Ametropierefrazione estratto

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Cristina Abati – Matteo Fusi


Ringraziamenti Gli autori ringraziano Fabio Casalboni per il materiale fornito durante il loro ciclo di studi che è stato lo stimolo per la stesura di questo testo.


Presentazione Con questo lavoro gli autori si prefiggono lo scopo di fornire ai lettori un semplice e sintetico ausilio per la comprensione di quelli che sono i vizi refrattivi del sistema ottico oculare, le metodiche necessarie per evidenziare e quindi per arrivare alla corretta determinazione della compensazione ottica più idonea alla risoluzione del problema. E’ noto che una precisa ed attenta refrazione, accompagnata dalle informazione su quelle che sono le necessità visive dell’utilizzatore è la base per ottenere le indicazioni necessarie all’approntamento di qualunque occhiale con qualsivoglia tipologia di lente oftalmica: monofocali, asferiche, progressive a porto abituale o lenti per la compensazione del vicino intermedio. La corretta refrazione è altresì il punto di partenza che, accompagnato da tutta la serie di altre indagini, porta alla corretta applicazione di una lente a contatto. La speranza è di aver centrato l’obiettivo di quelle che sono le motivazioni che portano alla richiesta di un testo didattico: facilità di consultazione, sintesi nell’esposizione dei concetti e chiara indicazione su quelle che sono le metodiche necessarie per effettuare un’ottimale compensazione del difetto visivo. Ringraziamo in anticipo tutti coloro che vorranno fornire suggerimenti per il miglioramento di una eventuale prossima edizione. Gli autori


Gli autori Cristina Abati Laureata in Ottica e Optometria ed in Ottica Tecnica. Dal 2008 professore a contratto al corso di laurea in Ottica e Optometria dell’Università di Firenze. Dal 2013 svolge attività didattica presso la S.I.O.O. di Firenze. Dal 2012 al 2013 ha svolto attività didattica presso l’Istituto di Scienze della Visione E. Fermi di Perugia. Dal 1997 al 2011 ha svolto attività didattica presso l’I.R.S.O.O. di Vinci. Autrice di numerose pubblicazioni. Matteo Fusi Laureato in Ottica e Optometria ed in Ottica Tecnica. Dal 2008 professore a contratto al corso di laurea in Ottica e Optometria dell’Università di Firenze. Dal 2013 svolge attività didattica presso la S.I.O.O. di Firenze. Dal 2011 al 2013 ha svolto attività didattica presso l’Istituto di Scienze della Visione E. Fermi di Perugia. Dal 1998 al 2011 ha svolto attività didattica presso l’I.R.S.O.O. di Vinci. Autore di numerose pubblicazioni. Come libero professionista collabora a progetti di ricerca di aziende del settore ottico.


INDICE Presentazione

Pag. 3

Capitolo 1: Acuità visiva 1.1

Introduzione

Pag. 9

1.2

Definizione di acuità visiva

Pag. 9

1.3

Unità di misura dell’acuità visiva

Pag. 13

1.3.1

Notazione decimale

Pag. 14

1.3.2

Scala di Monoyer

Pag. 14

1.3.3

Frazione di Snellen

Pag. 15

1.3.4

Scala LogMAR

Pag. 17

1.3.5

Cicli per grado (c/g)

Pag. 19

1.4

Strumenti per la valutazione dell' acuità visiva

Pag. 21

1.4.1

Calcolo del valore di AV

Pag. 25

1.5

Fattori che influenzano l’acuità visiva

Pag. 27

1.6

Curiosità

Pag. 29

Capitolo 2: Occhio schematico 2.1

Introduzione

Pag. 31

2.2

L’occhio “esatto” di Gulstrand

Pag. 31

2.2.1

Poteri diottrici della cornea

Pag. 33

2.2.2

Poteri diottrici del cristallino

Pag. 34

2.2.3

Potere totale dell’occhio

Pag. 34

2.3

Definizione di emmetropia ed ametropia (miopia ed Pag. 35 ipermetropia)

2.3.1

Occhio emmetrope

Pag. 36

2.3.2

Occhio ametrope

Pag. 36

2.4

Disco di diffusione: definizione e calcolo del suo

Pag. 38

diametro Capitolo 3:Accomodazione e convergenza 3.1

Introduzione

Pag. 41


3.2

Punto prossimo

Pag. 42

3.3

Punto remoto

Pag. 43

3.4

Variazioni fisiologiche nel processo dell’accomodazione Pag. 44

3.5

Accomodazione da sfuocamento

Pag. 45

3.5.1

Profondità di fuoco e di campo

Pag. 46

3.6

Accomodazione prossimale

Pag. 47

3.7

Accomodazione da vergenze orizzontali

Pag. 47

3.8

Accomodazione aggregata

Pag. 48

3.9

Stato di riposo dell’accomodazione

Pag. 48

3.10

Misura del potere accomodativo

Pag. 49

3.11

Convergenza

Pag. 51

3.11.1

Unità di misura della convergenza

Pag. 52

3.11.2

Componenti della convergenza

Pag. 53

Capitolo 4: Cassetta lenti di prova e forottero 4.1

Descrizione cassetta di lenti

Pag. 58

4.2

Forottero

Pag. 60

4.3

Lenti accessorie del forottero

Pag. 62

4.4

Vantaggi nell’uso del forottero

Pag. 64

4.5

Svantaggi nell’uso del forottero

Pag. 65

Capitolo 5: Test preliminari ed esame rifrattivo oggettivo 5.1

Anamnesi

Pag. 67

5.2

Valutazione dell’acuità visiva

Pag. 68

5.2.1

Foro stenopeico

Pag. 68

5.3

Punto prossimo di accomodazione

Pag. 69

5.4

Occhio dominante

Pag. 70

5.4.1

Test del filtro rosso (dominanza sensoriale)

Pag. 70

5.4.2

Test del foro (dominanza motoria)

Pag. 71

5.5

La schiascopia o retinoscopia

Pag. 72

5.5.1

Esecuzione dell’esame

Pag. 75

5.5.2

Schiascopia statica: i movimenti

Pag. 76


5.5.3

Ricerca della lente corretrice

Pag. 78

5.5.4

Schema riassuntivo

Pag. 80

5.5.5

Ametropia astigmatica

Pag. 81

5.5.6

Fonti d’errore nella schiascopia

Pag. 83

5.6

Autorefrattometro

Pag. 83

Capitolo 6: Ametropie sferiche ed astigmatismo 6.1

Introduzione

Pag. 85

6.2

La miopia: introduzione e definizione

Pag. 85

6.2.1

Sintomi e segni della miopia

Pag. 86

6.3

Ipermetropia e sue classificazioni

Pag. 88

6.3.1

Sintomi e segni dell’ipermetropia

Pag. 90

6.4

Astigmatismo: introduzione e definizione

Pag. 91

6.4.1

L’astigmatismo oculare

Pag. 92

6.4.2

Classificazione dell’astigmatismo

Pag. 94

6.4.3

Sintomi dell’astigmatismo

Pag. 96

Capitolo 7: Refrazione monoculare 7.1

Compensazione della miopia

Pag. 97

7.2

Compensazione dell’ipermetropia

Pag. 98

7.2.1

Metodiche di misura dell’ipermetropia

Pag. 98

7.3

Compensazione dell’astigmatismo con il quadrante per

Pag. 100

astigmatici

7.3.1

Procedura d’esame con il quadrante per astigmatici

Pag. 102

7.3.2

Esempio pratico

Pag. 103

7.4

Compensazione dell’astigmatismo con il cilindro crociato di

Pag. 104

Jackson

7.4.1

Utilizzo del cilindro crociato per l’evidenziazione del potere

Pag. 105

e dell’asse del cilindro correttore

Capitolo 8: Bilanciamenti monoculari e bioculari 8.1

Rifinitura della sfera

Pag. 111

8.1.1

Test bicromatico o Duochrome

Pag. 111


8.1.2

Test del reticolo a croce

Pag. 114

8.1.3

Utilizzo di lenti di ± 0,25 dt

Pag. 116

8.2

Test di bilanciamento bioculare

Pag. 118

8.2.1

Filtri ed ottotipi polarizzati

Pag. 119

8.2.2

Prismi dissocianti

Pag. 122

Capitolo 9: Presbiopia 9.1

Variazioni del cristallino e dell’accomodazione con l’avvento

Pag. 128

della presbiopia

9.2

La presbiopia

Pag. 129

9.3

Classificazione della presbiopia

Pag. 131

9.4

Eziologia della presbiopia

Pag. 132

9.5

Fattori che influenzano l’insorgenza della presbiopia

Pag. 133

9.6

Sintomatologia soggettiva

Pag. 135

9.7

Determinazione dell’addizione

Pag. 136

9.7.1

Determinazione dell’addizione secondo Bennon

Pag. 137

9.7.2

Determinazione dell’addizione secondo Bennet

Pag. 137

9.7.3

Tabelle

Pag. 138

9.7.4

Determinazione dell’addizione secondo il metodo del minimo Pag. 138 e massimo positivo

9.8

Verifica dell’addizione

Pag. 139

9.8.1

Controllo dell’intervallo di visione nitida

Pag. 139

9.8.2

Verifica dell’addizione con reticolo a croce e cilindro

Pag. 140

crociato 9.8.3

Verifica dell’addizione con il test bicromatico

Bibliografia

Pag. 141 Pag. 143


1. Acuità visiva

9

Capitolo 1 – Acuità visiva 1.1 Introduzione Quando osserviamo un oggetto e non vogliamo limitarci a notare una massa confusa, ma siamo interessati alle sue caratteristiche, dobbiamo percepirne i singoli particolari. Un oggetto può essere visto se: a) emette, riflette o trasmette la radiazione del visibile (400÷750 nm), b) se queste radiazioni possiedono un livello energetico sufficiente ad innescare il processo visivo, c) ha una differenza di luminanza rispetto allo sfondo, d) se l'oggetto o i suoi dettagli hanno dimensioni sufficientemente grandi (Fig.1) per stimolare in maniera adeguata le unità recettive retiniche.

Fig.1: Varie dimensioni dell’oggetto

1.2 Definizione di acuità visiva L’acuità visiva (AV) di un soggetto è in funzione non solo dell’apparato diottrico dell’occhio, ma anche della retina, delle vie ottiche e del sistema nervoso centrale. L’acuità visiva, genericamente, viene intesa come la capacità del sistema visivo legato alla funzionalità della retina centrale (fovea) di distinguere delle lettere più o meno piccole su una tavola ottotipica. Considerando occhi privi di qualsiasi tipo di patologia, la misura dell’acuità visiva ci può indirettamente informare sulla qualità dell’immagine retinica ed è per questo motivo


1. Acuità visiva

10

che normalmente per misurarla vengono utilizzati degli stimoli bidimensionali (lettere, numeri, figure ecc.) che presentano un alto contrasto rispetto allo sfondo. L'acuità visiva è inversamente proporzionale alla dimensione angolare del più piccolo stimolo percepito e viene abitualmente quantificata dall'inverso dell'angolo visuale considerato. Gli scopi per cui viene misurata possono essere i seguenti: • verificare se ci sono ametropie o anomalie dell’apparato otticooculare, • ottenere una documentazione oggettiva per quantificare con una scala numerica i disturbi soggettivi accusati dall’esaminato, • verificare se l’AV è uguale a quella dell’occhio controlaterale o a quella dello stesso occhio misurata in tempi diversi, • verificare se l’AV è uguale o inferiore ai valori fissati dalle leggi, • stimare le capacità dell’esaminato di svolgere determinate attività. Esistono quattro modi diversi per quantificare l’acuità visiva: • minimo visibile o acutezza di visibilità, • minimo separabile o potere risolutivo, • minimo riconoscibile, • iperacuità. Minimo visibile o acutezza di visibilità: indica la minima ampiezza angolare entro la quale l’occhio riesce a distinguere un segnale, cioè a vedere o meno la presenza di uno stimolo; per far sì che questo avvenga è indispensabile che almeno un recettore venga stimolato da un illuminamento differente rispetto alla zona circostante e questa differenza deve risultare superiore alla soglia di sensibilità al contrasto.


1. Acuità visiva

11

Per misurare il minimo visibile vengono utilizzati test dove vengono variati la grandezza di una linea nera o di un punto su sfondo chiaro (Fig.2).

Fig.2: Punto nero su sfondo chiaro per la valutazione del minimo visibile

Minimo separabile o potere risolutivo: è la capacità che il nostro occhio ha di vedere separati due oggetti molto vicini tra loro. Per rilevare distinte e separate due linee è necessaria l’attivazione di due fotorecettori non adiacenti, in modo tale che tra loro ce ne sia uno non attivato che faccia valutare la mancanza di continuità. Il minimo separabile dipende dalla salute del tappeto retinico e dalla precisione del sistema ottico oculare. L’angolo espresso in primi che tale distanza sottende al punto nodale si chiama minimo angolo di risoluzione, M.A.R. (Fig.3).

Fig.3: Minimo angolo di risoluzione (MAR)

Minimo riconoscibile: è il tipo di acuità visiva che viene maggiormente utilizzata; permette di riconoscere delle forme tra tante possibili come ad esempio lettere dell’alfabeto o numeri (Fig.4). Questo è un aspetto del funzionamento del sistema visivo un po’ più complesso dei


1. Acuità visiva

12

precedenti, perché il valore dell’acuità visiva è influenzato non solo dal potere risolutivo, ma anche dall’esperienza del soggetto nei confronti delle mire utilizzate. I limiti medi sono simili a quelli validi per il minimo separabile.

Fig.4: Minimo riconoscibile

Iperacuità: è il minimo spostamento spaziale percepibile tra due linee (Fig.5) o per meglio dire tra due figure, cioè rappresenta la capacità di allineare due linee tra di loro. Questa abilità visiva sfrutta la grande capacità del sistema visivo di funzionare come un comparatore.

Fig.5: Iperacuità

Per quantificare l’acuità visiva si possono utilizzare diversi tipi di unità di

misura,

però

la

progressione

scelta

deve

soddisfare

contemporaneamente alcune esigenze come: • validità diagnostica: è la capacità di differenziare i soggetti sani da quelli malati ed è definita da due indici biostatici, sensibilità e specificità,


1. Acuità visiva

13

• praticità d’esame: il test deve essere facilmente interpretabile in tempi brevi, • precisione: la precisione di un metodo di misura consiste nella sua capacità di produrre valori molto simili quando la stessa caratteristica

viene

ripetutamente

misurata

nelle

stesse

condizioni. La valutazione dell’acuità visiva in ambito clinico permette di rilevare il minimo separabile (acutezza di risoluzione) misurando il minimo angolo di risoluzione (MAR) abbinato alla capacità di riconoscere gli oggetti. L'acuità visiva viene quantificata dall'inverso del minimo angolo di risoluzione espresso in minuti primi, ossia in sessantesimi di grado: AV =

1 MAR '

Normalmente l’indagine dell’acutezza visiva si attua attraverso l’uso di tavole o ottotipi, nelle quali sono presenti simboli grafici o disegni in diverse grandezze e che rappresentano i punti e le soglie di controllo della “potenza” visiva di un soggetto esaminato. La grandezza minima dei simboli presenti negli ottotipi, normalmente sottende un angolo di 1 min. di arco ad una distanza di sei metri nei paesi anglosassoni e di cinque in quelli europei. L’acutezza visiva binoculare è normalmente superiore a quella monoculare. 1.3 Unità di misura dell’acuità visiva Per quanto riguarda la progressione nei valori angolari e quindi nelle dimensioni dei simboli vengono utilizzati vari criteri: • notazione decimale • scala di Monoyer


1. Acuità visiva

14

• frazione di Snellen metrica e/o imperiale • scala Logmar • cicli per grado. 1.3.1 Notazione decimale La notazione decimale rappresenta l’unità di misura più utilizzata in Italia ed in altri paesi europei. Con questo sistema l’acuità visiva si esprime mediante il reciproco del minimo angolo di risoluzione (MAR) espresso in primi d’arco ( '); il risultato di tale inverso prende il nome di “Notazione Decimale”. Vediamo un esempio: 1 1

' = 1’ AV = = 1 => AV espressa in notazione decimale (AVnd) ' = 1’ AVnd = 1

' = 1,1’ AVnd = 0,9

' = 1,25’ AVnd = 0,8

' = 1,42’ AVnd = 0,7

' = 1,66’ AVnd = 0,6

' = 2’ AVnd = 0,5

' = 2,5’ AVnd = 0,4

' = 3,33’ AVnd = 0,3

' = 5’ AVnd = 0,2

' = 10’ AVnd = 0,1

1.3.2 Scala di Monoyer La scala di Monoyer si ottiene mettendo la notazione decimale sottoforma di frazione: AV = 1 ⋅

10 = 10 / 10 => AV espressa in frazione decimale (AVfd) 10

AVnd =1 AVfd =10/10

AVnd=0,9 AVfd =9/10

AVnd = 0,8 AVfd =8/10

AVnd =0,7 AVfd =7/10

AVnd =0,6 AVfd =6/10

AVnd = 0,5 AVfd =5/10

AVnd =0,4 AVfd =4/10

AVnd = 0,3 AVfd =3/10

AVnd = 0,2 AVfd =2/10

AVnd = 0,1 AVfd =1/10


1. Acuità visiva

15

La tavola ottotipica decimale più utilizzata fino a poco tempo fa seguiva la “Scala Monoyer”, dove i caratteri più grandi sono dieci volte maggiori dei più piccoli; in tal modo si definiscono dieci righe o decimi attraverso i quali è possibile quantizzare il visus. Le righe intermedie, tra quelle contenenti i simboli di grandezza maggiore e quella contenente quelli di grandezza inferiore, sono di grandezze che possono rispettare una scala decimale. In altre parole, vi troviamo 1/10, 2/10, 3/10 e così di seguito fino ad arrivare a 10/10. La scelta di questi valori non permette un’analisi dell’acuità visiva con la stessa precisione a tutti i livelli; abbiamo un valutazione molto precisa per valori di acuità visiva elevata, ma un rilevamento grossolano alle basse acuità visive. Ad esempio, per leggere la riga successiva a quella di 1/10 il minimo angolo di risoluzione si deve dimezzare (1/10 = MAR 10’; 2/10 = MAR 5’), mentre per leggere la fila successiva a quella di 9/10 è sufficiente che il MAR si riduca di circa il 10 % (9/10 = MAR 1,1’; 10/10 = MAR 1’). 1.3.3 Frazione di Snellen Nelle tabelle con progressione parageometrica il visus è espresso con una frazione che segue la legge di Snellen, cioè V=d/D, dove V è il visus, d è la distanza alla quale viene visto l’oggetto e D è la distanza alla quale lo stesso oggetto viene visto da un occhio con visus normale. Secondo Snellen un occhio ha una “visione normale” se è in grado di riconoscere un ottotipo quando questo sottende 5 minuti d’arco e quindi distingue un singolo tratto della dimensione di 1 minuto d’arco. Questa unità di misura è uguale alla distanza a cui il test viene eseguito


1. Acuità visiva

16

(d) diviso la distanza a cui il dettaglio della lettera sottende un angolo di 1’ (D) (Fig.4). Frazione di Snellen =

d D

Fig.4: Frazione di Snellen

In questa frazione, contrariamente a quella decimale, il numero fisso è il numeratore (6 o 20), mentre il denominatore varia in funzione del MAR. In base all’unità di misura utilizzata per indicare le distanze possiamo avere due espressioni della frazione di Snellen: • Metrica; in cui le distanze sono espresse in metri, ad esempio 6/12 • Imperiale o anglosassone; in cui le distanze sono espresse in piedi (feet), ad esempio 20/40. Anche questo rapporto, come il precedente, esprime in forma di frazione l’inverso dell’angolo misurato in primi. La conversione tra la frazione decimale e quella di Snellen si effettua mediante la seguente proporzione: x 6 = 10 y

Scala Metrica

x 20 = 10 y

Scala Imperiale


1. Acuità visiva

17

Come si può notare, con questa progressione l’incremento di M.A.R., e quindi l’aumento della dimensione dei simboli, non è uniforme. E’ quindi da preferirsi una progressione di tipo logaritmico. 1.3.4 Scala LogMAR Una delle ragioni di progressione dalla quale dipende il M.A.R. più utilizzate è quella nella quale si ha una variazione delle dimensioni del simbolo del 26 % tra una riga e quella successiva.

Sfruttando la

proprietà secondo la quale i logaritmi di una progressione geometrica formano una progressione aritmetica, i valori di acuità visiva sono stati indicati attraverso il LogMAR, ossia il logaritmo in base 10 del minimo angolo

di

risoluzione

corrispondente

ai

livelli

inseriti

nella

progressione. Considerando valori di MAR compresi tra 1’ e 10’, il LogMAR sarà compreso tra 0 (Log 1’) ed 1 (Log 10’); come si può vedere in tabella 2, dalla progressione scelta (ragione 1.26) risultano intervalli di 0,1 unità logaritmiche tra un livello e l’altro. Si può notare


1. Acuità visiva

18

che a valori maggiori di acuità visiva si associano valori numerici inferiori, fino ad arrivare a LogMAR 0 che sta ad indicare un potere risolutivo considerato normale; questo inconveniente rende tale unità di misura poco intuitiva e ne limita la diffusione nella pratica clinica. Tuttavia, la maggior parte dei proiettori di ottotipi di recente costruzione presentano una progressione di ottotipi che segue le regole della scala LogMAR e l’acuità visiva continua ad essere indicata in notazione decimale (Tabella 2).

Esempi di conversione tra Log MAR e notazione decimale: Log a b = x

ax = b

dove: a = 10 b = MAR x = valore scalare dell’AV.


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