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A me nun me sta bene che no Antonella BUCCINI
Politica e Migrazioni
A me nun me sta bene che no
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Antonella BUCCINI
Nella mia generazione, giusto per non scrivere ai miei tempi che mi fa antica assai, già alle elementari si somministravano modelli precisi di bontà e cattiveria. Tra l’altro, quando magari la maestra non ci sopportava più tanto o aveva altro da fare “i più bravi della classe” erano delegati a collocare i compagni, tenuti al più ossequioso silenzio, nelle due categorie, buoni e cattivi, divisi da una linea netta verticale alla lavagna. I più smaliziati si lasciavano corrompere dagli amici, dai prepotenti o dagli adulatori e cambiavano le posizioni, gli altri, registravano con perfidia ogni piccolo movimento e ti facevano perdere “il posto”. Così pure ogni bambino avrebbe diffidato degli indiani e riposto grandi aspettative nei cowboy. Quando arrivarono “Soldato blu” e “Il piccolo grande uomo” cogliemmo al volo la notizia: dovevamo invertire i giudizi. Per non parlare di babbo natale e della befana evapo-
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rati con l’infanzia insieme al loro concentrato di bontà. Negli ultimi anni è arrivato il buonismo: atteggiamento di chi dimostra ingiustificata benevolenza e tolleranza, una delle possibili definizioni. In ogni caso il termine è sguainato, senza se senza ma, per tentare di ridicolizzare qualsiasi umana considerazione che confligga con la propria, di solito quella sovranista. Nutrire una certa perplessità nella netta demarcazione tra gli animi umani mi è sembrato alla fine un approccio più saggio. Mi sono regolata secondo un metro di valutazione orientato sulla complessità, almeno su quella alla mia portata. Dunque tutte queste chiacchiere perché alla fine stento a capire. E’ infatti notizia di questi giorni che circa 120 richiedenti asilo e titolari di permessi provvisori di protezione umanitaria sono stati licenziati da una delle più grandi aziende di logistica italiana. E dopo che la stessa azienda ha investito per tre anni sulla loro formazione. E’ solo una delle tante conseguenze del primo decreto sicurezza. Già. Perché tra l’altro, la normativa in questione ha cancellato la protezione umanitaria e con essa anche la possibilità di conversione in permessi di lavoro. L’azienda ha lamentato grande difficoltà, perché, oltre ad avere perso risorse economiche, ha difficoltà a reclutare italiani ormai indisponibili a svolgere le mansioni richieste di camionista o magazziniere. Questi giovani migranti sono quindi ripiombati nella clandestinità e, nell’impossibilità di un rimpatrio, sono destinati a ingrossare le fila di quei 600.000 che provano a sopravvivere nelle stazioni o ai margini delle periferie. Non saranno gli unici a vedere svanito un progetto di serenità e di integrazione. Del resto la distruzione del modello Riace, che aveva indicato un percorso legittimo ed efficace di gestione del fenomeno migratorio, ha prodotto analoghi effetti. Come se non bastasse, dopo che la Cassazione ha dichiarato leciti i fatti ascritti a Mimmo Lucano, un nuovo avviso di garanzia gli imputa il rilascio della carta di identità a una migrante senza la quale non avrebbe potuto far
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curare il figlio neonato in una struttura sanitaria. Ecco demolire ogni strategia di integrazione, al di là dei buoni e dei cattivi e anche dei buonisti, dell’etica, dell’accoglienza, di Papa Bergoglio, del capitano e di Giorgia, mi sembra un’idiozia. Non so se sono buona o cattiva, sicuramente non voglio essere idiota. E intanto questo governo latita su questioni fondamentali che potrebbero contribuire a definirne finalmente un’identità. Mi viene in mente Simone, quel ragazzo di Torre Maura, che a un esponente di Casa Pound, a proposito dell’accanimento contro le minoranze, senza incertezze, disse: “a me nun me sta bene che no”.
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