INDICE Introduzione ......................................................................... Michela Cappa, Laura Busso, Giuseppe Lo Russo p. 3 I. I dati statistici ................................................................... p. 4 1.1 I DSA e le classificazioni diagnostiche .................................. p. 5 1.2 La normativa di riferimento sui DSA ................................... p. 6 1.3 Diagnosi funzionale, individuazione precoce, strumenti di osservazione, valutazione e presa in carico .................................. p. 8 La dislessia ...................................................................... ilII.codice dei disturbi specifici dell’apprendimento p. 11 2.1. Che cos’è la dislessia ............................................................ p. 11 2.2. Cosa può fare la scuola ........................................................ Pp ee nn ss aa p. 11 2.3. Il ruolo dei genitori ............................................................. cc rr ee aa p. 12 ii mm ppaa rr aa
III. La disgrafia e la disortografia .................................... p. 14 3.1. Disgrafia e disortografia ii dd ee aa ii mm pp ee gg nn oo ....................................................... p. 14 nn ss aa scrittura ................... 3.2. Criteri per la diagnosi di disturboppeedella p. 14 1
3.3. Richiesta di consulenza ....................................................... p. 15 3.4. Componenti coinvolte nella classificazione degli errori ortografici .................................................................................. p. 16 3.5. Il ruolo della scuola ............................................................. p. 16 3.6. Esercitare gli alunni a ritrovare i propri errori ...................... p. 18 3.7. La scrittura in corsivo .......................................................... p. 18 3.8. Alcuni esercizi utili .............................................................. p. 18 IV. La discalculia .................................................................. p. 20 4.1. I criteri per la diagnosi di discalculia e la richiesta di consulenza ................................................................................. p. 20 4.2. Esempi ed esercizi ............................................................... p. 21 V. Gli strumenti compensativi e dispensativi ............... p. 23 5.1. Gli strumenti compensativi e le misure dispensative ............. p. 23 5.2. Le tecnologie compensative ................................................. p. 24
2
VI. Schemi e mappe ............................................................ p. 26 6.1. Gli schemi ........................................................................... p. 26 6.2. Le mappe ............................................................................ p. 26 6.3. Perché le mappe sono utili agli alunni con DSA? ................. p. 28
il codice dei disturbi specifici dell’apprendimento VII. Didattica compensativa .............................................. p. 30
Saggio
VIII. Il PDP ........................................................................... p. 32 8.1. Cos’è il PDP ....................................................................... p. 32 8.2. I compiti del docente .......................................................... p. 33 IX. I fattori emotivo-relazionali implicati nell’apprendimento. L’importanza della relazione insegnante-alunno ............................................................... p. 34 X. Esperienze personali riportate dai docenti .............. p. 36 10.1. Emilio ............................................................................... p. 36 10.2. L’esperienza di suor Raffaella .............................................
Michela Cappa, Laura Busso, Giuseppe Lo Russo
3
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Testi: Michela Cappa, Laura Busso, Giuseppe Lo Russo Illustrazione copertina: Malvina Quartana Progetto grafico e impaginazione: Malvina Quartana www.doocenti.it Š 2017 Maggioli Editore S.p.A Via del Carpino, 8, 47822 Sant’Arcangelo di Romagna RN, Italia Prima edizione: Novembre 2017 5
Indice prefazione introduzione 1. introduzione ai dsa 1.1 I DATI STATISTICI 1.2 I DSA E LE CLASSIFICAZIONI DIAGNOSTICHE 1.3 LA NORMATIVA DI RIFERIMENTO SUI DSA 1.4 DIAGNOSI FUNZIONALE, INDIVIDUAZIONE PRECOCE, STRUMENTI DI OSSERVAZIONE, VALUTAZIONE E PRESA IN CARICO APPROFONDIMENTO: SCUOLA DELL’INFANZIA 1.4.1 LA VALUTAZIONE 1.4.2 CHI FA LA DIAGNOSI? 2. la dislessia p33 2.1 CHE COS’È LA DISLESSIA 2.2 COSA PUÒ FARE LA SCUOLA 2.3 IL RUOLO DEI GENITORI 3 la disgrafia e la disortografia 3.1 disgrafia e disortografia 3.2 Criteri per la diagnosi di disturbo della scrittura Disortografia 3.3 richiesta di consulenza 3.4 Componenti coinvolte nella classificazione degli errori ortografici 3.5 il ruolo della scuola 3.6 esercitare gli alunni a ritrovare i propri errori 6
3.7 LA SCRITTURA IN CORSIVO 3.8 ALCUNI ESERCIZI UTILI
4 la discalculia 4.1 I CRITERI PER LA DIAGNOSI DI DISCALCULIA E LA RICHIESTA DI CONSULENZA 4.2 ESEMPI ED ESERCIZI 5 gli strumenti compensativi e dispensativi 5.1 gli strumenti compensativi e le misure dispensative APPROFONDIMENTO: LE TECNOLOGIE COMPENSATIVE COMPENSARE LE DIFFICOLTÀ DI LETTURA COMPENSARE LE DIFFICOLTÀ DI SCRITTURA 6 schemi e mappe 6.1 gli schemi 6.2 le mappe mentali 6.3 le mappe a nodi 6.4 le mappe concettuali APPROFONDIMENTO: PERCHÉ LE MAPPE SONO UTILI AGLI ALUNNI CON DSA? 7 didattica compensativa 8 il pdp 8.1 cos’è il pdp p90 8.2 i compiti del docente 7
9 I FATTORI EMOTIVO-RELAZIONALI IMPLICATI NELL’APPRENDIMENTO. L’IMPORTANZA DELLA RELAZIONE INSEGNANTE-ALUNNO
95
10 esperienze personali riportate dai dicenti 10.1 emilio 10.2 l’esperienza di suor raffaella 10.3 quando lavorare assieme è un successo 10.4 …e in questo caso?
101 102 108 113 118
conclusioni
121
8
9
10
Prefazione Consapevoli del fatto che quasi certamente, durante il percorso, ogni docente si imbatterà in alunni con DSA, noi di Doocenti.it abbiamo deciso di creare questa guida con l’obiettivo di fornire uno strumento di facile consultazione a tutti coloro che svolgono o si accingono a svolgere questa professione. Sono infatti sempre più numerosi gli studenti ai quali vengono diagnosticati i disturbi specifici dell’apprendimento, e ogni insegnante deve sapere di cosa si tratta, cosa fare e come lavorare con gli alunni certificati. Il testo si apre con una panoramica sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento, i quali vengono poi analizzati singolarmente: la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia. Ogni alunno con DSA ha diritto ad alcune misure dispensative e all’utilizzo degli strumenti compensativi, e a tal proposito viene approfondito il tema delle mappe concettuali. La guida dedica ampio spazio ai temi dell’inclusione, dell’emotività e delle relazioni dello studente con diagnosi di disturbi specifici dell’apprendimento. Il testo fornisce anche qualche esempio di possibili esercizi da svolgere con gli alunni; tali esempi possono fungere da spunto per elaborare azioni didattiche mirate ed efficaci. Questo libro, dunque, vuole essere una rampa di lancio utile a perfezionare ulteriormente l’operato di tutti quegli insegnanti (di ruolo o aspiranti) che desiderano migliorare costantemente ciò che fanno per i loro studenti. È una guida da tenere sempre a portata di mano, semplice, di facile lettura e consultazione, utile al momento del bisogno. Il team di Doocenti.it 11
p. 39 10.3. Quando lavorare assieme è un successo .............................. p. 41 10.4. ‌ E in questo caso? .......................................................... p. 43 Conclusioni ........................................................................... p. 45
12
Introduzione Nell’arco degli anni scolastici a molti bambini e ragazzi capita di incontrare alcune difficoltà che inibiscono e rendono difficoltoso il loro apprendimento. Queste difficoltà, che coinvolgono le capacità di lettura, scrittura e/o calcolo, sono generalmente connesse alla compromissione di specifiche aree cerebrali (e la gravità del disturbo è proporzionale al livello di compromissione). Da questi problemi nascono anche dei disagi psicologici, come ad esempio la scarsa autostima e la sensazione di disagio nei confronti dei compagni; si aggiunga poi il disagio provato per la sensazione di non essere capiti: spesso, infatti, i comportamenti di coloro che soffrono di disturbi dell’apprendimento vengono banalizzati e confusi con spossatezza, pigrizia o svogliatezza, con tutto ciò che ne consegue. È necessario saper distinguere le difficoltà di apprendimento, ossia delle generiche difficoltà dello studente in ambito scolastico, dai disturbi specifici dell’apprendimento, cioè dei deficit che vengono diagnosticati e monitorati attraverso un procedimento clinicodiagnostico. I disturbi specifici dell’apprendimento, oltre ad essere diagnosticati clinicamente, sono riconosciuti dalla Legge 170/2010; essi sono la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia, e interessano gli alunni che, pur non avendo alcun deficit cognitivo o intellettivo, hanno difficoltà a seguire le attività scolastiche, soprattutto per quel che concerne la lettura, la scrittura e il calcolo. Nelle pagine che seguono affronteremo proprio queste delicate tematiche, con l’obiettivo di offrire una valida e sintetica guida utile a tutti coloro che si avvicinano all’argomento. 13
che cosa sono i d.s.a. Apprendimento
Disturbi
Il disturbo non è Una malattia, ma È un'alterazione di Una particolare Funzione
Specifici
Coinvolge abilità Di apprendimento Scolastico, quali La lettura, la scrittura Ed il calcolo
È specifico perché Riguarda specifiche Abilità e non L'intelligenza Di una persona
si chiamano dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia
14
1. Introduzione ai DSA
15
ds
Compren
Si hanno dif
16
Leggere veloce
Fare il calcolo mentale
Leggere correttamente
Imparare le tabelline
Comprendere il testo
Vedere le sequenze
Elaborare il testo
Mettere in colonna
sa
ndono
fficoltĂ a
Automatizzare le regole
Scrivere leggibile
Scrivere senza errori
Rispettare i margini DX e sx Organizzare il foglio
17
1.1 I DATI STATISTICI I più recenti dati statistici ufficiali che riguardano gli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento sono stati pubblicati dal MIUR, col documento “L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità - a.s. 2014/2015” (dati aggiornati al 17 settembre 2015).1 Con cadenza biennale, infatti, il MIUR offre una fotografia dell’integrazione scolastica degli alunni con disabilità nelle scuole italiane, e i dati ottenuti, tratti dalle Rilevazioni Integrative sulle Scuole che vengono svolte dal Ministero, confermano il rafforzamento del processo di inclusione degli alunni con disabilità nel nostro sistema scolastico. Il numero complessivo degli alunni con DSA frequentanti le scuole italiane (di ogni ordine e grado, sia pubbliche sia private) è di 186.803 unità, ed è pari al 2,1% del totale degli alunni. Essi sono maggiormente presenti nelle regioni del Nord-Ovest, dove la percentuale sul totale dei frequentanti è prossima al 3,4%. Complessivamente sono 108.844 gli alunni che presentano disturbi di dislessia, 38.028 quelli che presentano disturbi di disgrafia, 46.979 i disortografici e 41.819 gli studenti discalculici. Nel corso degli ultimi anni le diagnosi di disturbo specifico di apprendimento, nelle sue varie forme, sono notevolmente aumentate: l’incidenza è passata dallo 0,7% dell’a.s. 2010/2011 al 2,1% sul totale degli alunni nell’a.s. 2014/2015 (Grafico 1). Entrando nel dettaglio dei diversi ordini di scuola si osserva che, durante l’anno scolastico 2014/2015, la percentuale degli alunni 1 18
Fonte: Miur, Ufficio di Statistica.
Grafico 1. La percentuale degli alunni con DSA per ogni ordine di scuola, aa.ss. 2010/2011 e 2014/2015
con DSA nella scuola dell’infanzia ammontava ad appena lo 0,03%, nella scuola primaria all’1,6%, nella secondaria di I grado al 4,2% e nella secondaria di II grado al 2,5%. Se confrontiamo questi dati con quelli dell’anno scolastico 2010/2011 è evidente il generale incremento degli alunni con DSA - fatta eccezione per la scuola dell’infanzia (tale calo, probabilmente, può essere riconducibile alla maggiore prudenza nel diagnosticare tali tipi di disturbi in bambini ancora in età prescolare). Osservando il grafico 2 notiamo che la scuola dell’infanzia accoglie lo 0,3% del numero complessivo degli alunni con DSA, la scuola primaria il 24%, la scuola secondaria di primo grado il 39,3%, la scuola secondaria di secondo grado il 36,4% del totale degli alunni con DSA. Come accennato poco sopra, la concentrazione più elevata di alunni con DSA si ha nelle aree settentrionali, in particolare: la scuola primaria delle regioni del Nord-Ovest accoglie una 19
Grafico 2
percentuale di alunni con DSA pari al 2,4% del totale, la scuola secondaria di I grado il 6,6%, la scuola secondaria di II grado il 4,5%. Per quanto riguarda la scuola dell’infanzia, invece, sono le regioni meridionali ad accogliere la più elevata percentuale di alunni con DSA (lo 0,04%).
1.2 I DSA e le classificazioni diagnostiche I manuali di riferimento per quanto riguarda lo studio dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento sono due: l’International Classification of Diseases (ICD-10; decima edizione, 2007) e il Diagnostic and Statistical Manual Of Mental Disorders (DSM-IVTR; 2002). I due testi inquadrano i disturbi specifici dell’apprendimento in modo diverso. Mentre il DSM li classifica come disturbi della lettura, dell’espressione scritta e del calcolo, l’ICD li definisce 20
come disturbi specifici delle abilità scolastiche (e quindi disturbi delle abilità di lettura, scrittura e compitazione). I disturbi specifici dell’apprendimento sono la dislessia, la discalculia, la disgrafia e la disortografia. Questi disturbi, però, non sono sempre legati a disturbi specifici dell’apprendimento, possono infatti essere causati da altri fattori, come ad esempio problemi o difficoltà comportamentali; bisogna quindi essere attenti nella definizione delle cause. A titolo di esempio: mentre un alunno dislessico non necessariamente ha difficoltà in tutte le discipline scolastiche, un alunno con un disturbo NON specifico di apprendimento potrebbe presentare, oltre alla dislessia, altri problemi nel calcolo e nella scrittura. Secondo l’ICD-10 i disturbi specifici dell’apprendimento sono presenti sin dall’infanzia e probabilmente derivano da anomalie nell’elaborazione cognitiva legate a una disfunzione biologica. Il manuale, inoltre, afferma che tali disturbi sono più frequenti nei maschi che nelle femmine. Dunque ecco quali sono, secondo l’ICD-10 e il DSM-IV-TR, i disturbi specifici delle abilità scolastiche e le rispettive sigle:
21
DS MI VTR
I CD1 0
3 1 5 . 0Di s t ur b ode l l al e t t ur a
F8 1 . 0Di s t ur bos pe c i fc ode l l a l e t t ur a
3 1 5 . 1Di s t ur b ode lc a l c ol o
F8 1 . 2Di s t ur bos pe c i fc ode l l e a bi l i t àa r i t me t i c he
315.2
DisturboF. 8 1 . 1Di s t ur bos pe c i fc ode l l a
d e l l ’ e s pr e s s i ones c r i t t a 315.9
c ompi t a z i one
DisturboF. 81. 8 Al t r i di s t ur bi de l l e
d e l l ’ a ppr e ndi me nt o
abi l i t às col as t i che non s pe c i fc a t i
F8 1 . 0
Di s t ur bos p e c i fc od e l l al e t t ur a
F. 8 1 . 1
Di s t ur bo s peci fco del l a c omp i t a z i one
F.8 1 . 2
Di s t ur bo s p e c i fc od e l l ea b i l i t à a r i t me t i c he
F. 8 1 . 3
Di s t ur b i
mi s t i de l l ea bi l i t à
s c ol a s t i c he F. 8 1 . 8
Al t r i
F8 1 . 9
Nons p e c i fc a t i
22
93
1.3 La Normativa di riferimento sui DSA La Legge 170/2010, “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”, segna una tappa fondamentale per il riconoscimento e la definizione dei DSA; in particolar modo l’art. 3 insiste sull’importanza dell’individuazione precoce del disturbo: «È compito delle scuole di ogni ordine e grado, comprese le scuole dell’infanzia, attivare, previa apposita comunicazione alle famiglie interessate, interventi tempestivi, idonei ad individuare i casi sospetti di DSA degli studenti […]. L’esito di tali attività non costituisce, comunque, una diagnosi di DSA».2 Questo aspetto viene sottolineato anche dal decreto ministeriale del 17 aprile 2013, il quale propone le «Linee guida per la predisposizione delle attività di individuazione precoce dei casi sospetti di DSA» definendo gli indicatori di rischio ed evidenziando la necessità di predisporre attività educative e didattiche specifiche; viene dunque riconosciuto un ruolo fondamentale alla scuola dell’infanzia nell’individuazione degli alunni con DSA. Con la Legge 170/2010 per la prima volta vengono normativamente riconosciuti, definiti e regolamentati i disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico. In particolare l’articolo 1 riconosce la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia (in presenza di capacità cognitive adeguate e in assenza di patologie neurologiche e/o di deficit sensoriali) quali DSA; 2
Legge n.170 dell’8 ottobre 2010, «Nuove norme in materia di disturbi
specifici di apprendimento», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 244 del 18 ottobre 2010. 23
assegna inoltre al sistema d’istruzione nazionale il compito di individuare forme didattiche e modalità di valutazione adeguate, affinché gli studenti che presentano questi disturbi possano raggiungere il successo scolastico. L’articolo 1, dunque, garantisce agli alunni con segnalazione diagnostica di DSA l’adozione di una didattica personalizzata e la possibilità di fruire di appositi provvedimenti dispensativi e compensativi, anche in sede di verifica e di valutazione e nel corso di tutti i cicli d’istruzione. Altra tappa fondamentale in campo normativo è sicuramente la Consensus Conference 2011, la quale esamina i disturbi di apprendimento che interessano la condizione clinica evolutiva di difficoltà di apprendimento della lettura, della scrittura e del calcolo che si manifestano con l’inizio della scolarizzazione. Sono pertanto escluse le patologie di apprendimento acquisite. I disturbi studiati dalla Consensus Conference interessano le competenze strumentali degli apprendimenti scolastici e quindi coinvolgono uno specifico dominio di abilità, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. Sulla base del deficit funzionale vengono comunemente distinte le seguenti condizioni cliniche: - dislessia, cioè disturbo nella lettura (intesa come abilità di decodifica del testo); - disortografia, cioè disturbo nella scrittura (intesa come abilità di codifica fonografica e competenza ortografica); - disgrafia, cioè disturbo nella grafia (intesa come abilità grafo-motoria); - discalculia, cioè disturbo nelle abilità di numero e 24
di calcolo (intese come capacità di comprendere e operare con i numeri).3 Con l’obiettivo di giungere a definizioni e argomentazioni relative ai DSA condivisibili tra professionisti e specialisti di diversa formazione, hanno partecipato alla Consensus Conference del 2011 psicologi, neuropsichiatri, logopedisti e pedagogisti. Il frutto di questa collaborazione sono le «Raccomandazioni per la pratica clinica sui disturbi specifici dell’apprendimento», un documento che, a partire da una definizione comune dei Disturbi Evolutivi Specifici dell’Apprendimento (definizione riferita ai soli disturbi delle abilità scolastiche), descrive i criteri diagnostici, l’eziologia, le procedure d’indagine, i segni precoci, l’evoluzione e la prognosi di questi disturbi, portando inoltre chiarezza sulla comorbilità ed il trattamento dei DSA. Ad oggi questo documento è un punto di riferimento nazionale sull’argomento DSA: in esso sono confluite le esperienze degli esperti e i dati scientifici attualmente a disposizione. Ricordiamo anche le “Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con DSA” (D.M. 12 luglio 2011), le quali contengono indicazioni elaborate sulla base delle più recenti conoscenze scientifiche e mirano a realizzare interventi didattici individualizzati e personalizzati utilizzando strumenti compensativi e misure dispensative. La Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012, «Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica», e la successiva circolare 3
Istituto Superiore di Sanità, Consesus Conference sui Disturbi Specifici
dell’Apprendimento, Roma, 2011, pag. 7. 25
ministeriale n. 8 del 6 marzo 2013 contengono le “indicazioni operative”. L’art. 1, che analizza le finalità stesse del decreto, sostiene che devono essere individuate le «modalità di formazione dei docenti e dei dirigenti scolastici, le misure educative e didattiche di supporto utili a sostenere il corretto processo di insegnamento/ apprendimento fin dalla scuola dell’infanzia, nonché le forme di verifica e di valutazione per garantire il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con diagnosi di Disturbo Specifico di Apprendimento […], delle scuole di ogni ordine e grado del sistema nazionale di istruzione e nelle università».4 Tale decreto dà indicazioni operative precise: obbliga le scuole a produrre interventi didattici individualizzati e personalizzati per gli alunni con DSA, a redigere un Piano Didattico Personalizzato (PDP), a individuare gli strumenti compensativi e le misure dispensative necessarie. Viene peraltro sottolineata l’importanza delle forme di verifica e di valutazione, che ovviamente devono essere conformi agli interventi didattici previsti in merito dalle scuole.
4
Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012, n. 539, art. 1: «Strumenti per
alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.27 dell’1 febbraio 2013. 26
1.4 Diagnosi funzionale, individuazione precoce, strumenti di osservazione, valutazione e presa in carico Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti i disturbi specifici dell’apprendimento, riconosciuti dalla legge 170/2010 in dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia, interessano gli alunni che, pur non avendo alcun deficit cognitivo o intellettivo, hanno difficoltà a seguire le attività scolastiche e, in particolar modo, presentano difficoltà nella lettura, nella scrittura e nel calcolo. L’intervento precoce può attutire le conseguenze che derivano da un tale disturbo.
Scuola dell’infanzia Ci sono alcuni comportamenti che possono essere sintomatici di Disturbi Specifici dell’Apprendimento, ad esempio: - confondere i giorni della settimana - non ricordare i mesi dell’anno - non riconoscere il susseguirsi delle stagioni - non riconoscere alcune lettere all’interno di una frase - confondere i numeri e avere difficoltà nel contare - la difficoltà ad orientarsi nello spazio e nel tempo - l’incapacità di distinguere la destra e la sinistra - la confusione fra sopra e sotto 27
- la difficoltà nel leggere l’orologio - l’incapacità di ordinare gli eventi nella corretta sequenza temporale - l’apparire goffi - le difficoltà nelle attività sportive che richiedono l’utilizzo di mani e/o piedi (come il basket o il calcio) - la difficoltà nel vestirsi sono tutti atteggiamenti che devono suscitare qualche sospetto.
Scuola primaria In ambito didattico possono essere diversi i campanelli d’allarme: - - - - - - - - - - 28
il bambino si dimostra incapace di stare a sentire ha difficoltà a ricordare le istruzioni non si impegna ha difficoltà a mettere per iscritto pensieri semplici (mentre non ha problemi ad esporli oralmente) preferisce evitare di scrivere, in quanto questo compito risulta difficoltoso non riesce a concentrarsi ha difficoltà a copiare un lavoro (un soggetto con disturbi specifici dell’apprendimento, infatti, deve fissare bene le parole e dividere le singole lettere) non è preciso ha una scarsa manualità e uno scarso controllo della penna non riesce a controllare il proprio lavoro
-
può riscrivere la stessa parola più volte, sbagliandola e scrivendola in forme sempre diverse.
1.4.1 La valutazione Se i genitori o gli insegnanti sospettano che il bambino possa soffrire di disturbi specifici dell’apprendimento è importante che richiedano una valutazione clinica approfondita. È opportuno chiedersi a quale età è consigliabile fare una valutazione. Non è semplice rispondere a questa domanda, perché alcuni disturbi possono manifestarsi anche nel corso di un normale sviluppo; tuttavia, se entro il primo anno di vita il bambino non raggiunge i risultati attesi, allora si può considerare la possibilità di un approfondimento specialistico, come ad esempio un controllo optometrico, una valutazione del linguaggio o un’osservazione psicomotoria.
1.4.2 Chi fa la diagnosi? Le figure professionali che sono coinvolte nella formulazione della diagnosi sono diverse. Lo psicologo, specializzato in disturbi dell’apprendimento o in Neuropsicologia, provvede alla somministrazione di test di intelligenza e di test scientifici per i disturbi di apprendimento; lo specialista in neuropsichiatria infantile può individuare patologie cerebrali o sofferenze neonatali; il logopedista si occupa delle difficoltà del linguaggio orale e scritto; lo psicomotricista si occupa della motricità fine e/o grossolana e 29
fornisce programmi con esercizi specifici; l’audiometrista si occupa della misurazione delle funzioni uditive; l’optometrista, infine, si occupa della misurazione delle funzioni visive. Tutte queste figure possono essere contattate tramite il servizio sanitario di base, tramite la scuola o privatamente. Gli ambiti che vengono esaminati in una valutazione clinica sono: - - - - - scritto - -
il linguaggio ricettivo il linguaggio espressivo le capacità attentive le capacità mnestiche la capacità di lettura e di comprensione del testo la capacità di scrittura le competenze aritmetiche.
Il protocollo che verrà seguito dagli specialisti si articola in una parte anamnestica (antecedenti familiari e personali), una parte dedicata alla valutazione clinico-neurologica e una dedicata alla valutazione linguistica. Nel caso in cui il bambino presenti disturbi dell’apprendimento, ogni specialista stilerà una diagnosi funzionale che sarà riposta all’interno della relazione diagnostica scritta dallo specialista che ha preso in esame il bambino. Un requisito fondamentale della diagnosi funzionale è la chiarezza: la diagnosi deve essere facilmente comprensibile anche da tutti i non esperti che vi si imbattono. Proprio per questo, generalmente, la relazione diagnostica segue uno schema ben preciso che permette 30
sia alla scuola sia alla famiglia di comprenderne i contenuti. Una volta in possesso della relazione, il genitore può liberamente decidere se inoltrarla o meno alla scuola.
31
32
2. LA DISLESSIA
33
I numeri della dislessia
3,5% it 10% Bambini in Una classe
Bambini in Una classe
eu
2.1 Che cos’è la dislessia La dislessia è un disturbo specifico dell’apprendimento della lettura; si manifesta come difficoltà nell’automatizzare i processi di decodifica del linguaggio scritto in linguaggio verbale. Questo disturbo è caratterizzato da un deficit nella velocità e nell’accuratezza della lettura. La difficoltà nel tradurre i grafemi in fonemi comporta un notevole impegno in termini di attenzione e concentrazione, e porta il soggetto a stancarsi rapidamente. Una valutazione psicodiagnostica delle abilità di lettura prevede diversi passaggi. Innanzitutto vengono somministrate al “paziente” 34
19
20
994
014
1,5 Milioni
2,5 %
Della Popolazione
20 Anni di Studi Su 90mila casi scolastici
1,1%
Della Popolazione Scolastica
Tra i 6 e i 18 anni prove di lettura adeguatamente standardizzate: il ragazzo deve leggere, il più velocemente e correttamente possibile, una lista di parole isolate, una lista di non-parole anch’esse isolate e, infine, un brano. Ovviamente ogni prova è costruita in maniera tale da adattarsi all’età e alla fascia di scolarizzazione del soggetto sottoposto al test. Lo specialista provvede poi a una valutazione della perfomance considerando sia la rapidità di lettura sia la correttezza della decodifica. Se almeno uno dei due parametri (rapidità e/o accuratezza) dovesse risultare significativamente distante dai valori medi attesi per la classe frequentata dal bambino, allora si parlerà di dislessia – in forme più o meno gravi a seconda del risultato ottenuto. L’unità di misura con cui viene espressa la velocità di lettura di 35
un alunno sono le sillabe al secondo. Questo valore si ottiene dividendo il numero di sillabe presenti nel testo con i secondi impiegati per leggerlo.
2.2 Cosa può fare la scuola Per favorire il benessere del bambino dislessico in ambito scolastico, l’insegnante può mettere in atto le seguenti strategie: - comprendere il problema e accoglierlo - aiutare il bambino a rafforzare la competenza di lettura - evitare di esporre il bambino a situazioni che potrebbero compromettere la sua autostima - ridurre il materiale da leggere - concedere più tempo per le verifiche - in presenza di difficoltà ortografiche, privilegiare i contenuti rispetto alla competenza ortografica nei compiti scritti - privilegiare le verifiche orali piuttosto che scritte - favorire la collaborazione tra pari (cooperative learning) e il coinvolgimento dell’adulto nei compiti a casa - utilizzare strumenti compensativi come la sintesi vocale - consentire l’uso del computer dotato di un programma per la revisione ortografica - valorizzare le risposte positive del ragazzo - somministrare semplici esercizi che possono essere 36
basati sulle domande “vero o falso”, “sì o no”, “Chi”, “Cosa”, “Quando”, “Dove”, “Perché” - lavorare sulla memoria a breve termine. Dynes suggerisce la strategia ludica per favorire la memoria a breve termine. Di seguito alcuni possibili giochi da organizzare. - Colpo d’occhio rapido: osservare un foglio con molti oggetti disegnati e indicarne almeno 10. - Chi/che cosa manca: osservare bene un disegno e indicare chi o cosa manca. - Cosa ricordi? Le autobiografie: scrivere qualcosa di sé e/o scrivere un diario in cui annotare le proprie emozioni, le avventure personali. Rileggerlo di tanto in tanto per mettere alla prova la capacità di ricordare. Per aiutare i bimbi che soffrono di dislessia gli insegnanti possono sfruttare la LIM. Un esercizio possibile, ad esempio, è il seguente: nella parte alta della pagina si inseriscono diversi gruppi di sillabe, sotto si inseriscono delle immagini. Lo studente dovrà individuare qual è, fra quelle proposte, la sillaba iniziale della parola corrispondente all’immagine. Cliccando sulle sillabe un suono indicherà la correttezza o meno delle risposte.
37
2.3 Il ruolo dei genitori È di fondamentale importanza che i genitori siano informati sul disturbo del figlio e che siano supportati nel lavoro quotidiano che li coinvolge direttamente. Può essere utile promuovere l’attivazione di gruppi genitoriali di bambini dislessici e quindi creare momenti di ascolto e condivisione del problema. Tra le attività che possono svolgere i genitori per aiutare il proprio bambino, ad esempio, c’è quella di farlo familiarizzare con il mondo dei libri attraverso visite in libreria, biblioteca, esposizione di testi; i genitori possono creare momenti dedicati alla lettura, e quindi evitare che questa sia legata esclusivamente ai compiti; possono far leggere il bambino attraverso l’ausilio del computer, fare giochi che prevedano la scomposizione delle parole.
38
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40
3 LA DISGRAFIA E LA DISORTOGRAFIA
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disortografia La disortografia riguarda l’utilizzo, in fase di scrittura, Del codice linguistico in quanto tale La disortografia è all’origine di una minore Correttezza del testo scritto La disortografia si può definire come un Disordine di codifica del testo scritto, Che viene fatto risalire a un deficit di Funzionamento delle componenti centrali Del processo di scrittura, responsabili della Transcodifica del linguaggio orale Nel linguaggio scritto
3.1 Disgrafia e disortografia Altro disturbo specifico dell’apprendimento è la disgrafia, ossia la difficoltà nella scrittura. Un alunno disgrafico non riesce ad utilizzare correttamente lo spazio del foglio, “scrive male”, non riesce ad andare dritto e il testo scritto risulta quasi ondeggiante; inoltre la pressione sul foglio risulta irregolare, così come la dimensione dei caratteri, lo spazio tra i grafemi e tra le parole. Il processo di scrittura risulta poco fluido e molto fatico. Spesso è 42
Vs
Vs
disgrafia La disgrafia fa riferimento al controllo degli aspetti Grafici, formali, della scrittura manuale, Ed è collegata al momento motorio-esecutivo Della prestazione La disgrafia si manifesta in una minore fluenza e qualità dell'aspetto grafico della scrittura
difficile per l’insegnante, ma anche per l’alunno stesso, decifrare ciò che è stato scritto. La disortografia è l’incapacità di scrivere in modo ortograficamente corretto. Un alunno disortografico fatica a scrivere correttamente le parole, ad utilizzare tutti i segni alfabetici e a collocarli al posto giusto; le regole ortografiche (accenti, apostrofi, forme verbali, ecc.) vengono spesso disattese. Questo disturbo riguarda il processo di trascrizione di un fonema in un grafema, quindi il processo che trasforma il suono in segno, e il riconoscimento delle regole ortografiche che permettono la corretta scrittura di parole con trascrizione ambigua. 43
3.2 Criteri per la diagnosi di disturbo della scrittura Disortografia L’ICD-10 e il DSM-IV-TR presentano la disortografia in maniera diversa. Secondo l’ICD-10 la principale caratteristica di questo disturbo è una specifica e rilevante compromissione dello sviluppo delle capacità di compitazione. In questa sezione devono essere inclusi i bambini che presentano il problema della scrittura associato ad altri problemi. Secondo il DSM-IV, invece, la disortografia è caratterizzata dalla difficoltà del soggetto a comporre testi scritti, i quali presentano errori grammaticali e di punteggiatura, una scadente organizzazione in capoversi, errori multipli di compitazione e una calligrafia deficitaria. In presenza di tale disturbo è bene seguire alcuni accorgimenti: dispensare dalla scrittura veloce sotto dettatura; evitare di far scrivere o copiare dalla lavagna; nelle verifiche scritte valutare il contenuto e non la forma; consentire l’uso dello stampato maiuscolo; privilegiare interrogazioni orali o test a risposta multipla; favorire l’uso di strumenti digitali, in particolare del computer. Disgrafia La disgrafia è un disturbo strumentale specifico dell’apprendimento della scrittura; si manifesta nella difficoltà a riprodurre, in modo graficamente adeguato, segni alfabetici o numerici. Il 44
gesto grafico di un alunno con questa difficoltà appare goffo, impacciato, discontinuo, irregolare e di conseguenza, in alcuni casi, difficilmente decifrabile. La frequente impossibilità di rilettura e autocorrezione può ripercuotersi sulla correttezza ortografica e sintattica, ma questi due ambiti (ortografia e sintassi) non sono direttamente connessi alla disgrafia. È infatti bene ricordare che la disgrafia è la difficoltà a riprodurre segni sia alfabetici che numerici: riguarda quindi il grafismo, e non le regole ortografiche e sintattiche. La deficitaria riproduzione grafica è attribuibile a diverse difficoltà specifiche: - prensione e posizione: l’impugnatura della penna è spesso scorretta, così come la posizione del corpo; - orientamento nello spazio grafico: la capacità di utilizzare lo spazio a disposizione è solitamente ridotta; l’alunno non possiede adeguati riferimenti per orientarsi, non rispetta i margini del foglio, lascia eccessivi spazi vuoti, fa legature irregolari tra le lettere e non rispetta la linea di scrittura, scrivendo sopra o sotto il rigo; - pressione sul foglio: è irregolare, talvolta troppo forte, talvolta troppo debole; - direzione del gesto grafico: sono frequenti inversioni nella direzionalità del gesto; esse si verificano sia nell’esecuzione dei singoli grafemi sia nella scrittura autonoma; - dimensione dei grafemi: scarso rispetto delle dimensioni delle lettere, che vengono riprodotte a volte 45
troppo grandi a volte troppo piccole; - ritmo grafico: si evidenzia frequentemente un’alterazione del ritmo di scrittura, eccessiva velocità o estrema lentezza; inoltre la mano esegue movimenti “a scatti”, senza armonia del gesto e con frequenti interruzioni; - produzioni e riproduzioni grafiche: difficoltà nel disegno spontaneo e su copia di figure geometriche, oggetti, immagini; il disegno è spesso inadeguato all’età e scarsamente differenziato nei particolari. È possibile superare il disturbo prassico della scrittura; per farlo è opportuno che l’intervento di recupero non si riduca esclusivamente all’esercitazione ripetuta degli aspetti grafici e grafo-motori, ma deve riguardare anche la motricità globale e le abilità percettive, ovvero le cause dell’insorgenza del disturbo. I principali strumenti rieducativi sono la ginnastica motoria e psicomotoria, le attività di circonduzione per perfezionare il movimento delle mani, delle dita e del polso, le attività di pregrafismo e di grafismo, il disegno di progressioni e di figure geometriche, gli esercizi per lo sviluppo del movimento corsivo e scritture a diversi caratteri. Riguardo l’età minima in cui è possibile fare una diagnosi, essa coincide con il completamento del secondo anno della scuola primaria.
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3.3 Richiesta di consulenza Qualora gli insegnanti sospettino un disturbo della scrittura, il primo interlocutore deve essere la famiglia, successivamente occorre interpellare i servizi sanitari. Questi devono effettuare la diagnosi in tempo per dare il via agli interventi necessari durante il successivo anno scolastico. Ci sono alcuni errori comuni che possono essere riscontrati nei quaderni dei bambini con disturbi specifici dell’apprendimento della scrittura: - difficoltà nella trasformazione grafica delle regole fonologiche - utilizzo scorretto delle regole ortografiche nel comporre testi - difficoltà nella coordinazione visuo-spaziale - lentezza nella produzione scritta - uso di caratteri diversi all’interno della parola - irregolarità ortografica - errori grammaticali e di spelling - omissioni, inversioni, sostituzione, inserzione di fonemi - problemi di doppie e/o di accentazione - difficoltà nella distinzione e scrittura di parole omofone e non omografe (a/ha; hanno/anno; è/e) - difficoltà nell’uso della punteggiatura.
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3.4 Componenti coinvolte nella classificazione degli errori ortografici Gli errori ortografici vengono classificati in relazione alle componenti coinvolte. Di seguito una tabella esplicativa.
Comp one nt e
Cl a s s i fc a z i onee r r or e
Pr oc e s s of onol og i c o
Er r or ic hes ir i f e r i s c onoaun r a p p or t os c or r e t t ot r af one ma eg r a f e ma Comp r e nd ono: s c a mb i od ig r a f e mi :f e nt op e r v e nt o,t onop e rd ono i nv e r s i onig r a f e mii ne s a t t i :l i pe ri l ,nip e ri n,t r a d ip e rt a r d i omi s s i onid il e t t e r eos i l l a b e : s e ma f r op e rs e ma f or o,s a na per s a va na ,l uc et ol a per l uc e r t ol a ,f uc op e rf uoc o a g g i unt ad il e t t e r eo s i l l a b e : s a r a di nap e rs a r d i na ,p e c onor a pe rpe c or a
Pr oc e s s oor t og r a fc o
Er r or i commes s i nel l a n o n o mo g r a f : l i c u o r e p e r s c r i t t ur ad ip a r ol eaor t og r a fe l i q u o r e , q u c i r e e r c uc i r e i r r e g o l a r e , l ap c ui c o r r e t t a o mi s s i o n e o a g g i u n t a d e l s cr i t t ur a di pende dal l a g r a f e m a h : a nno pe r h a nn o c o n os c en z a di r e g o l e g h o m i t o l ope rg o m t o l o s p e c i f c h e e n o ni d a l l ' a na l i s i f onol og i c a . Comp r e nd ono -s e pa r a z i onii l l e g a l i :i nd i e t r o p e ri nd i e t r o,i ns i e me p e r i ns i e me
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3.5 Il ruolo della scuola Per favorire l’inclusione degli alunni con disortografia, la scuola può attuare due percorsi: - -
il metodo SLB il potenziamento dell’espressione scritta.
Il L (“Semplifichiamo la Lettura a tutti i Bambini”) si propone di presentare attività di metafonologia sillabica ed esercizi per l’acquisizione delle corrispondenze sillaba orale/sillaba scritta e/o fonema/grafema. Ad esempio si potrà chiedere al bambino di comporre delle parole con delle sillabe, le quali dovranno essere presentate distanti l’una dall’altra (ad esempio: ma, me, mi, mo, mu). Trattamento Lessico e Ortografia. Questo trattamento ha lo scopo di migliorare la correttezza della scrittura attraverso l’espansione del lessico. Il programma agisce su tre aspetti: superamento delle grammatiche infantili, espansione del lessico, arricchimento delle capacità di contestualizzazione. Superamento delle grammatiche infantili. Lo scopo è sollecitare il superamento della tendenza a derivare il significato delle parole dalla forma grafo-fonemica, ossia la tendenza ad attribuire lo stesso significato a parole foneticamente simili (ad esempio conversazione-conservazione). Espansione del lessico. L’obiettivo è quello di ampliare il lessico non con esercizi noiosi di compilazione di rubriche 49
con parole nuove in ordine alfabetico o ricorrendo alla lettura del dizionario, ma attraverso processi linguistici come iponimia (il rapporto di “subordinazione” che intercorre tra due o più termini appartenenti allo stesso campo semantico, ad esempio tra quercia e albero), iperonimia (il rapporto di “superiorità” che intercorre tra due o più termini appartenenti allo stesso campo semantico, ad esempio tra albero e quercia), sinonimia (ora-adesso) e antinomia (presto-tardi). Arricchimento delle capacità di contestualizzazione. Il patrimonio lessicale si amplia attraverso processi inferenziali per derivare dal contesto il significato dominante e i significati secondari delle parole. Per potenziare l’espressione scritta un utile strumento didattico compensativo potrebbe essere innanzitutto quello di assegnare più tempo per riscrivere il testo in bella copia; inoltre molto valida risulta essere la tecnica dello scaffolding, che consiste nell’aiuto dato da una persona a un’altra persona per svolgere un compito e che mira ad orientare le scelte piuttosto che a correggere l’errore commesso. Spesso l’alunno non riesce ad esporre chiaramente i concetti: l’insegnante, allora, per aiutarlo a esporre chiaramente potrebbe affiancarlo nella riflessione («Se ho capito bene, vuoi dire che…», «Si potrebbe dire anche in altri modi, ad esempio... Te li scrivo sulla lavagna, poi possiamo vedere quale sta meglio con quello che hai già scritto»). Si possono inoltre utilizzare testi ad alta leggibilità come punto di partenza per ulteriori lavori di esercitazione. Anche la lettura non deve essere trascurata, e deve costituire 50
il punto di partenza e di arrivo dello scrivere. Schemi, mappe concettuali, parafrasi sintetiche, possono interagire con il processo di lettura migliorando la comprensione del testo. Dalla lettura si acquisisce familiarità con diverse tipologie testuali. Leggendo, inoltre, si possono scoprire le potenzialità espressive del linguaggio.
3.6 Esercitare gli alunni a ritrovare i propri errori Al temine della stesura di un testo è sempre consigliabile far revisionare il compito ai propri alunni, indicando loro di fare attenzione alla punteggiatura, al lessico, all’ortografia, alla morfologia e alla sintassi. Gli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento possono essere guidati nel riconoscimento degli errori, scrivendoli alla lavagna e poi sul testo.
3.7 La scrittura in corsivo Spesso le insegnanti di alunni disgrafici preferiscono rimandare il tanto temuto momento della scrittura in corsivo in quanto ritengono che scrivere in stampato maiuscolo equivalga a semplificare il compito. Ma in questa sorta di atto di buonismo, in realtà, si sottende un sapore di diversità (è un po’ come dire: «Noi diventiamo grandi, tu rimani indietro»). Senza dubbio la scrittura in corsivo è più complessa, in quanto la sua esecuzione richiede una coordinazione oculo-manuale più armonica. Sarebbe però un 51
errore privare il bambino di un’esperienza arricchente, soprattutto se il bambino ha maturato un sufficiente livello di coordinazione motoria e vasomotoria, se riesce a controllare il proprio gesto grafico, se ci sono quindi miglioramenti rispetto alla fase iniziale.
3.8 Alcuni esercizi utili Per i bambini con DSA l’aiuto dei genitori è di fondamentale importanza. Per sostenere l’espressione orale, ad esempio, i genitori possono abituare i figli ad esporre le loro esperienze quotidiane spronandoli a raccontare la loro giornata. Ciò aiuterà i bambini a riflettere su come devono essere esposti i fatti, quali sono gli elementi essenziali, l’importanza dell’ordine con cui gli eventi devono essere raccontati. È bene che il bambino disortografico lavori sulle sillabe, sia assieme ai genitori sia assieme agli insegnanti; deve imparare a riconoscere i gruppi ortografici complessi, che sono: ca, co, cu, chi, che, ci, ce, ga, go, gu, ghi, ghe, gi, ge, sci, sce, gn, gli. È importante che il bambino ragioni sul suono del gruppo ortografico, in modo da consolidare il riconoscimento acustico. L’insegnante/il genitore deve leggere le parole (accompagnate da immagini) scandendo chiaramente le sillabe che le compongono e mostrando le immagini al ragazzino; in alternativa si può usare un sintetizzatore vocale reperibile in rete. In una prima fase i gruppi ortografici complessi saranno presentati all’inizio di parola; in una fase successiva l’alunno dovrà imparare a riconoscere tali gruppi ortografici anche all’interno delle parole. Uno strumento 52
estremamente prezioso è il dizionario, che è sempre bene avere a portata di mano. Molto utile è il font puntinato, che può essere utilizzato per aiutare i bambini disgrafici. Per favorire l’esercizio di scrittura è bene inserire il font puntinato da ripassare all’interno di una griglia, che indichi molto chiaramente i confini oltre i quali non uscire.
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4 LA DISCALCULIA
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4.1 I criteri per la diagnosi di discalculia e la richiesta di consulenza Il soggetto discalculico presenta normali abilità cognitive e normali opportunità di apprendimento, ma riscontra gravi difficoltà nel calcolo - tanto che le prestazioni sono notevolmente inferiori rispetto a quelle che ci si aspetterebbe in relazione all’età. Campanelli di allarme potrebbero essere i seguenti: - incapacità di comprendere i concetti base di particolari operazioni - mancato riconoscimento dei simboli numerici - difficoltà ad allineare correttamente i numeri o ad inserire i decimali - difficoltà ad organizzare per iscritto il calcolo - difficoltà a svolgere calcoli a mente. L’età minima per poter effettuare la diagnosi di disturbo specifico del calcolo sono gli 8 anni, quando il bambino completa la terza classe della scuola primaria. Giungere alla diagnosi di discalculia non è semplice: infatti vi è una sostanziale differenza tra l’eseguire una divisione a una cifra (ad esempio 28: 7 = 4) e l’eseguire una divisione a 4 cifre decimali e con un numero periodico come risultato (ad esempio 119,383: 12,35 = 9,6666...). La diagnosi, quindi, deve basarsi su un’analisi dei processi cognitivi dell’individuo, deve cioè valutare da un lato come il soggetto apprende, dall’altro cosa deve apprendere. 56
I genitori devono recarsi presso strutture accreditate e riconosciute dalle scuole che effettuano diagnosi neuropsicologiche; tali strutture possono essere pubbliche (le ASL) o private (ma attenzione, mentre le diagnosi effettuate da strutture pubbliche sono riconosciute facilmente, può capitare che quelle effettuate da strutture private non vengano riconosciute dalla scuola). È possibile rintracciare indicatori di una possibile discalculia sin dall’infanzia: il bambino che frequenta la scuola materna, infatti, arrivato all’ultimo anno dovrebbe possedere alcune competenze fondamentali: - - -
saper contare fino a 10 aver acquisito il principio di cardinalità saper comparare piccole quantità.
Il mancato raggiungimento di queste competenze può far nascere il sospetto di discalculia. Lo stesso vale per i bambini della scuola primaria, i quali, alla fine di ogni classe, devono aver raggiunto determinati obiettivi di apprendimento e fatto proprie alcune competenze previste a livello europeo.
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4.2 Esempi ed esercizi Pensiamo di dover far comprendere il concetto di sottrazione ad un alunno discalculico, che non riesce a capire quando è possibile eseguirne una. Un buon suggerimento potrebbe essere quello di lavorare con numeri piccoli per facilitarne la comprensione. Una tecnica utile è utilizzare un insieme di oggetti: ad esempio possiamo mostrare all’alunno un certo numero di caramelle e accompagnarlo nel ragionamento. Molto utile, in questo caso, è l’utilizzo della LIM: inseriamo nella pagina un certo numero di caramelle, ad esempio 6; chiediamo all’alunno di spostarne nel cestino 5, e verifichiamo se è possibile farlo; gli chiediamo poi di cancellarne 7, e verifichiamo se questa azione è possibile. Manipolando questi elementi con la LIM, l’alunno creerà delle immagini mentali che gli saranno utili anche quando dovrà affrontare problemi con numeri più grandi. Una volta che il significato di sottrazione è stato compreso, si può procedere con le sottrazioni in colonna. Spesso per i discalculici è
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difficile mettere correttamente in colonna i numeri per effettuare l’operazione. Per aiutarli in questo procedimento si possono utilizzare delle tabelle per l’incolonnamento, come la seguente:
Si possono sfruttare i numerosi software creati appositamente per aiutare gli studenti con discalculia. I genitori, così come gli insegnanti, devono facilitare lo sviluppo della competenza numerica nel bambino: possono farlo utilizzando giochi che lo stimolino a compiere le capacità strumentali di base, quindi togliere, aggiungere e dividere. Occorre inoltre che lo aiutino ad utilizzare le mani, il più potente strumento analogico per il calcolo. Per quanto riguarda l’acquisizione delle tabelline, invece, insegnanti e genitori dovranno insistere affinché non vengano semplicemente imparate a memoria; il bambino dovrà comprendere il significato di prendere due volte, tre volte, quattro volte, ecc... un determinato numero. È inoltre consigliabile che gli alunni con DSA costruiscano con le loro mani gli strumenti compensativi (come ad esempio la tavola pitagorica). 59
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5. GLI STRUMENTI COMPENSATIVI E DISPENSATIVI
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Sintesi Vocale
Se per Mappe
Testi cartacei + Scanner + OCR
Computer + software Specifici e non
Registratore mp3
Calcolatrice
Testi digitali Audiolibri 62
Editor di Testi
Correttore Ortografico Vocale
Strumenti compensativi
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5.1 Gli strumenti compensativi e le misure dispensative Gli strumenti compensativi e le misure dispensative sembra che esistano solo da quando è stata emanata la prima Circolare Ministeriale per studenti con DSA, nel 2004 (Nota MIUR prot. n. 4099/A4 del 5 ottobre 2004): qui vengono infatti nominati per la prima volta, e ne viene suggerita l’adozione per gli allievi con DSA al fine di garantire un miglior inserimento scolastico. Circolari e note sia ministeriali sia degli Uffici Scolastici Regionali hanno poi tentato di approfondire e ampliare tale elenco. Gli strumenti compensativi e le misure dispensative trovano una loro legittimazione nella Legge n. 170 dell’08 ottobre 2010, Art. 5, e nelle “Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento” del 12 luglio 2011. Gli strumenti compensativi nascono con l’obiettivo di permettere all’alunno con DSA di esprimere tutto il suo potenziale per raggiungere mete che altrimenti risulterebbero difficilmente raggiungibili se non proprio irraggiungibili. Questi strumenti facilitano l’esecuzione dei compiti automatici (quindi di quelli “non intelligenti”): sono infatti appositamente studiati per controbilanciare la debolezza funzionale derivante dal disturbo. Le Linee Guida del 2011 definiscono gli strumenti compensativi «strumenti didattici e tecnologici che sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria»; sono tutte quelle strategie didattiche messe in atto per favorire i processi di inclusione e il raggiungimento degli obiettivi formativi. 64
I principali strumenti compensativi includono: - libri in formato digitale ascoltati per mezzo di sintesi vocale e di programmi che ne consentono la gestione - computer con programmi di video-scrittura dotati di correttore, controllo ortografico e grammaticale, sintesi vocale - registratori vocali - tavola pitagorica - tavola delle addizioni e delle sottrazioni - calcolatrice (anche parlante) - tabelle delle regole ortografiche e grammaticali - tabelle delle misure e delle formule geometriche - schemi (ad es. mappe concettuali) durante le interrogazioni - tabella dei mesi - alfabeto scritto nei diversi caratteri - lettura di testi da parte dell’insegnante, di un adulto esperto, di un compagno di classe. Dato che i DSA sono generalmente bravissimi a usare i mezzi forniti dalla tecnologia, si possono usare in classe degli strumenti compensativi tecnologici: - - - -
LIM (Lavagna Interattiva Multimediale); PC con videoproiettore; registratore (CD, MP3); Smart Pen (penna “intelligente� che registra e 65
recupera la voce del docente, digitando una parola); - dizionario elettronico. Le misure dispensative, invece, sono interventi che «consentono all’alunno di non svolgere alcune prestazioni che, a causa del disturbo, risultano particolarmente dispendiose e non migliorano l’apprendimento»;5 sono tutte quelle misure, quindi, che lo sollevano da alcune prestazioni. Di seguito elenchiamo alcune misure dispensative indicate dalle Circolari ministeriali: - dare più tempo per le verifiche scritte - assegnare meno compiti a casa - esonerare dall’imparare a memoria formule o altre nozioni (ad esempio le tabelline) - dispensare dalla lettura ad alta voce (a meno che non espressamente richiesta) - dispensare dalla scrittura veloce sotto dettatura - dispensare dall’uso del vocabolario cartaceo - dispensare, ove necessario, dallo studio della lingua straniera in forma scritta. Esistono poi alcuni accorgimenti da seguire, come ad esempio concedere più tempo agli studenti con DSA per svolgere le verifiche scritte, le quali saranno strutturate privilegiando gli esercizi di completamento e a risposta multipla. Un’altra possibilità è quella di ridurre il numero degli esercizi, senza però modificarne gli obiettivi; eventualmente, si farà recuperare oralmente quanto non verificato per iscritto. Le materie tradizionalmente orali 5 66
Linee Guida, 2011.
(come ad esempio storia o geografia) dovranno prevedere anche prove scritte.Valutando la prova scritta di un alunno con disturbi specifici dell’apprendimento il docente dovrà tenere in maggiore considerazione il contenuto rispetto alla forma (e quindi non considerare gli eventuali errori di punteggiatura o di ortografia). L’interrogazione sarà programmata. Anche se all’apparenza tali accorgimenti potrebbero sembrare “concessioni”, in realtà sono delle vere e proprie strategie didattiche.
Le tecnologie compensative Quando si parla di tecnologie compensative ci si riferisce a un sistema di risorse per l’apprendimento scolastico basato sull’uso di computer, sintesi vocale e documenti digitali utilizzati come alternativa o integrazione, quotidiana e generalizzata, agli strumenti di studio tradizionali. Sfruttare questi dispositivi permette di compensare disturbi di lettura e/o di scrittura.
Compensare le difficoltà di lettura Il computer con sintesi vocale è un utile strumento per i ragazzi dislessici che non riescono a decodificare il testo, in quanto legge per l’alunno. È indubbiamente uno strumento molto vantaggioso, ma presenta anche alcuni svantaggi: è vero che la sintesi vocale legge, ma non raggiunge la qualità e l’espressività della voce umana; la voce della macchina risulta meccanica e monocorde, non capendo quello che legge spesso sbaglia pause, accenti, prosodie ed espressività.
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Compensare le difficoltà di scrittura Compensare le difficoltà di scrittura con le tecnologie informatiche risulta abbastanza semplice. Scrivere per mezzo di una tastiera risolve il problema della disgrafia. Sono però da prendere in considerazione diversi fattori, tra cui l’efficacia e il tempo. La velocità di scrittura al computer può essere allenata attraverso esercizi che insegnino al ragazzo ad utilizzare tutte e dieci le dita: è infatti importante che l’alunno con DSA sia abbastanza veloce da non rimanere indietro; in caso contrario, la compensazione perde di efficacia. Alcuni programmi didattici, come “10dita”, “Tutore Dattilo” e “Scrivere veloci con la tastiera”, facilitano enormemente questo tipo di addestramento. Per compensare la disortografia abbiamo a disposizione due tipi di risorse: il correttore ortografico e la sintesi vocale. Il correttore ortografico. Il correttore ortografico è integrato in tutti i più comuni programmi di scrittura e serve a verificare che all’interno del testo non ci siano errori (eventualmente segnalati in rosso). Questo strumento non può garantire né un controllo totalmente efficace né la correttezza del testo. Il programma, infatti, non segnala tutti gli errori e anzi, non tutte le parole o strutture indicate come sbagliate lo sono davvero. Il (video)registratore. Anche il registratore risulta essere un ottimo strumento compensativo: esso, infatti, dà la possibilità di ascoltare i testi ovunque. Presenta però anche alcuni svantaggi, come ad esempio la difficoltà di integrare la voce registrata con il supporto visivo. Gli alunni con DSA possono sfruttare il registratore per:
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- ascoltare audiolibri di narrativa - registrare le lezioni a scuola - produrre file audio con la sintesi vocale per poterne usufruire in modo piĂš libero, con o senza pc.
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6. SCHEMI E MAPPE
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Schemi e mappe cognitive non sono la stessa cosa. Entrambi sono forme di rappresentazione logica del pensiero, ma si strutturano su regole di composizione differenti.
Alunni con Bisogni Educativi Speciali (bes) Alunni con disabilità
Alunni con disturbi evolutivi specifici
Alunni con altri Bisogni educativi speciali
Disabilità intellettiva
dsa
Altre tipologie di disturbo (malattie, traumi, dipendenze...)
Disabilità motoria
disturbi specifici del linguaggio
Alunni con iter diagnostico dsa non ancora completato
Disabilità sensoriale
disprassia
Alunni con svantaggio socio-economico
pluridisabilità
disturbo non verbale
Alunni con svantaggio socio-culturale
Disturbi neuropsichiatrici
a.d.h.d disturbo attenzione e iperattività lievi disturbo oppositivo provatorio
PEI: gurppo di lavoro per handicap
Piano educativo individualizzato Insegnate di sostegno, strategie educative, didattiche e Percorsi differenziati
funzionamento cognitivo limite (borderline cognitivo)
Piano didattico personalizzato (Deciso dal consiglio di classe) Percorsi personalizzati, strategie educative e didattiche, Strumenti compensativi e misure dispensative, Valutazioni personalizzate
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6.1 Gli schemi Lo schema è la forma più semplice di rappresentazione visiva del pensiero logico: espone l’essenziale e può essere composto da parole, immagini, collegamenti, frecce e simboli. Quando si elabora uno schema non esistono regole precise da seguire, così come non esistono elementi obbligatori da inserire; esempi di schemi liberi sono quelli che ognuno di noi realizza quando si prendono appunti oppure quelli che si realizzano in classe, assieme agli alunni. Sono schemi anche i diagrammi di flusso e gli schemi a blocchi.
6.2 Le mappe mentali La rappresentazione per mappe, integrando l’aspetto visivo con la comunicazione testuale, è una delle più potenti strategie compensative a disposizione degli alunni con DSA. Anch’essa, però, presenta degli inconvenienti, perché rischia di banalizzare i contenuti e di confondere la sintesi con la semplificazione. Le mappe mentali sono forme di rappresentazione grafica della conoscenza che seguono regole precise, definite nel corso degli anni Sessanta da Tony Buzan, uno psicologo che ha sviluppato la tecnica e la teorie delle mappe mentali per risolvere un proprio problema nel prendere appunti. Nelle mappe mentali i concetti e le informazioni non seguono un ordine gerarchico, ma sono disposti a raggiera: l’idea principale 73
si trova al centro, e ad essa sono collegate tutte le informazioni associate. È importante utilizzare immagini e colori: il forte impatto percettivo, infatti, favorisce e stimola la memorizzazione. Lo stesso Buzan ha fornito delle indicazioni per elaborare un’efficace mappa mentale. Innanzitutto è fondamentale l’uso dei colori e delle immagini per sviluppare associazioni e creatività e per potenziare la memoria. Piuttosto che una parola chiave, è bene porre al centro dello schema un’immagine significativa associata all’idea centrale; da questa immagine centrale, poi, partono una serie di rami colorati – i rami principali. È preferibile utilizzare linee curve piuttosto che linee dritte o frecce. Dai rami principali potranno partire altre diramazioni (dello stesso colore): tali diramazioni indicheranno le idee secondarie. Lungo ogni ramo deve essere scritta una parola chiave. Per chi volesse provare a realizzare mappe mentali di questo tipo con il computer è scaricabile il programma “iMindMap” (al sito http://thinkbuzan.com): la versione base è gratuita, mentre le versioni con più funzioni sono a pagamento.
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Mappe mentali Concetto principale Formato da
A
Concetto 1
Concetto 2
Composto da
Si divide in
B
C
A
6.3 Le mappe a nodi Le mappe a nodi si basano sulla presenza di parole chiave inserite in riquadri di forma geometrica (chiamati, appunto, “nodi”). Anche in questa tipologia di mappa mentale l’idea principale è posta al centro; ad essa si collegano le parole-chiave, inserite nei nodi e disposte a raggiera (dal centro alla periferia). I nodi sono collegati tra loro da linee o frecce. Queste ultime sono molto importanti in quanto descrivono il verso di lettura della mappa e ci dicono se un nodo è conseguenza o causa di un altro. Anche in queste mappe è possibile e utile utilizzare i colori, mantenendo lo stesso colore per ogni diramazione nei diversi livelli. 75
Mappe a nodi Nodo terziario - nipote (Argomento particolare)
Nodo secondario - figlio (Argomento specifico)
Nodo terziario - nipote (Argomento particolare)
Nodo principale - padre (Argomento generico) Nodo terziario - nipote (Argomento particolare)
Nodo secondario - figlio (Argomento specifico)
Nodo terziario - nipote (Argomento particolare)
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6.4 Le mappe concettuali Le mappe concettuali sono uno strumento didattico che nasce negli anni Settanta ad opera di Novak. Il loro sviluppo fu favorito dalla corrente del costruttivismo cognitivo integrazionista. Le mappe concettuali sono una «rappresentazione grafica di concetti espressi in forma sintetica (parole-concetto) all’interno di una forma geometrica (nodo) e collegati fra loro da linee (frecce) che evidenziano la relazione attraverso parole legamento».6 I concetti sono collegati dal generale al particolare.
A cosa servono Per chi Impara
Per chi Insegna
•A visualizzare la natura dei concetti •A valutare il livello •A esplicitare le relazioni tra essi Di concettualizzazione •A evidenziare le relazioni gerarchiche •A far emergere la struttura cognitiva •A far emergere la struttura •A rappresentare graficamente Ideativa del testo E in modo coinciso le conoscenze •A raffigurare graficamente Le conoscenze
6 M. Gineprini, M. Guastavigna, Mappe per capire. Capire per mappe. Rappresentazioni della conoscenza nella didattica, Roma, Carocci Faber, 2004. 77
Perché le mappe sono utili agli alunni con DSA? Le mappe (a prescindere dalla tipologia) sono utili agli alunni con DSA perché li aiutano ad organizzare le conoscenze possedute e facilitano l’elaborazione, la comprensione e la memorizzazione delle nuove informazioni. Inoltre consentono ai ragazzi di avere sottocchio una traccia dell’ordine dei contenuti, facilitando l’esposizione sia orale sia scritta. In generale la mappa minimizza i punti deboli del ragazzo DSA, compensando la lentezza nella lettura, la disorganizzazione, la difficoltà di comprensione del testo, la scarsa organizzazione delle idee, l’utilizzo e la struttura di frasi minime. Nella costruzione e/o rielaborazione di una mappa concettuale ciascuno è autore del proprio percorso conoscitivo. La mappa concettuale è uno strumento che stimola un apprendimento significativo: consente di “riflettere”, approfonditamente e lentamente, sui concetti espressi in un testo, spinge il soggetto a cercare una correlazione tra concetti noti e concetti ignoti; si contrappone quindi all’apprendimento meccanico, considerato un semplice passaggio di informazioni. È quindi evidente che non bisogna somministrare agli alunni mappe già costruite, poiché esse non favoriscono un apprendimento significativo. Una mappa concettuale riflette il modo di pensare del soggetto, quindi, affinché risulti efficiente ed efficace, è necessario che sia l’alunno stesso a elaborarla.
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7. DIDATTICA COMPENSATIVA
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L’insegnante attua una didattica compensativa ogniqualvolta tiene conto delle diversità dei suoi studenti e facilita l’apprendimento dei contenuti. Il presupposto è la consapevolezza che tutti gli alunni possono avere successo formativo seguendo e sviluppando modalità di apprendimento personali. L’insegnante deve cercare di ridurre al minimo il disturbo specifico dell’apprendimento, e per farlo deve considerare e valutare ogni pratica didattica possibile utile a compensare le mancanze degli studenti con DSA. Per attuare una didattica realmente compensativa l’insegnante dovrebbe adottare una serie di accorgimenti.Vediamo quali. L’aula. L’aula deve essere accogliente, uno spazio pensato e organizzato per tutti gli alunni. Le pareti devono “parlare”, “insegnare”, dare rinforzi e suggerimenti; molto utili si rivelano i cartelloni (con funzione esplicativa e leggibili anche da lontano) e le carte geografiche (che devono essere di facile lettura). La lezione. Innanzitutto occorre informare gli allievi sull’argomento che si andrà a trattare. Può essere utile una mappa che l’insegnante potrà scrivere alla lavagna o fornire tramite fotocopia. La spiegazione deve essere sempre interattiva, così da mantenere viva l’attenzione e la curiosità degli studenti – che devono sempre essere coinvolti. È bene usare un linguaggio semplice e chiaro. Per verificare l’avvenuta comprensione della lezione è meglio evitare di porre la classica domanda «avete capito?»; la maggior parte degli alunni, infatti, risponderà di sì e non si saprà chi ha capito realmente e chi no. Per essere certi che la lezione sia stata efficace, è meglio formulare domande rivolte all’intera classe. 82
Verifiche e valutazione. Per gli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento le verifiche orali devono essere programmate; inoltre, durante l’interrogazione, devono essere lasciati liberi di utilizzare gli strumenti dispensativi e tutti gli ausili che di solito sono di supporto durante lo studio. Anche le verifiche scritte devono essere programmate. Al posto delle domande aperte e generalizzate, sono preferibili domande a risposta multipla o “vero-falso”. Possono essere inserite domande aperte, purché siano chiare e puntuali; in questo caso è opportuno che tra l’una e l’altra ci sia abbastanza spazio. Poiché gli alunni DSA hanno bisogno di più tempo per ultimare le prove scritte, le possibilità sono due: o si struttura una verifica più breve, o si concede loro più tempo. Nel caso in cui l’alunno si agiti a causa delle scadenze temporali, per evitare il fallimento si può optare per verifiche senza scadenza. Al momento della correzione si darà importanza all’impegno mostrato dall’alunno, si tralascerà l’errore esecutivo (ortografico, morfosintattico, di calcolo) e si darà peso, invece, al contenuto, si cercherà di mettere pochi segni rossi. Un compito pieno di correzioni, infatti, è sconfortante per il ragazzo con DSA, e lo inviterebbe alla resa; un buon insegnante, invece, deve costantemente incitarlo a non demordere.
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8. Il PDP
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Piano didattico p per quali alunni dsa obbligatorio bes (se necessario) cos’è è un accordo condiviso fra: docenti Istituzioni scolastiche Istituzioni socio-sanitarie Famiglia È un documento di programmazione con il quale La Scuola definisce gli interventi che Intende mettere in atto nei confronti degli alunni Con esigenze didattiche particolari
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personalizzato redatto entro il primo trimestre scolastico dai docenti e dalla famiglia
contenuto Dati anagrafici Tipologia di disturbo AttivitĂ didattiche individualizzate AttivitĂ didattiche personalizzate Strumenti compensativi utilizzati Misure dispensative adottate forme di verifica e valutazione personalizzate
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8.1 Cos’è il PDP Il Piano Didattico Personalizzato è un documento elaborato dai docenti che permette agli studenti DSA (e alla maggior parte degli studenti BES) di usufruire di un programma mirato e specifico; lo scopo del PDP è facilitare la piena integrazione di questi ragazzi e aiutarli a raggiungere gli obiettivi previsti dal programma scolastico. Il PDP affonda le radici nell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n.59, il quale affida alle scuole il compito di «concretizzare gli obiettivi nazionali in percorsi formativi funzionali tesi alla realizzazione del diritto di apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni»; devono essere riconosciute e valorizzate le diversità, promosse le potenzialità di ciascuno attraverso l’adozione di tutte le iniziative utili al raggiungimento del successo formativo. Oggi sono in vigore la legge 170/2010 e i suoi decreti attuativi, e viene indicato un percorso per la realizzazione pratica del Piano Didattico Personalizzato. Per orientarci meglio, analizziamo le singole parole che compongono la dicitura. Piano. È uno «studio che mira a predisporre un’azione in tutti i suoi sviluppi»: un programma, un progetto, una strategia. Didattico. Lo scopo della didattica è il miglioramento dell’efficacia e soprattutto dell’efficienza dell’apprendimento dell’allievo; comporta, quindi, una diminuzione dei tempi di studio e del dispendio di energie, mira all’efficacia e all’efficienza 88
dell’insegnamento del docente. Personalizzato. Indica la diversificazione delle metodologie, dei tempi, degli strumenti nella progettazione del lavoro della classe in relazione alle necessità di ogni alunno DSA o BES (DM 5669/2011 e annesse Linee Guida MIUR). L’obiettivo della personalizzazione è far raggiungere agli alunni con difficoltà i medesimi obiettivi degli altri attraverso itinerari diversi. IL PDP deve essere redatto dal team dei docenti annualmente, dopo aver acquisito la diagnosi funzionale. Le voci che deve contenere sono le seguenti: - - - - - - -
dati anagrafici dell’alunno tipologia del disturbo attività didattiche individualizzate attività didattiche personalizzate strumenti compensativi personalizzati misure dispensative utilizzate forme di verifica e di valutazione.
Un PDP non deve essere considerato un adempimento burocratico, ma uno strumento di pianificazione. Deve essere valutato in termini di efficacia, deve funzionare, ossia deve essere idoneo al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Il Piano Didattico Personalizzato deve fornire indicazioni significative, realistiche, coerenti, concrete e verificabili. Indicazioni significative: il piano deve individuare solo le attività o le modalità di insegnamento importanti. Indicazioni realistiche: bisogna porre attenzione ai vincoli ed evitare promesse che non si possono mantenere o prevedere prestazioni 89
che l’alunno non sarà mai in grado di offrire. Indicazioni coerenti: è necessario evitare contraddizioni o difformità tra le varie discipline e/o i vari insegnanti. Indicazioni concrete e verificabili: tutto quello che viene inserito nel PDP deve avere un riscontro, cioè deve essere concretamente effettuato. Affinché un Piano Didattico Personalizzato sia realmente efficace l’insegnante deve osservare, individuare e segnalare: solo se conosce gli alunni può realmente fare qualcosa per includerli.
8.2 I compiti del docente Le Linee Guida precisano che il docente deve: - seguire con particolare cura le prime fasi degli apprendimenti strumentali, facendo attenzione ai segnali di rischio; - mettere in atto strategie di potenziamento, realizzare azioni di supporto compensativo e dispensativo; - segnalare alla famiglia la persistenza delle difficoltà; - redigere il piano didattico individualizzato e personalizzato sulla base della documentazione diagnostica presentata alla scuola dalla famiglia; - far crescere nell’alunno la fiducia in sé e nelle proprie capacità; - creare un contesto di lavoro motivante ed 90
equilibrato; - adottare adeguate e coerenti modalità di verifica e valutazione; - curare i momenti di continuità nel passaggio da un ordine di scuola all’altro. Uno spazio importante all’interno del PDP è quello dedicato agli strumenti compensativi e dispensativi, cioè alle strategie mirate e individuali calibrate su ogni singolo alunno per raggiungere il successo didattico. Scuola e famiglia devono coordinarsi affinché tali strumenti vengano usati in modo coordinato tra casa e scuola. Una copia del PDP deve essere consegnata alla famiglia dello studente; in questo modo è possibile attivare le indispensabili sinergie tra l’azione della scuola, l’azione della famiglia e quella dell’allievo (il quale ha il diritto di essere informato sulle modalità di apprendimento e studio a lui più idonee). È importante alimentare l’idea che anche per i ragazzi con DSA è possibile costruire un progetto scolastico e di vita di successo: l’alleanza educativa tra gli adulti favorisce la crescita totale dei ragazzi. Non dimentichiamo però che il principale protagonista è l’alunno, il quale non deve sentirsi accerchiato da questa “alleanza educativa di insegnanti e genitori”, ma deve sentirsi amorevolmente aiutato.
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9. I FATTORI EMOTIVO-RELAZIONALI IMPLICATI NELL’APPRENDIMENTO. L’IMPORTANZA DELLA RELAZIONE INSEGNANTE-ALUNNO
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Quali sono le possibili conseguenze emotive e relazionali a cui un alunno DSA non correttamente sostenuto potrebbe andare incontro? L’incapacità di superare le difficoltà scolastiche porta indubbiamente ad una valutazione negativa di sé stessi. Nel caso “migliore” l’alunno svilupperà una scarsa autostima; nel caso peggiore manifesterà aggressività soprattutto verso i suoi coetanei e dunque problemi nell’instaurare sane relazioni esterne. In tutti i casi è meglio intervenire al più presto. Una relazione buona e significativa è la cornice indispensabile per l’apprendimento. Se la relazione è carente e disturbata, i successivi livelli di azione sono compromessi e il disagio che si crea può portare allo sviluppo di problemi emozionali anche gravi. Se una relazione è buona si è sempre più motivati ad arricchirsene - anche se, come ricorda Canevaro, una sana relazione si fonda sul tempo, sulle occasioni e sugli incontri ripetuti. Bisogna lavorare sui punti di resistenza (come la resistenza all’apprendimento, la resistenza verso l’altro, ecc.) che un ragazzo con difficoltà presenta e che cambiano di soggetto in soggetto. Si deve cercare di instaurare una relazione quanto più efficace e fiduciaria possibile attraverso alcune aree di attenzione specifiche: - l’alunno deve essere accettato incondizionatamente, con le sue capacità, le sue competenze e il suo stato di salute; - il suo operato non deve essere valorizzato soltanto quando risponde alle aspettative degli insegnanti, ma ogni volta che ha comportato impegno, dedizione e volontà; 94
- l’alunno deve essere ascoltato attivamente e deve essere favorita l’empatia. Non è sempre facile la comunicazione con un alunno disabile, specie se sono compromesse proprio le funzioni del linguaggio. Ci sembra di non capire benissimo o di non capirli affatto, per questo spesso blocchiamo la conversazione sul nascere. L’ascolto attivo è attesa, ascolto silenzioso, è trattenersi da schematizzazioni rigide e interpretazioni frettolose, è aprirsi ai diversi linguaggi sia verbali che paraverbali dell’alunno. È indispensabile rilevare il grado di coinvolgimento, prestare attenzione ai linguaggi espressivi e ai comportamenti (anche a quelli apparentemente meno comunicativi). L’equivoco più comune in cui ci si imbatte a proposito dell’empatia è quello di intenderla come simpatia, compassione, gioire o soffrire insieme. L’empatia, invece, va intesa come la capacità di «sentire l’altro». Un insegnante empatico riesce a comprendere l’emozione dell’alunno che gli sta vicino, e comprendere non significa giustificare, né spiegare razionalmente. L’insegnante empatico regola gli stati d’animo e offre un conforto, anche etichettandoli verbalmente. Un docente che dice: «Sei proprio arrabbiato!», «Mi sembri triste, sfiduciato», «Credi di non farcela?» si allea con il vissuto dello studente. Per educare bisogna partecipare con energia al processo educativo. Bisogna guidare l’alunno e aiutarlo a diventare autonomo, «aiutarlo a fare da solo» come diceva Maria Montessori; questo significa guidare e offrire il proprio sostegno all’alunno senza però dimenticare di favorire progressivamente la sua autonomia. 95
Un altro compito importantissimo dell’insegnante è quello di favorire le relazioni tra gli alunni DSA e il resto della classe, poiché spesso vengono isolati (e ciò può portare a danni irreversibili). Pertanto è bene preferire attività più strutturate, che mirino ad un apprendimento cooperativo: ne sono un esempio le attività di tutoring. È fondamentale che il disturbo sia accettato dal bambino affinché anche la famiglia possa accoglierlo serenamente. I genitori, inoltre, con la loro presenza serena e costante, possono aiutare il figlio ad esprimere al meglio le sue potenzialità e le sue competenze.
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10. ESPERIENZE PERSONALI RIPORTATE DAI DOCENTI
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10.1 Emilio Prime impressioni. Lo scorso ottobre ho cominciato, per la prima volta, una bellissima esperienza come insegnante di sostegno in una scuola secondaria di primo grado. Poco dopo aver conosciuto il ragazzo, che per riservatezza chiamerò con il nome di fantasia Emilio, si è creato fra di noi un buon rapporto di fiducia, nonostante la descrizione del suo carattere e dei suoi disturbi fatta dai docenti della scuola primaria non desse troppe speranze sotto questo punto di vista. Il ragazzo veniva descritto, soprattutto, come violento con compagni e insegnati. Fortunatamente, durante il primo periodo in cui sono stata con lui, non ho mai constatato il verificarsi di atteggiamenti simili né verso i coetanei né verso i professori. L’alunno, infatti, ha subito instaurato un buon rapporto con i compagni, molti dei quali li conosceva fin dalla prima infanzia. Con loro scherzava tranquillamente durante l’intervallo e purtroppo, spesso, anche durante le lezioni. Ho notato però che man mano che passavano le settimane, Emilio tendeva a diventare sempre più esuberante e “fisico” nel suo modo di relazionarsi con i coetanei, soprattutto durante l’intervallo. A volte infatti i giochi potevano risultare un po’ violenti: fingeva di dare pugni e calci, o si buttava a terra facendo finta di aver subito uno sgambetto. Anche durante un’uscita didattica a teatro era stato necessario richiamare numerose volte l’alunno perché si tranquillizzasse e smettesse di dare spinte ai compagni e di reagire alle loro provocazioni. 100
Probabilmente il primo periodo nella scuola e nella classe nuova era servito a osservare l’ambiente e a capire come poteva comportarsi, e quali rischi avrebbe potuto correre. Il ragazzo, infatti, non ha un deficit intellettivo, anzi dal punto di vista del QI è pienamente nella norma ed è assolutamente cosciente di quali atteggiamenti siano giusti e quali sbagliati in determinati contesti. Il fatto che il ragazzo abbia un QI nella norma risponde alle prerogative perché egli possa essere considerato un alunno con disturbi specifici di apprendimento. La situazione familiare Come dichiarato nell’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF) redatta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2001, la disabilità non è una caratteristica dell’individuo, ma il frutto di una complessa interazione di condizioni - molte delle quali create dall’ambiente in cui le persone vivono. Questa affermazione descrive pienamente la vicenda di Emilio: dopo un primo matrimonio dalla quale erano nati due bambini, la madre dello studente si era riaccompagnata con un giovane Senegalese – il padre di Emilio – che, 3 anni dopo la nascita del bambino, li aveva abbandonati per non tornare mai più. Il dolore del figlio per l’assenza del padre aveva creato sicuramente dei grossi interrogativi e della confusione nella mente del piccolo, che poco dopo scelse il nonno come figura paterna. Purtroppo, qualche anno più tardi venne a mancare anche questo secondo importante riferimento, e tanti problemi di Emilio sono derivati proprio da questa situazione creatasi attorno a lui.
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La diagnosi e il trattamento di Emilio Nello specifico, nel dicembre del 2014 sono stati diagnosticati ad Emilio i seguenti disturbi: Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (DDAI), Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) e Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA). Emilio è stato in trattamento per un anno – terminato a settembre 2015 – presso un istituto di Pisa, dove aveva seguito una terapia di gruppo sul modello americano (consistente nel raggruppare pochi ragazzi con problemi simili). In contemporanea, anche la madre partecipava agli incontri previsti insieme ai genitori degli altri ragazzi. Emilio faticava a concentrarsi e a partecipare al lavoro di gruppo; infatti, al termine della terapia, poiché gli obiettivi prefissati non risultavano pienamente raggiunti, Emilio ha cominciato ad essere seguito individualmente (da novembre fino a giugno dell’anno successivo). Il carattere più grave del suo quadro clinico era, e resta tuttora, l’impulsività. Nell’ultimo incontro con il medico che ha seguito Emilio, avvenuto nel dicembre 2016, egli consigliava di portare avanti un trattamento psicoterapeutico affiancato ad un trattamento farmacologico. A partire dal 25 febbraio 2017 il ragazzo ha cominciato ad assumere il farmaco prescritto e, se gli effetti rilevati saranno esclusivamente positivi, l’alunno resterà coperto dal farmaco. Le capacità attentive Per quanto riguarda il comportamento in classe e il rendimento scolastico dell’alunno, i docenti erano concordi sul fatto che le sue capacità di comprensione scritta e orale fossero buone; inoltre il ragazzo si impegnava molto nei compiti da svolgere a 102
casa e veniva a scuola quasi sempre preparato e con il materiale necessario. Purtroppo, però, le capacità e i tempi di focalizzazione dell’attenzione sul compito erano sempre ridotti: l’alunno necessitava spesso di richiami per tornare a svolgere il proprio compito o per seguire la spiegazione, in silenzio. Una delle caratteristiche dei ragazzi DSA è la difficoltà a mantenere la concentrazione su un compito, in quanto non riescono a selezionare gli impulsi che arrivano dall’esterno; siamo infatti costantemente “investiti” da stimoli sensoriali differenti: l’attenzione è proprio l’abilità che ci permette di selezionare gli stimoli più importanti e opportuni in quel momento, escludendo ogni altro sentimento, percezione o pensiero. Le misure compensative e dispensative Inizialmente il ragazzo rifiutava l’utilizzo degli strumenti dispensativi e compensativi (eccetto la calcolatrice, che ha sempre accettato volentieri), affermando di non averne bisogno. Un giorno, ad esempio, l’insegnante di lettere passava tra i banchi a consegnare dei libri per ragazzi con disturbi specifici di apprendimento a tutti gli alunni che ne avevano bisogno (c’erano 5 ragazzi con DSA nella classe di Emilio), e spiegò che vi avrebbero potuto trovare dei testi scritti con carattere un po’ più grande. Lui rispose che non ne aveva bisogno perché ci vedeva bene. Dopo aver insistito un pochino, accettò di prendere il libro, che però non utilizzò mai. Anche in un’altra occasione Emilio rifiutò l’aiuto a cui aveva diritto secondo quanto stabilito nel PEI (Piano Educativo Personalizzato): durante la verifica di comprensione del testo di italiano, l’insegnante mi chiese di portare fuori dalla classe gli alunni dislessici per leggere loro ad alta voce il testo; poi saremmo 103
tornati tutti in classe e i ragazzi avrebbero risposto alle domande autonomamente. Tutti i ragazzi dislessici vennero volentieri fuori con me, tranne Emilio che affermò di non averne bisogno. Col tempo, però, le cose cambiarono: dopo circa un mese, durante i compiti in classe Emilio iniziò ad accettare, e anzi a richiedere l’utilizzo degli schemi fatti a casa. Il disagio psicologico di Emilio Tutti gli atteggiamenti di Emilio rivelano la sua paura di essere giudicato “diverso” dai compagni. Il periodo della scuola media comprende, infatti, gli anni più difficili e delicati. Non a caso gli psicologi definiscono l’adolescenza come una specie di seconda nascita: essa rappresenta un periodo di cambiamento fisico, sociale, intellettuale e morale. Il ragazzo deve imparare a ragionare “da adulto”, a rendersi sempre più autonomo nei confronti dei genitori, comincia a provare sentimenti più importanti verso l’altro sesso e desidera fare parte in modo attivo di un gruppo di amici. Il coronamento del processo di socializzazione attraverso la partecipazione alla vita del gruppo di coetanei è di vitale importanza per preadolescenti e adolescenti. Il ragazzo in questo periodo non fa più ciò che è “giusto” secondo i parametri della mamma, ma ciò che è “giusto” secondo il proprio giudizio. Tutto ciò crea nell’intimo dell’adolescente una situazione di incertezza e disagio psicologico e sociale. Per superare tale situazione, spesso il ragazzo tende a mettere sé stesso al centro dell’universo e ad adottare comportamenti che lo facciano sentire accettato all’interno di un gruppo di amici - anche a costo di ricevere un giudizio negativo da parte dell’insegnante o dell’adulto in generale. Il gruppo di amici coetanei diventa luogo di confronto 104
per verificare la propria autostima, insieme alle esperienze di successo e di fallimento. Con gli amici l’adolescente sente di contare come persona, e di poter discutere alla pari di problemi che sono comuni agli altri; questo gli dà motivo di rassicurazione. Tutto ciò vale anche per i ragazzi disabili, per i quali diventa fondamentale, a partire da questo periodo, la possibilità di far parte di un gruppo. Emilio, fortunatamente, non ha gravi problemi; anzi, al di fuori del contesto scolastico sembra assolutamente un ragazzo “normale”: sveglio, intelligente, simpatico, sportivo. Il fatto di avere l’insegnante di sostegno a scuola può causare in lui un disagio interiore, soprattutto nel contesto di una scuola di un piccolo paese, dove molti dei compagni di classe delle medie sono gli stessi delle elementari, e magari sono anche quelli che giocano nella stessa squadra di calcio il pomeriggio. Proprio questo fatto ha creato un piccolo inconveniente con un compagno che fa sport con lui: Emilio è bravo a calcio, per cui in questo contesto ai compagni di squadra non sembra “disabile” o “diverso”; in classe, però, notano che gli insegnanti lo trattano in maniera un po’ differente rispetto agli altri alunni. Forse anche per questo motivo Emilio rifiutava gli aiuti che gli venivano concessi nel PEI (interrogazioni programmate, compiti diversificati rispetto al resto della classe, libri ausiliari e schemi per semplificare il lavoro).
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10.2 L’esperienza di suor Raffaella Come tutti noi sappiamo, la presenza di alunni con DSA nelle nostre classi fa ormai parte della quotidianità. Grazie al confronto giornaliero con le persone con DSA, noi insegnanti abbiamo avuto l’opportunità di cambiare il nostro modo di valutare i processi di apprendimento e di migliorare la nostra capacità didattica. In passato, però, la situazione era diversa. Sono ormai molti anni che insegno nella scuola primaria, e posso assicurarvi che non è stato facile comprendere che alcuni comportamenti dei miei alunni erano il campanello d’allarme di una difficoltà. Osservando questi bambini notavo che, mentre al di fuori della scuola si mostravano vivaci, socievoli e allegri, in classe diventavano pigri, riluttanti all’impegno e talvolta capricciosi. In me scattava la classica domanda: «Possibile che questo bambino debba essere così svogliato?», e iniziava la serie interminabile di rimproveri (che chiaramente non sortivano alcun effetto). Quando mi trovavo a correggere i loro compiti, questi erano pieni di errori ortografici; quello che mi lasciava assolutamente stupita era che quegli stessi errori li avevamo corretti almeno mille volte, rivisti insieme e consolidati con decine di schede di ortografia! Possibile?! Cercavo in ogni modo di evitare il rimprovero continuo, perché sono certa che nessuno può migliorare sapendo che chi gli è intorno non ha fiducia in lui - ma comunque la situazione non migliorava. Anche la lettura sembrava compromessa: sillabica, non scorrevole spesso con parole completamente errate. Non riuscivano neanche a comprendere il testo, ad organizzare le idee e a scriverle in 106
maniera ordinata. Alcune volte il confronto con le famiglie non aiutava molto, perché ci si ritrovava a parlare solo di ciò che non andava e non si prospettavano possibili soluzioni. Poi un giorno, all’ennesimo corso d’aggiornamento, ci parlarono della dislessia. Forse quel bambino non era svogliato. Cominciai a farmi delle domande, a cercare delle risposte non approssimative, a riguardare quei compiti con occhi nuovi. Certamente la teoria mi aiutava a dare un margine al problema, ma dovevo trovare una strada didattica per metterla in atto. Ho cominciato ad elencare le difficoltà che ogni giorno riscontravo: - difficoltà nella memorizzazione dei giorni della settimana, dei mesi, delle tabelline; - difficoltà attentive e di concentrazione; - lettura lenta e scorretta; - errori di ortografia ricorrenti e resistenti alla correzione; - comprensione del testo ridotta; - problemi di memoria a breve termine; - lentezza a scrivere soprattutto se si deve copiare dalla lavagna (spesso venivano omesse parole e righe). Ho così iniziato a fornire a questi bambini delle schede che contenevano tutte le cose che inizialmente avevo chiesto di memorizzare (mesi, giorni, tabelline), e li lasciavo liberi di consultarle al momento del bisogno. Questo ha sortito subito due effetti: uno positivo sulla didattica e uno negativo sul bambino, che invece di sentirsi gratificato si è sentito penalizzato agli occhi dei compagni. Come risolvere il problema? Confrontandomi con 107
il team docente, mi sono resa conto che gran parte delle difficoltà erano riscontrate da tutti gli insegnanti; abbiamo così pensato di richiamare le famiglie per concordare assieme delle strategie che, se non potevano arrivare alla diagnosi da parte della ASL (perché questo non sempre è possibile), potessero almeno sostenere i ragazzi. Il passo successivo è stato quello di aiutare i bambini ad accettare le proprie difficoltà, facendo loro capire che tutti noi capivamo perfettamente i loro problemi, senza compatirli, ma indicando una strada facilitante per affrontarli. Non è stato facile, ma, gradualmente, abbiamo visto attenuarsi tutti quei sentimenti di rabbia, frustrazione ed ansia che avevano spesso compromesso anche i risultati scolastici. Sul piano didattico la collaborazione con i colleghi si è rivelata preziosissima, in quanto ciascuno, nel suo ambito, ha portato avanti una serie di interventi perfettamente coerenti al raggiungimento di un fine comune. Per quel che mi riguarda inizialmente, come sarà accaduto a chiunque faccia il mio lavoro, le soluzioni sono state soprattutto empiriche: progettavo qualcosa, la sperimentavo e se funzionava diventava buona pratica - ad esempio ho iniziato a scrivere alla lavagna in stampatello maiuscolo utilizzando colori diversi ad ogni riga e lasciando il testo finché tutti non avessero copiato; ho perso (anche se non del tutto) l’abitudine di rimproverare gli alunni per la brutta grafia, anche se continuo a pretendere compiti ordinati; non correggo più con la penna rossa gli errori di ortografia, ma li cerchio con la matita e lascio che sia il ragazzo a correggerli. Per quanto concerne la valutazione, soprattutto nei testi scritti, rivolgo la mia attenzione al contenuto tralasciando gli errori ortografici. Assegno meno compiti preferendo la qualità alla quantità. 108
Un momento “critico” è stato quello della verifica: come aiutare i ragazzi senza mortificarli agli occhi dei compagni? Come arginare le domande degli altri studenti (tra cui: «Perché li aiuti e a noi no?»)? Dopo essermi consultata con le famiglie e con gli altri insegnanti ho preso la decisione di parlare ai ragazzi dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento, di spiegare con degli esempi le difficoltà che vengono riscontrate dagli alunni con questi disturbi e quale aiuto può essere proficuo. Devo ammettere che la risposta della classe è stata sorprendente! I compagni, con i loro modi spontanei, hanno preso in carico il problema e ogni qual volta se ne presentava l’occasione svolgevano un tutoraggio per aiutare i compagni DSA nella scrittura o nella lettura. Così facendo il momento della verifica non era più un problema emotivo, ma solo un problema didattico - che ho affrontato proponendo diverse formule che hanno avuto riscontri positivi. Premesso che dare maggior tempo non sempre si è rivelato garanzia di migliore risultato, perché spesso il bambino per non sentirsi avvantaggiato consegna il proprio compito insieme agli altri, ho scelto di suddividere gli esercizi in modo che gli allievi dovessero risolvere una consegna per volta. Solitamente facevo precedere l’esecuzione da una chiara spiegazione su come dovesse essere svolto l’esercizio, anche con degli esempi. Nelle verifiche di comprensione cercavo di favorire le risposte a crocette o vero falso o richiedevo risposte brevi. Se la verifica riguardava un argomento complesso o lungo, la predisponevo in due parti da svolgersi in tempi diversi (modalità assolutamente efficace, perché permette di mantenere gli obiettivi prefissati e di non semplificare la verifica). Dato che gli alunni con DSA non richiedono una didattica speciale, tutti questi accorgimenti hanno permesso il conseguimento di risultati 109
migliori anche al resto della classe, favorendo un clima di serena cooperazione e crescita individuale e di gruppo. È sempre importante programmare le interrogazioni e, durante le stesse, far usare al bambino degli schemi che ha preparato e su cui ha studiato. Credo che avere in classe degli alunni con DSA debba essere considerata da ogni insegnante una grande risorsa, in quanto questi ragazzi ci permettono di tornare ad essere allievi e di reimparare a mettere in campo tutte le nostre risorse per arrivare al risultato migliore. Concludendo vorrei riportare una frase di Albert Einstein (dislessico, appunto), che credo che ognuno di noi debba ripetersi giornalmente e non solo di fronte ad alunni con DSA: «Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà l’intera vita a credersi uno stupido».
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10.3 Quando lavorare assieme è un successo Premessa La difficoltà di apprendimento non ha basi fisiologiche: ha un carattere transitorio e può essere imputata a determinate situazioni di svantaggio socio-culturale che possono interferire con un’adeguata istruzione. Può altresì essere dovuta a metodologie poco efficaci (che non riescono ad “arrivare” all’alunno) e/o ad un certo grado di immaturità. Quando le difficoltà diventano severe o particolarmente significative si parla di disturbi dell’apprendimento (riconosciuti dalla Legge 170 del 2010 e chiamati anche learning disabilities): con questa denominazione si indica un importante deficit comprovato da uno specifico procedimento clinico in riferimento ad una precisa categoria diagnostica. È una tipologia di disturbo che si riferisce ad un gruppo eterogeneo di problematiche legate allo sviluppo cognitivo e dell’apprendimento scolastico. I disturbi specifici dell’apprendimento hanno carattere innato (dipendono cioè da fattori congeniti) e resistono, pur migliorando, all’intervento esterno - seppur mirato. I DSA possono coesistere con problemi legati al comportamento, alle relazioni sociali e alle comunicazioni; possono avere un esordio in concomitanza con altri fattori di handicap o con altre influenze esterne (condizioni sociofamiliari particolari) senza esserne il risultato o la conseguenza. È importante sottolineare che sono disturbi circoscritti ad una sfera specifica di abilità (principale caratteristica della loro definizione) e non vanno ad intaccare il funzionamento intellettivo generale, quindi rimangono esclusi i disturbi neurologici gravi per i quali si 111
necessita di certificazione. I disturbi specifici dell’apprendimento si manifestano nella sfera dell’ascolto, della comunicazione, della capacità orale, della lettura, del ragionamento e della matematica; perdurano nel tempo e, benché relazionati con la maturazione biologica e soggetti a variazione nel tempo, persistono in modo più o meno importante fino all’età adulta. La tempestività e la tipologia degli interventi educativi e riabilitativi rappresentano sicuramente uno dei metodi più efficaci per arginare l’evolversi di questa tipologia di disturbi. Altri strumenti validi ai fini di favorire un apprendimento adeguato e di successo per il ragazzo sono le misure compensative (dall’uso della calcolatrice per i discalculici al programma di video-scrittura per i disgrafici e i disortografici) fornite dagli insegnanti come strade alternative per raggiungere gli stessi obiettivi della classe. L’alunno potrà indubbiamente aiutarsi mettendo in pratica tecniche mirate propostegli o altri atteggiamenti “strategici” messi a punto da lui stesso. La presenza di DSA ha ripercussioni non solo sull’apprendimento, ma anche,di conseguenza,sulla resa scolastica - che fisiologicamente non può che incidere notevolmente sulla personalità e sulle relazioni sociali del ragazzo, il quale si sentirà in colpa per non riuscire a soddisfare le aspettative dei genitori, si sentirà giudicato, un insuccesso della famiglia. Il tutto rafforzato, magari, da un inesorabile quadro negativo dipinto dall’insegnante (uno o più di uno) sul suo rendimento scolastico: «Non riesce, non si applica, non si impegna abbastanza, è incostante…». Va da sé che inizia a manifestarsi nel soggetto un atteggiamento di sconfitta e di chiusura che potrebbe sfociare in atteggiamenti di insofferenza, di rabbia, di ribellione. Quindi, la lettera D dell’acronimo DSA, oltre ad indicare i quattro 112
disturbi specifici di apprendimento, dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia, può indicare anche disabilità, difficoltà, differenza e, perché no, desolazione… Più sfere appartenenti ad una stessa realtà. Come già detto, l’azione dell’insegnante svolge un ruolo fondamentale per aiutare il ragazzo con DSA. Se da un lato, infatti, gli interventi tecnici mirati, soprattutto se iniziati presto, mitigano gli effetti negativi del disturbo, l’azione costruttiva dell’insegnante è preziosa sia dal punto di vista dell’apprendimento sia da quello affettivo relazionale. La presenza di un deficit specifico non deve precludere il corretto inserimento e la partecipazione attiva del ragazzo nel contesto “classe”, né tantomeno l’umana e naturale integrazione tra i compagni (salvo casi più gravi di handicap nei quali si rende necessaria la mediazione di un professionista tra il ragazzo e la realtà in cui è immerso). Accettare la “diversità” come una caratteristica individuale e non vederla solo come un qualcosa di “sbagliato”, un incidente o una “disgrazia”, equivale al senso di rispetto per la persona. Se poi, dopo l’accettazione, si fa un successivo passo con la comprensione (nel senso di comprendere, prendere assieme, farne parte, includerla nella propria sfera umana comprensiva e sensoriale), si crea il contesto ideale per un successo formativo e personale del ragazzo all’insegna dell’inclusione sia didattico-educativa sia umana. Episodio specifico B.G. era un’alunna molto ben inserita nel contesto della classe; aveva un buon rapporto con quasi tutti i componenti e relazioni amicali strette con un paio di coetanee. Dal punto di vista dell’inclusività, relativamente alla sfera sociale ed affettiva, B. non ha mai manifestato malesseri di alcun tipo. B. aveva una diagnosi di 113
DSA riferita alla dislessia. Nonostante questo disturbo, evitava le misure dispensative. B. assumeva un atteggiamento assolutamente positivo, determinato e combattivo di fronte al proprio disturbo. Solo in qualche occasione si lasciava andare ad una momentanea parentesi di delusione, ma mai di rinuncia. Chiaramente questo ha semplificato molto il lavoro didattico permettendo agli insegnanti di concentrarsi non tanto sull’accettare/far accettare una criticità quanto sulla creazione di misure per lo studio ad hoc: le mappe concettuali e i riassunti (nelle materie che lo consentivano). Si trattava per noi di suggerire diversi metodi per la sintesi e per il riconoscimento delle nozioni più importanti, per lei di capire quello più adatto alle sue esigenze. Per B. sono stati attuati diversi approcci didattici: didattica per concetti, didattica metacognitiva, il cooperative learning (utilizzato comunque per tutti gli alunni), oltre ovviamente alla didattica lineare con feedback a fine lezione. La lezione classica frontale per B. costituiva una difficoltà: nonostante gli sforzi ammirevoli di prendere appunti e seguire, veniva trascinata, a volte passivamente, dalla lezione che per lei, dopo un po’, si traduceva in un fiume di parole che le sfuggiva sia dalla mano che dalla testa. Ciò che la entusiasmò e la fece sentire attivamente partecipe e utile fu il cooperative learning, sia in aula sia come lavoro di ricerca al computer. Non solo riceveva spunti e assorbiva dai compagni i diversi modi di affrontare il tema o la prova, ma addirittura riusciva a dare qualcosa al suo gruppo, con le sue domande, con le sue riflessioni, con i suoi ragionamenti, con il risultato che i compagni la cercavano proprio per la tipologia di meccanismi che metteva in atto. B, in questo caso, era protagonista del suo percorso: responsabile, partecipativa e soprattutto entusiasta, consapevole di potercela fare. Questo 114
metodo si è mostrato così efficace che l’ho utilizzato anche per l’esercitazione alla prova finale Invalsi. Per quanto riguarda la didattica metacognitiva B. manteneva una posizione intermedia tra l’assorbimento passivo e l’apprendimento attivo. Aveva difficoltà nell’afferrare i concetti chiave, sia (e soprattutto) durante la lezione lineare, sia durante la lezione dinamica con schemi alla lavagna e interazione con gli alunni. B. era predisposta alla collaborazione, al confronto attivo, a capire, quindi mi confrontai con i colleghi e, in vista delle verifiche o delle interrogazioni, oltre a estratti semplificati del testo, le creai delle mappe concettuali discutendo con lei i criteri di stesura o realizzazione. Se da un lato subì passivamente la mia azione, che per quanto morbida fu comunque una traduzione del mio pensiero («cosa»), dall’altro riuscì attivamente a farla sua, a rielaborarla secondo il suo modo di apprendere («come»). E qui si avviò fisiologicamente una didattica metacognitiva in quanto lei decideva «come» apprendere, perché il «cosa», volente o nolente, lo lasciava di buon grado alla scrematura dell’insegnante. Il riassunto lo segmentava e lo ricostruiva secondo un suo ordine (pertinente al testo) e decideva come esporre, tempistica compresa. Anche in questo caso B. affrontava l’interrogazione o la verifica con un’emotività controllata, in piena autonomia sia sugli strumenti in suo possesso, sia su come utilizzarli.
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10.4 ... E in questo caso? A volte sembra che il sistema elargisca le certificazioni con troppa semplicità, che abbia perso il senso delle proprie responsabilità. È il caso di un alunno la cui madre venne al colloquio ed esternò seri dubbi non tanto per il destino scolastico del figlio, quanto per una diagnosi di DSA che per lei era ingiustificata; la donna riteneva la certificazione una scorciatoia o un alleggerimento del carico scolastico voluto dal padre per il figlio. Non si trattava di una madre che non voleva vedere le difficoltà nel figlio, anzi, forse non era andata poi così lontano dalla realtà. Il figlio, infatti, era un alunno svogliato, incline a saltare le verifiche con assenze mirate, non collaborativo nonostante le misure compensative e dispensative a cui aveva diritto, molto spesso chiuso di fronte a qualsiasi azione di mediazione e di collaborazione. Era un alunno che attivava le proprie capacità quando aveva “voglia” o quando sentiva la promozione in discussione: in queste situazioni superava senza alcuna difficoltà le prove, con risultati di gran lunga migliori rispetto a quelli dei compagni normodotati. Ciò destava motivate perplessità negli insegnanti che, nell’attuare le misure previste dal PDP nel rispetto della diagnosi di DSA, riconoscevano non tanto di svolgere il proprio lavoro, quanto piuttosto di commettere una “ingiustizia” nei confronti del resto della classe e di quei ragazzi che effettivamente necessitavano di qualche strumento umano e didattico ulteriore.
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CONCLUSIONI
Sono ormai tanti gli studenti che presentano disturbi specifici dell’apprendimento. Spesso, però, coloro che sono impegnati a vigilare (gli insegnanti) non possiedono le conoscenze adeguate che consentano loro di capire il problema e di intervenire tempestivamente. In questo percorso abbiamo visto che l’intervento mirato per favorire l’inclusione del ragazzo con DSA e il supporto adatto all’interno dell’ambiente scolastico e della società è di fondamentale importanza. Agli insegnanti spetta quindi l’arduo ma appagante compito di strutturare l’ambiente scolastico in modo tale da permettere a ciascun alunno di continuare la propria storia, di ampliare il proprio bagaglio di conoscenze e di rafforzare la fiducia in sé stesso. Il compito dell’insegnante è valorizzare la diversità di ognuno e rispondere ai diversi bisogni di ciascuno; per farlo deve svolgere un attento lavoro di osservazione e valutazione e sviluppare una programmazione flessibile per garantire un’istruzione qualitativa migliore. Il percorso è ancora lungo e complesso, ma noi crediamo nelle possibilità e nell’impegno di ciascuno.
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