MANDORLATO (DI) COLOGNA
REGIONE VENETO
UNIRSM-IUAV Corso di laurea magistrale in Design
Critica del design contemporaneo Anno accademico 2014/2015 • Collana Food design in Italia A cura di Malvina Quartana • Docente Alberto Bassi
MANDORLATO (DI) COLOGNA REGIONE VENETO
Progetto grafico ALEX ALESSI
UNIRSM-IUAV Corso di laurea magistrale in Design Critica del design contemporaneo Anno accademico 2014/2015 • Collana Food design in Italia A cura di Malvina Quartana • Docente Alberto Bassi 
INDICE LE CITTÀ Cologna Veneta Lonigo
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LA STORIA DEL MANDORLATO Il Mandorlato 2.1 Le Origini 2.2 Come si prerare 2.3 La zona di produzione
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L’AZIENDA Leonida Cestaro, il mandorlato secondo tradizione
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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA Bibliografia Sitografia
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LE CITTÀ
COLOGNA VENETA Pochi altri centri periferici del territorio veronese possono vantare una tradizione ed una struttura “cittadina” come Cologna Veneta. Città di Cologna dunque, e non paese, come i suoi abitanti amano del resto definirla e com’ebbero in passato a sottolineare anche i vari scrittori di cose nostrane che di questo borgo murato, ai confini fra le terre vicentine e veronesi, ci lasciarono detto qualcosa: “né mancano a lei memorie onorate - così a tal proposito il Da Persico - perché città meritò di essere nominata e tenuta da magistrati e da scrittori diversi”. Cologna è oggi un grosso Comune che riunisce attorno a sé alcuni dei tanti vecchi e gloriosi comuni rurali che un tempo, pur dotati di relativa autonomia, le erano soggetti: Baldaria, Sabbion, Sant’Andrea, Spessa, Strà, dove la storia - anche quella con la esse maiuscola - è pur di casa, per via di ragioni strategiche ma altresì per la fertilità dei suoli, giusta un’altra osservazione del Da Persico: “fertilissima è poi la colognese campagna, sì che un suo campo ne dà di pregio e di frutto, quasi come tre de’ nostri, non però de’ migliori”. Un momento di grande splendore per Cologna dovette verificarsi in epoca medioevale, quando la cittadina venne dotata di belle mura, con rocca e torri merlate, i resti delle quali si possono qua e là ancora ammirare pur dopo le distruzioni, abbastanza
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Mandorlato (di) Cologna
massicce, verificatesi in varie occasioni, non ultima per la costruzione del Duomo neoclassico, anch’esso gloria dei colognesi, eretto su disegni degli architetti veneziani Antonio Selva e Antonio Diedo, allievi del Canova e professori dell’Accademia delle Belle Arti della città lagunare. Ancora murata vide Cologna Marin Sanudo, nel suo itinerario per la terraferma veneziana compiuto nell’anno 1483:
“Cologna - egli scrive - è piccola molto murata da mura antiche et vecchie. A’ porte do: la Veronese, et Cremonese cussì l’altra chiamata; et è ai confini homeni pieni de ardimento; et già alias dimandò de gracia a la Signoria che li dovesse mandare uno Pretore, acciò non fusse più soto né Vicenza né Verona; et vi poi star, qual’è sue giurisditione, bandizadi di terre e lochi, come a Venetia”. Le vecchie mura viste dal Sanudo erano state in origine il baluardo padovano contro i Veronesi (l’innalzarono i Maltraversi, signori di Cologna: 1000-1204) ; in seguito vennero rifatte dagli Scaligeri proprio per guardarsi da Padova. Caduta la Signoria di Verona, il castello fu importante fortezza anche durante il breve 1 • La città
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dominio dei Visconti, quindi dei Carraresi e poi dei Veneziani. Marin Sanudo ce lo ricorda: “... quadro, à 8 torre ben proportionate et è bona proportion a la grandezza del castello; et in mezzo è vuodo, e atorno atorno solo terra e volti dove era stale de cavali. …”. Dopo Cambray, nella guerra tra il Pontefice Giulio Il e i Veneziani, danni notevoli subivano ancora le mura di cinta (1508-1517) che, ripristinate, vennero in seguito abbandonate. Tuttavia, nello Statuto di Cologna del 1726, è ancora annoverato il castello: “Arx antiqua sed eximiae structurae, jam fortissimum propugnaculum”. Ma sulle sue mura, auspice il provveditore,“fu presa parte” di erigervi il nuovo Duomo, sicché dell’antica Rocca rimangono la torre quadrata d’angolo, la cortina di ponente, parte della cortina di tramontana e tutto il dedalo degli ampi sotterranei, mentre la cinta murale scaligera è quasi per intero mascherata da costruzioni posteriori e la torre fu abbassata quando si riedificò la cancelleria criminale che era bruciata nel 1587. Perché Cologna è sempre stata considerata così importante? Forse a noi contemporanei può essere difficile spiegarlo, abituati come siamo a considerarla piuttosto come emarginata dalle grandi linee di traffici (ferrovia, autostrada e statali) fra Verona e Vicenza e quindi fra Milano e Venezia. Ma storicamente occorre invece considerare che fino ad un secolo e mezzo fa il cammino più breve per recarsi da Venezia a Verona passava, come del resto anche oggi, per Padova, per dirigersi quindi verso Monselice, Este, Cologna e quindi, per Cucca, Oppi e Ponte Zerpano sull’Alpone, giungere a Verona. Del resto - e ben lo ricorda Bruno Bresciani - un progetto austriaco del 2 giugno 1836 prevedeva che 10
Mandorlato (di) Cologna
la stessa ferrovia Venezia-Milano dovesse appunto transitare per Cologna, con un percorso che sarebbe stato inferiore a quello attuale. Fu appunto da allora che per Cologna iniziò un inevitabile declino, dovuto anche ad altri fatti che si erano via via venuti a verificare, anche se in primis va considerato quello viabilistico: l’essere stata irrimediabilmente tagliata fuori da una corrente di traffici sulla quale prosperavano produttori agricoli, commercianti e locandieri. Ancora agli inizi del Novecento, Cologna era a capo di un distretto che, se non era molto vasto di territorio, tuttavia era densissimamente popolato, comprendendo con il capoluogo, Albaredo d’Adige, Pressana, Roveredo di Guà,Veronella e Zimella. Una popolazione, quella del distretto, che viveva allora di redditi sostanzialmente agricoli, su produzioni cioè che vedevano al primo posto i cereali, il riso, i gelsi (e quindi la bachicoltura), la canapa, la frutta, l’allevamento del bestiame e del pollame. Ma, anche se il territorio del distretto era in modo preponderante votato all’agricoltura, non mancavano le attività industriali: vi si annoveravano alcune fonderie e stabilimenti meccanici, diverse fornaci per la produzione di mattoni e piastrelle, parecchie fabbriche di paste alimentari, alcuni brillatoi di riso, e poi tintorie, fabbriche di cordami, tipografie, tornierie da legname, alcune fabbriche di carri e carrozze, altre di botti da vino e tini, mentre si era già affermata, a livello anch’essa industriale, la produzione del rimasto famoso “mandorlato” che sprovveduti gastronomi si ostinano a confondere spesso col torrone.
1 • La città
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LONIGO Scrive il Busching:
“La prima fondazione di lonigo risale al tempo dei romani”. Non si conosce la data di fondazione esatta di Lonigo, ma il conte Giulio Barbarano, nella sua “geografia veneta” scrive: “È noto che Guidone, detto Malacappella, dei Maltraversi, signore di Cologna ebbe il territorio leoniceo per via della moglie”. Le storie di Lonigo e di Cologna, quindi sono legate strettamente. Queste due città sono state un’unica signoria fino al 1194, quando Verona riuscì a togliere al signore il territorio di Lonigo. Con la caduta degli Scaligeri fu territorio di Giangaleazzo Visconti fino al 1402. Nel 1404 Lonigo firmò con Venezia il patto di dedizione con cui accettava la dominazione della Serenissima ma si garantiva dei privilegi economici già riconosciuti dall’Imperatore Federico 1°. Lonigo era cinta da mura, governata da un Podestà, aveva sgravi fiscali nei commerci di cereali e vini, poiché era zona di confine tra Vicenza e Verona e aveva un mercato settimanale e delle fiere con cui l’altoVicentino si riforniva di cereali che provenivano da Ferrara e Mantova.
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Nel 1523 una famiglia veneziana di banchieri, i Nobili Pisani, acquistò una vasta proprietà paludosa presso Bagnolo e intraprese un’opera di bonifica introducendo la coltura del riso. Nacque nel 1544-45 una straordinaria “fabrica”, una villa-granaio con l’imbarcadero sul Guà, usato come via di comunicazione con Venezia. A costruire questa villa fu chiamato un giovane architetto, Andrea Palladio, che ne fece la porta di una cittadella agricola. Le risaie dei Pisani sono state la principale azienda agricola di Lonigo fino ai primi del Novecento, citata negli studi di agraria del Vicentino, fonte di lavoro e sostentamento, ma anche di malaria per i braccianti. Nel Seicento la vita divenne grama per la popolazione in tutto il territorio della Serenissima, per le carestie, le pestilenze, le epidemie di pellagra, tifo e nel 700 continue erano le sommosse, i furti campestri, il banditismo, aggravati dalle soppressioni dei conventi venduti a nobili latifondisti e alla crisi agraria data dai campi isteriliti.
Note iAliqui de sintius, te explandus ducidunt quia int que expedig enihic totas deliquam, cus nument qui voluptatur,
Nel 1797 dopo Campoformio arrivarono gli Austriaci, con una nuova gestione economica. Fu un fiorire di attività. A Lonigo nacquero piccole ma efficienti filande, aziende metalmeccaniche, tipografie. Nel 1846 la Ferrovia del tratto Milano-Venezia, detta “La Ferdinandea” passò anche presso Lonigo. La Fiera dei Cavalli era conosciuta nel territorio nazionale e visitata da migliaia di persone ogni 25 marzo. Nel 1886 anche Lonigo entrò nel Regno d’Italia con un plebiscito. Lo spirito dei leoniceni era vivo e alla fine del secolo si rinnovò l’architettura della Piazza Garibaldi secondo il gusto liberty: si consacrò nel 1895 il nuovo Duomo; si inaugurò nel 1892 il Teatro comunale, capolavoro di acustica e orgoglio della borghesia. 1 • La città
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Oggi il fulcro economico di Lonigo resta l’agricoltura e l’esempio più significativo dell’attività è la Cantina sociale dei Colli Berici nata ne11951.
Palazzo Pisani, Lonigo
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L’edificio fu fatto costruire dalla famiglia Pisani nel 1564 ed è ritenuto opera del Sanmicheli. La facciata nord
chiude la piazza, mentre quella sud appare a chi arriva a Lonigo come una scenografica porta della città.
Ora ospita la sede del consiglio comunale.
Citazioni Aperro opturib erspiciende et odis dignihit hitiam que molupiendis maximi, niBerio. audaes enda sus.
Duomo, Lonigo
Il duomo di Lonigo è la chiesa parrocchiale, dedicata al santissimo Redentore eretta tra il 1877
e il 1895 in stile neoromanico. La chiesa venne costruita sul sito in cui si trovava il castello cittadino.
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LA STORIA DEL MANDORLATO
IL MANDORLATO A FIANCO Operaie confezionano il mandorlato
Il mandorlato è una sotto-categoria della famiglia dei torroni. La storia racconta che il Torrone apparisse per la prima volta nel 1441 a Cremona, cittadina della Lombardia. Fu servito ad un sontuoso banchetto per le nozze dei figli di due nobili famiglie: i Visconti e gli Sforza. Un cuoco pieno di creatività offrì agli sposi un dessert ancora sconosciuto nato…per un errore. Nel corso dei preparativi per le nozze, egli rovesciò un piatto di mandorle appena tostate in una grossa pentola contenente un impasto di uova e miele. Non sapendo più cosa fare, le mise sul fuoco e le cucinò per alcune ore. Poi, modellò l’impasto a forma di torre, a ricordo del grande torrione esistente a Cremona (di qui il suo nome “torrone”) e servì agli invitati il dolce, che riscosse un incredibile successo. I nobili convitati, sedotti da questa ghiottoneria ne diffusero la fama ovunque in Italia. Chi non vuole credere alla leggenda, fa risalire la parola torrone al verbo latino torrère che significa tostare. Da antichi manoscritti risulterebbe infatti che già i legionari romani usavano chiudere i banchetti con un dolce di mandorle e miele. La parola farebbe evidente riferimento ad una delle fasi di lavorazione che prevede la tostatura delle mandorle o delle nocciole.
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Il torrone è un dolce composto da mandorle o nocciole leggermente tostate, intere o frantumate, tenute assieme da una pasta fatta di miele, zucchero e albume d’uova. Il miele e lo zucchero vengono concentrati e mescolati con l’albume montato a neve fino a diventare una massa bianca, cremosa e soffice, da cuocere lentamente. A cottura avvenuta si aggiungono le mandorle tostate e si estrae l’impasto che viene lavorato, tagliato in stecche ed incartato. La tradizione italiana vuole che sia di buon auspicio presentarlo sulle tavole imbandite per le feste natalizie. Il prodotto, comunque, mantiene inalterato il suo sapore fino a primavera inoltrata. Ogni regione d’Italia, si può dire, ha il suo torrone caratteristico: i più famosi e rinomati sono quello veneto, quello di Cremona, quello siciliano ecc.. A Venezia, i Dogi furono tra i più accaniti estimatori del torrone che nelle provincie del Veneto ha assunto il connotato di un dolce candido, duro ma friabile e ricco di mandorle. Per questo gli abitanti della laguna lo fecero chiamare “Mandorlato”, che in Veneziano significa “pieno di mandorle”. Storicamente si può condurre la nascita di questo dolce nel territorio di Venezia, quando il doge commissionò a uno speziale un prodotto curativo per la sorella. I rapporti con Milano e ancor prima con la Cina e l’Oriente, grazie ai viaggi dei grandi esploratori, fecero di Venezia un centro di grande diffusione del torrone.
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Venezia importava dall’Oriente molte spezie e frutta secca come noci, mandorle e specialmente zucchero, materie prime di base per la produzione del dolciume. La lavorazione dello zucchero divenne così importante che si costituì a partire dal 1200 la corporazione degli “spezieri da Grosso”. Ne facevano parte oltre i raffinatori di zucchero, i confettieri, i droghieri, i fabbricanti di olio di mandorle e i pasticceri che facevano il mandorlato. Centri di produzione del torrone erano Venezia e la sua provincia e la zona di Cologna Veneta, che conobbe l’influenza e la dominazione di Venezia. Lo storico Samuele Romanin, nella sua “Storia documentata di Venezia” annotava:
“Questa leccornia, allora, era già conosciuta ed apprezzata nei lontani tempi, quando la Serenissima Republica regnava incontrastata su gran parte del territorio veneto.” E che in quel periodo Cologna fosse molto legata a Venezia lo dimostra il fatto che per molto tempo fece parte aggregata del ‘Sestier del Dorsoduro’, nel cuore della città lagunare. 2 • La storia del mandorlato
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2.1 LE ORIGINI Per poter parlare del mandolrato moderno bisogana andare alla ricerca delle sua evoluzione storia e gastronomica nel territorio veneto. Le prime ricette documentate che presentavano come ingredienti mandorle e zucchero le ritroviamo già nel medioevo, in un libro che risalirebbe al 13381339, “Modo di cucinare et fare buone vivande” di un Anonimo Veneziano:
Mandolata cocta e perfetta Se tu voy fare mandolata cocta per XII persone, toy tre libre de mandole, e toy meza libra de zucharo, toy le mandole ben monde e ben lavate e ben maxenate e distempperali cum aqua chiara pocha e ben colata e mitile a bolire in un vasello che bolga tanto che tomi spessa, e mitigi per scutelle zucharo. Nel 1450, il Maestro Martino da Como, uno dei più famosi cuochi del tempo, scrisse “Libro de Arte Coquinaria”, considerato un caposaldo della letteratura gastronomica italiana che testimonia il passaggio dalla cucina medievale a quella rinascimentale.
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In questo libro si trovano ricette che utilizzano il latte di mandorle che le mandorle stesse, ritroviamo anche in questo caso la Mandolata, ma già più vicina al dolce che conosciamo oggi:
Per fare la mandolata Per farne octo menestre: togli una libra de amandole monde et bianche, et pistale molto bene bagnandole spesso con acqua frescha como è ditto di sopra, acciò che non facciano olio, et agiongivi una mollicha di pane biancho. Et distempera ogni cosa con acqua frescha, et passa per la stamegnia et mitti in una pignatta a bollire sopra la brascia. Et lassala bollire una octava d’ora. Et etiamdio mettevi a 24 bollire con ditte amandole meza libra de zuccharo fino. Et questa amandolata vole essere un pocho liquida. Et ponendovi un pocha d’acqua N • Nome capitolo
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rosata sarebbe migliore.
Torta mandolata
Nel rinascimento i gusti della popolazione iniziano a cambiare, dai sapori agri e speziati del medioevo si passa a quelli dolci e ricchi, troviamo in questo periodo mandorle glassate e delle specie di confetti con le mandorle. Da questo momento in poi la storia del mandorlato si perde nei vari giornali e scritti dell’epoca. Ritroviamo il termine nel 1724, quando l’Accademia della Crusca (Firenze, 1582) lo definisce cosÏ:
Mandorlato: Sostant. Composto per la maggior parte di mandorle.
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Confetti,
In Italia il procedimento di copertura delle mandorle con lo zucchero si diffuse nel Rinascimento.
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Nel 1814 il giornale di Venezia pubblica un avviso particolare:
Inizia cosÏ la diatriba tra Cologna e Lonigo. Facendo una rilettura critica della storia si può dedurre che il mandorlato moderno sia nato a Venezia, in una bottega di speziali sotto Rialto. Lo speziale di turno doveva curare la malattia di una delle sorelle del doge dell’epoca, e inventandosi questa mistura di mandorle, miele e albume la donna guarÏ. Successivamente la ricetta venne portata a Lonigo,
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dove la farmacia “le tre palle d’oro” iniziò una piccola produzione. Probabilmente la vivinanza tra Cologna e Lonigo (6km) è stata il motivo per cui la paternità del dolce è così discussa. A Cologna però bisogna dare il merito di essere stati i primi a creare una produzione, non solo per i clienti degli speziali, ma anche per la gente comune. La ricetta colognese, risalente al 1852, si può trovare nella storia documentata di Cologna Veneta, edita da Giulio Cardo nel 1896, ad opera del farmacista Antonio Finco, contemporaneo del Cardo
Il Finco però non si dedicò mai alla commercializzazione del prodotto, fu un altro farmacista, Italo Marani, che iniziò la produzione e la vendita nella sua farmacia.
2 • La storia del mandorlato
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2.2 COME SI PREPARA La ricetta è stata tramandata di generazione in generazione e il mandoralto è fatto esclusivamente di solo quattro ingredienti naturali, ma di altissima qualità. Il miele viene messo in una caldaia di rame e cotto per circa 6/7 ore a bagnomaria e impastato con lo zucchero. Successivamente viene aggiunto l’albume montato a neve, ingrediente che da il caratteristico colore bianco e la friabilità del prodotto. Infine vengono aggiunte le mandorle essicate. La cottura è la parte più delicata della lavorazione, perché il rischio che gli zuccheri si bruciano è molto alta. L’impasto una volta cotto può essere lavorato in modi diversi: o viene ppposto su stampi di varia pezzatura per la creazione delle stecche, o lavorato a mano, porzionando il prodotto, danto la classica e originale forma a torta. La produzione è stagionale, ma il prodotto ha una lunga conservazione.
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Miscelazione dell zucchero col miele in caldaia di rame
Incorporazione degli albumi
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Inserimento delle mandorle
Porzionamento del prodotto
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2.3 LA ZONA DI PRODUZIONE Il mandorlato viene prodotto in quasi tutto il veneto, ma la qualità pregiata di Cologna viene prodotto nell’omonima cittadina e nel vicino comune di Lonigo, paesi, come detto in precedenza, legati dalla storia, dalla politica e anche dalla gastronomia. Nel territorio leoniceo è rimasta solo un’azienda che produce il mandorlato della qualità di Cologna, l’azienda Cestaro. Quest’ultima la andremo a descrivere successivamente. Pur non essendo il veneto un produttore di mandorle, e neppure un gran produttore di miele, M questo prodotto ha conosciuto un grande successo C esclusivamente grazie alla creatività degli speziali che diedero inizio a questa tradizione dolciaria. ANDORLATO
ESTARO
Aziende produttrici di mandorlato nel territorio di Cologna Veneta, e l’azienda Leonida Cestaro di Lonigo
BAÙ MANDORLATO GLI SPEZIALI DI COLOGNA VENETA CASA DEL DOLCE FINISSIMO MANDORLATO
VICENZA
MANDORLATO BAUCE
VERONA
MANDORLATO GARZOTTO
DOLCIARIA SAN MARCO
ROVIGO
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I COMPETITORS
I COMPETITORS Uno, dieci, cento mandorlati
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Il mandorlato, signore della tavola natalizia in Veneto così come il panettone sul fronte lombardo, è il dolce tipico di Cologna Veneta e della confinante Lonigo che allineano una pattuglia sempre più ristretta di produttori, alcuni dei quali occupano la prima fila in ambito nazionale per la qualità raggiunta. È il caso dei Bauce di Cologna, famiglia di origini vicentine (era thienese la mamma Antonia Dalla Fina) che la rivista Gambero Rosso ha posizionato al secondo posto nella classifica nazionale di torroni e mandorlati. Al primo posto il Gambero ha collocato l’azienda Scaldaferro di Dolo, in provincia di Venezia. Tra i marchi oggi sulla piazza, oltre alla Garzotto, troviamo la Sanmarco e la Nodari, che fanno capo alla Dolciaria di Cologna, gli Speziali di Cologna e Bau Mandorlato. Tutte queste aziende hanno una storia e una ricetta propria, che rende il loro prodotto diverso da qualsiasi altro sul mercato, mantenendo però sempre l’originarietà del mandorlato. La vicinanza con Lonigo e
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L’AZIENDA
LEONIDA CESTARO Il mandorlato secondo tradizione
A FIANCO E PAGINA SUCCESSIVA
Brevetto per marchio d’impresa MANDORLATO COLOGNA
L’azienda Cestaro produceva già nel 1864 mandorlati, panettoni e mostarde a opera del sign. Angelo Cestaro. Leonida Cestaro (figlio di Angelo), apprendendo il mestiere in una pasticceria di Cologna, decide di aprire la sua azienda a Lonigo nel 1918. Nata inizialmente come pasticceria, la Leonida Cestaro, è divenuta presto “Fabbrica di Mandorlato” utilizzando e custodendo l’antica ricetta veneta dei mastri speziali leonicei dei primi dell’800. Cestaro è rimasta un’azienda a conduzione famigliare, ma la svolta è avvenuta a opera del figlio di Leonida, Roberto, che poco più che bambino, nel 1966 brevetta il marchio “Mandorlato Cologna”. Comincia così una produzione per grandi numeri,
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Nonstante le innovazioni tecniche e gli adeguamenti dei mezzi di produzione, l’impronta artigianale rimane a fondamento dell’azienda, contribuendo a far rimanre intatta la filosofia di fornire prodotti di qualità, coniugando la tradizione con la tecnologia. Oggi la produzione viene gestita per un periodo breve, da settembre ad aprile, in azienda lavorano circa 40 persone, prevalentemente donne, per 3 turni giornalieri. La produzione temporalizzata, per quanto possibilie in una produzione artigianale, prevede la cottura del prodotto in paioli di rame da 60kg l’uno, per un numero di 30 macchine. Il rame è stato scelto per le qualità organolettiche che conferisce al prodotto finale, grazie all’alta conducibilità. Questa produzione prevede l’utilizzo di varie forme finali, la classica stecca, l’originale torta, e varie forme
Pentole per la cottura del mandorlato
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3 • L’azienda
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L’azienda Cestaro ha inoltre certificazioni importanti come la UNI EN ISO 9001:2008 e l’ISO 22000:2005, per il controllo della qualità e delle materie prime. Certificazioni di qualità UNI EN ISO 9001:2008 e l’ISO 22000:2005
Per venire in contro ai clienti e soddisfare le richieste del mercato, oltre alla produzione di mandorlato morbide e torronicini, l’azienda ha assunto la certificazione bio e, anche se non è presente lo stemma del gluten free, si impegna ad utilizzare materie prime prive di glutine (in particolar modo l’ostia) e che non sono state in contatto in alcun Certificazione Agricoltura biologica
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A Riconoscere i livelli raggiunti da Cestaro è stato anche il consiglio Europeo delle Confraternite, che ha premiatio il patron dell’azienda Per la migliore specialità europea tradizionale artigianale. Il Veneto ha una forte tradizione di illuminismo industriale, Roberto Cestaro, per non essere da meno, collabora con progetti scolastici e di solidarietà. Per esempio la collaborazione con il liceo scentifico Lioy di vicenza, dove un gruppo di studenti ha imparato a cucinare il delizioso dolce e studiato le varie fasi di lavoazione per migliorare la lavorazione in termini qualitativi e di sicurezza. Questo progetto ha portato alla vittoria del liceo al concorso “Storie d’impresa” nel 2011. Un altro esempio della lugimiranza dei Cestaro è quello di un progetto di solidarità in Ecuador, insegnando a un gruppo di cuochi sud americani a produrre il mandorlato, pe poterlo vendere e dare un reddito a una missione nel paese. Cestaro inoltre è un azzienda che vende in tutto il mondo, prevalentemente in U.S.A e Canada, partecipando a molte mostre e fiere tra New York, Boston e Chicago.
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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
4 • Bibliografia e Sitografia
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BIBLIOGRAFIA Capitoli del sig. Pietro Aretino, di messer Ludovico Dolce ...,Venezia, Curtio Navò, MDXL Simonato Leone, Il mandorlato (ovverlo Mandolà to) di Cologna Veneta, Pressana, 2014
il
Zorzi Alvise, La vita quotidiana a Venezia nel secolo di Tiziano, BUR, 1990 Molmenti Gherardo Pompeo, La storia di Venezia nella vita privata dalle origini alla caduta della Repubblica, Piero Naratovich, 1853-1861 voll. 5 Notizie interessanti la sacra persona del grande pontefice O. M. Clemente XIV ..., Lugano, Agnelli & Comp., MDCCLXXVIII Cardo Giulio, Storia documentata su ColognaVeneta, Venezia, Tip. M. S. fra compositori tipografici, 1896 Simonato Leone, Cologna Venete: Storia, arte, testimonianze, Villafontana/Bovolone, Golden Time Comunication, 1998 Roberto Cestaro, Intervista, 2015 Roberto Cestaro, Brevetti industriali Roberto
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Cestaro,
Brochure
commerciali
e
pubblicitarie Articoli di giornale de Il Giornale di Vicenza, L’Arena, Il Gazzetino di Venezia, 1814-2000
4 • Bibliografia e Sitografia
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SITOGRAFIA www.wikipedia.it/wiki/Mandorlato http://www.ilg ior naledivicenza.it/stor ies/ Home/446350_il_mandorlato/ h t t p : / / w w w. t a c c u i n i s t o r i c i . i t / i t a / n e w s / m e d i o eva l e / p ro d o t t i - t r a d i z i o n a l i - i t a l i a n i / Mandorlato-veneto.html http://www.treccani.it/enciclopedia/colognaveneta_(Enciclopedia-Italiana)/ http://www.r istorantezaramella.it/it/cucinaveneta-blog/54-il-mandorlato-di-cologna-veneta. html http://www.venetoag r icoltura.org/upload/ pubblicazioni/E455%20Atlante%20tradizionali/ Mandorlato%20di%20Cologna%20Veneta.pdf h t t p : / / w w w. f o o d i n i t a l y. c o m / p r o d o t t i / M A N D O R L ATO _ D I _ C O L O G N A _ VENETA-51378.html h t t p : / / w w w. g a r z o t t o ro c c o. c o m / p a s s i o n e / ppassione.aspx http://www.mandorlatobauce.it/
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Mandorlato (di) Cologna
http://www.spaghettiemandolino.it/prodotti/211mandorlato-di-cologna-veneta-latta-rotonda http://www.ecoistituto-italia.org/storiadimestre/ RIVISTA%20STORIA%20VENETA/SV-201322-CucinaVenetaArlecchino-2.pdf www.cestaro.it
4 • Bibliografia e Sitografia
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