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Il Gruppo ‘63

Cultura

Il Gruppo ’63

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Giovan Giuseppe MENNELLA

Nell’ottobre del 1963 all’Hotel Zagarella di Solunto, vicino a Palermo, avvenne un incontro di intellettuali, poeti e romanzieri che sarebbe passato alla storia come u- no snodo importante nelle vicende culturali italiane. Nacque, infatti, in quella riunione il Gruppo ’63. I fondatori furono Edoardo Sanguineti, Alfredo Giuliani, Nanni Balestrini, Umberto Eco, Angelo Guglielmi, Elio Pagliarani, Furio Colombo, Antonio Porta, Germano Lombardi, Giancarlo Marmori e molti altri Parteciparono a quella riunione iniziale anche esponenti di altre riviste e correnti letterarie, come quelli di Officina e de Il Menabò. Un nome su tutti quello di Francesco Leonetti. Ma altri scrittori e intellettuali furono sfiorati dal Gruppo ’63, come Luigi Malerba, Giorgio Manganelli, Gianni Celati, Amelia Rosselli, Alberto Arba-

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sino, Nico Orengo, Giuliano Scabia, Enrico Filippini. Si erano rivelati negli anni ’50 nella Rivista “Il Verri”, fondata nel 1956 da Luciano Anceschi, in cui ebbero modo di scrivere poesie e anche recensioni critiche di poeti italiani. In quella sede Alfredo Giuliani stroncò le poesie di Pasolini definendole elegiache e sentimentali e quelle di Franco Fortini considerandole crepuscolari. Furono definiti da Anceschi i lirici “novissimi”, per distinguerli dai poeti che si erano affermati nei primi anni ’50, pure partecipanti alla rivista, che erano stati definiti i lirici “nuovi”. Non si sarebbero occupati solo di letteratura, e di poesia in particolare, ma anche di teatro, di cinema, di pittura, di arte concettuale, in un fervore culturale a 360 gradi, tanto che a Palermo in quei giorni si tennero spettacoli teatrali, letture di poesia, mostre d’arte. La loro produzione fu essenzialmente poetica, ma anche di prosa, tanto che nel 1965, sempre a Palermo, tennero un altro incontro sul romanzo della neoavanguardia. Predilessero in particolare il romanzo senza trama, il romanzo-conversazione di Alberto Arbasino, o il romanzo-collage di Nanni Balestrini. Secondo loro, il romanzo più era incomprensibile, più era artisticamente valido. Natalia Ginzburg, che pure aveva scritto romanzi atipici, fu svalutata dal Gruppo perché troppo leggibile. Il movimento si caratterizzò per la rottura rispetto alla cultura precedente e per la critica dei vecchi linguaggi della poesia tradizionale e di un’idea convenzionale di impegno, nella società e nella politica, che veniva dal neorealismo. Secondo Angelo Guglielmi non ci dovevano essere messaggi, nessuna attenzione al significato, ma solo al significante. Gli scrittori convenuti a Palermo cercavano un dialogo letterario con la modernità italiana del boom economico ma rispetto al neocapitalismo di quegli anni ebbero

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un atteggiamento ambivalente, da un lato un’adesione di massima, dall’altro una critica radicale dei modelli di comunicazione che lo caratterizzavano. Inoltre, si posero in contrasto con la vecchia classe intellettuale del dopoguerra che ritennero avesse occupato troppi posti di potere nell’editoria, nell’università, nell’industria culturale. I loro bersagli furono Italo Calvino, Carlo Cassola, Alberto Moravia, Giorgio Bassani. Umberto Eco, però, negò sempre che intendessero dare la scalata al potere culturale, perché molti di loro erano già inseriti in posizioni di potere. Comunque, più tardi, lo stesso Eco scrisse un romanzo popolare e leggibilissimo come “Il nome della rosa” e Angelo Guglielmi diventò l’acclamato direttore di RAI tre. Più che altro, si ispirarono ad alcuni intellettuali del passato, caratterizzati dai loro atteggiamenti di rottura, come Marinetti e il Futurismo, Gadda, Alberto Savinio. Marinetti e i futuristi per la loro vocazione goliardica alla beffa, all’irriverenza, allo scherzo. Gadda perché aveva criticato il neorealismo in quanto infedele alla realtà perché ne rappresentava solo la superficie, solo i suoi aspetti fenomenici. Sperimentalismo a oltranza, fondato sul plurilinguismo, mescolanza di idiomi e di linguaggi, rappresentazione del disordine, della schizofrenia del tempo presente, Giuliani parlò di nevrosi schizomorfa del nostro tempo, destrutturazione del lessico e della sintassi, rifiuto del mercato e di una comunicazione che falsificava e respingeva la realtà. Queste alcune delle posizioni programmatiche del Gruppo. Al suo interno ci fu una duplicità di posizioni. Una che privilegiò la sprovincializzazione della cultura italiana, la liquidazione del vecchio umanesimo e del sentimentalismo, l’altra che considerò la sperimentazione artistico-letteraria come omologa alla rivoluzione sociale contro il neocapitalismo, solidarizzando nella sua rivista “Quindici” con la contestazione del movimento studentesco e operaio al sistema di potere vigente.

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Il Gruppo ’63 fu sempre divisivo, suscitando, fin dal suo esordio, polemiche roventi, con adesioni entusiastiche e ripulse forti. Va ricordata la polemica di Andrea Zanzotto con Edoardo Sanguineti negli anni ‘50. Zanzotto, che pure fu poeta sperimentale, accusò il movimento di fare una trasgressione di facciata. Al che Sanguineti gli fece leggere la raccolta di poesie Laborintus del 1956. Il poeta veneto affermò che gli era sembrata la trasposizione in parole di un esaurimento nervoso, di un mal di testa e Sanguineti replicò che era certo un esaurimento nervoso, ma di carattere sociale, che rispecchiava la situazione della realtà in quel periodo. I poeti principali del Gruppo furono Sanguineti e Pagliarani inseriti in una antologia curata da Alfredo Giuliani, chiamata appunto “I novissimi”, edita una prima volta nel 1961 presso un piccolo editore e poi da Einaudi nel 1965. Nell’antologia Alfredo Giuliani, ideologo del Gruppo e che vi si autodefinì “settario”, sostenne che la poesia non poteva che essere contemporanea del sentimento della realtà del tempo, cioè al suo linguaggio, e non poteva essere irreale rispetto al tempo presente. Con la sua visione “schizomorfa” la poesia doveva prendere possesso di una realtà già di per sé in veloce evoluzione, soprattutto in quel momento storico. Secondo Giuliani vivere era già rappresentare la realtà e la vita, quindi fare poesia doveva essere forzare la realtà e la vita e costringerle a riscriversi liberamente. La poesia non doveva rappresentare, ma intensificare la vita, comunque riprodurre il disordine e la nevrosi dissociativa del tempo trovando un linguaggio che vi fosse omologo. Nella poesia Elio Pagliarani recuperò il verismo di fine ‘800, con uno stile umile, frantumando la cronaca per giungere alla realtà nascosta delle cose. Il suo poema in versi “La ragazza Carla” fu una sorta di conversazione in versi, un collage. Il romanziere di punta del Gruppo fu Nanni Balestrini che lavorò su un materiale già esistente, si potrebbe dire che non scrisse nulla di suo. Il suo libro su Sandokan,

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il capo camorra casertano, uscito due anni prima di Gomorra di Saviano, fu un reportage polifonico redatto con materiale documentaristico, una sorta di stream of reporting. Un altro testo importante per capire le intenzioni artistiche del Gruppo fu “Opera aperta” di Umberto Eco. In definitiva, il Gruppo ’63 assommò molti meriti e alcuni difetti. Tra i primi vanno annoverati una spericolata libertà di idee, pur con esiti artistici disuguali, lo svecchiamento della lingua letteraria italiana, la creazione di un laboratorio culturale contro il sentimentalismo, il patetismo, l’ipertrofia dell’Io, e anche il coinvolgimento e l’influenza esercitata su qualche avversario, come Pasolini. Tra i secondi, la convinzione di essere sorti per incarnare il punto più avanzato di sempre della storia letteraria italiana, la svalutazione di molti altri autori, come la Ginzburg, una certa autoreferenzialità e modi di procedere quasi militareschi.

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