Ricci (presidente), e inoltre Alessandro Carunchio, Antonio Cautilli, Alessandro Danesi, Gabriella Greco, Francesca Lumia, Marco Renzi e Alessandro Totteri.

Più iscrizioni per rafforzare l’associazione

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l successo della campagna di tesseramento 2010 all’Associazione Cuore Sano (campagna ancora in corso) ha spinto l’assemblea dei soci a rinnovare un appello a tutti coloro che frequentano la palestra di riabilitazione cardiologica e/o sono coinvolti nelle iniziative di Cuore Sano perché si iscrivano all’Acs rafforzandone la struttura, contribuendo al suo sostegno anche finanziario, partecipando così più attivamente alle attività sociali. Per sostenere l’Associazione è sufficiente versare annualmente un importo facoltativo (da 20 euro in su) attraverso il conto corrente postale n. 83738005; o con bonifico bancario a favore di Unicredit-Banca di Roma, Roma 173, Ospedale Borgo S. Spirito, 3 00193 Roma, c/c 400005512, codice Iban IT 28 M 03002 05135 000400005512; oppure presso la Segreteria di Cuore Sano, Ospedale S. Spirito, reparto cardiologia, terzo piano. L’iscrizione, che sarà d’ora in poi condizione per prendere parte alle iniziative associative (Montagnaterapia, marcia nordica, visite culturali, ecc.), dà anche diritto a ricevere gratuitamente la rivista “Cuore Amico”.

rienza della Montagnaterapia (per la prima volta quest’anno non solo in primavera ma anche in autunno), e l’inaugurazione dei corsi teorico-pratici di Nordic Walking (a quella del maggio scorso seguirà una replica a ottobre). Il rinnovo della ormai tradizionale manifestazione del “Cuore in piazza”. La ripresa delle espe-

rienze culturali: a quella nella necropoli di Tarquinia seguiranno la visita all’Abazia di Farfa (e con ogni probabilità anche ai giardini del Quirinale) e sotto Natale un concerto di musica gospel. Il rinnovo della convenzione con la Asl. Il puntuale appuntamento trimestrale con “Cuore Amico”. Dal breve dibattito che è seguito alla relazione (interventi del primario della Cardiologia Roberto Ricci, dei soci Maria Adorni, Aida Di Censo, Luciano De Vita, Franco Ubaldi, Bruno D’Ancona, Giorgio Frasca Polara) sono emerse due indicazioni di lavoro: le notevoli potenzialità di sviluppo dell’associazione – la prima e più forte nella Capitale, grazie all’originaria idea del prof. Vincenzo Ceci, chiamato alla presidenza onoraria dell’Associazione – rivelate, pur in brevissimo tempo, dalla riorganizzazione del lavoro, tutto e solo volontario, dei soci; e la crescente attesa per sempre nuove esperienze che allarghino il campo delle attività associative, in particolare naturalmente nel campo della prevenzione e della socializzazione della ripresa. Infine l’assemblea (un inedito per la numerosa partecipazione) ha approvato il bilancio, relatore Paolo De Gregorio; e proceduto con voti unanimi al rinnovo delle cariche sociali e del comitato scientifico.


Le diverse specializzazioni cooperano per un percorso assistenziale completo

Perché il lavoro di équipe è prezioso in Cardiologia di Roberto Ricci* a Cardiologia si è trovata in questi ultimi anni – e tuttora si trova – ad affrontare una importante sfida, quella di offrire prestazioni sempre più ad alto contenuto tecnologico in modo appropriato, in un contesto in cui l’età media dei pazienti che si ricoverano in ospedale è sempre più elevata e quindi i pazienti sono più “fragili”, portatori di più patologie associate (esempi: insufficienza respiratoria, insufficienza renale, anemia, malattie vascolari, ecc.) e pertanto necessitano di maggiore attenzione e cura. Tutto ciò si inserisce in una situazione attuale di limitate risorse economiche e di personale. In una moderna Cardiologia solo una organizzazione del lavoro in équipe consente di affrontare con successo questa nuova realtà. Nell’attività medico-chirurgica in équipe la divisione del lavoro costituisce un vantaggio e un fattore di sicurezza, perchè ciascuno dei sanitari è chiamato a svolgere il lavoro in relazione al quale possiede una specifica competenza. Ciò vale non solo gli interventi ad alto contenuto tecnologico (come gli interventi di elettrostimolazione o angioplastiche coronariche), ma anche per le attività più prettamente cliniche come ad esempio la visita medica giornaliera nei reparti di terapia intensiva e subintensiva cardiologica o le visite specialistiche nei diversi ambulatori cardiologici. Il lavoro è organizzato affinché ciascuno sia responsabile di un aspetto del complesso percorso assistenziale. In rapporto al proprio lavoro il medico è posto nelle condizioni di profondere tutta la necessaria e propria diligenza, prudenza e perizia senza essere tenuto a controllare continuamente l’operato dei colleghi. Per il paziente ciò si traduce in due effetti positivi: prestazioni ottimali nei diversi momenti della degenza e della fase di controllo post dimissione; possibilità di un per-

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corso assistenziale completo, dal ricovero in urgenza in terapia intensiva, alla degenza in reparto di cardiologia alla riabilitazione cardiologica fino alla fase post-dimissione con i controlli ambulatoriali e le attività di prevenzione. Il lavoro di équipe, se non ben organizzato, può rappresentare però anche un fattore di rischio, in quanto fa sorgere rischi nuovi e diversi (rispetto a quelli propri dell’attività monosoggettiva) essenzialmente derivanti da difetti di coordinamento o d’informazione, da errori di comprensione o dovuti alla mancanza di una visione d’insieme ecc. Risulta allora fondamentale, per minimizzare questi rischi, organizzare l’attività lavorativa in modo che vi siano numerosi momenti o strumenti di incontro tra i vari colleghi al fine di garantire una adeguata informazione, un efficace coordinamento, una attenta revisione delle attività svolte. La Cardiologia del Santo Spirito ha a tale scopo istituzionalizzato diversi momenti di confronto e condivisione delle attività. Ad esempio, ogni mattina si discutono collegialmente i casi clinici più rilevanti pianificando il percorso assistenziale. Inoltre, ogni mercoledì pomeriggio si svolge una riunione di reparto in cui vengono discussi

Il dottor Roberto Ricci

i più recenti lavori scientifici pubblicati in letteratura, evidenziate le eventuali problematiche lavorative e condivisi i protocolli assistenziali. Infine, un elemento strategico per il buon funzionamento del lavoro in équipe è la disponibilità di un sistema informatico che consente oggi, per ogni paziente, la archiviazione e la possibilità di immediata e costante consultazione dei dati clinici (dalla storia clinica, ai referti degli esami strumentali e di laboratorio alle lettere di dimissione) e delle immagini acquisite: elettrocardiogramma, ecocardiogramma, elettrocardiogramma da sforzo, ecg Holter, coronarografia e angioplastica coronarica. La Cardiologia del Santo Spirito è tra le pochissime realtà in Italia dove l’équipe medica e infermieristica ha accesso in qualsiasi momento e da qualsiasi postazione del reparto a tutte le informazioni cliniche di ogni paziente che dal 2005 ad oggi ha avuto contatti con la nostra struttura. Ci sarebbero molte altre cose importanti da evidenziare sul lavoro in equipe, come per esempio il ruolo fondamentale degli infermieri e dei tecnici. Ne parleremo però un’altra volta: le disposizioni tassative del direttore di “Cuore Amico” sulla lunghezza massima degli articoli e i suoi proverbiali richiami, mi impediscono di andare oltre! * Primario Uoc Cardiologia Santo Spirito

La Cardiologia dello storico ospedale romano è tra le pochissime realtà in Italia dove l’équipe medica e infermieristica ha accesso in qualsiasi momento e da qualsiasi postazione del reparto a tutte le informazioni cliniche relative a ogni paziente che negli ultimi anni e sino a ora ha avuto contatti con la struttura del Santo Spirito

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I tanti benefici della

Montagnaterapia per ello scorso numero di “Cuore Amico” abbiamo riferito del successo della sesta edizione di Montagnaterapia, l’iniziativa (organizzata dall’Associazione Cuore Sano e dalla Cardiologia del S. Spirito) che consente a molti cardiopatici stabilizzati di affrontare un’escursione, tradizionalmente sul complesso del Terminillo. Su questa esperienza abbiamo invitato la dott.ssa Francesca Lumia, dirigente medico cui è affidata nell’ospedale romano la responsabilità clinica della riabilitazione cardiologica, e allo psicologo dr. Giulio Scoppola, che è stato il promotore in Italia della terapia montana, di formulare una valutazione dei molteplici aspetti e opportunità della ormai classica due-giorni su e giù per coste e valloni del reatino. Ed ecco i loro interventi.

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Il parere della cardiologa

Quando salir per monti è una cura per il cuore “Dottore, quest’estate vorrei andare in montagna…” “Per carità, proprio lei che ha avuto un infarto! La montagna è sconsigliata”. Ne è passato di tempo da questo colloquio paziente-medico. I vari studi, ricerche, esperienze, hanno chiarito meglio sia le caratteristiche dell’ambiente montano, che la fisiopatologia delle varie cardiopatie. L’ambiente montano è caratterizzato da riduzione della temperatura ambientale (circa mezzo grado ogni 100 metri), dall’aumento della ventosità e dell’irraggiamento e soprattutto dalla riduzione della pressione parziale di ossigeno. Tali caratteristiche variano progressivamente con l’aumentare della quota. Ad una quota di 5.500 m., cioè 700 m. oltre la vetta del Monte Bianco, la pressione atmosferica si riduce di circa la metà e di conseguenza anche la pressione parziale di ossigeno si riduce della metà, provocando la cosidetta “ipossia d’alta quota”. E’ proprio quest’ultimo il più importante fattore che limita l’esercizio fisico in quota ed è un notevole fattore di rischio in soggetti cardiopatici. Inoltre l’ipossia è la causa iniziale di una serie di processi che conducono al mal d’alta quota o addirittura all’edema polmonare o all’edema cerebrale. Ma queste patologie sono rare a quote inferiori a 2.500-3.000 metri. L’organismo infatti mette in atto una serie di risposte, modulate in base al tempo di

permanenza in quota, alcune immediate, altre più tardive, altre addirittura genetiche, nel tentativo di utilizzare al massimo il ridotto ossigeno disponibile. La prima risposta è senz’altro un’attivazione del sistema neuro-adrenergico che comporta l’incremento della ventilazione (respiri più ampi, ma anche più frequenti) e della frequenza cardiaca (il cuore batte più velocemente). Per permanenze prolungate in quota si ha anche un aumento dei globuli rossi (meccanismo sfruttato dagli atleti per poi avere più ossigeno quando effettuano una prestazione sportiva a livello del mare). E allora la montagna è controindicata per i cardiopatici? No, o comunque non in maniera assoluta. C’e’ montagna e montagna. Dipende dalla altezza a cui si va, dal tipo di attività fisica che vi si svolge e dalla gradualità con cui si arriva in quota. Entro i 3.000 m. – cioè in un ambiente di bassa e media montagna – le risposte dell’organismo all’ipossia sono tra-

La dottoressa Francesca Lumia

scurabili e quindi anche il lavoro aggiuntivo richiesto al cuore e ai polmoni; e questo grazie alle caratteristiche della nostra emoglobina, cioè la proteina contenuta nei globuli rossi, che ha la capacità di legare l’ossigeno. A tale quota infatti, è in grado di avere ancora una buona affinità per l’ossigeno. Oltre tale altezza, questa capacità si riduce vertiginosamente. Ed è nella diversa inclinazione della curva sigmoide di dissociazione dell’emoglobina il segreto degli esseri viventi che si sono acclimatati alle alte quote: per esempio i lama, animali tipici d’alta montagna, e i tibetani, un popolo che da 2800 anni vive tra i 3500 e i 4500 metri. Occhio dunque all’altimetro! Ma non solo. E’ importante un arrivo graduale in quota per permettere al nostro organismo di adattarsi. Pensate che se per ipotesi un residente a bassa quota fosse trasportato in elicottero, senza acclimatazione, sulla vetta del monte Everest, dopo solo due minuti rimarrebbe privo di coscienza. L’attività fisica deve essere poi moderata e quando ci si sente affaticati bisogna rallentare o addirittura fermarsi. E’ quindi molto importante la scelta del percorso. Chi ha avuto un problema cardiologico, può andare in montagna (si parla sempre di bassa e media quota) purché sia giudicato “idoneo” ai controlli clinici (fondamentale è la stabilità, l’assenza di sintomi e segni di ischemia o insufficienza cardiaca a riposo e durante sforzo moderato, l’assenza di aritmie maggiori) e rispetti una serie di regole. Francesca Lumia Dirigente medico Uoc Cardiologia Santo Spirito


“A chi cammina non si muovono solo gli astratti pensieri nel cervello, ma si mettono in movimento carne e sangue; così le sapienze inconsce depositate negli organi possono mobilizzarsi, montare in alto e riaffiorare nella coscienza” (M. Scheffer)

i cardiopatici Il parere dello psicologo

Il ruolo dell’ambiente naturale nella riabilitazione Cosa può annotare uno psicologo clinico, sulla sua personale agenda, in riferimento a ciò che vede accadere davanti ai suoi occhi e che riguarda lo sforzo di riconquista della salute psicofisica e psicosociale dei suoi assistiti, colpiti (da più o meno tempo) dalla “malattia cardiologica”, e che ora “si sentono guariti”? La prima annotazione fa riferimento al “mettere in movimento carne e sangue” di cui parla qui M. Scheffer. E’ una immagine ed una metafora di una ri-dinamizzazione del sé. In altre parole quello che chiamiamo il “sé” definisce, sul piano psicologico e fisico, la persona; con tutte le sue caratteristiche personali, con tutte le sue memorie (passate), con tutto il suo vissuto (presente), con tutte le sue fantasie e desideri (futuri); e comprende la rappresentazione di tutte le sue relazioni (passate, presenti e future), definendolo nella sua costituzione mentale ma anche fisica e relazionale. Ecco allora che l’aver ri-messo “in movimento il sé” ci ha portato ad incontrare le paure, le angosce, le speranze. Le emozioni connesse all’accettazione del limite personale. La montagna favorisce l’accettazione di un limite; ma anche la ricerca dei segnali psicofisici ed emozionali che accompagnano un tale “affiorare o riaffiorare” psicosomatico. Anche gli elementi, per lo più traumatici, connessi agli eventi critici (infarto, angina, operazione valvolare o angioplastica…) trovano la strada per riaffiorare ed essere lavorati nel racconto, du-

rante il cammino. Andare in alto è anch’essa una metafora dell’abbandonare simbolicamente ciò che ci tiene ancorati al suolo. Durante l’esperienza di montagnaterapia, quest’anno come gli anni scorsi, ho visto l’abbandono psicologico della paura; ho visto l’abbandono della rabbia; ho osservato l’abbandono della depressione (con una componente significativa della volontà). La seconda annotazione riguarda il ruolo che l’ambiente naturale, non modificato dall’uomo, ha nella riabilitazione di pazienti che hanno avuto una alta esposizione ai luoghi ed agli operatori sanitari (terapie intensive, reparti ospedalieri, emodinamica, infermieri, cardiologi…). Ho una volta in più notato, a questo proposito, la potenza terapeutico-riabilitativa di un “setting” come la montagna. Essa contiene elementi lenitivi e trasformativi naturali, capaci di collocare nel modo migliore le relazioni, le comunicazioni e di rendere accettabili le stesse procedure diagnostiche di controllo (quelle possibili…). L’ambiente della montagna è lì a testimoniare la permanenza degli oggetti. Il “corpo” della montagna ha un suo personale ritmo (freddo/caldo; luce/buio; duro/morbido; sereno/nuvoloso; …) che ricorda ai nostri pazienti che anche il loro corpo può recuperare un personale ritmo (dopo averlo perduto nella malattia). Pensiamo ad esempio al respiro della montagna (il vento) che può essere associato agli esercizi di respirazione completa da noi svolti in gruppo. La terza ed ultima annotazione riguarda il lavoro interdisciplinare e multi professionale. Sul campo abbiamo operato insieme ed in modo integrato: psicologo, cardiologo, psichiatra, infermiere, cardiologo emodinamista, istruttore di alpinismo del CAI. Questa integrazione, in montagnaterapia, fra competenze diverse, evoca ai pazienti e

stimola ad una funzione integrativa. Essa si estende sia ai differenti organi e tessuti ed al loro fisiologico ed armonico funzionamento nell’organismo, che ai differenti tratti di personalità, presenti nei componenti del gruppo dei pazienti (per il loro positivo interagire interpersonale durante tutta l’esperienza). Ambedue questi aspetti rappresentano altrettanti “presidi” ampiamente utilizzabili

Il dottor Giulio Scoppola

nel percorso riabilitativo proposto. Vorrei concludere auspicando una maggiore diffusione del metodo proposto. Non servono sofisticati strumenti di rilevazione dati per accogliere e raccogliere la profonda riconoscenza dei pazienti trattati dai programmi di montagnaterapia nel nostro Ospedale. E se è vero che: “Il paziente soddisfatto è di diritto obiettivo ed esito dell’assistenza” (H.Vuori,1987), crediamo di aver proposto qualcosa che semplicemente possiamo definire una “buona assistenza” (a costi bassissimi…). Giulio Scoppola Psicologo-psicoterapeuta, Asl RmE

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10 Le arterie al femore, al gomito e al polso

Tre vie d’accesso per lo studio e l’intervento sulle coronarie di Eugenia Olivieri* ggi lo studio delle coronarie (coronarografia) e l’intervento su di esse (angioplastica) si possono eseguire attraverso differenti accessi arteriosi: via femorale, via brachiale, via radiale. L’arteria femorale (punta all’inguine) rappresenta ancora l’approccio più diffuso perché permette – tranne in caso di estrema malattia dei vasi iliaco-femorali e dell’aorta addominale – un accesso abbastanza diretto al cuore e, per il suo grosso calibro, l’uso di “device” di notevoli dimensioni che necessitano di passare attraverso grandi arterie. L’arteria brachiale (punta al gomito) presenta un discreto calibro ma è molto delicata, sia nella puntura che nell’emostasi, quindi facilmente danneggiabile. Essendo l’unica arteria che irrora il braccio, un suo danno si può tradurre in una sofferenza ischemica del braccio con gravi ripercussioni funzionali. Per tale motivo rappresenta l’ultima scelta fra queste tre arterie. L’arteria radiale (punta al polso) è di calibro medio-piccolo. E’ stata usata per la prima volta per la coronarografia da Campeau nel

O

Nella prima immagine le pareti della coronaria sono "sofffocate" dai grassi ed il sangue fatica a circolare; nella seconda immagine, collocato lo stent, si ricreano le condizioni perché il sangue possa scorrere regolarmente

1989 e per l’angioplastica da Kiemeneji nel 1994, e si è andata gradualmente affermando come via di accesso alternativa alla “classica” femorale (contemporaneamente alla produzione di materiali più piccoli e “scorrevoli”) data la sua praticità. La puntura al polso è poco dolorosa e viene “vissuta” dal paziente come meno invasiva per la propria intimità rispetto alla puntura all’inguine. L’emostasi (cioè la sua compressione per “tappare” il buco creato dall’introduttore) viene eseguita immediatamente alla fine della procedura lasciando “in situ” un piccolo tampone per alcune ore (4-8), avendo cura di non utilizzare la mano nelle prime due ore. Il paziente può deambulare sin da subito nel caso della coronarografia; negli altri casi l’inizio della deambulazione è in funzione della situazione clinica, e comunque anche a letto, non è obbligato il decubito supino per 12-24 ore, con aumento del comfort soprattutto per i pazienti anziani. Oltre alla rapida mobilizzazione, il principale vantaggio di questo approccio è la netta riduzione delle complicanze emorragiche in sede di puntura (ematomi, pseudoa-

neurismi, ecc), apprezzabile specialmente nelle urgenze, in cui vengono utilizzate potenti terapie antitrombotiche. Inoltre la eventuale anemizzazione ed emotrasfusione sono fattori predittivi di peggioramento della prognosi. Gli svantaggi dell’approccio radiale possono essere di tipo tecnico, legati al minor calibro dell’arteria (con impossibilità a procedure complesse con “device” di grosso calibro o inserimento di multipli materiali) e al minor sostegno (“back-up”) dei cateteri, che rimangono più stabili nell’approccio femorale. La complicanza più frequente è l’occlusione dell’arteria che può avvenire alla fine della procedura o nel tempo. Tale fenomeno però risulta in genere asintomatico e senza conseguenze ischemiche per la mano, in quanto nell’avambraccio è presente un’altra arteria (ulnare) in grado di supplire alla vascolarizzazione della mano. Potenziali complicanze gravi, seppur rare, sono le emorragie all’interno dell’arto (per perforazione accidentale dei vasi), che possono portare alla sofferenza ischemica delle strutture nervovascolari dell’arto (sdr. da compartimentazione) con necessità talora di intervento chirurgico. In conclusione l’approccio radiale è attualmente ampiamente validato e rappresenta una valida alternativa all’approccio femorale. I numerosi studi di confronto con l’accesso femorale non hanno mostrato una superiorità dell’uno verso l’altro nella prognosi (nonostante le minori complicanze della radiale) ma sicuramente la radiale risulta più confortevole e con meno complicanze locali. La scelta dell’approccio resta tuttavia sempre all’operatore poiché è il solo in grado di valutare, in base alle caratteristiche individuali del paziente ed al tipo di procedura da eseguire, ciò che garantisce al paziente il massimo della sicurezza. * Dirigente medico Uoc Cardiologia S. Spirito


Nordic Walking, ottimo esempio di esercizio fisico

La “camminata nordica” un’attività all’aria aperta per tenere in forma il cuore di Manuela Michetelli* Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale”. Ma cosa si intende per benessere? In realtà il concetto di salute si poggia su un modello dinamico, non rappresenta cioè un’idea o una immagine di sé, o meglio, non è solo questo: piuttosto si tratta di una relazione costante, continua, fra le forze attive, creative, costruttive del nostro corpo ed i fattori di difesa del corpo stesso, che lotta contro i cambiamenti interni ed esterni ad esso. L’equilibrio fra le due forze determina lo stato di benessere, mentre il disequilibrio ne rappresenta la patologia. La capacità che il nostro organismo ha di combattere per mantenere lo stato di benessere si chiama adattabilità. Dunque, più riusciamo ad adattarci agli stimoli che quotidianamente percepiamo, più siamo in grado di rispondere in modo adeguato ai mutamenti, alle crisi che sopraggiungono, più siamo capaci di mantenere questa relazione in uno stato di vantaggio a favore proprio della salute e quindi del benessere. Chiunque può allenare la propria adattabilità e chiunque può ripristinarla, e questo attraverso comportamenti sani ed efficaci quali l’attività fisica. Questa si inserisce infatti nella relazione tra benessere e malessere attraverso tre modelli teorici: l’attività fisica elimina le conseguenze negative della sedentarietà; tutto ciò che è attivo cresce, ma tutto ciò che non viene utilizzato degenera; l’attività fisica ottimale è raggiungibile mediante allenamento e induce cambiamenti nell’organismo indispensabili sia per l’aumento della capacità fisica sia per l’aumento dei fattori di difesa. Un ottimo esempio di attività fisica è rappresentato dal Nordic Walking o cammina-

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ta nordica, un’attività sportiva che si pratica all’aria aperta, un allenamento sano per tutto il corpo, adatto a tutti. Utilizzato negli Anni Trenta nel Nord Europa dagli atleti finlandesi che praticavano sci di fondo, si sviluppa in Finlandia come attività vera e propria solo nel 1996, grazie all’intuizione di due studenti di educazione fisica. Ma è nel 1997 che , per la prima volta, viene usata nel mondo sportivo la definizione di Nordic Walking e da allora questa forma di allenamento viene amata e praticata da milioni di persone in tutto il mondo. Si tratta di una camminata combinata con l’uso di appositi bastoncini, modificati rispetto a quelli dello sci di fondo, in modo da poter effettuare il movimento delle braccia nel modo più ampio ed efficace possibile. Qualche dato: la camminata nordica coinvolge il 90% della nostra muscolatura corporea, circa seicento muscoli; il consumo di energia è il 46% in più rispetto ad una camminata senza bastoncini; la frequenza cardiaca aumenta del 13% circa. Dunque si tratta di una attività aerobica che fa bene al cuore e alla circolazione, migliorando il trasporto dell’ossigeno nell’organismo, corregge la postura della schiena, rafforza braccia e spalle, tonifica glutei ed addominali e ad oggi, in molte cliniche europee, il Nordic Walking viene impiegato come terapia riabilitativa in pazienti affetti da malattie reumatiche, cerebrovascolari e neurodegenerative. Per iniziativa del Servizio ambulatoriale di riabilitazione cardiologica del Santo Spirito è stata organizzata a Villa Pamphili una lezione teorico/pratica di Nordik Walking, in collaborazione con l’Associazione Cuore Sano. L’adesione alla “sperimentazione” è stata alta, molti pazienti si sono appassiona-

La dottoressa Manuela Michetelli

ti ed hanno camminato con ritmo ed entusiasmo. La splendida cornice del parco, poi, ha fatto il resto. Facile intuire le potenzialità di questo sport anche sotto l’aspetto sociologico e della vita di relazione. Aiuta a riscoprire luoghi naturalistici che normalmente vengono trascurati per far posto agli impegni quotidiani che la vita ci impone. Insomma, aria salubre e camminata nordica sono un’accoppiata perfetta. E allora, sport o “terapia” che sia, l’attività fisica, ed in particolare il Nordik Walking, rappresenta un modo di vivere sano ed attivo in mezzo alla natura, uno stile di vita che apporta notevoli benefici al nostro organismo. * Dott.ssa Fisioterapista, Uoc Cardiologia S.Spirito

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12 Prima insidia, l’aumento della pressione

Come affrontare la sfida dell’inverno e prima c’era il caldo soffocante, ora siamo alle porte del freddo. E’ la natura (ora bizzarra), è il ciclo (comunque sconvolto) delle stagioni. Il cardiopatico faccia particolare attenzione. Ad una insidia, anzitutto. E’ meno percepibile di altre, ma può essere pericolosa: la pressione. Come sappiamo il freddo determina fenomeni di vasocostrizione, e dunque la pressione arteriosa, come in estate tende a diminuire, così in autunno ed ancor più in inverno tende ad aumentare perché il sangue tende a farsi più denso ed il cuore fatica di più. Tenere dunque la pressione sotto controllo, un po’ più dei mesi scorsi è norma più che prudenziale. D’altra parte il freddo stimola di per sé il lavoro del cuore. Se poi questo fenomeno naturale si accoppia ad uno stress (da lavoro, da traumi psichici, ecc.) allora il rischio

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può aumentare. In più bisogna tener conto di un altro dato: il freddo suggerisce un aumento del cibo, talora addirittura esige più calorie. Controllare dunque una volta la settimana il proprio peso, che tende ad aumentare. E, di conseguenza, controllare di più che cosa mangiamo: alimentazione corretta, sempre (e ancor più) ricca di verdure, pochi grassi, pesce due-tre volte la settimana, pochi o punti insaccati, carne bianca. E soprattutto una giusta, regolare attività fisica. Prudenza infine per le bevande alcoliche. Un bicchiere di vino (preferibilmente rosso) ai pasti fa bene. Assai meno il “bicchierino” di superalcolico. L’alcol in realtà non “riscalda” ma provoca una solo momentanea vasodilatazione: quasi uno spreco di calorie che sarebbe meglio riservare agli organi interni.

Un sensore controllerà lo scompenso cardiaco? di Flavia Belloni*

Sperimentato in 63 centri Usa

grande quanto una clip per tenere insieme un po’di fogli di carta. Viene inserito nell’arteria polmonare attraverso un catetere e da lì misura in continuazione la pressione nel vaso, lanciando un avviso al proprio medico quando questa sale troppo. Non è fantascienza, ma non è ancora una realtà a disposizione di tutti, medici e pazienti. E’un sensore per lo scompenso che è in corso di sperimentazione in Usa: provato in 63 centri cardiologici su 550 pazienti. In linea (per ora) teorica tende a rivelarsi uno strumento migliore per controllare il disturbo. Oltretutto ridurrebbe i ricoveri con un risparmio per il sistema sanitario, consentirebbe una maggiore sopravvivenza, migliorerebbe la qualità della vita dei malati. I pri-

È

mi dati lo confermano: solo otto casi di complicanze legate ai sensori e riduzione di un terzo dei ricoveri. I risultati dei test clinici sono stati presentati all’ultimo congresso della Società europea di cardiologia, svoltosi a Berlino. Se le prime indicazioni fossero confermate da ulteriori ricerche e da una sperimentazione più vasta moltissimi scompensati (solo in Italia si calcola siano un milione) ne trarrebbero notevoli vantaggi. C’è tuttavia da aggiungere che questa metodica impone qualche costo iniziale e tecniche sin qui inedite. In pratica il sensore trasmette i dati in tempo reale, via radiofrequenze, ad un “lettore” elettronico esterno portatile che “comunica” con il medico dotato a sua volta di un ricettore.


Per un futuro che sia sostenibile l’Onu raccomanda di mutare la dieta globale

Carne e formaggi? Pochi e non solo per i cardiopatici i cardiopatici si raccomanda di mangiare poca carne (soprattutto la carne rossa, da sostituire con il pesce anche surgelato), burro e formaggio (soprattutto i più grassi). In realtà la raccomandazione va estesa a tutti, indistintamente. Con una popolazione mondiale che al 2050 si stima in 9,1 miliardi di persone, la predilezione della popolazione dei paesi ricchi per bistecche e formaggi diverrà insostenibile: serve dunque un cambiamento della dieta globale, e non solo a tutela del cuore. Lo afferma un rapporto dell’Unep (Ufficio Onu per il programma ambientale) secondo cui l’esigenza di mutare in radice gli elementi-base dell’alimentazione risponde a tre esigenze: salvare il mondo dalla fame, fronteggiare la penuria di combustibili compatibili, fare i conti con il riscaldamento climatico. (L’anno scorso la Fao aveva fatto sapere che la produzione di cibo dovrà aumentare del 70% a livello globale entro la fatidica data del 2050 per alimentare la popolazione.) “Gli impatti dell’agricoltura – sottolinea il rapporto, praticamente inedito in Italia – dovrebbero aumentare in misura sostanziale perché la crescita della popolazione aumenterà i consumi di prodotti animali. A differenza dei combustibili fossili, è difficile trovare alternative: la gente deve mangiare. Una riduzione degli impatti sarà possibile solo con un sostanziale cambiamento dell’alimentazione mondiale, che faccia il più possibile a meno di prodotti animali”. Il prof. Edgar Hertwich, che ha coordinato il rapporto, ha spiegato al quotidiano britannico The Guardian che “i prodotti di origine animale causano più danni all’ambiente che la produzione di minerali per costruzione, come sabbia o cemento, plastica o metalli. La biomasse e le colture per mangimi animali sono dannose come bruciare combustibili fossili”. Gli esperti dell’Unep hanno classificato vari prodotti, risorse, attività economiche e

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trasporti a secondo dei loro impatti ambientali. L’agricoltura è stata classificata allo stesso posto del consumo di combustibili fossili perché entrambi aumentano in fretta con l’accelerazione della crescita economica. E infatti il copresidente del gruppo, l’esperto ambientale Ernst von Weizsaecker, ha sottolineato che “il crescente benessere provoca un cambiamento della dieta in favore di carne e latticini”. “L’allevamento di animali – ha aggiunto – consuma gran parte dei raccolti mondiali e, di conseguenza, moltissime quantità di acqua, fertilizzanti e pesticidi”. Teniamo conto che l’agricoltura, in particolare per la produzione di carne e latticini, assorbe il 70% dei consumi mondiali d’acqua e il 19% delle emissioni di gas serra. In buona sostanza sia l’energia che l’agricoltura vanno “staccate” dalla crescita economica perché gli impatti ambientali, secondo il rapporto, aumentano dell’80% con un raddoppio del reddito disponibile. L’Unep stila quindi la lista delle priorità ambientali

per i governi di tutto il mondo: cambiamento climatico e dell’habitat, riduzione drastica dell’uso di azoto e fosforo nei fertilizzanti, minor sfruttamento di pesca, foreste e altre risorse invasive, maggior controllo della potabilizzazione dell’acqua e maggiore sicurezza delle fognature, minore esposizione al piombo, riduzione dell’inquinamento atmosferico urbano. E siccome di questo rapporto nessuno in Italia parla, ecco che da più parti è stato chiesto al governo se sia a conoscenza del richiamo dell’Unep, se intende avviare approfondimenti mirati alla situazione nel nostro Paese, quali iniziative, e in quali sedi, si intendano adottare per misurarsi con le priorità che vi vengono indicate. Chissà se il governo, nel rispondere, raccoglierà il guanto lanciato da Achim Steiner, vicesegretario generale dell’Onu e direttore esecutivo dell’Unep: “Il fermo del degrado dell’ambiente è la sfida principale per i governi in un mondo con popolazione crescente, redditi crescenti, consumi crescenti e la sfida permanente della riduzione della povertà”? C’è più di un motivo per dubitarne.

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PILLOLE DI SALUTE… SEMPRE ATTENZIONE AI CAFFÈ – Stabilito che ad un cardiopatico oramai stabilizzato di norma non si negano un paio di espressi al giorno (salvo contrordine del medico curante), il problema vero comincia quando si pone il problema delle alternative o delle aggiunte alla classica tazzina di arabica. La maggior parte dei dietologi nutrono dubbi sui de-caffeinati: il sistema di estrazione della caffeina sarebbe viziato spesso dall’uso di grassi non salubri. E gli altri succedanei, come le bevande a base di orzo e/o di cicoria più sapori esotici? In base ad un recente monitoraggio dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), proprio questi pseudo-caffè hanno un elevato livello medio di acrilamide, un composto chimico cancerogeno che si forma nella trasformazione dell’amido contenuto nella materia prima. Consumare dunque con prudenza.

pre anche una nuova ricerca americana, stavolta di una università della California: conferma le proprietà anticolesterolo di noci, mandorle, pistacchi, pinoli, arachidi

7%, mentre cala del 20% il valore dei trigliceridi ed aumenta dell’8% l’Hdl, il colesterolo buono. Mai superare però questa dose: scatta il surplus di calorie.

(ma senza aggiunta di sale!) per gli antiossidanti e, nel caso delle noci, per gli omega 3. Ma attenzione alle dosi. Mangiare per esempio tra i 60 e i 70 grammi di noci riduce mediamente il livello del colesterolo del I FRUTTI ANTICOLESTEROLO – Ma c’è sem- 5%, dell’Ldl (il colesterolo cattivo) del

OLIO SÌ, MA SEMPRE EXTRAVERGINE – Costa un poco di più dell’olio comune, ma non deve neppure costare quanto una bottiglia di acqua minerale (per quanto la facciano pagar cara). Parliamo dell’olio extravergine. Ad Arezzo si è appena svolta l’annuale fiera dell’extravergine di qualità. Un fiume di relazioni mediche e nutrizioniste hanno ribadito la superiorità dell’extra su qualsiasi altro grasso da condimento crudo o cotto che sia, e sottolineato il ruolo antiossidante e protettivo dei polifenoli. Ma attenzione all’etichetta: olio davvero extravergine. Senza fronzoli impropri. Il più classico e non qualificante? “Olio di prima spremitura”. Il capolavoro italiano va difeso dalle imitazioni e dai produttori che giocano sulle parole.

…E SALUTE IN PILLOLE UN SITO PER MANGIAR SANO – Oltre a quello dell’Istituto superiore della sanità c’è ora on line un nuovo sito – www.ilfattoalimentare.it – per chi vuole garantirsi sicurezza dei cibi, prezzi, pubblicità ingannevole, qualità dei prodotti. Tra gli esperti che vi collaborano c’è il prof. Silvio Garattini, presidente dell’Istituto Mario Negri. C’è di tutto e di più: inchieste e analisi sui prodotti, etichette scorrette, confronti sulle indicazioni delle confezioni. E, inoltre, informazioni su prodotti ritirati dal mercato, trattamenti illeciti negli allevamenti, contaminanti chimici, additivi. Il sito informa sulle decisioni dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare e sugli orientamenti delle autorità di settore francese e inglese.

DUE SUCCHI VASODILATATORI – Una volta tanto una buona notizia non dalle solite università americane ma dall’oriente, dall’Iran esattamente. I ricercatori dell’ateneo di Isfahan hanno provato a verificare gli effetti sul cuore dei succhi di melograno e di pompelmo. Lo studio ha coinvolto centinaia di giovani affetti da sindrome metabolica, cui sono state somministrate per parecchie settimane dosi giornaliere dei due succhi (240 ml. di melograno, e 18 ml. per chilo di peso di pompelmo) per valutare gli effetti sulle funzioni circolatorie. E’ stata dimostrata, grazie dall’eco-doppler e alla misurazione dall’arteria brachiale, una importante azione sull’endotelio (componente della parete vascolare) pari a quella

di una stimolazione con spray vasodilatatore. LA VITA RICOMINCIA AI SESSANTA E PIÙ – Una volta ai 60 anni si era “anziani” e ai 70 “vecchi”, ora invece si può ricominciare daccapo con il tempo della pensione, coi figli grandi, con la (relativa) tranquillità economica, e soprattutto con prevenzione e cura dei tradizionali malanni di terza e quarta età. Secondo il direttore del Censis, Giuseppe Roma, i sessanta-settantenni ora si lanciano in nuovi progetti: viaggiano sempre più nella realtà e nel web (23%), hanno amici (il 55% ne ha più di sei, anche giovani), si dichiarano innamorati (54,2%) o addirittura disposti ad innamorarsi di nuovo (7%).

Periodico di informazione dell’Associazione Cuore Sano • Anno XV - n.3 - luglio/settembre 2010 • Reg. Trib. di Roma n.00323/95 • Direttore responsabile Giorgio Frasca Polara • Comitato scientifico Roberto Ricci (presidente), Alessandro Carunchio, Antonio Cautilli, Alessandro Danesi, Gabriella Greco, Francesca Lumia, Alessandro Totteri, Marco Renzi • Redazione Lungotevere in Sassia n.3 • 00193 Roma Ospedale Santo Spirito • Reparto di Cardiologia tel. 06/68352443 – 06/68352375 • E-mail: cuoresano@yahoo.com • www.cuore-sano.it • Stampa Tipolitografia Visconti - Terni


Le nuove cariche e il Comitato scientifico

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assemblea dei soci dell’Associazione Cuore Sano ha provveduto al rinnovo delle cariche sociali. All’unanimità Vincenzo Ceci è stato eletto presidente onorario; voti unanimi anche per Aldo D’Alessio (presidente), Aida Di Censo (vicepresidente vicaria), Paolo De Gregorio (tesoriere), Franco Ubaldi (assistente del tesoriere), Roberto Capparucci, Giancarlo Velati e Gianni Bellini (iniziative esterne), Bruno D’Ancona e Nilde Zonno (responsabili del tesseramento), Giorgio Frasca Polara (direttore di “Cuore Amico”) e Luciano De Vita (responsabile delle risorse informatiche e del sito web dell’associazione www.cuore-sano.it), Marinetta Ciasca, Bruno D’Ancona e Luciano De Vita (revisori dei conti). Alla segreteria della associazione confermata Carla Maria Rossi. A far parte del Comitato scientifico sono stati chiamati Roberto Ricci (presidente), e inoltre Alessandro Carunchio, Antonio Cautilli, Alessandro Danesi, Gabriella Greco, Francesca Lumia, Marco Renzi e Alessandro Totteri.

Periodico di informazione dell’Associazione Cuore Sano • Anno XV - n.3 - luglio/settembre 2010 • Reg. Trib. di Roma n.00323/95 • Direttore responsabile Giorgio Frasca Polara • Comitato scientifico Roberto Ricci (presidente), Alessandro Carunchio, Antonio Cautilli, Alessandro Danesi, Gabriella Greco, Francesca Lumia, Alessandro Totteri, Marco Renzi • Redazione Lungotevere in Sassia n.3 • 00193 Roma Ospedale Santo Spirito • Reparto di Cardiologia tel. 06/68352443 – 06/68352375 • E-mail: cuoresano@yahoo.com • www.cuore-sano.it • Stampa Tipolitografia Visconti - Terni


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