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Ed ecco a voi la classe operaia!
Ed ecco a voi la classe operaia!
Antonella BUCCINI
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Politica
Non ho ancora perso il vizio, anche se mi ripeto che devo assolutamente smettere. Non sto pensando al fumo, abitudine sicuramente deleteria per la quale chi la pratica è esposto a una singolare riprovazione sociale. Mi riferisco ai talk show che dovrebbero però subire analogo anatema. Infatti, la prevedibile rappresentazione della politica nostrana, se non dannosa come il fumo, induce, nella maggior parte dei casi, a una noia stizzita. Eppure non demordo, un po’ come mio figlio che da piccolo rivedeva Mary Poppins senza soluzione di continuità perché, mi ha rivelato poi, sperava che il finale potesse cambiare e la protagonista rinunciare a volare via con il suo ombrello. Ecco, anch’io nutro la speranza che alla fine venga fuori una novità, una parola, un pensiero, che il buon senso e una visione insomma non volino via come Mary Poppins. Eppure, una considerazione in questi giorni mi frulla
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inopinatamente per la testa a seguito di questa mia pratica scriteriata. Ho notato, infatti, che è diventata frequente la presenza degli operai in studio o in collegamento con i programmi in questione, quelli con vocazione democratica ovviamente. Si tratta di lavoratori che rischiano il licenziamento e che provano a raccontare, negli stretti tempi televisivi, le motivazioni, il presidio delle fabbriche, le richieste, le mediazioni, le incertezze, le paure, le speranze. Alla fine i conduttori funzionano da referenti insolitamente necessari, si fanno, in qualche modo, portatori delle i- stanze e catalizzatori dell’emergenza, promettono solidarietà e accoglienza nelle loro trasmissioni come una sorta di presidio di resistenza. Loro, gli operai, ringraziano della disponibilità e confidano che quella visibilità possa indurre la politica ad affrontare con efficacia la questione. Ecco la politica. Grande assente. Il mondo è cambiato rapidamente e, anche se occorre elaborare un nuovo linguaggio, è altrettanto urgente una rifondazione culturale e politica, uno scatto di orgoglio. Del resto i temi non mutano: giustizia sociale e lavoro, declinazione che la sinistra, e- sangue e priva di coraggio, ha smarrito in un balbettio inconsistente e autoreferenziale. La protesta via etere sembra voler certificare, quindi, come ultima spiaggia, una sorta di esistenza in vita, reclamare attenzione verso quei lavoratori che da classe di lotta ora assurgono, essenzialmente, a vittime emblematiche di un sistema allo stremo. I comprimari, i parlamentari di turno, lasciano a desiderare. Si limitano a seguire la discussione seduti nel salottino dello studio televisivo beneficiando dei quindici minuti di popolarità, formulano quei due o tre concetti di rito, sempre uguali e, immancabilmente, professano il loro indiscusso impegno sul tema, se rappresentanti del governo, la risoluta contestazione, se all’opposizione. Si ispirano, come tanti, al bignami della politica, che, probabilmente, si consegna, insieme all’agenda, il primo giorno della legislatura a Palazzo Madama o Montecitorio. Deve essere rilegato in pelle pure quello e prevede, nella sua naturale missione, istru-
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zioni per sintesi. Sarà questo il motivo per cui i dibattiti televisivi si possono riassumereagevolmente e concludere in un nulla di “fatto”. Sì, devo smettere, sono sicurache il talk nuoce alle arterie come la nicotina.
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