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L’Italia nelle spire del MES Raffaele FLAMINIO

Politica

L’Italia nelle spire del MES

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Raffaele FLAMINIO

La dimostrazione plastica dell’importanza dell’Unione Europea, per chi ancora non l’avesse compreso a fondo, è determinata dall’aggiornamento del Fondo Salva Stati di cui in questi giorni i 19 Stati membri, utilizzatori della moneta unica (Euro), stanno approntando. Il dibattito, in Italia invece, stagna nella palude dei tatticismi e delle convenienze particolari in un clima di perpetua campagna elettorale. Intanto il debito pubblico Italiano lievita pericolosamente sulla soglia dei 2.400 miliardi di euro pari a un debito pro capite di circa 33.000 euro a cittadino, compresi i neonati. I dati sull’evasione fiscale e contributiva stimata, calcolati della commissione presieduta da Enrico Giovannini, ammontano a 109,7 miliardi di euro (fonte Il Sole24 ore del 2 dicembre 2019). Dunque, i numeri sono implacabili e incontrovertibili, eppure una parte della poli-

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tica sembra non accorgersi di questa polveriera su cui sta seduta. Fatta questa doverosa istantanea, cercheremo di spiegare a beneficio dei nostri lettori che cos’è e in che consiste il MES (Meccanismo europeo di stabilità). Qual è la sua genesi. Quando furono siglati i trattati europei, gli Stati membri del Nord Europa chiesero di inserire l’art. 123 che vietava l’aiuto agli Stati in difficoltà economica. Il timore di questi Paesi economicamente più forti risiedeva nella convinzione che i membri più deboli scaricassero sugli altri popoli europei i loro enormi debiti. Salvo poi costatare che la crisi mondiale del 2008 minacciava l’esistenza stessa dell’Europa, attaccando Italia, Portogallo, Spagna, Grecia e Irlanda. Fu così deciso in sede europea di istituire il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria. Il nascente organismo dal punto di vista giuridico si costituisce in una società di diritto lussemburghese che può prestare denaro agli Stati membri o acquistare i loro titoli di Stato a interessi calmierati rispetto a quelli reperibili sui mercati finanziari. Questo meccanismo si è poi evoluto nell’attuale MES. Il MES ha un capitale di 700 miliardi di euro cui contribuiscono in maniera proporzionale al Pil tutti i membri. La Germania contribuisce con il 27% del capitale, l’Italia è terza con il 18% (14,3 miliardi di euro). Il MES decide di aiutare o meno il Paese in difficoltà con una super maggioranza di voti dei Paesi appartenenti all’Unione e stabilisce regole che contemplino il taglio del deficit e del debito attraverso riforme strutturali. L’organismo opera in coordinamento con la Commissione europea cui spetta il compito di negoziare con il Paese coinvolto nel salvataggio. Dal luglio 2012 il vecchio organismo è stato sostituito, appunto, dal MES, con la previsione che l’assistenza finanziaria ai Paesi insolventi sia condizionata alla partecipazione del settore privato (bail-in).

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Il MES si muove su due direttrici: aiuti alle banche e aiuti agli Stati. Il prolungarsi della crisi che, vede coinvolti, anche, i Paesi più stabili ha consigliato una riforma. Una delle proposte pregnanti di questa riforma è costituita dalla previsione che sia il MES a fornire il Backstop (muro di protezione, termine mutuato dal Baseball per evitare alla palla di finire fuori campo a colpire gli spettatori) al fondo di risoluzione comune per le banche. Infatti, quest’ultimo, è stato costituito per accantonare, tramite i contributi versati dalle banche dei Paesi membri, le risorse indispensabili per far fronte e aiutare le risoluzioni del sistema creditizio europeo. La diffidenza degli Stati così detti forti è stata sconfitta dalla persistenza della crisi del sistema bancario che investe tutto il continente. Nel caso di crisi bancarie, i capitali messi a disposizione (linea di credito di 55-60 miliardi di euro pari all’1% dei depositi garantiti bancari) dovranno essere restituiti direttamente dalle banche interessate senza passare attraverso la finanza dello Stato a cui appartiene l’istituto di credito. Questo per preservare le comunità nazionali da fardelli sul debito pubblico. Più complesso è il caso del salvataggio di interi Stati. Nella ristrutturazione dei debiti sovrani degli Stati in difficoltà, verrebbero coinvolti anche i Paese creditori, detentori, del debito che vedrebbero tagliarsi il valore dei titoli in portafoglio. In questo caso sarebbero attivati meccanismi di protezione anche nei confronti di questi ultimi. L’idea cardine della proposta di riforma, conduce a ragionare in termini di difesa del sistema complessivamente, difendendolo da eventuali mire speculative. Nella fase di ristrutturazione del debito degli Stati in crisi, la procedura per la concessione degli aiuti prevede un’analisi della sostenibilità del debito stesso. Saranno, quindi, il MES, organismo tecnico presieduto dai ministri economici dell’UE e la Commissione europea, organismo politico, a eseguire l’analisi.

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I compiti, dei due organismi, sono quindi combinati: la Commissione, organo politico, avrà lo scopo della tenuta dell’Europa, mentre il MES opererà da un punto di vista prettamente tecnico, verificando la capacità, dei Paesi coinvolti, a ripagare il debito. Nell’idea complessiva maturata a Bruxelles, il combinato disposto delle nuove regole e delle ingenti disponibilità economiche costituite da centinaia di miliardi di euro, scoraggerebbe la speculazione ponendola di fronte alla possibilità di perdere ingenti quantità di denaro destinato agli attacchi diretti agli Stati membri in difficoltà. Come si diceva, il nuovo Trattato, contempla, la collaborazione tra la Commissione e il MES nell’analisi complessiva, politica e tecnica, incluso il parere della BCE per la sostenibilità dell’operazione ma, qualora ci fosse divergenza tra i due organismi prevarrebbe il parere della Commissione. Ma vediamo cosa sta accadendo in casa nostra. La bozza della riforma, seppur scritta nelle stanze segrete degli uffici belgi, era nota a tutti coloro avessero voluto interessarsi fin dal 4 dicembre 2018. Quindi nessuna sorpresa. Il Presidente del Consiglio nel giugno 2019, in epoca di governo Giallo-Verde, informò le Camere sulla struttura della riforma del MES e l’intero governo che con i suoi ministri economici ha partecipato alla “segreta” stesura del nuovo MES. I verbali delle commissioni parlamentari riporterebbero esplicitamente gli interventi e i virgolettati dei ministri e dei commissari Leghisti. Non si capisce quali siano i segreti e, su quali basi siano fondate le accuse di alto tradimento rivolte al Presidente del Consiglio, già responsabile del governo precedente del quale faceva parte la Lega di Salvini. Se da un lato le opposizioni, pretestuosamente insorgono, anche nella compagine di maggioranza, nel Movimento 5 Stelle, l’aria che tira è tutt’altro che rassicurante. I segnali d’incertezza nel perimetro del governo sono plasticamente rappresentati dall’impassibilità manifestata da Di Maio che, in occasione della relazione tenuta

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da Conte alle Camere, non ha mostrato sorrisi o soddisfazione alle parole del Premier. Appare evidente che, il Movimento Cinque Stelle sia stretto nella morsa di Salvini e del Governo. Per il momento, sembra, che le sorti della trattativa siano nelle mani del Ministro Gualtieri che oggi (4 dicembre ndr) incontrerà i suoi colleghi dell’eurogruppo. Il tentativo è quello di puntare a uno slittamento in sede europea per tentare un compattamento della maggioranza in vista del voto al Senato, calendarizzato per la prossima settimana. Il Presidente del Consiglio Conte e il Ministro dell’Economia Gualtieri continuano a tessere la tela degli equilibri interni al Governo fornendo rassicurazioni ai “gialli di governo” che la partita non è chiusa, un trattato europeo è fino all’ultimo modificabile ed emendabile, non si firmano cambiali in bianco. Il Premier ribadisce la volontà dell’Italia di trattare nella logica del pacchetto, confermando che se non si dovesse trovare la quadra sul MES, non verrà apposta nessuna firma sull’ipotesi di Unione Bancaria. Agitare le acque, secondo il presidente del consiglio Conte equivale a far salire lo spread. Lo spartiacque di questa convulsa vicenda, rimane la data dell’11 dicembre, in cui il Senato della Repubblica, dopo le comunicazioni del Premier, metterà ai voti le risoluzioni parlamentari. Indirettamente la Francia potrebbe fornire una sponda efficace per lo slittamento, considerato che il Parlamento transalpino ha bisogno di tempo per recepire nella propria Costituzione la modifica del trattato. Ma non solo il Mes tiene in apprensione la maggioranza. I dossier aperti sul tavolo governativo sono molteplici e tutti scivolosi: l’Ilva, Alitalia, la prescrizione, la Banca Popolare di Bari, un ginepraio nel quale il premier Conte dovrà provare ad avventurarsi. Occorre un cronoprogramma preciso che detti i tempi di scansione delle questioni. Forse il tutto sarà possibile solo dopo la definizione del decreto fiscale. E’ indubitabile che le questioni domestiche incrocino anche quelle riguardanti

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l’Europa di cui nessuno può fare a meno, neanche la Germania e i Paesi nordici nella sua orbita. Il calo della produzione industriale che vede la locomotiva teutonica rallentare e la debolezza del suo sistema bancario inducono alla riflessione la cancelleria berlinese. Da parte sua l’Italia con il suo enorme debito pubblico e la dilagante evasione fiscale, dovrà responsabilmente e con il concorso di tutte forze della compagine governativa, ridurre i suoi fardelli che altrimenti graverebbero pesantemente sulle sorti degli Italiani e le opinioni dei Tedeschi. Aggiornamento del 5 dicembre Slitta al 2020 la ratifica del Mes. Questo l’esito della riunione dell’eurogruppo dei ministri finanziari tenutasi ieri a Bruxelles. Il ministro Gualtieri ha ottenuto alcune modifiche sul meccanismo “salva Stati”. Se ne parlerà all’eurosummit dei Capi di governo che si terrà il prossimo 13 dicembre. L’apertura da parte dell’Europa è dovuta principalmente al rischio di caduta del governo Conte proprio su questo tema. Se oggi in Italia si dovesse tornare alle urne, con molta probabilità arriverebbe al governo una maggioranza sovranista che potrebbe rimettere in discussione l’intero Trattato. E ciò, naturalmente, non sarebbe ben accetto alla nuova Commissione europea appena insediatasi.

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