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Le organizzazioni cattoliche e il fascismo

Storia e Politica

Le organizzazioni cattoliche e ilfascismo

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Giovan Giuseppe MENNELLA

Il regime fascista, con un’apposita legge del 1926, istituì l’Opera Nazionale Balilla con il compito di occuparsi del tempo libero e delle esigenze dei ragazzi italiani. In realtà il vero obiettivo era di controllare e inquadrare i giovani. Infatti, negli anni successivi, tra il 1927 e il 1928, furono sciolte tutte le organizzazioni giovanili non facenti capo all’Opera Balilla, compresi gli scout, i giovani esploratori. L’ASCI Associazione Scoutistica Cattolica Italiana fu sciolta il 27 gennaio 1927. Questa linea di azione s’inserì sulla scia logica dei provvedimenti totalitari che, per rendere sicura la dittatura, avevano già abolito ogni altra organizzazione sociale o politica non facente capo al Partito fascista, a iniziare da tutti i partiti di opposizione e dai sindacati.

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Tuttavia, considerato che la Chiesa cattolica non si era certo opposta fermamente all’ascesa del fascismo e Mussolini voleva risolvere la questione del dissidio tra Stato e Chiesa, si giunse all’accordo tra regime e Vaticano siglato con i Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929, composti da un Trattato Internazionale, una Convenzione finanziaria e un Concordato tra Stato e Chiesa. Nell’ambito del Concordato fu riconosciuta l’esistenza delle organizzazioni cattoliche, principalmente dell’Azione Cattolica. Nonostante tutto, il fascismo puntò ugualmente al controllo di quelle organizzazioni e se ne originò un conflitto duro, con incendi e devastazioni di molte sedi. Nel 1931 Mussolini ordinò ai Prefetti la chiusura di tutti circoli dell’Azione Cattolica. A Sant’Ivo alla Sapienza, allora Università di Roma, scoppiarono proteste spontanee degli universitari iscritti alla FUCI, la Federazione Universitari Cattolici Italiani, nel cui seno stavano facendosi le ossa praticamente quasi tutti quelli che sarebbero diventati i dirigenti politici della futura Democrazia Cristiana. Papa Pio XI protestò duramente nell’Enciclica “Non abbiamo bisogno”, in cui si oppose al controllo totale dello Stato sull’educazione dei giovani, uno Stato che voleva una Chiesa che si doveva limitare all’esercizio delle sole pratiche liturgiche esteriori. Il Papa parlò di totalitarismo educativo del fascismo. Anche Alcide De Gasperi espresse nei suoi diari degli anni ’30 la preoccupazione per la pretesa dello Stato fascista di educare da solo i giovani. Non altrettanto fece Don Luigi Sturzo perché fu sempre avverso al comportamento della Chiesa e di Pio XI, giudicato pessimo, verso l’ascesa e il consolidamento del fascismo. In seguito alle proteste del Papa e delle gerarchie ecclesiastiche, nel 1931 si giunse a un compromesso in base al quale le sedi vennero riaperte, ma l’Azione cattolica si sarebbe limitata a impartire ai giovani la sola educazione religiosa. Restarono vietate le attività dei gruppi scoutistici cattolici. Le sedi dell’Azione cattolica furo-

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no ampiamente infiltrate dal regime, tanto che sulle loro attività sono rinvenibili all’Archivio centrale dello Stato numerose relazioni delle spie dell’OVRA. Nell’Azione cattolica ci fu una certa qual libertà di pensiero che si può definire una sorta di afascismo, non vero e proprio antifascismo. Viceversa, le associazioni scoutistiche cattoliche, che continuarono ad esistere in forma clandestina, ebbero spesso un atteggiamento antifascista. D’altra parte, una delle prime vittime cattoliche del fascismo fu il prete ferrarese Don Giovanni Minzoni, assassinato nel 1923 dalle squadre di Italo Balbo proprio perché aveva organizzato i giovani scout cattolici contro il nascente fascismo agrario. I gruppi clandestini degli scout cattolici furono le Aquile Randagie a Milano e le Guide a Roma. Le Aquile Randagie, scoppiata la guerra e dopo l’8 settembre, fondarono il gruppo di resistenza al nazifascismo denominato OSCAR, che significava probabilmente Opera Scout Cattolica Aiuto Ricercati, il cui compito fu di fare espatriare clandestinamente persone a rischio, come ebrei, esponenti della Resistenza, prigionieri alleati. In questa pericolosa attività si distinse il diacono e poi prete don Giovanni Barbareschi che riuscì a far uscire da San Vittore Indro Montanelli ed era considerato con ammirazione e rispetto dallo stesso Cardinale di Milano monsignor Schuster. Da poco è passato sugli schermi un film, diretto da Gianni Aureli, dedicato alla storia delle Aquile Randagie, che ha anche avuto un sorprendente successo di pubblico. Le Guide erano presenti a Roma al circolo culturale della chiesa di San Marco, vicino a Palazzo Venezia, animato da don Paolo Pecoraro. Questi gruppi scout cattolici ebbero contatti anche con i gruppi scoutistici laici italiani e internazionali con cui condividevano il modo di interpretare la società e l’antifascismo. Le Aquile Randagie incontrarono anche Baden Powelli, il fondatore degli scout, che li incoraggiò alla resistenza al regime. Baden aveva sempre criticato i sistemi

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totalitari di qualunque colore politico e i gruppi giovanili da essi organizzati, dalla Hitlerjugend in Germania ai giovani Pionieri in Unione Sovietica, in quanto il loro controllo dell’educazione dei ragazzi era contrario a tutti i principi liberali e progressisti propri del mondo anglosassone. Un altro prete che animò gruppi scoutistici cattolici antifascisti al Nord fu Don Pasquino Borghi a Reggio Emilia. Aprì la sua parrocchia agli antifascisti e fu trucidato insieme ai fratelli Cervi. Da quel momento il vescovo di Reggio Emilia si staccò definitivamente dalla Repubblica Sociale di Mussolini. Gli appartenente a questi gruppi parteciparono attivamente alla Resistenza, rischiando tutti la vita per le repressioni spietate dei fascisti e dei tedeschi, sia durante i mesi dell’occupazione nazista a Roma, sia più tardi nel Nord fino al 25 aprile 1945. Furono accomunati dal progetto di intraprendere concrete azioni in favore delle classi popolari, per gli ultimi della società, distinti sia dalla nascente Democrazia Cristiana che dal Partito Comunista. A Roma, il 12 marzo del 1944, in piena occupazione nazista, Don Paolo Pecoraro portò i giovani del suo circolo culturale scoutistico in Piazza San Pietro a gridare frasi antifasciste ai festeggiamenti per l’anniversario della consacrazione a Pontefice di Pio XII. Nella fase dell’occupazione nazista di Roma, altri due parroci pagarono con la vita l’impegno a favore dell’antifascismo: Don Paolo Pappagallo, ucciso alle Fosse Ardeatine e Don Pietro Morosini, il personaggio interpretato da Aldo Fabrizi in “Roma città aperta”, fucilato a Forte Bravetta. Don Paolo Pecoraro, che ebbe la sorte di scampare alla repressione, si incontrò più volte con Adriano Ossicini, cattolico comunista, per organizzare la lotta contro i nazifascisti. Adriano Ossicini fu un altro esponente cattolico che si distinse durante la Resistenza a Roma. Era favorevole all’apertura al comunismo nell’ambito del cattolicesimo, insieme ai compagni Marisa Cinciari, Franco Rodano, Tonino Tatò. Già nella

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primavera del 1941, con Franco Rodano e don Paolo Pecoraro, redasse il Manifesto del Movimento Cooperativista. Dopo l’occupazione nazista di Roma lui e Franco Rodano fondarono il Movimento dei Cattolici Comunisti, integrato nella Sinistra Cristiana. Dopo il 1945, quando ormai occorreva prendere posizione tra i due grandi Partiti di massa DC e PCI, la Sinistra Cristiana si sciolse e Franco Rodano, Tonino Tatò, Giglia Tedesco e Luciano Barca confluirono nel PCI mentre Adriano Ossicini si mantenne indipendente e in alcune legislature repubblicane fu eletto nella Sinistra Indipendente. Nella fase dell’occupazione nazista di Roma molti combattenti antifascisti, non solo cattolici, come Tonino Tatò o Franco Rodano, furono aiutati a nascondersi e a lottare dai gruppi cattolici del dissenso. Nei conventi romani rimasero nascosti molti esponenti antifascisti. Nel Laterano, nel Collegio lombardo, a San Paolo fuori le mura si nascosero Nenni, Saragat, Ruini, il capo della Resistenza romana Bencivenga. È una storia che fu narrata da Enzo Forcella nel suo interessante libro “La Resistenza in convento”. Curioso che molti di quei personaggi, rifugiati nei conventi in quei mesi, non fecero mai parola di quegli avvenimenti, quasi che se ne vergognassero politicamente. Nel dopoguerra l’abbandono da parte della Democrazia Cristiana della sua matrice popolare, per approdare all’interclassismo, spinse alcuni di quei gruppi cattolici del dissenso di sinistra, nati già sotto il fascismo, a staccarsi dalla DC e ad avvicinarsi al PCI. Uno di questi rappresentanti fu Franco Rodano che, come abbiamo visto, divenne un importante esponente cattolico nell’ambito del Partito Comunista, un cattocomunista come si ebbe a definirlo, talvolta con malcelata ironia. I tempi erano cambiati e cattolici e comunisti, alcuni dei quali avevano fatto un percorso comune nella lotta antifascista, erano ormai comunemente considerati avversari giurati in tempi di guerra fredda.

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In definitiva, la storia della lotta tra Chiesa e il fascismo per l’educazione dei giovani e la partecipazione di gruppi cattolici ad una Resistenza popolare e di sinistra è poco conosciuta e forse è stata sottovalutata dagli osservatori laici, sul presupposto che la Chiesa nella sua totalità avesse appoggiato senza riserve il fascismo. Ma la situazione, come si è visto, era stata ben più articolata e complessa.

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