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Politecnico di Milano Scuola di Architettura, Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni Corso di Laurea Magistrale in Architettura - Ambiente Costruito - Interni Anno Accademico 2018 - 2019
Additio Installazione espositiva per l’evocazione del fronte nord-orientale delle Grotte di Catullo
Relatore: Pier Federico Mauro Caliari Correlatori: Arch. Massimo Bellotti Arch. Paolo Conforti Autori: Elena Ramondetta, matr. 896026 Giorgia Rizzo, matr. 897121 Lucrezia Rossi, matr. 895630 3
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INDICE
ABSTRACT CAPITOLO I SIRMIONE 1.1 La preistoria 1.2 1.2.1 1.2.2 1.2.3
L’Epoca Romana La conquista romana L’economia e la società Le ville romane
1.3 I Longobardi e l’alto medioevo 1.3.1 Il sistema di fortificazione 1.3.2 Gli edifici religiosi 1.4 Dagli Scaligeri alla dominazione veneziana 1.4.1 Il Castello di Sirmione 1.5 Il post Medioevo 1.6 Sirmione oggi CAPITOLO II LE DOMUS ROMANE 2.1 Le Ville lacustri del Garda 2.1.1 Villa dei Nonii Arrii a Toscolano Maderno 2.1.2 Villa Romana a Desenzano 2.2 2.2.1 2.2.2 2.2.3 2.2.4 2.2.5 2.2.6 2.2.7
Le Ville d’Otium Casa del Fauno a Pompei Villa dei Papiri a Ercolano Villa di Pollio Felice a Sorrento Villa romana a Minori Villa Damecuta a Capri Villa Jovis a Capri Villa Domizia a Giannutri 5
2.2.8 Villa romana delle grotte a Portoferraio CAPITOLO III LE GROTTE DI CATULLO 3.1 Supposizioni sulla destinazione d’uso 3.2 Storia degli scavi e dell’area archeologica 3.3 2.3.1 2.3.2 2.3.3 2.3.4 2.3.5
Analisi delle strutture Il primo edificio La grande villa Il settore meridionale Il settore centrale e settentrionale Il settore termale
3.4 3.4.1 3.4.2 3.4.3
La villa oggi L’abbandono dell’area Il percorso di visita Il museo e la sua collezione
CAPITOLO IV IL PROGETTO 4.1 Obiettivi del progetto e strategie di intervento 4.2 Riferimenti progettuali 4.2.1 Il Palazzo Reale di Karl Friedrich Schinkel ad 4.2.2 Atene La James-Simon-Galerie di David Chipperfield a Berlino 4.3 4.3.1 4.3.2 4.3.3 6
Analisi delle architetture progettate La Galleria L’Hortus Conclusus I Moli
4.4 Il nuovo percorso di visita 4.5 4.5.1 4.5.2 4.5.3
La Collezione L’Otium nell’Antica Roma Le stanze tematiche L’allestimento BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ELABORATI GRAFICI RINGRAZIAMENTI
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Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis. Marco Tullio Cicerone De Oratore, II, 9, 36
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ABSTRACT
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ABSTRACT
L’analisi storica dell’area rafforza l’immagine di Sirmione e dell’area archeologica delle Grotte di Catullo in quanto unione di due elementi in forte relazione tra loro: l’Architettura e il Paesaggio naturale su cui la prima si poggia; dialogo fortemente sensoriale, che porta a intuire nella contemporaneità la sua importanza e ricchezza concettuale, immutate nel tempo. Se ci si trova sulla spiaggia, non ci si accorge che si è sovrastati da un’antica e misteriosa Villa romana, immersa totalmente nella natura, che ne rimarca il forte aspetto bucolico ed evoca la sua eterna immagine romantica di rovina violata dal trascorrere del tempo. Per Natura si intende sia la forte e complessa identità topografica, la roccia, le stratificazioni, le geometrie delle rovine ai vari piani fino al raggiungimento dell’acqua, sia la percezione costante che l’occhio ha quando, trovandosi nel tablinium d’ingresso, riesce a godere di una visione ininterrotta dell’intera Villa, in tutta la sua lunghezza, fino al blu del lago. Con la promessa di voler evocare l’antico fronte della Villa rispettando l’importante binomio Architettura-Natura, nasce l’idea progettuale in cui il nuovo viene accostato all’esistente e non prevale nel paesaggio. Il titolo del progetto è Additio, dal latino addizione, aggiunta, riferito a un’espansione di quello che già esiste, e a una conseguente traslazione dell’asse perfetto su cui la Villa è stata costruita in antichità. Il risultato è la compresenza simultanea di allineamenti e segni sovrapposti ad una matrice geometrica unita a un abile controllo delle proporzioni che non distrugge l’armonia formale e costruttiva della Villa esistente. Il fronte, un muro abitato che si aggrappa al pendio senza nasconderlo, sorretto da contrafforti che scendono sulla roccia e si poggiano tra la vegetazione che vi è cresciuta sopra, si completa del porticus espositivo, a evocare il peristilio che recingeva l’uliveto, dell’hortus conclusus e dei moli, protesi verso il lago. Ciò ha significato pensare a nuovi strati di interpretazione geometrica e materica, in cui la natura con la sua topografia è diventata elemento progettuale. 13
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CAPITOLO I SIRMIONE
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CAPITOLO I - SIRMIONE
1.1 La Preistoria
Fin dall’antichità la penisola di Sirmione, grazie alla sua posizione privilegiata, fu luogo di numerosi insediamenti. In un raggio di 10 km in linea d’aria si concentrano tutti gli insediamenti sommersi delle coste lombarde e venete. In particolare ad oggi è documentata la presenza di quattro abitati palafitticoli nelle località di S. Francesco, sulla sponda ovest, Porto Galeazzi e Lugana Vecchia, sulla costa est, e Maraschina, al confine con il comune di Peschiera. I reperti bronzei fanno risalire i villaggi all’età del Bronzo Antico (2200-1600 a.C.), del Bronzo Medio (1600-1300 a.C.) e Recente (1300-1200/1150 a.C.) e mostrano una piena adesione alla cultura palafitticola-terramaricola, tipica della zona del Garda fino al Trentino, Lombardia orientale, Veneto occidentale ed Emilia. Dalle esplorazioni subacquee sono stati rinvenuti inoltre numerosi oggetti e reperti in pietra, osso e bronzo, come punte di freccia, asce, boccali, spilloni, tazze, materiali ceramici e litici risalenti al Neolitico, oggetti dell’età del Bronzo e dell’età del Ferro, che testimoniano la continuità degli insediamenti dalla preistoria alla protostoria. Gli oggetti e i manufatti ritrovati offrono anche spunti per individuare le attività che venivano svolte prevalentemente in questi villaggi: agricoltura, pesca, attività metallurgica, filatura e tessitura. Anche in prossimità dell’area archeologica delle Grotte di Catullo sono stati rinvenuti frammenti ceramici attribuiti al Bronzo medio-tardo. Nel 1200 circa a.C. si documenta tuttavia un improvviso abbandono di questi insediamenti, dovuto probabilmente a eventi naturali e cambiamenti climatici quali l’aumento della piovosità con il conseguente innalzamento del livello dei laghi subalpini e un impaludamento della
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pianura. Oggi si pensa inoltre che questo fenomeno sia stato causato anche dall’invasione di nuove popolazioni che modificarono l’assetto sociale ed economico di queste zone creando condizioni di instabilità. Lo spopolamento di quest’area nel corso del primo millennio è dimostrato anche dalla scarsa presenza sul territorio gardesano di oggetti riferibili all’età del Ferro. In questa età, solo il ritrovamento della necropoli di Garda appare di una certa importanza in quanto testimonia l’utilizzo del lago come punto di incontro tra le popolazioni dei Reti, dei Veneti e degli Etruschi, che sfruttarono quest’area esclusivamente a fini commerciali e non abitativi. Successivamente, alla fine del IV secolo a.C., si assistette all’arrivo sul territorio della popolazione dei Cenomani, i quali andarono ad insediarsi nella zona limitrofa alle rive del lago, lasciando rilevanti tracce del loro stanziamento. Dopo questo popolo, bisognerà aspettare l’età romana per avere testimonianze di un ripopolamento della penisola di Sirmione, cantata, infatti, dal poeta latino Gaio Valerio Catullo nel carme XXXI.
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CAPITOLO I - SIRMIONE
Tracce di insediamenti palafitticoli
Individuazione degli insediamenti palafitticoli del basso Garda
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CAPITOLO I - SIRMIONE
1.2 L’Epoca Romana 1.2.1 La conquista romana
La ricostruzione delle vicende storiche che riguardano l’area del lago di Garda in età romana è stata possibile soprattutto grazie alle fonti letterarie, che hanno permesso di desumere, anche se in modo parziale, l’organizzazione sociale, amministrativa, economica e religiosa di questo territorio. Per costruire un filo storico bisogna quindi far riferimento al processo di romanizzazione più ampio della Cisalpina e alla storia delle città di Brixia e Verona. Il primo contatto politico e militare con i romani fu probabilmente l’alleanza del 225 a.C. di Veneti e Cenomani con i Romani contro alcune delle popolazioni celtiche che occupavano l’Italia settentrionale. Tra gli anni 222 a.C., con la vittoria sui Galli Insubri e la caduta della loro capitale Mediolanum, e 218 a.C., con la fondazione delle due colonie latine di Placentia e Cremona, prese definitivamente corpo il piano di conquista della Cisalpina. Nell’89 e nella seconda metà del I secolo a.C. avvennero la concessione del diritto latino e della cittadinanza romana e la trasformazione in municipia dei centri della Traspadana tra cui Brixia e Verona: Cenomani e Veneti vennero definitivamente integrati nello stato romano. Il processo di romanizzazione avvenne gradualmente e la mancanza di interventi di centuriazione consentì il permanere dell’assetto fondiario preromano, ma, nonostante la felice integrazione tra nuovi arrivati e genti autoctone, di fatto alcuni popoli non godevano dello stesso stato giuridico, come i Benacenses, che in età augustea furono tutti attributi, cioè aggregati amministrativamente e giurisdizionalmente, pur conservando una certa autonomia interna a Brixidi.
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Attorno al 15 a.C. risulta più chiara l’organizzazione del Lago di Garda che, sotto il profilo amministrativo apparteneva agli agri di Brixia e Verona: la sponda orientale fino a Malcesine era veronese, mentre la sponda settentrionale e occidentale erano bresciane; nella parte meridionale la linea di confine tra i due territori si trovava probabilmente poco più a nord di Desenzano. Analizzando più ampiamente il territorio perilacustre e quello collinare del Garda sud-occidentale, è possibile supporre un’organizzazione territoriale caratterizzata da fasi diverse nel corso del I secolo a.C. – I secolo d.C. Intorno ai vicini villaggi sono diffusi a raggiera toponimi derivati da proprietari terrieri di origine celtica e romana. Questa organizzazione del territorio sembrerebbe contemporanea alle centuriazioni bresciane e mantovane del I secolo a.C. L’esistenza di vici e pagi, tuttavia, è scarsamente documentata e si suppone che il primitivo insediamento sirmionese sia nato sotto forma di vicus, scelto grazie alle caratteristiche favorevoli e naturalmente difensive del luogo.
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CAPITOLO I - SIRMIONE
1.2.2 L’economia e la società
Durante l’epoca romana l’economia del lago di Garda risultava particolarmente florida, grazie alla grande disponibilità di risorse naturali (acqua, suolo, cave di pietra e argilla) e anche alla presenza di importanti vie di comunicazione di terra e di acqua che ne facevano un tramite privilegiato fra zone alpine e pianura padana. A Sirmione in particolare era situata la cosiddetta mansio, cioè una stazione di sosta posta lungo le principali strade romane. La corretta posizione della mansio è tuttora sconosciuta a causa dell’assenza di dati di scavo precisi, ma secondo l’Itinerario Antonino, uno degli antichi itinerari stradali della fine del II e l’inizio del III secolo d.C., la Sermione mansio doveva trovarsi sulla strada che univa Brescia e Verona, a 22 miglia da quest’ultima città. Gli studiosi ritengono che l’antica mansio si trovasse nella località Vecchia Lugana, dove sorge un edificio che già a partire al XV secolo era indicato come Osteria o Betola, cioè luogo di sosta e ristoro. Sirmione si trovava dunque lungo la via Gallica, che a Verona si inseriva nell’antica Postumnia, la strada che nel 148 a.C. aveva collegato da est a ovest l’intera Pianura Padana, congiungendo Genova, Milano e Aquileia. La via Gallica raggiungeva il lago vicino a Desenzano e proseguiva passando per Rivoltella e Colombare. In questo tratto vennero trovate numerose pietre miliari che testimoniano i continui lavori di manutenzione dovuti al grande afflusso e alla notevole importanza militare e strategica per la difesa contro le popolazioni barbare da nord-est. A seguito di indagini subacquee, a poca profondità nel lago, vennero rinvenute delle monete antiche che permisero di ipotizzare e datare con certezza la presenza di un porto artificiale romano. Il territorio di Sirmione infatti, sempre grazie alla sua conformazione, con dalla preisto-
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ria fu molto importante per le vie di comunicazione d’acqua. Il traffico mercantile è documentato da cinque iscrizioni rinvenute a Riva e a Peschiera, che citano lasciti testamentari in favore di collegia nautarum o navicularum, corporazioni di battellieri, i quali in cambio dovevano garantire riti funebri sulle tombe dei donatori. Lungo le sponde del lago erano ubicati impianti portuali per il trasporto di merci, che erano utilizzati presumibilmente anche come punti d’appoggio per attività di pesca o per navigazione di cabotaggio costiero. Oltre ad essi erano di certo presenti altri punti di attracco in corrispondenza delle numerose ville private lungo la riva.
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CAPITOLO I - SIRMIONE
CittĂ e strade principali del nord Italia in epoca romana
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1.2.3 Le ville romane
Sulle sponde del lago, fin dall’età augustea vennero costruite numerose e lussuose ville notevolmente differenti per le grandi dimensioni, per l’articolazione architettonica e per l’apparato decorativo dalle altre ville rustiche o urbano-rustiche situate nell’immediato entroterra. In particolare nella fascia collinare, le ville si insediarono su terrazzamenti artificiali che ospitavano anche nuove coltivazioni come la vite e l’olivo. Queste ville non erano solo luogo di soggiorno e riposo, ma anche centri di attività agricola e commerciale. Ciò è testimoniato da molte iscrizioni rinvenute della zona lacuale, riferibili a importanti personaggi politici di Brescia e Verona. In particolare, una delle famiglie romane più importanti nel territorio lacustre fu quella dei Valerii, alla cui Gens apparteneva il poeta Catullo a cui, erroneamente, viene attribuita la proprietà delle Grotte di Catullo. È comunque plausibile che tale famiglia avesse possedimenti in questo territorio.
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CAPITOLO I - SIRMIONE
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CAPITOLO I - SIRMIONE
1.3 I Longobardi e l’alto medioevo
Col decadere dell’Impero Romano, anche i territori lacustri subirono le conseguenze delle invasioni barbariche e delle guerre. La popolazione che più influenzò la storia del Lago di Garda fu quella dei Longobardi che, nel 568 d.C., invasero l’Italia a partire dal Friuli, per continuare verso Verona, Brescia, Bergamo e Milano fino ad arrivare a Pavia, che elessero loro capitale. In questa nuova conformazione politica e territoriale, Sirmione mantenne una importante posizione strategica di collegamento tra le città di Brescia e Verona e la Val D’Adige. Divenne inoltre capoluogo della judiciaria sermionensis, un’ampia zona che dalla Valtenesi si estendeva fino alla sponda orientale del lago e arrivava a sud fino a San Martino di Gusnago, in provincia di Mantova, oltre a comprendere a nord la piana di Riva. Le testimonianze più rilevanti a Sirmione riferite a questo periodo storico sono la cinta difensiva e gli edifici di culto, in particolare quattro edifici risalenti all’VIII secolo: San Martino, San Vito, San Pietro in Mavino e il Monastero di San Salvatore. Di questi, solo gli ultimi due sono ancora conservati.
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1.3.1 Il sistema di fortificazione
Il riconoscimento e la definizione cronologica della struttura difensiva che circonda la penisola di Sirmione presentano ancora numerosi problemi aperti. La prima descrizione delle mura di fortificazione di Sirmione fu fatta intorno alla metà dell’Ottocento dal conte veronese Giovanni Girolamo Orti Manara. Nella planimetria della penisola egli riportò il percorso della cinta muraria, a quei tempi ancora esistente per vasti tratti in alzato. Egli ritenne che le mura da lui descritte facessero parte di un unico complesso fortificato che giudicò di età romana benché si distinguessero tratti costruiti con diversa tecnica edilizia. Successivamente Mario Mirabella Roberti si occupò del sistema di fortificazioni e nel ‘77 fece risalire la struttura all’età tardoromana-bizantina, tra la fine del IV secolo e la metà del VI, supponendo che esistesse a Sirmione un insediamento militare. Sulla base della planimetria di Orti Manara le mura avevano una lunghezza di 3 km e circondavano l’estremità della penisola: si collegavano ai lati nord-ovest e sud-ovest della villa romana delle Grotte di Catullo, proseguivano lungo i versanti occidentale e orientale della penisola sino a collegarsi tra loro in corrispondenza dell’attuale centro storico. Della parte meridionale sono conservate la torre angolare isolata e la muratura presso la chiesa di S. Maria Maggiore. L’attuale campanile è ritenuto da Mirabella un’altra torre di questa cinta. La cinta di Orti Manara da lui reputata romana non può essere considerata unitariamente a causa delle diverse caratteristiche presenti sia nella tecnica muraria che negli aspetti strutturali. Si deve infatti ritenere che le fortificazioni abbiano avuto fasi costruttive diverse nel corso del tempo, ampliandosi sino a circondare man mano tutta l’estremità della
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CAPITOLO I - SIRMIONE
Ricostruzione del perimetro Persistenze attuali
Fortificazioni tardo antiche
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penisola. Elemento unificante è la loro funzione difensiva, testimonianza dell’importanza strategica di Sirmione dall’età tardoromana fino alla conquista franca, dovuta alla possibilità di controllo della parte meridionale del bacino lacuale e alla presenza della strada che univa Verona a Brescia. Il tratto settentrionale delle fortificazioni è il più antico, datato ad età tardoromana, non oltre l’inizio del V secolo, e segue l’andamento del rilievo del terreno. È conservato fuori terra per ampi tratti fino ad un’altezza massima di 3.90 m. Il nucleo interno è in scaglie di pietra, disposte a spina di pesce; il paramento esterno a filari orizzontali. Il tratto nord-occidentale si imposta sull’angolo nord-ovest della villa, contro il basamento del primo nicchione presso la loggia angolare di sud-ovest. Il tratto orientale secondo Orti Manara si univa all’angolo sud del vestibolo del palazzo. Tuttavia, il terreno su questo lato è molto scosceso con un forte strapiombo verso il lago perciò non si può escludere che questo tratto fosse molto breve o inesistente, anche perché lo strapiombo creava da sé una difesa naturale. Oggi sono visibili ampi tratti di mura presso il Lido delle Bionde e nell’area archeologica delle Grotte di Catullo. Il settore meridionale, invece, datato all’inizio del VI secolo, è formato da ciottoli, scaglie di pietra e laterizi, disposti su filari regolari, con presenza di materiali riutilizzati, provenienti dallo spoglio delle due vicine ville romane. La muratura circondava il colle di Cortine e proseguiva verso sud, delimitando uno spazio allungato, dove in seguito sorgeranno l’abitato altomedievale, la chiesa e il monastero di San Salvatore e le chiese di San Vito e San Martino. All’interno della cinta difensiva erano situati anche i quattro edifici di culto precedentemente citati.
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CAPITOLO I - SIRMIONE
Pianta generale di Sirmione, Orti Manara, tav. I, 1856
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1.3.2 Gli edifici religiosi
La chiesa di San Salvatore La Chiesa di San Salvatore, ormai da secoli quasi totalmente scomparsa, venne costruita a Sirmione tra il 765 e il 772 dalla regina Ansa, moglie di Desiderio, ultimo re dei Longobardi, e faceva parte di un piccolo complesso monastico femminile dipendente dall’omonimo monastero di Brescia, più noto con il nome di Santa Giulia. È interessante apprendere che il monastero rimase in uso sino al XIV-XV secolo e fu al centro di una questione di sangue tra la famiglia reale e un nobile longobardo, Cunimondo: questi aveva infatti ucciso uno degli uomini della regina e dovette, perciò, donare tutto il suo patrimonio, dividendolo tra San Salvatore e le altre chiese sirmionesi. Da questo antico edificio provengono i reperti conservati nel castello, tra cui strumenti per la tessitura e due frammenti di ciborio recanti i nomi di Desiderio e di suo figlio Adelchi, che provano il legame tra i sovrani longobardi e la chiesa stessa. La chiesetta di San Salvatore era a navata unica con tre absidi scandite all’esterno da sei lesene. All’interno si accedeva alla cripta mediante due scalette ancora in parte conservate. L’edificio fu utilizzato certamente fino al XVII secolo. Oggi si possono osservare all’interno del parco pubblico cittadino solo dei frammenti della parte absidale alla quota del pavimento della cripta, il muro perimetrale settentrionale e parte delle fondazioni di quello meridionale. A sud della chiesa si estendeva un vasto sepolcreto, utilizzato per diversi secoli, ma successivamente depredato dei corredi. Le chiese di San Vito e San Martino Le Chiese di San Vito e San Martino sono anch’esse citate nell’atto di donazione di Cunimondo, nel 765, e si trovavano in castro Sermione.
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CAPITOLO I - SIRMIONE
Xilografia, Antichissima chiesa di San Pietro
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Oggi non ne rimane alcun frammento ed è incerta anche la loro collocazione. Si pensa che la chiesa di San Martino corrisponda all’attuale parrocchia dedicata a Santa Maria Maggiore, sorta in seguito alla sua demolizione. L’edificio, risalente alla fine del XV secolo, presenta una pianta rettangolare con abside poligonale ed è orientata sull’asse est-ovest. Il lato nord poggia sui resti delle fortificazioni medievali. L’interno è costituito da un’unica navata suddivisa da tre grandi archi, con pareti decorate da affreschi risalenti ai primi anni del ‘500, ad esclusione di quelli sul fondo della parete nord che appartengono ad un periodo precedente. L’altare maggiore, posto nell’abside, è stato intagliato in marmi pregiati. La chiesa dei santi Vito e Modesto, tuttora esistente, è citata ancora in alcuni documenti del XII e XIII secolo, ma non coincide con l’antico edificio dell’VIII secolo, che venne abbattuto nel 1744, dopo essere stato chiuso ai fedeli nel 1541, a causa delle sue cattive condizioni e fu ricostruito fuori dal paese. In corrispondenza dell’antica chiesa venne eretta a memoria una croce in ferro. La chiesa è oggi una piccola cappella posta all’interno di una tenuta a circa due chilometri dal castello in cui si officia la messa unicamente nel giorno di celebrazione dei due santi, il 15 giugno. La chiesa di San Pietro in Mavinas La chiesa di san Pietro in Mavinas, documentata per la prima volta nel 765, si trova sull’omonima collina, da cui deriverebbe il nome summas vineas, cioè fra le vigne situate più in alto. A causa dei numerosi interventi di ristrutturazione nei secoli, è difficile stabilire con certezza la sua cronologia, tuttavia, alcuni elementi ne evidenziano le stratificazioni: un mattone murato a fianco del portale d’ingresso reca la data 1320, anno di una radicale ristrutturazione; gli affreschi all’interno inoltre appartengono a quattro epoche diverse, comprese tra il XII e il XVI secolo. L’edificio, a pianta rettangolare, presenta un restringimento nella zona absidale a causa di una deviazione del muro settentrionale. Il presbiterio era costituito da tre absidi, di cui quella centrale maggiore. Dal lato sinistro dell’altare si accede all’esterno dove si innalza il campanile 36
CAPITOLO I - SIRMIONE
con decorazioni ad archetti pensili, che raggiunge un’altezza di circa 17 metri. Il tetto, costituito da grosse travi lignee a vista, poggia su una muratura di sopraelevazione che risale molto probabilmente al primo restauro del 1320. Dagli scavi emerge l’utilizzo cimiteriale della chiesa, sia all’interno sia nell’area circostante: probabilmente, essendo lontana dall’abitato, divenne un lazzaretto e un cimitero per gli appestati che non potevano essere sepolti nel cimitero della chiesa parrocchiale.
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CAPITOLO I - SIRMIONE
1.4 Dagli Scaligeri alla dominazione veneziana
Nel 774 il re Desiderio e il regno longobardo caddero per mano di Carlo Magno, re dei Franchi, che divise il territorio veronese in distretti giudiziari. Questi avvenimenti comportarono forti cambiamenti nel territorio di Sirmione: il borgo fortificato e il monastero di San Salvatore furono ceduti da Carlo Magno al convento di san Martino di Tours per finanziare la vestizione dei monaci e Sirmione perse la sua importanza amministrativa, scomparve come distretto e, insieme alla zona circostante, iniziò la sua regressione a piccolo centro fortificato del territorio di Verona. Dopo la morte di Carlo Magno, Sirmione si costituì comune e ottenne la sua autonomia, comunque dipendente dal potere centrale imperiale, come dimostrato in un documento del 1220, in cui l’imperatore Federico II confermò ai suoi abitanti alcuni privilegi imperiali, come il diritto di pesca. Nel XIII secolo, con la fine delle guerre civili che avevano visto l’affermarsi della signoria degli Scaligeri, Sirmione divenne uno dei principali punti di fortificazione e controllo del lago di Garda, grazie al castello costruito dagli stessi Scaligeri. Nel 1387 la dinastia dei della Scala tramontò e Verona fu costretta a cedere i suoi territori alle due potenze limitrofe: Venezia e Milano. Dopo un susseguirsi di numerose signorie che rivendicavano il controllo di Sirmione, quest’ultima entrò nella dominazione veneziana, insieme a Brescia e Peschiera. La Repubblica Veneta governava i territori lacuali grazie alla presenza di un Capitano del Lago, residente a Malcesine. Poche testimonianze sono giunte riguardo alla storia di Sirmione durante i secoli della dominazione veneziana: si può affermare però che il comune fu travagliato dalle continue lotte interne tra le famiglie Sir-
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mionesi primitive, i cosiddetti “originari”, e i nuovi arrivati, o “forestieri”, riguardo ai diritti e ai doveri nell’amministrazione della comunità, dalla quale fino al 1780 i forestieri rimasero esclusi. La comunità era governata da un consiglio eletto dalla vicinia, cioè da una classe di cittadini che godevano di speciali diritti riguardo ai beni comunali. In questo periodo di affermarono anche le grandi proprietà terriere che facevano capo alle tenute padronali, come dimostra la presenza della Cascina Onofria, unica testimonianza significativa.
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CAPITOLO I - SIRMIONE
Acquatinta, Vue de Desenzano sur le Lac de Garda, Deboucourt, 1820
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1.4.1 Il Castello di Sirmione
Sotto il dominio degli scaligeri Sirmione e in generale l’area gardesana diventano uno strategico luogo fitto di capisaldi militari: a sud la difesa è costituita dal Serraglio Valeggio-Villafranca e dagli schieramenti laterali che coprono l’area da Legnano a Monzambano; a est dalle fortificazioni vicentine e veronesi; a ovest dal sistema costituito dai forti di Sirmione, Peschiera, Lazise, Garda, Torri e Malcesine. Con il passaggio sotto il dominio veneziano e l’introduzione dell’artiglieria, tuttavia, il sistema di fortificazione si concentrò maggiormente attorno a Peschiera, rendendo Sirmione un avamposto di quest’ultima. Osservando la penisola di Sirmione nella sua interezza, si nota subito la posizione strategica del Castello. Questo infatti, trovandosi in corrispondenza di sottile lembo di terra che unisce Sirmione alla terraferma, costituiva l’unico passaggio per entrare nel borgo. Il Castello faceva parte di un sistema fortificato ben più articolato, di cui ormai rimangono pochissime tracce, che conteneva tutto l’abitato della Sirmione medievale. Il borgo era costituito da piccole case e una grande chiesa, tutto protetto da un forte perimetro murario con torrette e rinforzi angolari, suddiviso in diversi reparti e addossato alla mole rassicurante del Castello. La presenza di un secondo ponte levatoio e di un fossato che circondava completamente il castello avevano l’ulteriore funzione di rendere la fortezza indipendente e protetta sia da attacchi esterni sia da eventuali sommosse interne al borgo. Gli unici collegamenti con la terraferma sono rappresentati da due ponti: uno a sud che dà accesso ai recenti fortificati, l’altro ad ovest che dà accesso al cortile del mastio, la torre più alta.
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CAPITOLO I - SIRMIONE
Litografia, Castello Scaligero. Sermione, 1840
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L’edificio che ancora oggi si può ammirare, è opera degli stessi Scaligeri, anche se si documenta l’esistenza di una fortificazione anteriore alla loro dominazione. Sono state infatti identificate quattro fasi costruttive che iniziano all’epoca di Mastino I della Scala (XIII sec.), e terminano alla metà del XIV sec., con la costruzione della darsena e della cinta più esterna.
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CAPITOLO I - SIRMIONE
Acquatinta, Lago di Garda e Sirmione presa dal Castello degli Scaligeri, 1840
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CAPITOLO I - SIRMIONE
1.5 Il post Medioevo
Sirmione si trovò quindi al centro della rivalità tra Venezia e Milano e, pur mantenendo a fatica gli antichi privilegi e immunità, si trovò comunque costretta a fornire uomini per la riparazione delle fortezze e ad intervenire nello scontro tra i veneti e il milanese Filippo Maria Visconti. Successivamente il Lago di Garda fu teatro di battaglie tra veneziani, francesi e tedeschi fino all’anno 1796, quando Napoleone entrò nel Veneto per scatenare l’offensiva contro gli Austriaci. Nel 1797 riuscì a conquistare Venezia, ma successivamente, con il trattato di Campoformio, la cedette all’Austria in cambio del Belgio e della Lombardia. Nel 1815, con il Congresso di Vienna, gli austriaci assegnarono Sirmione al distretto di Lonato, in provincia di Brescia, ma di fatto la inserirono nella diocesi veronese, incrementando i dissidi tra le due città limitrofe. Nel 1848 Venezia insorse sotto la guida di Daniele Manin, ma nel 1849 gli Austriaci ritornarono fino al 1866, quando l’Austria cedette Venezia e il Veneto al re d’Italia. In quella data si ricompose l’unità territoriale del Comune di Sirmione, spezzata dopo la seconda guerra di indipendenza del 1859. Il confine tra il dominio asburgico e il Regno Sabaudo correva infatti da Rovizza fino a Lugana, all’altezza dell’edificio detto “Vecchia Dogana”, in memoria della sua antica funzione.
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CAPITOLO I - SIRMIONE
1.6 Sirmione oggi
Dal secondo dopoguerra Sirmione diventò un polo turistico di fondamentale importanza non solo per la zona gardesana, ma anche per l’intera regione Lombardia. A questo enorme sviluppo contribuirono notevolmente le ricerche in campo medico e igienico riferite alle acque sulfuree presenti nel lago, già note a partire dalla metà del XVI secolo, ma le cui capacità curative cominciarono ad essere sfruttate solo alla fine del secolo scorso. Si iniziò infatti a pensare che la presenza di questa risorsa naturale potesse rappresentare per Sirmione un grande vantaggio economico, legato al prestigio che la località avrebbe acquisito e al forte afflusso turistico che vi si sarebbe concentrato stando alla moda del bagno curativo e della vacanza termale tanto in voga in quel periodo. Il sempre più raffinato sfruttamento della sorgente portò, nel 1898, alla costruzione del primo stabilimento termale e al proliferare di grandi alberghi. Dopo due battute d’arresto subite dall’economia a causa delle due Guerre Mondiali, nel XX secolo Sirmione riuscì a riconquistare quella vocazione turistica presente già nel I secolo a.C. quando i ricchi romani si facevano costruire ville in cui trascorrere le vacanze. Per secoli infatti questa località fu visitata da turisti attratti dalla sua bellezza naturale e dalle sue memorie storiche, e, a partire dal secondo dopoguerra, nacquero gli alberghi, le ville, le seconde case e le grandi strutture turistiche. Se cinquant’anni fa l’obiettivo principale delle amministrazioni era incrementare il turismo, oggi è sopraggiunta la necessità di trovare un equilibrio tra la salvaguardia del luogo e le forti sollecitazioni derivanti dall’afflusso continuo di visitatori, a cui si somma l’incremento della popolazione residente del basso Garda.
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2.1 Le Ville lacustri del Garda
2.1.1 Villa dei Nonii Arrii a Toscolano Maderno
La villa di Toscolano Maderno si inserisce per l’impianto generale, le dimensioni, le caratteristiche architettoniche e decorative nel gruppo delle ville lacustri esistenti sulle sponde del Benacus. I primi resti dell’edificio vennero ritrovati dallo studioso Claudio Fossati1 alla fine dell’Ottocento, che collezionò colonne, statue di marmo, lapidi letterate, mosaici, tubi di piombo, terracotte, marmi, medaglie, monete, capitelli e cornicioni, intonaci, sepolcri, modanature, mensole, fregi e rilievi, che egli riferì ad una grande villa dei primi tempi dell’impero appartenuta alla potente famiglia bresciana dei Nonii Arri, forse costruita da Marco Nonio Macrino, console nel 154, di cui si trovò un’iscrizione nell’area dell’edificio con dedica alla moglie Arria. L’edificio romano doveva estendersi lungo la riva del lago per almeno 200 metri, seguendo l’andamento naturale del terreno, degradante verso il lago e la parte settentrionale doveva trovarsi ad una quota superiore rispetto alla parte meridionale, con un dislivello di almeno due metri. La villa, costruita nel I secolo d.C., subì diversi interventi e trasformazioni sino all’inizio del V secolo d.C., conservando sino al momento della distruzione aspetti propri di un edificio di grande lusso. Nonostante l’edificio sia stato scavato solo parzialmente, risulta comunque leggibile nella sua planimetria generale, di cui oggi è visibile solo il settore meridionale, caratterizzato da un grande corridoio e diversi vani che conservano ancora pitture parietali di pregio e pavimenti a mosaico con motivi geometrici, in tessere bianche e nere o in parte policrome. Inizialmente il corridoio presentava due esedre lungo il lato settentrionale, successivamente tamponate, mentre gli scavi più recenti 1 (1838-1895) studioso di storia locale che dedicò un decennio della sua vita agli scavi archeologici della grande domus dei Nonii Arii
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hanno messo in luce un altro nucleo settentrionale con un ambiente centrale adibito a triclinium affiancato da due altri vani absidati. Gli scavi nella parte orientale dell’area hanno invece messo in evidenza un grande bacino-fontana, formato da una grande vasca in cocciopesto larga 6 metri con nicchie semicircolari e semiquadrangolari ai lati. La presenza del bacino appare un elemento di prestigio per la villa e conferma l’impianto architettonico grandioso dell’edificio, che con le sue soluzioni architettoniche e il fronte panoramicamente rivolto verso il lago, era in grado di comunicare con immediatezza la collocazione sociale del proprietario. Dall’analisi dei materiali rinvenuti si può ipotizzare un utilizzo dell’edificio sino ad almeno il IV-inizi V secolo d.C. L’edificio di Toscolano, che trova confronti con alcune delle più importanti ville d’otium presenti lungo le coste marittime, richiama il modello di villa allungata con prospetto scenografico che risale alla casa di Augusto sul Palatino e che prevarrà soprattutto nelle ville delle province occidentali.
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Pavimentazione musiva nel vano 1 con rappresentazioni geometriche
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2.1.2 Villa Romana a Desenzano
Dalla fine del I secolo a.C. ai primi decenni del V secolo d.C. la zona di Desenzano chiamata Borgo Regio è stata sede di numerose edificazioni residenziali e produttive che sfruttavano l’affascinante paesaggio del lago, la fertilità del pendio collinare, la vicinanza con la via Gallica, principale via di comunicazione che collegava Verona e Milano, e con i più importanti impianti portuali. In questa zona sono stati ritrovati resti di un’antica villa romana compresa nella serie di sontuose villae e domus tardoantiche. Gli scavi, iniziati ufficialmente all’inizio del 1900, riportarono alla luce all’inizio diversi frammenti di mosaico e successivamente intere porzioni della villa tardoantica, sotto le quali vennero trovati resti ricollegabili a edifici precedenti, tra cui vani termali, pavimenti, intonaci e pitture parietali di ambienti residenziali e produttivi. I ritrovamenti più interessanti riguardano, però, un cospicuo complesso di statue risalenti alla prima metà del II secolo, che vennero utilizzate anche nella villa tardoantica. La villa romana di Desenzano venne ristrutturata interamente tra il regno di Costantino e la metà del IV secolo. I recenti scavi del 1993-96 definirono la corretta posizione a sud della parte produttiva, mentre il resto della villa appare divisa in grandi complessi, A a sud e i settori B, C e D a nord, che seguono l’andamento della costa del lago verso est e sono separati da un percorso interno. Oggi il settore A è il più leggibile: organizzato su una lunga sequenza assiale dal lago verso l’interno, che inizia con con un vestibolo ottagonale, continua con un peristilio e un atrio a forcipe e si conclude con un’aula a tre absidi (trichora). Oltre questo vano si trova il viridarium con ninfeo che aveva però un carattere più privato. All’asse dominan-
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Pavimentazione musiva nell’atrio a forcipe con rappresentazione di amorini pescatori.
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te si affiancano due serie di ambienti residenziali, uno riconducibile all’appartamento invernale del dominus, comprensivo di un impianto termale, l’altro a quello estivo. Il settore A si organizza quindi attorno ad un “percorso glorificante” riccamente decorato con mosaici, riquadri figurati in cui i soggetti principali sono sì figure geometriche, ma anche amorini, animali e personaggi dionisiaci. In questo quadro si definisce un ambiente prestigioso, aulico, che celebra il dominus e conferisce un’atmosfera cerimoniale e spettacolare. Il settore B era interamente devoluto a funzioni residenziali, mentre il C era occupato da un ampio complesso termale. Verso la fine del IV secolo vengono fatti degli interventi sulla villa, il più importante dei quali è la costruzione di un’abside con cinque vani nel settore B, che completa definitivamente l’aspetto celebrativo della villa.
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2.2 Le Ville d’Otium
Per lo studio e la maggior comprensione della planimetria e della volumetria originali della villa delle Grotte di Catullo abbiamo inoltre analizzato e confrontato altri edifici romani rientranti nella medesima tipologia. Si tratta di ville che hanno in comune il lusso, le grandi dimensioni, la localizzazione in posizioni di notevole rilievo paesaggistico, quali promontori a picco sul lago, oppure al centro di larghe insenature come documentano gli esempi di Desenzano del Garda e di Toscolano Maderno. Nel caso di edifici costruiti in aree lacustri questi sono solitamente sviluppati parallelamente alla linea di costa: gli ambienti sono disposti seguendo l’andamento del terreno che scende verso il lago e quindi con una parte posta naturalmente in posizione più elevata, distribuita su una o più terrazze degradanti. Il prospetto principale dell’edificio è quello che si affaccia verso il lago e a quest’ultimo sono rivolti gli ambienti di maggiore prestigio.
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2.2.1 Casa del Fauno a Pompei (Napoli, Campania)
La Casa del Fauno è una casa di epoca romana, sepolta durante l’eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell’antica Pompei: si tratta di una delle abitazioni più maestose della città e deve il suo nome ad una statua in bronzo, raffigurante un satiro, erroneamente interpretato come un fauno, posta nell’impluvium di tipo tuscanico. Si estende su circa 3000 mq con una porzione destinata ai proprietari e una destinata alla servitù, sui giardini si affacciano le stanze di rappresentanza tutte riccamente affrescate. La prima costruzione della casa, risalente al III secolo a.C. di dimensioni ridotte rispetto a quella attuale, è caratterizzata da un grande orto. Intorno al 120 a.C., sfruttando lo spazio dapprima occupato da altre abitazioni vicine, la casa fu totalmente ricostruita ed ampliata. Una delle opere principali fu la costruzione di un secondo peristilium: la scelta di avere una casa con ampi atri, peristili e pochi ambienti servili e abitativi è da ricondursi al fatto che il proprietario, un magistrato della famiglia dei Satrii, o dei Cassii, aveva il desiderio di ostentare la propria ricchezza ed il proprio potere. Superato il vestibolo, pavimentato in opus sectile, con triangoli in marmo e pietra calcarea e nel quale era probabilmente posto un piccolo tempietto realizzato con colonne corinzie, si accede all’atrio. Intorno all’atrio si aprono diversi cubicoli e due alae, oltre ad un tablinium, stanza di rappresentanza del proprietario. Intorno ad un secondo atrio tetrastilo si sviluppano diversi ambienti di servizio, oltre che un accesso secondario alla casa. L’abitazione era inoltre dotata di un piccolo quartiere termale con te-
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Impluvium della casa del Fauno a Pompei con statua in bronzo di un satiro
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pidarium e calidarium. La casa dispone di due peristili, uno di minor dimensioni e uno piĂš grande caratterizzato da un doppio ordine di colonne, separati da un’esedra arricchita da mosaici di grande valore storico; sono inoltre presenti stucchi e decorazioni di tipo ellenistico. Sul fondo del secondo peristilio, in posizione marginale, si aprono alcune stanze riservate alla servitĂš. Ăˆ da questa domus che proviene il famosissimo mosaico rappresentante la vittoria di Alessandro Magno contro Dario a Isso attualmente conservato al museo archeologico di Napoli.
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2.2.2 Villa dei Papiri a Ercolano (Napoli, Campania)
La Villa dei Papiri, conosciuta anche con il nome di Villa dei Pisoni, è anch’essa una villa di epoca romana sepolta durante l’eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell’antica Ercolano. L’abitazione è così chiamata poiché al suo interno conservava una biblioteca con oltre milleottocento papiri. La costruzione della Villa dei Papiri avvenne tra il 60 ed il 50 a.C. ed appartenne con molta probabilità a Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, suocero di Gaio Giulio Cesare, nonché protettore del filosofo Filodemo di Gadara, le cui opere erano conservate all’interno della dimora. Con il terremoto del 62 la Villa dei Papiri rimase fortemente danneggiata e tale evento impose lavori di ristrutturazione e rifacimento delle decorazioni. Tuttavia, quando l’opera non era ancora completata, l’area fu soggetta all’eruzione del Vesuvio del 79 e la villa sommersa da una colata di fango. In seguito, nel 1631, un’ennesima eruzione coprì la zona sotto uno spesso strato di lava. Venne ritrovata, nel 1750, durante la costruzione di un pozzo: le prime indagini partirono sotto la direzione di Rocque de Alcubierre1, presto affiancato da Karl Weber2, a cui si deve la pianta datata al 20 luglio 1754 con l’indicazione dei rinvenimenti dei reperti scultorei. Le indagini della villa ripresero nel 1980 quando venne nuovamente localizzata seguendo anche le antiche piante borboniche e dal 2002 fu messa in opera un’azione di bonifica per tenere costantemente all’asciutto la parte esplorata: gli ambienti visibili si limitano all’atrio, alla basis villae ed alcune stanze di un livello inferiore. (1702 – 1780) è stato un ingegnere e archeologo spagnolo, che si occupò delle esplorazioni archeologiche delle città di Pompeii, Herculaneum e Stabiae. 2 (1712 – 1764) è stato un ingegnere, architetto e archeologo svizzero, che si occupò delle prime esplorazioni archeologiche delle città di Pompei e Ercolano e Stabia, sepolte dal Vesuvio nell’eruzione del 79, volute da Carlo di Borbone. 1
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La Villa dei Papiri ha molti punti in comune con la villa di Sirmione, sia per la sua posizione strategica che per il suo sviluppo: anch’essa sorgeva a strapiombo sul mare ed era costruita a terrazze disposte su una collinetta parallelamente alla linea di costa, sviluppando su essa il fronte maggiore, lungo oltre 250 metri, secondo un orientamento dell’asse longitudinale in direzione Nord-Ovest, Sud-Est. La villa si alza su tre livelli e nella sua composizione sono riconoscibili quattro nuclei quadrati: quelli meridionali, adibiti a servizi (alloggi, latrine e deposito dei papiri), mentre quelli settentrionali alla zona residenziale e ludica. L’ingresso, che affacciava direttamente sul mare, è preceduto da un portico con colonne e pavimentato con mosaico a tessere bianche e nere simili a quelli ritrovati alle Grotte di Catullo; si accede quindi all’atrio che presenta un impluvium contornato da statuette e sul quale si aprono diversi ambienti, pavimentati a mosaico e decorazioni parietali con affreschi in secondo stile risalenti al periodo di costruzione della villa. Il peristilio, con affreschi in quarto stile, è arricchito da un giardino contornato da un portico con sessantaquattro colonne ed al centro una piscina lunga cento metri e larga trentasette. Intorno al peristilio si sviluppano altri ambienti tra cui la biblioteca ed il tablinium: nella prima furono rinvenuti 1826 rotoli di papiro carbonizzati. Nel tablinium, a forma di esedra, che riproduceva l’ephebeum3 di un ginnasio greco, furono ritrovate altre opere scultoree sia in bronzo che in marmo. A chiusura della villa un lungo viale conduce ad un belvedere di forma circolare con pavimento in marmi policromi. La villa inoltre era dotata di un impianto idrico a servizio delle numerose vasche, fontane e bagni. Anche in questo caso troviamo gli elementi tipici delle grandi ville romane posizionate in punti strategici a dominare il territorio, oltre alla posizione e alla stretta relazione con il luogo ritroviamo il grande giardino centrale con il porticato e le terrazze belvedere da cui i proprietari ephebeum (ἐϕηβετον), vasta sala riservata alle esercitazioni ginnastiche degli efebi, giovani che appartenevano alla classe di età detta “efebìa”, giovinezza.
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Pianta della Villa dei Papiri a Ercolano, XVIII secolo Karl Jacob Weber
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della residenza potevano ammirare e dominare tutto il paesaggio circostante.
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2.2.3 Villa di Pollio Felice a Sorrento (Napoli, Campania)
Altra villa marittima che richiama, per la collocazione e la conformazione a blocco chiuso, la villa delle Grotte di Catullo è la villa di Pollio Felice a Sorrento. Si tratta di una lussuosa residenza costruita nel I secolo d.C. all’epoca del Regno di Claudio (41 - 54 d.C.). Intorno all’area di Sorrento sono numerose le grandi abitazioni patrizie risalenti all’epoca dei romani, infatti la ricca nobiltà del tempo volle costruire su queste coste la propria dimora attorniandosi di bellezze sublimi, motivo per cui anche la villa di Sirmione trova posizione proprio in quel punto della penisola. La Villa viene comunemente legata al nome di Pollio Felice, illustre esponente di una nobile famiglia di Pozzuoli, in quanto il poeta Publio Papinio Stazio celebra l’incantevole dimora dello stesso con due carmi delle sue Silvae descrivendone l’articolazione di tale complesso. Nei tempi moderni è più nota come Bagni della Regina Giovanna in quanto si racconta che nel medioevo era meta costante delle giornate di svago della regina di Napoli Giovanna d’Angiò. La villa, che un tempo occupava con le sue strutture tutta l’intera area della punta del capo, si articolava in due aree principali. Si riconoscono infatti, i quartieri adibiti ad abitazione, disposti in alto sulla collina, e i quartieri a mare, dislocati intorno ad un approdo naturale che venne adattato a porticciolo; la villa infatti era raggiungibile sia da terra che da mare. Un complesso di passaggi, anditi, scale e terrazze costituisce il collegamento tra la domus e la villa a mare, passando sopra le due strette lingue di terra che uniscono, girando attorno al bacino, la Punta del Capo alla terra retrostante. La parte abitativa oggi è ancora in parte sepolta sotto un vasto vigneto e dei vari ambienti si possono scorgere solo fragili brandelli di mu-
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ratura. Questa parte di villa si compone di vari fabbricati dislocati su terrazzamenti digradanti sul mare, collegati dalle cisterne per l’approvvigionamento idrico. Lasciata l’area della grande terrazza del quartiere della domus si costeggia un lungo muro di una masseria e si giunge alla zona della grande cisterna in opus reticulatum, costituita da cinque grandiose camere attraversate trasversalmente da muri portanti. La disposizione di questa struttura in questo punto del declivio aveva da un lato la funzione di garantire alla villa il giusto approvvigionamento idrico e dall’altro costituiva un piano di terrazzamento per gli ambienti superiori. Si arriva quindi all’area del porticciolo: sembra che sullo stesso scoglio vi fosse una struttura provvista di ambienti termali e di soggiorno: una sorta di alcova intima e appartata, ma collegata comunque alla villa. Proseguendo verso l’estremità del promontorio si sviluppava un vasto terrazzamento sul quale ergeva la casa a mare che occupava quasi tutto lo spazio della penisola scogliosa; essa è costituita da un unico impianto formato dalla struttura centrale alla quale si appoggiano corpi secondari con terrazze, passaggi ed approdi. Negli anni ’80, durante i lavori di consolidamento, è stato portato alla luce il piano più alto della parte marittima dell’intero complesso; dalla campagna di scavo è emerso che tale piano accoglieva vari ambienti lussuosi disposti lungo uno splendido giardino, racchiuso in quadriportico rettangolare: la presenza di reperti di malta documenta una pavimentazione in opus sectile e quindi la funzione rappresentativa di tali luoghi. Anche in questo caso, come per la villa di Sirmione, è possibile osservare come gli ambienti residenziali nobiliari fossero disposti attorno ad un giardino e ad un piano superiore rispetto ai locali di servizio. Dal piano nobile della casa a mare si sviluppa il giardino, con una serie di rampe e terrazze panoramiche sulle pendici settentrionali del promontorio, chiuso a valle da un’esedra. Verso il mare troviamo anche una cisterna a cinque concamerazioni intercomunicanti, la cui pianta ha la forma di un pentagono irregolare. Le pareti sono in opus reticulatum, 70
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Veduta aerea della Villa di Pollio Felice a Sorrento
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mentre gli archi delle porte sono in mattoni. Della villa a mare restano numerose e interessanti tracce decorative della struttura, con ambienti stuccati a rilievo e affrescati, inoltre molte stanze conservano ancora la copertura a botte e i pavimenti a mosaico. Grande rilievo era stato dato all’apparato decorativo della villa ricca di marmi e pietre preziose. Il sistema architettonico dell’intero complesso sembra sfruttare al massimo la bellezza del paesaggio con alcuni espedienti strutturali, muri divergenti, ampie finestre e numerose terrazze e belvederi che pretendono la massima fruibilità del panorama creando un perfetto connubio tra natura e abitazione. Struttura e decorazione erano entrambi funzionali alla luxuria ed all’otium.
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2.2.4 Villa romana a Minori (Salerno, Campania)
La villa romana a Minori fu edificata nei primi anni del I sec. d.C. e rimase in vita fino al VII sec. d.C., essendo stata interessata da diversi restauri e rimaneggiamenti. I più importanti restauri vennero attuati durante il III secolo d.C., quando al triclinio-ninfeo furono aggiunti banconi in muratura, un pavimento a mosaico raffigurante un corteo marino e una scena di caccia, inoltre si rinnovò la decorazione pittorica. Non si conosce il nome del proprietario ma possiamo dire che si trattava sicuramente di un ricco patrizio romano che la costruì per soggiornare nel periodo estivo circondato dalla bellezza del suggestivo paesaggio della costiera Amalfitana. Seppellita da periodiche alluvioni, e soprattutto nascosta dalle case che vennero edificate sopra i suoi resti, la villa marittima è stata portata alla luce e resa visitabile solo nel 1954 e i reperti ritro- vati esposti nell’annesso Museo dell’Antiquarium suddivisi per classi di appartenenza. L’edificio si sviluppa su un’area di 2500 mq e si articola su due livelli, anche se risulta visibile solo quello inferiore, e rispecchia la struttura tipica della villa marittima con le sale di rappresentanza collocate ad ovest del complesso e gli ambienti termali ad est. Al piano terra numerosi ambienti, tra i quali si segnala un grande salone con stucchi ed affreschi, risultano organizzati intorno ad un ampio viridarium, un giardino cinto da un portico ad arcate con al centro una natatio (piscina). Interessanti sono, inoltre, il triclinium ed il quartiere termale, composto dall’apodyterium (spogliatoio), dal tepidarium (sala per bagni tiepidi) e dal calidarium (sala per bagni caldi). Gli ambienti di rappresentanza sono costituiti da due camere, coperte con volta a botte che si affacciavano sul peristilio e una terza con in-
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gresso in fondo al corridoio, coperta con volta a vela e struttura in conci di pietra calcarea ad anelli concentrici su pianta rettangolare. Questo tipo di volta fu adottata per mantenere il suo piano di copertura alla stessa quota degli altri date le dimensioni enormi della sala. Come nelle Grotte di Catullo, anche qui ritroviamo la disposizione a blocco intorno al peristilio degli ambienti principali della villa, e l’affaccio diretto sullo specchio d’acqua dal giardino principale.
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Giardino cinto da un portico ad arcate della Villa romana a Minori
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2.2.5 Villa Damecuta a Capri (Napoli, Campania)
La villa romana del Damecuta, posta sul promontorio di Anacapri, è solo una delle dodici ville imperiali romane fatte erigere dall’imperatore Tiberio intorno al XII secolo d.C. tra Capri ed Anacapri. Purtroppo di tale villa ne restano solo poche rovine perché, così come le altre abitazioni, fu inesorabilmente danneggiata dall’esplosione del Vesuvio nel 79 d.C. e poi ancora dalle successive incursioni di barbari pirati. Il suo impianto era costituito da una loggia porticata di 80 metri, che culminava in un ampio belvedere semicircolare, da un quartiere residenziale con sala triclinare all’estremità ovest e da un altro nucleo abitativo. La villa ha un impianto longitudinale, orientato da Nord-Est a Sud-Ovest, costruito in opus reticulatum, esteso per almeno 155 m. Le strutture note costruiscono parte di un più ampio complesso a padiglioni, di cui restano scarse tracce. L’edificio conservato, in antico raggiungibile dal mare, comprende due settori, uno residenziale e uno privato, raccordati da una lunga loggia panoramica (loggia-belvedere), che costituisce l’elemento fondamentale del complesso. Questa, sospesa su archi e pilastri fondati sulla roccia, presenta exedrae per sedili nel muro a monte e un portico con colonne sul loggiato esterno, mentre all’estremità occidentale termina in un quartiere residenziale con avancorpo semicircolare, di cui restano solo le sostruzioni. Al piano superiore si riconoscono un triclinium, una diaetea ed una grande terrazza semicircolare rivolta verso il mare. Contrapposto alla terrazza è un piccolo semicerchio, forse una grotta a esedra, non accessibile dal cortile. All’estremità orientale della loggia-belvedere c’è un secondo quartiere di residenza articolato su terraz-
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Terrazzo belvedere con vista sul promontorio di Anacapri da Villa Damecuta
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ze accessibili da una scala; vi si riconoscono, preceduti da un vestibolo, un cubiculum, un terrazzo belvedere e più a Ovest sotto l’ambulatio due locali di soggiorno. Al complesso è pertinente una cisterna divisa in due navate. Sulle rovine della villa all’estremità ovest, nel XII secolo, durante le invasioni dei corsari saraceni, fu costruita una torre di avvistamento, la torre Damecuta, successivamente usata come fortino dagli inglesi durante la guerra contro i francesi. Dagli scavi eseguiti dall’archeologo Amedeo Maiuri1 si è anche palesata l’ipotesi che la Villa Damecuta avesse un passaggio segreto, voluto da Tiberio, che dall’interno della villa portava sino alla sottostante Grotta Azzurra, una cavità naturale lunga circa 60 metri e larga circa 25, al tempo usata come piscina privata.
1 (1886 - 1963) è stato un archeologo italiano i cui principali centri di indagine furono i Campi Flegrei, Pompei ed Ercolano, e Capri, tra il 30 e il 50 del Novecento.
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2.2.6 Villa Jovis a Capri (Napoli, Campania)
Villa Jovis o Iovis (dal latino Villa di Giove), situata sulla vetta del monte Tiberio, nella parte orientale dell’isola di Capri, è nota per essere stata sia la dimora dell’imperatore romano Tiberio Giulio Cesare Augusto sia il palazzo del governo di Roma tra il 26 e il 37 d.C. Da questa e dalle sue altre ville sull’isola di Capri, Tiberio Giulio Cesare Augusto governò l’Impero per oltre undici anni, dedicandosi all’ozio contemplativo e, di tanto in tanto, lanciando nel vuoto del Salto di Tiberio1 i suoi schiavi. La Villa si estende per una superficie di 7000 metri quadri e la vista che si può godere dal lato nord abbraccia buona parte del Golfo di Napoli, spaziando dall’Isola di Ischia fino a Punta Campanella, mentre il lato sud affaccia sul centro di Capri. Villa Jovis prevede un impianto a padiglioni costituito da due edifici principali, inframezzati da boschi, giardini e ninfei. Le tecniche costruttive adottate sono un opus mixtum di reticolato e laterizio ed un opus incertum. L’edificio principale rettangolare con avancorpo semicircolare orientato Est-Ovest, è costituito da due settori, uno di rappresentanza e di servizi, l’altro privato. Centro planimetrico dell’edificio è l’impianto delle cisterne, concepito come un quadrilatero diviso in quattro navate, divise in aule minori da muri trasversali, attorno a cui si dispongono i vari settori della villa: a Sud il quartiere termale, a Est l’avancorpo semicircolare, a Nord il quartiere residenziale, a Ovest gli ambienti di servizio. Si accede alla villa da Sud-Ovest tramite un vestibolo a forma di atrio tetrastilo, i cui vani adiacenti, più tardi usati come cisterne, ospitano conosciuto anche, in forma più antica, come salto di Timberio, è un precipizio a picco sul mare, alto circa 297 metri.
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il corpo di guardia della villa. Dal vestibolo si sale a Nord, tramite un corridoio, ad un secondo vestibolo. Al centro si trovavano le cisterne per la raccolta delle acque piovane, risorsa fondamentale su un’isola priva di fonti naturali, usate sia come acqua potabile che come riserva destinata alle terme che si articolavano nei classici ambienti del apodyterium, frigidarium, tepidarum e calidarium. Sul versante ovest della villa trovava posto il quartiere servile e a nord l’alloggio dell’imperatore e dei suoi collaboratori più fidati, come l’astrologo Trasillo. Il versante est, invece, era occupato dalla sala del trono. Villa Jovis venne riscoperta nel XVIII secolo sotto il regno di Carlo di Borbone2 e subì dei devastanti scavi durante i quali vennero asportati molti preziosi pavimenti in marmo. La villa fu oggetto di un intervento di recupero nel 1932 diretto dall’archeologo Amedeo Maiuri: furono rimosse le macerie che si erano nuovamente accumulate sulle rovine della villa, che ne risultarono rivalorizzate.
Carlo Sebastiano di Borbone (1716 - 1788) è stato duca di Parma e Piacenza con il nome di Carlo I dal 1731 al 1735, re delle Due Sicilie dal 1735 al 1759, e dal 1759 fino alla morte re di Spagna con il nome di Carlo III.
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Vista aerea del Salto di Tiberio di Villa Jovis a Capri
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2.2.7 Villa Domizia a Giannutri (Grosseto, Toscana)
Giannutri, l’isola più meridionale dell’Arcipelago Toscano, si trova a sud-est dell’Isola del Giglio, che i Greci chiamavano Artemisia e i romani Dianium. Essa vide il suo massimo splendore in epoca romana, quando furono realizzati il porto e la villa, risalente al II secolo d.C., lungo la costa occidentale presso Cala Maestra. La villa fu voluta dalla famiglia dei Domizi Enobarbi, proprietari dell’intera isola e antica famiglia senatoria di commercianti di cui faceva parte Gneo Domizio, marito di Agrippina, madre dell’imperatore Nerone. Gli accenni più antichi dell’isola li troviamo nella Naturalis Historiae di Plinio il Vecchio il quale cita Artemisia come un’isola primitiva. Giannutri fu abbandonata improvvisamente nel III secolo d.C. per motivi sconosciuti, probabilmente per un sisma che ne danneggiò irreparabilmente le strutture. Nonostante la rilevanza artistica e storica dei resti, la villa rimase privata fino al 2004. Al proprietario, tale conte Gualtiero Adami1, si devono i primi scavi della villa, di cui utilizzò i locali di un’antica cisterna per ricavarne la sua dimora. Sui fondali davanti all’isola ancora oggi giacciono dimenticati alcuni relitti di navi mercantili, che testimoniano gli antichi traffici marittimi con la terraferma, come anche i resti di un antico porto a Cala dello Spalmatoio.
1 Capitano Garibaldino, che nel 1882 decise con il fratello Osvaldo di comprare l’isola di Giannutri e trasferirvisi, per coltivarla a vite e ulivo e sottoporla a estrazioni minerarie. Rimase sull’isola per 40 anni, fino alla sua morte, in compagnia della nipote amata, Marietta Moschini.
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Vista sul mare dai resti dell’impluvium tetrastilo di Villa Domizia a Giannutri
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La villa copriva una superficie di circa cinque ettari di terreno e aveva un’enorme terrazza accessibile direttamente dal mare tramite una scalinata articolata. Dagli scavi vennero alla luce resti di pavimenti decorati con marmi di delicata fattura e con mosaici in bianco e nero. Il complesso comprendeva gli alloggi della famiglia imperiale dove tre saloni erano provvisti di impianto di riscaldamento, quartieri per gli schiavi e l’immancabile quartiere termale. La villa conserva tutt’oggi il sistema di condutture e cisterne che distribuiva in tutta l’isola l’acqua piovana raccolta.
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2.2.8 Villa romana delle grotte a Portoferraio (Livorno, Toscana)
Databile al I sec. a.C., la Villa Romana delle Grotte è l’unica delle tre ville d’otium rinvenute all’Isola d’Elba a non aver subito processi di sovrapposizioni edilizie nell’arco dei secoli. Abbandonata alla fine del I sec. d.C., in concomitanza con gli ampliamenti della villa romana della Linguella, divenne, tra il 1799 e il 1801, luogo strategico dove posizionare le batterie di artiglieria negli scontri tra Francia e Regno di Napoli. La struttura della villa, grazie agli scavi condotti tra il 1960 e il 1972, è oggi ben riconoscibile: realizzata interamente in opus reticulatum, si sviluppava lungo un asse centrale costituito da una grande vasca rettangolare circondata da un peristilium; presentava tre grandi giardini, uno dei quali posto lungo la linea litorale, palcoscenico panoramico sul golfo di Portoferraio, un hortus conclusus con pareti affrescate, una zona adibita ai quartieri del dominus e della domina e una al quartiere termale con calidarium e frigidarium. Le zone di servizio, quali i criptoportici, le cisterne e i magazzini si sviluppavano fino l’attuale strada provinciale, e un piccolo molo in granito nella piccola insenatura sottostante costituiva l’approdo per coloro che raggiungevano la villa via mare. Il ritrovamento nel 2014 di numerosi reperti negli scavi effettuati a San Giovanni e nella stessa Villa Romana, hanno portato a scoprire che probabilmente il proprietario della Villa era Marco Valerio Messalla dell’antica e prestigiosa famiglia dei Valeri. La scoperta di alcuni bolli apposti su anfore e dolia (contenitori di terracotta di forma sferica adibiti principalmente al trasporto del vino) e
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incisi da uno schiavo, riportano infatti il nome del proprietario dei dolia e del vino in essi contenuto. Questo dato è confermato anche da altre informazioni storiche come una scrittura di Ovidio che conferma l’esistenza di questa antica residenza all’Isola d’Elba di proprietà della famiglia dei Valeri.
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Vista del giardino panoramico sul golfo della Villa romana delle grotte a Portoferraio
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3.1 Supposizioni sulla destinazione d’uso
Ancora oggi tra gli studiosi del complesso delle Grotte di Catullo ci sono diverse opinioni riguardo la sua destinazione originaria. La denominazione di “Grotte” risale al Quattrocento e proviene dal resoconto di viaggio del veneziano Marin Sanudo, che visitò le rovine e si trovò di fronte a delle caverne, per lunghi tratti interrate e coperte di vegetazione. Egli nella sua opera Itinerario per la terraferma veneziana (1483) scrisse ..Sermium, patria di Catulo veronese cantor de versi erotici… et qui è le sue caverne dove stava, versi che, non solo sancirono il nome conosciuto ancora oggi dell’area archeologica, ma ne attribuirono anche la proprietà al poeta Catullo. In base a ciò che il poeta scrive nel Carme XXXI del Liber Catullianus, infatti, è certo che egli avesse a Sirmione una residenza, ma non esistono prove certe a sostegno dell’ipotesi che fosse proprio la villa in questione. Al contrario, gli scavi più recenti hanno dimostrato che il grande edificio risale agli inizi del I secolo d.C., epoca posteriore a quella in cui visse il poeta, che pertanto non può esserne ritenuto il proprietario. Esistono però anche resti di una villa antecedente a quella visibile oggi, che si pensava risalissero proprio al I secolo a.C, quando la famiglia dei Valerii Catulli raggiunse l’apice della propria fortuna. Anche sulla precisa destinazione d’uso del complesso ci furono per secoli diverse interpretazioni. Nel corso del Quattrocento, oltre all’ipotesi che fosse la dimora del poeta Catullo, si diffuse la teoria che si trattasse di un teatro in muratura, tesi che però non trovò nessun tipo di dimostrazione. Intorno alla metà dell’Ottocento le prime indagini condotte dal conte veronese Giovanni Girolamo Orti Manara attribuirono l’edificio ad un grande complesso termale, costruito dai romani in epoca costantiniana per sfruttare la Boiola, la sorgente d’acqua calda e solforosa
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presente all’interno del lago. Questa ipotesi venne però smentita dagli scavi di Nevio Degrassi nel 1956, che attribuirono i resti ad una grande villa confrontabile con le ville romane e campane allora conosciute. Un’ultima ipotesi, meno accertata, fu quella espressa dallo studioso Paolo Guerrini, che nel 1957 pubblicò una monografia sirmionese in cui si concentrò sulle antichità romane e medievali della penisola. Egli sostenne che le Grotte di Catullo fossero state utilizzate, oltre che come residenza del signore longobardo Cunimondo, anche come succursale del monastero bresciano di Santa Giulia, per volere della regina Ansa, che aveva fondato a Sirmione il monastero di San Salvatore, collegato appunto a quello bresciano. L’ipotesi che il complesso si trattasse di una villa romana rimane comunque la più accettata dagli studiosi. Ad oggi non si conosce l’esatto periodo e il motivo del declino della villa, ma il ritrovamento di tombe longobarde, sia all’interno sia all’esterno dell’edificio, risalenti al IV secolo e al V secolo, indica che in quel periodo la struttura era già stata sicuramente abbandonata.
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Vista aerea della Villa
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3.2 Storia degli scavi e dell’area archeologica
La Villa delle grotte di Catullo costituisce l’esempio più imponente fra i diversi edifici residenziali sorti in età romana presso le rive del lago, caratterizzati tutti da vaste dimensioni, da planimetrie articolate e da un ricco apparato architettonico e decorativo. A Sirmione un secondo edificio, anch’esso di notevole ampiezza e di grande lusso, si trovava in corrispondenza dell’attuale centro storico, dove resti della costruzione sono venuti in luce al di sotto dei fabbricati moderni. Parti consistenti della villa delle Grotte di Catullo, soprattutto del suo settore settentrionale, sono invece sempre rimaste in vista dall’epoca romana. Per la prima volta le rovine appaiono riprodotte nella Carta del territorio veronese, detta dell’Almagià (1439-41): sono raffigurate in modo riconoscibile le sostruzioni del lato settentrionale dell’edificio, di cui risultano ben identificabili anche l’avancorpo, lo spazio aperto centrale e una parte del piano nobile, probabilmente nel XV secolo ancora conservato in elevato. L’unico elemento non reale della mappa è l’orientamento dell’edificio, osservato da nord e ruotato verso est, in quanto il fulcro visivo è rappresentato da Verona, a cui sono subordinate le vedute dei numerosi monumenti raffigurati, sempre però caratterizzati da notevole precisione e fedeltà anche nei particolari che ne permettono, come nel caso delle Grotte di Catullo, la certa identificazione. Già con le prime citazioni dell’edificio, nel XV secolo, i ruderi sono collegati al poeta veronese Catullo (84-54 a. C.), che nel carme XXXI parla del suo ritorno felice a Sirmione, chiamata gioiello delle penisole e delle isole (paene insularum, Sirmio, insularumque ocelle, quascumque in liquentibus stagnis marique vasto fert uterque Neptunus, quam te libenter quamque laetus inviso...) e alla casa che qui possedeva (larem
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ad nostrum). Successivamente, attorno alla metà del Cinquecento, Silvan Cattaneo, guida di un viaggio lungo le sponde benacensi, descrisse così le rovine: si vedono alcuni volti, che dimostrano essere già stati fondamento d’una grande, e superbissima fabbrica... questi volti sono chiamati dagli abitanti le grotte di Sirmione... secondo l’opinione di molti questa fabbrica fu già onorata abitazione, ed albergo degnissimo pel gran Poeta Catullo primo suo fondatore, e della felice, e fortunata Sirmione sua patria benemerito Padrone, sito veramente nobilissimo, e de’ più rari, e segnalati che s’attrovino, com’egli medesimo anco disse, nell’uno, e l’altro mare. Il legame dei resti archeologici con il poeta veronese non verrà mai meno nella tradizione locale come nei richiami della maggior parte dei visitatori antichi e moderni. Le rovine imponenti della villa e l’ambiente affascinante che le circonda hanno da sempre esercitato una suggestione particolare. Fra i tanti visitatori che si recarono in antico a vedere i resti archeologici merita una menzione particolare Isabella d’Este Gonzaga, che fece della sua corte di Mantova uno dei principali centri del Rinascimento italiano. In una lettera del 19 marzo 1514 al marito Francesco II Gonzaga, marchese di Mantova, descrisse una delle sue visite ai resti dell’edificio antico, con parole piene d’entusiasmo: heri fui sul monte a veder le ruine, et intrai in le cave per vederle bene, sono veramente meravigliose, maxime a me che non ho viste quelle de Roma, né mi maraviglio se a Romani piacesse questo sito, et lo havessino in delicie, perché è bellissimo et digno de mirabili hedifici. Isabella d’Este e le persone del seguito che la accompagnavano si inoltrarono nei vani antichi allora raggiungibili solo attraverso aperture ricavate nelle murature interrate in parte crollate, così che l’impressione suscitata nei visitatori era quella di penetrare in anfratti naturali. La denominazione dei resti con termini quali “cave”, “caverne” o “grotte”, con cui ancora oggi sono designate le rovine della villa romana, rimonta 96
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Acquarello ed inchiostro su carta vergata, Planimetria, Melliny, 1796
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proprio al Rinascimento e, come abbiamo visto anche nello scritto di Sanudo, alle prime menzioni dell’edificio. Numerose raffigurazioni delle Grotte di Catullo risalgono all’Ottocento, quando le sue rovine diventarono un tema ricorrente fra le immagini del paesaggio gardesano. Le stampe riprodussero soprattutto i resti del settore settentrionale (il lungo corridoio e le sostituzioni dell’avancorpo nord), talora con aggiunta di elementi di fantasia, altre volte così realistiche da poter riconoscere facilmente la parte raffigurata, allora meglio conservata. Diverse sono anche le rappresentazioni dell’edificio visto dal lago: in esse viene messa in rilievo la grandiosità delle rovine, favorita dal punto di osservazione dell’artista situato a una quota molto più bassa. A Luigi Basiletti, pittore e archeologo bresciano, si devono alcune fra le più belle raffigurazioni dei ruderi, numerosi disegni e un grande olio su tela. Il dipinto, presentato nel 1833 all’esposizione dell’Ateneo di Brescia, è una splendente e luminosa immagine dei resti antichi sullo sfondo azzurro del lago. È la rappresentazione di quello stesso ambiente che viene così descritto da uno dei visitatori ottocenteschi: in un colle di lieve salita tutto ricoperto di rigoglioso e folto oliveto si incontrano via sotterranee coperte da grandi volte. Per queste vie tenebrosi o illuminate sono a sprazzi da qualche raggio di sole che ora vi penetra per le screpolature delle volte ed è sovrapposto terreno, gli abitanti del luogo dicono che Catullo andava a solitario passeggio. Più oltre pezzi di grosse mura mostrano gli avanzi di una costruzione quadrilunga che dicono aver servito da bagno al poeta. Dunque la figura del poeta veronese non è mai stata disgiunta dei resti archeologici e solo le indagini più recenti hanno dimostrato che l’edificio oggi visibile non è quello che può essere appartenuto a Caio Valerio Catullo. Il più antico rilievo scientifico della villa risale al 1801, quando nel corso della seconda campagna napoleonica il generale La Combe St.
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Olio su tela, Veduta della Villa di Catullo, L. Basiletti, 1832
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Michel1, comandante dell’artiglieria da assedio dell’esercito d’Italia, stanziato a Peschiera, fece eseguire alcuni scavi per meglio definire resti poco visibili e quindi far disegnare al suo ufficiale Melliny il Plan de la Maison de Campagne de Catulle, pianta che sancisce il primo passo per l’indagine scientifica della località sirmionese. Altri scavi di cui vi sono notizie, finalizzati al recupero di materiali archeologici, risalgono ai primi decenni dell’Ottocento. Un frammento di mosaico, qualche medaglia e alcuni frammenti di intonaco a più colori vennero donati nel 1816 all’arciduca Ranieri d’Asburgo poi Viceré del Regno Lombardo Veneto (1818-1848); medaglie d’oro ed altri metalli e statuette di bronzo confluirono nella raccolta dell’antiquario veronese Giacomo Verità. Non si conoscono le circostanze delle scoperte, né l’attuale collocazione di questi e di altri ma- teriali recuperati in scavi, descritti come urne di terra, marmi, lapidi, bassi rilievi e cippi. Le indagini più estese e meglio documentate furono quelle eseguite intorno alla metà dell’Ottocento dal conte veronese Giovanni Girolamo Orti Manara2. Egli fa riferimento al sito non come una residenza privata (anche se la terminologia usata vi allude) ma come un enorme complesso termale costruito dai Romani per sfruttare la sorgente d’acqua calda e solforosa di nome Boiola. Egli fa risalire la costruzione del sito all’epoca di Costantino, dopo aver ritrovato e studiato i capitelli superstiti, alcuni frammenti di affresco e le decorazioni a stucco. Il rinvenimento di materiale più antico potrebbe ricondurre a una possibile attribuzione della villa a Catullo (smentita più tardi da Ludwig Schwabe3 nella sua opera Jean-Pierre Lacombe-Saint-Michel (1751 - 1812) è stato un generale francese della Rivoluzione e combattente nelle armate napoleoniche. 2 Giovanni Girolamo Orti Manara (1769 - 1845) conte veronese e scrittore, il quale eseguì scavi e rilievi, ancor oggi fondamentali, sul sito archeologico delle Grotte di Catullo. Il suo scritto illustrato “La penisola di Sirmione sul lago di Garda” venne pubblicato nel 1856. 3 Ludwig Schwabe (1835 - 1908) fu un filologo classico tedesco e professore di archeologia classica. 1
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Acquatinta, Les Grottes de Catulle, D. Manzoni, 1824
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Quaestiones Catullianae). I risultati degli scavi, con una nuova planimetria dell’edificio, piante di dettaglio e prospetti delle parti più significative, disegni di alcuni dei materiali rinvenuti, tutti opera del pittore mantovano Giuseppe Razzetti, vennero pubblicati nel 1856 dallo stesso orti Manara nel volume dedicato alla storia della penisola di Sirmione. L’edificio, ritenuto di età costantiniana, è stato attribuito dal nobile veronese a un grande complesso termale. Nonostante queste errate interpretazioni, l’opera dell’Orti Manara, con la precisa descrizione dei resti, è ancora oggi fondamentale per lo studio dell’edificio, grazie alle numerose informazioni sulle parti messe in luce allora per la prima volta e alle indicazioni su vani attualmente interrati. Lo scavo non dovette essere eseguito in estensione, ma mediante sondaggi o trincee, come provano alcune inesattezze della pianta. Ad esempio, nel settore meridionale della villa indagato di recente, gli errori sono dovuti certamente alla riproposizione per simmetria e al prolungamento di strutture evidenziante in scavi parziali. La pianta generale corrisponde tuttavia in buona misura a quella reale e resta un aiuto valido per le zone non ancora oggi luce. Altri sterri di cui non esiste alcuna documentazione dovettero essere eseguiti nella seconda metà dell’Ottocento. Frammenti di un mosaico e di affreschi provenienti dalla villa si trovano fra i materiali della collezione Rambotti presentati nel 1875 all’Esposizione archeologica preistorica e Belle Arti della Provincia di Brescia. Gli scavi moderni risalgono al dopoguerra, benché alcuni interventi di restauro e scavo siano stati effettuati già a partire dal 1940. Alla fine degli anni Quaranta e negli anni Cinquanta vennero eseguiti sterri su grandi estensioni, che misero in evidenza rapidamente ampi settori della villa, alcuni già in parte indagati nell’Ottocento, altri in aree non interessate da precedenti ricerche. 102
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Cartolina, Veduta sulle rovine romane, 1900
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L’analisi del complesso proposta da Nevio Degrassi nella breve guida dell’area archeologica, sulla base degli scavi da lui diretti, costituisce la prima analisi scientifica dell’edificio (1956): i resti sono finalmente attribuiti a una grande villa, per la quale sono suggeriti confronti con edifici dell’agro romano e campano. Egli inoltre propose la data approssimativa nel primo secolo d.C. o all’inizio del secondo secolo (età traianea). Successivi scavi furono effettuati da Mario Mirabella Roberti ancora negli anni Cinquanta fino all’inizio degli anni Settanta (1954-1965; 1971), il quale anticipò la costruzione del complesso alla seconda metà del primo secolo d.C. Allo studioso si deve inoltre la teoria, accolta dopo di lui da numerosi archeologi, della Villa a U, ossia di un piccolo edificio con avancorpi ad ali ubicato nel settore meridionale e precedente la più grande costruzione. La villa ad U, che sarebbe stata poi inglobata nel successivo edificio, rimanendo riconoscibile attraverso particolari tecnici e costruttivi, venne ipoteticamente identificata con quella del poeta veronese e quindi datata alla prima metà del I secolo a.C. Questa tesi appare ormai superata dagli studi più recenti, in base anche ai nuovi elementi ricavati dagli scavi che hanno interessato negli ultimi anni questo settore dela villa. La più recente investigazione ad opera di Giovanna Tosi ribalta la datazione riportandola ai primi decenni dell’impero (periodo dei Giulio-Claudii), conclusione accettata da Elisabetta Roffia. Le indagini eseguite fra il 1984 e il 1994 dalla Sovrintendenza alle Antichità della Lombardia nella parte meridionale e settentrionale dell’edificio e il riesame dei materiali dei vecchi scavi hanno permesso di acquisire anche informazioni relative alla cronologia della villa, permettendo di precisare meglio il momento della sua costruzione e del suo abbandono. Al 1911 e al 1912 risalgono i primi provvedimenti tesi a salvaguardare i resti dell’edificio antico, creando anche una fascia di rispetto attor104
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no alla villa con il divieto di qualsiasi costruzione al fine di non danneggiarne la visuale, ma solo fra il 1947 e il 1949 fu effettuata, grazie all’allora Soprintendente alle antichità Nevio Degrassi, l’acquisizione pubblica di tutta l’area. Questa ha permesso la piena tutela dei resti antichi e dell’ambiente naturale circostante, costituito da un vastissimo oliveto. Il complesso forma oggi un parco archeologico di oltre sette che conserva ancora forte suggestione e fascino. Il poeta Salvatore Quasimodo dichiarò che la località rappresentava l’antica città della Sirmione romana ricca di case, palazzi, residenze patrizie e bagni termali e smentì l’attribuzione della villa a Catullo. Non era un teatro (Partenio), nè un mansio o posto di ritrovo pubblico (Bardetti), nè un complesso termale (Orti Manara), nè un’intera città (Quasimodo).
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3.3 Analisi delle strutture 3.3.1 Il primo edificio
Un sondaggio effettuato alcuni anni fa nel settore meridionale della villa ha permesso di accertare l’esistenza, a - 1,20 m circa dal pavimento musivo, di strutture più antiche, costituite da un muro in ciottoli, avente andamento nord-sud, legato a un secondo muro con direzione estovest. Entrambi i muri erano impostati direttamente sulla roccia e conservati solo a livello di fondazione. Riferibili ad almeno tre vani diversi, vennero rasati in antico a quota uniforme, corrispondente a quella a cui furono costruiti a vista i muri dell’edificio posteriore, le cui fondazioni erano egualmente impostate sulla roccia. Questa scoperta è risultata di grandissimo interesse perché ha dimostrato l’esistenza di un edificio precedente la grande villa, situato al di sotto di essa e completamente obliterato dalla nuova costruzione. Benché l’orientamento sia il medesimo di quello dell’impianto della grande villa, la muratura più antica non viene riutilizzata per impostare la nuova, ma si preferì, probabilmente per aderire a un progetto unitario e organico, realizzare una struttura a solo 60 centimetri di distanza dalla precedente. I materiali provenienti dalla demolizione del più antico edificio vennero invece riusati nel settore meridionale della nuova villa, ubicato nella stessa zona: solo infatti nelle murature di questa parte della costruzione sono impiegati ciottoli e frammenti laterizi. Nello strato di riempimento al di sotto del mosaico pavimentale del vano 88 erano presenti frammenti di intonaci dipinti in un altro saggio eseguito nella stessa zona, nel vano 73, sono stati rinvenuti nello stato di preparazione del pavimento ancora frammenti di intonaco dipinto e di quarti di colonne in cotto, evidentemente tutti provenienti dalla demolizione della precedente costruzione.
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Non vi è alcun elemento utile a suggerire le dimensioni dell’edificio: solo nuove indagini al di sotto della grande villa potrebbero fornire informazioni a questo riguardo. Purtroppo nel sondaggio del vano 88 non si sono trovati neppure materiali che possano aiutare a datare con precisione le strutture più antiche per cui è possibile solo istituire un rapporto di anteriorità rispetto alla successiva grande villa. Anche se il primo edificio può essere quindi attribuito al I secolo a.C., non vi è nessun dato certo che possa permettere di assegnare con sicurezza i resti di questa primitiva costruzione ad età contemporanea a quella in cui visse e soggiornò a Sirmione il poeta Catullo.
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3.3.2 La grande villa
L’isola di Sirmione ha una forma triangolare ed è costituita da tre collinette, due delle quali sono situate al di là della valle chiamata le Bionde. La villa fu costruita nella collina più lontana ad un’altezza di 29 metri sul livello del lago. Il punto più alto, caratterizzato da una rupe scoscesa a picco sul lago è sul lato est; da qui il terreno scende verso nord ed ovest, dove la linea costiera si presenta meno ripida. Dopo la demolizione del primo edificio venne costruita una nuova villa, con un progetto unitario, coerente e organico, sviluppato secondo principi di assialità e simmetria e con un’attenzione particolare all’elemento naturale e paesaggistico. Un altro elemento che può avere influito sulla scelta della posizione dell’edificio è la presenza della costruzione più antica a sud, nel punto più alto del terreno. Poiché in questa stessa zona si svilupparono poi i vani dell’ingresso della grande villa, è probabile che l’antica strada di accesso all’estremità della penisola e quindi ai due successivi edifici fosse proprio su questo lato, l’unico non rivolto verso il lago, ma verso la terraferma. Il disegno della villa includeva l’intera area nella forma di un rettangolo di 167,5 per 105 m, i cui angoli dovevano essere rientrati per adattarsi al terreno. La pendenza naturale del terreno, progressiva verso nord-ovest, con un’inclinazione del piano roccioso di circa 15 metri fu eliminata dalla presenza di strutture di sostegno, alte sostruzioni (basis villae) su cui poggiavano il lato nord e nord-ovest dell’edificio (alcune rimangono tutt’oggi, tra cui quella a nord-ovest alta 18 metri, che rappresenta il livello più basso della villa); si viene così a creare una divisione netta
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della villa che passa per l’esatta diagonale e che divide la parte sostruita dalla parte superficiale. Parte della roccia venne asportata con ingenti opere di sbancamento, così da ottenere quote costanti in alcuni dei vani del livello intermedio e a creare terrazze artificiali all’esterno dell’edificio sul lato orientale, a nord (H), al centro (F) e a sud (I). I poderosi tagli operati nella roccia sono ancora ben visibili nella zona nord-orientali (campo delle noci) e lungo il lato occidentale e sud-occidentale della villa (criptoportico, criptoportico degli stucchi, grotta del cavallo, ecc.). Il principio insediativo di questa imponente architettura, come è stato già sottolineato in precedenza, è fortemente legato al luogo in cui si trova. La forma è generata da due assi principali ortogonali (nord-ovest, sud-est e sud-ovest, nord-est) sui quali si costruisce il volume esterno e l’area interna dedicata all’oliveto. Si incastrano poi altre forme: quattro volumi cubici che fanno parte di quella piccola area dell’intero edificio ad essere completamente chiusa, e quattro elementi allungati che chiudono la corte interna e si identificano come porticati. L’edificio era disposto su tre diversi livelli realizzati seguendo le esigenze determinate dalle differenti quote della roccia. Dall’esterno si poteva accedere in modo indipendente a ciascuno dei tre piani: al superiore, quello residenziale, dall’estremità meridionale, dove era l’ingresso principale dell’edificio, qui costruito su un unico livello; al medio tramite il vano 48b da cui uno stretto taglio nella roccia permetteva l’entrata al criptoportico; all’inferiore, attraverso il vano 23, posto nell’angolo occidentale dell’avancorpo settentrionale e che costituiva un grandioso accesso con rampa rivolto verso il lago. Dovevano esservi poi all’interno dell’edificio possibilità di passaggio da un livello all’altro, anche se oggi non sono più documentate scale, salvo le lunghe rampe (3-6) sui lati ovest e est dell’avancorpo nord, che portavano dal piano intermedio a quello inferiore e la più breve rampa (23) che portava all’esterno dell’edificio.
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Pianta della villa, Orti Manara, tav. II, 1856
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Ciò che è rimasto fa parte del livello più basso della villa, quello immediatamente sottostante le stanze principali. La parte più importante della villa, quella a livello dell’uliveto, è andata distrutta in quanto le pareti vennero smantellate per ottenere materiale edile ed il terrazzo spianato per essere usato come terreno agricolo. Parte della fondazioni sono però tutt’oggi reperibili all’estremità a sud, per 30-40 centimetri, a testimonianza di una ricostruzione pressoché vicina all’originale. È tuttavia possibile leggere nelle sue linee fondamentali la planimetria dell’edificio antico, caratterizzato lungo i lati lunghi quasi esclusivamente da passeggiate scoperte e coperte (ambulationes), mi lati brevi dei settori residenziali. Al centro era un grande spazio aperto rettan- golare, altri ambienti di più piccole dimensioni, si trovavano nella parte centrale dei due settori residenziali, a sud e a nord. La veduta esterna della villa era caratterizzata dalla base possente dell’edificio, alleggerita dalla sequenza dei fornici sui lati occidentale e settentrionale e, al piano superiore, dai lunghi porticati a ovest, a nord e a est. La costruzione che occupava una grande superficie presentava quindi nel profilo esterno e nel suo corpo vasti spazi aperti o semiaperti che rendevano meno massiccia la mole dell’edificio. I vani residenziali del piano nobile si riducevano a dimensioni relativamente piccole, circa un sesto dell’intero edificio, come se la villa fosse stata creata soprattutto per utilizzare gli spazi aperti e semiaperti. Alcuni vani residenziali, a giudicare dalla presenza al momento dello scavo di intonaci dipinti, dovevano trovarsi al piano intermedio: questo livello e quello inferiore dovevano essere utilizzati soprattutto per spazi di servizio. La tecnica muraria e i materiali usati nelle diverse parti della villa corrispondono a criteri di economia del lavoro e di rendimento in opera. Mentre nella parte centrale del settore meridionale, come si è detto, le murature sono in ciottoli, frammenti laterizi e scaglie di pietra (calcare marnoso), nel resto dell’edificio sono costruite quasi esclusivamente con scaglie di pietra, provenienti dai tagli della roccia operati nell’area 112
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Piante dei piani inferiore, intermedio e superiore
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stessa della villa. I piedritti degli ambienti di sostruzione, gli stipiti delle porte e delle finestre sono costituiti da filari di scaglie e mattoni alternati: questi ultimi permettevano di regolarizzare i piani di posa delle murature e quindi di garantire una maggiore sicurezza dal punto di vista statico nei punti di maggiore sollecitazione meccanica. Nel solo settore termale si è fatto uso per alcune parti esclusivamente di laterizi, materiale più adatto per mantenere alte temperature. Per le volte si è usato un calcare cavernoso, a struttura spugnosa è molto leggera, mentre per gli elementi architettonici è stato utilizzato un calcare compatto con buone qualità meccaniche. Infine per alcune colonne e per i pilastri della parte settentrionale del criptoportico è adottato un calcare nummulitico giallastro, facilmente lavorabile. Tutti i materiali provengono dall’area gardesana ora il territorio veronese e vicentino. Le strutture murarie erano coperte da intonaco di rivestimento, con decorazioni dipinte nei vani residenziali. Resti di intonaco bianco, ancora visibili dopo gli scavi del 1948-51, sulle sostruzioni occidentali suggeriscono un rivestimento di colore chiaro per tutto l’esterno dell’edificio. Lo stesso tipo di intonaco bianco, ben conservato in diversi ambienti al momento dello scavo e ora presente solo in alcuni vani nell’angolo nord occidentale della villa, rivestiva i vani di servizio del piano inferiore e intermedio della villa.
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3.3.3 Il settore meridionale
L’ingresso principale era situato sul lato sud, superato il vestibolo, l’ingresso (largo 4.15 m) era fiancheggiato da due stipiti sporgenti decorati, le cui fondamenta ancora oggi visibili, rivelano due nicchie semicircolari probabilmente destinate ad uso di fontane (54-55). La porta si apriva su un atrium o salone di ricevimenti (E), lungo 34 e largo 33 metri, a forma di T dalla presenza di stanze laterali, il cui lato occidentale includeva una cisterna (50), con pareti in cemento. In fondo a questo salone, una porta larga 3.4 m dava accesso a un tablinum dalla forma quadrata (62). Una nicchia a semicerchio era incorporata nella parete di fronte; da qui, dopo aver attraversato un stanza più piccola, si accedeva a un cortile aperto (N). Gli ambienti successivi si sviluppano simmetrici rispetto all’asse centrale, in realtà le due ali della casa affiancate al tablinum erano diverse nel disegno e probabilmente anche nella funzione (è pervenuta parte della pavimentazione musiva in bianco e nero 88, probabilmente appartenente a una sala da pranzo).
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3.3.4 Il settore centrale e settentrionale
Il cortile era delimitato a nord da un lungo muro con finestre da cui si sarebbe potuto vedere il grande giardino rettangolare con peristilio (C), occupante circa 4000 mq quindi un quinto dell’intera superficie. Il muro di cinta (65) era costituito dal retro del portico che circondava il giardino a cui si poteva accedere da una porta laterale. Sul lato sud del giardino una pavimentazione in opus spicatum1 serviva a coprire una vasta cisterna (66) di 42,60 per 2,40 metri per la raccolta dell’acqua piovana del peristilio (in questa fu trovata la testa marmorea di uno dei Dioscuri2, l’unico frammento superstite delle statue che adornavano il giardino), coperta da un pavimento in piccoli mattoncini rettangolari disposti a spina di pesce. Essa è ancora perfettamente conservata al suo interno, con pavimento in mattoncini rettangolari, volta a botte, rivestimento costituito da uno spesso strato di cocciopesto. Alla cisterna confluivano le acque piovane raccolti dei tetti del peristilio incanalate in condutture di piombo, come dimostra il recente ritrovamento sul lato sud occidentale del pavimento presente sopra la cisterna di parte di una fistula, unico tratto di tubatura non ho asportato in passato. Dal lato nord della stessa pavimentazione a spina di pesce si staccavano quattro canalette, poste a distanza regolare, che proseguivano al di sotto del piano di calpestio antico e che dovevano essere utilizzate forse, data la pendenza, Per portare acqua verso il settore settentrionale centrale del cortile-viridario. Tipo di paramento costituito da laterizi collocati di taglio secondo la disposizione di una lisca di pesce o di una spiga di grano, utilizzata in epoca romana antica. 2 Mitici figli di Zeus (Διὸς κοῦροι), di nome Castore e Polluce, generati insieme con Elena dall’uovo di Leda, congiuntasi con Zeus trasformato in cigno. Compivano le loro gesta sempre uniti: Castore domatore di cavalli, Polluce valente nel pugilato. Ambedue furono considerati divinità benefiche e salvatrici. 1
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Ricostruzione della Villa, Sheila Gibson
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Al centro della pavimentazione a spina di pesce si trova un foro circolare, su cui si impostava probabilmente un pozzo che serviva per attingere l’acqua dalla cisterna. L’uliveto che oggi si trova nel cortile è composto da circa 1500 piante appartenenti alle varietà tradizionali coltivate sul Lago di Garda (Casaliva, Gargnà, Leccino), fra cui sono compresi alcuni esemplari secolari. I più vecchi, la cui età è stata stimata in 400-500 anni, potrebbero essere stati muti testimoni della visita nel marzo 1514 ai resti della villa da parte di Isabella d’Este, moglie del marchese di Mantova Francesco Gonzaga e che volle radunare attorno a sé alcuni dei principali artisti e letterati rinascimentali. Lungo i lati maggiori del giardino si aprivano due esedre da cui partivano due portici (ambulationes) a doppio colonnato con vedute verso il lago, con funzione di collegamento dei due settori residenziali a nord e a sud. Le colonne superstiti sono di due diametri diversi: 60-62 cm nella fila esterna, 45-49 cm nella fila centrale. Il porticato del lato occidentale appoggiava sul criptoportico, lungo 158,80 m. Il porticato orientale invece si trovava già naturalmente al livello residenziale dell’edificio. Solo la sua estremità settentrionale era costruita sull’aula dei tre pilastri (126) che fungeva da sostruzione. È questa una delle realizzazioni di maggiore grandiosità dell’intero complesso: la soluzione adottata permetteva di superare il dislivello della roccia, di realizzare un piano uniforme per la costruzione del loggiato superiore (porticus pensilis) E contemporaneamente di ottenere un vasto spazio chiuso e coperto (ambulatio tecta). Le terrazze avevano pavimenti in mattoncini a spina di pesce, come dimostrano blocchi di pavimentazione crollati all’interno di alcuni dei vani di sostruzione del lato occidentale. Il criptoportico era coperto da una doppia volta a botte appoggiata sui pilastri e sulle arcate che segnavano l’asse longitudinale del lungo vano. I 60 quattro pilastri erano costruiti con materiali diversi, in blocchi di 118
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Foto, Grande oliveto
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calcare bianco, in calcare tenero giallastro e la maggior parte in laterizi, gli archi a tutto sesto hanno un’altezza ricostruibile di 3,50 metri e appoggiavano su capitelli tuscanici di lesena dei pilastri. La diversità dei materiali utilizzati, che potrebbe derivare forse da un riuso di elementi provenienti dalla precedente villa, ha probabilmente anche motivazioni di carattere statico, per cui nel settore settentrionale, dove il criptoportico si sviluppa su ambienti di sostruzione, è stata preferita la pietra tufacea, più leggera, ma comunque atta a sostenere il carico del colonnato del porticato superiore, in questa stessa parte costituito con ogni probabilità da colonne del medesimo materiale o in laterizi. I frammenti delle volte, realizzate in conglomerato di blocchi di calcare spugnoso leggero, conservano ancora in alcuni punti dell’intradosso le impronte della centina. Non sono oggi conservati i resti dell’intonaco, che comunque doveva ricoprire i diversi materiali costruttivi utilizzati. Il problema dell’umidità, comune negli ambienti interrati è qui risolto dalla combinazione di due diversi sistemi, dal rivestimento in cocciopesto sul lato esterno del perimetrale orientale del criptoportico e dalla creazione a est di un corridoio lungo e stretto, una vera intercapedine di areazione che permetteva un isolamento della parete di roccia. Sul lato sud non c’erano sorgenti di luce naturale e si presume che non ci fossero state nemmeno correnti d’aria. Sul lato orientale del criptoportico si aprivano tre esedre, due semicircolari e una quadrangolare al centro, che presentavano ciascuna due pilastri. Questi sostenevano nei primi due casi arcate su cui dovevano poggiare volte a sesto piano semicircolari, nel terzo caso un soffitto piano. All’esterno dei lunghi colonnati superficiali si estendevano dei terrazzi aperti larghi sei metri: a ovest era sostenuto da una serie di arcate (botteghe), a est (102) poggiava sulla roccia (ad eccezione della parte a 120
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Foto, Criptoportico
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nord), entrambi rivestiti in opus spicatum. Il criptoportico immetteva in un lungo corridoio (139), probabilmente munito di una sola fila di colonne essendo la larghezza metà di quella del criptoportico. Nel punto di intersezione vi era un vano (141) probabilmente una diaeta, un salotto con grandi finestre panoramiche sul lago la cui unica sezione superstite oggi va sotto il nome di Grande Pilone. Questa passeggiata attraversava in senso est-ovest la parte settentrionale della villa, costituendo la linea privilegiata di percorrimento nel piano intermedio, lungo l’asse minore. Da questo vano attraverso due rampe parallele (3, 6) si accedeva al livello inferiore dell’avancorpo nord, fino alla spiaggia del lago. Sul lato meridionale del lungo corridoio si aprivano sedici ambienti uguali, fra loro paralleli, con copertura a volte e intonaco parietale dipinto, interpretati come cubicola, forse vani destinati agli ospiti (hospitalia). Alle due estremità, in corrispondenza dell’angolo est e a ovest dell’edificio, si trovavano due stanze belvedere o diatae (140 Trifora del Paradiso), dotate di grandi aperture a tre luci verso il lago. I porticati laterali del piano superiore (104b e 101) proseguivano anche sul lato settentrionale dell’edificio, al di sopra del lungo corridoio, ma qui erano ridotti a una navata unica, pari a quella del vano sottostante, con una larghezza pertanto uguale alla metà rispetto a quella dei porticati orientale e occidentale (porticus simplex). Anche le terrazze laterali (48d e 102b) continuavano sul lato settentrionale della costruzione, prolungandosi nell’avancorpo nord, dove formavano un ampia terrazza rettangolare. A questa si poteva accedere probabilmente da un grande vano centrale, una sala belvedere (D), chiamata Stanza dei Giganti, da cui si accedeva alla terrazza in parte coperta da un velario sulla base del rinvenimento in questa zona di grandi elementi lapidei con foro circolare e del tutto simili a quelli in opera nella parte alta dei muri perimetrali nei teatri e anfiteatri, utilizzati per reggere i pali di sostegno del grande tendaggio orizzontale che proteggeva dal 122
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Foto, Lungo corridoio con cubicula
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sole gli spettatori. Anche in questa parte di villa c’era un cortile (O) analogo a quello all’estremità sud (N), ma più piccolo e minuti di un porticato ad est, sud e ovest. Probabilmente il fronte sud del porticato aveva delle finestre che lasciavano permeare la visuale di tutti gli ambienti della casa: il visitatore, trovandosi nel tablinium, riusciva a godere di una visione ininterrotta dell’intera casa, in tutta la sua lunghezza. Un’ultima caratteristica va sottolineata: sul versante nord-orientale, nel punto in cui l’angolo della villa era volutamente rientrante, la superficie rocciosa era stata livellata e allineata ai muri della casa allo scopo di ottenere un ampio spiazzo (H), chiamato Campo delle Noci, ora tenuto ad uliveto.
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Foto, Giardino dei noci
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3.3.5 Il settore termale
La parte ad ovest del cortile e del tablinium era quasi del tutto occupata da un complesso per bagni. In questo punto il livello della roccia scende e ha reso possibile ottenere una vasca interrata (90) con cisterne sottostanti il pavimento (91). La vasca aveva capacità di 1700 metri cubi d’acqua ed era dotata di gradini che ne facilitavano l’accesso, oggi erosi dal tempo, lungo tutto il perimetro (confusi con gradoni di un “teatro in muratura”). Il fondo della vasca oggi è riconoscibile da una sporgenza sulle pareti in mattoni e dalla presenza nell’angolo nord-ovest di un canale di scorrimento per lo scarico dell’acqua. Il pavimento e le colonne che lo sostenevano sono scomparsi ma sono ancora visibili le dodici aperture arcuate attraverso le quali, sul lato est della vasca, vi è una galleria, probabilmente usata come magazzino del combustibile della caldaia, con un’apertura che dà all’esterno dell’edificio (89). Adiacenti vi erano altre due stanze sempre ad uso di bagni (94-95).
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Foto, Settore termale
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3.4 La villa oggi
3.4.1 L’abbandono dell’area
Le indagini effettuate negli ultimi anni hanno fornito indicazioni per definire la cronologia della costruzione della grande villa romana. Dati significativi per la datazione della villa si ricavano dei frammenti fittili rinvenuti nei messaggi eseguiti al di sotto dei piani dei vani 73, 88 e 111. In tutti e tre i casi gli Stati in cui si sono ritrovati i materiali archeologici erano sigillati da pavimenti sicuramente in fase con le murature della villa. Si tratta di frammenti di ceramica a vernice nera e a pareti sottili, di bicchieri decorati a Kommaregen, di frammenti di coppe tipo Sarius Surus, di frammenti di lucerne di ceramica come in particolare di olle a labbro alto e svasato. Sono databili ad età augustea con una continuità di uso sino ai primi decenni del I secolo d.C. Si tratta naturalmente di elementi che forniscono una cronologia post quem, anche se, per l’omogeneità di materiali e per il ristretto arco cronologico da essi coperto, si può proporre una datazione di massima per la formazione degli strati archeologici entro i due termini temporali sopra segnalati. Ulteriori indicazioni cronologiche concordanti con quelle sopra proposte vengono dalle caratteristiche tecniche e tipologiche dell’edificio, dai pochi resti musivi conservatisi nel settore meridionale, dai numerosissimi frammenti di intonaco parietale alcuni di notevole livello, attribuibili in gran parte al terzo stile, dai frammenti di decorazione architettonica. La villa nell’ambito dell’architettura residenziale dell’Italia settentrionale rappresenta un caso isolato per le dimensioni e per la grandiosità delle soluzioni strutturali adottate. Anche l’apparato architettonico decorativo della villa doveva essere di notevole qualità, a giudicare almeno da quanto è rimasto. Mentre si è conservato un unico pezzo scultoreo, la testa di Dioscuro più sopra citata, moltissimi sono i frammenti di
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stucchi e di decorazioni pittorica parietali rinvenuti negli scavi. I confronti che possono essere istituiti per l’edificio richiamano per le caratteristiche planimetriche o per le soluzioni architettoniche adottate villa e dell’area campano-laziale datate fra il I secolo a.C. e l’età tiberiana. L’edificio di Sirmione è del tipo “a blocco” chiuso su sostruzioni e articolato intorno a un peristilium. La villa di Quintilio Varo a Tivoli della fine dell’età repubblicana, racchiusa in un grande rettangolo distribuito su tre terrazze con un avancorpo sulla punta della collina, aperto sui tre lati di maggiore visuale appare un antecedente che viene riproposto con simili caratteristiche nella seconda fase della villa di Pompeo ad Albano Laziale (metà I secolo a.C.), ugualmente è disposto su più terrazze, con lunghi corridoi laterali e con analoga posizione avanzata di una parte dell’edificio in posizione panoramica. Ma la villa di Sirmione trova confronti, pur nella diversità della tipologia architettonica, anche con villae maritimae sviluppate su nuclei sparsi disposti su terrazze e collegati fra loro. Nell’edificio principale della villa sul Capo di Massa presso Sorrento, di età augustea-tiberiana, la conformazione rettangolo dell’area destinata giardino, con avancorpo settentrionale che sorregge una terrazza prospiciente il mare con vista sui tre lati, il lungo porticato sul lato occidentale, presentano forti affinità con la villa benacense. Così pure nella villa del Capo di Sorrento, di età augustea, il corpo centrale ha caratteristiche planimetriche vicine all’edificio delle Grotte di Catullo. Questi e ulteriori confronti che possono essere istituiti con costruzioni dell’area centro-italica, insieme ai dati sopra esposti specifici per la villa di Sirmione, concorrono a proporre per la sua costruzione una cronologia ad età augustea. Una fase successiva che vede il rifacimento di una parte della villa con la creazione del settore termale può essere datata, come si è visto, alla fine del I-II secolo d.C. Per il cattivo stato di conservazione delle strutture del piano residenziale e per la scarsità dei dati ricavabili dallo sca130
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Prospetto nord e sud, Orti Manara, tav. III, 1856
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vo dei resti archeologici del medesimo livello, è difficile riconoscere se ulteriori interventi abbiano interessato nello stesso periodo altre parti dell’edificio o individuare fasi di ristrutturazione anteriori o posteriori a questa. L’impressione comunque che si ricava dall’analisi di quanto è conservato è quella di una precoce distruzione dell’edificio, senza che siano stati realizzati rifacimenti o modifiche di largo respiro in periodi posteriori. Nelle vecchie indagini sono state evidenziate sicure tracce di almeno due incendi, che documentano momenti di distruzione dell’edificio, ma non ne è stata individuata la cronologia assoluta. Allo stato attuale non vi sono elementi per identificare i proprietari dell’edificio. Anche il recente tentativo di attribuire la villa alla famiglia dei Valerii e più tardi a quella dei Nonii, per quanto affascinante, resta a livello di semplice ipotesi, mancando qualsiasi elemento sicuro di prova. Di certo l’edificio doveva appartenere a una famiglia di rango sociale elevato e la sua costruzione fu certamente voluta da un esponente di spicco della società veronese di età augustea. Di non facile lettura sono anche le vicende subite dall’edificio in età tardoromana. Tra la metà del IV e gli inizi del V secolo si insedia nell’area della villa una vasta necropoli. Numerose sepolture sono state scoperte nei vecchi scavi: diciotto tombe sono state messe in luce nelle recenti indagini del settore meridionale. Sulla base dei corredi rinvenuti è possibile ipotizzare fra gli inumati l’esistenza di militari; le analisi osteologiche hanno dimostrato anche la presenza di individui di sesso femminile e di bambini. Le sepolture sono scavate entro strati di crollo o su piani pavimentali già molto degradati o quasi totalmente asportati; talora sono utilizzati nelle strutture tombali elementi prelevati dalle murature della villa. In questo momento l’edificio doveva essere quindi da tempo in stato di abbandono, già in buona parte demolito e divenuto oggetto di asportazioni dei materiali riutilizzabili in altre costruzioni. Quest’ultimo dato è confermato dalla scoperta nello scavo di via Antiche Mura a Sirmione di un capitello corinzio non finito con sicurezza proveniente dalla grande villa delle Grotte di Catullo, dove sono stati rinvenuti altri otto 132
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Foto, Prospetti nord e ovest dal lago
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esemplari integri, identici nelle misure delle caratteristiche della lavorazione, oltre a numerosi frammenti dello stesso tipo di capitello. L’esemplare riutilizzato in via Antiche Mura appartiene a una fase dell’edificio datata al III, inizi IV secolo, per cui si deve presumere che già in questo periodo la villa fosse in rovina, ormai oggetto di spoglio delle sue parti decorative. Si può ipotizzare che un evento traumatico abbia determinato il crollo totale o parziale della villa già nel III secolo e che da tale epoca cessi la funzionalità dell’edificio senza che vengano effettuati rifacimenti o restauri per riportare in uso le strutture degradate. Non è possibile accertare a quali vicende storiche sia da collegare la rovina dell’edificio. Alla base della penisola di Sirmione si trova l’importante via di comunicazione, che collegava Milano a Brescia e Verona e che assume rilevanza notevole soprattutto in età tardoromana. A Verona si immetteva nella Postumia, la strada che permetteva di raggiungere Aquileia e le province danubiane e illiriche. Questo percorso divenne la via privilegiata dagli eserciti in età tardoantica e fu probabilmente l’itinerario seguito dagli Alamanni in una delle incursioni operate nella pianura padana; nel 268 Claudio il Gotico fermò la seconda invasione degli Alamanni proprio presso il lago di Garda. Anche se in via di semplice ipotesi non pare da escludere che proprio a questi momenti si possa far risalire la distruzione violenta della villa. Il successivo abbandono dell’edificio, con una situazione totalmente diversa rispetto a quella delle altre ville gardesane e della vicina villa di via Antiche Mura, che hanno avuto fase di grande splendore nel IV-V secolo la penisola di Sirmione è interessata dalla costruzione di una cinta di fortificazioni che riguarda in una prima fase solo la parte settentrionale della penisola stessa. Le mura, di cui si conservano imponenti resti, si collegano alle due estremità nord-ovest e sud-ovest della villa romana, che si trasforma così in parte integrante della struttura difensiva, inglobata entro la cinta medesima, di cui diventa a nord la parte estrema, con i suoi perimetrali settentrionale e orientale. 134
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Il rinvenimento nei vecchi scavi di monete di IV secolo e di numerosa ceramica di IV-V secolo dimostra una frequentazione non sporadica della zona della villa in questo periodo. Nel recente scavo del vano 111 si è potuto documentare un utilizzo dell’ambiente in età tardoromana-altomedievale e ancora in età bassomedievale. L’ubicazione delle tombe indica che una parte abbastanza vasta della villa era usata fra la metà del IV e gli inizi del V secolo come necropoli, probabilmente dalla stessa popolazione che si era stabilita nella zona. È probabile che la parte settentrionale dell’edificio, dove le mura del livello intermedio o delle sostruzioni erano ancora parzialmente conservate in elevato o dotate di copertura, forse quella interessata dall’insediamento. Oltre ad alcuni oggetti presenti nei corredi tombali che possono essere riferiti all’abbigliamento militare, il rinvenimento di alcune cuspidi di freccia e soprattutto di una fibula in bronzo dorato, un tipo che pare esclusivo dell’abbigliamento di funzionari civili di alto rango, ma soprattutto di militari di livello elevato, induce a ritenere che l’area fosse divenuta un caposaldo collegato al sistema difensivo della penisola di Sirmione. In un momento successivo, nel corso del VI e VII secolo, alcune tombe isolate e materiali provenienti in prevalenza dai vecchi scavi documentano ancora una sporadica frequentazione dell’area della villa, mentre l’abitato altomedievale, con la necropoli e gli edifici religiosi, si costituì più a sud, nell’area occupata dall’attuale centro storico della cittadina di Sirmione.
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3.4.2 Il percorso di visita
A lato dell’ingresso della zona archeologica, sulla destra, si trova il Museo che raccoglie i resti più importanti ritrovati in situ. Percorrendo il vialetto situato a destra si arriva, poco dopo, svoltando di nuovo a destra, in leggera salita, in vista di grandi muri a pettine, resti delle sostruzioni occidentali dell’edificio, le cosiddette botteghe (28-48). Osservando verso sinistra, il visitatore coglierà con immediatezza il tentativo di superare il dislivello del terreno mediante questi ambienti, in origine con copertura a volta in tufo, di cui si osservano grossi blocchi crollati a terra, con parte della pavimentazione in cocciopesto relativa al piano superiore. Salendo, a destra, alcuni gradini di una breve scaletta, ci si porta già alla quota del piano nobile della villa. Si può osservare così dall’alto il doppio criptoportico (104a), un lungo ambiente, in origine coperto con grandi volte a botte, delle quali sono rimaste a terra, sul lato nord-orientale, vaste parti. Al centro, alcuni dei pilastri centrali rialzati nel restauro del 1954, sui quali poggiavano le volte che sostenevano il lungo porticato superiore, aperto con un colonnato verso occidente. La visione d’insieme di cui si può godere dall’alto dell’estremità meridionale dà un’idea dell’imponenza del complesso, utilizzato per passeggiate coperte. È ben visibile, su questo lato, il taglio della roccia operato nell’antichità per uniformare il piano del criptoportico che invece, sul lato opposto, a causa del dislivello del terreno appoggia sopra alcuni ambienti voltati. Girando a sinistra, si arriva immediatamente al settore termale della villa, che si trova al livello del loggiato un tempo esistente sopra il criptoportico.
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Il primo ambiente è costituito dalla cosiddetta piscina, ottenuta scavando la roccia (90); il pavimento originale, probabilmente in mattoni, si trovava all’altezza della risega ed era sostenuto da pilastrini. Attraverso i fornici presenti sui quattro lati, in comunicazione con l’intercapedine che gira intorno al vano, penetrava sotto il pavimento l’aria calda, ottenuta dalla combustione di legname, operazione effettuata probabilmente negli ambienti a nord della piscina. Non tutti gli studiosi sono d’accordo sull’identificazione dell’ambiente come tepidarium: è stato variatamente interpretato anche come bagno di fango o sabbia calda o come luogo di custodia per animali o, infine, come vivaio per pesci. L’ipotesi più attendibile, nonostante il vano presenti scarsi termini di confronto con impianti simili, resta quella dell’ambiente termale, anche se vi compaiono caratteristiche proprie della natatio. Oltre la piscina si trova il criptoportico degli stucchi (89), un lungo ambiente con volta a botte, destinato a sorreggere i due vani: quello a nord absidato, con vasche rettangolari sul lato meridionale, forse il calidarium (95) e quello a sud, posto a una quota leggermente superiore (94). Si salgono alcuni gradini: a destra si trova il cosiddetto bagno (50), una cisterna per l’acqua in solida opera cementizia, rivestita all’interno in cocciopesto, rimasta oggi isolata, ma in origine inglobata negli ambienti qui esistenti, che facevano parte del lato occidentale dell’avancorpo nord della villa, con l’ingresso principale (E). Altre cisterne poste a nord della piscina (91a-b) servivano probabilmente alle necessità della zona termale. Seguendo il vialetto si entra nel settore meridionale dell’edificio, conservato in modo molto parziale e ancora quasi totalmente interrato. Qui si trovava, al di là dell’ingresso e di un ampio atrio, una parte del quartiere residenziale del proprietario della villa. Sul terreno sono visibili scarsi resti, come, all’estrema destra, limite di due fontane che fiancheggiavano il portale di ingresso (53) e, alla sinistra del visitatore, nella zona attualmente recintata, due esedre, parte di un ambiente non totalmente scavato (63-64). 137
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Questa area fu indagata in modo disorganico in passato con alcuni saggi di scavo. È in questa zona che negli ultimi anni sono riprese le indagini. È stato messo completamente in luce un vasto ambiente (88) che si attraversa per mezzo di una passerella posta nella sua parte meridionale. A destra, a una quota più bassa rispetto al passaggio per il pubblico, si trova il muro di chiusura del vano parzialmente crollato: esso fungeva anche da muro di terrazzamento e di chiusura del settore meridionale della villa. Il visitatore si trova ora nel grande oliveto: in origine qui era il giardino della villa (C), circondato sui dati da porticati. L’ampio viridario presenta all’estremità sud un pavimento rettangolare in mattoncini a spina di pesce. Estro copre una cisterna (66), utilizzata come conserva per l’acqua piovana, che veniva prelevata attraverso pozzi. La cisterne è ancora in perfette condizioni: compiendo una breve deviazione a sinistra, si può vedere la pavimentazione in opus spicatum e, attraverso un ampio squarcio, parte del vano sotterraneo. Si prosegue quindi il cammino lungo il vialetto posto in corrispondenza dell’estremità orientale della villa, attualmente interrata, a eccezione dell’ambiente 102a, che appar- tiene tuttavia al piano inferiore. Ovest del vialetto si trovava in origine un porticato, aperto verso il lago (101): correva su tutto questo lato e corrispondeva a quello presente, sul lato opposto, sopra il doppio criptoportico (104b). Il porticato continua anche al di sopra dell’ambiente 126, l’aula a tre pilastri. In questa, originariamente a due piani, forse con l’impalcato ligneo, nel 1956-57 è stato rinvenuto uno scarico di frammenti pittorici che sono fra i più importanti trovati nella villa. L’ambiente superiore prendeva luce dalle finestre a bocca di lupo, poste sul lato orientale. Anche i vani a ovest dell’aula a tre pilastri erano probabilmente a due piani, sotto il livello del piano nobile. Proseguendo lungo il vialetto si ha una completa veduta del lato settentrionale della villa. A destra si trova un tratto della volta che copriva il lungo corridoio e più oltre parte del piano sopra le volte delle sostru138
CAPITOLO III - LE GROTTE DI CATULLO
zioni dell’avancorpo nord. A questo livello sono stati trovati resti del pavimento in mattoncini a spina di pesce, comuni a molti dei vani aperti o porticati della villa. Al centro sia una chiara visione di tutto l’avancorpo nord, con il lungo corridoio (139), l’Aula dei giganti (D-D1), fiancheggiata dai due corridoi laterali a rampe (3, 6). Si prosegue scendendo per alcune scalette e attraversando diversi ambienti, fra cui uno con resti di pittura parietale (107) , Sino al livello inferiore e, girando a destra per due stretti ambienti (138), si arriva al lungo corridoio (139), fiancheggiato a destra da una serie di piccoli vani, in origine con copertura a volta e pareti dipinte, forse cubicoli o stanze per gli ospiti. Si percorre lungo corridoio sino alla sua estremità orientale, dove si trovava un ampio vano di soggiorno, con finestra trifora, di cui oggi si conserva solo la parte inferiore: da essa si può godere di un bellissimo panorama verso il lago (140). Al vano si accedeva in passato attraverso la sostruzione posta alla sinistra di esso. Tornando indietro per un breve tratto del lungo corridoio, si svolta a destra, scendendo verso il lago, attraverso la scala a rampe orientale (6). Questa era coperta originariamente da volta a botte e fiancheggiata, sul lato occidentale, da alcuni vani. L’ultimo dei quali comunicante con l’Aula dei giganti (D-D1), sul lato orientale dalle sostruzioni, nelle quali erano aperte le finestre necessarie all’illuminazione del corridoio di discesa. Nella parte più bassa si trovano tre archi con stipiti in mattoni, collegati a muri traversi. Alla fine della scala, scendendo alcuni gradini in legno e girando a destra, si arriva al Campo delle noci (H), Uno dei luoghi più suggestivi dell’intera visita alla zona archeologica. Si ha qui una visione globale del settore nord-est, in cui le sostruzioni raggiungono la massima altezza. Sono impostate sopra la roccia, tagliata artificialmente per ben sei metri. Le volte in tufo sono ancora conservate, mentre le grandi finestre che danno luce gli ambienti interni sono state restaurate nel 1939-40.
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Risalendo i gradini della scaletta in legno e svoltando immediatamente a destra si attraversano alcuni ambienti, costituenti la base delle sostruzioni centrali dell’avancorpo della villa. I due grandi vani, che si vedono a sinistra, in origine erano coperti da una volta a botte (D-D1). Il nome di Aula dei giganti deriva da grandi blocchi in tufo, pertinenti agli archi e alle volte, caduti a terra, che danno un’idea di imponenza dell’ambiente. I due vani sostenevano una vasta terrazza, di cui si conserva terra parte della pavimentazione a spina di pesce. Sono visibili anche i grandi conci in pietra pertinenti alle arcate e gli elementi con foro circolare, utilizzati probabilmente per il funzionamento del velario che copriva la terrazza. Sulla parete di fondo dell’ambiente D1, come in altri punti della villa, sono visibili tagli pentagonali, poi tamponati da murature. Si è supposto che fossero stati utilizzati durante la costruzione per rendere più semplice il passaggio dei materiali occorrenti, da una zona all’altra della villa. I fori quadrangolari che si vedono su tutti i muri dell’edificio sono relativi alle impalcature create durante la costruzione e nascoste e poi dall’intonaco. In alcuni casi si riferiscono invece a fori per travi. Infine, si gira, a sinistra, risalendo la scala della rampa occidentale (3), parallela a quella precedentemente descritta. Poco oltre la metà, sulla destra, attraverso un arco e resti della volta, si vede l’originario ingresso della villa verso il lago. Proseguendo, si arriva di nuovo al lungo corridoio che si attraversa per portarsi, attraverso l’ambiente 49, nel doppio criptoportico (104a), che si è già visto dall’alto, dal lato opposto. Lo si percorre, notando, a sinistra, grossi blocchi delle volte crollate e, in vari punti, elementi architettonici facenti parte dei colonnati della terrazza superiore. A sinistra si vedono le nicchie semicircolari e quella rettangolare. Poco oltre la metà del criptoportico, salendo, a destra, una breve scaletta tagliata in antico nella roccia, si esce dalla villa. Si può ora completare il percorso di visita, vedendo la zona nord-occidentale dell’edificio. Girando a destra si percorre un vialetto che fiancheggia le cosiddette botteghe (28-48), le sostruzioni occidentali, di 140
CAPITOLO III - LE GROTTE DI CATULLO
altezza variabile secondo il piano della roccia. Quasi alla fine di esse, svoltando a destra attraverso un varco moderno si entra di nuovo, per un breve tratto, nella villa. Si vedono così alcuni ambienti, probabili vani di servizio, che conservano ancora la volta originaria. Quello meglio conservato è costituito dalla Grotta del cavallo (142), una grande aula a volta che sorregge il primo tratto del lungo corridoio (139), fiancheggiata da altri ambienti. Illuminata da una finestra aperta in una delle sostruzioni, era utilizzata probabilmente come cantina o vano di servizio. Il nome curioso è già ricordato dall’Orti Manara, che lo considera derivato dal fatto che gli animali di simil genere che si pascono nel monte trovano in esso ricetto. I tre pilastri presenti davanti a questo ambiente suggeriscono la presenza di sei archi. Dopo aver osservato dall’esterno la Grotta del cavallo, si gira a sinistra scendendo una doppia scaletta. Da qui si può arrivare alla spiaggia sul lago o, girando a sinistra, superare l’angolo nord-ovest della villa, passando a lato del Grande pilone, un tratto di muro isolato, corrispondente a quello opposto della Trifora del paradiso. Prendendo il vialetto che porta all’uscita, si possono osservare più avanti, a sinistra, I resti del muro di fortificazione altomedievale, con nucleo in scaglie di pietra disposti a spina di pesce: esso circondava tutta la penisola e si collegava con gli angoli nord-ovest e sud-ovest della villa inglobandola nel sistema difensivo del borgo.
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3.4.3 Il museo e la sua collezione
Un’esemplificazione dei diversi materiali rinvenuti nel corso degli scavi della villa è accolta nel museo costruito nel 1959. Esternamente, accanto all’ingresso principale, si trova un capitello corinzio a foglie lisce, in pietra locale, pertinente a uno dei porticati della villa. Nella prima sala, al di sopra della vetrina, sono esposte le riproduzioni di alcune antiche stampe e planimetrie della villa e citazioni tratte dai resoconti dei viaggiatori che nel corso degli ultimi secoli hanno visitato le Grotte di Catullo. Alcune fotografie documentano le prime fasi dei restauri e degli scavi della villa. A lato dell’ingresso è esposta l’unica scultura proveniente dalla zona archeologica: si tratta della testa di uno dei Dioscuri, rinvenuta nel 1941, durante lo scavo della grande cisterna (66). Spezzata all’attacco del collo, è riconoscibile dal caratteristico copricapo conico, il pilos, da cui fuoriescono i capelli ricciuti. I Dioscuri, Castore e Polluce, figli di Zeus e Leda, rappresentati sempre in coppia, erano protettori dei naviganti, ma anche dei viaggi, del commercio e dell’ospitalità. Si tratta di una copia di età romana, derivata da modelli ellenistici. A destra si trova il pavimento mosaico bianco-nero, decorato a pelte, con incorniciatura costituita da triangoli a scala e fasce di diversa dimensione, rinvenuto nell’ambiente absidato a est della piscina (95). Nelle vetrine sono raccolti i materiali di vario tipo, provenienti dalla villa. All’estremità destra si trova una selezione delle circa 140 monete rinvenute durante gli scavi. Fra quelle più antiche, un denario d’argento del triumviro monetale L. Furius Brocchus (64-50 a.C.) e un asse di Ottaviano Augusto (23 a.C.); numerose le monete di IV secolo, che risultano quelle maggiormente documentate. È esposto anche il ripostiglio di IV secolo, costituito da 43 monete, rinvenuto nel 1952 nella zona occidentale della villa. Nello scomparto successivo sono presenti oggetti metallici. 142
CAPITOLO III - LE GROTTE DI CATULLO
Ritrovamenti archeologici, Orti Manara, tav. III, 1856
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Fra questi alcuni di corredo personale, come diversi braccialetti a testa di serpente, databili al IV-V secolo d.C., rinvenuti in tombe situate nell’area meridionale della villa, testimonianti l’abbandono dell’edificio, probabilmente è già distrutto in questo periodo. Anche una bella fibula a croce latina in bronzo dorato, ugualmente databilie a età tardo-romana (prima metà V secolo d.C.), potrebbe provenire dalle medesime tombe. All’inizio dell’età imperiale appartengono invece altre due fibule in bronzo del tipo Aucissa; alcuni elementi di cardini e tre cerniere in bronzo, pertinenti a porte a battente ripiegabili, rinvenuti nell’aula a tre pilastri (126), si trovano nella successiva vetrina. Più avanti sono conservati frammenti di stucco riferibili in parte al rivestimento di colonne in cotto e a cornici, in parte a decorazioni parietali. La maggior parte di questi ultimi è stata rinvenuta nel criptoportico degli stucchi (89), ed è pertinente a uno o più ambienti del complesso termale. Presentano motivi vegetali e parti figurate con un rilievo eseguito, in alcuni casi, con notevole raffinatezza. Un frammento conserva, posteriormente, tracce dell’incannicciata su cui era applicato, due recano il disegno preparatorio di colore rosso bruno, eseguito con rapido tratto, raffigurante probabilmente un cigno è un motivo a ovoli. Ma le testimonianze archeologiche di maggior interesse presenti in questa sala, come nella successiva, sono i frammenti di pittura parietale, alcuni dei quali sono stati ricomposti in pannelli. Il frammento più noto, sicuramente uno fra quelli di maggior qualità, è un paesaggio marino, con una barca vela che si avvicina alla riva rocciosa, dove si trovano figure intente alla pesca; sullo sfondo una barca a remi si va a allontanando. Questo frammento, come altri due su fondo azzurro, rappresentanti una figura virile togata con velumen, da identificare con un poeta, è un palestrita che si deterge il sudore con lo strigile accanto a una figura maschile con barba, erano parte di più complessi sistemi parietali, di cui costituivano i quadri centrali: sono stati rinvenuti tutti nello scavo dell’aula a tre pilastri (126).
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CAPITOLO III - LE GROTTE DI CATULLO
Frammenti di decorazioni parietali in mostra al museo archeologico della Villa
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ADDITIO
Altri frammenti di intonaco dipinto mostrano scene di paesaggio di genere (forse scene di sacrificio), figure umane (una suonatrice di cetra, un personaggio femminile in piedi su un capitello, con ampio manto), uccelli, grappoli di uva, frutta, una maschera appesa a un nastro pendente su una cornice. Alcuni di questi provengono dal lungo corridoio e dagli ambienti vicini. I due grandi pannelli ricomposti sulla parete sinistra rappresentano l’uno, su fondo nero, un’edicola a campo azzurro con elementi architettonici di tono più chiaro, L’altro un più complesso sistema decorativo con edicola centrale. In quest’ultimo vari elementi della rappresentazione escono completamente dagli schemi noti della pittura parietale romana e pompeiana, come la decorazione interna del timpano dell’edicola centrale con palmetta e cigni e le due figure femminili semi sdraiate sugli spioventi del timpano stesso. Nella seconda sala sono esposti altri pannelli. Sopra la vetrina vi è la parte rincomposta di un soffitto, con lacunari in prospettiva e, in alto, riquadri entro cornice, con rosoni alternati a teste diademate. A sinistra si trovano parti di inquadrature di porte o finestre, con motivi decorativi a fasce su fondo scuro; a destra un pannello composto da un lungo e sottile stelo con piccole foglie e gemme che gira intorno a un elemento verticale, parte dell’unico tratto di parete intonacata ancora presente nell’ambiente (107). La decorazione pittorica della villa, costituita da diverse migliaia di frammenti in corso di studio e di restauro, appare, alla luce di uno studio preliminare recentemente pubblicato, riferibile in prevalenza al III stile e databile ai primi decenni del I secolo d.C. I frammenti pittorici costituiscono indubbiamente uno dei complessi di maggiore importanza nell’ambito della pittura dell’Italia settentrionale. La vetrina della seconda sala è dedicata alle varie tipologie di oggetti fittili rinvenuti negli scavi della villa e di recente riesaminati nel loro complesso. Si tratta di piatti, coppe, bicchieri, tegami, frammenti di anfore, di pentole e di altri recipienti di forma chiusa, costituenti parte del 146
CAPITOLO III - LE GROTTE DI CATULLO
vasellame da mensa o da cucina utilizzato dagli ambienti della villa. La scelta, in assenza di dati stratigrafici, si è fondata su basi tipologiche, con lo scopo di fornire un panorama il più possibile completo, che possa documentare le fasi di vita dell’edificio. Agli sporadici frammenti riferibili all’età del Bronzo, testimoni delle più antiche presenze nella zona, seguono i materiali di età tardorepubblicana e augusteo-tiberiana, contemporanei ai primi periodi di vita della villa (ceramica vernice nera, a vernice rossa interna, terra sigillata di produzione nord-italica, ceramica a pareti sottili). Sono esposte inoltre lucerne di diversa epoca (I secolo a.C., IV/V secolo d.C.) e un balsamario in vetro giallo. Più avanti si trovano i frammenti di anfore e di vasi in ceramica comune (olpi, anfore di uso domestico) e infine tegami e pentole da fuoco, alcune quasi integralmente ricomposte. Da ultimo sono presenti frammenti di ceramica grezza bassomedievale (XII-XIV secolo) e di ceramica ingubbiata graffiata e dipinta (XVI-XVII secolo), che documentano la successiva frequentazione di quest’area, utilizzata probabilmente è solo a fini agricoli.
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CAPITOLO IV IL PROGETTO
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ADDITIO
Processo di costruzione geometrica del concept
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CAPITOLO IV - IL PROGETTO
4.1 Obiettivi del progetto e strategie di intervento
L’analisi storica dell’area rafforza l’immagine di questo luogo in quanto unione di due elementi in forte relazione tra loro: l’Architettura e il Paesaggio naturale su cui la prima si poggia; dialogo fortemente sensoriale, che porta a intuire nella contemporaneità la sua importanza e ricchezza concettuale che sono rimaste immutate nel tempo. Spesso se si è sulla spiaggia del lago non si percepisce la presenza della Villa, la natura le è cresciuta sopra, ai lati, tutto attorno e ne ha rimarcato il suo forte aspetto bucolico, la sua eterna immagine romantica di rovina violata dal trascorrere del tempo. La posizione su cui si erge la Villa è strategica, a metà tra la città e il lago, tra cielo e terra, all’estremità nord della penisola, punto di vista privilegiato di cui ne gode l’occhio del visitatore. La prima cosa che si nota visitandola è il verde e il blu intorno e, nell’intraprendere i primi passi verso la progettazione dell’intervento, si è voluto fissare l’obiettivo principale di rispetto del binomio Architettura-Natura: il nuovo viene accostato e non prevale nel paesaggio esistente. Per Natura si intende anche la forte e complessa identità topografica, la roccia, le stratificazioni, le geometrie delle rovine ai vari piani fino al raggiungimento dell’acqua. Immutata nella storia è la percezione costante che l’occhio ha della Natura, quando il visitatore, trovandosi nel tablinium d’ingresso, riusciva a godere di una visione ininterrotta dell’intera casa, in tutta la sua lunghezza, fino al blu del lago. Come nel progetto, il riconoscimento del blu è costante e il punto di vista inquadra sempre il lago. La scelta di lavorare sul lato nord-orientale è motivata dall’intenzione di evocare un’architettura che non esiste più, che c’era, è stata studiata e
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rilevata, ma non tornerà mai al suo stato originale: il portico, il peristilio che recingeva l’uliveto centrale della Villa e che, nel caso del fronte nord-est era percepito come primo elemento di presenza antropica venendo dal lago. L’elemento generatore di tutta l’idea è stato quindi il colonnato che per 150 metri (a confronto con i 167,5 metri del lato lungo della villa) riveste l’intero lato maggiore della Villa che resta. Per tipologia, il colonnato ha forma allungata ed è quindi stato deciso di appoggiarlo parzialmente al gradino di roccia formatosi al livello sottostante l’uliveto, il livello che nel lato ovest appartiene al criptoportico. Il progetto prevede l’aggiunta di un modulo di 10 metri, misura dell’ormai distrutto portico soprastante, al fianco orientale, traslando leggermente l’asse perfetto su cui la Villa è stata costruita in antichità. È stata successivamente stabilita una griglia ortogonale bidimensionale seguendo un modulo dettato dalle unità di misura romane (1 piede romano corrisponde a 0,2965 metri), che nella Villa funzionano come generatrici dei cubicula a nord e delle botteghe a ovest. Sul prolungamento della griglia sono stati pensati dei moli che si protendono verso il lago. Gli unici elementi organici, la torretta e l’hortus conclusus, sono nati dalla misura dell’addizione o dal suo raddoppio e si collocano a chiusura del porticus. Infine le stanze della galleria si generano dal prolungamento degli assi provenienti dalle esedre e dalle nicchie poste lungo il criptoportico del settore occidentale. Il risultato è la compresenza simultanea di allineamenti e segni sovrapposti ad una matrice geometrica unita a un abile controllo delle proporzioni che non distrugge l’armonia formale e costruttiva della Villa esistente. Al tempo di costruzione della Villa, la pendenza naturale del terreno, progressiva verso nord-ovest, con un’inclinazione del piano roccioso 152
CAPITOLO IV - IL PROGETTO
Porzione di prospetto nord-est
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di circa 15 metri fu eliminata dalla presenza di strutture di sostegno, alte sostruzioni (basis villae) su cui poggiavano i lati nord e nord-ovest dell’edificio; si viene così a creare una divisione netta della Villa che passa per l’esatta diagonale e che divide la parte sostruita e dalla parte superficiale. Inoltre dai rinvenimenti di alcune porzioni di fortificazioni tardo antiche della città di Sirmione è nata l’idea di completare il lato nord-est di un fronte, un muro abitato che si aggrappa al pendio senza nasconderlo, sorretto da contrafforti che scendono sulla roccia e si poggiano tra la vegetazione che vi è cresciuta sopra. Il titolo del progetto è Additio, dal latino addizione, aggiunta, riferito a un’espansione di quello che già esiste, in questo caso della rovina. Ciò ha significato pensare a nuovi strati di interpretazione geometrica e materica, in cui la natura con la sua topografia è diventata elemento progettuale.
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CAPITOLO IV - IL PROGETTO
Masterplan
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CAPITOLO IV - IL PROGETTO
4.2 Riferimenti progettuali 4.2.1 Il Palazzo Reale di Karl Friedrich Schinkel ad Atene
Dal 1820 e fino al 1830, Karl Frederich Schinkel (1781-1841), architetto alla corte di Prussia, comincia a lavorare attivamente a un Manuale di Architettura, che voleva essere un’opera fondamentale sulla teoria e sulla pratica operativa, e che non riuscirà mai a concludere né a pubblicare. Fanno parte di tale lavoro i cosiddetti Progetti Fantastici, raffigurati esclusivamente con la tecnica pittorica: il progetto della Ricostruzione delle ville di Plinio (1835), la Residenza imperiale a Orianda (1838) e il Palazzo sull’Acropoli di Atene (1834), il più ambizioso di tutti. Quest’ultimo si riferisce al progetto che Schinkel, senza essere mai stato ad Atene, disegnò per Otto di Baviera, figlio di Ludovico I, dopo due anni dalla sua incoronazione a re della nuova Grecia nel 1832, a seguito dell’uscita vittoriosa dalla guerra per l’indipendenza dagli Ottomani. Il progetto non venne mai realizzato a causa della difficile situazione finanziaria in cui si trovava il paese ma l’intervento avrebbe previsto l’abbattimento di un gran numero di costruzioni sull’Acropoli (le tracce della dominazione turca ma anche di quella dello Stato Crociato con l’abbattimento della Torre franca situata accanto ai Propilei), la ricostruzione di un solo elemento antico, l’Athena Promachos di Fidia, lasciando intatti i monumenti superstiti dell’età di Pericle (V secolo a.C.). Tutto avrebbe fatto da sfondo alla costruzione di un grande palazzo che inglobasse il Partenone nei suoi giardini. Particolarmente realistici sono i prospetti sud e ovest dell’Acropoli, in cui si evidenzia come nessuna parte del Palazzo superi in altezza le rovine del Partenone, disegnati in ogni minimo dettaglio sia in riferimento al costruito che alla vegetazione e al contesto ambientale in cui si poggia. 157
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Il Palazzo si compone di vari corpi di fabbrica con molteplici spazi aperti, quali cortili a peristilio, gallerie, sale e porticati in stile ellenico, tra cui la sala di ricevimento, ubicata nel centro del complesso, rappresentata in una vista prospettica interna. La preesistenza storica non viene toccata e il neoclassico vi cresce attorno con modestia, senza imporre la sua natura. Schinkel mantiene il fronte sud della Colmata Persiana1, e lo occupa costruendo una stoà, un lungo colonnato che serve i cubicula e termina con un elemento circolare, una sorta di torretta d’avvistamento, a chiusura del recinto sacro dell’Acropoli. Le proporzioni dell’insieme, l’equilibrio delle forme e il rispetto della rovina che si intreccia con i tracciati morbidi e fluidi della natura dei luoghi, nonché la componente del sentimento, della contemplazione e della poesia architettonica provengono dalla convinzione di Schinkel che la Grecia classica sia la culla della civiltà occidentale, che la cultura del mondo ellenico sia esempio insuperabile, guida ideale alla costruzione futura dell’Europa e del mondo. Questo riferimento architettonico è stato suggerito dalla forte similitudine tra l’Acropoli di Atene e la collina su cui si erge la grande Villa di Sirmione. Il termine acropoli deriva dal greco ἄκρος “akros”, alto, πὸλις “polis”, città e originariamente indicava la parte più alta della polis greca o, per estensione, la parte più eminente e fortificata di un’antica città. Spesso cinta da mura era luogo sacro, tèmenos2, sede dei templi o del tempio della divinità protettrice della città, luogo di preghiera e di riunione dei politai. (in tedesco Perserschutt) è il giacimento di reperti archeologici derivante dalla raccolta e successivo seppellimento, sull’Acropoli di Atene, dei resti mutili o distrutti di statue ed ex voto fatto dagli Ateniesi dopo il 480 a.C. 2 (in greco: τέμενος, che deriva dal verbo τέμνω, “tagliare”) rappresenta un appezzamento di terreno che viene espropriato ed assegnato a capi o regnanti, oppure riservato al culto di un dio o alla costruzione di un santuario. 1
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CAPITOLO IV - IL PROGETTO
Pianta del Palazzo Reale sull’Acropoli di Atene, 1834 Karl Friedrich Schinkel Pinakothek der Moderne, Monaco di Baviera
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Nel caso dell’acropoli di Atene, il Partenone è il tempio, nel caso dell’acropoli di Sirmione, sono le Grotte di Catullo; entrambi beni preziosi e entrambi oggetti degni di rispetto, anche nell’ottica di un progetto utopico come quello di Schinkel. Dal progetto dell’architetto, il fronte sud mantiene la Colmata Persiana e propone un lungo colonnato che termina con un elemento circolare, il nostro fronte nord orientale nasce dall’intenzione di evocare il grande porticus che circondava l’oliveto della villa e dalla volontà di costruire una nuova fortificazione il cui contatto con la roccia viva concede un’ulteriore occasione di dialogo tra architettura e natura. La galleria termina con un guscio circolare che abbraccia la rovina e contiene il percorso di discesa al Giardino dei Noci. Anche i prospetti si somigliano nell’aggiunta di contrafforti di sostegno al nuovo fronte e nel rispetto della vegetazione che nel tempo è cresciuta sullo sperone roccioso.
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CAPITOLO IV - IL PROGETTO
Prospetti sud e ovest del Palazzo Reale sull’Acropoli di Atene, 1834 Karl Friedrich Schinkel (1781 - 1841) Pinakothek der Moderne, Monaco di Baviera
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4.2.2 La James-Simon-Galerie di David Chipperfield a Berlino
Come continuazione dell’architettura del forum di Friedrich August Stüler, sesto edificio dell’Isola dei Musei, la James-Simon-Galerie funge da nuovo edificio d’ingresso per la Museuminsel, completando l’ensemble tra il canale Kupfergraben e il Neues Museum. Insieme alla passeggiata archeologica, costituisce la spina dorsale del piano generale che è stato sviluppato nel 1999 e adottato come base per ogni ulteriore pianificazione sull’isola dei musei. L’edificio è situato su una stretta striscia di terra dove l’edificio amministrativo del Neuer Packhof di Karl Friedrich Schinkel si trovava fino al 1938. La James-Simon-Galerie costituisce una connessione fisica fuori terra con il Pergamon museum e collega il museo attraverso la passeggiata archeologica al piano interrato con il Neues Museum, l’Altes Museum e il Bode Museum. L’imponente dimensione dell’edificio assicura che sia preservata la vista dallo Schlossbrücke e della facciata ovest del museo Neues. L’alto basamento in pietra dell’edificio rafforza la riva del canale Kupfergraben, sopra la quale si erge un alto colonnato che esprime un classico piano nobile. Le sottili colonne bianche diventano un leit motiv, che ricorda il famoso schizzo di Friedrich Wilhelm IV per la sua acropoli culturale. Il colonnato di Stüler continua in una forma contemporanea, creando un nuovo piccolo cortile colonnato tra il Neues Museum e la James-Simon-Galerie. Tre rampe di ampi gradini, incastonati tra lo zoccolo allungato e il colonnato inferiore, invitano i visitatori a entrare nell’edificio. Arrivati al livello superiore, si entra in un ampio foyer, con accesso diretto al piano
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CAPITOLO IV - IL PROGETTO
Rendering, Prospetto sud-ovest, 2018 David Chipperfield Architects James-Simon-Galerie, Berlino, Germania
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principale del museo Pergamon, da cui partiranno il percorso delle architetture antiche e la promenade archeologica. L’atrio inoltre si apre su una grande terrazza che, lungo il canale Kupfergraben, corre per tutta la lunghezza dell’edificio. La nostra sfida era creare qualcosa che fosse coerente con il contesto storico ma anche con il nostro tempo, in questa posizione incredibilmente delicata, ha dichiarato David Chipperfield. Il linguaggio architettonico della James-Simon-Galerie infatti adotta elementi esistenti dell’Isola dei musei, principalmente dall’architettura esterna come il massiccio basamento di pietra del Pergamonmuseum, l’ampia scalinata dell’Altes Museum di Friedrich Schinkel, ma soprattutto il grande colonnato disegnato da Friedrich August Stüler, allievo di Schinkel. La materialità dell’edificio ricostituita con aggregato di pietra naturale si fonde con la ricca tavolozza dei materiali dell’isola, come il calcare e l’arenaria, mentre il cemento liscio in situ domina gli spazi interni.
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CAPITOLO IV - IL PROGETTO
Foto, Fronte sud dal canale Kupfergraben, 2018 Simon Menges, Ute Zscharnt, Luna Zscharnt James-Simon-Galerie, Berlino, Germania
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CAPITOLO IV - IL PROGETTO
4.3 Analisi delle architetture progettate 4.3.1 La Galleria
Come nel progetto visionario di Schinkel, in cui il fronte sud dell’Acropoli di Atene mantiene la Colmata Persiana, allo stesso modo il progetto proposto per le Grotte di Catullo prevede l’aggiunta di una fortificazione parallela al lato lungo della Villa, che pareggia il profilo ondulato della roccia e permette anche la vivibilità dell’intercapedine nel rispetto della preesistenza naturale. Il muro in questione non taglia la roccia ma si modifica a seconda del suo pendio, per cui, in prospetto, si noterà un ispessimento nella parte più a nord, dove c’è maggiore possibilità di intervento. Inoltre quest’ultimo non ostruisce completamente la vista della preesistenza sottostante dal momento che termina a livello -12,30 metri con un ballatoio che ne rafforza l’andamento orizzontale. A sostegno di questa fortificazione sono stati previsti otto contrafforti, suggeriti dalla conformazione dell’Acropoli ateniese, che nascondono una struttura a traliccio ligneo rivestito esternamente. Questi ultimi scandiscono il prospetto nella parte più a nord, si appoggiano al terreno e identificano gli allineamenti per il disegno dei moli ai loro piedi. La prima tipologia costruttiva che si incontra è la galleria, il cui blocco espositivo si inserisce a metà tra lo sperone roccioso nord-orientale e il nuovo fronte costruito, e poggia parzialmente sul gradino di roccia esistente del fianco sud-est. Le sale espositive si susseguono per 90 metri a definire un percorso espositivo continuo; la loro larghezza è di 4,90 metri e sono fiancheggiate da due corridoi di 2 metri ciascuno, uno propriamente del colonnato rivolto verso il lago e uno a ridosso della Villa. Si giunge alla galleria dall’angolo dell’uliveto della Grande Villa tramite una scalinata all’interno di una torretta semicircolare, da cui il
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visitatore ha una prima visione del lago, scendendo a quota - 6 metri. Il colonnato, che percorre il fianco per circa 150 metri di lunghezza, nasce dall’intenzione di evocare il grande porticus che circondava l’oliveto della villa, visibile all’epoca come prima presenza antropica raggiungendo la penisola dal lago ad est. La torretta è direttamente collegata alla galleria tramite un’unica copertura che sovrasta l’intero blocco espositivo. Questa, variando in altezza a seconda delle partizioni interne divisorie delle sale, permette l’inserimento di superfici vetrate. I tipi di lucernari sono tre e si dispongono per catturare la luce diretta del sole all’interno delle sale espositive in modi diversi, durante tutto l’arco della giornata. Inoltre, l’altezza della galleria nel suo livello di copertura più alto (5,65 m) non ostruisce la vista dall’uliveto ma mantiene l’allineamento con il piano di calpestio di quest’ultimo. La conformazione non regolare delle sale espositive scaturisce dall’intenzione di identificare degli spazi scenografici per il posizionamento delle opere: ad esempio in alcuni episodi la parete rientrante crea una nicchia che favorisce l’inserimento di una teca, una statua o un mosaico. Una volta usciti dalla galleria è possibile accedere alla scala circondata da pilastrini in legno che raggiunge il piano sottostante oppure proseguire nel percorso fino all’hortus conclusus. Il livello inferiore, ugualmente espositivo, permette l’accesso a un ballatoio che si affaccia sul lago e guarda verso i moli: un corridoio stretto e lungo che corre per 64 metri intervallato da portali ricavati nei contrafforti. La promenade si conclude con un belvedere sporgente verso il guscio ligneo; qui termina la prima parte di percorso espositivo.
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CAPITOLO IV - IL PROGETTO
Porzione di sezione longitudinale
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4.3.2 L’Hortus Conclusus
L’hortus conclusus dal latino “giardino recintato”, è la forma tipica di giardino medievale, legato soprattutto a monasteri e conventi medievali. Come dice il nome stesso, si tratta di una zona verde, in genere di piccole dimensioni, circondata da alte mura, dove i monaci coltivavano piante e alberi per scopi alimentari e medicinali, mentre pressoché sconosciuta era la funzione decorativa. Il nostro hortus conclusus si identifica con l’elemento centrale del percorso, ovvero il guscio ligneo di diametro 36 metri, che abbraccia l’angolo nord-est della villa e la testa del portico che recinge la galleria. Questo ambiente aperto si raggiunge tramite una rampa che si modifica e accompagna il visitatore fornendogli visuali differenti. La prima porzione di rampa parte dal piano del portico e fiancheggia l’interstizio cavo tra la galleria e il lato est della villa. Il visitatore inizia ad immergersi nella rovina, riesce a toccarla e percepisce l’ennesimo confronto tra questa e la nuova architettura. Proseguendo cambia direzione ed entra nella stanza che un tempo dava l’affaccio al lago attraverso la trifora del paradiso, oggi non accessibile e, di nuovo, verso il guscio di legno, il nostro recinto. La struttura del recinto è realizzata da elementi lignei di sezione 15 cm x 15, fissati a traliccio, in modo da creare un guscio curvo che abbraccia la parte est del della Villa e il nuovo fronte. Esso si appoggia al terreno sconnesso a seconda del declivio tanto da raggiungere una quota di 6,70 m rispetto al Giardino dei Noci. Il guscio è rivestito con tavole di legno, fissate in verticale per accentuare lo sviluppo in altezza, abbraccia l’orto e culmina in maniera differente per attribuirgli leggerezza fisica e per la possibilità di visuali panoramiche verso il lago.
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CAPITOLO IV - IL PROGETTO
Pianta prospettica dell’hortus conclusus
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Per evidenziare il profilo tondo del guscio, unica forma organica di tutto il progetto, la porzione di rampa che gli si avvicina è anch’essa semicircolare. Scendendo su quest’ultima, il visitatore ha una panoramica dell’hortus conclusus che sta per raggiungere sulla destra, e del lago di Garda, grazie alle aperture, sulla sinistra. Tema da menzionare è la struttura della rampa a traliccio in acciaio su cui poggiano assi di legno per il calpestio. La rampa è sorretta, nei punti in cui si trovano i pianerottoli, da pali di legno grezzo posizionati con diverse inclinazioni e ancorati al terreno con tirafondi. Uno dei vuoti del guscio accoglie una sporgenza della rampa che si affaccia verso nord-ovest e da cui è possibile ammirare il prospetto del nuovo fronte con il ballatoio, i contrafforti e i moli che giacciono al di sotto. Si raggiunge finalmente l’hortus con l’ultima parte di rampa. Il piano di calpestio di questo ambiente è stato ristabilito dalla presenza di una piattaforma che si modifica, si ridimensiona, si taglia, si espande a seconda di cosa incontra. Il giardino dei noci su cui si poggia, in realtà, è punteggiato di ulivi i quali, nel progetto, sono rimasti nella stessa posizione: la piattaforma gli gira attorno e nel rispetto del terreno su cui crescono. Nella storia, l’hortus conclusus era caratterizzato da una recinzione che lo circondava e diventava il limite tra dentro e fuori, separando e allo stesso tempo proteggendo. In questo spazio chiuso la natura tornata alla condizione di originaria purezza e gli orti, che prima servivano solo a fornire cibo e farmaci alla comunità, presero ad abbellirsi di fiori e di aiuole attraverso cui i monaci erano soliti ritrovarsi per passeggiare e conversare con Dio. L’omonimo ambiente nel progetto sembra rispettare i canoni di un vero hortus conclusus: vegetazione, luoghi di pausa, decorazioni statuarie, alberi da frutto, nicchie più isolate ricavate dall’aggiunta di setti in legno posizionati in modo da richiamare i cubicula della villa.
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CAPITOLO IV - IL PROGETTO
Vista dell’hortus conclusus
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4.3.3 I Moli
Il terzo elemento che completa il progetto è costituito dal sistema dei moli che rappresentano la conclusione del nostro percorso e si identificano con il raggiungimento al lago. Vi si arriva dalla spiaggia a nord lungo una striscia di terra che costeggia lo sperone roccioso. La scelta di inserire dei moli è motivata principalmente dal fatto che questi rappresentano la rievocazione dei ritrovamenti palafitticoli lungo la costa sirmionese. La penisola di Sirmione, lunga e sottile striscia di terra che si protende verso l’interno delle acque del lago di Garda, rappresenta il centro geografico del fenomeno palafitticolo gardesano, un’area di grande rilevanza archeologica e ricca di attestazioni da Punta San Felice a Garda. In un raggio di circa 10 km in linea d’aria si concentrano, infatti, tutti gli insediamenti sommersi delle coste lombarde e venete; dalla punta della penisola infatti è possibile vedere tutte le località che tra l’antica età del Bronzo (XXIII-XVII secolo a.C.) e il Bronzo Medio (XVI-XIV secolo a.C.) e Recente (XIII secolo a.C.) ospitavano gli abitati palafitticoli del lago. Il riordino degli oltre 2000 reperti (principalmente pali che emergono in ordine sparso, con le loro teste erose, dai fondali dei laghi) e la ricerca storica a cui sono stati sottoposti sono frutto di ricerche subacquee effettuate tra gli anni ’70 e ’80. Negli stessi anni l’archeologo e naturalista Ferdinand Keller1 attribuì questi resti ad antichi centri abitati e ipotizzò che questi villaggi fossero costituiti da capanne costruite su un impalcato aereo continuo, sorretto (1800 - 1881) fu un archeologo svizzero maggiormente conosciuto per i suoi studi sulle costruzioni preistoriche lacustri in Svizzera tra il 1853 e il 1854.
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CAPITOLO IV - IL PROGETTO
Assonometria dei moli
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da pali conficcati nel fondo del lago e posto a una certa distanza dalla riva alla quale era collegato tramite una passerella. Oggi, grazie alle ricerche effettuate negli ultimi quarant’anni e allo sviluppo delle tecniche di immersione, sappiamo che la struttura dei siti palafitticoli non può essere spiegata con un unico modello e che ogni sito rispondeva alle specifiche esigenze del luogo nel quale era costruito. I dati raccolti nel corso degli scavi e lo studio dell’ambiente e delle sue trasformazioni consentono di capire se un insediamento sorgeva sulla terraferma, sulla riva in una fascia di terreno che poteva essere esondato per un certo periodo dell’anno, oppure in acqua a poca distanza dalla riva, oppure ancora in parte all’asciutto e in parte in una zona periodicamente allagata. Il posizionamento e orientamento del nostro sistema di moli è stato pensato principalmente per riattivare la costa nord-est della penisola che, al momento, si presenta come una piccola striscia di roccia pianeggiante fiancheggiata da un ripido sperone e una vasta presenza di vegetazione a canneti. Queste caratteristiche non la favoriscono come meta balneare, rispetto alla meglio esposta spiaggia della punta nord. I moli si presentano come lunghe lingue lignee protese verso il lago terminanti in piattaforme utilizzabili come ristoro balneare dei tanti visitatori che ogni estate affollano le spiagge sirmionesi. Trattasi di quattro costruzioni indipendenti, unite da una sola passerella ortogonale, che coincidono con i prolungamenti di quattro degli otto contrafforti che sorreggono il nuovo corpo; variano nella lunghezza a seconda delle diverse caratterizzazioni. Il molo più a nord è il più corto e si estende per 26,5 metri, si appoggia sulla secca o affioramento roccioso che circonda e corona tutto il profilo della penisola. In questo punto, durante le basse maree, è possibile camminare direttamente sulla roccia senza il rischio di bagnarsi. Il secondo molo, è lungo 134 metri e non possiede alcuna piattaforma per i bagnanti in quanto è stato pensato come attracco delle imbarcazioni a largo. 176
CAPITOLO IV - IL PROGETTO
Vista del lago dal ballatoio
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Il terzo molo si sporge fino al raggiungimento dell’acqua alta e la sua passerella arriva fino a 87,5 metri di lunghezza. L’ultimo molo di 56 metri si conclude invece a ridosso della secca e presenta quindi pali di sostegno man mano più profondi fino al raggiungimento del fondale. Uno dei fenomeni caratteristici del lago è quello delle sesse2, ovvero un repentino innalzamento del livello del lago collegato a un calo improvviso della pressione atmosferica. Si tratta di un evento che avviene in condizioni di lago calmo, che si manifesta senza preavviso e la cui durata può variare da alcuni minuti fino ad diverse ore, in casi eccezionali anche una giornata intera. Il livello medio delle acque del Garda, il cui zero idrometrico si trova a 65 metri sopra il livello del mare, subisce variazioni stagionali piuttosto limitate, in particolare se rapportato agli altri grandi laghi prealpini. Sono stati calcolati i vari livelli che l’acqua può raggiungere durante i vari periodi annui. In primavera, durante i primi fenomeni di scioglimento dei ghiacciai montani, e nello specifico a metà marzo 2019 si è assistito a una minima di 0,46 m sullo 0 idrometrico a una massima di 1,43 m. A metà agosto invece si è identificata una massima di 1,24 m sullo 0 idrometrico a una minima di 0,068 m. La struttura di tutti i moli è in legno lamellare e gli elementi che la compongono sono prefabbricati e assemblati in loco. L’orditura dei pali incrociati permette il sostegno del piano di calpestio e della passerella in doghe di legno alla roccia sottostante, anche nei punti in cui i pali entrano in acqua. Un simile tipo di intervento e cioè la costruzione di moli, per questioni funzionali o per questioni estetiche, è già visibile sia lungo la costa est, denominata Lido delle Bionde, sia sulla costa occidentale in prossimità dell’impianto termale Aquaria. è un movimento periodico originato da un’onda stazionaria in una massa d’acqua chiusa o parzialmente chiusa. Le onde di sessa ed i fenomeni ad esse correlati sono stati osservati su laghi, bacini, riserve, piscine, baie, porti e mari. Il requisito fondamentale per la formazione di una sessa è che il corpo idrico sia almeno parzialmente delimitato, consentendo così la formazione dell’onda stazionaria.
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4.4 Il nuovo percorso di visita
Come è stato più volte ribadito nei precedenti capitoli, il progetto si poggia sull’esistente in quanto natura e in quanto rovina con rispetto, si accosta senza modificarne l’essenza, lo abbraccia senza deturparlo. Tale principio primo però non si è rivelato un limite nella risoluzione di alcuni problemi funzionali dell’area archeologica. I percorsi preesistenti permettono una fruibilità della villa solo parziale: si può accedere all’uliveto ma non al fronte est; allo stesso modo, una volta arrivati al Giardino dei Noci si è costretti a tornare indietro. Certo è che il problema fondamentale è dato da un fattore di sicurezza in quanto lo sperone roccioso impedisce al visitatore di sporgersi oltre un certo limite. Il progetto, lavorando sul fronte meno frequentato della villa, fa riemergere un pezzo di storia da troppo tempo dimenticato, concede un nuovo livello di visita che, peraltro, coinvolge a tutto tondo la villa. La visita è continua e non si è più obbligati a tornare indietro per proseguire il percorso. Una volta raggiunto l’uliveto, si può scendere nella galleria tramite la torretta provvista di ascensore e scalinata, si attraversa il portico, si scende per la rampa, si osserva la trifora del paradiso da un nuovo punto di vista e si raggiunge il Giardino dei Noci, per poi continuare la visita nel percorso già esistente verso ovest e concludere risalendo il criptoportico. Inoltre con l’aggiunta di un punto attrattivo a livello del lago, quello servito dai i moli, viene realizzato anche un passaggio continuo lungo la costa, fiancheggiando il lato nord-est. Ciò che si è cercato di risolvere è inoltre il problema ben più grave
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riguardante l’accessibilità alla Villa da parte dei disabili. Ad oggi non sono previste rampe e i collegamenti esistenti, realizzati tramite scale metalliche, risultano poco fruibili anche da chi ha più semplicemente problemi motori. A questi ultimi, per come la villa si presenta oggi, è permesso raggiungere solo l’uliveto, fiancheggiare parzialmente il criptoportico e il settore termale, non riuscendo mai ad ammirare il panorama che si estende a livello più basso. In conclusione, nel nuovo progetto l’attenzione all’accessibilità ha permesso di realizzare un tragitto completamente privo di ostacoli per poter permettere una visita dell’area archeologica integrale e armoniosa.
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Porzione di sezione assonometrica dell’allestimento
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4.5 La Collezione
Per collezione si intende l’insieme di oggetti naturali o artificiali, mantenuti temporaneamente o definitivamente fuori del circuito di attività economiche, soggetti ad una protezione speciale, in un luogo chiuso sistemato a tale scopo, ed esposti allo sguardo del pubblico.1 La soggezione ad una protezione speciale, prelude all’idea di “recinto sacro”, di tèmenos, un limite non solo fisico, ma anche ideale che definisce la differenza tra ciò che è parte della collezione da ciò che non ne è parte. È una condizione ontologica che stabilisce un rapporto di valore. Come si commisura tale valore? Chi decide il valore di elemento che si candida all’ingresso nel tèmenos (opera d’arte, reperto o documento)? Il valore non si dà a priori. Se non per mano di artista universale, non nasce come tale ma acquisisce la sua condizione a valle di considerazioni di ordine diverso: antichità, rarità, complesso di caratteristiche comunicazionali, struttura, capacità riproduttiva, capacità rappresentativa, livello di astrazione, livello di realismo, vita e morte dell’autore. Ma anche autenticità-originalità, ovvero certezza di verità. L’ingresso ufficiale nel tèmenos conferisce quindi carisma all’elemento (opera d’arte, reperto o documento) il quale consolida la sua condizione e aumenta il suo valore in quanto parte di un sistema, che è appunto la collezione. Nel caso del progetto, la collezione si raccoglie all’interno della galleria espositiva, nel piano sottostante al livello del ballatoio e nell’hortus 1
Krzysztof Pomian, Voce “Collezione”, Enciclopedia Einaudi, 1977-84
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conclusus; tutti spazi chiusi, circoscritti da setti o limitazioni anche ideali che proteggono l’oggetto e celebrano l’idea di recinto sacro. Esistono fondamentalmente due tipi di collezione, due idee dalle quali nascono due metodologie: la collezione come restituzione di un percorso storico (cronologico o tipologico) attraverso elementi dati, e la collezione come atto creativo, cioè come progetto, dove gli elementi che la compongono sono il prodotto originale di un’operazione di creazione segnica, cioè di comunicazione pura. In questa seconda declinazione, che è quella utilizzata nel progetto, l’obiettivo della collezione non è un’asserzione di verità scientifica, ma il bello inteso come libera tensione estetica e narrazione mediata da sistemi simbolici, raggiunta solo attraverso la selezione accurata e criteriale dei pezzi da esporre.
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4.5.1 L’Otium nell’Antica Roma
Secondo quanto anticipato, i pezzi della collezione in questione devono essere accomunati da un argomento, un tema che li renda legittimi a prendere parte a quello specifico tèmenos. La scelta del tema dell’esposizione è ricaduta sulla vita nelle domus e nello specifico arriva dalla volontà di mettere in mostra come nell’Antica Roma si viveva nelle cosiddette domus dell’otium. L’ispirazione è stata fornita dall’ambientazione a cui il progetto stesso prende parte, le Grotte di Catullo, un prototipo di villa d’otium riconoscibile grazie alla presenza di ambienti distinti per specifiche attività ad esempio il settore termale per i bagni, il triclinium per i banchetti, il viridarium con peristilio per il passeggio tra gli ulivi. Per le classi dominanti dell’epoca infatti, l’otium è un complesso di attività intellettuali e meditative, ricreative e ristoratrici che rappresenta non solo un bisogno essenziale, ma anche un elemento caratterizzante dello stile di vita, della libertà personale, della tempra morale. Esso non va confuso, infatti, con la inertia, ossia (propriamente) l’assenza di ogni ars, la mancanza di abilità o ingegno; e neppure con la desidia, ossia lo star sempre seduti, il non far nulla: all’epoca l’ozio era considerato come possibilità di dedicarsi alla cura di sé, della propria saggezza, che passava per la contemplazione e lo studio, come libertà rispetto agli obblighi del lavoro e agli impegni di carattere pubblico, la res publica (ma non in contrasto con quelli). Ciò non significa, però, che l’otium non implicasse alcuna responsabilità. Al contrario, proprio in quanto spazio ricavato all’interno di doveri pubblici, cioè i negotia, i non-otia, l’otium poteva ugualmente servire agli obblighi della civitas. Dagli uomini grandi scriveva Catone ci si aspetta che sia grande non solo il loro modo di esercitare negotia, ma
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anche quello di comportarsi negli otia1. A parere di Catone, insomma, esiste un’eccellenza non solo nel saper fare, ma anche un’eccellenza nel saper non fare. L’otium era lo spazio dell’anima, da molti considerato il padre della filosofia, era una condizione privilegiata e invidiabile, per lo più prerogativa dei ricchi, delle classi benestanti. La massima aspirazione per un uomo che fosse in grado di trovare il giusto equilibrio fra la dimensione pubblica e quella privata della vita. Come dichiarava Cicerone, in sottile polemica con Cassio Longino: Tu dici che, quando sei otiosus, leggi delle orazioni: allora sappi che io, quando sono in otium, le orazioni le scrivo. Ma il suo significato muta man mano che l’individuo si conquista uno spazio all’interno della civitas, fino a denotare il contrario del suo contrario: negoti inopia2. Il tempo di pace dello Stato diventa il tempo libero dell’individuo. È facile intenderne l’importanza: in questo tempo libero può fiorire la cultura, la filosofia e la poesia, ma anche l’eros in tutte le sue forme, la passione, e la dissipazione. La natura intellettuale dei padroni di casa delle domus si rivela nell’attenzione dedicata all’arredo e all’oggettistica che adornava le loro abitazioni: nella scelta dei pavimenti e delle pitture parietali; nella collocazione di statue ed erme di filosofi; nella cura del giardino e nell’elaborazione di fantasiosi esterni con giochi d’acqua, getti di fontane e ninfei. I proprietari, in solitudine o in compagnia, utilizzano questi ambienti per passeggiare e meditare, dedicarsi alla lettura, alla conversazione, alla dettatura, in altre parole all’otium intellettuale. Le stesse matrone sono protagoniste di queste attività dello spirito, coltivando la musica, la pittura, la scrittura e altre attività intellettuali.
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da Cicerone, Pro Plancio (27, 66), 54 a.C. “mancanza di occupazioni” da Cicerone, De officiis (3, 2), 44 a.C.
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Statue bronzee, Cinque danzatrici o Hydrophorai o Danaidi, I sec. a.C. Museo Archeologico Nazionale, Napoli
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4.5.2 Le stanze tematiche
La galleria e l’hortus conclusus Il percorso espositivo si sviluppa per stanze o ambienti tematici che si susseguono linearmente e permettono il fluire della visita. Nelle domus romane ciascun locale aveva un nome ed era dedicato ad un’attività specifica. Si è deciso quindi di selezionare le stanze che all’epoca accoglievano attività otiose e assegnarne idealmente il carattere a ciascuna stanza o gruppo di stanze del percorso espositivo. Ad arricchirne le peculiarità intrinseche, la collezione è stata assemblata dalla selezione accurata di ritrovamenti provenienti principalmente da domus romane dell’Italia antica. L’iter espositivo inizia una volta scesa la scalinata che dal grande uliveto raggiunge la galleria. Si entra in un vestibulum o fauces, un ambiente di intermezzo che ci spiega attraverso pannelli grafici e il modello di un prototipo di domus antica l’argomento della mostra. Entriamo quindi nella prima stanza che, con la seconda e la terza, fa parte dell’ambiente dedicato al triclinium. Il triclinio era il locale in cui veniva servito il pranzo, il cui pavimento, inclinato di circa 10° su tre lati della stanza, convergeva verso il tavolo basso posto al centro. I convitati usavano sdraiarsi su tre cuscini, da cui il termine triclinio, intorno a un tavolo sistemati in modo tale da enfatizzare la loro importanza a seconda della vicinanza al padrone di casa. Vista l’importanza del locale, il triclinio veniva decorato solitamente con mosaici e affreschi a pavimento o sulle pareti. Qui si trovano due mosaici raffiguranti un Asarotos oikos, ovvero un pavimento non spazzato, che originariamente adornavano il pavimento della domus dei Fondi Cossar ad Aquileia e di una villa di età adrianea sull’Aventino a Roma.
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Mosaico, Asarotos oikos, II sec d.C. Musei Vaticani, CittĂ del Vaticano
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L’artista greco Sosos è l’inventore di questo genere di mosaici nei quali vengono rappresentati i resti di un pasto al fine di dissimulare gli scarti di cibo che i romani usavano gettare a terra durante i banchetti. Oltre a questi mosaici, le stanze presentano una pittura parietale, coppe e vasellame da cucina allestiti all’interno di teche e la maestosa statua bronzea del Satiro Ebbro che un tempo era posta nella natatio della Villa dei Papiri ad Ercolano e oggi è conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Quest’ultima, insieme al prototipo di un triclinium antico, completa l’immagine di una tipica situazione conviviale romana. Le tre sale a seguire sono dedicate all’esposizione di gioielli e oggetti con cui le matrone romane usavano decorare abiti e adornare acconciature. Questa attività oziosa si svolgeva principalmente nei cubicula1, ovvero piccoli ambienti destinati a camere da letto, generalmente affiancati da altri simili e dislocati intorno all’atrio, ambienti privati e riservati ai solo proprietari di casa. La collezione consta di monili come ampolle per profumi, unguentari, orecchini, anelli, braccialetti, collane ritrovati principalmente nella Villa di Lucius Crassius Tertius ad Oplontis, cittadina seppellita insieme a Pompei, Ercolano e Stabiae dopo l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Ad arricchire questa parte di collezione e rafforzare il suo carattere femminile ci sono quattro piccoli affreschi della prima metà del I sec d.C. rinvenuti nella Villa Arianna di Stabia raffiguranti personaggi mitologici femminili, quali Flora, Diana, Medea e Leda. Continuando nel percorso, ci si avvicina alla zona centrale della galleria, unica ad essere aperta ma coperta. Le due sale che vi si affacciano sono dedicate al tema delle termae o il balneum (nel caso delle ville private), degli impianti termali presenti anche nelle Grotte di Catullo, nei quali i romani usualmente si dedicavano alla cura del corpo e spesso comprendeva lo spogliatoio, il calidarium, il tepidarium e il frigidarium. In questi due ambienti della galleria sono disposte al centro della stanza 1
dal latino cubiculum “stanza da letto”, dal verbo cubare “giacere, stare distesi”
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Affresco, Medea, prima metĂ del I sec d.C. Museo Archeologico Nazionale, Napoli
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due statue che si guardano da lontano, si tratta di Flora o Pomona Farnese e di Ercole Farnese, a ricordare che anche i balnea erano spesso decorati con statuaria raffigurante di divinità sia maschili che femminili. Ad esaltare l’idea di privato che può essere attribuita alle terme nelle domus sono stati scelti, e posizionati in due nicchie esterne, un braciere in bronzo tripode con Satiri ritrovato a Pompei e un labrum da Stabia, utilizzati rispettivamente per il riscaldamento e per il contenimento di acqua nelle diverse temperature. La parte centrale esterna è dedicata al culto pagano che, nel privato, si svolgeva principalmente nell’atrium con l’impluvium2, una vasca quadrangolare a fondo piatto progettata per raccogliere l’acqua piovana. In quest’area che è la più rappresentativa, sia nel caso della domus romana, sia nel caso della galleria progettata, sono dislocate diverse statue raffiguranti divinità pagane come Minerva, Venere, Diana, Marte, Eros, Hermes tra le quali si distingue la più singolare statua bronzea di un fauno o satiro danzante ritrovata all’interno dell’originale impluvium della Casa del Fauno a Pompei. A rappresentanza del culto privato, ovvero il culto dei Lari, degli antenati tutelari del focolare domestico a cui i romani erano molto legati, sono stati scelti due lararia o edicole in muratura, provenienti dalla Casa degli Amorini dorati e dalla Casa dei Vettii, entrambe a Pompei. La nona e la decima sala a seguire sono destinate alla celebrazione delle più autentiche tra le attività oziose, la poesia e la filosofia, che solitamente si svolgeva attraverso la declamazione di versi negli ambienti denominati tablinium, ovvero il salotto o studio, solitamente posto in fondo all’atrium. La prima delle due sale è dedicata a Catullo di cui è esposto il busto bronzeo, colui che ha dato il nome alle rovine che fanno da sfondo a tutto il progetto, e autore delle più belle opere antiche sull’amore. Questa sala racconta della relazione che, durante il suo soggiorno prolungato a Roma, Catullo ebbe con Clodia, sorella del tribuno Clodio, una delle figlie del nobile Appio Claudio Pulcro. Lo pseudonimo Lesbia con cui la cita in varie poesie a lei dedicate si rife2
dal latino in “all’interno” e pluvia “pioggia”
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CAPITOLO IV - IL PROGETTO
Statua bronzea, Fauno o satiro danzante, I a.C. Museo Archeologico Nazionale, Napoli
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risce alla grande poetessa greca Saffo, dell’isola di Lesbo, della quale è stato posto a ricordo un busto marmoreo, copia da originale greco, che la raffigura. Nella stanza successiva, sono stati scelti i busti dei tre maggiori rappresentanti della poesia latina, Quinto Orazio Flacco, Publio Virgilio Marone e Publio Cornelio Tacito e dei tre maggiori rappresentanti della filosofia latina Lucio Anneo Seneca, Marco Tullio Cicerone e Tito Lucrezio Caro. Le due stanze successive hanno come tema il theatrum, sebbene fosse raro che le domus romane avessero al loro interno una stanza allestita a teatro privato dal momento che è da considerarsi cosa pubblica, ma è noto che l’assistere alle rappresentazioni teatrali tanto quanto il recitare in queste erano da considerarsi tra le più rappresentative attività oziose. Tra gli oggetti esposti si annoverano maschere tragiche e comiche, distinguibili dalle differenti espressioni, ma anche mosaici raffiguranti scene di preparazione per un dramma satiresco o nature morte con maschere che adornavano i pavimenti delle case pompeiane. Il tema della stanza successiva è lo sport le cui attività venivano usualmente svolte nella palestra o gymnasium. La sacralità dell’evento sportivo, carattere comune dell’attività ginnica in Grecia, a Roma venne pian piano sostituita dall’aspetto spettacolare e dal desiderio di intrattenimento collettivo. Sebbene gli sport praticati a Roma comprendessero anche discipline olimpiche greche, le uniche che trovavano il consenso unanime popolare erano quelle più violente, come ad esempio il pugilato e la lotta, oppure il pancrazio. A rappresentanza di queste attività sono state scelte principalmente statue, due bronzee di corridori o lottatori rinvenute nella Villa dei Papiri ad Ercolano e due statue più note: il Doriforo3 e Apoxyómenos4. L’ultima stanza della galleria è quella che evoca idealmente il viridarium, il giardino della casa patrizia, con aiuole e fontane; a questo am3 4
in greco antico: Δορυφόρος, Doryphóros, “portatore di lancia” dal participio greco ἀποξυόμενος, “colui che si deterge”
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Mosaico con intarsi, Maschere tragica e comica, I secolo a.C. Musei Capitolini, Roma
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biente sono state associate le attività della caccia e della pesca e a rappresentanza di ciò sono stati scelti mosaici di nature morte con animali o paesaggi marini. Il pezzo più rappresentante però è uno stralcio di pittura parietale a intonaco ritrovato nel cosiddetto ninfeo sotterraneo della Villa di Livia Drusilla, terza moglie dell’imperatore Augusto, raffigurante un arioso giardino nei minimi particolari e con grande varietà di specie vegetali e avicole a grandezza naturale. Questo paesaggio bucolico anticipa lo scenario che si sta per aprire davanti al visitatore una volta uscito dalla galleria: il grande porticato e, scesa la lunga rampa fino al Giardino dei Noci, l’ultimo ambiente del percorso espositivo, l’hortus conclusus. Quest’ultimo è l’unico ambiente scoperto ed è stato assegnato a contenere cinque statue bronzee di Hydrophorai5 o Danaidi ritrovate nella Villa dei Papiri ad Ercolano e oggi conservate nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Queste statue, erroneamente definite danzatrici, concludono la collezione con l’attività oziosa della danza, a volte riferibile alla danza apollinea o orgiastica importata dalla Grecia, a volte alla danza come complemento spettacolare dei ludi circensi, a volte alla danza sacerdotale, a volte alla pantomima. Il piano del ballatoio Nel primo quarto del II sec a.C., poco dopo la conclusione della seconda guerra punica, Roma risulta vittoriosa in una serie di spedizioni militari compiute nel mediterraneo orientale, che la portano a diretto contatto con il mondo ellenistico e ellenizzato. Roma per la prima volta si trova concretamente di fronte all’architettura di potere ellenistica, che si traduce nel gusto di vivere alla greca. Il palazzo, edificio monumentale sempre caratterizzato da un ricchissimo apparato decorativo, non è solo l’espressione architettonica dell’ideologia propria dei dinasti ellenistici ma anche il simbolo di un lussuoso stile di vita. Di questo lusso e ricchezza è espressione in primo luogo un nuovo, sontuoso tipo di abitazione cittadina, la domus ad atrio e peristilio, la domus d’otium, 5
dal greco “portatrici di acqua”
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CAPITOLO IV - IL PROGETTO
Pittura parietale, Ninfeo, 40 - 20 a.C. Villa di Livia Drusilla, Prima Porta, Roma
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che avrà grande fortuna a partire dalla prima metà del II secolo a.C. I costruttori delle prime ville d’otium utilizzano come modello planimetrico e decorativo l’architettura di potere ellenistica, contaminandola con elementi spaziali propri della tradizione abitativa romana. L’ubicazione extraurbana di queste fastose residenze spesso su un pendio in posizione panoramica e caratterizzata da ricche decorazioni parietali, pavimentali e scultoree, si spiega da un lato come legame con l’antica tradizione della villa rustica, dall’altro come volontà degli ambiziosi nobili tardo-repubblicani di estrinsecare la propria ricchezza ed il proprio potere senza l’accusa di adfectatio regni6. Se il piano nobile della galleria espone il contenuto delle ville d’otium romane quindi le modalità di vita degli antichi proprietari e le loro attività letterarie e culturali, il piano inferiore si ispira al contenitore, ovvero alle ville, alle architetture, alle storie sulla loro costruzione. Attraverso modelli, ricerche, immagini e disegni vengono messe in mostra otto ville d’otium tra le più conosciute, come un archivio, un insieme di testimonianze architettoniche simbolo di quello stile di vita otiosus. Si annoverano Villa dei Misteri a Pompei, Villa di Oplontis, Villa Jovis o villa di Tiberio a Capri, Villa Arianna a Stabia, Villa Damecuta a Capri, Cala Maestra a Giannutri, Casa del Fauno a Pompei e Villa dei Papiri a Ercolano.
in latino aspirazione alla tirannide nel diritto romano rappresentava l’attentato all’ordine costituito compiuto da un usurpatore
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Pittura ad olio, Ricostruzione di Villa Jovis a Capri, 1900 “Das Schloß des Tiberius und andere Römerbauten auf Capri”, Carl Weichardt (1846 - 1906)
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4.5.3 L’Allestimento
Intendendo la museografia come la più grande performance visiva, l’allestimento diventa un elemento cardine e definisce la compresenza di tre tipi di codici: un codice oggettuale, la collezione; un codice sfondo, l’architettura; un codice mediale, l’allestimento. Questi codici vengono messi insieme parzialmente o totalmente da tre modelli a cui si fa riferimento per la realizzazione di un museo: il modello della ridondanza dove codice sfondo, mediale e oggettuale hanno la stessa struttura formale, sia dal punto di vista cromatico che dal punto di vista dei rapporti dimensionali, il grado di percezione è basso, ma si dispone di un’immagine complessiva forte; il modello dell’assenza che prevede una centralità della collezione e una presenza trascurabile sia dell’architettura che dell’allestimento e dove l’opera diventa fondamentale e lo sfondo non può che essere neutro; il modello dell’effimero dove prevale l’allestimento sulla collezione. Il modello si è seguito nell’allestimento è sicuramente quello della ridondanza e, dal momento che si è prima progettata l’architettura e poi inseriti la collezione e il relativo allestimento, si è cercato successivamente di seguire il più possibile lo stesso linguaggio. La scelta è ricaduta su opere di ridotta dimensione inserite a gruppi nelle varie stanze tematiche e adattate al codice sfondo che le contiene in modo che il visitatore non si senta oppresso nell’entrare in un ambiente troppo carico di oggetti. Il codice mediale si traduce in piedistalli per le statue, teche per gli oggetti più piccoli e pannelli che sorreggono mosaici e affreschi inseriti all’interno di rientranze della parete o al centro dell’ambiente per seguire un percorso espositivo lineare e sequenziale, senza ostruzioni. Per quanto concerne l’illuminazione, questa è principalmente naturale
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Vista dell’allestimento con tema del Culto Pagano
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dal momento che, nel caso della galleria, sono stati inseriti lucernari a parete o a soffitto. La facciata principale è inoltre esposta a nord-est quindi accoglie i raggi del sole nelle principali ore del giorno. Qualora la luce naturale non soddisfi l’illuminazione della collezione esposta sono state previste delle illuminazioni puntuali specifiche per opera i cui impianti sono nascosti nei cavedi presenti in più punti lungo la galleria e il piano sottostante. Nel caso della parte di collezione esposta nell’hortus conclusus, l’illuminazione è principalmente naturale e ausiliata da tubi led nascosti in fessure sotto la piattaforma lignea. In specifici ambienti i pezzi della collezione sono stati disposti in modo da rafforzare l’immagine della stanza della domus romana; ad esempio nella parte centrale esterna della galleria dedicata al culto pagano, le statue raffiguranti le divinità sono state poste intorno al tetrastilo che evoca l’impluvium, come anche i lararia inseriti nelle nicchie e quindi nella stessa posizione a loro dedicatagli delle tipiche domus romane dell’epoca. Nella stanza dedicata al teatro, la disposizione di teche e affreschi ricorda una scena del teatro romano, come nella sala dedicata al triclinium in cui una statua di satiro sdraiato e il mosaico raffigurante un pavimento non spazzato evocano una ipotetica situazione conviviale.
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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
Sitografia www.sirmione.it www.sirmioneonline.net www.archeologica.lombardia.beniculturali.it www.sitiunesco.it www.sirmionebs.it www.lagodigarda.it www.itineraribrescia.it/cultura/la-sto-ria-del-marmo-di-botticino/ www.grottedicatullo.beniculturali.it www.polomuseale.lombardia.beniculturali.it/index.php/grotte-di-catullo/ gardamio.com/2016/10/le-grotte-di-catullo/ lombardia.abbonamentomusei.it/Musei/AREA-ARCHEOLOGICA-DELLE-GROTTE-DI-CATULLO-E-MUSEO-ARCHEOLOGICO-DI-SIRMIONE www.tuttogarda.it/sirmione/sirmione_villa_catullo.htm blog.desenzanoloft.com/risultati-turismo-lago-di-garda/ www.museodelmarmo.it www.laghi.net www.geoalp.eu/PDF/Livelli_del_Garda.pdf
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RINGRAZIAMENTI
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Dopo dieci lunghi mesi, eccoci giunte alla conclusione della nostra tesi: quale miglior regalo per Natale? Durante questi cinque anni di Università abbiamo superato numerose prove, che talvolta ci hanno messo in difficoltà, ma che alla fine ci hanno permesso di crescere ed arrivare ad oggi forti e determinate, con un ricco bagaglio di conoscenze ed esperienze. Vorremmo concludere la nostra tesi spendendo poche ma significative parole per coloro che ci hanno aiutato a raggiungere il nostro obiettivo. Ringraziamo innanzitutto il nostro relatore, il Professor Caliari, Chicco, che durante questi mesi ci ha trasmesso la sua passione e la sua conoscenza e, nonostante la grande quantità di tesisti da seguire, si è sempre dimostrato disponibile e attento al nostro progetto, avendo cura che raggiungessimo un ottimo livello. Un grande ringraziamento anche ai correlatori, Arch. Paolo Conforti e Arch. Massimo Bellotti, che hanno seguito passo passo il nostro progetto e ci hanno aiutato a definirlo fino ai minimi dettagli, dandoci preziosi consigli e spronandoci ogni settimana per la miglior riuscita del lavoro. Un pensiero particolare va anche alle nostre famiglie, che, anche se lontane, ci hanno sempre sostenuto moralmente ed economicamente e hanno creduto fin dal primo giorno nei nostri studi e nei nostri progetti, permettendoci di raggiungere serenamente questo importante obiettivo. Vogliamo ringraziare infine anche tutti i nostri amici, sia quelli che ci conoscono fin dall’infanzia, sia quelli che hanno condiviso con noi questi anni al Politecnico, e i nostri coinquilini. Ognuno di loro, in grande o in piccola parte, ci ha aiutato a vivere al meglio un periodo che altrimenti sarebbe stato difficile e stressante. Non basterebbe questa stessa tesi per nominare tutti questi amici che ci hanno supportato e sopportato, ma pensiamo che una persona in particolare meriti di essere menzionata, Antonia. In questi dieci mesi e fin dal primo anno è sempre stata presente, ci ha rassicurate e spronate più di chiunque altro, ci ha accompagnate con affetto e interesse fino all’ultima revisione e fino ad oggi e per questo gliene siamo infinitamente grate. Grazie a tutte queste persone, siamo riuscite ad affrontare con passione e gioia questo periodo e a raggiungere fieramente il nostro principale obiettivo. 227