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Per una storia dello Statuto dei Lavoratori
Storia e Diritti
Per una storia dello Statuto deiLavoratori
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Giovan Giuseppe MENNELLA
Lo Statuto dei Lavoratori entrò in vigore il 20 maggio 1970 con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica della legge n. 300. In quel 1970 l’Italia contava cinquantasette milioni di abitanti e diciannove milioni di occupati, di cui il diciannove per cento nell’agricoltura, il quarantacinque per cento nell’industria e il trentotto per cento nei servizi Il mondo del lavoro cominciò a essere importante nella società italiana del dopoguerra già con la Carta Costituzionale, diventata la legge fondamentale dello Stato il Primo Gennaio 1948, precisamente con l’articolo 1 in base al quale “L’Italia è u-
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na Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Nei lavori preparatori e in una prima stesura era scritto che la Repubblica era fondata “sui lavoratori” ma la dizione era sembrata troppo simile a quella che poteva essere adottata in uno Stato socialista tendente al marxismo e il compromesso fu trovato da Amintore Fanfani e dagli altri esponenti della Sinistra democristiana che posero l’accento sul lavoro in senso generale, comprensivo non soltanto degli operai delle fabbriche e dei contadini. Anche prima della Costituzione erano state introdotte per legge alcune garanzie, come il limite massimo di undici ore lavorative per i minorenni, le dodici ore massime per le donne, il diritto di associazione, alcune norme sulla sicurezza, il divieto del caporalato. Fin dagli anni ’50, non si poteva più prescindere dal migliorare le condizioni di lavoro, tanto più se si considera che proprio in quegli anni di sviluppo industriale e di accumulazione capitalistica fossero più compressi il salario e i diritti dei lavoratori e in genere la loro coesione sociale. Il Segretario della CGIL Giuseppe Di Vittorio, fin dal Congresso del 1952 aveva invocato l’adozione di una legge quadro sul lavoro e le ACLI di Milano avevano redatto il libro bianco “La classe lavoratrice si difende” sullo sfruttamento degli o- perai nelle fabbriche. Nel 1955 fu pubblicata un’inchiesta del Parlamento sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche. In anni di discriminazione ideologica dovuta all’avvento della Guerra Fredda, i lavoratori erano anche oggetto di sospetti per la preponderante appartenenza ai partiti della sinistra marxista. Si deve ricordare che proprio in quegli anni si verificarono anche innumerevoli casi di vessazioni a danno degli operai. Stiamo parlando dei reparti confino e delle schedature.
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I reparti confino erano magazzini o uffici spogli e disadorni dove erano relegati, dopo averli demansionati, i dipendenti ritenuti ingestibili per ragioni politiche o sindacali, in genere iscritti ai partiti della sinistra, per poi licenziarli dopo qualche tempo. Il caso più eclatante fu quello dell’Officina Sussidiaria Ricambi (OSR) di Corso Peschiera a Torino dove la FIAT confinò centotrenta operai definiti “facinorosi” ma che in realtà erano operai che si battevano per i loro diritti. La storia della OSR fu raccontata dal sociologo Aris Accornero nel libro del 1959 “FIAT confino” delle edizioni Avanti. Inquietante è considerare che simili pratiche siano state ripetute di recente dalla stessa FIAT a Pomigliano D’Arco con il trasferimento di numerosi dipendenti in un capannone desolato a venti chilometri dall’interporto di Nola e dall’ILVA di Taranto dell’imprenditore Riva con il trasferimento di altri dipendenti non acquiescenti nella Palazzina spoglia del Laminatoio a freddo. Un altro caso di vessazione nei confronti degli operai fu quello delle schedature in FIAT. L’azienda torinese realizzò negli anni ‘50 centinaia di migliaia di schedature dei dipendenti, valendosi di una struttura di spionaggio interno, per conoscerne vita privata, abitudini, moralità, orientamenti politici e religiosi. Il caso venne fuori in seguito ad una causa di lavoro intentata contro la FIAT da un dipendente che era stato assunto con le mansioni di fattorino, ma era stato addetto a redigere relazioni scritte su abitudini e precedenti penali dei dipendenti. In seguito alla causa civile fu svolta un’inchiesta penale a carico di funzionari dell’azienda che portò l’allora “pretore d’assalto” Raffaele Guariniello a sequestrare centinaia di migliaia di fascicoli con schedature. Anche questa vicenda è stata raccontata da Bianca Guidetti Serra nel libro “Le schedature FIAT” edito nel 1984 da Rosenberg dopo il rifiuto di pubblicazione da parte della Einaudi. Intanto, con il miracolo economico si verificò un movimento continuo della popo-
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lazione dal Sud verso le Regioni più ricche del Nord per cercare lavoro nelle fabbriche. In molti discorsi e interventi dei leader politici e sindacali della sinistra si fece presente che i vantaggi dello sviluppo stavano andando solo ai datori di lavoro mentre i lavoratori rimanevano vittime del totale potere di comando degli imprenditori nelle fabbriche. Si avvertì l’esigenza stringente di nuovi rapporti sindacali per indirizzare l’economia e la società verso un maggior potere dei lavoratori e del Sindacato nelle fabbriche, soprattutto sul cruciale problema delle assunzioni e dei licenziamenti. Intanto, era entrata nelle fabbriche una nuovissima leva di lavoratori, perlopiù giovani e moltissimi provenienti dal Sud, molto combattivi. Furono loro a dare vita nel 1962 alla prima manifestazione con scontri violenti e cariche della Polizia avvenuta, per ironia della , proprio a Piazza Statuto a Torino, anche se lo Statuto in questione era quello albertino. In contemporanea andò maturando uno spostamento dell’asse politico dal Centrismo dei pieni anni ’50 al Centrosinistra, con il sempre più stringente coinvolgimento del Partito Socialista nell’area di Governo. Il Governo Moro entrato in carica nel 1963, primo governo organico di Centrosinistra, fu il promotore di altre leggi di tutela, come il divieto di licenziamento in caso di matrimonio. Nel 1965 fu adottato un testo di legge sugli infortuni e le malattie sul lavoro e alcune norme migliorative sulle pensioni. Molto importante nel 1966 l’introduzione della norma sulla giusta causa nei licenziamenti, applicabile alle aziende con più di trentacinque dipendenti, un vero prodromo dello Statuto e, in particolare, di quello che sarebbe diventato il suo articolo 18. Alla fine dei ’60, il nuovo Ministro socialista del Lavoro Giacomo Brodolini promuove la norma sul calcolo retributivo delle pensioni che sarebbe rimasta in vigore
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fino alle riforme pensionistiche della fine del ‘900 e dei primi anni del 2000 e quella sull’introduzione del salario unico sia per il Nord che per il Sud, cioè l’abolizione delle cosiddette “gabbie salariali” Si arriva così al 1969, anno di snodo sia per la vertenza sui contratti di moltissime categorie, il cosiddetto “Autunno caldo”, sia per la decisione del Ministro Brodolini di istituire una Commissione per la scrittura dei diritti dei lavoratori, con a capo l’allora giovane giuslavorista, di area socialista, Gino Giugni. Non si poteva rinviare ulteriormente una normazione complessiva sull’argomento; le lotte sindacali nelle fabbriche si erano intensificate ulteriormente per tutti gli anni ’60, soprattutto per ottenere il diritto di assemblea che non era mai stato consentito da nessuna legge e lo stato di conflitto su questa richiesta aveva già causato qualcosa come quattordicimila denunce penali contro sindacalisti. Brodolini morì prematuramente per un tumore e non fu in grado di vedere il varo della legge. Gino Giugni non accettò mai di essere definito come il padre dello Statuto, sottolineando sempre che l’ideatore e il vero padre ne era stato Brodolini. Entro il 1969 la Commissione Lavoro del Senato approvò un disegno di legge che era quello presentato dalla Commissione Giugni, integrato da contributi provenienti dal PCI, dal PSIUP e dalla Sinistra Indipendente. L’11dicembre 1969 il disegno di legge fu approvato in prima lettura al Senato, con il voto favorevole dei Partiti del Centro Sinistra e del Partito Liberale. Il giorno dopo, 12 dicembre, scoppiarono le bombe di Piazza Fontana. Nel 1970, il 14 maggio, durante il terzo Governo Rumor, la Camera votò il testo definitivo nello stesso testo del Senato, avendo il Governo e tutta l’assemblea rinunciato a tutti gli emendamenti dopo un discorso e su iniziativa del Ministro del Lavoro Carlo Donat Cattin.. Il Partito Comunista, peraltro insieme al PSIUP, si astenne, considerando che la legge avrebbe dovuto essere adottata attraverso la lotta sindacale e che il limite di
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applicabilità della legge alle aziende al di sopra dei quindici dipendenti fosse ingiusto. Come si è detto all’inizio, la legge n. 300, denominata Statuto dei Lavoratori, fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 20 maggio 1970. Gli articoli erano quarantuno divisi in sei Titoli. Lo Statuto si applicava solo alle aziende con più di quindici dipendenti. L’articolo più famoso di tutti doveva diventare l’articolo 18 sull’annullamento dei licenziamenti senza giusta causa e il reintegro dei lavoratori ingiustamente licenziati. La norma sarebbe stata sottoposta a due referendum abrogativi e cambiata nel 2012 dalla Legge Fornero e nel 2015 dal JOBS Act del Governo Renzi Il Titolo primo verteva sui diritti individuali dei lavoratori. Il Titolo secondo su diritti collettivi e libertà sindacale. Il Titolo terzo sull’azione del Sindacato in fabbrica. Il Titolo quarto sulla repressione dell’attività antisindacale . Il Titolo quinto sul Collocamento e il Titolo sesto sulle disposizioni finali e penali. Le polemiche dei sostenitori e dei detrattori della legge furono sempre maggiormente incentrate sull’art. 18, con i primi favorevoli alla sua estensione anche alle imprese con meno di quindici dipendenti per evitare il dualismo di applicazione delle norme sul lavoro e i secondi favorevoli alla sua abrogazione anche per le a- ziende con più di quindici dipendenti per contrastare l’eccessiva piccolezza delle aziende dovuta alla precisa volontà degli imprenditori di tenerle sotto i quindici per non subire l’annullamento dei licenziamenti e i reintegri. Nel corso degli anni furono proposti tre referendum abrogativi concernenti norme dello Statuto Il primo, nel 1995, su iniziativa dei Radicali, dei Repubblicani e del Partito Comunista per dare la potestà d’intervento nelle contrattazioni anche ai Sindacati comunque firmatari di accordi e non solo a quelli nazionali. Un secondo, nel 2000, per abolire le garanzie dell’articolo 18 anche per le aziende
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con più di quindici dipendenti e un terzo, nel 2003, per estendere le garanzie dell’articolo 18 anche alle aziende con meno di quindici dipendenti. Questi ultimi due non raggiunsero il quorum e in particolare in quello del 2003 i votanti furono solo il 15% degli aventi diritto. Nell’agosto del 2001 dopo molti scioperi e un accordo in extremis per il comparto dei metalmeccanici, fu elaborata una legge delega per la riforma del mercato del lavoro, in particolare dell’articolo 18, che passò alla Camera il 15 novembre, basata sullo studio del giuslavorista Marco Biagi, il cosiddetto “Libro bianco”. Ci furono immediate proteste da part di CGIL, CISL e UIL che chiesero uno stralcio della questione dell’articolo 18 dalla legge. Il 23 marzo 2002 si svolse a Roma la più grande manifestazione sindacale della storia per il diritto dei lavoratori a continuare a usufruire dell’articolo 18, ma anche contro il terrorismo. Infatti, quattro giorni prima, il 19, il professor Biagi era stato ucciso dagli ultimi militanti delle Brigate Rosse. Venne poi la riforma del lavoro del Ministro Fornero del 2012 che rese più facili i licenziamenti individuali per motivi economici. Poi, con provvedimenti legislativi del 2014 e 2015, il Jobs Act del Governo Renzi, previde la possibilità da parte del datore di lavoro di licenziare senza giusta causa, tramite indennizzo e senza più obbligo di reintegro, un dipendente assunto con contratto a tempo indeterminato, lasciando invariato l’obbligo di reintegro soltanto per i licenziamenti discriminatori e per quelli disciplinari per i quali fosse provata l’insussistenza del fatto contestato. I provvedimenti legislativi noti come Jobs Act introdussero anche il contratto a tutele crescenti, un nuovo tipo di contratto per i nuovi assunti a tempo indeterminato dopo il marzo 2015 che previde una serie di garanzie destinate ad aumentare con il passare del tempo, finalizzato a contrastare il precariato; previde inoltre la modifi-
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ca dell’articolo 4 dello Statuto riguardante gli strumenti di controllo dei lavoratori. Lo Statuto ha portato diritti e libertà nelle fabbriche. Si può dire che appartiene a un’epoca, il 1970, in cui i lavoratori erano all’offensiva sul piano sindacale e politico, mentre oggi sono sulla difensiva. Oggi il problema dello scarso sviluppo e della scarsa produttività delle aziende non è più tanto identificato con i vincoli dell’articolo 18 o con le eccessive garanzie accordate ai lavoratori dallo Statuto, ma piuttosto con i costi elevati dell’energia, con le lungaggini della burocrazia e della giustizia, con l’obsolescenza delle infrastrutture, con la criminalità organizzata. Con l’introduzione dei contratti a tutele crescenti non esistono più alibi per giustificare con l’eccessivo costo delle tutele le mancate assunzioni di personale a tempo indeterminato. Si può dire che attualmente più che di Statuto dei Lavoratori si può parlare di Statuto dei Lavori e più che di diritto del lavoro di diritto dei lavori.
In effetti, oggi si vive un’epoca in cui non c’è una sola forma di lavoro che si svolge nell’unica sede della vecchia fabbrica fordista con migliaia di lavoratori concentrati in uno stesso spazio. Perciò le tutele del lavoro dovrebbero essere estese anche a forme diverse da quelle del passato e a quella platea di lavoratori ancora scarsamente garantiti che in Italia è stata sempre numerosa.
Quindi un accompagnamento e una formazione professionale a un nuovo lavoro per chi ha perso quello vecchio, il riconoscimento di più diritti a milioni di precari cui garantire la possibilità di una maternità pagata, di una formazione professionale, di un acquisto di strumenti audiovisivi per la formazione e così via.
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