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Libia, il valzer delle conferenze non ferma le armi
Esteri
Libia, il valzer delle conferenze non ferma le armi
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Umberto DE GIOVANNANGELI
Il Generale bullo e il Premier senza potere. In mezzo, uno Zar che vuole conquistare l’Africa e un Sultano che vuole avere una fetta importante della “torta” petrolifera. Ai bordi del campo, una Europa che parla, parla, fa missioni, indice conferenze, ma che alla prova dei fatti conta poco o nulla. Il caos libico in pillole. Ci ha pensato tutta la notte. E tutta la notte ha trattato per modificare a suo vantaggio l’accordo già siglato dal suo nemico. Non ha ottenuto ciò che desiderava e alla fine la penna rimasta sul tavolo e la pax russo-ottomana non ha, al momento, il suo visto. Kalifa Haftar aveva chiesto un periodo di riflessione prima di firmare l'accordo formale di cessate il fuoco accettato dal suo rivale, Fayez al-Sarraj, ma alla fine ha
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lasciato Mosca senza firmare il documento negoziato sotto l'egida di Russia e Turchia.. Il cessate il fuoco annunciano da Mosca, resta in vigore a tempo indeterminato, fa sapere il ministero degli Esteri russo, ma la mancata validazione dell’intesa da parte del generale fa riprendere gli scontri a sud della capitale: secondo il sito al Wasat, colpi di artiglieria sono stati sparati nei sobborghi di Salah Al-Deen e Ain Zara, nella capitale libica.
Per Vladimir Putin è uno smacco difficile da digerire. Ma lo “Zar” non è uno che si arrende. E’ certo che rilancerà. Il generale Haftar “ha accolto positivamente” l’intesa su una tregua in Libia “ma prima di firmare gli servono due giorni per discutere il documento con i leader delle tribù che sostengono l’Esercito nazionale libico”, dichiara il ministero della Difesa russo, ripreso dall’agenzia Interfax. Due giorni per firmare o sfidare l’uomo del Cremlino.
Oltre ai guadagni geopolitici sui suoi rivali e all'accesso privilegiato al petrolio libico, la Russia spera di riconquistare questo mercato per le sue armi e il suo grano. Tanto più che Vladimir Putin ha l'ambizione di affermarsi in Africa. Anche la Turchia ha ambizioni petrolifere, grazie ad un controverso accordo con il governo libico di accordo nazionale che estende la piattaforma continentale turca e le permette di rivendicare lo sfruttamento di alcuni giacimenti.
Haftar ha affermato, secondo al- Arabiya, che il documento proposto ignora molte richieste del sedicente Esercito nazionale libico (Lna), di cui l’uomo forte della Cirenaica è il comandante in capo. Secondo i media arabi, il generale avrebbe rifiutato di firmare perché l'intesa avrebbe ignorato molte delle richieste del leader della Libia orientale. Secondo Sky News Arabia, nel corso dei colloqui di ieri a Mosca Haftar avrebbe insistito sulle richieste di far entrare le sue truppe a Tripoli e di formare un governo di unità nazionale che ricevesse il voto di fiducia da parte del
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parlamento di Tobruk. Il generale avrebbe anche chiesto un monitoraggio internazionale del cessate il fuoco senza la partecipazione della Turchia e chiesto il ritiro immediato dei mercenari "arrivati dalla Siria e dalla Turchia". In aggiunta avrebbe insistito sulla richiesta di avere l'incarico di comandante supremo delle Forze armate libiche. Non basta. La Turchia non può fare da mediatore nel processo di pace in Libia perché non è un attore neutrale. È questa, sempre secondo la ricostruzione di al-Arabiya, la posizione di Haftar, sui futuri colloqui con l’avversario sul campo. L’uomo forte della Cirenaica riporta la tv panaraba, “rifiuta che la Turchia faccia da mediatore e chiede che gli Stati mediatori siano neutrali ed abbiano come scopo la stabilità della Libia e non quello di rafforzare le milizie armate o dispiegare estremisti”. Sempre secondo l’emittente emiratina, Haftar ha informato la Russia delle condizioni per lui necessarie per un cessate il fuoco: “Un termine tra i 45 e i 90 giorni alle milizie per restituire tutte le armi e un comitato guidato dall’Esercito nazionale libico (Lna) (a lui fedele, ndr) che insieme all’Onu censisca le armi in mano alle milizie”
Richieste che per Sarraj hanno l’acre sapore della capitolazione. Perché pretendere che la fiducia ad un nuovo governo di unità nazionale fosse votata, equivaleva a delegittimare il Governo di accordo nazionale, l’unico riconosciuto internazionalmente, che ha il voto di fiducia dell’unico parlamento riconosciuto dall’Onu, quello di Tripoli. Così come ricevere l’incarico di comandante supremo delle Forze armate libiche, significava che il generale avrebbe avuto sotto di sé anche le potenti milizie che sin qui l’hanno combattuto, a partire da quella di Misurata. Certo, quello del Generale bullo è un azzardo, ma un azzardo calcolato. Perché Haftar sa di poter contare sul sostegno, finanziario e militare, di Egitto, Emirati Arabi Uniti, A- rabia Saudita, Giordania; un sostegno molto più pervasivo di quello garantito a
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Sarraj da Turchia e Qatar. Haftar, concordano analisti e diplomatici, sa bene che a un tavolo negoziale prima o poi dovrà sedersi, ma vuole farlo da vincitore e non da pari.
Ma se Haftar ha abbandonato il tavolo è perché sa che la pax russo-ottomana non era accettata dai suoi sponsor arabi, tutti delusi dall'accordo raggiunto fra russi e i loro nemici turchi. L'Egitto, innanzitutto, che in Libia vorrebbe creare una sua succursale economica: con il controllo dell'economia rimasto al governo di Tripoli, i generali del Cairo avrebbero avuto difficoltà ad allargare le loro attività economiche a tutta la Libia. L'Egitto di Sisi vuole creare uno stato-vassallo in Libia, guarda alla Libia come un forziere. E metà Libia non è uguale alla Libia intera. Poi Arabia Saudita e soprattutto gli Emirati: hanno pagato e armato Haftar perché combattesse in Libia un governo che ha al suo interno i Fratelli Musulmani. Anche qui: se gli Emirati e i sauditi (i più radicali sono i primi) non raggiungono l'obiettivo di far terra bruciata del governo Sarraj, con l'aiuto della Turchia il governo di Tripoli sarebbe diventato il terzo vertice di un triangolo Libia-Turchia-Qatar che le monarchie del Golfo considerano una minaccia mortale.
Contro il Generale si è scagliato il Sultano di Ankara, che accusa l’uomo forte della Cirenaica, il “golpista”, di volere “compiere pulizia etnica” degli eredi dell’impero ottomano di cui “la Libia è stata una parte importante””, tuona Erdogan che martedì scorso ha ricevuto Sarraj a Istanbul. Haftar ha rifiutato di firmare la tregua. Prima ha detto di sì, ma poi ha lasciato Mosca, è scappato, dimostrando la sua intenzione di voler continuare la guerra. Questo gesto mostra il suo vero volto. Se la Turchia non fosse intervenuta – ha continuato il presidente turco parlando ai deputati del suo Akp – avrebbe preso il pieno controllo della Libia.
Una cosa è certa: c’è solo un uomo che ha il potere di far “ragionare” il Generale
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bullo. E’ l’uomo di Mosca, Vladimir Putin. Se i russi lo hanno lasciato partire per la Libia, qualcuno avanza questa spiegazione: perché accelerare un processo e portare il frutto della mediazione russo-turca così velocemente alla conferenza di Berlino organizzata da tedeschi e Onu? Dare ancora un po' di tempo ad Haftar, parlare con Emirati, Egitto, Arabia Saudita non farà altro che permettere alla Russia di consolidare meglio il suo ruolo centrale nella partita della Libia. E in tutto il Medio Oriente.
Intanto, il governo tedesco ha ufficialmente confermato l'organizzazione della Conferenza della Libia domenica 19 a Berlino. L'ufficio del cancelliere, Angela Merkel, che ha diramato gli inviti, ha precisato che sono attesi rappresentanti in arrivo da Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Turchia, Regno Unito, Emirati, oltreché Italia. Saranno presenti anche Onu, Ue e Lega Araba. Al vertice sono stati anche invitati i capi delle due fazioni rivali, il premier del Gna libico, al-Serraj e il generale Haftar.
Ma come fu per la inutile Conferenza di Palermo del novembre 2018, anche per quella di Berlino l’attesa è tutta sulla presenza del Generale bullo. Ma a decidere se il Generale bullo sarà tra i presenti, non dipenderà certo da Conte o dalla cancelliera Merkel. Per informazioni, rivolgersi a Mosca e al Cairo. Ed è stato proprio il pressing russo a convincere Haftar ad essere presente a Berlino. Quanto all’Italia, prova a non essere buttata fuori dalla partita libica. Ci prova Conte, ci riprova Di Maio, vagheggiando anche una guida italiana ad una missione di peacekeeping sotto egida Onu, modello Unifil in Libano. Non esiste una soluzione militare alla crisi libica, ripete come un mantra il duo Giuseppi&Giggino. Ma la realtà va in tutt’altra direzione. Perché in Libia l’unica “diplomazia” che va per la maggiore è la diplomazia di guerra.
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