Michela Cappa, Laura Busso, Giuseppe Lo Russo
BESt
il codice dei bisogni educativi speciali
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Testi: Michela Cappa, Laura Busso, Giuseppe Lo Russo Illustrazione copertina: Malvina Quartana Progetto grafico e impaginazione: Malvina Quartana www.doocenti.it Š 2017 Maggioli Editore S.p.A Via del Carpino, 8, 47822 Sant’Arcangelo di Romagna RN, Italia Prima edizione: Novembre 2017
Indice Prefazione INTRODUZIONE 1. CHE COSA SONO I Bisogni educativi speciali 1.1 Quali sono i BES APPROFONDIMENTO: APPROFONDIMENTO SULLE SIGLE 1.2 La circolare ministeriale del 08/03/13 1.3 il piano annuale per l’inclusività 2. UN PERCORSO A TAPPE 2.1 DALLE CLASSI DIFFERENZIALI AI BES 2.2 L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI BES 2.3 gli strumenti per identificare la diagnosi: l’icd, l’icidc e il modello ics 2.4 IL PEI E IL PDP 2.4.1 Il Piano Didattico Personalizzato 2.4.2 Il piano didattico individualizzato 3. INTEGRAZIONE E INCLUSIONE 3.1 OSSERVARE IN UNA PROSPETTIVA INCLUSIVA 3.2 SEGNALARE, CERTIFICARE, FORMALIZZARE 3.3 LA DIFFERENZA TRA CERTIFICAZIONE E DIAGNOSI 3.4 GLI ORGANISMI COMPETENTI A RILASCIARE LA DOCUMENTAZIONE CLINICA
4. strategie didattiche per l’individuazione: strategie e buone prassi per un sostegno inclusivo 4.1 LA DIDATTICA SPECIALE 4.2 LA SCUOLA INCLUSIVA 4.3 la cornice relazionale 4.4 ASCOLTO ATTIVO 4.5 EMPATIA 4.6 LA CORNICE METODOLOGICA-ORGANIZZATIVA 4.6.1 il gruppo classe resiliente 4.6.2 LA RISORSA COMPAGNI DI CLASSE 4.6.3 l’adattamento degli obbiettivi curricolare e dei materiali 4.7 La didattica meta cognitiva: l’autoregolazione cognitiva APPROFONDIMENTO: TECNICHE DIDATTICHE PER FAVORIRE L’INCLUSIONE 4.8 strategie logico visive: schemi e mappe 4.8.1 SCHEMI 4.8.2 MAPPE mentali APPROFONDIMENTO: LE MAPPE A RAMI LE MAPPE A NODI LE MAPPE CONCETTUALI 4.8.3 PERCHÉ LE MAPPE SONO UTILI AD ALUNNI CON DSA? 4.8.4 differenza tra mappe mentali e mappe concettuali 5. TECNOLOGIE PER L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA 5.1 tecnologie assistive per alunni con diverse disabilità
5.2 le tecnologie per i bisogni educativi degli alunni con disabilità motoria 5.2.1 tastiere 5.2.3 sistemi di puntamento 5.2.4 riconoscimento vocale 5.2.5 la scansione 6.2.6 la predisposizione di parla 5.3 tecnologie didattiche con problemi cognitivi 5.3.1 lo screen reader ( il lettore dello schermo) 5.3.2 il display braille (denominato anche “riga braille” o “barra braile” ) 5.3.3 lo scanner con programma ocr (optical character recognition, ossia riconoscimento ottico dei caratteri) 5.3.4 i book reader 5.4 le tecnologie per i bisogni educativi degli studenti con disabilità uditiva 5.4.1 sistemi di tipo “grill and practice” 5.4.2 sistemi di tipo multimediale 5.4.3 sistemi basati su macromondi 5.4.4 sistemi di tipo general-purpose 5.5 esperienze didattiche sui bes 5.6 tecnologie assistive per la comunicazione 5.7 le tecnologie didattiche per i bisogni educativi degli studenti con problemi cognitivi 5.7.1 tastiere speciali 5.7.2 la lavagna interattiva multimediale (lim) 5.8 tecnologie assistive per disturbi autistici
6. esperienze didattiche sui bes 111 conclusione 117
Prefazione Questo libro vuole essere una guida tascabile rivolta a insegnanti di ruolo e aspiranti docenti. È facile che durante la carriera di insegnante ci si imbatta nel mondo dei Bisogni Educativi Speciali, i cosiddetti BES. A dirla tutta oggi è raro trovare una scuola che non abbia tra i suoi alunni qualche studente con questi bisogni. Con queste pagine, quindi, vogliamo fornire una guida semplice, di facile lettura e consultazione, utile al momento del bisogno. Il testo contiene una breve introduzione che spiega chi sono gli alunni con BES e soprattutto da cosa derivano questi bisogni. Delinea brevemente l’evoluzione del concetto di BES e fornisce indicazioni su come individuare un alunno con Bisogni Educativi Speciali, come agire e come approcciarsi alla famiglia. Nel testo si parla del Piano Educativo Individualizzato (PEI) e del Piano Didattico Personalizzato (PDP).Viene inoltre dedicato ampio spazio al tema dell’inclusività, alle tecnologie utili all’inclusione e, ovviamente, alle possibilità e strategie didattiche da utilizzare con gli studenti con bisogni speciali. Un manuale da tenere sempre a portata di mano, nella borsa da lavoro, nell’armadietto della scuola e sul comodino. Il team di Doocenti.it
Introduzione Quello dei BES oggi è un tema che nasce dall’aumento costante di alunni affetti da diversi tipi di disabilità: cognitiva, sensoriale, fisica. Già quindici anni fa, Brahm Norwick , uno dei massimi studiosi della politica dell’inclusività aveva evidenziato come nella scuola esistessero tre tipi di bisogni educativi a cui è necessario rispondere: • bisogni comuni, che fanno riferimento a caratteristiche che possiedono tutti • bisogni specifici, che riguardano aspetti condivisi da alcuni alunni • bisogni individuali, che sono riconducibili ad alcuni alunni e sono differenti da tutti gli altri. Nella macro-categoria di Bisogni Educativi, quindi convergono tutte quelle necessità educative normali e speciali che richiedono degli accorgimenti didattici specifici per realizzare una piena inclusione di tutti gli alunni e che consiste nel massimo grado possibile di apprendimento rispetto alle propria potenzialità e di partecipazione sociale e comunitaria, sia nella scuola sia nel contesto extrascolastico. Questo scritto si propone non solo di essere non una guida esaustiva e una guida pratica contenente tutti i “segreti del mestiere”, ma vuole essere anche un orientamento per chi per professione o perché esperienze di un caso in famiglia, si trovi ad affrontate il delicato e variegato mondo dei Bes. Si tratterà nello specifico di classificare i bisogni educativi speciali, chi sono, la normativa di riferimento, gli strumenti che la scuola può e deve attuare per favorire una corretta inclusione, il concetto di pedagogia speciale e didattica speciale, la cornice relazionale, le strategie didattiche e infine alcune esperienze significative di docenti.
1. CHE COSA SONO I BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI
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Alunni con Bis Special Alunni con disabilità
Disabilità intellettiva Disabilità motoria Disabilità sensoriale pluridisabilità Disturbi neuropsichiatrici
Alunni con disturbi
ds
disturbi specific
dispra
disturbo no
a.d.h.d disturbo attenzi
disturbo opposit
PEI: gurppo di lavoro per handicap
Piano educativo individualizzato Insegnate di sostegno, strategie educative, didattiche e Percorsi differenziati
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funzionamento cognitivo lim
sogni Educativi li (bes)
i evolutivi specifici
sa
Alunni con altri Bisogni educativi speciali
Altre tipologie di disturbo (malattie, traumi, dipendenze...)
ci del linguaggio
Alunni con iter diagnostico dsa non ancora completato
assia
Alunni con svantaggio socio-economico
on verbale
Alunni con svantaggio socio-culturale
ione e iperattivitĂ lievi
tivo provatorio
mite (borderline cognitivo)
Piano didattico personalizzato (Deciso dal consiglio di classe) Percorsi personalizzati, strategie educative e didattiche, Strumenti compensativi e misure dispensative, Valutazioni personalizzate
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Serena è sempre sorridente e allegra, ma si rabbuia quando la maestra le chiede di leggere: per lei le lettere sono piccoli avversari difficili da affrontare. Obaco è da poco arrivato in Italia, proviene da un paese straniero, non parla l’italiano e il suo volto è spaurito. Kevin è italiano, ma nonostante abbia concluso gli anni di scuola elementare, non è riuscito ad acquisire la letto-scrittura per deficit cognitivi. Aurora è italiana e manifesta comportamenti inadeguati in classe: ha un disturbo dell’attenzione, si alza spesso senza chiedere il permesso, ha atteggiamenti violenti verso gli adulti e i compagni. Cosa accomuna Serena, Obaco, Kevin e Aurora? Questi ragazzi hanno tutti evidenti difficoltà e vivono l’ambiente scolastico con grande ostilità. Li possiamo configurare attorno al concetto di BES (Bisogni Educativi Speciali): in questa macrocategoria, infatti, includiamo quei bisogni e necessità che ogni bambino può incontrare durante il percorso scolastico e che possono ostacolare l’apprendimento: «Ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare dei Bisogni Educativi Speciali per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta».1
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D.M 27/12/2012, p. 1
1.1 Quali sono i Bes? Di s a bi l i t à
Ri t a r doc og ni t i v o S e ns or i a l e Me noma z i oni Mot or i a fs i c he ,ps i c hi c hee I nt e l l e t t i v a s e ns or i a l i Al t r a( DS Ai nc omor bi l i t à c ona l t r idi s t ur bie c c . )
Di s t ur bie v ol ut i v i Di s t ur biS pe c i fc idiDi s l e s s i a s pe c i fc i Appr e ndi me nt o Di s or t og r a fa ( DS A) Di s g r a fa Di s c a l c ul i a Ar e aVe r ba l e
Di s t ur bide ll i ng ua g g i o Ba s s ai nt e l l i g e nz av e r ba l e a s s oc i a t aa da l t ai nt e l l i g e nz a nonv e r ba l e
Ar e anonv e r ba l e Di s t ur bode l l a c oor di na z i onemot or i a Di s pr a s s i a Di s t ur bononv e r ba l e Ba s s ai nt e l l i g e nz anon v e r ba l ea s s oc i a t aa da l t a i nt e l l i g e nz av e r ba l e Di s t ur bode l l os pe t t r o a ut i s t i c ol i e v e Di s t ur boe v ol ut i v os p e c i fc o mi s t o Funz i ona me nt o i nt e l l e t t i v ol i mi t e ( FI L)
De t t oa nc he" Bor de rc og ni t i v o"o" c og ni t i v o bor de r l i ne "
ADHD
Di s t ur bodaDe fc i tde l l ' At t e nz i one / i pe r a t t i v i t à
S v a nt a g g i o
S oc i oe c onomi c o,c ul t ur a l e ,l i ng ui s t i c o
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Dopo la legge 170/2010 sui DSA sono state emanate delle disposizioni che hanno cercato di accogliere questi bisogni in una logica di inclusione infatti la Direttiva Ministeriale D.M. Del 27/12/2012 tenta di fornire una chiara guida sulle caratteristiche dei loro bisogni garantendo l’inclusione e la personalizzazione dell’apprendimento. Nella direttiva sono individuate tre grandi aree: 1. disabilità 2. disturbi evolutivi specifici 3. svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale.
Approfondimento delle sigle DSA: Disturbi Specifici di Apprendimento «I disturbi Specifici dell’Apprendimento interessano alcune specifiche abilità scolastiche in un contesto di funzionamento intellettivo adeguato all’età anagrafica. Sono coinvolte in tali disturbi l’abilità della lettura, della scrittura e del fare calcoli. Sulla base dell’abilità interessata dal disturbo, i DSA assumono una denominazione specifica: dislessia (problemi nella lettura), disgrafia e disortografia (problemi nella scrittura), discalculia (problemi nel calcolo). Secondo le ricerche attualmente più accreditate, i DSA sono di origine neurobiologica; allo stesso tempo hanno matrice evolutiva e si mostrano come un’atipia dello sviluppo, modificabile attraverso interventi mirati»2.
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Linee Guida DSA, 2011, p.4.
ADHD: Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività Il Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività (ADHD, acronimo dell’inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder) è un disordine dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente, caratterizzato, secondo i criteri del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-III; DSM-IIIR; DSMIV), da inattenzione e impulsività/iperattività. Da poco inserito nell’ambito dei disturbi neuro-evolutivi dal DSM-V, si manifesta con numerosi sintomi che possono essere ricondotti a una “triade sintomatologica”: disattenzione, iperattività, impulsività. Il disturbo emerge nell’infanzia e spesso le manifestazioni diventano più evidenti entro i 12 anni. Spesso è associato a difficoltà a scuola e nelle relazioni sociali, a comportamenti oppositivi e provocatori e ad altri disagi emotivi, come depressione e ansia. L’inattenzione o facile distraibilità tende a presentarsi soprattutto come scarsa cura per i dettagli e incapacità a portare a termine compiti o giochi intrapresi; l’impulsività si presenta come la capacità di procrastinare nel tempo la risposta a uno stimolo ed è spesso associata ad iperattività. FIL: Funzionamento Intellettivo Limite Il Funzionamento Intellettivo Limite è una condizione evolutiva caratterizzata da un funzionamento cognitivo borderline, termine che indica una zona di confine tra “normalità” e “disabilità”. I criteri per stabilire la differenziazione tra FIL e disabilità intellettiva (il ritardo cognitivo) sono stabiliti dai manuali diagnostici internazionali, e per il DSM-IV-TR corrisponde ad un QI tra 71 e 84. Questo significa che non vi è un ritardo mentale, perché il QI 21
non è inferiore a 70, ma neppure un livello intellettivo “normale” (QI compreso tra 90 e 110). Per individuare un FIL bisogna prestare attenzione al suo manifestarsi in età evolutiva; infatti, pur non rappresentando un vero e proprio disturbo, è una condizione in cui l’intervento educativo può diventare cruciale. Disturbo dello spettro autistico lieve. L’autismo è un disturbo generalizzato dello sviluppo che si manifesta entro i 3 anni di età. Le manifestazioni cliniche riguardano un deficit nell’area della comunicazione sociale (verbale e non verbale e relativa alla capacità di interazione sociale) e un deficit di “immaginazione” (cioè un repertorio ristretto di attività e interessi, e comportamenti ripetitivi e stereotipati); il disturbo può essere associato a ritardo cognitivo. Quando non è associato a ritardo cognitivo, il disturbo viene definito lieve: si manifesta con deficit di comunicazione e, nelle interazioni sociali, con mancanza di empatia e rifiuto dei cambiamenti, anche minimi. Questi casi non rientrano nella Legge 104/92.
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1.2 LA CIRCOLARE MINISTERIALE DELL’8/3/2013 Alla Direttiva di cui abbiamo parlato (D.M. 27 dicembre 2012) fa seguito una Circolare che chiarisce gli ambiti di discrezionalità dei docenti per la personalizzazione della didattica. Nella Circolare si legge che è compito dei consigli di classe o, nelle scuole primarie, dei team di docenti indicare in quali altri casi sia opportuna e necessaria l’adozione di una personalizzazione della didattica e di eventuali misure compensative o dispensative, nella prospettiva di una presa in carico globale ed inclusiva di tutti gli alunni. Viene perciò indicato che lo strumento privilegiato è il percorso individualizzato e personalizzato, redatto in un Piano Didattico Personalizzato (PDP): lo scopo è definire, monitorare e documentare secondo un’elaborazione collegiale, corresponsabile e partecipata, le strategie di intervento più idonee e i criteri di valutazione agli apprendimenti. I docenti, dunque, possono agire a propria discrezione. Nello schema seguente sono indicate le modalità di intervento di cui può usufruire la scuola, adattandole alle condizioni di partenza dell’alunno.3
La circolare, inoltre, contiene quattro altri punti innovativi: • indicazioni più precise in relazione ad alunni e studenti con DSA non ancora in possesso di certificazione; • istituzione dei Gruppi di Lavoro per l’inclusione (GLI); • realizzazione del Piano Annuale per l’Inclusività (PAI); • coinvolgimento del territorio attraverso la riorganizzazione della rete territoriale per l’inclusione: Centri Territoriali di 3
Circolare Ministeriale n. 8 del 6 marzo 2013, p. 2. 23
Supporto (CTS) e Centri Territoriali per L’Inclusione (CTI). Definiamo meglio i punti salienti della Circolare. Per quanto riguarda il primo punto, cioè gli alunni DSA non ancora in possesso della certificazione, si può affermare che un percorso personalizzato è possibile; infatti, se è vero che si può adottare un piano didattico personalizzato, a maggior ragione ciò sarà valido per un alunno con sospetto di DSA che verrà in seguito diagnosticato. La Circolare offre alla scuola la possibilità di costituire un nuovo organismo per coordinare le politiche sull’inclusione scolastica: il GLI, ovvero Gruppo di Lavoro per l’Inclusione. Le sue funzioni: • rilevazione dei BES presenti nella scuola; • raccolta e documentazione degli interventi didattico-educativi; • focus e confronto sui casi, consulenza e supporto ai colleghi 24
sulle strategie/metodologiche di gestione delle classi; • rilevazione, monitoraggio e valutazione del livello di inclusività della scuola; • elaborazione di una proposta di Piano Annuale per l’Inclusività riferito a tutti gli alunni BES, da redigere al termine di ogni anno scolastico (entro il mese di giugno); • costituzione dell’interfaccia delle rete dei Centri Territoriali di Supporto (CTS) e dei servizi sociali e sanitari territoriali per l’implementazione di azioni di sistema (formazione, tutoraggio, progetti di prevenzione, monitoraggio, ecc..)4.
1.3 IL PAI : il Piano Annuale per l’inclusività L’adozione del PAI prevede due fasi: una ad inizio anno, in cui il GLI elabora e propone al Collegio dei docenti un progetto di Piano contenente una rilevazione iniziale della situazione, le attività da proporre con obiettivi di miglioramento e gli strumenti di monitoraggio; un’altra a fine anno scolastico, durante la quale si controllerà il raggiungimento degli obiettivi e si avvierà la nuova programmazione per l’anno successivo. La verifica dei risultati raggiunti è compito del Collegio dei Docenti. All’interno del progetto di inclusione è necessario organizzare una rete per far sì che si possa creare un’alleanza tra i Centri Territoriali di Supporto (scuole polo con compiti di consulenza, formazione e supporto tecnologico nelle scuole) e i Centri Territoriali per l’Inclusione. L’obiettivo è quello di creare una rete di scuole polo per l’inclusione, diffusa su tutto il territorio nazionale, che faccia da interfaccia tra amministrazione centrale e periferica 4
C.M. n. 8 del 2013. 25
e le scuole autonome, e che inoltre sviluppi logiche di reti territoriali utili a conseguire un’effettiva integrazione dei servizi alla persona in ambito scolastico.
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2. Un percorso a tappe
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2.1 Dalle classi differenziali ai bes Nel corso della storia il processo di inclusione non è stato così scontato; anzi, è stato molto lungo e difficile. Il percorso verso l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità iniziò nel 1971, quando si stabilì che quelli meno gravi fossero inseriti nelle classi comuni (Legge 20 marzo 1971). Il dibattito tra coloro che sostenevano la loro inclusione e coloro che la ostacolavano portò all’istituzione di un’apposita Commissione ministeriale. Nel 1974 l’allora Ministro della Pubblica Istruzione nominò una commissione, presieduta dall’on. Franca Falcucci, con il compito di verificare la modalità di inserimento dei ragazzi disabili all’interno delle scuole. Da questa commissione fu redatta la Relazione Falcucci, che da un lato regolava la frequenza nelle scuole e il concetto rigido del voto o della pagella, dall’altro proponeva una “programmazione curricolare” non più mirata al solo svolgimento di un programma da parte dell’insegnante. Ecco di seguito alcuni punti della legge di fondamentale importanza: • abolizione delle classi differenziali e nascita della figura dell’insegnante di sostegno, col compito di affiancare gli alunni disabili; • superamento di una concezione individualistica del programma e dell’insegnamento; • riconoscimento della centralità dello studente e del suo diritto alla piena educazione; • riconoscimento della stabilità degli insegnanti e della necessità del loro aggiornamento; • ideazione di appositi uffici atti all’integrazione e creazione di servizi socio-psicopedagogici presso ogni Provveditorato, 30
così da realizzare un’efficace azione di coordinamento a livello provinciale e distrettuale. Nel 1992 è stata approvata la Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. La legge-quadro regolò per la prima volta in modo funzionale non solo la scuola, ma anche e soprattutto la tutela dei diritti delle persone con handicap. Secondo questa legge si definisce persona handicappata «colei che presenta una minoranza fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione» (art. 3, comma 1). Gli articoli che riguardano la scuola vanno dal 12 al 17. In essi viene affermato il diritto della persona handicappata all’educazione e all’istruzione, alla sua integrazione e allo sviluppo delle sue potenzialità nel campo dell’apprendimento, della comunicazione e della socializzazione. Al bambino da 0 a 3 anni con handicap è garantito l’inserimento negli asili nido, così come è garantito il diritto all’educazione e all’istruzione della persona handicappata nelle sezioni della scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie. All’individuazione dell’alunno come persona handicappata fa seguito l’acquisizione della documentazione risultante dalla diagnosi funzionale, che indica il livello di compromissione che la patologia ha prodotto e le capacità individuali sulle quali intervenire; viene altresì elaborato un profilo dinamico-funzionale, necessario per la formulazione del piano educativo individualizzato. Un lavoro di equipe tra insegnanti curricolari e personale sanitario monitora e aggiorna il profilo dinamico-funzionale, che deve essere aggiornato alla conclusione della scuola materna, della 31
scuola elementare, della scuola media e durante il corso di istruzione secondaria superiore. L’articolo 16 tratta della valutazione del rendimento e delle prove d’esame degli alunni con handicap: • prevede la redazione di un piano educativo individualizzato, il PEI, nel quale gli insegnanti delle diverse discipline seguono particolari interventi mirati a sostituire parzialmente il contenuto programmatico di alcune discipline: • garantisce tempi più lunghi nelle prove d’esame di ogni ordine e grado, in particolare quelle della scuola secondaria di primo e secondo grado; • per quanto riguarda la formazione universitaria, l’articolo prevede che i Rettori nominino un docente responsabile del coordinamento, del monitoraggio e del supporto di tutte le iniziative che riguardano l’integrazione nell’ambito dell’ateneo. L’articolo 17 si occupa della formazione professionale per le persone handicappate. Quali sono quindi i tre punti basilari della legge quadro? 1. La visione sistemica dell’integrazione: la legge è rivolta a tutti i soggetti istituzionali, i quali devono cooperare affinché ci possa essere una vera e attenta integrazione dell’alunno. 2. L’individuazione di strumenti istituzionali e di procedure che le scuole devono seguire per favorire l’integrazione: vengono definiti gli accordi programmatici da stipulare tra istituzioni scolastiche e servizi sanitari, socio-assistenziali, culturali. Lo scopo è fornire all’a32
lunno una programmazione integrata tra diverse strutture. Un ruolo importante è affidato al GLI, Gruppo di Lavoro per l’Integrazione scolastica previsto a livello provinciale, il quale ha il compito di definire l’intervento scolastico adatto a sostenere le persone disabili. 3. La modalità di individuazione dell’alunno come persona handicappata e la progettazione di azioni che favoriscano il suo apprendimento. Questo punto riguarda proprio la progettazione educativa e didattica che coinvolge la scuola, dalla Diagnosi Funzionale e stesura del Profilo Dinamico-Funzionale fino al Piano Educativo Individualizzato (PEI). Dalla legge quadro il contesto normativo è profondamente mutato: la legge 59/1997 e il D.P.R n. 275/1999 riconoscono autonomia alle istituzioni scolastiche e prevedono un nuovo strumento progettuale, il Piano dell’Offerta Formativa (POF). Ricordiamo che prima di questa monumentale legge era in vigore il D.P.R. n. 518 del 22 dicembre 1967, il quale distingueva nettamente le scuole speciali dalle classi differenziali: • nelle scuole speciali venivano indirizzati i soggetti che presentavano anomalie o anormalità somato-psichiche che non consentivano la regolare frequenza nelle scuole comuni e che necessitavano di un trattamento particolare e dell’assistenza medico-didattica; • le classi differenziali, invece, accoglievano i soggetti con problemi cognitivi non gravi, i disadattati ambientali e i soggetti con anomalie del comportamento; per questi alunni era previsto un futuro inserimento nella scuola comune.
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2.2 L’evoluzione del concetto di Bes Il concetto di Special Educational Needs, ovvero di Bisogni Educativi Speciali, compare nel 1978 in Gran Bretagna, nel Rapporto Warnock: «È impossibile stabilire che cosa sia un handicap. Eppure l’idea è fortemente radicata nel modo di pensare in ambito educativo, dove esistono due tipi di alunni: quelli handicappati e quelli non handicappati. Generalmente ai primi è stata riservata un’educazione speciale, mentre ai secondi un’educazione normale. Ma la complessità dei bisogni individuali è più complessa di questa dicotomia. Inoltre descrivere qualcuno come handicappato non dice nulla del tipo di supporto educativo di cui ha bisogno e del tipo di istruzione di cui necessita. Noi vorremmo avere un approccio positivo e pertanto abbiamo adottato il concetto di “bisogno educativo speciale”, visto non in termini di un particolare tipo di disabilità che un alunno può avere, ma prendendo in considerazione l’alunno nella sua interezza con le sue abilità e disabilità - tutti fattori che hanno certamente un peso sul suo progresso a scuola». Poco più di quindici anni dopo, con la Dichiarazione di Salamanca, il concetto di Special Educational Needs viene riconosciuto a livello internazionale e utilizzato nelle rilevazioni OCSE per indicare quell’ambito che comprende la disabilità, le difficoltà di apprendimento e lo svantaggio. Il 27 dicembre 2012, come abbiamo anticipato all’inizio della nostra discussione, è stata firmata dall’allora ministro Profumo la direttiva «Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica», con la quale viene introdotto il concetto di BES. È opportuno sottolineare che la definizione di Bisogni Educa34
tivi Speciali è un concetto psicopedagogico (non una categoria clinica) nel quale rientrano tre grandi aree: la disabilità, i disturbi evolutivi specifici, lo svantaggio socio-economico, linguistico e culturale. La Legge 170/2010 sui DSA ha prodotto una “rivoluzione culturale” facendo della scuola la colonna portante e la garante del successo dell’alunno, intervenendo in modo funzionale nel potenziamento delle abilità e nel recupero delle difficoltà. La Direttiva del 27/12/2012 («Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica») e le successive circolari e note ministeriali rispondono all’esigenza di tutelare i bisogni degli alunni e di fornire loro gli strumenti per favorire l’inclusione nell’ambiente scolastico; definiscono quali sono i BES e forniscono le prime indicazioni su come intervenire. L’assunto iniziale è che «l’area dello svantaggio scolastico» è molto più ampia rispetto a quella riferibile alla sola presenza della disabilità, clinicamente certificabile; si suggerisce quindi di assumere un criterio educativo che vada oltre un approccio ancorato all’identificazione derivante dalla certificazione clinica.
2.3 Gli strumenti per identificare la diagnosi: l’ICD, l’ICIDH e il modello ICF A partire dalla seconda metà del secolo scorso, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha elaborato differenti strumenti di classificazione inerenti l’osservazione e l’analisi delle patologie organiche, psichiche e comportamentali delle popolazioni, al fine di migliorare la qualità della diagnosi di tali patologie. 35
La prima classificazione elaborata dall’OMS, la “Classificazione Internazionale delle Malattie” (International Classification of Diseases - ICD, 1970), risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche e le indicazioni diagnostiche. L’ICD focalizza l’attenzione sull’aspetto eziologico della patologia. Le diagnosi delle malattie vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati. L’ICD ha rivelato ben presto vari limiti di applicazione, e ciò ha indotto l’OMS ad elaborare un nuovo manuale di classificazione in grado di focalizzare l’attenzione non solo sulla causa delle patologie, ma anche sulle loro conseguenze: nasce così la “Classificazione Internazionale delle Menomazioni, delle Disabilità e degli Handicap” (International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps - ICIDH, 1980). L’ICIDH non coglie la causa della patologia, ma l’importanza e l’influenza che il contesto ambientale esercita sullo stato di salute delle popolazioni. Con l’ICIDH non si parte più dal concetto di malattia intesa come menomazione, ma dal concetto di salute intesa come benessere fisico, mentale, relazionale e sociale che riguarda l’individuo, la sua globalità e l’interazione con l’ambiente. L’OMS dichiara l’importanza di utilizzare l’ICD (in Italia si fa riferimento all’ICD-10, ossia alla decima revisione ultimata nel 1994) e l’ICIDH in modo complementare, favorendo l’analisi e la comprensione delle condizioni di salute dell’individuo in una prospettiva più ampia; combinando i due manuali, infatti, si possono integrare i dati eziologici con quelli dell’analisi dell’impatto che quella patologia può avere sull’individuo e sul contesto ambientale in cui è inserito. L’ICIDH si basa su tre elementi fondamentali, attraverso i quali vengono analizzate e valutate le conseguenze delle malattie: 36
• la menomazione (il danno organico e/o funzionale); • la disabilità (la perdita di capacità operative a causa della menomazione); • lo svantaggio/handicap (la difficoltà che l’individuo incontra nell’ambiente circostante a causa della menomazione). Anche questa classificazione, però, ha dimostrato ben presto la sua incompletezza, e l’OMS ha quindi elaborato un ulteriore strumento: la “Classificazione Internazionale del Funzionamento e delle Disabilità” (ICIDH-2, 1999). Questo manuale rappresenta l’embrione del modello concettuale che sarà sviluppato nell’ultima classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: la “Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute” (ICF, 2001), uno strumento di classificazione innovativo, multidisciplinare e dall’approccio universale. Alla sua stesura hanno partecipato i 194 governi che compongono l’Assemblea Mondiale della Sanità, tra cui l’Italia, che ha offerto un significativo contributo tramite una rete collaborativa informale denominata “Disability Italian Network” (DIN), costituita da 25 centri dislocati sul territorio nazionale e coordinata dall’Agenzia Regionale della Sanità del Friuli Venezia Giulia. L’ICF è dunque lo strumento utilizzato per descrivere e misurare la salute e la disabilità della popolazione. Questa classificazione può essere applicata a chiunque (e quindi non necessariamente a una persona affetta da particolari anomalie fisiche o mentali) ogniqualvolta si presenti la necessità di valutare lo stato a livello corporeo, personale o sociale di un soggetto. L’ICF è il primo strumento che tiene conto anche dei fattori contestuali e ambientali; il soggetto non viene “analizzato” nella sua disabilità o malattia, ma nella sua unicità e globalità. Questa rivoluzione concettuale emerge già dal titolo (“Classifi37
cazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute”), che non pone l’accento sulla malattia o sulla disabilità, ma anzi, analizza la salute dell’individuo in chiave positiva (“funzionamento” e “salute”). L’ICF vuole fornire un’ampia analisi dello stato di salute degli individui collegando la salute all’ambiente, e giunge a concepire la disabilità come una certa condizione di salute in un certo ambiente favorevole o sfavorevole. L’analisi delle varie dimensioni esistenziali dell’individuo porta a evidenziare non solo come le persone convivono con la loro patologia, ma anche cosa è possibile fare per migliorare la qualità della loro vita. È la nuova visione della disabilità a rendere questo manuale universale: la disabilità non viene considerata un problema di un gruppo minoritario all’interno di una comunità, ma un’esperienza che tutti, nell’arco della vita, possono sperimentare. Il modello di disabilità proposto dall’ICF è universale, applicabile a qualsiasi persona, normodotata o diversamente abile.
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Il modello icf Condizioni fisiche (Input biologico, disturbo o malattia)
Funzioni e Strutture Corporee
Partecipazione Sociale
(Ex menomazione)
(Ex handicap)
AttivitĂ Personali (CapacitĂ / Performance)
Input contestuali Fattori Ambientali
Fattori Personali 39
2.4 IL PEI e il PDP Abbiamo già detto che la scuola ha il dovere di rispondere alle esigenze degli alunni che hanno bisogni educativi speciali, e per farlo deve ricorrere ad una personalizzazione della didattica. Questo significa che ogni alunno BES ha il diritto ad un intervento mirato e specifico e alla definizione di misure dispensative e compensative che, fra le altre cose, possano favorire il raggiungimento delle competenze e l’inclusione all’interno del gruppo-classe. Per tutti gli alunni con Bisogni Educativi Speciali (BES) va redatto annualmente un documento di programmazione che espliciti il percorso personalizzato ad hoc per ognuno di essi: questo documento prende il nome di PEI (Piano Educativo Individualizzato). Il PEI, dunque, è il documento redatto per gli alunni con disabilità; il PDP (Piano Didattico Personalizzato), invece, è il documento redatto per gli alunni con DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento) e altri BES.
2.4.1 Il Piano Didattico Personalizzato Il Piano Didattico personalizzato. Il PDP per gli alunni con DSA è previsto dalla legislazione introdotta tra il 2010 (Legge 170) e il 2011 (DM 5699 e Linee Guida). Il principio fondamentale, chiaramente esplicitato nel Decreto Ministeriale, è che non basta che la scuola attivi una serie di azioni didattiche: è necessario che queste ultime vadano esplicitate in un documento di programmazione. Il PDP deve contenere le seguenti voci: 40
• • • • • •
dati anagrafici dell’alunno tipologia del disturbo attività didattiche individualizzate attività didattiche personalizzate strumenti compensativi e dispensativi adottati forme di verifica e valutazione personalizzate
La responsabilità della stesura del PDP è solo e completamente della scuola, la quale può (e non “deve”, come invece accade per il PEI) chiedere la collaborazione di specialisti esterni. Il Piano Didattico Personalizzato è obbligatorio quando la diagnosi è di Disturbo Specifico di Apprendimento (dunque con tutti i codici che nell’ICD-10 iniziano con F81, sigla che indica i disturbi evolutivi specifici delle abilità scolastiche), e va compilato entro tre mesi dalla consegna della diagnosi. La stesura del PDP è a scelta quando la diagnosi è di Disturbo Evolutivo (ad esempio in caso di ADHD, Disturbo del Linguaggio, Disturbo della Coordinazione Motoria o Visuo-spaziale), quando sono presenti difficoltà di apprendimento, svantaggi socio-culturali o in caso di alunni stranieri; in questi casi il Consiglio di classe decide autonomamente se formulare o non formulare un Piano, il quale può essere compilato in qualsiasi momento dell’anno. Un PDP deve essere valutato in termini di efficacia, deve funzionare, ossia deve essere idoneo al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Deve offrire indicazioni significative, realistiche, coerenti, concerete e verificabili. • Indicazioni significative. Il PDP deve individuare solo le attività o le modalità di insegnamento più importanti. • Indicazioni realistiche. All’interno del Piano Didattico Personalizzato bisogna porre attenzione ai vincoli ed evitare di formulare promesse che non si possono mantenere; inoltre 41
non possono essere proposte prestazioni che l’alunno non sarà mai in grado di soddisfare. • Indicazioni coerenti. Nella stesura del PDP è necessario evitare contraddizioni o difformità tra le varie discipline o tra i vari insegnanti. • Indicazioni concrete e verificabili. La famiglia dovrà essere in grado di verificare tutto quello che verrà inserito nel PDP, anche a livello pratico. Sono dunque tre le azioni fondamentali: osservare, individuare, segnalare. L’osservazione consente di rilevare le difficoltà, le aree critiche e i ritardi di sviluppo, individuando gli aspetti su cui intervenire con attività didattiche mirate e specifiche di potenziamento. A partire dalla Legge 170/2010 la locuzione “identificazione precoce” è entrata a far parte del vocabolario condiviso di chi lavora costantemente con bambini e ragazzi. Con questa legge la scuola ha un ruolo fondamentale nell’individuare i segnali di difficoltà degli alunni. Il PDP, in quanto rappresenta un accordo di collaborazione con la famiglia, deve essere firmato dai genitori dell’alunno. È importante considerare il Piano Didattico Personalizzato non come un adempimento burocratico, ma come uno strumento di pianificazione utile ad aiutare i ragazzi con difficoltà.
2.4.2 Il Piano Educativo Individualizzato La compilazione del PEI è obbligatoria per gli alunni disabili; la sua stesura richiede necessariamente il coinvolgimento dei docenti e, soprattutto, degli specialisti, come psicologi, assistenti so42
ciali, neuropsichiatri. Una volta ottenuti i documenti personali, la diagnosi e i certificati, spetta ai docenti redigere il Piano Educativo Individualizzato. Il PEI deve contenere le seguenti voci: • • • • • • • •
dati relativi al soggetto e all’attività educativa organizzazione della classe trattamenti riabilitativi presentazione dell’alunno diagnosi clinica accertamento iniziale modalità di intervento programmazione educativo-didattica per ciascuna disciplina
Così come il PDP, anche il PEI deve essere considerato uno strumento di pianificazione e un valido aiuto per i ragazzi che presentano difficoltà.
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Piano didattico p per quali alunni dsa obbligatorio bes (se necessario) cos’è è un accordo condiviso fra: docenti Istituzioni scolastiche Istituzioni socio-sanitarie Famiglia È un documento di programmazione con il quale La Scuola definisce gli interventi che Intende mettere in atto nei confronti degli alunni Con esigenze didattiche particolari
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personalizzato redatto entro il primo trimestre scolastico dai docenti e dalla famiglia
contenuto Dati anagrafici Tipologia di disturbo AttivitĂ didattiche individualizzate AttivitĂ didattiche personalizzate Strumenti compensativi utilizzati Misure dispensative adottate forme di verifica e valutazione personalizzate
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Per quali alunni
Piano educativo
Alunni certificati
Legge 104/92
Cos'è È il documento nel quale vengono descritti gli Interventi finalizzati alla piena realizzazione Del diritto all’educazione, all’istruzione E all’integrazione scolastica
Chi lo redige Gli insegnanti dell’alunno, L'insegnante di sostegno, I genitori, L'assistente all’autonomia la comunicazione (se assegnato), Gli operatori del distretto socio sanitario che ha in carico l’alunno 46
individualizzato Per costituire il pei Si prendono informazioni Da:
Redatto Entro il primo trimestre scolastico Dai docenti e dalla famiglia
Profilo didattico Funzionale (PDF) Che è la base del PEI
Contenuto Viene redatto
Dati anagrafici Diagnosi funzionale
Alla presa in carico, prima del pei;
Progetto educativo
A ogni cambio d’istituto
Progetti integrati Interventi
Contenuto Caratteristiche fisiche, psichiche, sociali e affettive Dell'alunno; Livelli di competenza e conoscenza; Possibili livelli di sviluppo
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3. INTEGRAZIONE E INCLUSIONE
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3.1 Osservare in una prospettiva inclusiva Vi è differenza tra integrazione e inclusione. Mentre il termine «integrare» vuol dire porre l’attenzione sull’alunno etichettandolo come diverso, «includere» significa porre l’attenzione sul contesto educativo. L’obiettivo a cui mira l’inclusione è la partecipazione di tutti, ciascuno secondo le proprie modalità. La domanda che l’insegnante deve porsi è: «Come devo cambiare il mio modo di lavorare in funzione delle diversità individuali e in particolare degli alunni che presentano Bisogni Educativi Speciali?».
3.2 Segnalare , certificare, formalizzare Scuola. Che cosa deve fare la scuola se, nell’osservare l’alunno, rileva comportamenti che possono fare pensare alla presenza di condizioni atipiche e che ostacolano il suo normale sviluppo e processo di apprendimento, se questi non sono stati segnalatati prima dalla famiglia? Secondo la logica ICF deve innanzitutto verificare se quei comportamenti costituiscono una modalità di interazione con il contesto scolastico e quindi se sono correlati a elementi che la scuola può controllare, rimuovere e/o modificare. Famiglia. Deve poi informare la famiglia, accompagnandola in un percorso verso la consapevolezza delle difficoltà del figlio. Bisogna agire con delicatezza ma allo stesso tempo con fermezza. Bisogna aiutare la famiglia ad accettare la situazione e l’aiuto degli specialisti, grazie al quale il figlio potrà proseguire più serena50
mente il suo percorso scolastico ed esprimere al meglio il suo potenziale. ASL. Dopo aver segnalato alla famiglia le difficoltà e le problematicità rilevate a scuola, sono i genitori a portare il bambino alla ASL (Azienda Sanitaria Locale) per una valutazione specialistica. È la famiglia a decidere se rivolgersi o meno alle strutture sociosanitarie.
3.3 La differenza tra certificazione e diagnosi Per «certificazione» si intende un documento con valore legale che attesta il diritto dell’interessato ad avvalersi delle misure previste da precise disposizioni di legge – nel nostro caso dalla legge 104/92 o dalla legge 170/2010. Per «diagnosi», invece, si intende un giudizio clinico attestante la presenza di una patologia o di un disturbo; tale giudizio clinico può essere rilasciato da un medico, da uno psicologo o comunque da uno specialista iscritto agli albi delle professioni sanitarie. Le strutture pubbliche, pertanto, rilasciano «certificazioni» per alunni con disabilità e con DSA. Per disturbi ed altre patologie non certificabili ma che hanno un fondamento clinico (come i disturbi del linguaggio o il ritardo maturativo) si parla di «diagnosi».
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3.4 Gli organismi competenti a rilasciare la documentazione clinica Nel caso di disabilità cognitiva, motoria e sensoriale, l’organismo competente a rilasciare la certificazione è la commissione operante presso l’Azienda Sanitaria Locale. Per quanto riguarda il riconoscimento dei Disturbi Specifici di Apprendimento, l’organismo tecnico abilitato a rilasciare le certificazioni è l’equipe multidisciplinare costituita da neuropsichiatri infantili, psicologi e logopedisti operante nelle strutture sanitarie pubbliche o accreditate presso la regione di appartenenza.
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4. Strategie didattiche per l’individualizzazione:
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strategie e buone prassi per un sostegno inclusivo 4.1 La didattica Speciale La didattica speciale ha come compito specifico quello di definire le strategie di insegnamento e di apprendimento specifiche per alunni in situazione di handicap e/o di svantaggio socioculturale, affinché questi diventino autonomi nel pensiero e nell’azione.
4.2 Scuola Inclusiva La scuola è inclusiva quando: • è capace di integrare tutti i suoi alunni rendendo significativa la loro presenza in classe; • considera le eventuali disabilità non come incidenti ma come occasioni che interrogano la qualità dell’esperienza scolastica. Agli insegnanti, quindi, non è chiesto di snaturare, demotivare o svalorizzare la didattica, ma di renderla qualitativamente migliore. La scuola e l’insegnante devono modificare i materiali didattici, l’arredo e gli obiettivi tenendo conto delle varie caratteristiche di funzionamento dell’alunno. Fare tutto ciò non è affatto semplice nell’eterogeneità e complessità del contesto scuola, ma è necessario. Occorre dunque un intervento efficace e valido. Chi si avvicina per mestiere al delicato e variegato mondo della scuola deve sempre muoversi su quattro piani:
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1. la relazione con l’alunno; 2. la dimensione affettiva; 3. la dimensione didattica, ossia la metodologia utilizzata per organizzare le attività; 4. la gestione della comunicazione e la mediazione didattica. È di fondamentale importanza che essi siano mescolati e sovrapposti.
4.3 La cornice relazionale Una buona e significativa relazione con l’alunno, e in modo particolare con un alunno che presenta qualche difficoltà, è la cornice fondamentale attraverso cui si favorisce lo sviluppo e l’apprendimento. Se la relazione è carente o disturbata sono compromessi anche gli altri livelli di azione, e il disagio che crea può portare allo sviluppo di ulteriori disturbi. Una buona relazione ha bisogno di aiuto, di tempo, di occasioni e di incontri ripetuti. Bisogna conoscere l’alunno, aspettarlo, accompagnarlo con sicurezza - non come una guida onnipotente o come chi conosce il tragitto, ma come chi progetta “assieme” il percorso da fare. Una relazione è positiva quando si impara ad accettare l’alunno con difficoltà per quello che è, senza cadere nella logica dell’attri-
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Didattica inclusiva Valorizzazione Delle differenze di tutti Ricerca di equilibrio fra Didattica Per tutti
Didattica Speciale
Focus sullo studente Individualizzazione Che apprende / Nel gruppo Personalizzazione Innovazione e modifica Delle dinamiche Di insegnamento-apprendimento
Prevede 7 Punti chiave della Didattica inclusiva Attivazione della Risorse compagni Adattamento come Strategia inclusiva Strategie Logico-visive, mappe E aiuti visivi Processi cognitivi E stili di Apprendimento Meta-cognizione E metodo di studio Emozioni, variabili Psicologiche Nell'apprendimento Valutazione, verifica E feedback
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buzione di un vero valore solo all’unno che raggiunge gli obiettivi che l’insegnante si è prefissato.
4.4 Ascolto attivo Non è sempre facile la comunicazione con un alunno disabile, specie se sono compromesse proprio le funzioni del linguaggio. Ci sembra di non capire benissimo o di non capirli affatto, e spesso infatti blocchiamo sul nascere la conversazione. L’ascolto attivo è attesa, è ascolto silenzioso, è trattenersi da schematizzazioni rigide, da interpretazioni frettolose, è aprirsi ai diversi linguaggi sia verbali che paraverbali dell’alunno: è importante saper riconoscere il grado di coinvolgimento dello studente, le sue emozioni (sia quelle comunicate verbalmente sia quelle lasciate solamente trasparire), la spontaneità con cui il bambino si avvicina all’adulto.
Ascolto attivo
Auto-consapevolezza Emozionale
Gestione creativa Dei conflitti 59
È di fondamentale importanza prestare attenzione ai linguaggi e ai comportamenti degli alunni.
4.5 Empatia L’empatia è la capacità di «sentire l’altro». Un insegnante empatico riesce a comprendere l’emozione dell’alunno e a regolare gli stati d’animo, offrendo conforto ed esplicitando verbalmente lo stato emotivo (ad esempio dicendo allo studente: «Oggi sei proprio arrabbiato!», oppure: «Mi sembri triste»); fare questo significa condividere il vissuto dei ragazzi, senza minimizzarlo né negarlo. Per educare bisogna partecipare con energia al processo educativo. Bisogna guidare l’alunno ma anche aiutarlo a diventare autonomo offrendo il proprio sostegno. L’azione formativa, inoltre, ha bisogno di regolarità e costanza, deve essere prevedibile e strutturata (soprattutto nel caso degli alunni portatori di autismo), pronta a fronteggiare frustrazione e fallimenti. Bisogna mantenersi concentrati sul progetto che si vuole costruire, sugli obiettivi che si vogliono raggiungere, senza permettere al timore di prendere il sopravvento. Solo così si potrà costruire identità, sicurezza nell’alunno e in noi stessi.
4.6 La cornice metodologica - organizzativa Per far sì che gli alunni con Bisogni Educativi Speciali raggiungano il successo formativo sono fondamentali alcuni elementi: • lo sviluppo della resilienza collettiva; 60
• l’attivazione della risorsa compagni di classe/scuola (cooperazione e tutoring); • l’adattamento degli obiettivi e dei materiali della classe; • la didattica metacognitiva; • l’intervento psicoeducativo positivo con i soggetti aggressivi o che creano barriere nei confronti dell’educatore. Analizziamo questi aspetti singolarmente.
4.6.1 Il gruppo-classe resiliente La classe resiliente è quella i cui componenti si considerano persone capaci ed efficienti nell’apprendimento e vivono relazioni autentiche sia con gli insegnanti sia con i compagni. Le famiglie alle spalle di questi alunni sono ben presenti, li sostengono e seguono il lavoro scolastico. Nella classe resiliente i valori trasmessi dalla scuola non si discostano di molto da quelli trasmessi dalla famiglia, vengono dunque interiorizzati con maggiore facilità; gli alunni, quindi, sanno autoregolare il proprio comportamento, ovvero sanno prestare attenzione (alla lezione e agli altri), sanno lavorare con costanza e sanno cooperare, sono responsabili e rispettosi delle regole.
4.6.2 I compagni di classe come risorsa Altra risorsa che favorisce l’inclusività sono i compagni di classe. Quando gli studenti entrano in classe sono individui isolati; diventano un gruppo attraverso un processo conoscitivo, di accoglienza e di valorizzazione reciproca. 61
Per far diventare la classe una vera comunità è importante fornire al gruppo occasioni di collaborazione, ad esempio attraverso la formazione di gruppi di apprendimento cooperativo e tutoring, l’organizzazione di attività che spingono gli alunni ad aiutarsi fra loro, il coinvolgimento della comunità extrascolastica. Un’attività che indubbiamente favorisce un clima relazionale positivo è la discussione, il confronto su un tema a scelta. È importante scegliere argomenti dalla forte valenza personale e condivisi dalla comunità. Per partecipare alla vita di comunità può essere utile attivarsi anche fuori dalle mura scolastiche, partecipare quindi alle molte attività culturali e di svago organizzate, ad esempio, dalla parrocchia o dai gruppi di quartiere. Un’attività che senza dubbio incrementa la rete sociale degli alunni è il tutoring. Essa prevede la scelta di un tutor tra i compagni di classe, il quale assiste un tutee, il compagno disabile che apprende una materia a scelta. Il tutoring può essere attuato o all’interno della stessa classe o con alunni di età differenti (in questo caso, ovviamente, il tutor sarà lo studente più grande). Questa attività presenta molti vantaggi per entrambi i soggetti coinvolti: il tutor consolida le conoscenze già acquisite e colma le lacune; il tutee avrà compiti calibrati e migliorerà la padronanza verbale. Quando si propone ad una classe di lavorare in gruppo non è mai un’operazione semplice, bisogna infatti che gli insegnanti sappiano riconoscere una classe come una comunità e si impegnino a insegnare gli atteggiamenti, i diritti, le responsabilità che permettano a una comunità di funzionare. Gli adulti hanno il compito/ dovere di fornire agli studenti un esempio positivo e un modello di accoglienza e valorizzazione della diversità, oltre a farli sentire bene accetti e al sicuro. Sono tantissime le attività che favoriscono l’inclusione degli alunni BES: prendere appunti in coppia, rispondere a delle domande 62
assieme al compagno di banco, analizzare un testo assieme a un altro studente, scrivere e correggere un testo in coppia, fare esercizi e ripassare assieme ad un compagno, tenere dibattiti in classe o fare progetti di gruppo, ad esempio, sono tutte attività che favoriscono la collaborazione e stimolano la cooperazione.
4.6.3 L’adattamento degli obiettivi curricolari e dei materiali Per rendere possibile e proficua la partecipazione di un alunno disabile a un compito è importante adattare i contenuti e gli obiettivi. Di fronte ad un testo, ad esempio, potrebbe essere efficace evidenziare il testo stesso, estrapolandone i contenuti così da facilitare l’individuazione dei concetti più importanti. In secondo luogo si può schematizzare e ristrutturare il testo, rafforzarne il contenuto, usare un linguaggio più semplice, evidenziare le parole chiave, usare caratteri più grandi. Questo lavoro risulta più semplice attraverso l’utilizzo dei cartelloni o di un computer. Un ultimo livello consiste nella riduzione del testo in brevi periodi,
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Il passaggio dalla "semplificaz 1ยบ Livello Sostituzione
2ยบ Livello Facilitazione
Adattamento degli Obbiettivi curricolari E dei materiali
3ยบ Livello Semplificazione
4ยบ Livello Scomposizione
5ยบ Livello Partecipazione 64
zione" alla "differenziazione" Traduzione dell'input in un altro codice/linguaggio E/o uso di altre modalità di output
•Ricontestualizzazione (obbiettivo proposto da altre persone, In altri ambienti, con altre modalità) •Adattamento di spazi/tempi •Arricchimento della situazione con vari tipi di aiuto (Immagini, mappe, spiegazioni aggiuntive, ecc.)
Semplificazione dell’obbiettivo in una o più delle sue componenti (Comprensione, elaborazione, output)
Individuazione dei Nuclei fondanti della disciplina Più agevolmente traducibili in obbiettivi accessibili
Creazione di occasioni per far partecipare l’alunno A Momenti significativi di utilizzo Delle competenze 65
nell’uso di immagini affiancate ai concetti chiave. Ridurre la parte linguistica è un’operazione molto utile soprattutto per chi lavora con alunni con maggiori difficoltà di elaborazione cognitiva.
4.7 La didattica meta cognitiva: l’autoregolazione cognitiva Negli ultimi quarant’anni si è sentito palare nel campo della didattica di «metacognizione». Ma che cos’è la metacognizione? Con questo termine si indica una riflessione sui propri processi mentali, la consapevolezza da parte di un soggetto delle proprie capacità e dei propri processi cognitivi. La metacognizione richiede un certo grado di consapevolezza e la capacità di riflettere sull’attività della mente; le attività didattiche volte a sviluppare questa particolare capacità si basano sulla discussione e l’insegnamento reciproco. L’insegnante deve favorire lo sviluppo di un atteggiamento metacognitivo, ovvero «la generale propensione del soggetto a riflettere sulla natura della propria attività cognitiva e a riconoscere la possibilità di utilizzarla ed estenderla»5. Per farlo, deve essere distante dal ruolo di giudice autoritario; deve essere democratico e cooperativo, un abile regista, garante delle diversità individuali degli alunni. L’insegnante che opera in modo metacognitivo interviene a quattro livelli diversi. Il primo livello è quello della metacognizione: l’insegnante deve possedere conoscenze, notizie e dati su come funziona la mente umana. Il secondo livello è quello della consapevolezza del proprio fun5 66
C. Cornoldi, B. Caponi, Memoria e metacognizione,Trento, Erikson, 1991, p. 12.
zionamento cognitivo. L’insegnante sprona alla riflessione su “cosa” e “come” si sta pensando, valutando o ricordando. Con gli adulti si può ricorrere al feedback sociale, con gli alunni più giovani si può lavorare sull’errore. Il terzo livello riguarda l’uso generalizzato di strategie di autoregolazione cognitiva (cioè di tutti quei processi diretti dall’alunno stesso). «Autoregolazione» significa fissarsi un chiaro obiettivo, darsi delle istruzioni, osservare l’andamento del processo stesso, confrontare i dati prodotti con gli obiettivi e gli standard che si erano prefissati, valutare le operazioni (ossia valutare il risultato: se è positivo si è sulla giusta strada, se è negativo è necessario riprendere in mano il processo, correggerlo e adottare nuove strategie). Quarto e ultimo livello: le mediazioni cognitivo-motivazionali-emotive. L’alunno che apprende è costantemente sottoposto a input emozionali ai quali attribuisce un significato; tale significato produce effetti considerevoli sulle varie componenti dell’azione.
Tecniche didattiche per favorire l’inclusione: Cooperative learning Il cooperative learning è un “movimento educativo” che si fonda sulla collaborazione; alla base di tale pensiero vi è la convinzione che la cooperazione faciliti l’acquisizione di abilità sociali e di nozioni didattiche. Le modalità di cooperative learning sono varie, ma alcune sono più utilizzate di altre; ne vediamo qualcuna.
Peer tutoring e peer collaboration Queste modalità si basano sul lavoro di coppie o di piccoli gruppi. 67
È infatti appurato che il lavoro di gruppo migliora l’apprendimento: i ragazzi sono portati ad aiutarsi reciprocamente, e tale collaborazione favorisce sia il consolidamento delle conoscenze sia il recupero delle lacune. Nel peer tutoring (che possiamo tradurre come “tutoraggio alla pari”) un allievo tutor (più esperto) fa da insegnante a uno o più compagni. Il tutor è una guida, sostiene e aiuta l’altro (o gli altri) nel processo di apprendimento. Questo metodo è adatto per la trasmissione di informazioni e per insegnare capacità particolari (ad esempio la capacità di esporre chiaramente e rielaborare un argomento). Nella peer collaboration (“collaborazione alla pari”), invece, gli allievi hanno tutti le medesime competenze e conoscenze, quindi il gruppo affronta il problema aiutandosi e collaborando.
Learning together Questa metodologia, ideata da Johnson e Johnson intorno al 1975, consiste nel lavorare in piccoli gruppi composti da due-sei membri, i quali condividono le risorse e si aiutano reciprocamente. Solo almeno cinque i vantaggi che porta con sé questa modalità di lavoro: 1. positiva interdipendenza di obiettivi, ossia la sensazione di farcela insieme; 2. responsabilità individuale: ognuno deve contribuire alla riuscita del lavoro; 3. competenze sociali, cioè lo sviluppo di competenze quali la comunicazione, la fiducia in sé stessi e negli altri, la leadership, la capacità di prendere decisioni, la risoluzione di conflitti; 4. interazione faccia-a-faccia, come ad esempio la riflessione sul funzionamento più o meno positivo del gruppo; 68
5. processo di gruppo: tutto è filtrato ed elaborato da ogni componente del gruppo. Attraverso l’obiettivo dell’apprendimento condiviso, quindi, gli allievi lavorano per imparare insieme, per portare al massimo livello il loro apprendimento e quello degli altri membri del gruppo. Si può inserire il lavoro del singolo gruppo in un lavoro collettivo, che trova compimento solamente quando tutti i gruppi hanno presentato il loro contributo al progetto. Jigsaw Il metodo Jigsaw, letteralmente «puzzle», è stato ideato da Aronson negli anni ’70 e poi sviluppato da Slavin nel 1980. In questa modalità di lavoro ad ogni studente viene attribuito un compito che contribuisce a un obiettivo complessivo di gruppo. La classe viene divisa in piccoli gruppi di 4-6 elementi. Ad ogni allievo viene assegnata una parte del lavoro da svolgere individualmente; il lavoro del singolo, poi, viene messo a disposizione del gruppo. Come in un puzzle, il lavoro finale è il risultato di quello svolto da ognuno. Tutti sono essenziali per la realizzazione del progetto e responsabili del successo del prodotto finale. Webquest In questo caso è possibile far lavorare gli alunni sia individualmente sia in gruppo. Il webquest si basa su azioni di ricerca, scoperta, rielaborazione e studio di temi connessi alla materia scolastica interessata. L’allievo, attraverso una ricerca su testi preselezionati dal docente, deve svolgere un compito partendo dalle informazioni trovate su internet; il prodotto finale può essere un testo o una presentazione. Sul sito Indire (ww.indire.it) è possibile ricavare i passaggi spe69
cifici di questa metodologia e un elenco di esempi di Webquest. Brainstorming Nonostante sia spesso tradotto come «tempesta di cervelli», in realtà il termine brainstorming significa «usare il cervello per prendere d’assalto (to storm) un problema». È una tecnica utilizzata da Osborn (1953) per facilitare la creatività. Consiste in un lavoro di gruppo in cui il coordinatore sollecita la produzione del maggior numero di idee relative al problema da risolvere e le registra. In un secondo momento le idee migliori vengono selezionate, valutate e scelte.
Circletime Il circletime, che letteralmente significa «tempo del cerchio», è una metodologia che nasce all’interno della pedagogia umanistica. Prevede la trattazione di un problema: tutti i partecipanti sono seduti in cerchio, il tempo della discussione va dai 20 ai 50 minuti, l’ordine di presa di parola è prestabilito. Il tema da affrontare può essere proposto dagli allievi o dall’insegnante. Tale metodo è utile sia a scuola con le classi, sia con i gruppi che hanno uno scopo comune.
4.8 Strategie logico-visive: schemi e mappe Schemi e mappe cognitive non sono sinonimi. Sono entrambi forme di rappresentazione logica del pensiero, ma sono assoggettati a differenti regole di composizione. 70
4.8.1 Schemi Si può affermare che lo schema è la forma di rappresentazione visiva del pensiero logico più semplice. È una rappresentazione essenziale di un contenuto che può essere composto di parole, immagini, collegamenti, frecce e simboli; la sua composizione non deve seguire regole precise e non deve presentare elementi obbligatori. Gli schemi possono essere del tutto liberi, come quelli che ognuno di noi realizza quando prende appunti, oppure possono essere legati a regole di composizione, come accade per i cartelloni che si creano con gli alunni (nei quali le frecce, le parole chiave, le immagini e i disegni hanno un significato ben preciso e condiviso).
4.8.2 mappe mentali Le mappe mentali sono una forma di rappresentazione grafica della conoscenza che ha regole precise, definite nel corso degli anni Sessanta da Tony Buzan, uno psicologo che ha sviluppato la tecnica e la teoria delle mappe mentali per risolvere un proprio problema nel prendere appunti. Le mappe mentali prevedono l’associazione di concetti e di informazioni non in modo lineare e gerarchico, ma a raggiera. In queste mappe l’idea principale si trova al centro dello schema, e tutte le informazioni associate a essa sono collegate con frecce senza un ordine prestabilito. L’utilizzo di immagini e colori dal forte impatto percettivo favorisce e stimola la memorizzazione. 71
A cosa servono Per chi Impara
Per chi Insegna
•A visualizzare la natura dei concetti •A valutare il livello •A esplicitare le relazioni tra essi Di concettualizzazione •A evidenziare le relazioni gerarchiche •A far emergere la struttura cognitiva •A far emergere la struttura •A rappresentare graficamente Ideativa del testo E in modo coinciso le conoscenze •A raffigurare graficamente Le conoscenze
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Mappe mentali Concetto principale Formato da
A
Concetto 1
Concetto 2
Composto da
Si divide in
B
C
A
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Le mappe a rami In questo tipo di mappe mentali è fondamentale l’uso dei colori e delle immagini per sviluppare associazioni e creatività e per potenziare la memoria. Ecco com’è strutturata una mappa a rami: al centro della mappa è consigliabile porre, più che una parola chiave, un’immagine significativa che si associ all’idea centrale; dall’immagine centrale si dipartono dei rami colorati in forma di linee curve (è sconsigliato l’utilizzo di linee dritte o di frecce) - è bene utilizzare un colore diverso per ogni ramo; i rami principali si suddividono in ulteriori diramazioni, le quali rappresentano le idee secondarie; lungo ogni ramo e ogni diramazione secondaria verranno scritte le parole chiave. Per chi volesse provare a realizzare mappe mentali di questo tipo con il computer, è scaricabile il programma «iMindMap» che prevede una versione base gratuita; è poi possibile scaricare a pagamento una versione più completa, con più funzioni (all’indirizzo http://thinkbuzan.com).
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Le mappe a nodi Le mappe a nodi si basano sulla presenza di parole chiave inserite in riquadri di forma geometrica che vengono chiamati, appunto, «nodi». Anche in questa tipologia di mappe mentali l’idea centrale è posta al centro del foglio e le parole chiave a essa collegate sono inserite nei nodi disposti a raggiera dal centro alla periferia. I nodi sono collegati tra loro da linee o frecce. Queste ultime sono molto importanti, in quanto descrivono il verso di lettura della mappa e ci dicono se un nodo è conseguenza o causa di un altro. Anche in questo tipo di mappe è utile e possibile utilizzare i colori.
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Mappe a nodi Nodo terziario - nipote (Argomento particolare)
Nodo secondario - figlio (Argomento specifico)
Nodo terziario - nipote (Argomento particolare)
Nodo principale - padre (Argomento generico) Nodo terziario - nipote (Argomento particolare)
Nodo secondario - figlio (Argomento specifico)
Nodo terziario - nipote (Argomento particolare)
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Le mappe Concettuali Le mappe concettuali sono uno strumento didattico che nasce negli anni Settanta ad opera di Novak. La loro nascita e la loro diffusione sono state favorite dalla corrente del costruttivismo cognitivo interazionista. Guastavigna e Gineprini definiscono una mappa concettuale «una rappresentazione grafica di concetti espressi in forma sintetica (parole-concetto) all’interno di una forma geometrica (nodo) e collegati fra loro da linee che evidenziano la relazione attraverso parole-legamento»16. I concetti sono collegati dal generale al particolare. In ambito didattico è di fondamentale importanza non somministrare agli alunni una mappa già costruita. È bene tenere a mente, infatti, che la mappa concettuale rappresenta l’organizzazione logica del pensiero dell’autore della mappa stessa, e dunque non ha valore universale. Per essere realmente efficace la mappa deve essere frutto dell’impegno dello studente e deve derivare dalla rielaborazione personale dei concetti da parte di quest’ultimo.
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M. Gineprini, M. Guastavigna, Mappe per capire. Capire per
mappe. Rappresentazioni della conoscenza nella didattica, Roma, Carocci Faber, 2004.
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Svolgere un bel tema Grafia chiara
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Tem
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Sintattici
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Lessicali
Forme verbali
Chi, come, quando, dove, perchĂŠ
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Concordanza
Espansione del testo
a: pianifichiamo
Indica l’argomento da svolgere
Analisi del testo
Tipo di testo richiesto
Informazioni utili
ma
Scopo Idee libere
Raccogliere le idee Schema di idee a grappolo
Introduzione
Idee organizzate
Brutta copia
Rilettura
Corpo centrale
Conclusione
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4.8.3 Perché le mappe sono utili ad alunni con DSA? A prescindere dalla tipologia, le mappe sono utili agli alunni con DSA perché aiutano ad organizzare le conoscenze possedute e facilitano l’elaborazione, la comprensione e la memorizzazione delle nuove informazioni. Le mappe possono aiutare i ragazzi con DSA in quanto forniscono loro una traccia, un ordine di esposizione dei contenuti; sono dunque estremamente utili quando si tratta di argomentare (sia in forma orale sia in forma scritta). La mappa minimizza i punti deboli del ragazzo DSA compensando la lentezza nella lettura, la disorganizzazione, la difficoltà di comprensione del testo, la scarsa organizzazione delle idee e l’utilizzo di frasi minime. Nella costruzione e/o rielaborazione di una mappa concettuale ciascuno è autore del proprio percorso conoscitivo. La mappa concettuale è uno strumento che rientra nell’apprendimento significativo e che si contrappone all’apprendimento meccanico, considerato un semplice passaggio di informazioni. Un ragionevole equilibrio tra i due modi di apprendere rende più efficace l’acquisizione delle conoscenze. Le mappe concettuali consentono di avviare un processo di apprendimento significativo attraverso la riflessione, lenta e approfondita, sui concetti espressi in un testo e attraverso la ricerca delle correlazioni che legano gli uni agli altri.
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4.8.4 Differenze tra mappe mentali e mappe concettuali Le mappe mentali e quelle concettuali hanno scopi diversi. Le mappe mentali consentono di strutturare rapidamente un testo e di mostrarne graficamente la struttura. Sono metafore del pensiero intuitivo, rappresentazioni grafiche della conoscenza che consentono di fare associazioni rapide attorno a un concetto centrale. Sono molto conosciute per merito della loro semplicità applicativa e si rivelano utili soprattutto per le attività creative, come supporto alla comunicazione di un’idea e come rappresentazione del pensiero. Le mappe concettuali, invece, hanno come scopo quello di far apprendere in modo più significativo un concetto attraverso la strutturazione di un percorso di ricerca – si oppongo, dunque, ai processi puramente mnemonici.
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5. Tecnologie per l’integrazione scolastica.
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La nuova società dell’informazione, orientata alla diffusione e alla rapida crescita di prodotti digitali e interattivi (personal computer, internet, videocamere, telefoni cellulari, lettori MP3, videogiochi), ha completamente rivoluzionato il nostro modo di accedere alle informazioni sia culturali che di evasione. Il mondo è immerso nella tecnologia, nella multimedialità; l’informatica oggi incide in modo imponente in tutti i campi della vita economica e sociale di ciascuno, offre opportunità un tempo inimmaginabili, anche nel campo dell’educazione e dell’integrazione dei disabili. Negli ultimi anni le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (l’acronimo italiano è TIC, mentre quello inglese e ICT - Information and Communication Technologies) hanno contribuito a facilitare la didattica: si pensi alla LIM (la Lavagna Interattiva Multimediale) e alle tecnologie assistive utilizzate dagli alunni con disabilità. Le tecnologie assistive giocano un ruolo di primissimo piano nella scuola odierna. Le esigenze funzionali dello studente, così come emergono dal Profilo Dinamico Funzionale, possono evidenziare la necessità di ricorrere al supporto di una o più Tecnologie Assistive (TA), e oggi sono numerosi gli strumenti a disposizione della didattica, come ad esempio gli hardware e i software che consentono la conversione in altri formati di informazioni altrimenti non accessibili all’utente (pensiamo ai display Braille, alla sintesi vocale, al riconoscitore vocale o anche ai mouse e alle tastiere speciali, agli ingranditori di testo sullo schermo). L’uso delle nuove tecnologie ha cambiato il ruolo del docente, scardinando procedure viziate dalla consuetudine o dalla riproduzione di modelli consolidati. Le TA possono diventare uno degli elementi più rilevanti per la realizzazione di una pedagogia veramente inclusiva. L’introduzione nelle scuole delle Lavagne Interattive Multimediali (LIM) e l’avvio di corsi di formazione volti alla progettazione di attività didattiche che prevedano l’utilizzo 84
di tali strumenti (corsi rivolti ai docenti di tutte le discipline) è solamente un primo passo che avvicina la scuola alla pratica quotidiana, in cui strumenti informatici e tecnologie multimediali occupano un posto rilevante, ormai irrinunciabile.Tuttavia il lavoro volto all’inclusione scolastica degli alunni con disabilità è solo agli inizi e c’è ancora molto da fare. Scuola e Università sono a pieno titolo coinvolte in questo processo, ed hanno il compito di dare risposte ai diversi bisogni di integrazione, con proposte e contenuti che garantiscano i diritti di ciascuno, nel rispetto delle diversità e delle differenze in generale. L’apertura delle classi agli alunni con certificazione e il confronto costante con la loro condizione hanno evidenziato un’esigenza collettiva di bisogni educativi svariati, in relazione all’unicità di ciascun essere umano, e di fatto hanno costretto la scuola ad aprirsi all’innovazione e all’idea di percorsi di didattica individualizzata e integrativa. Di seguito presenteremo i principali ausili per le diverse tipologie di disabilità (cognitive, sensoriali, motorie). Questi aiuti, offerti dalle tecnologie informatiche e multimediali nel campo della didattica (soprattutto di quella speciale), possono favorire i processi di inclusione e di apprendimento in un contesto relazionale significativo.
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CHE COSA SONO LE ASSI
SONO STRUMENTI E/O SERVIZI CHE AIUTAN
Ricerca degli Strumenti Studio brainstorming
Accessibilità Integrata
A TE
Comunicazione Lettura
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ISTIVE TECHNOLOGY?
NO L’INDIVIDUO CON BISOGNI SPECIALI
Scrittura Gestione dei Compiti Dettato
ASSISTIVE ECHNOLOGY
Capacità visiva
Ascolto
Gestione Del tempo 87
5.1 Tecnologie assistive per alunni con diverse disabilità Generalmente i software utilizzati in ambiente scolastico si distinguono in software didattici, software speciali e software dedicati. I software didattici sono programmi prodotti per l’insegnamento e per l’apprendimento di soggetti senza particolari difficoltà; in casi particolari, possono essere utilizzati anche con studenti interessati da disabilità. I software speciali sono pensati per soggetti con disabilità e per alunni con bisogni educativi speciali. I software dedicati, infine, sono creati in modo mirato per consentire il recupero di alcune disabilità (per esempio migliorare la coordinazione occhio-mano di un soggetto che ha difficoltà in questo campo, oppure offrire all’utente un training per superare le difficoltà connesse a forme di afasia acquisita che gli impediscono di mettere in relazione significante e significato).
5.2 Le tecnologie per i bisogni educativi degli alunni con disabilità motoria La disabilità motoria comprende una molteplicità di deficit, come l’incapacità di eseguire determinati movimenti, tremori, difficoltà di coordinazione oculo-manuale, minore precisione e velocità del movimento e della forza muscolare; gli alunni che presentano difficoltà motorie, quindi, richiedono accorgimenti personalizzati. 88
La personalizzazione deve essere preceduta da un’attenta osservazione dell’alunno con bisogni educativi speciali. Le tecnologie assistive possono fornire un ottimo supporto ai bambini che presentano difficoltà di questo tipo. Ad esempio: per gli alunni disprassici scrivere al computer risulterà senz’altro più veloce e agevole rispetto alla scrittura manuale; grazie agli strumenti forniti dalle tecnologie assistive, inoltre, è possibile regolare la sensibilità sia della tastiera sia del mouse per ridurre al minimo gli errori involontari. Un aspetto fondamentale è la cura della postazione di lavoro in cui il bambino con disabilità andrà a lavorare. È importante evitare di “isolare” l’alunno dal resto della classe, la quale dovrà essere adeguatamente informata in merito agli ausili utilizzati dal compagno e alla loro funzionalità. I principali ausili che possono supportare gli alunni con deficit motorio nell’utilizzo del computer sono le tastiere, i sistemi di puntamento, il riconoscimento vocale, la scansione e la predisposizione di parola.
5.2.1 Tastiere Si possono trovare in commercio delle tastiere che rispondono alle diverse necessità individuali.
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GRADO DEL TI POLOGI ADI CARATTERI S TI C DANNO AUS I LI O HE MOTORI O Da nnol i e v e : S c ud ip e rt a s t i e r a Pr e c a uz i onii n pl a s t i c aoi n me t a l l o ne c e s s i t àd ie v i t a r el a pr e s s i one pos t es ul l at a s t i e r a c ont e mpor a ne ad i t r a d i z i ona l e pi ùt a s t i ,l ap r e s s i one i nd e s i d e r a t ad ig e s t i r e l ac ombi na z i oned e i t a s t i Da nnome di oo S of t wa r edi Funz i onidic ont r ol l o me di ol i e v eg r a v e : a da t t a me nt ode l l e f or ni t eda" Ac c e s s o f unz i onid e l l at a s t i e r af a c i l i t a t o" :c ont r ol l o t a s t i e r ea l t e r na t i v e d e it e mp id ir i s p os t a er i pe t i z i one , g e s t i oned e l l a c ombi na z i onede i t a s t ipe rc a r a t t e r ie f unz i onis p e c i a l i , e mul a z i onede l mous ea t t r a v e r s oi l t a s t i e r i nonume r i c o Ta s t i e r ei ng r a nd i t e Unnume r or i dot t o d it a s t id id i me ns i oni ma g g i or id e ls ol i t o f a c i l i t al as e l e z i one de lt a s t o Ta s t i e r er i d ot t e Cont a s t ip i ùp i c c ol i ep i ùr a v v i c i na t i , 69
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e fc a c es op r a t t ut t o qua ndol ' ut e nt enon puòe fe t t ua r e mov i me nt ia mp ie d ès og g e t t o a l l ' a fa t i c a me nt o. Ta s t i e r ec onf og l i Cos t i t ui t edauna i nt e r c a mbi a b i l i s upe r fc i es e ns i bi l ea l t a t t o,s onos uddi v i s e i na r e e p r og r a mma b i l i,i f og l ii nt e r c a mb i a b i l i pos s onoe s s e r e c os t r ui t ie xnov o Emul a t or id it a s t i e r a Lat a s t i e r av i e ne r i pr odot t as ul l o s c he r moepuòe s s e r e c ont r ol l a t ada s l mous eoa t t r a v e r s o unat e c ni c ad i s c a ns i one Coma ndov oc a l e Lav oc ede l l ' ut e nt e v i e ner i c onos c i ut ae t r a s f or ma t ai n c oma nd ip e ri l c omput e r .
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5.2.3 Sistemi di puntamento Gli alunni con deficit motorio (ma anche quelli con disabilità visiva) trovano spesso laborioso e complicato l’uso del mouse. Per sopperire a tale difficoltà è possibile sostituire il mouse con i tasti-freccia della tastiera. Si riporta la tabella riepilogativa dei principali sistemi di puntamento. TI PODI AUS I LI O Mous ec ont r a c kb a l l
CARATTERI S TI CHE
I lmov i me nt odiunas f e r a p os t aa ldis opr ade lmous e p r od uc emov i me nt ide lc ur s or e s ul l os c he r mo;s onopr e s e nt i t a s t ipr og r a mma bi l ipe r f a c i l i t a r el ef unz i onidil e z i one edit r a s c i na me nt o Touc hp a d S it r a t t adiunas upe r fc i epi a t t a c her i s p ondea lt a t t o,us a t a s op r a t t ut t one iPcpor t a t i l i ,ma a nc hene it r a di z i ona l i c omp ut e rdat a v ol o. J oy s t i c k I lmov i me nt odiunal e v ane l l e d i v e r s ed i r e z i onir e nde p os s i b i l ei lc ont r ol l ode l c ur s or es ul l os c he r mo, l ' i mp ug na t ur ade l l al e v apuò v a r i a r eas e c ondade ibi s og ni f unz i ona l ide l l ' ut e nt e Al t r is t r ume nt id ip unt a me nt o Pe r me t t onoa l l os t ude nt edi muov e r ei lc ur s or es ul l o s c he r mos e nz al ' us ode l l ema ni , 92 i nc l ud onoul t r a s uoni ,r a g g i i nf r a r os s i ,mov i me nt ode l l a
p os s i b i l ei lc ont r ol l ode l c ur s or es ul l os c he r mo, l ' i mp ug na t ur ade l l al e v apuò v a r i a r eas e c ondade ibi s og ni f unz i ona l ide l l ' ut e nt e Al t r is t r ume nt id ip unt a me nt o Pe r me t t onoa l l os t ude nt edi muov e r ei lc ur s or es ul l o s c he r mos e nz al ' us ode l l ema ni , i nc l ud onoul t r a s uoni ,r a g g i i nf r a r os s i ,mov i me nt ode l l a t e s t a ,d e g l ioc c hi ,onde c e r e b r a l i . Touc hs c r e e n S it r a t t ad iunas upe r fc i e s e ns i b i l et r a s pa r e nt epos t a s ul l os c he r mo c hee fe t t ual e f unz i onide lmous e ,a da t t aa p e r s o n e c o n d i f c o l t à 93 c og ni t i v e ,oa nc heape r s one c ond i fc ol t àdi c oor d i na me nt ooc ul oma nua l e .
5.2.4 Riconoscimento vocale Il riconoscimento vocale è il processo mediante il quale il computer, attraverso uno specifico software, riconosce e memorizza la voce umana. Si tratta di un software particolarmente utile in quanto, attraverso l’utilizzo della sola voce, consente di sostituire tutte le funzioni del mouse garantendo la possibilità di un ampio utilizzo del computer (compresa la navigazione in Internet).
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5.2.5 La scansione La scansione consiste nell’individuare e selezionare, all’interno di un insieme, un elemento. Si procede attraverso la scelta in sottoinsiemi sempre più piccoli rispetto a quello iniziale, fino a giungere all’elemento voluto. L’alunno deve avere la capacità di comprendere il funzionamento di questo processo. La scelta degli elementi avviene attraverso dei sensori che, a seconda della capacità del bambino, possono caratterizzarsi per dimensione e grado di sensibilità, e che possono essere attivati da mani, piedi, testa, voce e/o movimenti muscolari. La scansione è soprattutto utile quando la motricità del bambino è seriamente compromessa; ovviamente bisogna considerare i movimenti che l’alunno con disabilità motoria è in grado di controllare, al fine di decidere il tipo di scansione. Si dispone, infatti, di una varietà di sensori che possono essere attivati ad esempio con il battito di una palpebra, con l’aspirazione o con il soffio.
5.2.6 La predisposizione di parola Si tratta di programmi che rendono più rapido il processo di scrittura suggerendo, dopo aver scritto alcune lettere, un elenco di parole che iniziano allo stesso modo. In questo modo il bambino viene aiutato a ridurre i tempi di produzione della scrittura e a minimizzare il dispendio di energie.
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5.3 Tecnologie didattiche per studenti con problemi cognitivi La presenza di un deficit visivo, dalla cecità alle limitazioni nella percezione dei colori, della dimensione degli oggetti, della luminosità o del contrasto, può inibire il processo evolutivo di un individuo. Innanzitutto vi sono degli accorgimenti da seguire per non mettere in difficoltà gli studenti con disabilità visive: • le combinazioni blu/giallo e rosso/verde non possono essere usate per veicolare le informazioni, poiché i bicromatici non riescono a distinguerle; • è preferibile non usare un numero eccessivo di sfumature cromatiche, in quanto provocano un affaticamento dell’apparato visivo; • i monitor, preferibilmente di 17” o 19”, devono essere piatti e a cristalli liquidi; • il desktop deve essere ordinato ed essenziale; • le icone e i caratteri devono essere molto grandi. Sono diversi gli ausili che possono aiutare gli alunni con deficit visivi.
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5.3.1 Lo screen reader ( il “lettore dello schermo”) Ha il compito di comunicare alla persona non vedente cosa compare sullo schermo del PC: si tratta di un software che illustra il contenuto dello schermo e che si avvale della sintesi vocale (ossia di un programma che converte automaticamente il testo in voce, leggendone il contenuto).
5.3.2 Il display Braille (denominato anche “riga Braille” o “barra Braille”) Trasforma in Braille i dati ricevuti dallo screen reader, e dunque consente all’alunno di leggere riga per riga il contenuto presente sullo schermo del PC. Esistono degli apparecchi Braille portatili, di dimensioni ridotte e leggere, che consentono di espletare le principali funzioni offerte dal PC (scrivere, rileggere, salvare, spedire mail, ecc.) senza alcuna periferica aggiuntiva.Vengono chiamati anche “notex Braille”, “Braille tascabili”, “pocket Braille” o “agende Braille”. Dispongono di una tastiera Braille e si usano come una dattilobraille meccanica. Per la lettura si dispone di un display Braille e in certi modelli anche di una sintesi vocale.
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5.3.3 Lo scanner con programma OCR (Optical Character Recognition, ossia Riconoscimento Ottico dei Caratteri) Consente di acquisire l’immagine di pagine di testi stampati trasformandoli in documenti digitali multimodali. La stampante Braille consente di stampare su carta un documento in Braille, a rilievo. Esistono stampanti Braille a interpunto che permettono di stampare il testo sia sul fronte che sul retro del foglio. La possibilità di stampare testi in Braille permette all’insegnante di personalizzare il percorso didattico dell’allievo non vedente.
5.3.4 I book reader Sono degli strumenti che consentono la lettura autonoma di testi stampati. Contengono un sistema per la cattura e il riconoscimento dei testi e un sistema per la sintesi vocale.
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5.4 Le tecnologie per i bisogni educativi degli studenti con disabilità uditiva La Lingua dei Segni e le nuove tecnologie sono due strumenti importantissimi per abbattere le barriere comunicative. Grazie al computer gli alunni non udenti possono capire, farsi capire e comporre testi scritti. I ragazzi con disabilità uditive sono tutti diversi fra loro, ed è quindi necessario che l’insegnante progetti attività e pratiche didattiche appropriate alle esigenze e ai bisogni dell’allievo audioleso; l’intervento deve essere personalizzato e ritagliato sulla figura dello studente. Il panorama italiano in fatto di software dedicati all’educazione dei bambini con disabilità uditive non è dei più ricchi, si possono però utilizzare altri software adattabili agli specifici bisogni di questi studenti. Possiamo indicare quattro tipologie di sistemi: • • • •
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sistemi di tipo «drill and practice»; sistemi di tipo multimediale; sistemi basati su macromondi; sistemi di tipo general-purpose.
5.4.1 Sistemi di tipo “drill and practice” I sistemi drill and practice propongono una serie di esercizi la cui soluzione richiede l’impiego di una specifica tecnica. Alla risposta dell’utente il sistema fornisce un feedback, che in caso di risposta errata può prevedere un rinforzo, una spiegazione oppure semplicemente la presentazione della risposta corretta. Questi sistemi possono essere chiusi o aperti: sono chiusi quando gli esercizi sono definiti direttamente dal programma; sono aperti quando l’insegnante può incorporare dentro il programma una batteria di esercizi calibrati sulle necessità dello studente. Frequentemente gli esercizi previsti da questi sistemi sono inseriti nell’ambito di contesti ludici, soprattutto a livelli scolari bassi. Il gioco serve a favorire la motivazione.
5.4.2 Sistemi di tipo multimediale I software di questo tipo permettono allo studente sordo di entrare in contatto con i contenuti usufruendo di differenti modalità di presentazione: lingua scritta, filmati in lingua dei segni, disegni e animazioni. Grazie a questa varietà lo studente può scegliere la modalità di presentazione del contenuto e navigare liberamente in esso sfruttando le caratteristiche ipertestuali che caratterizzano questi insiemi.
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5.4.3 Sistemi basati su macromondi I sistemi basati su macromondi sono sistemi aperti, diretti alla soluzione di problemi e particolarmente adatti per lo sviluppo di abilitĂ in ambito scientifico. Questo sistema permette agli studenti, grazie ad un approccio percettivo-motorio, di esplorare e manipolare direttamente delle rappresentazioni concrete (evitando la difficoltĂ di gestire conoscenze scientifiche totalmente astratte e formali).
5.4.4 Sistemi di tipo general-purpose Questi sistemi non sono stati ideati per finalità didattiche, ma possono essere utilizzati per costruire ambienti di apprendimento appropriati per sviluppare le conoscenze in specifici e diversi settori disciplinari. Un esempio possono essere le Chat, che sono sistemi di comunicazione sincrona in rete e che permettono di dare vita a un dialogo basato sull’uso della lingua scritta.
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5.5 ESPERIENZE DIDATTICHE SUI BES Un ragazzo non udente deve quotidianamente scontrarsi con due grossi scogli: da un lato la difficoltà di comunicare con l’ambiente, dall’altro gli impedimenti nei processi di apprendimento scolastico. Le risorse di cui può usufruire per comunicare con l’ambiente sono la Lingua Italiana dei Segni (LIS) e la Lingua Italiana Verbale (LIV). Da queste due lingue sono nati dei canali comunicativi ibridi: l’Italiano Segnato (IS) e l’Italiano Segnato Esatto (ISE). Per quanto riguarda l’apprendimento scolastico esistono alcuni modelli di intervento didattico-riabilitativo: il metodo oralista, il metodo bimodale e l’approccio bilinguista. Il metodo oralista si basa sulla convinzione che l’educazione del bambino sordo debba comunque passare attraverso la lingua orale, cioè attraverso l’uso della labiolettura, della dattilologia e attraverso il potenziamento del residuo uditivo. Il metodo bimodale prevede l’utilizzo sia della modalità acustico-vocale sia di quella visivo-gestuale. L’approccio bilinguista, infine, ritiene che il bambino sordo impari la lingua dei segni in modo completamente naturale e rapido. Ogni modalità deve necessariamente essere adattata agli specifici bisogni del bambino; se ciò non avviene e si agisce secondo uno standard comune, tutto il lavoro sarà vano.
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5.6 Tecnologie assistive per la comunicazione Gli studenti che non sono in grado di comunicare adeguatamente attraverso il linguaggio orale (si pensi ad esempio ai bambini con disabilità fisica, ritardi dello sviluppo, autismo, aprassia, difficoltà oro-motorie o altri disturbi del linguaggio) possono imparare ad esprimersi con modalità aumentative. Una di queste modalità aumentative è la Comunicazione Alternativa Aumentativa (CAA), la quale ha l’obiettivo di promuovere l’integrazione facilitando la comunicazione e migliorando le abilità sociali; è dunque un ottimo strumento compensativo per gli alunni che presentano incapacità linguistico-espressive. Possiamo includere all’interno della CAA tutti i dispositivi, tutte le parole, le immagini, il linguaggio dei segni, le fotografie, i simboli o i gesti che compensano le difficoltà di comunicazione espressiva e ricettiva: per questo parliamo di tecnologia assistiva. I disegni, le fotografie, i simboli, le parole, le lettere e gli oggetti inclusi nella CAA possono essere utilizzati da soli o assieme a tavole di comunicazione, dispositivi con emissione vocale o tastiere. I dispostivi con emissione vocale presentano un grande vantaggio: possono accrescere le competenze espressive, linguistiche e ricettive dei bambini con difficoltà espressive e potenziare le loro competenze cognitive. In tutti i gradi scolastici, e in particolar modo in quelli più bassi, è bene introdurre l’ausilio comunicativo come un’attività di classe, in modo che tutti i bambini possano provarlo e imparare ad usarlo per comunicare col compagno. Molti sistemi di CAA basano la comunicazione su immagini o su una serie di simboli ai quali è associato un determinato messaggio (comunicazione iconica). La comunicazione con un sistema 102
iconico avviene indicando o selezionando le immagini, che possono essere trasparenti (cioè facilmente comprensibili), traslucide (il cui significato può essere dedotto dal contesto) e opache (incomprensibili se non accompagnate da una spiegazione). I sistemi grafici possono essere utilizzati sia con strumenti semplici, non tecnologici (come le tabelle cartacee, i quaderni di consultazione, ecc.), sia attraverso ausili tecnologicamente avanzati (come il computer o i comunicatori con uscita vocale). Vediamo di seguito alcuni sistemi di comunicazione iconica. Codi c edi Ca r a t t e r i s t i c he c omuni c a z i one s t os i s t e maèd e s t i na t o ac ol or oc hepos s ono PCS ( Pi c t u r e Que c omuni c a r es ol oi nmod oe l e me nt a r e :i lv oc a bol a r i o Co mmu n i c a t i o n Sy mb o l s ) èl i mi t a t oel as t r ut t ur amor f os i nt a t t i c as e mpl i c e . I lCORE v i e neut i l i z z a t o pr e v a l e nt e me nt ec on i b a mb i nip i c c ol i ,q ua nd o è ne c e s s a r i o di s por r e di poc he e c hi a r ei mma g i nipe rg l iog g e t t ie l e CORE-Pi c t u r e Vo c a b u l a r y s i t ua z i onip i ùc omunid e l l av i t aquot i di a na ;aque s t e i mma g i ni v e ng ono a s s oc i a t ef ot og r a fe e da l t r a s i mb ol og i ag r a fc a .Id i s e g nis onos e mpl i c ier e a l i s t i c i . S i mb ol ib i a nc his us f ond one r o.S onos t a t ii de a t ipe r PI C g l ii p ov e d e nt i . Al c unis i mbol is onoc os t i t ui t idal i ne et r a t t e g g i a t ee d al i ne ei nt e r ep e rme g l i or a ppr e s e nt a r eir a ppor t i t opol og i c i( a de s .i ls i mbol oc hes i g ni fc a“ de nt r o”è r a p p r e s e nt a t od aunq ua d r a t ot r a t t e g g i a t oc ont e ne nt e Si mb o l iPI CSYMS unas f e r ane r a ) .Lal i ne at r a t t e g g i a t aèut i l i z z a t aa nc he ( Pi c t u r eSy mb o l s ) p e rr a p p r e s e nt a r eunat ot a l i t àdic uis iv uol ei ndi c a r e s ol ounapa r t e :l at ot a l i t àèt r a t t e g g i a t a ,l apa r t ec hes i v uol ei nd i c a r eèi nv e c edi s e g na t ac onl al i ne ai nt e r a . I lp r og r a mmad ic omuni c a z i onepi ù popol a r ep e r s t ud e nt ic on d i fc ol t àdia ppr e nd i me nt oi n Gr a n Ma k a t o n Br e t a g na ,b a s a t os ui c onef a c i l me nt ei de nt i fc a bi l i . Que s t os i s t e maè r i v ol t o ape r s one c he pos s ono c omuni c a r ea dunl i v e l l opi ùc ompl e s s o.Èc os t i t ui t o Bl i s s y mb o l i c s d aun e s t e s oi ns i e medis i mbol ic hepe r me t t edi c os t r ui r ef r a s ie xnov o. Us a t op r e v a l e nt e me nt ene g l iUS A,èunv oc a bol a r i o 103 g e ne r a t i v o pi ut t os t oc ompl e s s o; è pe r ò mol t o Mi n k s p e a k e fc a c ep e rl ep e r s one c he s ono i ng r a do di a p p r e nd e r l o.
Ma k a t o n
Bl i s s y mb o l i c s
Mi n k s p e a k
p e rr a p p r e s e nt a r eunat ot a l i t àdic uis iv uol ei ndi c a r e s ol ounapa r t e :l at ot a l i t àèt r a t t e g g i a t a ,l apa r t ec hes i v uol ei nd i c a r eèi nv e c ed i s e g na t ac onl al i ne ai nt e r a . I lp r og r a mmad ic omuni c a z i onepi ù popol a r ep e r s t ud e nt ic on d i fc ol t àdia ppr e nd i me nt oi n Gr a n Br e t a g na ,b a s a t os ui c onef a c i l me nt ei de nt i fc a bi l i . Que s t os i s t e maè r i v ol t o ape r s one c he pos s ono c omuni c a r ea dunl i v e l l opi ùc ompl e s s o.Èc os t i t ui t o d aun e s t e s oi ns i e med is i mbol ic hepe r me t t edi c os t r ui r ef r a s ie xnov o. Us a t op r e v a l e nt e me nt ene g l iUS A,èunv oc a bol a r i o g e ne r a t i v o pi ut t os t oc ompl e s s o; è pe r ò mol t o e fc a c ep e rl ep e r s one c he s ono i ng r a do di a p p r e nd e r l o.
5.7 Le tecnologie didattiche per i bisogni educativi degli studenti con problemi cognitivi
5.7. Le tecnologie didattiche per i bisogni educativi degli studenti con problemi cognitivi 41
Le tecnologie assistive sono fondamentali per il raggiungimento di una maggiore autonomia e per l’integrazione scolastica degli alunni con ritardo mentale. Il computer, infatti, è il mezzo che può favorire l’inclusione e rendere l’ambiente realmente inclusivo. Considerato dai bambini come uno strumento per adulti, il pc accresce la loro autostima e la loro motivazione. Quando si interagisce con bambini con ritardo mentale è di fondamentale importanza scegliere il programma informatico più idoneo alle esigenze degli alunni. È bene prestare attenzione al tipo di feedback/rinforzo fornito ed evitare i messaggi ripetitivi, perché questi ultimi da un lato annoiano il bambino (e ciò favorisce la perdita di concentrazione), dall’altro vengono memorizzati e ripetuti a sproposito dallo studente, in maniera stereotipata e privati del loro significato. È inoltre importante poter personalizzare il software: il docente deve avere la possibilità di regolare la difficoltà delle consegne e la velocità degli esercizi; deve poter scegliere i feedback più opportuni in base alle caratteristiche attentive del bambino; deve poter modificare e costruire nuovi esercizi. 104
5.7.1 Tastiere speciali Quando l’uso della tastiera standard crea problemi a causa della sua complessità (i tasti sono troppo piccoli e troppo simili tra loro), allora è opportuno dotarsi di una tastiera speciale o facilitata. All’origine questo prodotto è nato per aiutare le persone con disabilità motorie, ma oggi il suo uso si sta estendendo anche ai disabili cognitivi e, disabilità a parte, ai bambini in età prescolare. La semplificazione avviene di solito: • riducendo il numero dei tasti (vengono mantenuti solo quelli essenziali); • colorando i tasti in modo diverso (è così più semplice distinguere le vocali, le consonanti, le vocali accentate e la punteggiatura); • modificando l’ordine di posizione dei tasti rispetto alle tastiere standard QWERTY (ad esempio ponendo le lettere in ordine alfabetico); • ingrandendo i singoli tasti. La seguente tabella mostra i possibili sistemi di input per studenti con danno cognitivo.
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S i s t e ma Pos s i bi l i di s ol uz i oni i nput Ta s t i e r e a l t e r na t i v e
Ta s t i e r ea me mbr a na
Ta s t i e Ta s t i e r e r a f a c i l i t a t e
Tr a c kba l l
Touc hs c r e e n
Obi e t t i v i
Va nt a g g i
Pe r me t t e r ea l l os t ude nt e c i l idac ompr e nde r eeda dis v ol g e r ea lc omput e r Fa qua l s i a s ia t t i v i t à ,s i adius a r e gr a z i ea l numer o i dot t odit a s t i . gioco sia dir a ppr e ndi me nt o. Pe r me t t e r e l ’ e l a bor a z i onedie s e r c i z i At t i v i t àc ompl e s s e pos s ono per s onal i zzat i che e s s e r es uddi v i s ei na t t i v i t à r i s ponda noa l l ene c e s s i t à pi ùbr e v iepi ùs e mpl i c i . de l l os t ude nt es uf og l i i nt e r c a mbi a bi l i . Facilitare il r i c onos c i me nt o de l l e It a s t ipos s onoe s s e r et r ov a t i l e t t e r eel ’ us o de l l a eme mor i z z a t if a c i l me nt e . t a s t i e r a . Non r i c hi e der a fna t e z z ae Fa c i l i t a r ei lc ont r ol l o pr e c i s i one di movi me nt o, de lc ur s or ede lmous e . f a c i l i t a ndoc os ìi lc ompi t odi t r a s c i na me nt ode l l ei c one . Ofr i r ea l l os t ude nt eun Basato sul gesto di ndi c a z i one ,èi ls i s t e madi c ont r ol l o di r e t t os ul l oi s c he r mo de lPC pe r punt a me nt o pi ùs e mpl i c e me z z odiunas upe r fc i e sotto il proflo l ’ i nt er a zi one con l a t r a s pa r e nt ees e ns i bi l e del ma c c hi na . pos t as udie s s o.
La Lavagna Interattiva Multimediale per la didattica (LIM) Le Lavagne Interattive Multimediali sono state introdotte nelle nostre aule scolastiche da qualche decennio. La LIM è una periferica collegata ad un PC e ad un videoproiettore, ha uno schermo bianco di dimensioni un po’ più grandi della tradizionale lavagna di ardesia e permette di interagire con i contenuti direttamente sullo schermo, attraverso delle penne attive o attraverso le dita, grazie ad una tecnologia touch-screen. 42
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5.7.2 La Lavagna Interattiva Multimediale per la didattica (LIM) Le Lavagne Interattive Multimediali sono state introdotte nelle nostre aule scolastiche da qualche decennio. La LIM è una periferica collegata ad un PC e ad un videoproiettore, ha uno schermo bianco di dimensioni un po’ più grandi della tradizionale lavagna di ardesia e permette di interagire con i contenuti direttamente sullo schermo, attraverso delle penne attive o attraverso le dita, grazie ad una tecnologia touch-screen. Esistono diversi tipi di LIM, che si differenziano a seconda della tecnologia utilizzata per rendere interattivo lo schermo (LIM elettromagnetica, analogico-resistiva e a triangolazione). Il software di gestione che garantisce e consente l’interattività dello schermo è fornito dal produttore. Ogni software è dotato di strumenti pensati per la didattica che possono essere modificati nei colori e nelle dimensioni (penna, pennarello, evidenziatore, gomma, goniometro, compasso, forme geometriche, ecc.). Le lavagne interattive possono essere fissate alle pareti o montate su carrelli mobili. La collocazione ideale è l’aula: l’uso della LIM in classe, infatti, favorisce il lavoro di gruppo e dunque l’apprendimento collaborativo. Le potenzialità didattiche della LIM sono grandi: è dimostrato che la presenza della Lavagna Interattiva in classe contribuisce ad aumentare la partecipazione e il coinvolgimento degli alunni e migliora le loro capacità di apprendimento. Inoltre, grazie alla capacità di archiviazione del software, ogni lezione può essere salvata e riutilizzata in momenti successivi, così come può essere stampata e condivisa. Infine, la LIM favorisce l’attivazione di processi metacognitivi. 107
La Lavagna Interattiva Multimediale è uno strumento inclusivo in quanto facilita sia i processi di comunicazione sia quelli di socializzazione (grazie alla proposta di attività comuni e condivise). La LIM consente di valorizzare i diversi stili di apprendimento e le diverse competenze degli alunni, anche di quelli con bisogni educativi speciali; è compito del docente adattare le potenzialità della LIM al raggiungimento degli obiettivi che si pone con la sua classe. L’insegnate può sperimentare, riflettere e - se necessario mettere in discussione stili di insegnamento consolidati. Alla lavagna interattiva possono essere associate delle tecnologie accessorie. Tra queste ricordiamo le tavolette interattive, che consentono agli alunni di interagire con la lavagna direttamente dal posto e all’insegnante di fare lezione muovendosi tra i banchi, e i risponditori interattivi, che consentono agli allievi di rispondere ai test di valutazione e agli insegnanti di avere un report immediato delle risposte.
5.8 Tecnologie assistive per i disturbi autistici Il computer può essere utilizzato come strumento efficace per i soggetti autistici, sia come stimolo all’apprendimento di autonomie di base sia come mezzo per l’incremento della comunicazione. Per ciascun bambino è necessario individuare lo strumento più appropriato in base alle sue caratteristiche e agli obiettivi che si intendono perseguire. Sono diversi i vantaggi che offre un computer: essendo una macchina, ad esempio, non si spazientisce, non si altera e di fronte agli errori reagisce senza alcun tono di ironia o di disapprovazione. Inoltre è probabile che il bambino autistico comprenda più facilmente la voce meccanica di una sintesi vocale 108
piuttosto che la voce di un insegnante, ricca di inflessioni e intonazioni. Un altro grande vantaggio del computer è quello di poter rappresentare contenuti astratti attraverso figure, schemi, vignette, suoni, ecc., andando così incontro alle necessità degli alunni autistici, i quali preferiscono un canale di apprendimento visuo-spaziale. Con l’utilizzo dell’informatica, ovviamente, non si vuole alimentare la connaturale rigidità dei soggetti autistici: il computer è facilitante perché reagisce sempre nella stessa maniera ad una data azione, ma l’insegnante può e deve intervenire gradualmente per modificare il tipo di feedback, favorendo così una maggiore flessibilità. È inoltre possibile potenziare l’apprendimento utilizzando software specifici per la didattica, utili anche a favorire l’attenzione.
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6. ESPERIENZE DIDATTICHE SUI BES
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In questo capitolo riportiamo la testimonianza di una docente che si è trovata ad affrontare un alunno problematico. Abbiamo assegnato all’alunno il nome fittizio di Emilio. Il dubbio o la fiducia che hai nel prossimo sono strettamente connessi con i dubbi e la fiducia che hai in te stesso Emilio era considerato un “problema” dalla maggior parte degli insegnanti, sia sotto il profilo scolastico sia sotto il profilo personale; fortunatamente non tutti i docenti si piegarono a questa visione, e alcuni decisero di cogliere la sfida. Emilio era stato riconosciuto studente con BES dovuti a svantaggi socio-culturali dall’Unità Operativa di Neuropsichiatria per l’Infanzia e l’Adolescenza di competenza territoriale. Alternava momenti di distacco e disinteresse per tutto ciò che avveniva attorno a lui a momenti di goliardia nei quali si rendeva elemento principale di disturbo. A volte presuntuoso, irritante e provocatorio sia nei confronti dell’insegnante che dei compagni, Emilio alternava momenti di assenteismo (arrivava ad addormentarsi con la testa appoggiata al banco) a momenti di ribellione ed insofferenza, causando vere e proprie divergenze tra i professori sulle misure da adottare. Nonostante il PDP e gli aiuti che riceveva, Emilio non era assolutamente in grado (o così voleva far credere) di compartecipare positivamente alla realtà scolastica in ogni suo aspetto, dalle lezioni in aula alle uscite sul territorio o recite, ecc. A volte litigava con i compagni e, non riuscendo a gestire il confronto né a contenere le proprie emozioni, spesso si alzava e usciva dall’aula. Aveva misurato il farsi accettare con il grado di ilarità/disturbo che riusciva a suscitare. Si era innescato un circolo vizioso per il quale lui disturbava, i compagni abboccavano, l’insegnante interveniva e si creava un parapiglia generale. Bisognava rompere il meccanismo. La situazione familiare non aiutava, non solo per le dinamiche 112
interne, ma anche per la poca collaborazione della mamma - che nascondeva a sé stessa gli atteggiamenti del figlio e non ne accettava le cause. I diversi approcci didattici si rivelarono tutti fallimentari: nel cooperative learning cambiava diversi gruppi di lavoro per poi isolarsi e rifiutare qualsiasi mediazione da parte dell’insegnante; con una didattica per concetti, dopo un iniziale barlume di attenzione, chiudeva la collaborazione con il solito «per me questo non è importante». Durante le lezioni frontali (lineari) disegnava, dormiva o, quando era al massimo della noia, interrompeva con battute o scherzi ai compagni. Si adottarono quindi non tanto misure dispensative, quanto piuttosto misure “contenitive”: si cercò di aiutarlo a contenere la sua emotività e a indirizzarla nella giusta direzione, a contenere le sue energie e a dirottarle dall’azione di disturbo all’azione responsabilizzata di promotore nelle esperienze formative didattiche (uscite o spettacoli), ad aiutarlo a contenere il proprio pensiero (ribelle) per esternarlo con razionalità nelle lezioni basate sulle discussioni. Con Emilio, a mio modesto avviso, ci si trovava di fronte ad un ragazzo che davvero si adagiava sui suoi problemi anziché cercare di superarli. Tanto più che non manifestava nemmeno atteggiamento di scarsa fiducia in sé stesso e nelle proprie possibilità: si limitava a non fare esternando disinteresse e chiudendo ogni tipo di comunicazione. Non si sforzava neppure di raggiungere il minimo atteso nonostante fosse aiutato dagli strumenti compensativi. La sfida era capire come indurlo allo studio, come accendere la (pre)disposizione ad esso. Il confronto e la collaborazione con la collega e coordinatrice di classe fu determinante, unitamente al testa-a-testa che avevo deciso di sostenere con Emilio (dal momento che il ragazzo aveva una sensibilità, un’intelligenza e delle capacità spiccate ed evidenti). Fu una sfida anche con il resto della classe per dimostrare che 113
gli strumenti compensativi (peraltro un surplus non previsto ma concesso), come la consultazione del libro durante la verifica, non avrebbero comunque influito sull’esito: Emilio, infatti, non lo consultava perché non sapeva né dove né come cercare. Volevo che lui avesse fiducia in me, e quindi gli diedi fiducia. Gli lanciai piccole sfide, lui le colse e le vinse: erano i suoi successi, i primi mattoncini per ritrovare la fiducia in sé stesso. Il colloquio con la madre fu un dialogo a senso unico: suo figlio era certificato. Ecco che purtroppo si percepiva il desiderio della famiglia di alleggerire l’esperienza scolastica, un desiderio che in realtà aveva rivelato un effetto boomerang molto negativo e sul quale madre e figlio si erano adagiati. Emilio si sentiva intoccabile e “graziato”, ma non si rendeva conto dell’effetto devastante che questo aveva sulla sua persona e sulle sue relazioni, sul suo essere, o su ciò che avrebbe potuto davvero essere, sia da un punto di vista cognitivo che sociale, emozionale ed affettivo. La possibilità di far breccia in questo muro me la diede Emilio stesso parlando della futura scuola. Subiva rassegnato la decisione dei genitori, i quali non si erano accorti della naturale propensione del figlio per le materie artistiche (confermata dai voti alti) e dunque lo avevano destinato a un istituto totalmente opposto ai desideri del ragazzo. Ecco la svolta, mi ero guadagnata la sua attenzione con la promessa che avrei parlato con i genitori. In realtà parlai con la collega coordinatrice di classe, che al colloquio finale affrontò il discorso della scelta scolastica futura con il padre. Il Bisogno (Educativo Speciale) di Emilio era trovare qualcuno che credesse in lui, o meglio, in ciò che di buono c’era in lui, che fosse la madre, il padre, l’insegnante, un compagno. Ogni atteggiamento costituiva provocazione o sfida. Ecco quindi che ci troviamo di fronte ad un caso in cui la disapprovazione dei comportamenti di un alunno comporta la sua non-accettazione. Se non si andava oltre a queste manifestazioni 114
e non si provava a cogliere la sfida che il ragazzo lanciava (che poi altro non era che una richiesta di aiuto) il circolo vizioso non si sarebbe mai interrotto e si sarebbe negata la possibilità di un dialogo educativo e di una comunicazione attiva. Grazie al lavoro di squadra con la collega, alla sua professionalità e sensibilità, al suo “crederci”, al suo cogliere la sfida di Emilio, siamo riuscite a fare vedere al ragazzo che lui era una persona diversa da quello che gli altri vedevano in lui, che aveva possibilità e capacità da sfruttare. Dimostrazione, questa, che il piano individualizzato non deve fermarsi ad un programma, ad un metodo didattico e ad un criterio di valutazione. L’individualizzazione è da considerarsi, in senso più ampio, comprensiva dell’essere della persona in tutte le sue manifestazioni, non solo relativamente alle sue capacità cognitive. Non c’è stato nulla di meglio delle sfide reciproche per far uscire ciò che di buono c’era in entrambe le parti: l’alunno che era lui, le educatrici che eravamo chiamate ad essere noi, in quel momento, per lui. Anche questo è dialogo.
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CONCLUSIONE Nella macrocategoria BES si concentrano molte problematiche di ogni ordine e grado. Per questo motivo, sulla base del modello di lettura della disabilità dato dalla Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) dell’OMS, si attua un approccio olistico e globale: è necessario cogliere tutte le difficoltà, anche quelle non riconosciute da un modello medico (come ad esempio le difficoltà socioeconomiche). Bisogna leggere in maniera più ampia i bisogni degli studenti e rispondervi con una logica di sostegno e di individualizzazione inclusiva. Un vero passo in avanti è quello di garantire a tutti gli alunni il massimo apprendimento e la partecipazione alle attività didattiche, al di là delle condizioni personali e sociali. Una scuola realmente inclusiva è quella che sa rispondere a tutte le difficoltà e che sa prevenirle, quella che non offre soltanto il mero apprendimento, ma che favorisce la partecipazione di ognuno. Nella percezione degli insegnanti si ha molto spesso l’impressione che i casi di Bisogni Educativi Speciali siano sempre più numerosi, che le difficoltà siano sempre più presenti nelle classi. Se da un lato è vero che sono aumentati i casi di disagio, è però altrettanto vero che questo incremento, almeno in parte, è dovuto al miglioramento delle capacità osservative e interpretative degli insegnanti. Oggi, inoltre, sono molto più numerose anche le possibilità di aiuto grazie alle tantissime e preziosissime figure professionali che si occupano di apprendimento (pensiamo ai logopedisti, ai neuropsichiatri e agli psicomotricisti). Per affrontare tutte queste criticità sono opportuni interventi e 117
decisioni strategiche ed operative che ogni scuola deve prendere e concordare con la famiglia e la comunità locale. Occorre quindi accorgersi in tempo delle difficoltà che presenta un bambino, anche di quelle meno evidenti; occuparsi di tutti gli alunni con difficoltà; rispondere in modo inclusivo, efficace ed efficiente alle difficoltà attivando tutte le risorse dell’intera comunità scolastica e non. Ci auguriamo che questo lavoro possa essere utile a chi si approccerà a realtà di questo tipo, anche se, come abbiamo più volte scritto, ogni caso è diverso dall’altro. Occorrerà non solo una guida come può essere questo scritto, ma la dedizione e soprattutto l’ausilio che l’insegnante ormai deve essere in grado di offrire ai numerosi alunni che hanno dei Bisogni Educativi Speciali.
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