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Serve ancora il Sindacato?
Lavoro
Serve ancora il sindacato?
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Raffaele FLAMINIO
Che cosa è il sindacato? A che serve il sindacato? Quanto costa il sindacato? Mi difendo da solo! I sindacati non fanno niente, si arricchiscono solo sulla pelle di chi lavora!
Sono le domande e le affermazioni di vulgata. Riportarlo in forma scritta non sortisce lo stesso effetto dell’ascolto. Si avverte sempre disprezzo, astio, risentimento, sufficienza, nel tono della voce delle persone.
Non v’è dubbio che la crisi complessiva della rappresentanza abbia coinvolto anche le organizzazioni sindacali, provocando una forte emorragia d’iscritti e conseguentemente un mancato ricambio generazionale dei quadri. I superstiti hanno dif-
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ficoltà nell’interpretazione dei complessi e veloci cambiamenti del lavoro e dei lavori. Una difficoltà interna al sindacato ma che coinvolge anche altri settori della società, come i partiti politici che sono rimasti spiazzati e intontiti dalla radicalità e crudeltà del cambiamento prodotto dalla globalizzazione delle merci e della finanza.
Le risorse economiche, che per i sindacati sono più che mai necessarie, essendo essi libere associazioni previste dalla Costituzione, costituiscono ragione di vita e capacità organizzativa. Purtroppo, come ampiamente riportato dalla stampa, alcuni scandali recenti che hanno visto coinvolti alcuni autorevoli esponenti sindacali, hanno minato ulteriormente la fiducia dei lavoratori nei confronti delle organizzazioni stesse.
I tardi anni ottanta e tutti gli anni novanta avevano proposto un ottimismo incauto, oggi lo si può affermare con cognizione di causa, che ha prodotto individualismo e disintermediazione; la crisi dei partiti politici e la dilagante corruzione hanno fatto il resto. Il frutto di quell’idea di società è maturato nei giorni che viviamo.
L’ultima grande manifestazione sindacale degli anni duemila è stata quella organizzata dalla CGIL di Sergio Cofferati, che vide scendere in piazza milioni di lavoratori in difesa della Legge 300 del 1970 (lo Statuto dei lavoratori) e del suo articolo 18 che tutelava i lavoratori dai i licenziamenti illegittimi con la reintegra nel posto di lavoro.
Un grande sforzo si sta compiendo, ancora, per sanare la ferita profonda e sanguinosa che si produsse sui referendum ad escludendum, proposti dalla Fiat di Marchionne, che vide drammaticamente diviso il movimento sindacale. Una sua parte sposò con estremo convincimento le tesi padronali. Ciò che successe è storia ma
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quella divisione ha aperto la strada alle molteplici modifiche delle leggi sul lavoro che una parte del movimento sindacale ha appoggiato e accompagnato, compiendo, più o meno consapevolmente, un’ operazione di disgregazione culturale e politica del movimento, tentando di cannibalizzarne una parte. La drammatica scelta compiuta ha poi dimostrato a posteriori che i diritti del lavoro e delle persone non sono negoziabili.
Questo brevemente è il percorso storico che abbiamo vissuto in questo inizio di millennio e che una parte dei lavoratori non ha compreso appieno.
Le nuove generazioni cresciute nel miraggio dell’individualismo e del cannibalismo primordiale, hanno abdicato mestamente sul confine della sopravvivenza. Hanno assorbito il concetto del lavoro come privilegio e non come diritto costituzionale, soggiacendo all’idea del si salvi chi può, contribuendo inconsapevolmente alla dittatura del dumping salariale prodotto dalla logica del mero profitto.
Il movimento sindacale confederale, ridotto a brandelli dall’incapacità di leggere i profondi cambiamenti intervenuti, dalle furbizie delle rendite di posizione, dalla mercificazione dei principi cardine dell’agire sindacale come “essere soggettività, capacità di organizzare e compiere scelte necessarie” si è sostenuto soprattutto con il contributo e la partecipazione dei pensionati, che del mondo del lavoro avevano e ne conservano coscienza viva. Se per un verso questa dinamica ha prodotto un argine alla liquefazione del movimento, dall’altro ha bloccato il processo di comprensione del gigantesco cambiamento in atto, privando il sindacato degli strumenti anche linguistici per la declinazione di una nuova e più efficace progettualità. L’attendismo e gli equilibrismi degli apparati hanno svuotato miserevolmente le assise congressuali che sono divenute negli ultimi anni kermesse di esistenza in vita, senza sviluppare una necessaria e benefica autocritica rigeneratrice, perpetuan-
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do modelli vecchi e corrosi non aderenti alla realtà contingente.
Queste dinamiche conservative impediscono l’afflusso di nuove energie giovanili che abbiano ben chiari quali siano i rapporti di forza che si sono costituiti nel mondo del lavoro e che avvertono riprodursi pedissequamente nel perimetro delle organizzazioni sindacali. Il vuoto di progettualità e di reazione degli ultimi anni, ha riprodotto le paure e le incertezze sui luoghi di lavoro, riportando le lancette dell’orologio del tempo agli albori delle lotte sindacali.
Il vuoto impedisce l’esigibilità di tanti buoni accordi che si producono nell’ambito delle categorie contrattuali, ha favorito, insieme alla destrutturazione del lavoro, il fiorire di contratti pirata, di fasulle organizzazioni sindacali al servizio dello sfruttamento e della prevaricazione. La crisi identitaria, nella quale il sindacato italiano versa, ha innescato una lotta per la sopravvivenza delle gerarchie che ha bloccato sul nascere ogni iniziativa dal basso tesa alla valorizzazione di idee e concetti innovativi. La critica costruttiva spesso è deliberatamente ignorata.
Questo meccanismo di protezione automatico ha innescato dinamiche per la costituzione di minoranze o di aree programmatiche con il fine di negoziare strapuntini di potere con la facoltà del ricatto. Oggi più di sempre si avverte la mancanza di un’oggettiva e continua scolarizzazione dei quadri secondo regole condivise e inviolabili.
La crisi odierna non è da ricercarsi nelle sole responsabilità ascrivibili agli errori commessi e perpetrati fin qui dal movimento sindacale ma trae forza anche da concetti diffusisi nella società nella fallace convinzione che i corpi intermedi siano i- nutili. Ragionamento perseguito tenacemente dai governi di qualunque connotazio-
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ne politica che hanno instillato nell’opinione pubblica e nei lavoratori l’idea, quasi ineluttabile, che la risoluzione della crisi economica passasse dalla violazione, se non più gravemente, dalla eliminazione dei diritti dei lavoratori.
Questo canovaccio ideologico è stato riprodotto nelle più liberticide riforme del lavoro prodotte in Italia, una per opera della signora Elsa Fornero e l’altra dal renziano Jobs Act.
La reazione sindacale a questi provvedimenti è stata timida e di facciata, lo spread ha dominato la scena politica. A tal proposito si ricordano solo quattro ore sciopero e una manifestazione tenutasi a Roma promossa dalla Cgil.
Una parte del movimento sindacale, in quelle occasioni invece, si è limitata a blande dichiarazioni di circostanza.
La pressione sui posti di lavoro è aumentata, le ristrutturazioni aziendali sono deflagrate e, migliaia di lavoratori sono stati collocati in cassa integrazione straordinaria o licenziati per motivi economici.
La paura e l’oscurantismo sono tornati a regnare sui luoghi lavoro, le assunzioni non sono avvenute, il precariato è aumentato.
Questo ciclone che si è abbattuto sul sindacato ha prodotto la perdita di milioni d’iscritti senza il ricambio di nuove adesioni. I lavoratori precari, seppure in assenza di diritti ma affamati di salario preferiscono subire piuttosto che rimanere disoccupati.
Anche quei pochi giovani assunti con i contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti, temendo i ricatti dei datori di lavoro, preferiscono non iscriversi al sindacato.
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In queste condizioni diventa difficile per il sindacato organizzarsi e agire.
Il blocco dei rinnovi dei contratti di lavoro nel settore pubblico, la chiusura dei siti industriali per riorganizzazioni aziendali, la debolezza della legislazione impongono al sindacato un serio ripensamento del proprio agire, fatto di concrete proposte legislative attraverso gli istituti consentiti dalla Costituzione (leggi d’iniziativa popolare) supportate e accompagnate da adeguate forme di lotta.
La premessa di tali operazioni è il costante coinvolgimento dei lavoratori da parte delle organizzazioni sindacali che devono impegnarsi quotidianamente in quest’opera di informazione e dialogo. Il radicamento in mezzo al lavoro vivo, è la prima azione rivendicativa che il sindacato possa fare.
La CGIL ha fatto un’operazione di questo tipo, ha raccolto un milione e centocinquantamila firme per presentare una legge d’iniziativa popolare intitolata “Carta dei diritti universali del lavoro”. Peccato che la proposta non abbia visto l’adesione delle altre sigle sindacali. La necessità di un sindacato forte e autonomo dal potere politico è utile e urgente: l’internazionalizzazione dei diritti del lavoro è il giusto bilanciamento alla globalizzazione dei capitali e delle merci, a tutela della dignità di chi con le proprie mani ogni giorno costruisce un futuro migliore per l’umanità.
In quest’ ottica, l’unità sindacale diventa ancor più necessaria e costituisce un elemento vincente che affonda le radici in terreni antichi arati dalle sapienti mani di sindacalisti come Giuseppe Di Vittorio, Bruno Buozzi e Achille Grandi.
Pur attraverso le comprensibili difficoltà, il nuovo corso impresso dal neo Segretario Generale della Cgil, Maurizio Landini, si muove in questa direzione per provare a ri-costruire un sindacato forte che si riconosca nello spirito costituzionale capace di affrontare le nuove sfide che il futuro ci proporrà.
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