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Piazza San Giovanni e la partecipazione ritrovata
Politica
Piazza San Giovanni e la partecipazione ritrovata
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Aldo AVALLONE
La bianca facciata settecentesca della basilica di San Giovanni in Laterano che domina l’omonima piazza ne ha viste tante di manifestazioni popolari. Ogni militante o simpatizzante di sinistra, almeno una volta nella vita, si è recato nello spiazzo antistante la cattedrale di Roma in una sorta di pellegrinaggio laico nel luogo simbolo di tutti i passaggi politici e sindacali più importanti nella storia del Paese. Da anni, però, nessun partito o organizzazione sindacale ha scelto piazza San Giovanni per i propri raduni. Troppo grande lo spazio da riempire e troppo grande il rischio di un flop. Esattamente un mese dopo l’esordio in piazza Maggiore a Bologna e dopo 113 altre piazze in Italia e in Europa, le Sardine decidono di convocare una manifestazione nazionale a Roma. Passo doveroso e necessario dopo i successi delle pre-
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cedenti settimane. Scelgono piazza del Popolo ma la Questura, come già avvenuto in altre città, Milano e Napoli in primis, “impone” loro una piazza più grande. Viene deciso di tenere l’incontro proprio a piazza San Giovanni. E sabato scorso la piazza è tornata a riempirsi di un popolo pacifico e festante. Ci sono le attiviste della Sea Watch di Carola Rackete, c’è Pietro Bartolo, medico di Lampedusa, c’è Mattia Santori, l’ideatore del flash mob di Bologna da cui è nato tutto il movimento, ci sono i cittadini che leggono gli articoli della Costituzione, ci sono centomila persone, strette strette come sardine, che cantano dapprima l’inno di Mameli e poi Bella Ciao. Niente bandiere di partito, come chiesto espressamente dagli organizzatori e sui cartelli si leggono slogan come “Sardine di tutti i mari unitevi”, “Le sardine fanno bene”, “Siamo sardine ma non sordine: basta grida e insulti”. Nella piazza ritrovata si respira una bella atmosfera, carica di emozione e di energia positiva. “Speranza” è il termine che viene in mente guardando la marea di persone felici di essersi riappropriate di uno spazio pubblico di partecipazione. Le Sardine hanno dimostrato e stanno dimostrando, giorno dopo giorno, piazza dopo piazza, che nel Paese non esiste solo l’odio, esiste e vive la speranza di un modo di far politica diverso. E in questo momento storico è un merito straordinario. Ma ora viene il difficile. Il movimento si dovrà interrogare su come proseguire il cammino. I mestatori di odio, i mistificatori dell’informazione, anche alcuni intellettuali di una sinistra antica, non perdono occasione di accusare le Sardine di non avere un programma politico definito. Ebbene, è vero. Non esiste un programma di 300 pagine ma il Movimento tre cose le dice, chiare e forti: no al razzismo, no al populismo, no al fascismo. E non sono cose da poco. Dal palco di piazza San Giovanni, Mattia Santori ha elencato sei richieste al mondo della politica:
1. Pretendiamo che chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a lavorare.
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2. Che chiunque ricopra la carica di ministro comunichi solamente nei canali istituzionali.
3. Pretendiamo trasparenza dell’uso che la politica fa dei social network.
4. Pretendiamo che il mondo dell’informazione traduca tutto questo nostro sforzo in messaggi fedeli ai fatti.
5. Che la violenza venga esclusa dai toni della politica in ogni sua forma. La violenza verbale venga equiparata a quella fisica.
6. Abrogare il decreto sicurezza.
Richieste di buon senso che bisognerà ascoltare. Rispetto al dialogo con la politica, Santori ha detto che sarà doveroso trovare un contatto ma il Movimento non è ancora pronto né a trovare i punti di un dialogo né un interlocutore. Un passaggio importante sarà rappresentato dal test elettorale in Emilia Romagna, dove i più recenti sondaggi (Emg Acqua presentato ad Agorà, Tecné, Pagnoncelli sul Corriere della Sera del 16 dicembre) danno il candidato del PD Bonaccini in vantaggio sulla leghista Bergonzoni. E in questa rimonta non può essere trascurato “l’effetto Sardine”. Da parte loro, i partiti che si riconoscono in un progetto riformista laburista non potranno assolutamente non fare i conti, nel prossimo futuro, con il Movimento. Senza provare a metterci su il cappello e nel pieno rispetto dei diversi ruoli. Appena un mese fa, il Paese sembrava destinato a finire irrimediabilmente nella morsa della destra leghista. Il pericolo non è superato, ovviamente. Ma oggi c’è una speranza nuova ed è obbligatorio aggrapparsi a essa. Perché la sinistra ha un compito da portare a termine: costruire una società migliore. Ed è un compito inderogabile. Perché, come ha scritto Miguel Cervantes attraverso le parole di Don Chisciotte: “Cambiare il mondo, amico Sancho, non è follia né utopia, ma solo giustizia”.
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