La seconda vita di Mediolanum

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IL GIORNALE DEI CONSULENTI FINANZIARI

BLUE RA La seconda vita TING di Mediolanum

ORA

IL GRUPPO PUNTA SUL PRIVATE BANKING

giovedì 21 luglio 2011 Copia abbinata a “Soldi Economia Finanza e Personal Business” Anno I | Numero 27

cover story GUARDIAMO ANCHE AI PATRIMONI MEDIO-ALTI ENNIO DORIS SI CONFIDA CON BLUERATING

reti & gestori PIETRO GIULIANI CI SPIEGA IL PERCHÈ DEI RISULTATI DI AZIMUT

valzer delle poltrone ARRIVA HELMUT BERNKOPF, IL NUOVO CAPO DELLA CONSULENZA PATRIMONIALE DI UNICREDIT

giro d’italia delle reti TUTTI I SEGRETI DELLA TOSCANA,

advisory della settimana A COLLOQUIO CON DANIELE BERNARDI A.D. DI DIAMAN SIM

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Ennio Doris, fondatore e a.d. del gruppo Mediolanum

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Settimanale - Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1, LO/MI

UNA REGIONE RICCA DI PICCOLI OPERATORI


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luci&ombre

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Etf, inglesi a caccia di frodi Il governo britannico ha avviato indagini sull’universo dei replicanti, con l’obiettivo di dare integrità ai mercati. E tutelare gli investitori Fabrizio Tedeschi Mentre la commissione europea si pone il problema di disciplinare gli ETF, ormai divenuti una parte rilevante del mercato mobiliare, il Regno Unito avvia indagini sulla loro correttezza e pericolosità per l'integrità dei mercati e la tutela degli investitori. Non è chiaro chi dei due sia partito prima, ma sempre più la commissione sembra adagiata sul modello di mercato inglese. Il problema, come ormai consuetudine, è costituito dagli eccessi della finanza strutturata. Gli ETF sono nati, più di vent'anni fa, come semplice strumento che riproduceva panieri e indici delle più svariate nature cosicché l'investitore poteva partecipare ai risultati derivanti dagli investimenti nei più diversi mercati sottoscrivendo un ETF, il quale a sua volta riproduceva, più o meno meccanicamente, un paniere o indici di titoli, merci, valute, etc. Il vantaggio

era costituito dal costo delle commissioni di gestione nettamente inferiore, circa la metà, a quelle dei fondi gestiti in modo attivo. Ulteriore vantaggio era la loro quotazione in mercati ufficiali, che consentiva di ridurre al minimo le spese di distribuzione e di essere rapidamente liquidabili con un semplice ordine di borsa. Col tempo la situazione si è modificata: anziché riprodurre portafogli più o meno complessi di titoli, merci, valute, etc., i gestori si sono rivolti sempre più a strumenti di finanza derivata. Quindi non hanno più costituito portafogli uguali o almeno simili agli indici di riferimento, ma hanno sottoscritto strumenti derivati abbastanza complessi riferiti agli stessi indici. Questa modalità operativa ha introdotto nel sistema degli ETF una mole notevole di rischi, sia per la loro opacità sia per la stabilità dei mercati. Naturalmente l'indagine inglese non coinvolge tutti i fondi con

modalità ETF; una buona parte di essi é in regola con le norme vigenti, ma vi sono casi in cui non sono trasparenti né le modalità con cui vengono eseguite le operazioni, dalla scelta dell'intermediario esecutore al costo delle operazioni alle valutazioni degli strumenti acquistati, né i rischi, in primis di controparte e di credito, che gli ETF corrono. Il primo aspetto è quello che più ha interessato il Serious Fraud Office del Regno Unito, il quale, in collaborazione con FSA e Bank of England, ha aperto un'indagine per verificare se la scarsa trasparenza operativa degli ETF possa di fatto nascondere comportamenti irregolari, al limite della frode, con gravi conseguenze sugli investitori. In realtà il pericolo maggiore deriva dai rischi di

controparte e di credito che gli ETF si trovano a correre. In precedenza, quando gli ETF riproducevano materialmente nei loro portafogli gli indici di borsa, quindi i titoli “fisici”, i problemi erano minimi: in caso di necessità si procedeva alla vendita dei titoli e si liquidavano gli investitori. I rischi erano quelli tipici di un investimento in uno specifico tipo di mercato e di strumento finanziario, non altri. Oggi gli investimenti sono costituiti, in u n

numero rilevante di casi, da contratti di finanza strutturata con altri intermediari, quindi richiedono complicate valutazioni sia del loro costo sia dell'affidabilità, a lungo termine, della controparte. Adempimenti gravosi e non scevri da incertezze. E comunque i rischi rimangono e sono di natura sistemica: l'inadempimento di una sola controparte può determinare reazioni a catena tali da coinvolgere un numero cospicuo d'intermediari e mandare in crisi d'insolvenza interi mercati, spettacolo al quale abbiamo già assistito nel recente passato. Staremo a vedere quali saranno i risultati dell'indagine del Serious Fraus Office e quali provvedimenti prenderà la commissione europea, sperando che nel frattempo non si verifichino incidenti di percorso e che la normativa emananda non sia tale da ingessare un mercato tuttora florido. tedeschi@alezio.net

Italia-Usa, chi rischia di più Alessandro Rossi

IL GIORNALE DEI CONSULENTI FINANZIARI

L'Italia è nell'occhio del ciclone e non si sa come andrà a finire. Ma la vera bomba per i mercati mondiali è innescata al di là dell'oceano. Gli Stati Uniti sono sull'orlo del baratro econonicofinanziario. Impensabile fino a qualche anno o qualche mese fa. L'immagine del paese di Barack Obama era la fotografia del benessere, della ricchezza. Dollari fruscianti si vedevano affluire in ogni parte del mondo laddove ci fosse una crisi economica o politica. Adesso basta. L'America ha vissuto troppo tempo al di sopra delle sue possibilità e ora si è scoperta in mutande: è un paese che spende 100 e incassa 60; è indebitato 3,6 volte più di quanto produca. Il tempo

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“gente comune” resta molto difficile, per certi versi incomprensibile, capire come si possa uscire dalla spirale della spesa pubblica che fagocita la crescita dal momento che, sin dai tempi della prima Repubblica, siamo passati di “stangata in stangata”, mentre la spesa pubblica ha continuato a crescere e lo sviluppo invece no. Quindi cosa succederà alla “gente comune”? Indubbiamente subirà un notevole peggioramento delle condizioni di vita . Basti solo pensare che il taglio delle detrazioni e delle deduzioni fiscali, previsti per il 2013-2014, potrebbe costare, a una famiglia media, mille euro di tasse in più in due anni. Con quindi meno spazio per risparmiare. Un problema non banale, visto che in questi anni di crisi molte famiglie hanno intaccato se non addirittura prosciugato

stringe. Se Obama non torva entro il 2 agosto un accordo con l'opposizione per fare la sua “manovra” saranno guai. Il giorno dopo vanno a scadenza 23 miliardi di dollari per il social security, quello successivo titoli di stato per 90 miliardi e a Ferragosto altri 30 miliardi di dollari per gli interessi. Nessuno crede alla bancarotta Usa ma più che passano i giorni, più i timori crescono anche perché di accordi con l'opposizione non se ne parla e i democratici non hanno i numeri per far da sé. In Italia, invece, i numeri si sono trovati. Con una manovra d'altri tempi, tosando il gregge. L'approvazione, in fretta, da parte del Parlamento della manovra di finanza pubblica, passata da 25 a 48 miliardi di euro, costituisce un segnale importante per i mercati finanziari e per le agenzie di rating. Ma per la

anno I - numero 27

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i propri risparmi. Sena contare che la “stangata” di questi giorni va ad aggiungersi ad un quadro dell'economia molto complicato. Infatti, secondo l'Istat, a giugno, il tasso di inflazione è salito al 2,7%. I prezzi dei generi alimentari, compreso i carburanti, evidenziano un'accelerazione del tasso annuo di aumento del 3,5%, superiore all'inflazione. Il costo dei biglietti aerei, dei treni e dei traghetti sta subendo una vera e propria impennata, con incrementi medi annui intorno al 10%. Il prezzo della benzina e del gasolio è cresciuto, su base annua, più del 12%. Nel paese cresce il malessere verso la politica, la magistratura tiene sotto assedio più di un membro del governo. Troppo difficile tenere la barra dritta. rossi@bluerating.com

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Copia abbinata al numero odierno di SOLDI

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21 luglio 2011

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Il gruppo guidato da Ennio Doris ha deciso di puntare sui patrimoni medio-alti

Mediolanum snobba un pò il retail “Gli altri provano a rincorrerci ma il nostro modello resta l’unico” Matteo Chiamenti Ritrovarsi in pieno centro a Torino, tra le maestose mura di Palazzo Carignano, oggi sede del Museo del Risorgimento, riempie lo spirito di un certo orgoglio italiano (un sentimento piuttosto sopito nei cittadini del Bel Paese). Ritenersi unici, per un certo verso, è un sentore paradossalmente comune: tra abitanti di una stessa nazione, tra compagni di squadra e perché no, di azienda. Ciò nonostante, esistono casi in cui l’aggettivo “unico” assume il ruolo di vero e proprio motto interno professionale, come nel fattispecie di Banca Mediolanum, una delle realtà bancarie che da sempre ha saputo manifestare la propria originalità. Lo fece coniando il termine “family banker” quando tutti si limitavano a parlare di promotore e l’ha fatto qualche giorno fa, quando ha scelto proprio il Museo del Risorgimento per ospitare una conferenza dedicata alla divisione Private Banking, una realtà meno conosciuta rispetto al volto retail, ma

sulla quale il gruppo di Ennio Doris ha deciso di puntare con fermezza. Ed è proprio con lui, il presidente di Banca Mediolanum, che BLUERATING ha deciso di fare quattro chiacchere. Un dialogo torinese che ribadisce la visione di un uomo che ha cambiato il modo di fare consulenza finanziaria in Italia. Presidente Doris, siamo abituati a vederla promotore di iniziative dedicate al retail. Che ruolo ha il private banking all’interno del vostro modello? Quando parliamo di Mediolanum parliamo di un modello di servizio verso la clientela che opera a 360 gradi, sulla base delle esigenze della stessa. È quindi evidente la necessità vitale di sviluppare la consulenza dedicata anche ai patrimoni medio-alti. Il fatto che il nostro lato più conosciuto sia il retail non significa affatto che il nostro impegno in questo segmento sia inferiore: a titolo esemplificativo ogni anno ci prodighiamo nell’organizzare decine e decine di eventi dedicati ai nostri clienti, normalmente mediante dei veri e propri talk show con ospiti illustri del mondo economico. La scelta di location ricercate e cariche di storia, come in questo caso il Museo del Risorgimento, deriva dalla nostra volontà di fare sentire come ancora più unici i nostri appuntamenti. Si tratta quindi di un modo per ribadire la vostra vicinanza ai clienti, specie all’interno di un contesto di mercato piuttosto spiazzante? Senza dubbio. È proprio in momenti come questo, dove ad esempio la speculazione

250 mila euro

internazionale vede terreno fertile per spaventare i mercati sul debito pubblico italiano e per creare movimento, che i nostri professionisti si esaltano e fanno sentire ancora di più il loro appoggio alla clientela. Ovviamente la nostra azienda deve essere allo stesso modo presente nei confronti dei consulenti, fornendo loro tutti gli strumenti adatti ad operare al meglio. Non per nulla tutti i

Sulla raccolta di giugno saremo i primi, con 270 milioni di euro mentre Fineco ne avrà circa 80. Nessuno ci può copiare Ennio Doris, presidente di Mediolanum

nostri private banker, così come per i family banker, ricevono quotidianamente le trasmissioni di approfondimento della nostra tv aziendale, le quali forniscono consigli indispensabile per fornire una chiave di lettura completa al risparmiatore. Uno dei vostri cavalli di battaglia, sempre in tema di assistenza al cliente, è proprio il supporto tecnologico, in primis via internet e telefonia. Ora anche altre reti sembrano volere rinforzare questo canale, si pensi ad esempio alla recente novità introdotta da Fideuram con “Mobile Solution”. Non temete quindi di perdere quello che è stato tipicamente un vostro vantaggio competitivo?

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A mio avviso non è minimamente pensabile che le altre reti siano in grado di replicarci sotto questo aspetto. Il nostro vero vantaggio non deriva tanto dalle piattaforme, sulla cui eccellenza ormai si è dibattuto da tempo, ma dalla cultura e dalla sicurezza che i nostri consulenti, attraverso queste, riescono a infondere ai risparmiatori. Sfido a trovare una assistenza così personalizzata come la nostra, sfido a trovare un banking center da 400 operatori evoluto come il nostro, dove è addirittura possibile una chiamata a tre tra family banker, cliente e operatore telefonico. E a ribadire la nostra leadership ci pensano i dati relativi alla raccolta: le anticipo che a giugno saremo i primi con 270 milioni di euro, mentre il secondo, Fineco, ne avrà circa 80. Nessuno ci copia. Se la concorrenza non sembra spaventarvi, vi è però una scenario generale di che sembra incertezza avvolgere il sistema bancario italiano. Tra le ultime incognite vi è ad esempio l’aumento dello 0,75% dell’ Irap contenuto all’interno dell’ultima manovra… L’Irap è una tassa iniqua perché non tassa gli utili aziendali, bensì va a colpire il lavoro, danneggiando in tal senso il sistema produttivo alla sua radice. In un momento di difficoltà diventa semplice per un governo aumentare la pressione su banche e assicurazioni, piuttosto che direttamente sul cittadino, ma ciò non giustifica comunque il senso di un contributo che io reputo ingiusto. Ciò detto ci adegueremo e andre-

Ennio Doris

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Media di giornate pro capite dedicate alla formazione del personale nel 2010

Sempre in materia di banche non si può non chiederle il parere sul contestuale previsto aumento del bollo sul deposito titoli, mentre, e questo potrebbe rivelarsi vantaggioso, vi è una diminuzione dell’aliquota al 20% sui conti deposito e su quelli on-line… Come le ho detto in precedenza, noi proseguiremo sulla nostra strada, non abbiamo bisogno di particolare variazioni della normativa per riuscire a essere vincente. Si pensi che nonostante il contesto fiscale finora svantaggioso siamo riusciti comunque a offrire al pubblico dei risparmiatori il conto corrente Freedom dove, grazie ad una polizza di supporto, la tassazione sul rendimento è stata limitata nell’ordine del 12,5%. Concludiamo con una battuta d’obbligo, essendo tipicamente periodo di calciomercato. Diverse piccole realtà sembrano essere sul mercato, come ad esempio Banca Network. La cosa vi può interessare? I movimenti attuali del mercato derivano da una naturale contrazione dell’offerta derivante dall’incremento salutare, ai fini del servizio offerto, della concorrenza. In genere siamo piuttosto scettici verso le acquisizioni, in quanto riteniamo difficilmente esportabile il nostro modello unico di consulenza. Si tratta di una vera e propria filosofia di eccellenza a supporto del cliente e, come tale, difficile da insegnare.

270 400 milioni di euro

unità È la cifra minima necessaria per utilizzare i servizi di private banking

mo avanti come sempre abbiamo fatto.

individui Il dato di raccolta netta del mese di giugno 2011 preannunciato da Ennio Doris

Il numero di persone del call center di Banca Mediolanum


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coverstory

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L’azienda di Basiglio ha fatto conoscere al pubblico il ruolo del promotore

E anche questa è storia italiana Il 1995 è stato l’anno della svolta, con la costituzione della holding Matteo Chiamenti Tutto è partito quando quasi trent’anni fa, precisamente nel 1982, Programma Italia S.p.A. sviluppò una partnership con il gruppo Fininvest, quest’ultima holding ammiraglia fondata nel 1978 da Silvio Berlusconi. Si tratta della prima rete in Italia ad offrire consulenza globale nel settore del risparmio, mentre un anno dopo nasce Mediolanum Gestione Fondi, società di gestione di fondi comuni di investimento di diritto italiano, una delle prime presenti sul nostro paese. L’offerta della rete si amplia ulteriormente, questa volta nell’ambito assicurativo e previdenziale, con l’acquisizione da parte del gruppo della società Mediolanum Vita e con la successiva costituzione di Programma Italia Investimenti, Società di Intermediazione Mobiliare. Una anno fondamentale è il 1995, quando nasce Mediolanum S.p.A, holding di tutte le attività di settore; sarà sempre lei, giusto un anno più tardi, a entrare a quotarsi sul listino della Borsa di Milano (ancora oggi facente parte del paniere Ftse Mib). Nel 1997 è volta dell’esordio di uno dei brand più conosciuti nell’ambito bancario (tanto da diventare persino indossabile su magliette e felpe, ma questa è un’altra sotria) dall’evoluzione di Programma Italia nasce Banca Mediolanum, che segna l’ingresso del gruppo Mediolanum in questo settore. Tre anni più tardi Banca Mediolanum lancia la “banca on line”, offrendo ai suoi clienti, oltre all’operatività dei canali tecnologici e la consulenza, anche servizi di trading. Il lancio viene promosso anche attraverso una campagna pubblicitaria su tv e stampa, che vede Ennio Doris, presidente della banca, come testimonial: un “esordio” mediatico che gioverà non poco alla causa della società. Sempre in quell’anno il servizio di consulenza vede una sua importante evoluzione nell’offerta: Mediolanum acquisisce il 2% di Mediobanca e con essa, successivamente, costituisce Banca Esperia, una joint ventu-

re per l’offerta dei servizi di private banking. Ma il 2000 è anche l’anno in cui Banca Mediolanum si apre oltre i confini italiani: con l’acquisizione del gruppo Bancario Fibanc, la società approda in Spagna. Lo shopping europeo prosegue nel 2001 con l’ acquisizione di Bankhaus August Lenz & Co e Gamax Holding AG, ma il gruppo decide di fare emergere la propria immagine sociale attraverso alcuni importanti iniziative umanitarie: la prima di queste è la nascita nel 2002 della Fondazione Mediolanum, costituita con l’obiettivo di seguire, realizzare e sviluppare le principali attività in ambito sociale del gruppo, con un prevalente interesse all’aiuto e al sostegno all’infanzia in condizioni di disagio. Un forte impatto sociale che si vede paradossalmente rafforzato nel 2008 quando, all’interno di un crisi finanziaria che ha gettato non poco fango sul sistema finanziario internazionale, Ennio Doris e il Gruppo Fininvest, soci di riferimento del Gruppo Mediolanum, si fanno carico di tutelare i clienti coinvolti nella vicenda Lehman Brothers intervenendo a favore dei circa 10 mila clienti coinvolti nel crack della banca americana senza gravare sugli azionisti di minoranza. L’ultima grande novità introdotta da Mediolanumn è la prima università privata bancaria in Italia: stiamo parlando della Mediolanum Corporate University.

Ecco svelato l’identikit del demiurgo dei family banker Il successo inizia con Programma Italia, poi arriva la svolta Ennio Doris, classe 1940, può essere definito, a ragione, come uno dei padri della pianificazione finanziaria “di massa” italiana. Attualmente lo ritroviamo come Amministratore Delegato di Mediolanum S.p.A., Presidente di Banca Mediolanum S.p.A., consigliere di Mediobanca S.p.A, Banca Esperia S.p.A mentre da poco ha rassegnato le dimissioni come consigliere indipendente della Fondazione San Raffaele del Monte Tabor, al fine di fare spazio ai nuovi consiglieri nominati dalla Santa Sede (tutto in seguito alla complicata situazione di debito dell’istituto). Partendo dal principio, dopo il diploma in ragioneria presso la scuola superiore “J. Riccati” (TV), Ennio Doris inizia la sua carriera lavorativa presso la Banca Antoniana Veneta nella filiale di San Martino di Lupari (PD), dove rimane per otto anni, per poi diventare direttore generale delle officine meccaniche Talin. Il primo passo verso l’attuale profilo professionale avviene nel 1969, quando inizia la sua attività nel campo della consulenza finanziaria per la società Fideuram (oggi Banca Fideuram, guidata dall’Amministratore Delegato Matteo Colafrancesco). Nel 1971 entra a far parte della Dival (grup-

po RAS, struttura che ha visto al suo interno un altro guru della consulenza, ovvero Gianfranco Cassol) che aveva appena dato vita al fondo comune di diritto lussemburghese “TreR” (dalle iniziali dei tre gruppi promotori: RAS, Rothschild e Rockfeller). Da una struttura commerciale iniziale composta da pochi collaboratori, in dieci anni raggiunge la qualifica di divisional manager con un gruppo di 700 persone. Il successo in Dival e l’esperienza effettuata nel mondo del risparmio fanno maturare in lui il desiderio di realizzare un progetto imprenditoriale che permettesse di offrire ai clienti risposte a 360°, una consulenza finanziaria “globale”. È questa l’intuizione destinata a segnarne il successo. Nel numero di maggio del 1981 il mensile Capital edito allora dalla Rizzoli pubblica una lunga intervista a Silvio Berlusconi, un giovane imprenditore milanese attivo nel settore immobiliare e in quello televisivo con la neonata Canale 5, che fa un’affermazione: “Se qualcuno ha un’idea e vuole diventare imprenditore, mi venga a trovare. E se l’idea è buona ci lavoriamo insieme”. Un incontro casuale a Portofino permette a Ennio Doris di conoscere Silvio Berlusconi e

di presentargli il suo progetto, convincendolo a parteciparvi. Nel febbraio del 1982 nasce la società Programma Italia, la prima rete in Italia ad offrire consulenza globale nel settore del risparmio, posseduta pariteticamente dal Gruppo Fininvest e Ennio Doris. Sotto la guida carismatica di Ennio Doris la rete di promotori di Programma Italia cresce rapidamente, come pure il fatturato dell’azienda. Nel 1995, nasce il Gruppo Mediolanum che ingloba Programma Italia e altre società operanti nel settore del risparmio gestito e nel campo assicurativo nel frattempo acquisite. Nel giugno del 1996 l’azienda viene quotata nella Borsa Italiana ed entra stabilmente nel MIB 30 (poi Ftse Mib) a partire dal 1998. Nell’aprile del 1997 nasce Banca Mediolanum con Ennio Doris come Presidente, mentre pochi anni dopo, precisamente a partire dal 2000, lui stesso diverrà il testimonial pubblicitario di Banca Mediolanum, per rafforzarne e trasmetterne il senso di fiducia e trasparenza. È da quella data che il modello Mediolanum entra di diritto tra i brand bancari più noti al pubblico dei risparmiatori Luca Spoldi

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21 luglio 2011

reti&gestori

Azimut allarga la gamma dei prodotti. Intanto continua a guardarsi intorno

Giuliani si consola con lo shopping «Vogliamo continuare a dare un rendimento netto superiore al risk free» Diana Bin In un contesto di peggioramento generalizzato per il settore italiano del risparmio gestito, Azimut si espande all'estero e allarga la gamma di prodotti per cercare di arginare la fuga di risorse, dopo la deludente performance di giugno, concluso con deflussi netti per 125 milioni di euro, il doppio che a maggio. Dopo l'ingresso sul mercato cinese e turco, l'acquisto di CMG a Montecarlo e l'accordo di distribuzione con la svizzera Siqurgest, la società italiana attiva nella gestione del risparmio e guidata da Pietro Giuliani ha recentemente firmato un accordo

Stiamo sviluppando prodotti diversificati per tipologia e aree geografiche per dare rendimenti superiori al Bot italiano Pietro Giuliani, presidente e a.d. Azimut

vincolante per l'acquisizione del 50% della società svizzera Katarsis Capital Advisors SA e della sua partecipata Eskatos Capital Management Sarl, in un'operazione da 7,5 milioni di euro: una valutazione che corrisponde a circa dieci volte gli utili della società acquisita. Obiettivo: costruire nuovi prodotti che consentano al cliente di ottenere un rendimento soddisfacente nel breve periodo, ma senza per questo andare incontro a una sottoperformance nel medio-lungo termine. Katarsis opera in Svizzera come investment advisor della

75 milioni di euro

sua controllata lussemburghese Eskatos Capital Management, società di gestione specializzata nelle Insurance Linked Securities, che può contare su masse totali per circa 90 milioni di euro. Pietro Giuliani, presidente e a.d. di Azimut, racconta a Bluerating la situazione attuale e gli obiettivi futuri della società. Dottor Giuliani, il mese scorso le società del risparmio gestito in Italia hanno registrato una brusca frenata: secondo i dati di Assogestioni, la raccolta netta di Azimut è stata negativa per 125 milioni. A cosa è dovuto questo risultato? In questo momento molte società scelgono di assecondare il cliente, che vuole sentirsi dire che il suo investimento ha un capitale garantito e possibilmente un rendimento anche alto. Su questi desiderata del cliente si possono fare tante cose: polizze con durata 4-5 anni, conti correnti con rendimenti attraenti, obbligazioni. Noi abbiamo deciso però di contrastare questa strada: dando al cliente quello che chiede sulla base dell'emotività, lo si accontenta nel breve, ma lo si porta inevitabilmente a guadagnare di meno sul medio-lungo periodo, di pari passo con l'aumento dei tassi. Basti pensare all'asta dei Bot che ieri sera è stata sottoscritta al 3,65%. Azimut invece è sempre riuscita a dare rendimento netto al cliente superiore al risk free, e vogliamo continuare a farlo. Per questo motivo non sono troppo preoccupato dalla perdita dello scorso mese e dei mesi precedenti, se questo è il prezzo da pagare per avere oltre 14 miliardi di euro investiti in modo che nel medio periodo rendano più del

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Bot. Attualmente stiamo sviluppando a livello mondiale una serie di prodotti diversificati per tipologia e aree geografiche proprio per poter dare a clienti in tutto il mondo dei rendimenti superiori a quelli che avrebbero comprando il Bot italiano. Proprio in quest'ottica si inseriscono dunque le nuove acquisizioni annunciate di recente dal gruppo: dall'ingresso sul mercato cinese e turco, all'acquisto di CMG a Montecarlo all'accordo di distribuzione con la svizzera Siqurgest. Fino all'accordo annunciato oggi, per l'acquisto del 50% della società svizzera Katarsis Capital Advisors. Queste operazioni potrebbero contribuire a frenare la riduzione delle masse in gestione? Esatto, stiamo pensando a costruire prodotti che diano al cliente la ragionevole probabilità di avere quel che vogliono ma senza entrare in operazioni che portino sul medio periodo a un guadagno minore. Katartis per esempio opera in Svizzera come Investment Advisor della sua controllata lussemburghese Eskatos Capital Management. Quest'ultima gestisce una SICAV/SIF di diritto lussemburghese che propone attualmente due comparti di tipo aperto: Eskatos Multistrategy ILS Fund e Eskatos Property & Casualty Fund, entrambi operativi da oltre tre anni. Si tratta di prodotti che è come se facessero investire nella riassicurazione: consentono di ottenere un'esposizione a rischi legati al verificarsi di eventi naturali, che in quanto tali non soffrono la psicologia che talvolta caratterizza le asset classes tradizio-

90 milioni di euro

milioni di euro Il valore dell’operazione per rilevare il 50 % della svizzera Katarsis

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I deflussi registati nel mese di giugno dalla società guidata da Giuliani

nali, quindi sono decorrelati dai mercati finanziari. Questo li porta ad offrire un rendimento netto al cliente elevato, rispettivamente tra il 6 e l'8% e tra l'8 e l'11%, con una volatilità ridotta. La riforma sulla tassazione entrata in vigore il 1° luglio, che dovrebbe rimuovere la disparità fiscale rispetto ai prodotti di diritto estero, porterà dei benefici per il risparmio gestito italiano? Non credo, almeno non nel breve, perché era un atto dovuto, era un handicap che avevamo in confronto agli altri che ora ci viene tolto, ma non ci fornisce un vantaggio. Il problema vero è che il prodotto risparmio gestito, dando la valorizzazione ogni giorno, è

estremamente trasparente e quindi non consente a chi vende e distribuisce di “occultare” le oscillazioni sul mercato, a differenza di quel che succede, ad esempio, per i prodotti obbligazionari. Quindi si paga un prezzo di trasparenza, soprattutto in momenti di mercato come questi. Sta poi a ogni operatore capire che non solo non bisogna approfittarsene, ma bisogna resistere, avendo come obiettivo la massimizzazione del rendimento per il cliente nel medio termine. Avete in programma nuove acquisizioni? Noi in programma ne abbiamo tantissime. Ma anche se stiamo diventando una multinazionale siamo sempre in pochi. Quindi almeno per i prossimi mesi staremo tranquilli.

Pietro Giuliani

14 miliardi di euro

Le masse in gestione a Eskatos Capital Management, controllata di Katarsis

Il patrimonio complessivo veicolato da Azimut alla fine di giugno

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21 luglio 2011

assetallocation

L’Asia è sugli scudi, la Borsa paga la sfiducia. Lo dice il sondaggio Morningstar

E ora è fuga dai titoli di Stato Torna l’interesse su Tokyo mentre l’Europa si spacca sul debito pubblico considerato un rifugio dalla tempesta delle nazioni periferiche, anche se, avvertono i gestori, neppure Francoforte è del tutto al riparo dalla crisi. In questo contesto, la Banca centrale europea aumenterà ancora i tassi, ma a piccoli passi. Non sono invece previsti aumenti dei saggi di riferimento negli Stati Uniti, perché la Federal Reserve è determinata a continuare nel suo sostegno all’economia. Euro giù. E il dollaro? I gestori confermano le previsioni di giugno sul rapporto di cambio tra euro e dollaro. Il 66,7% prevede un indebolimento della divisa comunitara. Alcuni stimano che si possa arrivare a quota 1,35, anche il considerazione del fatto che l’euro appare ancora sopravvalutato. Dal canto suo, il biglietto verde non ha alle spalle un quadro fondamentale solido, considerato l’elevato debito pubblico americano e lo squilibrio della bilancia commerciale, tuttavia il dollaro è considerato in una posizione migliore rispetto alla valuta dell’Unione.

miliardi (il 74%) in mano ai prodotti armonizzati. In particolare, di questi 5.900 miliardi, il 35% risulta veicolato da prodotti azionari, il 24% da fondi obbligazionari, il 19% da fondi monetari, il 16% da prodotti bilanciati e il 6% da altri fondi Ucits. Diana Bin

L’ANDAMENTO DELLA RACCOLTA 75

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I bond hanno infatti invertito la rotta rispetto ad aprile, con afflussi per 8,4 miliardi dal precedente rosso di 0,7 miliardi (il totale da inizio anno è pari a 14,6 miliardi). Mentre gli azionari, come previsto, hanno registrato una brusca frenata a 0,7 miliardi dagli 8,2 miliardi del mese prima (13,9 miliardi da gennaio). In peggioramento anche i prodotti bilanciati (raccolta dimezzata a 5,2 miliardi da 10,5 miliardi) e gli altri fondi Ucits, con afflussi ridotti a 1,8 da 3,5 miliardi: un andamento che ha portato la raccolta complessiva dei fondi armonizzati a lungo termine a 16,1 miliardi, un livello inferiore ai 21,4 miliardi di aprile. Determinante per il “sorpasso” è stato dunque il buon andamento dei fondi monetari

Ot

mese precedente. “I fondi Ucits hanno continuato a registrare afflussi robusti di risorse a maggio, nonostante l'inasprirsi della crisi sui debiti sovrani”, ha commentato Bernard Delbecque, di Efama, sottolineando che la ripresa dei prodotti a reddito fisso rispecchia, in un periodo di estrema volatilità dei mercati, un ritorno degli investitori verso asset meno rischiosi. Entrando nel dettaglio della raccolta dei fondi armonizzati (Ucits è l'acronimo di Undertakings for Collective Investments in Transferable Securities e indica appunto l'insieme di normative volte a fornire una sorta di “passaporto europeo” ai fondi dei vari Paesi membri), l'andamento migliore è stato quello dei prodotti obbligazionari.

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Il settore europeo del risparmio gestito ha mantenuto la rotta nel mese di maggio. I fondi armonizzati Ucits, che rispondono alla normativa europea sui fondi di investimento, hanno infatti archiviato il periodo di rilevazione con una raccolta netta complessiva di 21,8 miliardi di euro, sostanzialmente in linea con i 21,4 miliardi di aprile, portando il totale dall'inizio del 2011 a 72,9 miliardi. I dati pubblicati dalla European Funds and Asset Management Association, che analizza l'andamento dei fondi comuni in Europa riunendo 27 associazioni di diversi Paesi, evidenziano invece un rallentamento dei prodotti non Ucits, che hanno segnato il passo a maggio con afflussi per soli 0,9 miliardi contro gli 8,3 miliardi del

Au

Secondo i dati Efama, freno a mano tirato per i prodotti non Ucits

che, fermi sulla parità in aprile, hanno visto afflussi per 5,5 miliardi a maggio, risollevando il dato finale a 21,8 miliardi. Quanto invece agli asset in gestione, i dati Efama evidenziano un patrimonio totale poco sopra gli 8.000 miliardi a maggio: 2.097 miliardi (il 26%) in capo ai fondi non Ucits e 5.900

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Con questi mercati gli investitori vogliono solamente la stabilità

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Ma in Asia l’inflazione sotto controllo? Il tema dominante in Asia rimane l’inflazione. Secondo alcuni

Bond, Europa divisa Le dinamiche del mercato obbligazionario nell’area Euro non sono omogenee. I titoli di stato dei Paesi core (come la Germania) scontano ampiamente un rallentamento della crescita, mentre quelli dei Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia Grecia e Spagna) dipendono dalle decisioni politiche. La percezione del rischio è aumentata nel Vecchio continente e il Bund tedesco è

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La riscoperta di Tokyo Il Giappone, forte del senso di identità nazionale, si sta riprendendo dal terremoto. Per il 54,2% dei gestori, gli indici nipponici saliranno nei prossimi mesi, perché le aziende presentano interessanti prospettive di crescita e il Paese è inserito all’interno della fiorente area asiatica. E’ ancora da vedere, però, se il contesto favorevole determinerà l’uscita definitiva dalla ventennale deflazione.

gestori, il pericolo di un eccessivo surriscaldamento dei prezzi è ancora elevato; secondo altri le banche centrali sono riuscite a mettere sotto controllo la situazione. L’area ha un forte potenziale di crescita. L’ultimo dato sul Pil (Prodotto interno lordo) cinese, relativo al secondo trimestre, ha sorpreso in positivo (+9,5% rispetto allo stesso periodo del 2010) , anche se alcuni fund manager non si sentono di escludere un brusco rallentamento in futuro. In ogni caso, l’Asia è il continente che raccoglie più consensi: il 75% degli intervistati prevede un incremento delle quotazioni azionarie nei prossimi sei mesi.

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Europa vittima della speculazione La crisi del debito sovrano si è acuita nelle ultime settimane, dominate dal timore di un contagio tra i Paesi periferici dell’Europa. I gestori, comunque, sono convinti che ci sia una buona dose di speculazione, che alimenta la volatilità. E’ parere diffuso che, quando le acque si calmeranno, gli operatori tornernanno a concentrarsi sui fondamentali delle aziende e sulle valutazio-

Tempi duri per l’Italia A differenza del resto d’Europa, i gestori pensano che il listino milanese continuerà ad essere condizionato dalla situazione italiana. Se da un lato escludono che ci siano le condizioni per un default, dall’altro puntano il dito contro una crescita economica che è molto più bassa del resto d’Europa. Chiedono, quindi, riforme strutturali per le quali, però, non vedono la volontà politica. Questa situazione tiene lontano i grandi investitori esteri. Solo il 29,2% degli intervistati prevede un rialzo nei prossimi sei mesi, a fronte di un’analoga percentuale di pessimisti. Wall Street su nonostante tutto Gli ultimi dati macro-economici americani non hanno dipinto uno scenario roseo. L’indice Ism, che misura lo stato di salute del settore manifatturiero, è sceso, il mercato del lavoro fatica a riprendersi e quello immobiliare è ancora in difficoltà. Intanto, la Federal

Reserve ha espresso la disponibilità a garantire ulteriori stimoli all’economia, mentre le agenzie di rating hanno acceso i riflettori sull’enorme debito pubblico degli Stati Uniti. I gestori, tuttavia, rimangono ottimisti su Wall Street, con il 66,6% che si aspetta un incremento delle quotazioni nei prossimi mesi (erano il 73,7% a giugno), grazie alla flessibilità di questo mercato e al ribasso delle materie prime che dovrebbe favorire la ripresa dei consumi.

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Le aziende sono in salute, gli stati occidentali, invece, sono malati. È’ quanto emerge dal consueto sondaggio targato Morningstar tra le principali case di investimento che operano in Italia, dove si legge: “Questa contrapposizione genera incertezza tra i gestori, combattuti tra la possibilità di trarre vantaggio dalle valutazioni dei titoli azionari e la necessità di stare in difesa in attesa di tempi migliori. Il risultato è un moderato ottimismo sulle Borse e un giudizio più critico verso i titoli di Stato. Fa eccezione Piazza Affari, colpita dalla sfiducia per il sistema Italia.

ni azionarie che appaiono interessanti. Per questa ragione, il 62,5% degli intervistati prevede un rialzo delle Borse nei prossimi sei mesi (erano il 63% a giugno).

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Redazione

Fonte: Efama

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BLUE RA TING

21 luglio 2011

focusfondi

Inizialmente l’impatto sulle reti distributive sarà modesto ma nel lungo periodo...

È una chance per la distribuzione Calamai di Fundstore spiega a BLUERATING la sua visione sulla Ucits IV Luca Spoldi Quale sarà l’impatto della direttiva Ucits IV sul mondo del risparmio gestito e in particolare delle reti italiane? Bluerating continua il suo sondaggio e questa settimana raccoglie le risposte di Simone Calamai, amministratore delegato di Fundstore.it. Dal 1° luglio è in vigore la direttiva europea Ucits IV che da vita al nuovo passaporto del gestore. Quale sarà l’impatto sulle reti distributive italiane, in termini di costi, vantaggi e svantaggi? Gli operatori maggiormente avvantaggiati potrebbero essere quelli esteri e/o quelli che già hanno adottato un’architettura aperta? L’impatto sulle reti distributive sarà modesto, soprattutto nel primo periodo. In un mercato tendenzialmente dominato dall’offerta, come è quello italiano, l’introduzione della Ucits IV e dei nuovi prodotti ad essa legati non potrà che essere una nuova opportunità per il settore della distribuzione. Riguardo gli operatori, esiste secondo me un rischio concreto che la raccolta si sposti ulteriormente a favore dei soggetti che hanno storicamente dimostrato un’attenzione superiore alla media riguardo all’architettura aperta e a politiche di distribuzione indipendenti. Questi soggetti sono nella stragrande maggioranza dei casi, operatori esteri.

Quale sarà secondo voi la prevedibile reazione dell’industria alla normativa: sposteranno il domicilio quelli già esistenti o entrerà in Italia solo chi deve ancora arrivare o cosa? Ed eventualmente come vi state attrezzando voi in Fundstore.it? È piuttosto difficile fare una valutazione in questo senso. Sicuramente ci sono alcune realtà italiane che, grazie anche alla recente modifica della tassazione dei fondi italiani, con la Ucits IV avranno la possibilità di farsi apprezzare anche all’estero. Per quanto riguarda noi, avendo il mero ruolo di distributore “super partes”, attendiamo appunto di comprendere meglio quali saranno le strategie di mediolungo periodo delle varie società prodotto.

L’offerta proveniente dai gestori esteri è troppo spesso spiazzante per i player italiani, sia in termini di quantità che - spesso - di qualità. Questo è verificato dal fatto che, in assenza di un condizionamento da parte del distributore (come avviene su Fundstore.it), i prodotti italiani con reale valore aggiunto magari di piccole Sgr - se la giocano alla pari, in termini di gradimento, rispetto a quelli di blasonate case di gestione estere.

Alla luce della nuova normativa quali potrebbero essere dei corretti meccanismi di incentivazione? Ritengo che gli attuali meccanismi di incentivazione siano sufficientemente flessibili e che possano quindi ricomprendere anche le nuove casistiche. La Consob ha da poco sottolineato l’importanza della consulenza indipendente:

Simone Calamai

Se da un lato il ministro Tremonti sembra volere incentivare la raccolta fondi presso le Sgr italiane, dall’altro se si guarda all’offerta appaiono vincenti le Sgr che propongono una vera “open architecture” in cui sono i fondi esteri a farla da padrone (anche se poi spesso si tratta di fondi di fondi). Come possono coesistere, secondo voi, queste due visioni in apparenza così contraddittorie? Purtroppo gli incentivi fiscali a favore delle realtà italiane (peraltro legittimi e attesi da tempo) non sono sufficienti in un mercato così competitivo.

Fai una foto con il tuo smartphone e approfondisci la notizia su Bluerating.com

La storia del primo supermercato italiano online di fondi e sicav Con 11 anni di presenza sul web, offre 3500 prodotti su cui investire Fondata nel gennaio del 2000 su iniziativa di alcuni investitori privati, tra cui Banca Ifigest e Gianni Bizzarri, suo ideatore e presidente, Fundstore.it è attualmente l’unico supermercato di fondi online che permette di acquistare oltre 3.500 tra fondi comuni di investimento e Sicav utilizzando il proprio

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conto corrente. Fundstore.it si rivolge non solo agli investitori individuali, ma anche agli intermediari finanziari autorizzati alla luce della normativa Mifid al collocamento di titoli, nonché ai consulenti finanziari. Attuando una disintermediazione tipica delle piattaforme online, non vi è flusso di denaro tra cliente e soggetto

riagganciarsi ad una logica “territoriale” nella raccolta del sistema, non rischia di essere una contraddizione? Secondo me no. Le possibilità che si aprono in termini di disponibilità di nuovi e più sofisticati prodotti non dovrebbero impattare negativamente sul rapporto cliente-consulente, né considero negativamente il fatto che ci sia un legame di vicinanza territoriale tra cliente e consulente. Casomai, la vera contraddizione da sottolineare è come a distanza di quasi quattro anni dal recepimento della Mifid, in Italia non esista nella sostanza l’attività di consulente indipendente. Questo è dovuto alla presenza nel nostro paese di un mercato della distribuzione completamente sbilanciato dal lato dell’offerta, regolato da una serie di adempimenti normativi probabilmente troppo onerosi per il singolo professionista e con meccanismi di incentivo complicati e, talvolta, poco trasparenti.

intermediario, con vantaggi legati all’assenza di oneri per i servizi prestati dall’intermediario collocatore, commissioni di ingresso, uscita e switch azzerate, assenza di spese per tenuta conto, dossier titoli virtuale per controllare gli investimenti, sicurezza nella transazione e abbinamento con i servizi di un advisor. Gli

unici costi sono pertanto rappresentati dalle cosiddette “commissioni di intervento” delle banche corrispondenti e/o depositarie,

una sorta di diritto fisso che compensano la banca corrispondente/depositaria per i suoi servizi (quale sostituto d’imposta, transfer agency o altro). Nel settembre 2009 Fundstore.it ha lanciato FondoNews, un portale d’informazione, consultabile gratuitamente, interamente dedicato agli studi delle più importanti case di investimento autorizzate al collocamento in Italia. L. S


21 luglio 2011

reti&gestori VALZER DELLE POLTRONE

SOTTOVOCE

a cura di Gianluca Baldini

Bis di ingressi in Sicilia per Valori & Finanza

Nuovo capo per UniCredit Private Banking

Valori & Finanza Investimenti SIM, la società d’intermediazione mobiliare udinese, che ultimamente ha aperto l’azionariato ai promotori finanziari interessati e guidata da Flavio Francescato, dopo i recenti ingressi che hanno consolidato la sua presenza nel Nord Est, raggiunge anche la Sicilia. Entrano nella rete della SIM due nuovi promotori: Carmela Falanga e Salvatore Scarfì. Professionisti della finanza, già attivi sul territorio con un cospicuo portafoglio, Falanga e Scarfì arrivano in Valori & Finanza con un’esperienza decennale nel settore, maturata in società di intermediazione mobiliare nazionali. Carmela Falanga sarà operativa su Palermo mentre Salvatore Scarfì si occuperà della zona di Siracusa. Con l’ingresso di Falanga e Scarfì la consulenza, i servizi e i prodotti che contraddistinguono l’offerta di Valori & Finanza sono ora disponibili anche per i clienti, privati e aziende, della Sicilia. “L’arrivo nel nostro team di Falanga e Scarfì – commenta Flavio Francescato, Presidente di Valori & Finanza – rappresenta un primo passo importante per il nostro consolidamento anche nel centro sud Italia, zona in cui contiamo di incrementare ulteriormente il numero di promotori finanziari nei prossimi mesi”.

Il cda di UniCredit ha deliberato la nomina di Helmut Bernkopf (nella foto) come responsabile della Divisione Private Banking. Helmut Bernkopf riporterà al d.g., Roberto Nicastro, e farà parte del Business Executive Management Committee. Roberto Nicastro ha dichiarato: “Oggi il Private Banking di UniCredit è tra i primi player in Europa e il primo in paesi chiave per noi come l’Italia, l’Austria e la Polonia. Dare servizio e consulenza ai nostri clienti primari è una sfida che richiede forte leadership e un profilo internazionale. Per questo sono lieto della nomina di Helmut Bernkopf, a cui auguro buon lavoro”. Helmut Bernkopf è stato Manager del Corporate Finance di Bank Austria AG dal 1994 e Responsabile dei prestiti della filiale di Londra. Nel 2000 è diventato Head of Corporate Banking in Bank Austria Creditanstalt Romania e dal 2001 fino al 2004 è stato Deputy Chairman di HVB Bank Romania.Dal 2005 al 2006 ha ricoperto il ruolo di Head of CEE Division e dal 2007 al 2008 quello di Deputy Chairman di UniCredit Bank Russia, partecipando al Management Board da ottobre 2007 a luglio 2008. Da settembre del 2008 partecipa al Member of the Management Board of Bank Austria Creditanstalt come Head of Corporate and Investment Banking Austria.

Fabio Carniol entra in Towers Watson Cambia il numero due di Carmignac Gestion Eric Le Coz assume la funzione di Deputy Managing Director di Carmignac Gestion e, insieme a Edouard Carmignac, condividerà la responsabilità per il coordinamento del team di gestione. Eric Le Coz (nella foto) è membro del Comitato per gli investimenti e nel contempo consiglia il team di gestione in merito alla definizione degli obiettivi e della loro realizzazione. Eric Le Coz mantiene la supervisione dei Risk and Reporting Department e del Product Engineering. Dal 1998 al 2003 Eric Le Coz ha cogestito Carmignac Emergents e Carmignac Patrimoine.

BLUE RA TING

Towers Watson consolida i suoi vertici aziendali con la nomina di Fabio Carniol (nella foto) a nuovo Managing Consultant per l’Italia. Carniol, ha operato presso Assicurazioni Generali, Unicredit, Banca Commerciale Italiana e Cattolica Assicurazioni, occupandosi di servizi finanziari, di asset management, di employee benefits e di assicurazioni. Fabio Carniol, che conserverà anche gli attuali incarichi di a.d di Towers Watson Italia, di Legale Rappresentante per l’Italia di Towers Watson Pennsylvania Inc. e di Country Leader per il segmento Benefits, nel suo nuovo ruolo guiderà lo sviluppo di Towers Watson in Italia in collaborazione con gli altri membri del leadership team nel nostro Paese: Edoardo Cesarini, Talent & Rewards Country Leader, ed Alessandra Gambini, Risk Consulting & Software Country Leader.

Novità importanti per Générale de Santé

Gli azionisti di Générale de Santé hanno modificato la governance societaria, che passerà dal sistema dualistico (che prevedeva un Consiglio di Sorveglianza e un Directoire) ad un sistema più tradizionale che prevede l’istituzione del solo cda, così composto: Antonino Ligresti Presidente, Lorenzo Pellicioli - Vice Presidente, i consiglieri Paolo Ceretti, Carlo Frau, Marc Vincent, Ross Mc Innes e Matthias Leridon. Il Consiglio di amministrazione ha quindi nominato Pascal Roché (nella nuovo Directeur foto) Général della società, con deleghe di gestione simili a quelle che la legge italiana prevede per un amministratore delegato. Cessa pertanto le sue funzioni Ferruccio Luppi, che ha positivamente gestito la fase di transizione seguita all’uscita del precedel dente Presidente Directoire, Frédéric Rostand.

RISPARMIO GESTITO IN SALSA ELVETICA

Aviva Investors apre a Zurigo e nomina due nuovi dirigenti I due business developer saranno Fabio Ferra e Karsten-Dirk Steffens Aviva Investors ha reso noto di essere entrata nel mercato svizzero con l’apertura di un ufficio a Zurigo e la nomina di due Business Development Directors. Fabio Ferra, con il ruolo di Business Development Director e Country Representative, e Karsten-Dirk Steffens, Business Development Director, si occuperanno di sviluppare il network di distribuzione di Aviva Investors in Svizzera. Riporteranno a Gabriele Miodini, Head of Financial Institutions – Europe. L’ufficio di Zurigo sarà basato all’indirizzo Stockerhof building, Dreikönigstraße 31a. “Grazie alla forte concentrazione di strutture di private banking e

di high net worth individuals, la Svizzera ha uno dei mercati finanziari più sofisticati d’Europa. L’entrata in questo mercato rappresenta un’importante tappa nello sviluppo del business di Aviva Investors in Europa, a riprova del nostro impegno verso i clienti attuali e quelli potenziali” – ha commentato Gabriele Miodini. “Grazie alla loro comprovata conoscenza del mercato e alla rete di contatti che hanno sviluppato nel settore degli investimenti, sono certo che Ferra e Steffens ci aiuteranno ad offrire ai distributori svizzeri e agli investitori istituzionali soluzioni pensionistiche e prodotti d’investimento su misura, attenti alle

necessità e alla predisposizione al rischio di ciascun investitore”. Prima di entrare in Aviva Investors, Fabio Ferra era Senior Sales Director di AXA Investment Managers. Vanta oltre dieci anni di esperienza nel settore del risparmio gestito svizzero, avendo precedentemente lavorato per Union Bancaire Privée, Fidelity Investments International e Lombard Odier & CIE a Zurigo. Anche Karsten-Dirk Steffens arriva in Aviva Investors da AXA Investment Managers, dove aveva il ruolo di Head of Client Service Switzerland. Precedentemente ha ricoperto diverse cariche in Threadneedle a Londra e Francoforte e presso

Deutsche Apotheker - und Ärztebank EG. “Aviva Investors è un provider di soluzioni su misura conosciuto in tutto il mondo. Il nostro obiettivo è portare le competenze di Aviva Investors nel mercato svizzero posizionandoci tra i maggiori provider di prodotti d’investimento sofisticati. In un contesto dove è forte la richiesta di soluzioni di investi-

mento ad alto rendimento alternative rispetto all’attuale offerta disponibile sul mercato, vediamo opportunità ancora non sfruttate per la nostra gamma di prodotti, soprattutto alla luce delle nostre forti competenze nell’ambito delle strategie a ritorno assoluto.” - ha aggiunto Fabio Ferra. G. B.

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21 luglio 2011

giroditaliadellereti

La ripresa però c’è, anche se lenta. Arrancano molto i distretti del made in Italy

La Toscana sente ancora la crisi Nel 2010 il Pil ha segnato +1,3% ma nel biennio precedente era a -5% Luca Spoldi Regione operosa, da sempre specializzata in produzioni artigianali, enogastronomiche e in ambito turistico, la Toscana ha patito non poco la crisi del biennio 2008-2009 e sembra faticare ancora a riprendersi, tanto che il Pil nel 2010 ha segnato un +1,3% non dissimile dal dato medio italiano, dopo aver ceduto oltre 5 punti percentuali (dato cumulato del biennio preced e n t e ) . Secondo quanto scrive la Banca d’Italia presentando le statistiche dell’economia della regione riferite allo scorso anno, il settore manifatturiero ha sperimentato una ripresa dei livelli di produzione e delle vendite “che ha interessato in prevalenza le imprese più orientate all’export e quelle di maggiori dimensioni”, ma il recupero “soltanto parziale” del grado di utilizzo degli impianti e “le incerte prospettive della domanda” hanno finito col portare ad un’ulteriore riduzione degli investimenti. Anche sotto il profilo dell’export l’andamento della regione lo scorso anno non si è discostato significativamente da quello più generale dell’Italia, rimanendo, nei due principali comparti (il sistema della moda e quello della meccanica) su livelli di circa un decimo inferiori a quelli precedenti la crisi e se è vero che rispetto alla dinamica del commercio mondiale le esportazioni regionali nel biennio 200809 sono riuscite a contenere il calo, anche la ripresa in atto appare più contenuta. Tuttavia secondo Via Nazionale la recessione “ha stimolato l’attività innovativa di una parte del sistema produttivo, specialmente delle imprese a maggiore apertura verso l’estero”; non abbastanza comunque per chiudere il “gap” accumulato rispetto alla media nazionale a livello di spesa complessiva privata in ricerca e sviluppo (in rapporto al prodotto), mentre la componente pubblica appare allineata ai valori medi dei paesi Ocse e superiore a quella italiana. La Toscana -

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scrive Bankitalia - resta contraddistinta dalla diffusa presenza di aree distrettuali, specializzate in settori del “made in Italy” e composte in larga misura da aziende di piccole dimensioni, contraddistinti nell’ultimo decennio da risultati economici “in media peggiori sia rispetto al dato nazionale dei settori di specializzazione sia rispetto alle imprese toscane non distrettuali”. La crisi dei distretti ha portato anche ad una riduzione in termini di occupati, fatturato ed esportazioni, tanto che il peso dell’industria sul prodotto regionale è calato più intensamente che nella media italiana. Solo nei servizi, che avevano risentito in misura più contenuta della crisi, si è assistito a un parziale recupero: nonostante un’ulteriore riduzione delle vendite al dettaglio, vi è stata una crescita “piuttosto sostenuta” nei trasporti e nel turismo internazionale. Ma, avverte la Banca d’Italia, “analisi di medio termine mostrano come la posizione competitiva del comparto turistico si sia deteriorata” e come la Toscana sia stata “solo parzialmente capace di cogliere la forte crescita mondiale del numero dei viaggiatori, ancor meno di quanto lo sia stato il complesso del paese”. Gli effetti più marcati della crisi si sono avvertiti nel settore industriale, tra i lavoratori a tempo indeterminato e tra i giovani. Quanto alla dinamica dei finanziamenti, nel 2010 essa è rimasta moderata, dopo un “significativo rallentamento del credito per effetto della crisi”, con i prestiti che hanno poi registrato una lieve accelerazione nei primi mesi del 2011. Rispetto a prima della crisi anche in Toscana le banche hanno prestato una maggiore attenzione alla rischiosità della clientela nello stabilire la quantità del credito concesso, il tasso di interesse e le garanzie richieste. Il premio per il rischio, dopo l’aumento registrato a inizio crisi, “non è in media significativamente variato”. La domanda di prestiti da parte delle imprese “è stata prevalentemente finalizzata

alla ristrutturazione del debito e, seppure in misura più contenuta, al finanziamento del capitale circolante”, mentre quella delle famiglie ha riguardato in larga parte mutui, anche al fine di sostituire finanziamenti preesistenti. Nel complesso l’offerta di credito è risultata meno restrittiva rispetto al 2009 e si è ridotto il differenziale tra la crescita dei prestiti concessi dai primi cinque gruppi bancari nazionali e quella (più sostenuta) degli altri intermediari. Per quanto riguarda le imprese è tuttavia proseguito il peggioramento della qualità dei crediti bancari, mentre appare ancora in corso “un diffuso processo di ristrutturazione del debito”, mentre nel caso delle famiglie la qualità del credito appare invariata, anche per effetto “degli interventi di sostegno adottati dalle banche e di ristrutturazioni e consolidamenti del debito”. Un ridotto grado di capitalizzazione, conclude Banca d’Italia, rende tuttora le imprese toscane “fragili, in particolare nelle fasi di congiuntura avversa”.

RADIOGRAFIA

A sorpresa Mps non è la prima La Toscana non è solo opere d’arte, è anche tanta economia. Non stupisce dunque che nella regione siano attivi, secondo quanto si rileva consultando l’Albo dei promotori finanziari italiani, ben 4.042 Pf, che si contendono i risparmi di una popolazione laboriosa ma che ha duramente sofferto la crisi degli ultimi anni, come dimostra il recupero del PIL nel 2010 pari, secondo le stime preliminari di Banca d’Italia, all’1,3% rispetto a un calo cumulato “di oltre 5 punti percentuali nel biennio precedente”. Crisi che non sembra peraltro aver scoraggiato gli intermediari, presenti in forze in regione sia come organici delle maggiori reti (le tre più presenti in regione, Montepaschi, Mediolanum e Fideuram, sono tutte sopra i 300 uomini) sia come abbondanza di sigle (una quarantina in tutto), anche per merito della presenza di numerose reti minori che fanno riferimento agli istituti di credito cooperativo e rurale locali. Nel complessosono 2.700 i promotori iscritti che risultano in possesso di un mandato, mentre di oltre 1.300 professionisti non è dato sapere per chi lavorino. Tra i grandi gruppi la più presente è Intesa Sanpaolo, che attraverso le reti di Banca Fideuram (337 uomini), Sanpaolo Invest (116 professionisti) e Banca Imi (97 promotori) schiera quasi 600 uomini. Alle sue spalle si difende Mps con 360 promotori (prima rete se si considerano le single “insegne”), che stacca di poco Banca Mediolanum (345 uomini), mentre il gruppo UniCredit (248 professionisti in tutto) e il gruppo Generali (243 uomini) si contendono la quarta piazza. Sopra i 100 uomini anche Allianz Bank, Credito Emiliano/Euromobiliare e Finanza & Futuro, mentre Ubi Banca si ferma a 74 professionisti, Azimut ne conta 62 e alle loro spalle seguono con presenze tra i 20 e i 40 uomini in tutta la regione un folto gruppo di “bei nomi” tra cui UGF, Barclays, Banca Rele, Bnl-Bnp Paribas e Banca Aletti (gruppo Banco Popolare).

Il segreto sono le piccole reti con grandi gruppi alle spalle Si va da Ugf a Banca Sai passando per nomi internazionali come Barclays La Banca Monte dei Paschi di Siena è forse la più antica al mondo, essendo nata nel 1472 (come “Monte Pio” per dare aiuto alle classi più povere della popolazione senese in un momento particolarmente difficile per l’economia locale) ed è oggi a capo del terzo gruppo bancario italiano, dopo aver rilevato nel 2007 il 55% di Biverbanca - Cassa di risparmio di Biella e Vercelli (700 dipendenti e 105 filiali in 7 province in Piemonte, Lombardia, Lazio e Val d’Aosta) e l’anno seguente Banca Antonveneta (a seguito di questa operazione Antonveneta è diventata la banca dedicata al Nord-Est del gruppo senese, con una rete di circa 400 sportelli). Il gruppo Montepaschi è attivo sull’intero territorio nazionale e sulle principali piazze internazionali, spaziando dall’attività bancaria tradizionale al private banking, fino alla finanza d’impresa, poten-

do contare su oltre 33.000 dipendenti ed più di 2.900 filiali cui fanno capo oltre 6 milioni di clienti. Come per molte reti di matrice bancaria, anche nel caso dei promotori finanziari (anzi, “personal financial banker”) di Mps l’attività è coordinata sia dal punto di vista commerciale sia operativo con la rete di sportelli bancari e le strutture specialistiche del gruppo, così da offrire alla clientela servizi che spaziano dalla possibilità di operare versamenti, prelevamenti e altre operazioni di cassa presso le filiali di Banca Monte dei Paschi di Siena, all’utilizzo della rete di atm del gruppo presenti in tutta Italia, fino ai prodotti e servizi per le aziende. Oltre naturalmente a prodotti e servizi specifici di risparmio gestito. Ma accanto al “peso massimo” regionale, in Toscana sono particolarmente presenti molte altre realtà di estrazione bancaria, sia

locale sia nazionale. Così accanto ai nomi più noti scorrendo la classifica delle reti attive in regione si notano quelle della Banca di Pescia, del Credito cooperativo di San Pietro in Vincio, del Credito cooperativo di Vignole e del Credito cooperativo di Cambiano, tutte con una dozzina circa di promotori a testa. Tra le “piccole” operanti in Toscana anche nomi “nobili” del settore assicurativo come Banca Sai (38 uomini), UGF (37 promotori), Groupama (18) e alcuni dei più noti “marchi” internazionali come Barclays (che schiera in regione 33 promotori), Credit Suisse (14 professionisti) e Zurich (12 uomini). Non si può proprio dire che la Toscana sia una regione dove gli uomini delle reti vadano solo a trascorrere piacevoli weekend all’insegna dell’arte e del relax. L. S.


21 luglio 2011

advisorydellasettimana

BLUE RA TING

La consulenza finanziaria può essere affrontata con l’aiuto di metodi quantitativi

Diaman sim, cogito ergo investo Daniele Bernardi illustra a BLUERATING la filosofia della sua società Luca Spoldi Il grande teatro dell’esistenza umana divide i suoi interpreti tra chi è abituato a usare il cuore e chi invece predilige la “ratio”. Se nei rapporti interpersonali è fondamentale sapersi calare in entrambi gli archetipi, il rigoroso mondo degli investimenti richiede un approccio principalmente metodico, con buona pace dei romantici. Anche perché, si sa, i mercati non lo sono per niente. È con questa filosofia che si presenta sulle pagine di BLUERATING Daniele Bernardi, ammini-

Stiamo lavorando per mostrare ai clienti i vantaggi dei modelli di rotazione dei portafogli applicati alla consulenza Daniele Bernardi, a.d. Diaman sim

stratore delegato di Diaman sim, società veneta che fa dell’approccio quantitativo alla gestione del risparmio il suo di battaglia. cavallo Conosciamola meglio. Dott. Bernardi come è nata Diaman sim? Diaman Sim S.p.A. è nata nel 2002 come società di consulenza, allora semplice srl, a seguito dello sviluppo di un modello matematico di buon senso per ridurre i rischi degli investimenti nei fondi azionari. Dopo aver trovato alcune banche che hanno capito che le logiche di entrata ed uscita dei mercati, non aveva-

2002 anno

no solo fini speculativi, ma soprattutto di contenimento delle perdite, Diaman ha intrapreso un percorso di crescita investendo molto nella ricerca e nello sviluppo di modelli matematici in grado di eliminare la componente emozionale delle scelte di investimento. Da allora sono nati dei modelli per la selezione dei titoli azionari, per la selezione di titoli obbligazionari e per affrontare i mercati finanziari con il maggiore rigore metodologico possibile, certi che la ricerca ed il rigore nell’applicazione dei metodi quantitativi sia in grado di migliorare, a volte sensibilmente, il profilo rischio rendimento di un portafoglio di investimento. All’interno del mare magnum della consulenza finanziaria italiana, come si distingue il vostro modello? Il nostro modello di business è diviso in tre segmenti ben distinti: a) consulenza specifica per le gestioni patrimoniali; b) consulenza specifica a Fondi Comuni e Sicav; c) Supporto all’erogazione della consulenza da parte di intermediari autorizzati. Il primo segmento, ovvero la consulenza a gestioni patrimoniali è stato il primo business iniziato nel 2002 e che rappresenta tuttora il cardine focale dei ricavi della SIM, in quanto le strategie di Timing implementate con le banche nostre clienti hanno restituito risultati molto confortanti in grado di fidelizzare la clientela. Il secondo segmento, iniziato in sordina nel 2004 ma consolidato grazie alla partnership con la Diaman Sicav, dove la maggioranza dei comparti ha come fornitore di modelli proprio la Diaman Sim, vanta oggi cinque

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Fai una foto con il tuo smartphone e vai subito sul sito della società.

Daniele Bernardi

strategie molto innovative che possono essere acquistate anche dai clienti finali, proprio tramite i comparti della Diaman Sicav. Il terzo segmento, nato nel 2008 a seguito dell’introduzione in Italia della MiFID, consiste in una serie di attività accessorie per permettere alle banche, ma anche ai consulenti indipendenti, di poter erogare un servizio di consulenza avanzato di qualità, affrontando le varie tematiche relative al controllo di adeguatezza del rischio di portafoglio, sino alla verifica dei rischi ovvero alla composizione dei portafogli modello.

2008 anno

anni Inizia l’avventuara nella consulenza a gestioni patrimoniali

Il lasso di tempo in cui sono state create metodologie per gli investimenti

Si sviluppa il segmento delle attività nella consulenza finanziaria avanzata

Come è andata la prima metà del 2011? Il 2011 è un anno molto difficile per tutti i gestori attivi, sia discrezionali che quantitativi, in quanto si sono verificati dei fenomeni come il rimbalzo delle banche di gennaio con la contemporanea caduta degli altri settori che hanno penalizzato tutti i gestori che nel 2010 avevano beneficiato della sottoperformance del settore. Inoltre i vari eventi susseguitisi con frequenza incalzante hanno messo a dura prova i modelli trend following come i nostri, ovvero che cercano di interpretare cosa sta succedendo ora, senza aver la pretesa di voler prevedere il futuro; ciononostante questi modelli, seppur soffrono in queste fasi laterali, offrono garanzie di protezione in caso di trend seriamente negativi e di beneficio nelle fasi di rialzo di mercato tali, che ormai i clienti ed i promotori hanno capito che è meglio perdere qualche punto percentuale nelle fasi laterali, ma non il 3040% nelle fasi negative che ne comprometterebbe i guadagni futuri.

Quali sono i vostri progetti per il futuro? Noi stiamo investendo molto per far conoscere al mercato delle banche piccole e medie i vantaggi dei modelli di rotazione di portafogli applicati alla consulenza avanzata, oltre che l’importanza dell’indipendenza e dell’assenza dei conflitti di interesse nella proposizione di strumenti finanziari alla clientela; I clienti (banche) che ci hanno seguito in questo progetto hanno beneficiato di enormi vantaggi, in quanto in netto anticipo rispetto ai competitor hanno offerto un servizio di qualità che gli ha permesso di aumentare i ricavi, il numero di clienti e anche le masse medie per cliente. Se un consulente o un promotore fosse interessato a entrare a far parte della vostra squadra, quale profilo professionale offrite? Quali strumenti fornite al consulente? La nostra società non ha e non intende avere promotori finanziari, pur essendo una figura di cui riconosciamo un’importanza strategica nel panorama del risparmio gestito, proprio perché essendo una Sim di pura consulenza, a nessuno interesserebbe vendere esclusivamente i nostri servizi; viceversa possiamo offrire ai consulenti indipendenti strumenti per compiere al meglio il proprio lavoro, dotandoli di strategie e tecnologie che gli permettano di far apprezzare ai loro clienti la loro professionalità, però in un’ottica di mantenere separati i ruoli tra chi eroga il servizio di consulenza e chi eroga servizi di supporto, come il nostro caso, poiché non intendiamo in alcun modo condizionare le scelte professionali dei singoli.

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21 luglio 2011

focusformazione Fai una foto con il tuo smartphone e scarica il file dell’Agenzia delle Entrate sulla disciplina fiscale rilevante ai fini delle imposte sui redditi e delle imposte indirette

Milvia Sanna A livello istituzionale il trust viene definito come quell’istituto in forza del quale il soggetto che lo istituisce (SETTLOR) – con un atto unilaterale inter vivos ovvero mortis causa – conferisce dei beni e dei diritti trasferendoli in un fondo (TRUST) affinché un fiduciario (TRUSTEE) amministri, gestisca o disponga dei beni e dei diritti, precedentemente conferiti nel trust, secondo le disposizioni del costituente ed agendo per l’interesse di un terzo (BENEFICIARY). Gli “entusiastici” ravvisano nel trust uno strumento innovativo, idoneo a risolvere nel migliore dei modi possibili le articolate problematiche che si sviluppa-

Riscuote il plauso di chi ritiene che permetta una certa protezione dall’esecuzione giudiziaria no, in special modo, nell’imminenza e nell’immediatezza del passaggio generazionale del patrimonio. In tal guisa e rispetto ad altre figure giuridiche, riscuote il plauso sulla convinzione che permetta, sic et simpliciter, una protezione dall’esecuzione giudiziaria ed un notevole risparmio fiscale. Il sommesso parere di chi scrive si sostanzia in un mero invito a un atteggiamento più prudente. La ratifica della Convenzione dell’Aja del 1985 non ha certamente sopito il dibattito sull’ammissibilità della costituzione di un trust anche da parte del cittadino italiano e, soprattutto, di un trust da questi costituito avente ad oggetto beni immobili siti in Italia (c.d.: trust interno). Il riconoscimento dell’istituto si scontra, difatti, con dubbi di compatibilità rispetto al principio di: l tipicità e numero chiuso dei diritti reali; l numero chiuso degli atti

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soggetti a pubblicità; l responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c. Inoltre, il dibattito dottrinale e gli interventi della Superiore Magistratura sono tuttora ben lontani dal delineare un preciso orientamento. Si evidenzia che l’art. 13 della Convenzione dell’Aja prevede che “nessuno stato è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi importanti, ad eccezione della scelta della legge da applicare, del luogo di amministrazione e della residenza abituale del trustee, sono più strettamente connessi a Stati che non prevedono l’istituto del trust o la categoria del trust in questione”. Questa norma introduce un limite all’obbligo generale di riconoscimento affermato nell’art. 11. Pertanto, in base a questa disposizione, può essere escluso il riconoscimento di un trust straniero, rifiutando l’applicazione sia della legge designata ai sensi dell’art. 6 dal disponente, sia di quella indicata in base ai criteri di collegamento oggettivi dall’art. 7, ad un trust che, alla luce dei suoi elementi più significativi, anche indipendenti dalla volontà del costituente, possa essere considerato interno da uno stato che non conosca l’istituto. In altri termini, la ratio della disposizione indicata in nota a piè pagina è quella di evitare l’imposizione di un trust a stati ai quali esso sia estraneo in situazioni meramente interne. Le Commissioni Tributarie e gli Uffici accertatori della pubblica amministrazione sono, in linea di massima, tutt’altro che benevoli verso il contribuente che si è avvalso della “novità”che l’ordinamento gli offre o si ritiene gli possa offrire. E quest’originalità che il c.d. “contribuente entusiasta” alquanto decanta, coincide con la peculiarità dell’istituto: i beni che sono confluiti nel trust, benché siano intestati a nome del trustee, non fanno parte del patrimonio di quest’ultimo. In estrema sintesi: se con fideistica adesione all’orientamento “entusiastico” si ritiene che la Convenzione del 1985 sul trust abbia introdotto la possibilità, anche per il cittadino ita-

Molti lo credono uno strumento innovativo per

Il Trust come forma Tutto quello che bisogna sapere su una figura

Giulio Tremonti

liano di costituirsi in Italia il proprio trust, allora deve concludersi che quest’istituto giuridico costituisca uno strumento estremamente elastico e versatile e, come tale, risulti idoneo per un variegato utilizzo: dal settore finanziario a quello commerciale, dall’ambito del diritto di famiglia a quello del diritto successorio sino al diritto fallimentare, dal ramo creditizio a quello del preventivo riparo dei beni dall’azione esecutiva. È perciò inutile ricondurre a un unico modello unitario la casistica che la prasssi commerciale, economica e giuridicoforense ha sin d’ora prodotto. Aspetti civilistici: nell’attuare la scelta circa la legge regolatrice e il modello di trust, il disponente dovrà considerare la portata precettiva delle seguenti disposizioni: l legge di riforma del diritto internazionale privato, L. 218-

1995; l l’art. 16 delle preleggi c.c. che ammette lo straniero a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino italiano in condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute nelle leggi speciali. Questa norma prende in considerazione anche le persone giuridiche straniere. l L’art 1322 c.c. secondo cui le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge e concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché essi siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. l L’art. 2740 c.c. il cui primo comma sancisce il principio dell’universalità della responsabilità patrimoniale. Tale principio può subire deroghe solo nei casi tassativamente previsti dalla legge.

al genus L’appartenenza “trust” viene data per presupposta. Il tema è, pertanto, quello del c.d. “Trust interno”, ovverosia di tutti quei negozi giuridici che, seppur appartenenti al genus trust, non potrebbero venire in considerazione solo ed esclusivamente in forza della legge designata dal rinvio operato dalle norme di diritto internazionale privato. Si tratta di quei trust che ottengono validità poiché il disponente ne sottopone il negozio istitutivo a una diversa legge. In altri termini, trust che acquisiscono efficacia in virtù della mera scelta effettuata dal settlor. Preso atto che il disponente ha inteso regolare il trust con una legge da lui liberamente scelta, si dovrà comunque tener presente che il riconoscimento di un trust non può avvenire in pregiudizio delle norme inderogabili del foro, in particolare nelle materie ex art. 15 della Convenzione e che sono specificatamente elencate: l la protezione dei minori e degli incapaci; l gli effetti personali e patrimoniali del matrimonio; l i testamenti e la devoluzione dei beni successori, in particolare la legittima; l il trasferimento di proprietà e le garanzie reali; l la protezione di creditori in caso di insolvibilità; l la protezione, per altri motivi, dei terzi che agiscono in buona fede. Aspetti fiscali: è questo il settore ove si registra l’assoluta mancanza di un univoco riferimento interpretativo. Sotto il profilo pratico si deve evidenziare la sussistenza di un possibile abuso dell’istituto per fini fiscali. La carenza di una disciplina organica sul trust, in uno alla versatilità che lo contraddistingue conduce, non di rado, ad un utilizzo che può porsi al confine tra l’abuso del diritto, l’evasione fiscale e l’elusione fiscale. Si ribadisce che la peculiarità dell’istituto è rappresentata da una sorta di segregazione del diritto di proprietà sul patrimonio confluito nel fondo. Tale meccanismo, che già di


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risolvere i problemi del passaggio generazionale

di risparmio fiscale

Fai una foto con il tuo smartphone e approfondisci l’Istituto del Trust tra le diverse legislazioni dei più importanti Paesi al mondo

giuridica che può risultare molto complessa per sé stesso determina non pochi problemi sotto il semplice profilo dell’inquadramento dogmatico, risulta alquanto difficoltoso quando si deve analizzare il regime tributario da applicare all’istituto. Anche dall’analisi degli altri ordinamenti giuridici non emerge una chiara soluzione di quale possa essere la disciplina impositiva di riferimento. Tra i paesi che riconoscono il trust non esiste un’armonizzazione impositiva. Inoltre, all’interno di ciascun ordinamento, il meccanismo impositivo è, il più delle volte, incentrato sulle diverse tipologie di trust. Ne consegue che, in alcuni casi, le prescrizioni tributarie incidono direttamente in capo ai beneficiari; in altri casi, colpiscono la capacità reddituale del solo trustee ovvero del solo settlor; in altri, ancora, non viene posto in essere alcun prelievo fiscale sulle operazioni gestionali; in altri, infine, si assiste ad una commistione tra i diversi momenti impositivi. L’Italia, priva di un’organica disciplina fiscale ad hoc, riconosce i trust costituiti secondo la legge straniera, siano essi costituiti all’estero da cittadini stranieri e aventi ad oggetto beni esistenti in Italia, siamo essi costituiti da cittadini italiani con applicazione della disciplina straniera. l Per quanto riguarda le imposte indirette, il trattamento fiscale viene individuato a seconda che la costituzione del trust avvenga per atto mortis causa, ovvero inter vivos. Nella prima ipotesi, ovverosia nell’ambito di finalità successorie, viene preso in considerazione il trasferimento dei beni quale conseguenza della costituzione del trust. Sono tuttavia esclusi, ex art. 3 D. Lgs 346-90 e ss. mod., i trasferimenti a favore delle c.d. Onlus, nonché a favore dello Stato, degli enti locali e pubblici, delle fondazioni ed associazioni finalizzate all’assistenza, allo studio, alla ricerca scientifica, all’educazione ed istruzione nonché ad altra pubblica utilità. La normativa tributaria di rife-

rimento viene individuata, di solito, nell’art. 45 del D. Lgs 346/90 che disciplina la “sostituzione fedecommissoria”. L’imposta di successione si applica sul trasferimento patrimoniale al trustee, prendendo quale parametro di riferimento un valore pari a quello dell’usufrutto sui beni facenti parte del patrimonio trasferito. Il pagamento dell’imposta residuale viene, invece, posta a carico del beneficiario nel momento in cui il trust cessa di esistere e vi è l’assegnazione dei beni al beneficiario del trust. Per converso, se il trust non è assoggettato ad un termine, l’Ufficio amministrativo tende semplicemente ad assoggettarne il trasferimento all’imposta sulle successioni. Nella seconda ipotesi, ossia nella costituzione di un trust inter vivos causa, l’Amministrazione Tributaria individua senza “fronzoli” nell’imposta di donazione l’afferente tributo erariale e applica, pertanto, il titolo III del D. Lgs. 346-90. Tuttavia, occorre rilevare come tale operazione di costituzione non sia assoggettabile, tout cour, all’imposta di donazione. Difatti, sebbene l’atto costitutivo di un trust sia un atto a titolo gratuito, esso non dovrebbe rientrare nell’ambito delle donazioni o, più precisamente, nella categoria delle liberalità in quanto il beneficiario dell’atto dispositivo è un soggetto diverso dal trustee. Il riferimento più consono potrebbe, pertanto, essere quello dell’imposta di registro, il cui ambito applicativo incide anche sugli atti a titolo gratuito non liberali (si pensi ad esempio al comodato, al mandato gratuito, al mutuo e alla sovvenzione priva d’interessi). Con riguardo a quest’ultima imposta, occorre distinguere tra l’atto istitutivo del trust dall’atto di dotazione dei beni in trust. Il primo può essere identificato in quel progetto di attribuzione dei beni che rappresenta la causa dei successivi trasferimenti a favore del trustee, atti questi che non acquistano rilevanza giuridica autonoma. L’atto istitutivo,

sempre se distinto dall’atto di dotazione dei beni, rappresenta solo una sorta di progetto degli atti che il settlor vuole porre in essere al fine di creare il trust. Differente è il discorso per quanto riguarda gli atti attributivi dei beni al trustee e da questi ai beneficiari. Anche in tal caso occorre rinviare alla distinzione sopra riportata tra atti inter vivos e mortis causa. Partendo da quest’ultima categoria, è naturale che applicazione trovi l’imposta sulle successioni. Sembra corretto individuare nel beneficiario finale (quale sorta di legatario) il soggetto passivo d’imposta. Differente sembra essere il caso del trust idoneo a produrre effetti dopo la morte del disponente. Ciò che questi ha trasferito al trustee in vita non concorre, difatti, a formare la massa ereditaria. Con riferimento alla prima categoria si delinea il problema di evitare una

doppia imposizione. Probabilmente la soluzione più corretta potrebbe individuarsi partendo dalla seguente circostanza: l’atto istitutivo di un trust non trasferisce, sic et simpliciter, un diritto. Per converso, determina un fine specifico e, per il raggiungimento dello stesso, disciplina la finale destinazione dei beni e dei diritti a favore dei beneficiari. In tal guisa il trustee, anche se intestatario formale dei beni e dei diritti conferiti, non manifesta alcuna capacità contributiva poiché non è il soggetto interessato alle operazioni gestionali. Si potrebbe, quindi, ritenere che i destinatari finali delle attribuzioni, ovverosia i beneficiari, siano gli unici e veri soggetti passivi d’imposta. l Per quanto riguarda le imposte dirette gravanti sui redditi conseguiti dal trust, occorre preliminarmente evidenziare che il trust r i s p o n d e quale auton o m o sog-

getto passivo dell’imposta e che il beneficiario viene, altresì, considerato quale soggetto passivo d’imposta per i frutti derivanti dalla gestione fiduciaria del patrimonio. In particolare, il trust viene assimilato a tutti gli enti ricompresi nell’art. 87 del T.U.I.R.; il beneficiario al soggetto passivo d’imposta con riferimento ai redditi di capitale ed ai redditi assimilati a quelli di lavoro indipendente. Giova rilevare che la Convenzione dell’Aja, relativa all’istituzione del Trust e datata 01.07.1985, non regola la materia fiscale. Si limita nel suo art. 19 a stabilire che “la competenza degli Stati in materia fiscale non è derogabile”. Dovrà quindi essere la legge tributaria italiana a disciplinare il trattamento fiscale del trust tutte le volte in cui un qualsiasi criterio di collegamento ne richiama la portata precettiva. La prassi degli Uffici finanziari è, di fatto, quella di assoggettare sempre e ovunque il reddito prodotto dal trust, prescindendo dalla circostanza che si tratti di un trust c.d. interno o c.d esterno, che si tratti di reddito prodotto in Italia o all’estero, risultando sufficiente la presenza di un minimo criterio di collegamento con l’ambito applicativo di una qualsivoglia normativa interna.

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a cura di Luca Spoldi

scriveteci a redazione@bluerating.com

Deposito titoli, cambia ancora la struttura del superbollo Ora sotto alle giacenze dal valore di 50 mila euro, l’imposta resta la stessa Superbollo sì, superbollo no: la vicenda del previsto incremento dei bolli fissi sui dossier titoli continua a occupare le pagine della cronaca economica italiana. Salvo colpi di scena l’ultima versione della manovra, “corretta” in aula da alcuni emendamenti bipartisan fatti propri dal governo, non si salirà più indistintamente dagli attuali 34,20 euro l’anno a 120 euro l’anno venturo (destinati a diventare 150 nel 2013 ovvero a 380 euro per giacenze superiori ai 50 mila euro) come inizialmente previsto, con effetti fortemente regressivi che avrebbero di fatto reso non conveniente detenere titoli di stato o comunque a reddito fisso per somme inferiori ai 20 mila euro (dato che, al netto di un’inflazione sul 3% annuo, il tasso dei Bot a 12 mesi, salito al 3,7%, avrebbe dovuto come minimo subire una decurtazione pari, per quella cifra, allo 0,6%, senza peraltro tener conto di ulteriori costi e commissioni addebitati dalle banche, che avrebbero contribuito a elevare la soglia di “pareggio” attorno ai 30-35 mila euro minimi). Ora invece la soglia di applicazione della nuova imposta di bollo sale

a minimo 50 mila euro (sotto la quale tutto resterà come ora), così modulata: fra 50 mila e 150 mila euro il bollo salirà a 70 euro annui nel 2012 e a 230 euro dal 2013, su quelli fra 150 mila e 500 mila euro salirà prima a 240, poi a 780 euro, oltre tale livello si pagheranno 680 euro nel 2012 e 1.100 successivamente. Si attenuano dunque gli effetti negativi per i piccoli risparmiatori che si affidano al risparmio amministrato, senza peraltro che il fisco ci rimetta, anzi: secondo la relazione tecnica che accompagna il provvedimento gli incrementi così scaglionati determineranno un recupero di gettito su base annua di poco meno di 900 milioni di euro nei primi due anni e di poco più di 2,5 miliardi a regime, vale a dire 125 milioni in più rispetto alla stesura iniziale. Tutti contenti? Restano da valutare le reazioni del mondo del risparmio gestito, che già sta cercando di capire se l’equiparazione di fondi e sicav porterà a qualche concreto vantaggio per clienti e intermediari rispetto alla situazione precedente, ma fin d’ora c’è da scommettere che se qualcuno potrà sorridere allo

scampato pericolo, come gli uomini di Fineco Bank (che in questi anni ha sviluppato non poco la sua offerta sul fronte dei servizi di trading e di banking), altre strutture più concentrate sul risparmio gestito potrebbero masticare amaro. Se non altro pare evitato il rischio, paventato da alcuni lettori di Bluerating, che la misura si rivelasse un pericoloso “boomerang” in quanto “chi ha pochi spiccioli nel dossier svenderà i titoli pur di non pagare il balzello mentre per i ricchi si troverà una soluzione commerciale ed adeguata a sostituire i titoli con prodotti efficienti e a basso costo”. Un’ipotesi che certo non avrebbe tutelato il pubblico risparmio.

Ubi Banca continua a soffrire sul mercato, nonostante gli sforzi sottostanti Il problema di fondo resta, secondo gli analisti finanziari, la limitata reddittività Che succede in casa Ubi Banca? L’aumento di capitale da un miliardo di euro è stato pienamente sottoscritto, lo stress test europeo è stato superato, in rete non sembrano esservi particolari tensioni, anzi si segnala qualche nuovo arrivo segno che la rete guidata da Cesare Colombi sta lavorando con impegno riuscendo ad affrontare nel migliore dei modi l’attuale scenario sempre più competitivo e incerto. Eppure di tutto questo sembra non accorgersi il mercato borsistico, dove il titolo Ubi Banca conti-

nua a perdere terreno, avendo ceduto da metà giugno a metà luglio il 18%, risultato che porta a -48% il dato degli ultimi sei mesi di borsa e a -54% circa la performance dell’ultimo anno. Al di là del momento difficile per tutto il settore finanziario europeo a causa dei rischi legati all’esposizione verso asset greci, irlandesi o portoghesi (ma anche in titoli di stato spagnoli e italiani, messi sotto pressione nella scorsa settimana per i timori di un “effetto contagio”), il problema di fondo del Graz iano Caldiani

gruppo Ubi Banca resta secondo gli analisti finanziari la sua limitata redditività. A sostenere i conti di Ubi Banca ed evitare un andamento ancora più critico del titolo in borsa resta per ora l’andamento della raccolta, sia da parte della clientela retail sia di quella business, con la banca che ha saputo sia far crescere l’erogazione di mutui sia degli impieghi più in generale senza che si registrasse parallelamente un aumento troppo marcato dei crediti in sofferenza (che restano anzi inferiori alla media italiana, anche grazie a una crescita importante dei recuperi). Poiché però i mercati continuano a richiedere un elevato premio per il rischio, al gruppo non resta che proseguire nella strada di un sempre più attento contenimento dei costi operativi e di un graduale

riprezzamento dei propri prodotti e servizi che consenta di aumentare la redditività delle proprie operazioni. Il che significa probabilmente che anche per la rete di promotori non ci sarà spazio per particolari soddisfazioni economiche e anzi si dovrà stare attenti all’andamento di costi e ricavi. Augurandosi che lo sforzo serva e sia apprezzato dal mercato e, magari, che l’aumento dei tassi fornisca nuova linfa ai conti non solo nel senso di una più corposa “forbice” tra tassi attivi e passivi che porterebbe a un migliore margine d’interesse, ma anche di una ritrovata fiducia da parte dei risparmiatori nei confronti di strumenti e servizi d’investimento a basso rischio, la cui remunerazione è tipicamente ancorata proprio ai tassi d’interesse.

Mercati sempre più incerti, promotori sempre più silenziosi Nel mirino adesso ci sono anche gli Stati Uniti. Ed è fuggi fuggi dal reddito fisso. Meglio essere liquidi Non solo i periferici europei, Spagna e Italia comprese: anche gli Stati Uniti sono ormai nel mirino delle agenzie di rating, che non escludono un taglio del merito di credito sui titoli di stato del Tesoro statunitense. La notizia genera tensione sui mercati obbligazionari, non meno che su quelli azionari e dei cambi (dove alla debolezza dell’euro si somma a giorni alterni anche quella del dollaro, rilanciando il franco svizzero e valute “alternative” come il dollaro australiano o la corona svedese) e induce molti piccoli investitori a mantenersi liquidi il più possibile, perché investire ora in un titolo di stato o in una obbligazione corporate espone al rischio di subire perdite vuoi in conto capitale se fosse necessario alienare i titoli (o i fondi obbligazionari che quegli stessi titoli acquistano ogni giorno) vuoi in termini di minori interessi se

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per evitare tali minusvalenze si tenessero i titoli in portafoglio sino alla scadenza, rinunciando così per tutto il periodo a tassi maggiori. Stretti tra mercati volatili, clienti sempre più nervosi e provvedimenti fiscali che rischiano di penalizzare i piccoli risparmiatori (sventato il rischio di una patrimoniale con effetti fortemente regressivi sui depositi titoli si sta prefigurando una “stangatina” sulla casa attraverso il taglio delle deduzioni Irpef sulla prima casa e degli sconti Irpef del 36% o 55% per ristrutturazioni e riqualificazioni di beni immobili), pf, bankers e consulenti tutti hanno altro a cui pensare. Intanto anche giugno si è chiuso per i fondi con l’ennesimo risultato negativo, con gli azionari che hanno visto mezzo miliardo di euro di riscatti netti, gli obbligazionari che hanno perso 1 miliardo netto e quelli di liquidità qualcosa più di un

miliardo. Nel complesso il mese segna una raccolta netta negativa di oltre 3 miliardi, mentre il patrimonio sotto gestione si riduce a 441 miliardi, quasi 19 miliardi meno di fine dicembre e oltre 6,5 miliardi in meno di fine maggio: nonostante il clima estivo lo scenario resta fosco e per i promotori finanziari le ferie sembrano sempre più un miraggio. Forse anche per questo preferiscono non perdere tempo a commentare per dedicare le loro energie a provare a reagire alle incertezze presenti?


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