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La Sinistra che vince

Politica

La Sinistra che vince

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Aldo AVALLONE

Mentre nel febbraio 2014, in Italia Renzi rassicurava il presidente del Consiglio Letta con l’ormai famoso «Enrico, stai sereno», in Portogallo il governo di centrodestra era, di fatto, commissariato dalla Troika che imponeva misure di forte austerità in cambio di un prestito di 78 miliardi di euro. Fatto fuori il buon Letta, il segretario del Pd prese in mano le redini del governo, che ha guidato fino alla debacle del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, approvando la “buona scuola”, il “jobs act”, abolendo l’articolo 18, riscuotendo la totale approvazione di Confindustria e la critica serrata delle organizzazioni sindacali. A Renzi è succeduto Gentiloni, il cui esecutivo si è contraddistinto quale naturale continuazione poli-

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tica del precedente. Il mite Paolo è rimasto in carica fino alle elezioni politiche del marzo 2018 che hanno visto la resistibile ascesa del Movimento 5 Stelle, dovuta soprattutto alle scellerate politiche messe in campo dai governi precedenti a guida PD che, nelle urne, ha pagato un sostanzioso prezzo in termini di consenso. Mentre nel nostro Paese governavano i “progressisti” del Pd, nell’ottobre del 2015, si votò in Portogallo. In quel Paese era al potere il centrodestra che confermò il successo ottenendo la maggioranza relativa ma insufficiente a governare. In quella tornata elettorale però accadde un fatto nuovo: il Partito Socialista, guidato da un avvocato di Lisbona, Antonio Costa, ottenne un successo insperato sull’onda di u- no slogan semplice ma efficace “basta austerità”. Con l’appoggio esterno dei due partiti di estrema sinistra, Costa riuscì a formare il nuovo governo. Quello strano connubio, nato da un accordo che prevedeva da un lato il rispetto dei vincoli di bilancio e dall’altro l’allentamento delle misure di austerità imposte dall’Europa, ha avuto vita lunga e felice. Il boom turistico, il basso costo del lavoro, una politica fiscale accogliente nei confronti dei cittadini stranieri (va ricordata la detassazione dei redditi degli stranieri che risiedono nel Paese per almeno sei mesi l’anno) in combinazione con altre misure a sostegno dell’economia e dell’export, hanno consentito al Portogallo di registrare una crescita ben superiore a quella della media europea: il Pil nel 2018 si è attestato a un +2,1%. Oggi il deficit è calato ben oltre la soglia fissata dall’Unione europea (benché il debito pubblico resti alto) e Costa è riuscito a ripristinare alcune misure a favore dei lavoratori che erano state cancellate negli anni precedenti. Ha ristabilito la tredicesima e gli scatti d’anzianità per i dipendenti pubblici, reintrodotto alcuni giorni di festa nazionale, cancellato la sovrattassa sui redditi personali, abbassato l’Iva al 13 per cento per molti prodotti alimentari, alzato il salario minimo garantito da 557 a 580 euro mensili.

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Domenica scorsa si è votato nuovamente in Portogallo: il Partito Socialista ha ottenuto il 36,7 per cento dei voti mentre i rivali del centrodestra del Partito Socialdemocratico hanno ottenuto il 27,9 per cento. Si accodano il Blocco di sinistra con il 9,6% , seguito dalla coalizione di sinistra al 6,3% , i popolari di destra al 4,2% e gli ambientalisti di Pan al 3,3%. Il premier Costa sperava di raggiungere la maggioranza assoluta ma ciò non è accaduto e dovrà necessariamente raggiungere una qualche forma di accordo con almeno una delle altre formazioni della sinistra portoghese. Ma nessuno dubita che riuscirà a formare un nuovo esecutivo sotto la sua guida. Il Portogallo e la sua capitale Lisbona sono oggi un cantiere aperto: i fondi che provengono dall’Europa vengono ben spesi e tutto fa pensare che il boom lusitano possa continuare anche nei prossimi anni. Si conferma il successo di una sinistra socialista e di governo, accorta sui conti pubblici ma attenta, soprattutto, ai bisogni dei lavoratori. La dimostrazione pratica che le esigenze della finanza possono convivere con quelle dello sviluppo economico. L’esperimento di un socialismo vincente che può essere serenamente trasferito ad altri Paesi dell’Europa. Al nostro, in particolare, se solo si avesse un po’ più di coraggio politico.

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