La gazzetta dell’Alessi T h e O p e n D ay !
Il 25 gennaio abbiamo aperto le porte della Guido Alessi per un’occasione molto speciale: mostrarvi la nostra scuola e celebrare il Giorno della Memoria. L’argomento era molto serio e lo abbiamo affrontato con tutto l’impegno possibile. Abbiamo raccontato le conseguenze dell’odio, ma anche la forza di chi è sopravvissuto, la solidarietà di chi ha aiutato, l’amore per la vita e per i propri cari.
Anno II, Marzo 2014
Per voi ci siamo fatti in quattro... Tutti noi studenti abbiamo collaborato a questo evento con letture di poesie, musiche e la presentazione di una mostra sulla persecuzione degli Ebrei in Italia. In una classe abbiamo recitato varie poesie, in un’altra letto dei brani dal diario di Anna Frank e da Primo Levi, in un’altra ancora i migliori “musicisti” della scuola hanno suonato brani a tema, alcuni dei quali all’epoca proibiti dal regime nazista.
La gazzetta dell’Alessi
Memoria a cura di Asia Minelli & Stella Solari
Verrà il giorno che ve ne pentirete Beceri che strillate e muti che state zitti! Bertold Brecht
LE FOTO DELLA MOSTRA E DELLE PIETRE D’INCIAMPO SONO STATE SCATTATE E RACCOLTE DA ASIA MINELLI E STELLA SOLARI. I DISEGNI CHE ILLUSTRANO LE ATTIVITA’ DELL’OPEN DAY SONO STATI REALIZZATI DAGLI ALUNNI DELLA V A PRIMARIA GUIDO ALESSI NELL’AMBITO DEL PROGETTO MEMORIA.
RINGRAZIAMO LE MAESTRE MARCELLA MESSINA E ANNA RUSSO PER AVERCI AIUTATO A RACCOGLIERE I MATERIALI.
Anno 2
Marzo 2014
Le pietre d’inciampo Vi è mai capitato di in- capire qual è la loro stociampare su un sasso sconnesso trovato mentre camminavate sul marciapiede? A noi è successo! Durante un’uscita didattica lungo via Flaminia ci siamo fermati davanti al portone di un palazzo perché siamo “inciampati” su delle strane mattonelle dorate. Ci siamo chiesti come mai c'erano dei nomi incisi sopra. La maestra ci ha spiegato che quelle mattonelle si chiamano “pietre d'inciampo” e sono state messe lì per ricordare delle persone che in quelle case vivevano e che sono state portate via: i nazifascisti li portarono nei campi di concentramento e da lì non fecero più ritorno. Tornati a scuola abbiamo fatto delle ricerche per
ria. Abbiamo scoperto che le pietre d'inciampo (Stolpersteine) sono state inventate da un artista tedesco, Gunter Demnig, per ricordare i cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti. La “stolpersteine” è una piccola targa d'ottone della dimensione di un sampietrino (10 x 10 cm), posta davanti alla porta della casa in cui abitò il deportato, sulla quale sono incisi il nome della persona deportata, l'anno di nascita, la data e il luogo di deportazione e la data di morte, se conosciuta, per ricordare chi si voleva ridurre soltanto a un numero. Un inciampo non fisico, dunque, ma visivo e mentale, per far fermare a riflettere chi vi passa vicino. Percorrendo la via Flaminia ci sono tante pietre
per ricordare:
EVA DELLA SETA; GIOVANNI DELLA SETA; MARIO LEVI; ALBA SOFIA RAVENNA LEVI; GIORGIO LEVI; LAMBERTO ROMANELLI; GIULIA DEL MONTE; C A R L A R O M A N E L L I ; MICHELE MARCO ROMANELLI; LE ONE ITALO V A LA BR E GA; ANITA DI CAPUA VALABREGA
A l l ’ i n d i r i z z o w e b www.memoriedinciampo.com si trova la mappa dei luoghi dove sono stati installati i sampietrini, fotografie, film e testimonianze, lavori svolti dagli studenti, testi storici e critici relativi alla deportazione di ebrei, politici e militari, una vastissima rassegna stampa. IV B, Guido Alessi Primaria
L’iniziativa dell'artista tedesco è partita nel 1995, a Colonia, e ha toccato vari Paesi dell’Europa. A inizio 2010 erano installate più di 22.000 "pietre" in Germania, Austria, Ungheria, Ucraina, Cecoslovacchia, Polonia, Paesi Bassi, Italia. In Germania nacque inizialmente un dibattito sul fatto che le "pietre" venivano poste davanti al portone di ingresso e il proprietario dell'immobile poteva non gradire l'idea di essere costretto a ricordare ogni giorno le atrocità naziste. A Colonia per esempio una "pietra" fu posta lontana dal portone principale, quasi al bordo del marciapiede, vicino alla strada. A Krefeld la controversia riguardò il fatto che le pietre ricordavano troppo il periodo in cui i nazisti usavano le lapidi delle tombe ebree come pavimentazione per i marciapiedi. Alla fine fu raggiunto un accordo: la scelta del luogo dove porre una pietra d'inciampo sarebbe stata subordinata all'approvazione del proprietario della casa e, qualora ci fossero, anche dei parenti delle vittime da ricordare.
Alessandro Persiani, 3 A Secondaria
Memoria
INCONTRO CON I TESTIMONI In occasione della “Giornata della Memoria” abbiamo avuto l'opportunità di ospitare nella nostra scuola la signora Graziella Viterbi che, in seguito alle leggi razziali del 1938, è stata costretta a lasciare la casa di Padova e a rifugiarsi con la famiglia ad Assisi. Qui, grazie all'aiuto del vescovo e di altri sacerdoti, sotto falso nome, si sottrasse alla furia antisemita scatenata dal nazismo. Noi ragazzi della 5°A, durante l'incontro, le abbiamo rivolto alcune domande.
D: Come trascorrevi le tue giornate prima della persecuzione? R: Il mio posto preferito erano i giardini pubblici dove facevo lunghe passeggiate e dove amavo guardare la statua della lupa che allattava Romolo e Remo.
D: Come si falsificavano i documenti? R: Si cercava di utilizzare le prime lettere del nome e del cognome per facilitare la falsificazione e per non confondersi a firmare i documenti.
D: Che età avevi a quel tempo? R: Avevo 17 anni e mia sorella 10. Nel 1938 promulgarono le leggi razziali e fui costretta a smettere di andare a scuola; in quel momento fui ben felice di farlo. Mi nascosi ad Assisi con la mia famiglia e un vescovo ci aiutò a falsificare le carte di identità. Io presi il nome di Vincenza Varelli.
D: In quale momento hai sofferto di più e hai avuto paura? R: Da incosciente, come tutti i ragazzi della mia età, non ebbi mai molta paura ma soffrii solo una volta quando, tornando da una passeggiata, una mia cara amica mi chiese di andare a casa sua; in quell’occasione non andai; dopo seppi che i nazisti erano andati a
casa sua per cercarci. Il tradimento della mia amica mi fece molto soffrire. D: Come è stato non avere la tua libertà e vivere nascosta per tanto tempo ? R: Sicuramente non bello perché tutti i ragazzi amano la libertà; in compenso ero felice perché, a differenza di altri, avevo vicino i miei cari. D: Hai visto soffrire delle persone care? R: Tanta sofferenza interiore nel vedere mia madre sempre molto preoccupata per la sicurezza dei propri figli, ma
Memoria
fisica no perché, per esempio, non ho mai assistito a un rastrellamento o a una deportazione. D: Per quanto tempo sei stata perseguitata? R: Dal 1938 al 1942. D: Cosa mangiavi? R: Si mangiava quello che si poteva trovare senza grandi pretese; un giorno uscii a fare la spesa e riuscii a comperarmi un maritozzo; mentre lo gustavo dolcemente vidi mia madre venirmi incontro e, tra le lacrime, mi disse di aver appreso che mio zio e i miei cugini di Modena erano stati deportati ad Auschwitz-Birkenau. Purtroppo loro non sono mai tornati... ricordo ancora il sapore amaro del maritozzo. D: Si sapeva che nei campi di
A fianco, il disegno rappresenta “Un ebreo appena entrato nei campi di concentramento”; il nazista gli intima: “Muoviti, Ebreo!”
concentramento dalle docce anziché acqua in realtà usciva il gas mortale? R: Non si è mai saputo nulla fintanto che, con la liberazione delle truppe americane e russe, i campi di concentramento furono aperti. D: Avevi amiche del cuore? R: Non ho mai avuto amiche del cuore per i tempi difficili in cui vivevamo, sempre attenti a non rivelare le nostre vere identità. Ricordo, in quel periodo vissuto ad Assisi, la figlia del Podestà che, nonostante fosse stato eletto dal potere fascista, si era offerto di proteggerci in quanto persona di cuore.
sono diventata assistente sociale e ho lavorato per 10 anni con bambini che avevano problemi psicologici. La signora Graziella ha concluso la sua intervista con queste parole: “Oggi, voglio dire grazie a tutti coloro che mi hanno fatto sentire che la vita anche nei momenti più oscuri può essere bella se qualcuno ti è vicino, ti tende una mano o, semplicemente, anche con il suo stesso silenzio, è insieme a te: se qualcuno con la sua presenza rompe il guscio della tua solitudine e della paura.” V A Guido Alessi Primaria
D: Dopo la fine della guerra hai ripreso gli studi? R: Sì, ho ripreso a studiare;
Memoria
La mostra presentata nella nostra scuola
1938-43: negazione dei diritti degli Ebrei 1943-45: negazione delle vite
Il 16 gennaio 2014 noi ragazzi delle Terze medie abbiamo incontrato la professoressa Daria De Carolis, che ha tenuto una lezione sulla mostra itinerante e ci ha proposto dei documenti da analizzare. La mostra, che noi abbiamo presentato a nostra volta all’Open Day, approfondisce il
periodo 1938-43 e la persecuzione degli Ebrei in Italia. Gli Ebrei erano parte integrante della società italiana e molti hanno partecipato al Risorgimento e alla vita politica (si parla di Assimilazione). La comunità più numerosa e antica era quella romana: nelle formelle dell’Ar-
co di Tito sono già raffigurati gli Ebrei, riconoscibili dall’Amenorah che portano sulle spalle. A testimoniare questa importanza c’è il Tempio Maggiore, costruito agli inizi del Novecento. Gli Ebrei vivevano in quartieri diversi, come a Trastevere, e non tutti nel ghetto.
Come tanti altri cittadini italiani molti ebrei aderiscono al Fascismo e spesso ricoprono incarichi di rilievo. Nemmeno l’iscrizione obbligatoria al Partito Nazionale Fascista rappresenta un problema: i bambini ebrei andavano al Tempio e poi al sabato fascista (ricordiamoci che non tutti gli ebrei sono ortodossi, fanno parte di una cultura diversa ma non sempre sono osservanti).
Anno 2
La prima forma di razzismo del regime si manifesta nei confronti delle persone di colore: ad esempio, durante la campagna d’Etiopia un giornalino a fumetti, Il Balilla, raffigura “il cannibale antropofago”. Nei poster antisemiti gli ebrei sono raffigurati con il pancione e il naso adunco. Lo stereotipo dell’ebreo ricco è un falso storico: ci sono ebrei poveri ed ebrei ricchi.
Nel 1937 ha inizio la propaganda antiebraica sul “problema della razza” attraverso i maggiori giornali italiani. Un gruppo di professori universitari riceve l’incarico di stabilire che gli ebrei non sono di razza italiana; escono il Manifesto della Razza e la rivista quindicinale La Difesa della Razza.
Memoria
Nel 1938 il Parlamento promulga le leggi antiebraiche, il re le firma, la negazione dei diritti avviene nell’indifferenza generale. Essere ebreo, secondo un discorso scientifico falso, diventa una questione di sangue. Si distingue ora tra ebrei e italiani. Viene proibito il servizio militare. Ma il primo provvedimento riguarda la scuola, sia alunni che docenti. Gli ebrei si organizzano classi loro con il permesso di fare poi l’esame nella scuola pubblica: sulla pagella dovrà essere indicata l’appartenenza alla razza ebraica.
Avvengono molti licenziamenti, che colpiscono anche istituzioni prestigiose come il Coro della Scala. Dai manuali vengono eliminati i nomi degli autori ebrei.
I cittadini si adeguano e compaiono i primi cartelli antisemiti sulle porte dei locali: “In questo locale gli ebrei non sono graditi”.
I campi di concentramento furono moltissimi, l’organizzazione capillare: si parla infatti di “universo concentrazionario”. In Italia si aprono campi di lavoro e si assiste all’apertura del campo di Fossoli: istituito nel 1942 per i prigionieri di guerra, diventa dal dicembre del ‘43, su ordine del prefetto di Modena, un campo “di transito” per ebrei e oppositori politici in attesa della successiva deportazione. Nel gennaio 1944, vi passa Primo Levi; sarà imprigionato lì anche Pietro Terracina. A fianco, scena in un campo di lavoro obbligatorio a Gorizia.
Anno 2
La razzia del 16 ottobre 1943 non riguarda solo il ghetto: la città di Roma fu divisa in 26 quartieri e gli ebrei furono prelevati ovunque. I nazisti consegnavano un biglietto con l’elenco delle cose da portare e molti pensarono di essere portati ai campi di lavoro. All’arrivo invece avveniva la selezione. Roma era “città aperta”, secondo i patti con i nazisti non doveva essere bombardata; gli ebrei razziati sono stati fermi per 2 giorni al Collegio Militare di via della Lungara. Da qui furono portati alla stazione Tiburtina: partirono 24 convogli. Destinazione: Auschwitz. Molti romani compirono gesti individuali di solidarietà, le istituzioni no. Nei campi si perfezionava il processo di negazione. Marchiando il numero sulla pelle si negava l’identità. Nei campi, se le scarpe si rovinavano e si rimaneva senza, si rischiava la morte; molti cercavano di nascondere i geloni o le ferite, perché venivano curati solo gli ebrei utili, come è accaduto a Primo Levi, che era chimico, mentre degli altri ci si liberava. All’inizio molti non credevano a questa organizzazione di morte: i sopravvissuti si sono dati come obbligo morale quello di testimoniare. Il reintegro di chi è tornato è stato molto lento e molto faticoso.
Sopra, nelle parole di Liliana Segre il ricordo della selezione praticata dai nazisti all’arrivo nei lager. A fianco e sotto, alcune delle centinaia di schede di segnalazione di ebrei scomparsi raccolte dopo la liberazione di Roma e ingrandimento di una scheda; le parole sulla negazione sono di Primo Levi.
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Le poesie che abbiamo letto Brecht scrive queste durissime poesie tra il 1938 e il ’41, in esilio: il regime nazista lo considera uno dei suoi principali avversari tra gli intellettuali e nel 1933 lui lascia la Germania. Soggiorna in Svizzera, Francia, Danimarca, Svezia, Finlandia e infine in America. Tornerà a Berlino nel 1948. Brecht indica Hitler con disprezzo come “l’imbianchino”, alludendo alla sua passione giovanile per la pittura.
L’Imbianchino dice: Quanti più cannoni saranno fusi Tanto più a lungo durerà la pace A questa stregua si dovrebbe dire: Quanto più chicchi saranno seminati Tanto meno sarà il grano raccolto. Quanto più vitelli saranno macellati Tanto meno ci sarà carne sul mercato. Quanto più neve si scioglierà sui monti Tanto più aridi saranno i fiumi. Mentre la guerra si prepara a scoppiare, la propaganda alimenta l’odio e il pregiudizio. Brecht ci racconta un episodio semplice, neanche particolarmente drammatico, qualcosa che potrebbe accadere anche a noi in un qualsiasi giorno. Ma la poesia, letta guardando allo sfondo delle persecuzioni che si stanno per scatenare, assume un sapore molto amaro. In molti aiuteranno gli ebrei, in molti faranno finta di non vedere.
Viaggiando in una comoda auto su una strada bagnata di pioggia, vedemmo un uomo tutto stracciato sul far della notte che ci faceva cenno di prenderlo con noi, con un profondo inchino. Avevamo un tetto, avevamo un posto e gli passammo davanti e udimmo me che dicevo con voce stizzosa: no, non possiamo prendere su nessuno. Eravamo proseguiti un bel pezzo, forse una giornata di cammino, quando d’improvviso mi spaventai della mia voce, del mio contegno e di tutto questo mondo
Martin Niemöller era un pastore protestante tedesco, oppositore del regime nazista: fu arrestato nel 1937 e per 8 anni rimase in un campo di concentramento. Questa poesia molto nota, che parla dell’indifferenza e dell’apatia politica e
all’inizio era stata attribuita proprio a Brecht, era già diffusa nel dopoguerra ma viene pubblicata solo nel 1976. Il testo ha subito molte varianti e l’autore stesso non ne ha mai fornito una versione sicura. Per questo, se ne trova una versione degli anni Cinquanta che
Poi vennero per i comunisti E io non dissi nulla Perché non ero comunista.
parla delle persecuzioni contro i comunisti in America, ma con numerose varianti è stata utilizzata nelle più diverse manifestazioni e battaglie per i diritti civili. Una di queste varianti è inscritta nel Monumento all’Olocausto di Boston.
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari E fui contento Perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei E stetti zitto Perché mi stavano antipatici
Poi vennero per i socialdemocratici E io non dissi nulla Perché non ero socialdemocratico
Poi vennero per i sindacalisti E io non dissi nulla Perché non ero sindacalista
Poi vennero a prendere gli omosessuali E ne fui sollevato Perché mi erano fastidiosi
Poi vennero a prendere gli anarchici E io non dissi niente Perché non ero anarchico
Poi un giorno vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare
Dal lager
Dal lager LETTERA ALLA MADRE, frammento […] Fili elettrici, alti e doppi, non ti lasceranno mai più rivedere tua figlia, Mamma. Non credere alle mie lettere censurate, ben diversa è la verità; ma non piangere, Mamma. E se vuoi seguire le tracce di tua figlia non chiedere a nessuno, non bussare a nessuna porta: cerca le ceneri nei campi di Auschwitz, le troverai lì. Ma non piangere — qui c’è già troppa amarezza. E se vuoi scoprire le tracce di tua figlia cerca le ceneri nei campi di Birkenau: saranno lì — Cerca, cerca le ceneri nei campi di Auschwitz, nei boschi di Birkenau. Cerca le ceneri, Mamma — io sarò lì! Monika Dombke, Birkenau, 1943
L’impegno della memoria Continuo a dimenticare i fatti e le statistiche ed ogni volta ho bisogno di saperli cerco nei libri questi libri occupano venti scaffali nella mia stanza so dove andare per confermare il fatto che nel Ghetto di Varsavia c’erano 7,2 persone per stanza
ventimila al giorno devo controllare e ricontrollare ed ho sognato che il 19 gennaio alle 4 del pomeriggio 58.000 carcerati emaciati furono fatti marciare fuori da Auschwitz? ricordavo bene che a Bergen-Belsen dal 4 al 13 aprile 1945 arrivarono 28.000 ebrei da altri campi?
e che a Lodz destinavano 5,8 persone ad ogni stanza
ricordo centinaia e centinaia di numeri telefonici
dimentico continuamente che un terzo di Varsavia era ebreo
numeri che non chiamo da vent’anni sono immediatamente disponibili
e che nel ghetto stiparono 500.000 ebrei nel 2,4 per cento dell’area della città
e quanti corpi bruciavano ad Auschwitz all’apice della produzione
L’Italia di Mussolini, l’Italia con un Duce ma neanche con una luce. Quando dicemmo che non sapevamo niente, anche se poi c’è chi se ne è pentito. Quando noi non vedevamo niente, ma il cieco sì. Quando hanno trovato le scarpe, e sicuramente sono cadute da Marte. Quando l’americano ci è entrato dentro, e noi dietro, ma neanche un lamento. Quando con questi occhi abbiamo visto e siamo restati fermi, poi con gli stessi ci siamo pianti addosso. Quando alla fine ci hanno scoperto, e il sasso avevamo lanciato, ma in un attimo era tornato.
e ricordo le conversazioni delle persone e quel che la moglie di qualcuno ha detto al marito di qualcun’altra che buona memoria hai mi dice la gente. Lily Brett
La poesia qui a fianco è stata scritta da Simone Sansone della 3^ A e recitata al termine delle letture poetiche che avete potuto leggere in queste pagine.
Dal lager
Le poesie che abbiamo scritto: V A Guido Alessi Primaria
Il fumo nero si innalza nel cielo. gli occhi dei bambini sono vuoti, i loro corpi segnati con numeri, sono pieni di fame e freddo. I loro piedi nel fango tremano, e un filo spinato avvolge le loro povere anime. Tanti giorni per morire, un solo giorno per ricordare.
Sotto, dettaglio di un disegno in cui un soldato nazista incita un ebreo a muoversi e a recarsi alle docce.
Voi che avete visto Ingiustizie, persone morte per la fame. Parlate e raccontate del dolore patito. Voi che siete sopravvissuti Testimoniate senza paura perchÊ tutti conoscano quel tempo. I ricordi annullati nella mente della gente Paura e tristezza nei loro cuori pieni d’amore per le cose che amavano, rotti come un vaso di ceramica. Enormi silenzi nelle città , solo il rumore delle bombe e il pianto della gente. Non verrà mai dimenticato Quel tempo Che ancora oggi viene ricordato.
Dal lager
Voi che ricordate ogni giorno la disgrazia l’ingiustizia, I bambini che non sapevano le cose che accadevano. Lavori forzati, Uomini armati. Dobbiamo ricordare, e sperare di non fare più quello che giorni orsù accadde, anzi proteggere dobbiamo. Quindi ricordiamo.
Milioni di persone che vivono sperando che quei cancelli si aprano; per non soffrire più, per non veder soffrire le persone care; per non morire tristi, infelici e senza famiglia. Magari queste persone da piccole o a qualunque altra età avevano un sogno: un sogno per cambiare il mondo.
Tutte quelle anime innocenti che morirono erano persone normali, uguali a noi, che sognavano la stessa cosa: invece di pensare al lavoro, gli uomini speravano di resistere finché fossero aperti i cancelli; invece di sognare il loro futuro, i bambini sognavano che la guerra finisse e che tutto tornasse come prima; invece di sbrigare le faccende quotidiane, le donne pregavano che i cancelli si spalancassero. Tutti, proprio tutti, sognavano la liberazione! LILLI
Dal lager
Impossibile dimenticare quel fumo così grigio che esce da un fabbrica con macchinari che umiliano, disprezzano, affaticano, distruggono, demoliscono persone come tutti noi. Impossibile dimenticare quelle facce così serie senza un sorriso uno sguardo che potrebbe sembrare insignificante ma che per le persone come loro sarebbe un dono, una felicità. Impossibile dimenticare il freddo, la fame di affetto e di cibo, i volti dei bimbi sorpresi, indifesi, innocenti, ingannati. Avvolti nella nebbia fitta Impossibile dimenticare camion pieni di persone quel che c’è stato viaggiano per le strade diverse e sperare che mai riaccada. verso le mete sconosciute. I volti spaventati intorno al braccio un nastro giallo molti guardando l’ultima alba della loro vita. Cammino anche io nella nebbia fitta ma la mia strada porta a casa, la mamma accanto, in una vita serena. Nel cuore però rimane un’ombra triste di quel bambino con il pigiama a righe.
Dal lager
La Musica della Memoria Hitler amava la musica, purché fosse pura, cioè germanica, e non contaminata, cioè ariana: agli inizi degli anni Trenta, molti celebri compositori, direttori d'orchestra, grandi solisti e cantanti, erano ebrei. Nelle orchestre più gloriose, moltisimi strumentisti erano di religione ebraica. Una vergogna che andava cancellata col massimo rigore, come del resto tutto ciò che fosse «giudaico, bolscevico, negroide», cioè degenerato e subumano. Per celebrare la Giornata della Memoria, abbiamo presentato un programma di musica DEGENERATA, sì, proprio quella musica vietata e proibita dal regime: canzoni ebraiche, jazz, canzoni da cabaret, tutta musica non degna di essere ascoltata dal popolo tedesco poiché fatta o eseguita da “razze inferiori, da menti depravate”. In programma anche due celebri musiche da film vincitrici entrambe del premio Oscar come miglior colonna sonora.
JOHN WILLIAMS: SCHINDLER'S LIST
Schindler's List è la colonna sonora dell'omonimo pluripremiato film di Steven Spielberg del 1994. La firma delle musiche è di John Williams; quest'album (con il film) è considerato uno dei capolavori della storia del cinema e della musica per film. ELIE BOTHOL : GAM GAM GAM
Fa parte della colonna sonora del film Jona che visse nella balena di Roberto Faenza; nella pellicola, il canto viene insegnato dalla maestra a Jona e agli altri bambini nel lager. Nella versione resa famosa dal film, l'arrangiamento è in uno stile musicale ritmato e con orchestrazione complessa. Il canto è originario delle comunità ebraiche dell'Europa centro-nord-orientale. LILÌ MARLENE
Fu durante la Seconda Guerra Mondiale che questa canzone divenne famosa tra i soldati di tutti i fronti. L'emittente militare tedesca di Belgrado la trasmetteva ogni sera, poco prima delle 22.00: la ascoltavano con nostalgia non solo i soldati tedeschi ma anche i loro nemici. E accadeva qualcosa che a molti sembrava un miracolo: ogni sera per pochi minuti le armi tacevano. In brevissimo tempo "Lili Marleen" divenne la canzone più popolare tra i soldati di tutte le nazionalità. In realtà, ai nazisti non piaceva molto il testo, piuttosto antimilitarista e disfattista: la storia del soldato che pensa con malinco-
nia al suo amore lontano non era molto adatta a rafforzare lo spirito di combattimento. Fu persino vietata per un certo periodo, ma le richieste dei soldati tedeschi di ascoltare la canzone ogni sera erano troppo insistenti e così si ripresero le trasmissioni. La prima versione fu incisa nel 1938. L'attrice e cantante tedesca Marlene Die-
trich, fuggita dai nazisti negli Stati Uniti, la cantò per le truppe alleate e con la sua voce rese il brano famoso in tutto il mondo.
GEORGE GERSHWIN: SUMMERTIME
Il terribile Goebbels, ministro della propaganda e dell’informazione del III Reich, aveva bandito il Jazz. Provava repulsione per quella “terribile cagnara”: si accorse subito però che quei ritmi vivaci e coinvolgenti avrebbero potuto entusiasmare troppo il popolo e le piazze e questo non doveva accadere!! Dalle radio e dalle sale da concerto fu bandita tutta la musica jazz e soprattutto quella scritta da un certo George Gershwin, americano, per di più ebreo, nato da genitori russi che, appena emigrarono in America, cercarono di far perdere le loro origini ebraiche cambiando nome e cognome e così il famoso musicista, che in origine si chiamava Jacob Gershovwitz, divenne George Gershwin!
KURT WEILL: L’OPERA DA TRE SOLDI
Kurt Weill è un compositore tedesco ebreo: con l’avvento del nazismo è costretto a trasferirsi prima in Francia e poi negli USA. “L’opera da tre soldi” è un’opera teatrale scritta da Brecht e musicata da Weill. Lo stile della musica, totalmente contrario al regime, ricalca il cabaret e il jazz, forme musicali assolutamente vietate in Germania poiché troppo “impure ed americane”. BENNY GOODMAN: SAIN LOUIS BLUES
Goodman nacque a Chicago da poveri immigrati ebrei provenienti dalla Russia. Goodman fu indirizzato proprio per volontà del padre agli studi musicali e ben presto divenne un eccellente clarinettista tanto che A dodici anni suonava già nell'orchestra del teatro ed in diverse orchestre da ballo della città. Molti critici di musica sono oggi dell'avviso che Goodman ha avuto lo stesso significato per il jazz e lo swing
come per esempio Elvis Presley per il Rock'n'Roll. Benny Goodman aveva l'obiettivo di avvicinare il giovane pubblico bianco alla musica "nera" e ha quindi collaborato per superare la discriminazione razziale negli Stati Uniti, perché nei primi anni '30 musicisti jazz bianchi e di colore, secondo l'opinione pubblica, non potevano suonare insieme nelle band. Anche per questo, oggi è ricordato come "King of Swing". NICOLA PIOVANI: LA VITA E’ BELLA
Per questa musica Piovani è stato insignito dell'Oscar alla migliore colonna sonora nel 1999. Il brano La vita è bella è stato successivamente ripreso (con l'aggiunta del testo) dalla cantante israeliana Noa, con il titolo di Beautiful That Way.
Memoria
I nostri consigli di lettura Se questo è un uomo è stato scritto da Primo Levi per testimoniare tutte le cose orribili che ha visto e che gli sono accadute nei campi di concentramento nazisti. E’ un racconto autobiografico diviso in capitoli, non in ordine cronologico.
A me è piaciuto molto perché cercavo un libro che spiegasse dettagliatamente cosa succedeva e cosa si faceva nel campo di concentramento. Lo consiglierei a chi vuole approfondire la sua conoscenza sugli orrori dei campi di sterminio nazisti. Marco Blazevich, 3^ A Sec. Nelle foto, il Monumento all’Olocausto di Boston.
In questo periodo il libro che ho amato di più è stato Se questo è un uomo di Primo Levi: l’ho amato per la cura della scrittura e di ogni minimo particolare con cui l’autore è riuscito a racchiudere, in duecento pagine, la sua vita e le sue sofferenze durante il soggiorno nel campo di sterminio. In quello che all’apparenza sembra un piccolo e semplice libretto viene descritta la storia di un uomo a cui, insieme a molte altre persone, venne tolto tutto, il nome, gli abiti ma soprattutto la quotidianità che, grazie a semplici gesti, riesce a rendere bella la vita. Per descrivere però il contenuto non si riesce bene a trovare le parole adatte perché è e sarà sempre impossibile descrivere sofferenze così atroci da riuscire a strappare la dignità a semplici persone a cui però non
si potranno mai abolire i ricordi. Levi ha soffocato i ricordi proprio in questo libro mettendo per iscritto una terribile testimonianza della vita dei lager e facendo anche capire che quando alle persone viene tolto tutto non ci possono essere più differenze: si ha la demolizione dell’uomo. Questo, secondo me, è un libro stupendo che fa riflettere su un argomento che, nella vita di tutti i giorni, viene accantonato e non, invece, ricordato. Lo consiglio veramente a tutti perché riesce a trasportare nel dolore e nelle sofferenze dell’ autore provocando delle emozioni contrastanti che vale la pena provare. Ludovica Supino, 3^ A Sec.
Memoria
Il bambino con il pigiama a righe di John Boyne, 2006 Questo libro narra la storia di Bruno, un bambino di 9 anni, appartenente a una famiglia benestante di Berlino composta da lui, sua sorella Gretel, sua madre e suo padre, comandante dell’esercito tedesco. In seguito a un incarico assegnato al padre, tutta la famiglia parte per Auschwitz. Appena arrivati, Bruno vede dalla sua finestra un campo recintato con all’interno tantissime persone vestite allo stesso modo cioè con un pigiama a righe, la divisa del campo. Un giorno, Bruno decide di fare una delle sue esplorazioni e, passeggiando intorno alla rete, incontra un bambino ebreo di nome Shmuel che si trova dall’altra parte. I due bambini instaurano un
vero e proprio rapporto di amicizia e si incontrano sempre più frequentemente. Un giorno, però, la mamma di Bruno, in disaccordo su quello che accade nel campo, decide di partire con i figli per Berlino. Bruno saluta per l’ultima volta Shmuel che gli confida di non trovare più suo padre. Il giorno seguente Shmuel porta a Bruno un pigiama a righe come il suo per permettergli di entrare all’interno della recinzione, senza essere scoperti dagli ufficiali. Bruno si cambia ed entra per aiutare l’amico a cercare il padre. All’improvviso, comincia una marcia e gli ufficiali ordinano a tutti di spogliarsi ed entrare nelle docce. Il libro si chiude con la morte dei due bambini. I genitori di Bruno lo cercheranno fino a quando il padre ritroverà vicino alla rete i vestiti di
Bruno e solo allora capirà di avere ucciso lui stesso suo figlio.
Questo libro mi è piaciuto moltissimo e credo sia uno dei più belli che io abbia mai letto. Anche se la fine è tragica, la storia è molto coinvolgente. Il capitolo che mi è piaciuto di più è stato il penultimo, quando Bruno prima di morire stringe forte la mano di Shmuel; secondo me questo gesto, anche se così semplice, rappresenta un valore molto importante come quello dell’amicizia. Chelsea Catigbac, 3^ B Sec.
Memoria
I nostri consigli di lettura Lia Levi, Una bambina e basta Prima Edizione: 1997
Questo libro mi è piaciuto moltissimo perché è stato il primo che ho
letto in cui uno scrittore narra gli avvenimenti dal punto di vista di una bambina, tanto da non dirne mai il nome: in effetti, quando parliamo in prima persona, non diciamo il nostro nome. Gli avvenimenti in questione sono le vicende degli ebrei a Roma, durante le leggi razziali di Mussolini e l’occupazione nazista: eventi storicamente vergognosi. All’inizio, i genitori, per non turbare lei e le sue due sorelle, non parlano davanti a loro di ciò che accade, ma le bambine capiscono che c’è qualcosa di diverso, e di preoccupante, dal fatto che i genitori comprano il giornale tutti i giorni, parlano di andare a vivere in Francia, e in estate le mandano a lezione di francese. Poi, a settembre, cambiano scuola e vanno in una, riservata ai bambini ebrei: le maestre sono più simpatiche, e la protagonista in particolare ci va più volentieri, però intuisce di aver cambiato scuola perché i suoi genitori sono stati costretti a farlo, non per scelta, e per questo forse non è stata una cosa buona. Poi il padre perde il lavoro, la mamma deve consegnare l’oro, le ritirano i documenti, e fare la spesa non permette di portare a casa nemmeno il necessario, soprattutto per gli ebrei, ai quali, di lì a poco, ritirano le tessere alimentari; gli eventi si susseguono così veloci che i genitori non riescono più ad essere convincenti quando, alle domande delle bambine, rispondono “Niente, niente”. Infine la mamma, leonessa come tutte le mamme, decide di andare in un convento-collegio poco fuori città: lì le suore proteggono le bambine ebree nascondendole tra le bambine del collegio e inoltre, stando in campagna, possono allevare animali da cortile e coltivare un orto, in modo da avere verdura, carne e uova.
La lettura è stata molto piacevole, perché la scrittrice ha usato un linguaggio semplice, immediato, privo di qualsiasi introspezione, del resto impossibile per una bambina di 12 anni. Per certi versi, è simile al film “La vita è bella” di Benigni: lui è riuscito addirittura a descrivere la vita nei campi di sterminio, facendo sembrare tutto un gioco, per non spaventare il figlio. Anche Lia Levi fa dire alla bambina “mamma… fammi uno di quei cenni tranquillizzanti a cui mi hai abituata”: i bambini, come i cuccioli, gioiscono o si spaventano attraverso i genitori. Se loro sorridono vuol dire che c’è da sorridere, se loro sono preoccupati, bisogna preoccuparsi, e non importa capire di cosa si ride o ci si preoccupa. Molto bella e significativa la conclusione, quando ormai sono tornate a casa, e Roma è stata liberata dagli Americani: la bambina vuole scrivere una lettera per partecipare ad un concorso radiofonico e inizia “Cara radio, sono una bambina ebrea…”; la mamma straccia gioiosa quell’inizio di lettera e le dice che non è una bambina ebrea, è una bambina e basta. Una bambina e basta, una persona e basta, con i suoi diritti: diritto alla libertà, la prima cosa che i Nazisti hanno tolto agli ebrei, diritto al nome, che i Nazisti hanno sostituito con un numero tatuato sul braccio, diritto di fare la spesa, studiare dove si vuole e lavorare. Consiglierei questo libro a tutti, perché riflettano; la vita non è sempre rose e fiori, i problemi non si risolvono con il cellulare o il computer; non bisogna accettare le discriminazioni, perché a volte possiamo essere nel gruppo dei “non discriminati”, ma altre possiamo farne parte. Dobbiamo sempre rispettare il prossimo: lo dicono il buonsenso, la legge, le religioni, la Storia.
Ilaria Nicodemo, 2^ C Sec.
Memoria
Dai nostri archivi: una pagella di Seconda elementare, anno scolastico 1937-38: tra le discipline, Nozioni varie e Cultura Fascista –Storia e Cultura Fascista; sotto, l’annuncio della cerimonia di apertura dell’anno scolastico 1937-38 nella sezione adibita a Scuola di Avviamento Professionale. Le alunne sono invitate dalla direttrice a presentarsi in divisa dell’Organizzazione giovanile cui appartengono.
La Gazzetta dell’Alessi M A R Z O
A CURA DI
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MILICA
DOKIC E ILARIA NICODEMO
In questo numero abbiamo deciso di parlarvi dei vari sport e delle attività che noi e i nostri compagni pratichiamo nel pomeriggio, dalla ginnastica artistica al paintball. BUON DIVERTIMENTO! La farfalla sui pattini
La ginnastica ritmica
La sua armonia subito mi colpì,
quando andai alla pista quel dì. La campionessa leggera sui pattini scivolava, col fiato sospeso ci lasciava; la sua grazia colpiva, la sua bellezza ammutoliva; io la osservavo estasiata, dal suo passare la pista era accarezzata. Fu quando me ne andai, che un timido sorriso le lasciai. Lei, dolce, ricambiò e il mio cuore di gioia scoppiò!
Ilaria Nicodemo
Il mio sport preferito è la ginnastica ritmica: quest’anno la pratico nella palestra della scuola nel tardo pomeriggio. In questo sport si usano alcuni attrezzi, come la corda, la palla, il cerchio e il nastro. Ci si diverte molto soprattutto perché imparo a fare cose nuove e poi, quando vado a lezione, incontro una mia amica che fa ginnastica con me. Cristina B., 2013
La pallavolo
Il mio sport preferito è la pallavolo. E’ uno sport un po’ difficile però mi piace tanto. A pallavolo vado già da tre anni. Quando ero piccola, guardavo sempre le partite di pallavolo insieme a mio padre. Il mio sogno è che, un giorno, diventerò una giocatrice di pallavolo. Faccio pallavolo nella palestra della scuola “G. G. Belli”. La sua palestra non è così grande come nella mia scuola, però, lo è abbastanza per giocare. Abbiamo due spogliatoi e uno spazio dove giochiamo a pallavolo. Lì ho tante
LA
buone amiche. Quando abbiamo delle partite, diamo sempre il meglio di noi e siamo bravissime. Con i miei compagni ci passo sempre ogni giorno, siamo sempre insieme. L’attrezzatura che dobbiamo avere sono i pantaloncini o la tuta, maglietta a maniche corte e le scarpe. La nostra insegnante di pallavolo comprende tutti i nostri errori e ci aiuta. Quando cado le mie compagne mi aiutano e dopo qualche minuto tutto va benissimo. Alla fine, voglio dire che
GA ZZET TA
DELL’A LE SSI
ognuno deve avere un suo sport preferito, come me. Forse un giorno diventerò una famosa giocatrice di pallavolo!!! Milica
La ginnastica artistica La ginnastica artistica è uno sport poco praticato, perché poche persone, soprattutto i maschi, sono portate. È molto impegnativo, perché quando passi in serie C e stai per andare in serie B, fai 15 o 16 ore a settimana. A me piace molto questo sport, perché è pieno di acrobazie che si vedono solo nei film d’ azione, se non più fantasiose. Io in palestra ho molti amici, simpatici e forti, d’altronde come me. Una delle cose più belle che si possono fare in questo sport è che si possono inventare nuove figure, che poi, appena brevettate, prendono per nome il tuo cognome. Al momento, e non è
una cosa che racconto a tutti, sto inventando un movimento tutto mio, che se mi riesce bene, potrà essere brevettato.
Però oltre a questo, a me piace la ginnastica artistica perché è appassionante e non è uno di quegli sport molto conosciuti.
A proposito, dimenticavo di dire che, modestamente, sono io il più forte della mia squadra! Flavio Petreri
Il paintball Il paintball è uno sport il cui obiettivo è di eliminare l’avversario con dei fucili ad aria compressa carichi di vernice colorata. Lo sport viene praticato in un campo all’aria aperta dove si trovano dei cuscinoni gonfiabili che servono da riparo ai giocatori. L ‘attrezzatura comprende la maschera, i guanti, il giubbotto, il marcatore e le palline di vernice. Il vestito serve a proteggere il tuo corpo dai colpi, in quanto la pressione dello sparo è molto potente, circa 300 km orari; il marcatore è una sorta di mitra dalla struttura semplice. Il paintball si gioca a squadre: il gioco inizia con una sirena, i giocatori entrano in campo e si appostano nelle basi, poi i concorrenti iniziano a sparare con il marcatore; i giocatori che vengono colpiti o che finiscono i colpi si mettono la mano sulla testa ed escono dal gioco, cioè dal campo. Io amo il paintball e da ora in poi ci andrò molto spesso! Giacomo Fatello
L’equitazione
L’equitazione è lo sport che preferisco e pratico. Lo adoro perché si sta a contatto con la natura e con gli animali. E’ uno sport “speciale”, un’attività elegante e allo stesso tempo divertente. Adoro i cavalli perché non sono degli animali, sono degli esseri umani, anzi meglio! Mi sento in confidenza con loro perché sono tutti “amici” a cui posso confidare qualsiasi cosa. Ho un feeling unico con i cavalli. Per esempio Rita, la mia cavallina preferita, si fida ciecamente di me e io di lei. Sa perfettamente che le voglio un mondo di bene. Mia madre mi ha raccontato che fin da piccola avevo questa grande passione. L’equitazione mi ha cambiata. Giulia G.
Il cavallo per me è un animale speciale. Uno in particolare mi è rimasto nel cuore: Udinì, purtroppo andato in paradiso, il cavallo con il quale ho imparato a montare. Era docile e intelligente, capiva come dosare la sua energia a seconda di chi lo montava. Il suo mantello era color nocciola e a me sembrava dorato. Riconosceva la mia voce da lontano, sembrava mi sorridesse appena mi vedeva. Avevamo un’intesa davvero speciale e per questo lo penso ogni giorno. Anita
Il rugby Come attività pomeridiana io pratico il rugby: questo sport fino a qualche anno fa era praticamente sconosciuto ma è da un po’ di tempo che scala il palcoscenico internazionale degli sport, infatti le iscrizioni per questa attività in Italia sono aumentate vertiginosamente. A me non piace molto vederlo, preferisco praticarlo: quando ci gioco sento
emozioni fortissime e quando segno e i tifosi (tra cui i genitori) esultano il sangue mi fa scoppiare le vene mentre gli occhi mi si illuminano. La mia parte preferita dell’anno è quando giro l’Italia e l’Europa per fare importanti tornei. In conclusione per me il rugby è uno sport splendido che consiglierei a tutti di praticare. Claudio De Roma
LA RICCARDEIDE Raccontami, o Dea, di Riccardo, giovane ricco d’astuzie e volontà, che a lungo sopportò, dopo la verifica di Matematica, anche quella d’Arte. Di molti compagni egli conobbe la mente, molti dolori patì per via del football americano! lottando per la sua incolumità pel ritorno a casa, sano e salvo. Ma non tornò inerme, bensì con una costola rotta! Per follia di un suo compagno che lo placcò malissimo, pazzo! (che si beccò ben dodici inesorabili giri di campo) E il coach con questi distrusse le sue gambe. Anche a noi di’ qualcosa, o Musa, delle avventure del giovane Riccardo, figlio di Carlo. [Riccardo Lopizzo, 2012-13]
Il calcio Il calcio è uno sport di squadra: nasce in Inghilterra nel XIX secolo e oggi è senza dubbio lo sport più popolare del mondo. Lo scopo del gioco è quello di fare più reti (gol) degli avversari tirando la palla nella porta della squadra rivale.
Vi consiglio Il manuale di calcio di Pelé: parla delle esperienze e dei trucchi di un grande ex calciatore brasiliano, Pelé, che è riuscito a conquistare 3 palloni d’ oro. A me è piaciuto molto: ho scoperto molte cose che non sapevo.
Le regole sono molto semplici: la palla può essere presa con le mani solo dal portiere; chiunque altro sarà penalizzato dall’arbitro che fischierà il fallo dandogli un cartellino giallo. I cartellini sono usati dall’arbitro in base alla gravità del fallo commesso, il giallo è considerato come un avvertimento e il rosso caccia dal campo il giocatore che commette il fallo; la somma di due cartellini gialli porta anch’ essa all’espulsione del giocatore che finisce la partita prima del tempo lasciando la sua squadra in inferiorità numerica.
TACKLE: è
Nel 1848, i college inglesi furono i primi a stilare un regolamento di gioco chiamato Regole di Cambridge. Sempre in Inghilterra, nel 1857 nasce la prima società di calcio della storia, appunto, a Sheffield, fondata da Nathaniel Creswick .
Io sono appassionato di calcio da molti anni: mi piace andare allo stadio a incoraggiare la mia squadra e lo pratico anche fin da quando avevo 5 anni. Federico F. Zanatta
un intervento in anticipo, regolare, sul pallone controllato dall’avversario.
UN TIRO DI PUNTA: è un tiro meno bello di altri, serve molta potenza nella gamba e nell’appoggio altrimenti potrebbe venire un tiro sballato o fuori dallo specchio della porta.
TIRO D’ INTERNO: è molto complesso perché con la pianta del piede devi direzionare il tiro per concludere a rete devi colpire il pallone con l’ interno del piede.
PALLONETTO E CUCCHIAIO: il pallonetto è un tiro destinato a scavalcare il portiere da posizione accentrata, mentre il cucchiaio viene effettuato da posizione decentrate ovvero sulle fasce. Questi 2 tiri vengono considerati “magie”.
Kelvin Lima Brito
Il pattinaggio Il mio sport preferito è il pattinaggio artistico su rotelle. Mi sono iscritta per provare un nuovo sport, dopo la ginnastica ritmica, e sono rimasta entusiasta sin dalla prima prova. Mi piace perché sui pattini mi sento sicura e riacquisto tutta la sicurezza e il carattere che perdo quando sono in classe. Lo pratico nel pomeriggio al Dopolavoro dell’Aeronautica Militare, in un capannone tutto verde. Ci sono una o entrambe le insegnanti. Lì trovo le mie due migliori amiche. Ci alleniamo sempre insieme con Salti da Mezzo giro, Semplici, Tolup ... ed eseguiamo anche diverse figure: Angelo, Anfora, Seggiolino… Anche se siamo tutte al secondo anno, io sono di qualche salto più avanti, infatti ho cominciato a fare quelli più difficili: Stella e Flipe. Hanno tutti molta stima di me: in ogni coreografia, l’insegnante dice di guardare me, che intanto mi vergogno a morte, e, all’ultimo saggio mi ha definita “corografa”. Si cominciano delle piccolo gare sin dal primo anno; vi sono arrivata quinta,
una volta e prima la seconda. Ora stiamo preparando la coreografia per la gara del secondo anno e ho molta paura, perché è più complessa delle precedenti. Stando sui pattini, sembra di volare veloci sulla pista. Io so fare due tipi di trottole: quella su due piedi e quella su uno, anche con la preparazione. Un altro degli esercizi che mi piacciono è la Papera: la si esegue in curva mettendosi di profilo con i piedi opposti l’uno all’altro. Per me pattinaggio è e sarà sempre lo sport migliore del mondo: mette insieme danza, potenza, leggerezza, grazia ed eleganza; sembra difficile, ma non lo è affatto. Scivolando sulle rotelle, si sente il loro rumore sulla pista, che dà un’impressione di uniformità. Quando cado, le mie compagne non ridono del mio errore, ma si avvicinano chiedendomi “Tutto a posto?”. Anche io faccio così con loro e le aiuto a rialzarsi. Il tonfo dell’atterraggio da un salto risuona in tutto il capannone e dà un’idea di ampiezza, come un universo infinito per pattinare a mia disposizione
e delle mie compagne. Siamo una vera e propria squadra, compatta, dove tutti ci aiutiamo a vicenda, le maestre ci insegnano molte cose e ci fanno da guida. Ilaria Nicodemo, 2013
Leggende di classi e alunni In questa pagina vi presentiamo delle parodie scritte nel 2013 dai ragazzi dell’attuale 2A e ispirate al modello dell’Iliade. Giacomeide La Primeide Della Primeide raccontami le sorti, o Muta, che a lungo scrisse dopo che mise a soqquadro il sacro laboratorio, di molti professori vide i registri, molti timori patì nelle verifiche, lottando per i suoi alunni che (pazzi) cancellarono i compiti nel registro del prof. Boccaglio. Anche a loro di’ qualcosa di questa classe, o Muta, figlia di Sub. Leonardo Fancello La Classidea La classe ricca d’astuzie raccontami, o musa, che a lungo errò nelle verifiche dopo che ebbero distrutto i professori, di molti ragazzi le professoresse videro e conobbero le menti. Molti dolori patirono in cuore per i voti! lottando per i dieci e pel benessere dei suoi. Ma non vi riuscirono benché tanto ci provò per loro furbizia si arrabbiarono perdutamente, pazzi! che copiarono le risposte dal libro Sacro! E i prof distrussero le verifiche in cui un buon voto presero: anche a loro di’ qualcosa di questa catastrofe o Dea, figlia del cielo!
Giulia Di Stefano e Janira Frias
LA
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DELL’A LE SSI
Le imprese del ragazzo ricco di vivacità narrami, o prof, che a lungo s’impegnò dopo che ebbe saputo i voti in pagella; di tutti gli amici conobbe la mente, molti dispiaceri provò dopo litigate, che cercò di placare. E vi riuscì, accontentando di tutti i desideri. Anche a noi di’ qualcosa, o prof, del Giorgide Giacomo! Giacomo Passino
Ecco la nostra visita al Bioparco di Roma….. Appena trovammo davanti a noi l’arcata dell’entrata non vedevamo l’ora di incominciare la visita. Come prima cosa conoscemmo la guida, che ci portò, senza perder tempo, davanti dalle giraffe spiegandoci che i cuccioli devono essere, perlomeno, alti due metri per arrivare alle mammelle della madre. Il parto avviene in piedi.
IL CUCCIOLO DI GIRAFFA CHE VIENE ALLATTATO
LO SAPEVI CHE?
A differenza di quanto si crede, il collo della giraffa è composto da solo sette vertebre, come nella maggior parte dei mammiferi, uomo incluso. Anche la sua caratteristica lingua blu è molto lunga, e può essere estesa per ben 40 cm: serve per afferrare le foglie delle piante di cui si nutre.
Proseguendo la visita arrivammo alla gabbia dei tapiri, dei canguri, degli emu (i fratelli degli struzzi) e delle zebre asiatiche. LA
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DELL’A LE SSI
TAPIRI
ZEBRE ASIATICHE
LO SAPEVI CHE?
I canguri adulti raggiungono i 50 km/h in corsa, e fanno salti oltre i 5m. Curiosità… Al Bioparco di Roma molti degli animali presenti sono stati
salvati dal CFS (Corpo Forestale dello Stato) dal mercato nero e da zoo privati. Un esempio può essere la storia di una piccola giraffa che è in cura allo zoo. Lei è stata salvata da uno zoo privato (piccole aree private legali finalizzate alla crescita degli animali)
Curiosità… Le tigri sono i felini più grossi del mondo. Il loro manto
(arancio a strisce nere) permette loro di mimetizzarsi fra l’erba alta in modo tale da sorprendere alle spalle le prede. Le tigri sono in via d’estinzione (circa 350 in tutto il mondo). Occupano più di 300 habitat.
Continuando il viaggio ci siamo imbattuti davanti agli elefanti. La guida ci ha spiegato il perché gli elefanti si ricoprono di paglia e terra: serve per non essere attaccati da zanzare e, durante l’inverno, per riscaldarsi.
IL LABORATORIO
In via del tutto eccezionale il Bioparco ci ha aperto le porte al pronto soccorso degli animali. Ci hanno spiegato l’utilizzo dei vari macchinari nel laboratorio. Inoltre ci hanno mostrato un boa. Ci hanno detto che la pelle dei serpenti, se toccata, può portare malattie. Poco più tardi il padre di un nostro compagno ci ha mostrato le “tronchesine” taglia elefante e le cerbottane per addormentare gli animali più pericolosi quando vanno curati.
Dopo aver visto l’ospedale degli animali la guida ci condusse ad una sala vicino alla gabbia degli orsi. In quell’aula abbiamo toccato alcuni insetti, come l’insetto stecco, ed un furetto (appartenente alla famiglia delle puzzole). Giacomo Passino, Giulia Di Stefano, Riccardo Lopizzo e Leonardo Fancello, 2^ A, gennaio 2014
A sinistra, Federico presenta uno dei brani del concerto a tema; a destra, Elena si riprende dopo aver presentato a vari gruppi di visitatori una parte della mostra sulla persecuzione degli Ebrei in Italia; sotto, alcuni degli studenti di Terza durante le prove di lettura espressiva di “Vennero a prendere...�.