Gioco Arte Città

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Antonio Borgogni

PhD, Presidente del Corso di studio in Scienze Motorie e sportive presso l’Università di Bergamo, si occupa di città attive e didattiche sostenibili

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u t o n o m i a

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p o n ta n e i t à

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i b e r t à

La magia del gioco Il gioco può avvenire in ogni spazio, anche virtuale, ma solo se spontaneo, autonomo – insomma se non c’è nessun rompiscatole a dire “adesso potete giocare” – è una delle poche attività umane che trasforma gli spazi in luoghi. Perché è proprio lì, in quella piazzetta, marciapiede, cortile, parco, che si impara a lanciare una pigna, a cadere rotolando, a rincorrersi, a scappare per essere presi… Digressione a questo proposito: il mio compianto maestro Henning Eichberg, assai serio folletto danese, scriveva che nessun gioco di cattura esisterebbe se qualcuno non si mettesse, appunto, in gioco. Se tutti i partecipanti agissero secondo logiche prestative, puntando alla vittoria, ognuno dovrebbe rimanere fermo o scappare via il più velocemente possibile facendoli così divenire giochi “impossibili”. Invece, ecco la magia: colui o colei che si ritengono sufficientemente veloci, andranno a provocare chi “sta sotto” o un giocatore più lento e, sovente, più o meno intenzionalmente, qualche inghippo accade, e il veloce viene catturato. È nell’interesse del giocatore più veloce essere preso perché solo così il gioco va avanti. Questa è la profonda natura sociale del gioco. Nel gioco c’è qualcosa di più importante della vittoria: è il gioco stesso! Dopo aver tentato, senza certo riuscirci, di imitare il gioco di Perec, che di varie “specie di spazi”, anche nel foglio, si intendeva, ricordo – a me stesso – che stavamo parlando di luoghi. E chi se li scorda, i luoghi, non sono mica solo quelli belli, o anche sì ma non è poi così importante (“mica” non avrei avuto la possibilità di scriverlo altrove ma, per fortuna, qui possiamo permettercelo, perché credo abbiate capito a che gioco sto giocando). I luoghi sono quelli in cui incontriamo pezzettini significativi della nostra storia, dove costruiamo memoria, che ci corrispondono, ci fanno sentire a casa, ci permettono di giocare.

E qui viene il difficile perché decenni di trascuratezza nel pensare, prima ancora di progettare e realizzare, lo spazio pubblico, hanno portato a ridurre in modo preoccupante gli spazi sia fisici che mentali con una perdita quasi totale di autonomia dei bambini, soprattutto italiani. Proprio adesso, dopo avere assaggiato la restrizione, riscopriamo che abbiamo bisogno di spazio, proprio adesso capiamo che ci eravamo scordati della risorsa di libertà costituita dall’outdoor education. Ogni possibilità di giocare con lo spazio incontra luoghi intenzionalmente pensati per essere educativi. Non si tratta di parchi e spazi gioco – magari anche ma, per favore, non le banalizzanti realizzazioni che spesso osserviamo – ma luoghi urbani che profumano di urbanità, di cura ludicamente funzionale ed estetica; spazi pubblici sufficientemente laschi e ricchi di affordance, sia strutturate che conquistate col, dal e nel gioco. Lì, allora, può avvenire quella magia: “non puoi prendermi, trallallà…”

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