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Giancarlo Siani: in ricordo di un giornalista scomodo
Camorra e Giornalismo Antimafia
Giancarlo Siani: in ricordo di un
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giornalista scomodo
Aldo AVALLONE
Ieri avrebbe compiuto sessant’anni. Fra tre giorni, il 23 settembre, ricorrerà il trentaquattresimo anniversario della sua morte. Fu ucciso in una sera di autunno, a pochi passi da dove abitavo allora, da sicari della camorra. Era ora di cena, ricordo ancora il rumore degli spari, tanti, la confusione, il capannello di persone che si affollavano intorno alla sua auto, una Citroen Mehari scoperta che in zona tutti conoscevamo, le sirene dell’autoambulanza e delle auto della polizia. Poi, la notizia sconvolgente, hanno ammazzato Giancarlo. Non ci frequentavamo, lui era più giovane di me di qualche anno, solo un saluto di sfuggita incontrandolo per strada la mattina quando andava al giornale o la sera quando si fermava a parcheggiare l’auto sotto casa. Un po’ lo invidiavo perché era sempre pieno di ragazze e, soprattutto, perché faceva il mestiere che avrei voluto fare anch’io. Il giornalista. Ma non
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quei giornalisti che stanno in redazione dietro la macchina da scrivere a ricopiare i comunicati stampa. Giancarlo era un giornalista che andava per strada a raccogliere le notizie, a parlare con la gente, ad accumulare dati su cui ragionare e poi scrivere. Da sempre il giornalismo era stato la sua passione e, dopo tanta gavetta, infine era riuscito a lavorare per il Mattino: corrispondente da Torre Annunziata, un comune alle falde del Vesuvio a pochi chilometri da Napoli. Il suo sogno era strappare un contratto da praticante per poi sostenere l’esame da giornalista professionista. A Torre Annunziata si occupava di cronaca nera e, quindi, di camorra. Quella terra, bellissima ma distrutta dalla speculazione edilizia, era sotto il tallone del boss locale, Valentino Gionta, che partendo dal contrabbando di sigarette era giunto al traffico di droga costruendo un vero e proprio impero economico. Le sue inchieste riuscirono a svelare i rapporti e le guerre tra i vari clan camorristici, gli affari illeciti a seguito della ricostruzione post terremoto del 1980, gli intrecci tra criminalità organizzata e potere politico. In un suo articolo, Giancarlo annunciò le intenzioni del clan Nuvoletta, che operava a Marano, un comune a nord di Napoli, di sbarazzarsi del Gionta “vendendolo” alla polizia. Il boss di Torre Annunziata fu effettivamente arrestato dopo un summit tenutosi nella villa dei Nuvoletta.
Quell’articolo segnò la condanna a morte di Giancarlo: nessun camorrista potevatollerare di essere tacciato di collaborare con la polizia.
I vari gradi dei processi hanno confermato le condanne ai mandanti maranesi, anchese sussistono ancora dei dubbi sugli esecutori materiali del delitto.
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Paolo, fratello di Giancarlo e ora parlamentare PD, in una lettera a Repubblica ieri ha scritto: “Sessant'anni sono una tappa importante per la vita di una persona. A sessant’anni ci si avvicina alla terza età, il fisico mostra gli inevitabili segni del tempo, si comincia a intravedere il traguardo della propria attività lavorativa. Insomma, è una tappa veramente fondamentale nella vita di un uomo. Giancarlo invece resta giovane, sorridente, allegro, resta per sempre un precario dell'informazione, un abusivo”. Anche a me piace ricordarlo così, con quel suo ciuffo nero che gli copriva la fronte, gli occhialetti da intellettuale e il sorriso sempre disegnato sul volto, con il rammarico di aver perso una voce libera e importante dell’informazione nazionale. Forse un precario dell’informazione, un abusivo, come ha scritto il fratello, ma un giornalista – giornalista di cui tanto avremmo avuto necessità in un periodo in cui troppo spesso i professionisti della notizia si limitano a leggere veline e a inchinarsi al potente di turno.
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