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Voglia di Stato Aldo AVALLONE
Politica
Voglia di Stato
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Aldo AVALLONE
Dopo un mese di silenzi, l’AncelorMittal si è rifatta viva sulla vicenda dell’Ilva di Taranto. Per rimanere in Italia la richiesta degli indiani è scioccante: quattromilasettecento esuberi, di cui tremila già nel 2020 e i restanti millesettecento nei tre anni successivi. Di fatto un dimezzamento della forza lavoro dell’acciaieria pugliese. Dopodiché si spegnerebbero gli altiforni che verrebbero sostituiti da nuovi “forni elettrici ad arco” per garantire una produzione iniziale di 4,5 milioni di tonnellate di acciaio che potrebbe salire fino a 6 milioni. Questo è quanto prevede il nuovo piano industriale illustrato il 4 dicembre scorso al MISE dall’amministratore delegato di ArcelorMittal Italia, Lucia Morselli. Appare utile ricordare che l’accordo firmato nel 2018 prevedeva una produzione di 8 milioni di tonnellate annue. Il ministro Stefano Patuanelli non ha nascosto il proprio disappunto. È ovvio che una proposta di questo tipo è irricevibile sia da parte del governo che dai sindacati. E se l’esecutivo lascia aperto uno spiraglio per proseguire la trattativa, le organizzazioni
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dei lavoratori bocciano in toto il piano che, secondo il segretario della Cgil, Maurizio Landini, sarebbe propedeutico alla chiusura totale dello stabilimento. Con simili premesse appare veramente difficile che possa essere trovato un accordo. Si ripropone, quindi, un tema estremamente rilevante nell’approccio alle diverse crisi che stanno attanagliando il tessuto industriale e produttivo del Paese. Quello delle partecipazioni statali. Tema complesso e spinoso che apre dibattiti accesi sulla possibilità di un intervento dello Stato nella gestione, totale o in compartecipazione, di imprese in difficoltà. Non solo l’Ilva ma anche Alitalia, in questo momento, potrebbero essere interessate a un intervento di questo tipo. Nel dibattito pubblico torna prepotentemente voglia di IRI (Istituto per la ricostruzione industriale) che, istituito nel 1933 dal Fascismo, nel dopoguerra è stato uno dei pilastri della ripresa economica nel Paese. I tempi naturalmente sono cambiati, la globalizzazione ha mutato profondamente i rapporti economici e il turbo capitalismo imperante non può accettare interventi dello Stato che mitighino, in qualche maniera, la ricerca u- nica del massimo profitto. Io penso che non esista solo il denaro, che le persone e il loro lavoro rappresentino valori che devono essere salvaguardati. Certo, lo Stato può e deve incentivare l’arrivo di capitali privati favorendo condizioni di sviluppo territoriale attraverso la fiscalità agevolata, può e deve migliorare la rete infrastrutturale che, soprattutto nel Mezzogiorno, è ancora carente. Può e deve approvare misure che attraggano investimenti sia interni che esteri. Condizioni necessarie allo sviluppo ma, se non fossero sufficienti, lo Stato può e deve intervenire in prima persona. Nel caso dell’Ilva, ritengo che il governo debba presentare un proprio piano industriale capace di coniugare produttività e occupazione con il risanamento ambientale e la tutela della salute dei lavoratori e dei cittadini. La presenza del pubblico sarà la garanzia principale del mantenimento degli impegni presi. Non dovrà mai più avvenire che una multinazionale disattenda gli accor-
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di sottoscritti, com’è avvenuto a Taranto.
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