Gioco Arte Città

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Massimo Ferrando

Artista, progettista e promotore culturale

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“Conversione” ecologica (in stato di grazia) La sbandierata “transizione ecologica” ha molte vie. Quella più radicale, che meglio potremmo chiamare “conversione ecologica”, più appropriata per un ammalato grave (mi riferisco innanzitutto all’Occidente esportatore feroce di “democrazia” e “sviluppo”), passa per un recupero della tradizione: è un pensiero simbolico quello di cui parlo, nient’altro. Il pensiero infantile, senza esaltarlo oltre misura, dovrebbe essere rivalutato, la sua capacità di pensare il gioco considerata attentamente. “Io gioco ancora”, mi disse un giorno un ragazzino, come ad annunciare il suo passaggio imminente all’età adulta. Mi ricordò l’importanza di un rituale dimenticato; il passaggio all’”età adulta” dovrebbe infatti avvenire senza dimenticanza: dobbiamo sapere da dove veniamo per decidere dove vogliamo andare. Restituire ai bambini la città, il territorio, la terra, significa recuperare i simboli, e il pensiero che li pensa e li interpreta; la dimensione del gioco fa parte di questa interpretazione, cioè “conversione” (ritorno sui propri passi) dell’uomo, ritorno a un superiore sé sociale attraverso il gioco, in una parola: comunità. Contro ogni individualismo. Ma per fare ciò, una comunità, perché di questo trattasi, deve “mettersi in gioco”, decidere da che parte stare, la direzione da prendere.

Stare dalla parte del gioco significa tornare in qualche modo al “mistero”, perché il gioco è innanzitutto tale, quindi deve essere indagato: i simboli sono la “via” per tale “mistero”. A Sassello, storico e “centrale” paese dell’entroterra ligure, custode di valori tradizionali e significati simbolici, da tempo si sta tentando questa transizione/conversione verso un fare e un pensare ecologicamente più sostenibile che tenta di resistere alle oscure forze del consumismo imperante. La riscoperta del mondo dell’infanzia e (per conseguenza politica) la progressiva pedonalizzazione del suo centro stanno facendo breccia anche nei cuori dei più reticenti. Il Festival annuale “La città dei Bambini”, evento a misura di bambino e in buona parte da loro stessi pensato, è il simbolo di una scelta che ci si auspica duratura. La politica viene dopo. Le scelte politiche possono assecondare le spinte già in atto; ma non è tanto una spinta dal basso, populista, quanto l’appello a una visione d’insieme che compenetri tutte le forze attive verso una unità d’intenti che ricostruisca unitariamente il mondo della socialità, cioè, ed è la cosa più importante, l’anima di un territorio. Perché un mondo senz’anima è un mondo che smette di giocare e va a fare la guerra.

Restituire ai bambini la città, il territorio, la terra, significa recuperare i simboli, e il pensiero che li pensa e li interpreta; la dimensione del gioco fa parte di questa “conversione” dell’uomo. 13


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