3 minute read
O’ marchese
Donne
O’ marchese
Advertisement
Antonella BUCCINI
Non voglio parlare di dame e cavalieri, il tema è un altro.Chi ha letto L’Amica geniale o ha visto la serie, forse ricorda la domanda che Lila,una delle protagoniste, fa alle sue amiche del quartiere: “Cos’è o’ marchese?”
Le bambine di un tempo a Napoli conoscevano l’argomento. La prima volta che ne sentii il peso mi trovavo a Marechiaro, sui massi di un lido che degradavano verso il mare. Un gruppo di ragazzini si muoveva scomposto e veloce verso un punto preciso della scogliera. Erano eccitati dalla loro curiosità. Si fermarono in un anfratto e uno di loro urlò “o’ marchese, o’ marchese”. Pur rimanendo distante, mi avvicinai. Un altro sollevò con la punta delle dita il trofeo rivolto verso di me: un assorbente. Ridevano tutti “e roba e’ femmene” disse uno con un’espressione schifata. “vuttalo, vuttalo” urlò un altro. Rimandiamo ad altra sessione l’inciviltà di chi
3
aveva pensato bene di disfarsi di quell’impiccio tra le onde del mare. Mi allontanai rapidamente, un po’ spaventata. Da poco avevo conosciuto quell’appuntamento mensile che, all’epoca, difficilmente gli adulti chiarivano e se lo facevano era per indurre ad una sorta di rassegnazione ad un destino complicato. Mi sedetti sul mio asciugamano e non sapevo bene perché mi sentii umiliata, confusa ma anche infuriata. Non riuscii a comprendere quell’insieme di emozioni apparentemente indistinte, non ancora.
O’ marchese, dunque, indica il mestruo, forse mutuato dal francese o anche perché i nobili usavano palandrane rosse. Un’espressione ambigua, che, nella sua apparente relazione con l’aristocrazia, sembra per questo ancor più sottolineare un’implicita derisione. Le signorine di buona famiglia, per decenza, adottavano altri espedienti: le mie cose, il ciclo, sono indisposta, le regole ecc. Tutte parole timide e composte per tentare di ingentilire e camuffare una sola cosa: la perdita di sangue dalla vagina di una donna una volta al mese.
Può sembrare superfluo ricordare quanto questo semplice meccanismo naturale abbiacondizionato la vita delle donne. Non mi riferisco all’uso degli assorbenti o aqualche mal di pancia!
Al primo mestruo si apriva un mondo o meglio si chiudeva. La ragazzina si trasformava in vittima potenziale e non solo degli istinti, sempre giustificabili, di qualche maschio infoiato, ma anche di sguardi ambigui, di desideri malcelati. Andava “protetta”. E non bastava limitarne la libertà. La colpevolizzazione, la repressione di ambizioni e desideri funzionavano molto meglio. Al contempo la stessa ragazzina poteva anche trasformarsi in carnefice. Cioè, se covava la vocazione della putta-
4
nella, avrebbe potuto insidiare un uomo rispettabile che, si sa, non può rifiutare la disponibilità di una piccola Lolita compromettendo al contempo la sua verginità. Quella macchia sconosciuta sulla mutandina certificava dunque un passaggio fondamentale: con le buone o con le cattive si diventava donne, donne perbene.
Una donna era intrattabile “in quei giorni”, tanto intrattabile che non si potevano neanche chiamare con il loro nome, “quei giorni”. Nel mentre poteva trasformare il vino in aceto, come Gesù, ma facendo ovviamente disastri o fare appassire i fiori. Per legge le donne erano tanto instabili da non poter accedere a tutte le professioni. Eppure l’innominabile era allo stesso tempo fondamentale nell’unico curriculum che contava veramente nella vita di una donna. La femmina che non era in grado di generare e, all’epoca gli uomini non si sottoponevano neanche agli esami del caso perché nessun sospetto doveva cedere sulla loro virilità, perdeva ogni valore. Quell’emorragia periodica tanto temuta e nascosta era la prima testimonianza di quella capacità, poi venivano i fianchi larghi e il seno abbondante, requisiti benvi-5
sti dalle future suocere.
Non è più così? Certo il dominio sulle donne oggi è esercitato con sistemi più ambigui e il rischio di regressione e repressione dei loro diritti è quanto mai reale. In ogni caso e in ogni latitudine comunque il destino delle donne è segnato da simboli, paure e pericoli che hanno la stessa sintassi.
Leggo su la Repubblica, in un breve trafiletto, che una ragazzina di quattordici anni in Kenya, a scuola, si è sporcata di sangue, erano le sue prime mestruazioni. L’insegnante l’ha brutalmente rimproverata e allontanata. La ragazza tornata a casa, ha raccontato tutto ai genitori, poi è andata a prendere l’acqua fuori e si è impiccata. Il giornalista ci informa che in Kenya dal 2017 una legge obbliga le scuole a fornire assorbenti gratuiti alle allieve ma non tutte riescono ad attuarla. Una ragazza su dieci non va a scuola durante le mestruazioni aumentando la probabilità di abbandonarla.
E’ dunque un problema di carenza di assorbenti? O magari di coppette come suggeriva il parlamentare cinque stelle? Scusate ma quella storia non cessa di innervosirmi. E’ legittimo pensare che se quella macchia fosse stata provocata da una caduta o da un qualsiasi diverso incidente la barbara insegnante sarebbe stata clemente, l’imbarazzo della bambina tollerabile. Invece il sangue mestruale è colpa in sé, va celato con pudore, evoca la sessualità, la maternità, il potere della femminilità.
E’ inaccettabile.
6