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Aldo Moro e la nascita del centroSinistra

Politica e Storia

Aldo Moro e la nascita del centrosinistra

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Giovan Giuseppe MENNELLA

Nella vicenda della nascita del Centrosinistra in Italia ci sono alcune date importanti da ricordare. Il 15 febbraio del 1959 Amintore Fanfani si dimise da Segretario politico della Democrazia Cristiana in seguito alla fronda interna di molti suoi compagni di partito. Lo sostituì alla Segreteria Aldo Moro, allora quarantatreenne, che si era mantenuto piuttosto defilato nella nuova corrente dei Dorotei, sorta in seguito alla spaccatura nel partito. Il 27 gennaio del 1962 Moro pronunciò al Congresso DC di Napoli un discorso di sette ore nel quale convinse i colleghi di partito, soprattutto quelli della destra, del-19

la necessità strategica di un accordo con il Partito Socialista per formare insieme un governo organico di Centrosinistra. Il 4 dicembre del 1963 Moro giurò davanti al Presidente della Repubblica Antonio Segni come Presidente del Consiglio del primo governo organico di Centrosinistra, con la partecipazione di ministri socialisti. Per capire come si era giunti a quel governo e quali erano le motivazioni e i retroscena della politica italiana tra gli anni’50 e ’60, occorre fare alcuni passi indietro Si deve partire dalla morte di Alcide De Gasperi nell’agosto del 1954. A quella data lo statista trentino non era già più Presidente del Consiglio, dopo il mancato successo alle elezioni politiche del 1953. Il leader più accreditato per sostituirlo, ormai sulla cresta dell’onda dopo le buone prove come Ministro del Lavoro e artefice del Piano INA Casa, era Amintore Fanfani. Aldo Moro era un altro esponente molto promettente della DC ma non così in auge come Fanfani. Il contrasto politico tra loro nascerà solo dopo, alla fine degli anni ’50, e saranno più i compagni di partito e i mezzi di informazione ad accreditare la leggenda dei due “cavalli di razza” che si combatterono senza esclusione di colpi. Dopo la caduta di De Gasperi e alcuni Ministeri di transizione, Fanfani diventò Segretario politico della DC e ben presto anche Presidente del Consiglio. Con la sua solita irruenza e il decisionismo che lo contraddistinsero sempre, cominciò a esporsi per una nuova alleanza con forze politiche più progressiste, per il superamento del centrismo del dopoguerra. Moro era più defilato, ma non per questo meno favorevole al programma fanfaniano. Ma era convinto, da politico prudente, che non fosse positivo accelerare troppo il processo di cooptazione di forze di sinistra nella maggioranza, per non spaventare il Vaticano, gli Alleati occidentali e i settori più conservatori e moderati della società italiana. La stella politica di Amintore Fanfani brillò per tutti gli anni ’50. Acquisì le tre ca-

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riche di Presidente del Consiglio, di Ministro degli Esteri e di Segretario politico della DC. La vita politica era sempre attraversata dal dilemma del superamento o meno del centrismo, con l’allargamento della maggioranza a sinistra, con Fanfani a spingere e il centro e la destra della DC a frenare. Nel 1959, in seguito a una fronda all’interno della DC, Fanfani fu costretto a dimettersi da Segretario. La sua corrente “Iniziativa democratica” si spaccò, dando vita a quella denominata “Nuove cronache” con i suoi fedelissimi e a quella de “I Dorotei” dal convento romano di Santa Dorotea, dove si riunirono i capi, comprendente Taviani, Rumor, Colombo e lo stesso Moro, in posizione più defilata. I Dorotei espressero una linea politica di cautela rispetto al superamento del centrismo. In quei primi mesi del 1959, Moro fu nominato Segretario del partito e Antonio Segni Presidente del Consiglio. L’atteggiamento di Fanfani e dei suoi rimase favorevole a un’apertura immediata alle forze di sinistra democratica e quello di Moro, e soprattutto dei dorotei, più cauto, con varie sfumature, sempre nel timore di una spaccatura nel Partito e nel Paese. Dopo un anno esatto, il 24 febbraio del 1960, le tensioni latenti sfociarono nella crisi di governo e nelle dimissioni dell’esecutivo Segni. Il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, esponente di spicco della sinistra DC, incaricò il suo amico Fernando Tambroni di formare un nuovo governo, esplorando la possibilità di far entrare i socialisti nella maggioranza. Il Partito socialista, che a sua volta scontava divisioni interne sull’opportunità di distaccarsi dal Partito Comunista, non ritenne di poter aderire alla proposta e rifiutò di partecipare a una nuova maggioranza. Il Partito socialista non era ancora pronto a staccarsi definitivamente dal PCI, ma soprattutto a dichiarare un’esplicita fedeltà al Patto Atlantico, al massimo era orientato verso qualche forma di neutralismo tra i due blocchi. Il PSI disse no a

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Tambroni, anche perché lo considerò un uomo del Presidente Gronchi, una sorta di variabile indipendente non affidabile, come si sarebbe visto al momento della presentazione del governo in Parlamento. In realtà furono anche i dorotei a scegliere Tambroni per il tentativo di avvicinamento al PSI, ma vollero anche mantenere i contatti con la Confindustria, con il Vaticano, con gli alleati USA, con tutto un mondo italiano provinciale e bigotto che la DC aveva paura di perdere e che chiaramente temeva il cambiamento politico. Moro, come Segretario del Partito, accettò il tentativo di Tambroni, di cui neanche lui si fidava, esclusivamente per tenere unita la DC. Quello dell’unità della DC fu il vero dogma politico di Aldo Moro. Tutte le sue a- zioni furono indirizzate a tenere unito il partito e portarlo nel Centrosinistra senza scissioni. Tenere unito quel partito significò coinvolgere nello spostamento a sinistra tutta la società italiana, perché all’epoca la DC, con il suo interclassismo e la sua vocazione popolare, esprimeva tutta la complessità della situazione sociale italiana. Il Presidente Gronchi, caratterizzato anch’egli da pulsioni di decisionismo, consigliò Tambroni di formare ugualmente il nuovo governo, nonostante il rifiuto dei socialisti, cercando liberamente i voti di maggioranza in Parlamento. Il 26 marzo 1960 Tambroni si presentò alle Camere e il governo passò con i voti determinanti del MSI, il partito neo-fascista fondato da Giorgio Almirante. Poco tempo dopo, a luglio, scoppiarono proteste e tumulti a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, dove il MSI intendeva tenere il suo congresso politico, e in seguito in tutta Italia, con i fatti più gravi a Reggio Emilia dove la forza pubblica sparò e tra i dimostranti si contarono cinque morti. Proprio Aldo Moro testimoniò ex post, durante la prigionia nelle mani delle Brigate Rosse e contenuta nel cosiddetto “Memoriale Moro”, che il Generale De Loren-

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zo contribuì a tenere calma la situazione in quel luglio 1960, fornendogli tutte le informazioni riservate e di prima mano sugli eventi, in modo da consentirgli di pretendere le dimissioni di Tambroni da Presidente del Consiglio. Moro rivelò anche che il periodo dal 1960 al 1964, cioè il periodo dell’incubazione e poi del varo del primo governo di centrosinistra organico, fu molto pericoloso per la tenuta della democrazia italiana. Anche Nenni lo aveva già confermato quando disse che mai come in quel periodo aveva sentito un tintinnare di sciabole, riferendosi a presunti o progettati colpi di stato militari. Dopo la rinuncia di Tambroni fu varato un altro governo Fanfani, a guida DC ma stavolta con la significativa astensione sui banchi del Parlamento del Partito socialista. Questo governo nacque il 26 luglio 1960, terzo governo a guida Fanfani, monocolore DC e, come detto, con l’astensione benevola del PSI. A questo proposito, Moro, in un discorso sull’astensione del PSI, ebbe a parlare di “convergenza democratica” tra i due partiti, mentre la stampa la ribattezzò come “convergenze parallele”, frase che doveva passare alla storia, caratterizzando da allora in modo non troppo esatto tutta la vicenda e l’essenza politica di Aldo Moro. Intanto stavano cambiando alcune cose importanti anche nel panorama internazionale. Erano avvenuti eventi rilevanti: l’ascesa al soglio pontificio di Giovanni XXIII, un Papa meno tradizionalista e conservatore di Pio XII, l’elezione a Presidente degli Stati Uniti di John Fitzgerald Kennedy e la politica meno dura di Kruscev in Urss. In particolare, il Vaticano non ostacolò le alleanze tra DC e PSI alle elezioni amministrative del novembre 1960, dopo le quali i due partiti governarono insieme per la prima volta in alcune grandi città. La Chiesa si rese conto che contrastare ulteriormente l’alleanza con il PSI avrebbe diviso la DC. Anche gli Stati Uniti diedero un tacito via libera all’ipotesi di centrosinistra. Ormai

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l’Italia del governo Fanfani si era affrancata dallo stretto controllo e dalla dipendenza dagli statunitensi. Non erano più i tempi delle navi liberty che portavano aiuti alimentari per la sopravvivenza, dell’ambasciatrice Claire Booth Luce che pretendeva la messa fuori legge del PCI, dei soldi del Piano Marshall. Ormai l’ENI di Enrico Mattei competeva da pari a pari con gli occidentali sui mercati petroliferi, le Olimpiadi di Roma del 1960 erano state un grande successo organizzativo mostrando al mondo la ripresa dell’Italia, era in pieno dispiegamento il miracolo economico con la crescita delle esportazioni e della ricchezza del Paese. Era davvero maturo il tempo, da tutti i punti di vista, per una significativa svolta politica. Moro recuperò il tema dell’antifascismo, sfilandolo alle sinistre, perché non volle ripetere a nessun costo l’esperienza, infausta e foriera di disordini, del governo Tambroni. Volle prendersi il tempo necessario per far comprendere bene alla Chiesa l’apertura a sinistra, perché altrimenti il Vaticano avrebbe potuto avere la tentazione di spaccare il movimento politico dei cattolici favorendo la creazione di un nuovo partito alternativo alla DC. Manovrò per appoggiarsi al cardinale Siri, Presidente della Conferenza episcopale italiana, che aveva avuto l’imprimatur dello stesso Papa Giovanni, per bloccare l’intenzione del potente cardinale di curia Ottaviani di creare un altro partito cattolico più conservatore della DC. In definitiva, recuperò l’intuizione dei cattolici che l’avevano preceduto, di attuare una politica anche laica, che non seguisse obiettivi e interessi solo confessionali. Anche gli americani all’inizio degli anni ‘60 rimossero il blocco all’allargamento a sinistra della maggioranza. Ormai fu chiaro che Aldo Moro, eletto segretario della DC nel 1959 come uomo di semplice transizione, che non avrebbe dovuto incidere in nulla nella linea politica, era riuscito a diventare un leader che aveva sbloccato la situazione ferma al centrismo, manovrando abilmente con la Chiesa, con gli a- mericani, con i sovietici, con la società italiana. Era un regista politico che si muo-

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veva tra molte parti. Il suo progetto all’epoca fu di cambiare la società italiana, ma nella continuità e nel consenso di tutte le parti sociali e politiche, sia italiane sia internazionali. Il momento in cui fu dato a tutto il Paese di conoscere l’intuizione e la volontà di Aldo Moro di aprire al PSI fu alla trasmissione televisiva Tribuna politica dell’8 novembre 1961, nella quale il Segretario della DC anticipò in sintesi i contenuti del famoso discorso di 7 ore che avrebbe pronunciato di lì a poco tempo, il 27 gennaio 1962, dalla tribuna del Congresso DC di Napoli. Il discorso di Napoli fu improntato al progetto di favorire l’autonomia del PSI, promuovere e rendere più sicura la vita democratica dell’Italia, invitando al coraggio tutti, amici e avversari, soprattutto gli esponenti della destra della DC, alcuni dei quali citati ò per nome, come Scelba, Andreotti, Segni. Il discorso fu interrotto spesso da ovazioni e applausi. Oggi può sembrare stupefacente che un discorso politico duri sette ore, ma allora era necessario tanto tempo per spiegare, convincere, indirizzare. All’epoca i discorsi politici erano determinanti per convincere gli altri. E gli altri si lasciarono convincere. Il 22 febbraio di quel 1962, neanche un mese dopo, Amintore Fanfani presentò alle Camere il suo nuovo governo, il quarto, con i socialisti ormai nella maggioranza, anche se non ancora coinvolti in incarichi governativi. Fu un governo che cominciò ad attuare alcune riforme, che peraltro dovevano rimanere per molti anni le uniche che si realizzarono. L’introduzione dell’imposta della cedolare secca, la riforma della scuola media unificata, la nazionalizzazione dell’energia elettrica. Furono riforme che allora contribuirono a cambiare l’Italia. Tuttavia, ci fu ben presto una controffensiva dei conservatori e delle destre, con la Confindustria alla testa. Alle elezioni per il Presidente della Repubblica la DC votò per l’esponente della destra DC Antonio Segni che prevalse sul candidato socialde-

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mocratico Giuseppe Saragat, appoggiato dalla sinistra. L’importantissima riforma urbanistica non passò, per il fuoco incrociato degli speculatori edilizi e del Vaticano, massimo proprietario immobiliare in Italia. Il ministro democristiano dei Lavori pubblici Fiorentino Sullo che si era battuto moltissimo per la riforma fu linciato mediaticamente, anche con insinuazioni di carattere personale. Non passò neanche la riforma per l’istituzione delle Regioni, per il timore dei conservatori di consegnarne alcune al governo delle sinistre e soprattutto del Partito Comunista. Le elezioni politiche del 28 aprile 1963 si svolsero in un clima di incertezza e di mobilitazione contro l’esperimento del governo Fanfani di riformismo democratico e di allargamento della base popolare e, grazie alla feroce e determinata mobilitazione mediatica dei giornali moderati, della Confindustria, degli elementi conservatori della gerarchia ecclesiastica, ebbero esito negativo sia per la DC che per il PSI. Entrambi i partiti persero punti in termini di voti e di seggi. Fanfani si dimise il 22 giugno del 1963. Tuttavia, al successivo Congresso della DC, Moro chiarì con fermezza che non si sarebbe tornati indietro dall’esperienza del Centrosinistra. Dopo altri sei mesi, gestiti da un governo ponte presieduto da Giovanni Leone, il 4 dicembre 1963 fu varato il primo governo organico di Centrosinistra, con alcuni Ministri socialisti, presieduto proprio da Aldo Moro che ne era stato il tenace tessitore. Siamo quindi tornati a quella che era stata l’ultima data citata all’inizio, quel 4 dicembre 1963. Per Aldo Moro, che all’inizio di gennaio 1964 lasciò la carica di Segretario politico della DC a Mariano Rumor, l’alleanza con il PSI fu strategica e non tattica. Cioè non servì solo a intercettare un alleato qualsiasi per dare respiro e puntellare il potere della Democrazia Cristiana, ma per favorire un allargamento della base democratica del Paese e per coinvolgere stabilmente nelle responsabilità di governo una parte non piccola della sinistra.

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Tuttavia, il 1964 fu un anno difficilissimo, per il Centrosinistra e per l’Italia. Il miracolo economico si arenò, ci presentò la crisi economica definita “congiuntura” e il governo Moro cadde. Entrò in carica un nuovo governo più attendista, guidato da Emilio Colombo. Durante le trattative politiche tra la caduta del governo Moro e l’entrata in carica del governo Colombo, Nenni disse di avvertire un tintinnare di sciabole e il 7 agosto di quel 1964 ci fu una riunione tesissima tra Moro, il Presidente Segni e Giuseppe Saragat, durante la quale Segni ebbe un ictus cerebrale che lo rese inabile a continuare il mandato presidenziale. Il Centrosinistra, a partire dal governo Colombo, entrò in uno stato di quiescenza, non realizzò molte altre riforme, almeno fino alla fine degli anni ’60 e agli inizi dei ’70, con lo Statuto dei Lavoratori e l’istituzione delle Regioni. Per questo si può dire che in quei primi esperimenti di centrosinistra all’inizio degli anni ’60, ebbe maggiore successo nell’opera riformatrice il governo Fanfani del ’62 senza i socialisti al governo che i governi successivi di Moro e degli altri Presidenti con i ministri socialisti. Con il governo Moro di Centrosinistra del 1963 si cercò di governare il miracolo economico, ma il fiato corto di quella politica, a partire dal 1964, soprattutto con il fallimento della programmazione economica che restò del tutto sulla carta, portò alle gravi tensioni e agli scontri sociali del 1968-69. Dopo le rivolte, le proteste e i malesseri del mondo giovanile e operaio di quel biennio, che in Italia dovevano continuare molto più a lungo che in altri Paesi, Moro, che non era un politico chiuso dentro i palazzi ma ascoltava la gente, comprese che la società italiana era cambiata, anche per via delle nuove esigenze dei giovani e delle donne. Andò all’opposizione all’interno della DC e iniziò a pensare alla necessità di un rapporto diverso con i comunisti e, comunque, fu tra i pochi politici che compresero negli anni ’70 che sarebbe stato necessario dare risposte plausibili

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al malessere delle classi subalterne. Molti storici si sono chiesti se già dall’epoca del coinvolgimento dei socialisti fosse nella mente dello statista pugliese anche altrettanta attenzione politica verso il Partito Comunista. La risposta unanime tende a essere negativa, perché il Centrosinistra dei primi anni ‘60 fu un’operazione indirizzata principalmente proprio contro il PCI. Dopo le elezioni politiche del 1976 Moro pensò di far entrare il PCI nell’area di governo, ma per lui la collaborazione con il PCI non fu mai un’opzione strategica come lo era stata nei confronti del PSI. Fu piuttosto un ennesimo tentativo di trovare un nuovo alleato, o quantomeno un non nemico, per prolungare il potere della DC. Provò quindi ad avviare un discorso con i comunisti, almeno per condividere alcune responsabilità. Ma nei tardi anni ‘70 i tempi erano cambiati, non c’erano più Papa Giovanni, Kennedy, Kruscev, ma Paolo VI, Kissinger, le Brigate Rosse, i Servizi segreti dell’Est, la P2 con in mano gli apparati di forza dello Stato. Fu fermato. L’uccisione di Moro diede altri quindici anni di vita al sistema dei partiti che poi fu travolto comunque da Tangentopoli. Ma dopo le inchieste di Di Pietro e Borrelli era ormai un altro Mondo, con la fine dell’URSS e del Comunismo, Maastricht, la globalizzazione irrefrenabile, il WTO e l’apertura della libera circolazione di merci e capitali in tutto il Mondo, Cina compresa. E in Italia sarebbero venuti e se ne sarebbero andati Berlusconi, Bossi, Prodi, Veltroni, D’Alema, Rutelli, Fini, Bersani, Letta, Renzi, Salvini, Di Maio. Tutti invano, come recita il titolo del libro di Filippo Ceccarelli “Invano. Il potere in Italia da De Gasperi a questi qua”. Almeno, Aldo Moro fu uno statista che nel momento difficilissimo ed epocale per l’Italia, dagli anni ’50 agli anni ’60, incise seriamente e non passò invano.

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