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il fascismo e i giovani
Storia e Politica
Il fascismo e i giovani
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Giovan Giuseppe MENNELLA
L’interesse di Mussolini e del Fascismo per il mondo giovanile e per il suo sfruttamento a fini di potere, venne da lontano, ebbe le sue radici nell’osservazione dell’importanza che rivestirono i giovani in due avvenimenti determinanti dell’inizio del XX Secolo: l’avvento del Futurismo e l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915. Il Futurismo mise in luce l’importanza di uno svecchiamento della cultura. Intese ispirarsi alla forza di avvenimenti nuovi che si susseguirono in quell’inizio del se-
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colo e che ebbero un impatto molto forte proprio sui giovani, come le guerre moderne, le trasformazioni sociali dei popoli, i grandi cambiamenti politici, le nuove scoperte tecnologiche e di comunicazione, come il telegrafo senza fili, gli aeroplani, le prime cineprese. Insomma, tutto un anelito di novità che non poteva non piacere ai giovani, il desiderio di bruciare il passato e concentrarsi su un dinamico presente, mettendo al bando vecchie ideologie in nome della tecnica e del progresso. Anche l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 era stata favorita dai giovani che furono definiti “la generazione del ‘15”, quelli nati nell’ultimo decennio del XIX Secolo. Furono una minoranza, certo; i giovani borghesi che avevano “invocato” la guerra, gli intellettuali di professione che avevano manifestato in favore dell’intervento e avevano combattuto al fronte, spesso come ufficiali di complemento, mostrando una ferrea capacità di sacrificio. Fu una minoranza giovanile davvero esigua ma capace di indirizzare il paese verso la guerra, atteggiamento sfruttato dai circoli nazionalistici, dagli esponenti delle industrie di armi, dal Presidente del Consiglio Antonio Salandra e dal Re che già per loro interessi volevano arrivare a quello sbocco. Mussolini se ne ricordò nel dopoguerra, soprattutto dopo avere instaurato la dittatura, tendendo sempre a incanalare quelle energie giovanili versi i propri fini. Quei giovani erano figli della borghesia colta con forte impianto umanista, appartenente al mondo delle lettere e delle professioni, sensibili all’appello dell’onore e della patria. La capacità di sacrificarsi per la patria era la misura del loro onore, costituirono una minoranza che amava credere che la grandezza della patria fosse affidata nelle loro mani. L’anelito e l’ispirazione erano rivolti al volontarismo mazziniano e garibaldino dei loro nonni che avevano fatto il Risorgimento, non dei loro padri che se ne erano stati tranquilli, nell’ultimo scorcio del XIX Secolo,
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nell’Italietta umbertina del “piede di casa”, dove si pensava agli affari e alle professioni e non alla gloria e all’onore. Quei ragazzi, diventati adulti, abbracciarono tutte le tendenze e le idee politiche possibili, diventarono poi un Dino Grandi, ma anche un Ferruccio Parri e un Piero Calamandrei. Un caso interessante di unione di ragazzi giovani sotto insegne ideali e culturali fu quello de “Il giornalino della Domenica” che Luigi Bertelli, alias Vamba, l’autore del “Giornalino di Gianburrasca”, diresse e pubblicò dal 1906 al 1911. Il giornalino era rivolto ai figli della media e alta borghesia, “a un pubblico eletto di sane idee e di gusti fini, cui prema trasmetterli puri e intatti ai propri figli”, di un’età compresa tra i 7 e i 15 anni. Il giornalino della Domenica ebbe collaboratori illustri, gli scrittori Grazia Deledda, Capuana, Renato Fucini, Salvatore Di Giacomo, Luigi Pirandello, Antonio Fogazzaro, i disegnatori Filiberto Scarpelli e Sergio Tofano. Si sviluppò un dialogo a tu per tu tra direttore e giovani lettori, gruppi di ragazzi che avevano gli stessi interessi e si conobbero anche tra loro, formando gruppo. Nel 1908 ci fu un raduno nazionale dei giovani lettori al Parco delle Cascine a Firenze per la festa del grillo. Da allora, i ragazzi del giornalino si riunirono a maggio di tutti gli anni in varie città. Si abituarono a fare una sorta di politica per i giovani, a essere esponenti di uno Stato balocco, di cui rivestivano le varie cariche, convinti che li si dovesse ascoltare anche se non avevano diritto di voto. La loro idea era di riscattare un prezioso patrimonio ideale, proprio dei padri della patria e dello spirito risorgimentale e antiaustriaco, sciupato e vilipeso da una generazione dei padri fallita, protagonista di un gioco politico grigio e meschino che aveva portato, tra l’altro, alla Triplice alleanza con l’Austria e la Germania. Tuttavia, Vamba, saggiamente, non volle mai che assumessero connotazioni partigiane e anzi li invitò a sentirsi liberi e a non mettersi alcun distintivo che li facesse identificare come sostenitori di questa o quella parte politica.
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Le guerre del Risorgimento, soprattutto le imprese dei volontari, furono considerate da quei giovani una splendida avventura vissuta dai loro omologhi di cinquanta anni prima. Che fosse vista come un’avventura è confermato dal successo che ebbero proprio in quell’inizio di secolo i romanzi di Emilio Salgari. In fondo le avventure di quei personaggi, soprattutto quelle in terre lontane come il ciclo della Malesia di Sandokan, altro non erano che una trasposizione in quel tempo presente delle avventure e dell’audacia giovanilistica e volontaria del Risorgimento, di cui i ragazzi di allora erano affamati. E così, Sandokan poteva essere visto come Garibaldi, Yanez come Nino Bixio, Marianna Guillonk come Anita Garibaldi, i tigrotti di Mompracem come i garibaldini e Mompracem come Caprera. A differenza di Vamba, Mussolini, che aveva osservato e riflettuto su quegli avvenimenti e quelle sollevazioni ideali che avevano avuto a protagonisti i ragazzi e i giovani, una volta salito al potere, comprese che era utile servirsene, quasi fin dalla culla, condizionandoli e indirizzandoli verso ideali ormai consoni alle particolari idee ed esigenze di dominio sue e del Regime, non certo più agli ideali futuristi, risorgimentali e mazziniani dell’anteguerra. Il Fascismo sfruttò anche la presa su molta parte della popolazione giovanile dei simboli dei monumenti ai caduti nei cimiteri di guerra e i parchi della rimembranza delle imprese eroiche che si edificarono dopo la Grande Guerra. I partiti democratici e antifascisti non capirono l’importanza di portare dalla loro parte i giovani, anche se nel secondo dopoguerra molte attività e istituzioni giovanili create dal fascismo sopravvissero, come le colonie estive e i centri per l’infanzia. Con la legge del 10 dicembre 1925 fu istituita l’Opera Nazionale maternità e infanzia, l’ONMI. Per la prima volta l’Italia costituì un ente parastatale specificamente finalizzato all’assistenza sociale alla maternità e all’infanzia. Il modello fu la legi-
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slazione del Belgio, dove un ente simile esisteva dal 1919. Anche la Norvegia e la Francia avevano già instaurato enti simili e in Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania e Danimarca erano state varate leggi sulla maternità. L’Italia arrivò tra le ultime nazioni in questo campo. Il Fascismo pose l’accento sulla battaglia demografica e tese a debellare i tassi di mortalità infantile, allora assai alti in Italia, per avere una crescita quantitativa della popolazione, con l’obiettivo di portarla da 40 a 60 milioni di abitanti. Durante il discorso dell’Ascensione del 26 maggio 1927, Mussolini introdusse il concetto del “numero come potenza”, che andò di pari passo con l’interesse per l’eugenetica, che in Italia aveva avuto un rappresentante importante come Cesare Lombroso. Tuttavia, l’eugenetica fu intesa in modo distorto e asservita all’esigenza tipicamente fascista di miglioramento della razza. Le finalità dell’Opera furono il controllo e l’educazione dei giovani fin dalla prima infanzia e la subordinazione sociale delle donne. Il secondo punto è facile da capire: le donne dovevano solo pensare a fare figli e a stare in casa ad accudirli. Il controllo e l’educazione dei giovani fu perfezionato dalla successiva istituzione dell’Opera Nazionale Balilla e della Gioventù italiana del Littorio. Si rivolsero all’ONMI per assistenza le gestanti madri nubili e vedove e le gestanti e madri sposate il cui marito non era economicamente capace di sostenere le spese per l’allevamento dei figli. Ricevevano assistenza i bambini fino a cinque anni provenienti da famiglie povere e i bambini esposti all’abbandono, cioè i figli illegittimi, i cosiddetti figli d’ignoti, che erano esposti alla Ruota degli abbandonati, abolita nel 1923 dal primo Governo Mussolini. Nei primi anni difettarono le strutture ad hoc e l’assistenza fu svolta presso gli o- spedali. Poi furono costruitd strutture come consultori materni e asili nei Comuni. Mentre nella prima fase i poteri di gestione delle attività e delle sedi dell’Opera fu-
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rono decentrati ai Comuni, dal 1933 il potere di gestione fu trasferito a Commissari governativi straordinari e accentrato allo Stato e al Governo. Con questa stretta di controllo, l’attività passò da una eugenetica qualitativa, con controllo delle nascite, sterilizzazioni, aborti selettivi, a una eugenetica quantitativa che doveva favorire la natalità: quindi, l’aborto fu messo fuori legge, come in molti regimi dittatoriali. Nel dicembre 1925 Mussolini diede all’ex ardito Renato Ricci la guida del Movimento giovanile del Partito Nazionale Fascista, poi con la legge numero 2247 del3 aprile 1926 fu istituita l’Opera Nazionale Balilla come Ente autonomo. Il nome Balilla fu adottato in ricordo del giovane ragazzo genovese Giovanni Battista Perasso, detto appunto Balilla, che durante l’occupazione austrica di Genova, in una delle guerre di successione del ‘700, scagliò una pietra contro gli occupanti dando il via a una sommossa di popolo antiaustriaca. I bambini dai sei agli otto anni si chiamavano figli della lupa, dagli otto ai quattordici balilla e dai quattordici ai diciotto avanguardisti. Lo scopo era quello di infondere il sentimento della disciplina e dell’educazione militare, rendendoli consapevoli della loro italianità e del ruolo di fascisti del domani. La Gioventù italiana del littorio fu fondata il 27 ottobre del 1937, dalle ceneri di quelli che erano stati i Fasci giovanili di combattimento in cui erano compresi i giovani dai diciotto ai ventuno anni di età. Lo scopo di quest’altra organizzazione giovanile del fascismo fu di accrescere la preparazione spirituale, sportiva e militare dei ragazzi italiani. In effetti, Mussolini aveva ormai deciso che gli italiani dovessero diventare un popolo guerriero, pronto a conquistare le nazioni vicine in modo da rendere il regime capace di durare nel tempo. Nella GIL confluirono anche l’Opera Nazionale Balilla e tutte le organizzazioni che a essa facevano capo e tutte furono poste alle dirette dipendenze della segreteria nazionale del Partito fascista.
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L’attività della GIL fu volta alla preparazione preliminare alle attività guerresche, all’insegnamento dell’educazione fisica nelle scuole elementari e medie, all’assistenza alla gioventù attraverso campi, colonie climatiche, borse di studio. Alcune delle strutture e delle organizzazioni burocratiche degli Enti che si sono descritti transitarono nella nuova Italia democratica e repubblicana. L’istituto delle colonie marine e montane per i bambini e i ragazzi delle famiglie meno abbienti durò anche nel dopoguerra. Ogni persona di una certa età non può non ricordare le immagini dei tanti ragazzini delle colonie estive sulle spiagge italiane con i cappellini bianchi. Anche chi scrive, ricorda che nell’amministrazione pubblica in cui lavorava esistevano gli uffici della ex GIL, ente da liquidare e mai liquidato, che era amministrato da un signore molto distinto, ai suoi giorni fascista convinto, anche piuttosto sordo per cui per farsi capire bisognava parlargli molto da vicino e a voce alta.
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