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Giorgio La Pira, agente segreto di

Politica e Storia

Giorgio La Pira, agente segreto diDio

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Giovan Giuseppe MENNELLA

Giorgio La Pira nacque a Pozzallo, in provincia di Siracusa, luogo più a Sud di Tunisi, nel 1904. Si diplomò in ragioneria a Messina nel 1921 e conseguì la maturità classica a Palermo nel 1922. In quel periodo ebbe come amici Salvatore Quasimodo, futuro premio Nobel per la letteratura, e Salvatore Pugliatti, che sarebbe diventato un importante giurista e Rettore dell’Università di Messina. Si iscrisse alla facoltà universitaria di Giurisprudenza a Messina. Nel 1924 si convertì alla fede religiosa e l’anno successivo divenne terziario domenicano. Nel 1926 si trasferì

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all’Università di Firenze per seguire il professor Emilio Betti, relatore della sua tesi di diritto romano. Si laureò in quello stesso 1926 nell’ateneo della città toscana. Diventò professore supplente di diritto romano nell’Università di Firenze nel 1927 e professore ordinario nel 1934; tra i suoi studenti ci fu Franco Fortini. Nel 1939 fondò la rivista in lingua latina “Principi”, rivolta alla difesa dei diritti umani. In seguito alle sue critiche all’invasione della Polonia, la rivista fu soppressa dal regime fascista. Non si perse d’animo e nel 1943 creò il foglio clandestino “San Marco”, pure avversato dai fascisti. Nel luglio di quel 1943, appena caduto Mussolini, partecipò con una posizione di spicco ai lavori che portarono alla redazione del Codice di Camaldoli, importante documento su cui fu basata la politica sociale dei cattolici nel dopoguerra. Dopo il ritorno del regime fascista repubblicano e l’invasione dei tedeschi, fu costretto a fuggire prima a Siena e poi a Roma, per poi ritornare a Firenze nel 1945 dopo la Liberazione. Con Amintore Fanfani, Giuseppe Dossetti e Giuseppe Lazzati, il gruppo dei “professorini”, fondò nel dopoguerra la rivista “Cronache sociali”, caratterizzata dall’impegno dei cattolici per riforme che sollevassero le condizioni dei poveri e delle classi meno abbienti nella società italiana uscita martoriata dalla guerra. La Pira era il vero ideologo del gruppo, dall’alto della sua enorme cultura che spaziava in vari campi e aveva anche stretto numerosi contatti in tutti gli ambienti culturali. Fanfani era il politico che realizzava progetti e La Pira glielo riconobbe sempre, ma il rapporto tra i due era rispettivamente di maestro La Pira e allievo Fanfani. Nel 1946 La Pira e gli altri esponenti del gruppo di Dossetti furono eletti all’Assemblea Costituente. Fu inserito nella Commissione dei 75 che si occupò di redigere il progetto della nuova Costituzione della Repubblica. La sua opera si dispiegò, nell’ambito della prima sottocommissione, nella redazione dei principi fon-

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damentali. Di essa si trova traccia nell’articolo 2 che è modellato sostanzialmente sulla sua proposta iniziale, “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili e di solidarietà politica, economica e sociale”. La Pira ritenne, a ragione, che fosse indispensabile inserire nella Costituzione una specifica menzione dei diritti umani, prima volta in una legge fondamentale dell’Occidente, considerato che si usciva dal fascismo con la sua pretesa totalitaria di negare in radice l’esistenza di diritti originari dell’uomo anteriori alla nascita dello Stato. La Pira, come quasi tutti i costituenti, era stato innanzitutto un oppositore di ogni potere statale assoluto e così ha contribuito a scrivere una Carta fondamentale avanzatissima sul piano della tutela dei diritti, sia quelli individuali di libertà, sia quelli collettivi, sociali ed economici. Nelle elezioni per il primo Parlamento repubblicano, il 18 aprile 1948, fu eletto deputato nel Collegio Firenze-Pistoia. Nel 1948 fu Sottosegretario al Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, retto da Fanfani, nel V Governo De Gasperi, contribuendo al varo del famoso Piano INA Casa. Dal 1951 al 1957 e dal 1961 al 1965 fu Sindaco di Firenze. Come azioni concrete della sua sindacatura, si possono ricordare la ricostruzione dei ponti sull’Arno distrutti dai nazisti in fuga, la creazione del quartiere satellite dell’Isolotto che sarebbe assurto alla cronaca negli anni ’60 ’70 per la sua comunità di base di fedeli e per l’azione del prete progressista Don Enzo Mazzi, l’impostazione del quartiere Sorgane, la costruzione di moltissime case popolari, la riedificazione del teatro comunale, la costruzione di molte scuole, per cui a Firenze si prevenne per oltre dieci anni la crisi dell’edilizia scolastica. Per il suo interventismo in campo economico, per salvare le industrie in crisi Pignone e Galileo, fu accusato da vari esponenti po-

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litici cattolici e da Luigi Sturzo di finire in un “marxismo spurio”, contrario ai principi di non statalismo e interclassismo della DC. Lui rispose così: “10.000 disoccupati, 3.000 sfrattati, 17.000 libretti di povertà, cosa deve fare il Sindaco? Può lavarsi le mani dicendo a tutti, scusate, non posso interessarmi di voi perché non sono statalista ma interclassista?”. Si ricorda la scena del film di Francesco Rosi “Il caso Mattei”, in cui La Pira tiene Enrico Mattei per moltissimo tempo a telefono per convincerlo a salvare la Pignone in crisi perché il salvataggio gli è stato chiesto dallo Spirito Santo. Grazie al prestigio della sua enorme cultura e ai suoi contatti con i personaggi più significativi del suo tempo, La Pira, nel corso dei due mandati, fece di Firenze uno straordinario luogo di incontro per uomini e donne provenienti da tutto il mondo, indipendentemente dalla loro collocazione politica, ideologica, religiosa e razziale. Non volle fare il Ministro o il Sottosegretario come uomo di potere, ma volle fare una politica diversa, senza confini di appartenenze e sempre improntata a una grande visionarietà e grandi intuizioni. Queste iniziative potevano essere prese da lui e non da qualche altro Sindaco anche perché Firenze aveva un prestigio culturale e una fama che la rendevano conosciuta in tutto il mondo. Inoltre, in città agiva un fertile, vivo e progressista mondo cattolico, dovuto all’azione intrapresa già dagli anni ’30 dal suo vescovo Elia Dalla Costa che era anche suo amico personale. Il vescovo aveva chiuso le finestre del Palazzo arcivescovile in faccia a Hitler, durante la famosa visita a Firenze, dicendo che non si potevano venerare “altre croci se non quella di Cristo”. Durante la guerra, in nome dei diritti sacri dell’uomo, a- veva protetto i fuggiaschi e i deboli, soprattutto si era attivato a favore degli ebrei fiorentini e dei profughi in città, organizzando un comitato cittadino. Tra coloro che collaborarono con lui per salvare gli ebrei ci fu anche Gino Bartali. Nel 1959

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aprì le porte dell’Arcivescovato agli operai della Galileo caricati dalla polizia. Soprattutto ebbe dei sacerdoti discepoli, Silvano Piovanelli, Lorenzo Milani, Ernesto Balducci, Enzo Mazzi, don Giovanni Franzoni, che ebbero un ruolo importante nella storia della chiesa fiorentina e italiana nel XX Secolo attraverso la loro missione di frontiera, rivolta verso le classi più povere e disagiate delle periferie e verso i detenuti. La Pira fu sempre molto orgoglioso di essere rimasto Sindaco di Firenze ma rivendicò la possibilità che anche come Sindaco si proiettasse utilmente e beneficamente nella politica mondiale. Credeva nel ruolo nel mondo di Firenze ma anche nel ruolo importante e apportatore di pace e dialogo di tutte le città e di tutte le comunità cittadine. In fondo, l’Italia è il Paese delle cento città e ogni città ha la sua storia; la dimensione cittadina poteva essere un luogo di incontro e di dialogo e non di una politica di pura forza e potenza come quella delle Nazioni una contro l’altra armate. Nel suo partito di riferimento a livello nazionale, la Democrazia Cristiana, non ebbe dei veri e propri nemici, piuttosto dei critici, a cominciare da Alcide De Gasperi che lo considerava troppo visionario. Aldo Moro e Giulio Andreotti non condivisero mai le sue visioni profetiche ma seppero apprezzare il realismo politico che ogni tanto sfoderava. Amintore Fanfani gli fu grande amico, anche se litigarono spesso, come si fa tra veri amici. Non ebbe mai buoni rapporti con i partiti e le personalità laiche, come Montanelli. Con l’estrema destra si scontrò spesso, tanto che “Il Borghese” lo definì un comunista di sacrestia. Nel 1952 organizzò a Firenze gli “Incontri internazionali mediterranei della pace e della civiltà cristiana”. L’intenzione era di raggiungere dei punti di incontro e di comprensione che la politica ufficiale non si poteva permettere. L’epoca era quella più buia della Guerra fredda, un periodo politicamente difficile in campo interna-

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zionale, tuttavia gli “Incontri” ebbero un successo insperato. Parteciparono davvero tutti gli Stati del Mediterraneo, anche gli israeliani e gli arabi come lo ricordava sempre lo stesso Shimon Peres, presente anche lui a Firenze in quei giorni. Si litigava anche ma ci s’incontrava e si discuteva, con il piacere di stare insieme, anche da avversari. Il Sindaco amava dire che “c’era allegrezza e zuffa”. Seduti insieme intorno a un tavolo, si potevano risolvere tante questioni, l’importante era non demonizzare i nemici. Quando giungeva La Pira per partecipare agli incontri, il grido che si levava dai delegati era “Il Sindaco viene! Il Sindaco viene!”. Personalità importanti di tutto il mondo gli prestavano omaggio, considerandolo una figura unica, un supremo idealista, ma anche un politico abile. E si può dire che molti primi ministri e ministri degli esteri che intervennero a Firenze sono stati dimenticati, ma La Pira è ancora ricordato da tutti. Le circostanze della vita avevano portato quel piccolo uomo da Pozzallo, più a sud di Tunisi, a Firenze e nella città universale, per storia e monumenti, lui si era identificato e l’aveva utilizzata per spiccare il salto verso la risonanza mondiale. Diventò fiorentino in una Firenze che, per le tante ragioni già spiegate, era una città straordinaria in quegli anni ’50 e ’60, per la presenza di personaggi come Elia Dalla Costa, padre Balducci, don Milani, don Franzoni. In effetti, con gli “Incontri”, aveva anche unito la sua Sicilia, isola al centro del Mediterraneo, con Firenze resa anch’essa mediterranea e al centro di iniziative dal respiro mondiale. Gli fu a cuore la questione del Mediterraneo, con tutte le tensioni politiche e militari dell’epoca, soprattutto il dissidio tra arabi e israeliani. Erano presenti ebrei, arabi, cristiani e, secondo il Sindaco, Abramo era la radice comune di tutti quei congressisti appartenenti appunto alle tre religioni abramitiche. Il patriarca era molto caro a La Pira che, come in altre cose, sarebbe stato sempre influenzato dalla liturgia cattolica che definisce Abramo come “pater

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omnium credentium” Nella famiglia abramitica, come in tutte le famiglie, si può litigare ma poi si fa la pace. E la pace tra arabi e israeliani, non disgiunta dalla risoluzione del problema di far nascere uno Stato palestinese, era quella che gli premeva di più. Per la pace in Medio Oriente si sarebbe sempre impegnato al massimo, in quegli Incontri del 1952 come in altre sue iniziative successive. Nel 1955 La Pira organizzò in città un confronto tra i Sindaci delle città del Patto di Varsavia e quelle della NATO che, alla fine dei colloqui, firmarono a Palazzo Vecchio un patto di amicizia. Era stato convinto a farlo, dopo molti anni di colloqui, da Romano Bilenchi, altra interessante figura intellettuale della Firenze dell’epoca. Bilenchi era romanziere, poeta, giornalista e, per un periodo, direttore dell’allora importante giornale “Nuovo ordine”, vicino al Partito Comunista, ma sempre con posizioni di indipendenza di giudizio. Fu tra le personalità fiorentine di sinistra, vicine al Sindaco, che cercò sempre di dialogare con il mondo cattolico. Dal 1958 si svolsero quattro colloqui mediterranei, nel 1958, 1960, 1961 e 1964, rispettivamente dedicati alla guerra d’Algeria, alla questione arabo-israeliana, al rapporto tra Mediterraneo e Africa nera e sui popoli ancora oppressi dal regime coloniale come Angola e Mozambico. I contatti si svolsero sempre con la partecipazione di tutte le parti in causa e in conflitto e videro la presenza di personalità come Martin Buber e Leopold Senghor, allora Presidente del Senegal. Si sarebbe dovuto tenere un quinto colloquio per il 1965 che però fu annullato per la crisi del Comune e l’elezione di un nuovo Sindaco. Nel 1959 ci fu il famoso viaggio a Mosca, dove si recò su invito del Soviet Supremo dell’URSS. La DC e la Chiesa ovviamente parteggiavano per gli USA e per il mondo occidentale e osteggiarono in qualche modo i passi precedenti di dialogo del Sindaco di Firenze con l’URSS. Già nel 1955 era stato invitato ad andare dal Sindaco di Mosca, nell’ambito del Congresso delle città dell’ovest e dell’est, ma i

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tempi non erano ancora maturi. Andò in vari pellegrinaggi a Fatima, a Lourdes e in altri Santuari mariani, si consigliò con esponenti autorevoli della cultura cattolica per fare il grande passo. Fu decisivo il cambio di Papa nel 1958, da Pio XII a Giovanni XXIII, anche se nei primi tempi di Papa Giovanni le gerarchie ecclesiastiche conservatrici della Curia romana, con in testa i cardinali Ottaviani e Tardini, continuarono a ostacolarlo. Fu importante l’abilità politica, perché non disse mai nulla contro la NATO o contro il mondo occidentale. Confermò di essere un anticomunista, ma anche un realista, perché il comunismo non si doveva battere con la guerra, ma con le idee e la propaganda, poiché il comunismo, a sua volta, stava facendo breccia in molte menti e in molti cuori delle masse popolari proprio con le idee. Quando il viaggio fu deciso e intrapreso, portò con sé, per donarli alle personalità che avrebbe incontrato a Mosca, santini con l’Annunciazione del Beato Angelico e di Santa Teresa di Lisieaux. Non si fece coinvolgere in manifestazioni di omaggio e in festeggiamenti che le autorità sovietiche di solito riservavano alle personalità occidentali in visita, di cui volevano accattivarsi l’amicizia e la condiscendenza. Per i primi due giorni non si fece trovare e andò in preghiera in santuari ortodossi. Volle far capire che non era andato come un compiacente amico, come un compagno di strada dei comunisti, ma per avviare contatti da pari a pari, nel segno della buona volontà reciproca per fare passi avanti verso il disgelo e una pace e collaborazione durature. Poi tenne il discorso davanti al Soviet Supremo dell’URSS, in cui esordì affermando che in quel momento duemila claustrali stavano pregando per tutti loro. Era la politica, anche di alto livello, che si sposava con l’utopia della volontà e dell’azione. Parlò di fede e di religione nel sancta sanctorum del socialismo e dell’ateismo. L’ultimo giorno del viaggio, scrisse una lettera al Soviet Supremo

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protestando per un articolo della Pravda, uscito il giorno precedente, in cui si attaccava la religione. Le autorità sovietiche lo rassicurarono dicendo che non era indirizzato contro di lui, anche se il sospetto del contrario rimase forte. I sovietici lo considerarono un uomo notevole, di riferimento, lo ascoltarono con attenzione, anche perché aveva avuto l’appoggio personale di Kruscev, con cui ebbe una interessante corrispondenza. Quando Kruscev morì, la vedova gli inviò una lettera in cui disse che il marito si era ricordato di lui prima di morire. Una volta Kruscev gli scrisse una lettera di sei pagine, quasi giustificandosi per l’esplosione di una bomba nucleare sovietica sperimentale. Il Primo Ministro disse di non condividere le convinzioni religiose di La Pira, ma di apprezzare la forza e la sicurezza con cui esprimeva le sue idee, che l’URSS era stata costretta a incrementare gli e- sperimenti nucleari per l’aggressività delle potenze occidentali, ma dicendosi totalmente d’accordo con l’auspicio espresso anche da La Pira di procedere a trattative per il disarmo nucleare. I problemi sollevati da La Pira sul disarmo sessanta anni fa denotano la sua preveggenza e sono ancora all’ordine del giorno, visto che solo nel luglio 2018 è stata firmata una convenzione ONU per il disarmo nucleare, ma senza la partecipazione di alcune delle più importanti potenze atomiche. Comunque, non era solo un profeta e un visionario, ma anche un politico concreto, capace di presentare proposte interessanti per la risoluzione di conflitti, come si vedrà per altri due episodi di cui fu protagonista e che lo fanno identificare come una sorta di agente segreto, un agente segreto di Dio. Infatti, nel 1965 andò ad Hanoi, in piena guerra del Vietnam, per costruire una proposta di pace che, con l’avallo di Ho Chi Min, sarebbe arrivata sul tavolo del Congresso USA, del Dipartimento di Stato e del Presidente Johnson. Nel 1965 tutte le parti impegnate nella guerra in Vietnam erano stanche e cercava-

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no la pace, ma la guerra continuava e attraversava uno dei periodi più duri e cruenti da quando era iniziata. Nell’aprile si svolse a Firenze, al Forte del Belvedere, un simposio internazionale sul tema organizzato da La Pira, con la partecipazione di esponenti statunitensi, vietnamiti e di altre nazioni. Gli atti del congresso furono inviati al governo di Hanoi e, come conseguenza, ne sortì un formale invito a La Pira da parte di Ho Chi Min di recarsi in Vietnam per colloqui. La Pira era già ben conosciuto dal gruppo dirigente del Nord Vietnam, perché era intercorso un lungo carteggio tra lui e Ho Chi Min, risalente addirittura fino all’anno 1952, ben prima anche della sconfitta dei francesi a Dien Bien Phu e degli accordi di Ginevra del 1954. Ciò denota la lungimiranza di La Pira, che aveva compreso, ben prima di ogni altro politico occidentale, in epoca non sospetta, quanto sarebbe diventato determinante avere buoni rapporti con il Nord Vietnam. Il viaggio fu programmato e intrapreso e fu nello stesso tempo avventuroso e divertente, con aerei improbabili presi ai quattro angoli del mondo, come testimoniato dallo stesso La Pira e dai suoi collaboratori, tra cui l’allora giovanissimo e futuro Sindaco di Firenze negli anni ‘90 Mario Primicerio, che ci scrisse un libro. Iniziò a Varsavia e poi proseguì a Mosca, dove la delegazione fiorentina fu presa in carico dai vietnamiti. Proseguì attraverso una Cina che iniziava a essere destabilizzata dalla Rivoluzione culturale. Giunti ad Hanoi, dopo incontri preliminari con dirigenti politici vietnamiti di livello intermedio, si svolse il colloquio determinante tra La Pira e Ho Chi Min. La Pira regalò l’immagine della Madonna in maestà di Giotto a Ho Chi Min il quale, dal canto suo, disse che erano entrambi due poeti e, consapevole del ruolo e del prestigio acquisito in tanti anni di iniziative dall’interlocutore occidentale, gli formulò alcune proposte per avviare colloqui ufficiali di pace con gli americani. Le proposte erano: 1) cessazione dei bombardamenti sul Nord Vietnam, 2) ricono-

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scimento del Fronte di Liberazione Nazionale vietnamita, 3) ottemperanza degli accordi di pace di Ginevra 1954 e 4) inizio del ritiro delle truppe americane. Il pacchetto delle condizioni vietnamite fu poi portato negli USA tramite Amintore Fanfani e giunse sul tavolo delle autorità americane, dal Congresso al Dipartimento di Stato al Presidente Johnson. Forse i tempi non erano maturi, forse, anzi certamente, ci fu una fuga prematura di notizie per colpa degli ambienti più conservatori e guerrafondai americani, ma quella volta non si riuscì ad andare verso colloqui di pace. Il tempo e la Storia avrebbero dimostrato che dieci anni e centinaia di migliaia di vittime dopo, la pace fu conclusa ugualmente e a condizioni ancora meno favorevoli di quelle che nel 1965 Giorgio La Pira era riuscito a farsi offrire direttamente da Ho Chi Min. Quel viaggio e quel colloquio non furono la visione di un pazzo, ma una cosa realistica. L’opera di La Pira fu atipica rispetto alla diplomazia classica, nel senso che fu un profeta con lo sguardo rivolto in giro a osservare tutti e a parlare con tutti. Fu un uomo del tempo della Guerra fredda che seppe vedere oltre la Guerra fredda, quindi attualissimo ancora oggi. O magari potrebbe essere definito un agente segreto di Dio, vista la proposta di pace che riuscì a ottenere in Vietnam dopo un viaggio semisegreto e avventuroso e visto che, forse, era stata dovuta a lui anche la proposta segreta di Fanfani per risolvere la crisi dei missili di Cuba nel 1962. Vale a dire lo scambio segreto tra il ritiro palese e immediato dei missili sovietici da Cuba e il ritiro nascosto e differito dei missili americani puntati sull’URSS dalle basi nella Turchia settentrionale e da quelle che si stavano predisponendo nell’Italia meridionale.

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