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L’esperienza COVID-19 pag
L’ESPERIENZA COVID-19:
per non dimenticare
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Ormai è più di un anno e mezzo che conviviamo con uno scomodo inquilino della Terra, il COVID-19; inizialmente il problema non ci toccava personalmente dato che il virus si trovava a più di ottomila chilometri da noi e solo con il suo arrivo in Italia ci siamo resi conto di quanto la situazione fosse drammatica. Sicuramente la pandemia ha lasciato cicatrici in tutte le persone, anche in noi ragazzi, che abbiamo dovuto vivere una realtà scolastica inedita. Le nostre giornate erano vuote, ripetitive e prive di stimoli. Questo è quello che è emerso dai molti lavori del concorso “L’esperienza COVID-19.
La riscoperta della relazio-
ne educativa nella scuola”, progetto ideato nel nostro istituto dalla Commissione Cultura dell’anno 2020/2021 ed esteso a tutte le scuole di Brescia e provincia, in collaborazione con l’assessorato alle politiche giovanili e alle pari opportunità del comune di Brescia.
Gli studenti si raccontano attraverso le loro opere, artistiche, letterarie o multimediali e ciò che si percepisce maggiormente in esse è la necessità di esternare i sentimenti di solitudine,
sofferenza e confusione. Visto il riscontro positivo che il concorso ha avuto tra gli studenti, gli enti organizzatori hanno deciso di dare risalto ai lavori con degli eventi, che hanno dato la possibilità al pubblico di ascoltare la lettura di alcuni elaborati e di visionare dei video presso il cinema Nuovo Eden; inoltre, è stata allestita una mostra alla Piccola Galleria U.C.A.I. per poter ammirare le opere artistiche. Entrando nella Galleria, l’opera che salta subito all’occhio è Schermatura, di Elisa Faccoli, del Liceo Golgi di Breno. È realizzata in fili di metalli diversi, che formano una gabbia aperta nella parte superiore con all’interno una figura stilizzata. Essa rappresenta la camera da letto di una adolescente, trasformata in uno spazio di solitudine. L’artista dedica la sua creazione a tutti i giovani che si sono sentiti isolati e confusi, per ricordare loro che non sono soli perché “siamo tutti sotto lo stesso cielo”. La DAD ha “deumanizzato” gli studenti, privandoli della loro identità, ed è quello che Eleonora Bordiga, del Liceo Leonardo, ha voluto rappresentare con la sua opera, intitolata Squalificato, in cui si vede una classe in posa per essere fotografata. La sua particolarità è che il volto degli studenti viene coperto dai tipici bollini che appaiono sulla piattaforma di Google Meet quando le telecamere vengono disattivate.
Un’altra opera, Il tempo sospeso di Giulia Cominelli, del Liceo Golgi di Breno, rappresenta un equilibrista, che cammina su un filo sospeso. Questo filo collega una città ad un groviglio colorato ed indefinito. Al di sotto del funambolo c’è un orologio le cui lancette sono ferme. L’equilibrista simboleggia la nostra società che sta attraversando un periodo difficile, la città è il passato, mentre il groviglio è il futuro. L’orologio con le lancette ferme ricorda il “tempo sospeso” durante il lockdown.
Schermatura Squalificato
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Il tempo sospeso
In una stanza adiacente a quella principale, una chiesa sconsacrata in cui si potevano ancora vedere piccoli affreschi del passato, erano presenti le tre opere che hanno vinto il concorso: La terza classificata è Sofia Bruschi, del Liceo Leonardo, con Periodo Blu. Il disegno digitale rappresenta un personaggio con una maschera, circondato dal buio. In secondo piano, alle spalle del personaggio, c’è uno spirito dagli occhi rossi. Lo spirito rappresenta tutti i sentimenti negativi che hanno pervaso l’animo dello studente. La maschera, invece, rappresenta l’idea dello scolaro modello, che molti hanno dovuto interpretare per non deludere chi è intorno a noi. Il secondo classificato è Luca Stefano Minelli, del Liceo Calini, con La Maschera. Il dipinto rappresenta la scrivania dell’artista, con gli oggetti della sua monotona quotidianità. Lo schermo bianco del computer simboleggia l’impossibilità di avere un rapporto umano con professori e compagni; dietro allo schermo ognuno indossa una maschera.
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La prima classificata è Sofia Poliani, del Liceo Leonardo, con La Gabbia, un assemblaggio polimaterico che rappresenta una gabbia sospesa nel vuoto, una ragazza che fugge da essa con funi da carcerato e atterra su una montagna di libri. All’interno della gabbia c’è un tavolo con un computer, che caratterizzano i rapporti virtuali. I libri simboleggiano la scuola e la cultura, che sono state fondamentali per l’artista in quel momento difficile.
La Maschera
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La mostra ha messo in risalto come le emozioni possono essere la base della creatività. Inoltre tutte le opere hanno in comune non solo la sofferenza, ma anche la speranza di
uscire da questa situazione. Al cinema Nuovo Eden si sono svolti tre appuntamenti in cui dei ragazzi hanno letto alcuni dei 300 testi pervenuti e sono stati proiettati alcuni video. La partecipazione dei ragazzi del Lunardi si è concentrata maggiormente sulla categoria della narrativa, infatti la vincitrice della sezione narrativa e poesia del concorso è Maria
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Vittoria Nizzardo, che oggi frequenta la classe 2FL del nostro istituto. Il suo lavoro, intitolato La nostra odissea, è un testo che parla di un viaggio paragonabile a quello di Ulisse, ricco di emozioni contrastanti, in cui lei si vede inghiottita in un vortice di insidie, paure e difficoltà, in balia di una tempesta nella quale l’unico approdo è la speranza che si fa via via sempre più remota fino ad arrivare ad un punto in cui l’oblio sembra essere la realtà ormai stabilita. Ecco che però, dopo aver toccato il fondo, il testo riporta il lettore da una condizione di angoscia ad una situazione di sicurezza interiore sviluppata grazie alla fiducia in un futuro migliore. Maria Vittoria spiega che scrivere questo testo è stato per lei terapeutico e le ha dato l’opportunità di mettersi in gioco e di raccontare quello che ha vissuto. Anche i video hanno riscosso l’apprezzamento del pubblico, per esempio “D.I.D.”, di Riccardo Kubelka, Lucrezia Fusco e Felicia Tiralongo, del I.I.S Don Milani. La clip rappresenta un ragazzo che vive la monotonia in un susseguirsi di azioni ripetitive fino alla perdita della propria identità. Sette e quarantacinque è il lavor o por tato da Giacomo D’Anna, del Liceo Moretti di Gardone Val Trompia. Il video rappresenta un incubo: sentire che qualcuno vive al tuo posto la tua normalità e vedersi vivere in terza persona. Giacomo dice di aver voluto rappresentare come nella realtà tutto questo sia stato un vero motivo di sofferenza per gli studenti. La serata si è conclusa con un intervento del professor Luca Guerra, che con soddisfazione ha annunciato l’uscita di un libro, in collaborazione con la Microeditoria di Chiari, che raccoglierà i lavori dei ragazzi. Il volume, che uscirà all’inizio dell’anno prossimo, darà la possibilità a tutti i cittadini di potersi emozionare attraverso le meravigliose opere dei giovani talenti.
Elisa Franceschini, 3°FL
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ESPERIENZA COVID-19
IL CONCORSO CHE HA DATO VOCE AGLI STUDENTI
Noi giovani siamo quelli che il tempo non aspetta, quelli che hanno sempre fame di sogni, di futuro, di vita. Siamo quelli dalle facce indecifrabili, dai caratteri volubili, dalle emozioni instabili. Ma cosa accade se
d'un tratto, da un giorno all'altro ci troviamo confinati, isolati nelle pareti di ca-
sa? Beh, all' inizio salti, ur la di gioia perché "la scuola rimarrà chiusa questa settimana", ma poi a quella settimana se ne aggiunge un'altra, poi un'altra ancora, e quelle settimane diventano mesi. Mesi infernali, infiniti, vissuti al limite con il fiato mozzato, il fastidio nelle vene, i nervi tesi e un insaziabile desiderio di uscire. Niente visite ad amici e parenti. Di passeggiate non se ne parla, massimo a 200m da casa. Il tempo, inesistente, e le ore, scandite dalle sirene delle ambulanze, uniche abitanti di una città fantasma, che vive nascosta sotto i tetti delle case. Altro non è che un inquietante paradosso. Case, che
non sono più case, ma uffici, scuole, università, ospedali, palestre, campi di bat-
taglia. Tanta fr ustr azione e tanta rabbia contro un essere microscopico, nemico invisibile, tanto intangibile quanto deleterio. Certo, non è mai tutto bianco o tutto nero, la dad ha portato con sé anche momenti preziosi, una crescita personale. Niente ritmi frenetici e nottate passate sui libri. Una scuola che non era scuola, molto più tempo da investire su noi stessi, nuove passioni sono fiorite e antichi valori ritrovati. Una vita nuova è sorta in noi, ma troppo, troppo spesso mescolata a quel sentimento di isolamento, confusione, sconforto, che i metodi virtuali non placavano, ma alimentavano. Giorno dopo giorno i taccuini si riempivano di diari, scarabocchi, grida soppresse. L'importante era scaricare il dolore da qualche parte, mai lasciarlo dentro a marcire, imprimerlo su carta e farlo perire. Parallelo però, un desiderio altrettanto incalzante di annunciare a tutti questo maledetto patire, esternarlo, manifestarlo. Di più, un desiderio di demolirlo se pronunciato all'unisono; speravo che la mia voce potesse unirsi alle altre e sfondare quel muro di paura. Così, per caso, un giorno notai l'annuncio del concorso bandito dal Lunardi. Non ebbi alcun dubbio, io dovevo partecipare. Non m'importava altro, ne avevo bisogno. Era come se qualcuno avesse colto quella voce che si faceva sempre più urgente, minuto dopo minuto. Quel qualcuno è il professor Guerra, che si è impegnato ad organizzare il concorso e con lui, tutti coloro che si sono messi in gioco, a cui sono infinitamente grata. Da lì tutto è cambiato, i giorni si rivestirono di significato, finalmente compresi quel che mi mancava, quel vuoto a cui non riuscivo a dare un nome, finalmente avevo uno scopo. Cominciai a leggere la scuola, la dad in chiave nuova,
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con molta più positività, perché avevo la possibilità di cavalcare un'onda salvifica, potevo far parte di qualcosa di grande, che avrebbe unito me e tutti gli altri ragazzi che si stavano perdendo o si erano persi. Una possibilità di riscatto, di far sentire la mia voce, di farla diventare una tessera in quello che poi è diventato un mosaico di esperienza umana. Scelsi gli occhi, perché erano l'unico mezzo di evasione, territorio marcato dalla tristezza e dalla gioia, e così scelsi la lacrima. Lo sguardo si posava incessantemente su angoli della casa già noti, squarci di vita fin troppo vissuti. Con gli occhi navigavo in emisferi lontani tra le pagine di un libro, in regni di invenzione nel tessuto della notte, lungo il profilo delle stelle; con loro arrivavo finché l'orizzonte si interrompeva, dove ogni sogno iniziava a sorgere. Tutto quanto pareva essere sospeso e irreale, difficile dare forma ai pensieri. Il pc che blaterava versi incomprensibili, lo schermo che lacerava e quella strana malinconia che non pareva voler andarsene. Un desiderio di porre fine a tutto quanto lo sentivo martellante nel petto. Così dalle lacrime sgorgò la vita repressa e potei consumare quella agognata libertà che era ovunque e in nessun luogo, se non nei miei occhi. Così ho vissuto la dad, tra perdita e rinascita, spavento e meraviglia, paura e serenità. Credo che questo concorso sia stato l'ancora di salvezza per molti, poiché ho visto e ascoltato quello che ognuno di noi ha donato, e ha lasciato in me una traccia indelebile, alla quale non si può restare indifferenti. In quelle ore passate a leggere i significati delle opere, e a vedere e ascoltare i video e le composizioni letterarie nei quali si rifletteva l'incredibile varietà della nostra natura, ho imparato molto di più che in pagine e pagine di nozioni. Dopo aver assistito e partecipato a questo trepidante tripudio di emozioni, mi fa rabbia sentir dire che noi giovani siamo svogliati, rassegnati, gonfi di vanità e privi di ambizioni. Designati, gli adolescenti coi loro telefoni, come esseri siamesi, dalle bocche troppo aperte e le teste troppo vuote, siamo quelli dispersivi, stracchi e inconcludenti, apatici e indifferenti. No professori, no mondo, noi non siamo solo questo.
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Siamo inesperti, questo sì, perdonatecelo, ma è vero anche che siamo i primi che scaglierebbero il telefono contro il muro per vedere una rosa sbocciare, una persona sorridere. I nostri cuori non sono sterili, forse solo timidi e un po' impacciati, ma pur sempre desiderosi di conoscere, speri-
mentare e vivere. Ho voluto dedicare il mio lavoro a chiunque abbia scelto di avere fiducia nella vita, persino quando le è stato chiesto di fermarsi, ma soprattutto voglio ringraziare chi mi ha dato la possibilità di capirlo, prima ancora di comunicarlo.
Irene Reboldi 4°DL