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Shoshanna Zuboff e il capitalismo della sorveglianza
Cultura e Politica
Shoshanna Zuboff e il capitalismodella sorveglianza
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Giovan Giuseppe MENNELLA
La studiosa americana Shoshanna Zuboff ha scritto un interessante saggio, in italiano “Capitalismo della sorveglianza” ed è stata anche ospite lo scorso 5 ottobre a Ferrara al festival della rivista “Internazionale”. La tesi del libro è che da una certa data in poi, che si può fa risalire al 2017, i comportamenti umani sono stati ridotti a merce. Nel 2017 perché in quell’anno Google realizza un dispositivo che raccoglie i dati degli utenti di internet e li trasmette a parti terze che, a loro volta, li trasmettono ad altre parti terze e così via. Il dispositivo si chiama termostato Nast e ovviamente i dati trasmessi sono quelli estrapolati e lavorati per renderli appetibili per scopi commerciali. Il capitalismo non distribuisce più la ricchezza ma l’apprendimento.
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L’esperienza umana, che prima era materia gratuita, è ormai materia che è trasformata in dati comportamentali e che poi è venduta come prodotto di previsione nei “mercati comportamentali a termine” dove operano imprese desiderose solo di conoscere il comportamento futuro delle persone. Ciò ha segnato una rottura radicale con il passato, quindi occorre usare termini nuovi al posto di quelli vecchi. I primi a usare il nuovo termine di “economia della sorveglianza” oppure di “capitalismo della sorveglianza” sono stati J. Bellamy Foster e R.W. McChesney in un articolo del 2014 sulla Monthly Review che hanno parlato di insaziabile desiderio di dati derivante dalla progressiva finanziarizzazione dell’economia. I dati di cui si appropriano le imprese sono quelli online e quelli offline. Dopo accurata elaborazione, sono utilizzati per migliorare, genericamente, beni e servizi, per scopi socialmente utili. Ma, per il residuo (behavioural surplus) i dati confluiscono in quei “prodotti di previsione” commerciati nei “mercati comportamentali a termine”. Coloro che si appropriano di quei dati e li elaborano, accumulano così immense ricchezze e la Zuboff si riferisce soprattutto a Google, considerato l’artefice del nuovo capitalismo. Attraverso il riconoscimento facciale si potrebbero perfino studiare i volti degli utenti per identificare le emozioni e fare previsioni future sui comportamenti commerciali. Il capitalismo di sorveglianza rischia di essere pericoloso soprattutto perché potrebbe provocare la fine dell’autonomia e della dignità come tratti distintivi del modo umano di ragionare e comportarsi. Rischia di fare all’umanità quello che il capitalismo industriale ha fatto alla natura, nutrendosi dello sfruttamento non del solo lavoro umano, come nella visione di Marx, ma della complessiva esperienza umana.
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Ci sarebbe una nuova forma di potere, quello strumentale, che permette di conoscere il comportamento umano e di influenzarlo a vantaggio di altri. La sua forza non deriva da armi o eserciti, ma da un’architettura di dispositivi intelligenti. Il capitalismo della sorveglianza andrebbe combattuto non soltanto perché è monopolistico e viola la privacy ma soprattutto perché riduce a merce i comportamenti umani e attraverso il loro commercio consente straordinari arricchimenti. Tende ad automatizzare la persona stessa, non solo i flussi di informazioni sulla persona. Lo scambio tra la gratuità dell’accesso alla rete e l’appropriazione dei dati avviene con modalità che non garantiscono né una scelta consapevole né la realizzazione dell’efficienza, visto che questa implica che vengano effettuati tutti e soltanto gli scambi che sono reciprocamente vantaggiosi. Non si sa se per il consumatore il beneficio che deriva dall’accesso gratuito alla rete corrisponda al costo, in senso lato, della “cessione” ad altri dei suoi dati. Il perno del capitalismo della sorveglianza è l’utilizzo dei dati e la loro trasformazione in comportamenti da vendere nei “mercati comportamentali a termine”. I big data costano molto meno, nelle odierne condizioni, degli studi psicologici che si facevano per arrivare alla persuasione dei consumatori. Secondo C. Sunstein i monopolisti tipicamente sfruttano l’ignoranza delle persone o le loro debolezze comportamentali evitando di sollecitare le loro capacità di riflessione e deliberazione (On freedom 2017). Lo studioso Morozov, in una recensione sul libro, esprime alcune perplessità sulle posizioni della Zuboff. Non sarebbe chiaro se il capitalismo della sorveglianza conviva, e come, con un altro capitalismo più tradizionale come quello della produzione di merci. Sarebbe anche utile un confronto tra il capitalismo della sorveglianza e pratiche di consumo che vanno in direzione opposta e tendono a sopravvivere, cioè quelle con scopi sociali. Infine, ci sarebbe il rischio da parte della Zu-
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boff di mettere insieme comportamenti e circostanze molto diversi, afferenti non soltanto alla pubblicità personalizzata online, come commercio, assicurazioni, finanza. In definitiva, però, sarebbe auspicabile che la legge, i cittadini informati e una governance seria creino un certo argine al capitalismo dei futures. Già J.K. Galbraith, nel suo studio “Affluent Society” espresse seri dubbi che i costi della pubblicità fossero giustificati da benefici sociali di almeno pari grandezza.
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