Formazione a Distanza Contattologia medica
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Lente a contatto e superficie oculare. Interazioni, complicanze e indicazioni per un porto corretto Responsabile Scientifico: Prof. N. Pescosolido
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• Interazioni tra lenti lacrimali e superficie oculare − Tessuto lacrimale …………………………………………………………………….…............
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− Palpebre ……………………………………………………………………………………........
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− Congiuntiva …………………………………………………………………………….…..........
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− Cornea …………………………………………………………………………………………....
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− La sindrome da aumentata evaporazione lacrimale …………………...............................
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− La sindrome della lente stretta …………………………………………………….................
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− Depositi ………………………………………………………………………………………......
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• Selezione del paziente e controllo del portatore di lenti a contatto − Visita preliminare ……………………………………………………………………….............
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− Esame oculistico completo …………………………………………………………..............
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− Tempi richiesti per una adeguata applicazione ………………………….......................…
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− Indicazioni ……………………………………………………………………………......………
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− Controindicazioni ………………………………………………………………….............……
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− Fattori che influenzano la scelta della lente ……………………………......................……
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− Prescrizione della lente ………………………………………………………….............……
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− Inserimento e rimozione ……………………………………………………………................
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− Visite di controllo per i portatori di LAC …………………………………….....................…
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Interazioni tra lenti lacrimali e superficie oculare La superficie oculare (figura 1) è costituita da palpebre, congiuntiva e cornea ed è rivestita da lacrime. Queste quattro strutture sono legate sia anatomicamente, sia funzionalmente; infatti, le componenti della superficie oculare reagiscono sempre congiuntamente per garantire la difesa dell’apparato visivo. Per queste ragioni la superficie oculare è considerata un’unica entità anatomo-funzionale. È indubbio che nel complesso della superficie oculare le lacrime, la cui struttura e composizione sono così complesse che ancora non siamo stati in grado di definire del tutto, svolgono un ruolo strategico e ciò è ancora più vero in contattologia. Le lacrime esercitano numerosissime funzioni, tutte altamente specializzate (antimicrobica, antiossidante, lubrificante, nutritiva, ottica, protettiva, pulente, veicolante), e sono essenziali per la superficie oculare, basta pensare a cosa succede quando la loro struttura o la loro composizione non è perfettamente equilibrata. Forse proprio grazie alla loro complessità le lacrime sono estremamente stabili: riescono a rimanere distese sulla superficie oculare per almeno 15 secondi nonostante le aggressioni che subiscono dall’ambiente esterno. Contemporaneamente, e questa volta nonostante la loro complessità, le lacrime riescono ad essere dinamiche: lo strato mucoso, da una parte aderisce saldamente alle cellule dell’epitelio corneocongiuntivale grazie alla sua componente idrofobica rendendole bagnabili, dall’altra con la sua frazione idrofila lega a sé lo strato acquoso all’interno del quale si spinge fino nella porzione più superficiale dove, riducendo la tensione superficiale dell’interfaccia tra strato
Figura 1. Unità funzionale della superficie oculare.
Figura 2. Struttura del tessuto lacrimale.
acquoso e lipidico, consente una rapida ed uniforme distribuzione dello strato lipidico; lo strato lipidico, poi, nonostante sia costantemente sottoposto a cicli di compressione ed espansione (ammiccamento) riesce a mantenere una perfetta integrità (dimostrata dal fatto che in condizioni di normalità non si riscontra mai emulsione di lipidi nello strato acquoso) ed una incredibile flessibilità (si distende a 400 cm/sec ricoprendo la superficie oculare in un centesimo di secondo, tempo nettamente inferiore a quello necessario per un ammiccamento). In realtà, gli studi di interferometria[1] e di microscopia angolare[2] devono farci riconsiderare la abituale struttura a tre strati delle lacrime in quanto ci dicono che non è identificabile un vero e proprio confine tra strato mucoso ed acquoso, ma solo una differente concentrazione di mucine tra gli strati più profondi e quelli più superficiali di uno spesso strato mucoacquoso (40 micron) su cui si distende un sottilissimo strato lipidico (figura 2). Su queste basi io credo che così come abbiamo imparato a pensare alla superficie oculare come ad un’unità funzionale, dobbiamo abituarci a pensare alle lacrime come ad un tessuto liquido pluristratificato, dalle funzioni altamente specializzate che riveste la superficie oculare: il tessuto lacrimale (TL)[3]. Se accettiamo di considerare le lacrime un tessuto, quando introduciamo una lente a contatto, impian-
4. Interazioni tra lenti lacrimali e superficie oculare
tiamo un mezzo protesico in questo tessuto liquido. Sono le caratteristiche strutturali del tessuto lacrimale che rendono tollerabile la presenza di questa protesi sulla superficie oculare: un tessuto lacrimale con una composizione corretta avrà spessore e stabilità adeguate ad accogliere la lente a contatto; a sua volta la lente a contatto sarà tanto più compatibile quanto più le sue caratteristiche consentiranno un regolare ricambio del tessuto lacrimale permettendo alla superficie oculare di conservare le sue prerogative. Su queste basi dobbiamo ritenere che il termine lenti a contatto sia un termine improprio e non scientifico; queste lenti vengono introdotte nel tessuto lacrimale e pertanto devono essere definite lenti lacrimali (LeLa)[3]. Le lenti lacrimali sono dispositivi medici invasivi classificati di classe II b, così come di classe II b sono classificate tutte le sostanze per la loro manutenzione[4]. I dispositivi medici sono classificati in tre fasce I, II a, II b, III in rapporto alla loro invasività; ad esempio nella classe III sono collocate le protesi cardiache. Da ciò possiamo desumere che il legislatore abbia una visione chiara della capacità di queste protesi di alterare il normale equilibrio della superficie oculare. Come è impossibile separare anatomo-funzionalmente i componenti della superficie oculare, così risulta difficoltoso trattare separatamente per ognuno di essi, delle modificazioni che si verificano dopo l’impianto di una LeLa, senza ricadere in alcune ripetizioni.
Tessuto lacrimale Le prime e più evidenti modificazioni che vengono indotte dall’impianto di una LeLa sono, ovviamente, a carico del tessuto lacrimale. Normalmente il tessuto lacrimale si distribuisce sulla
Figura 3. Distribuzione del tessuto lacrimale.
superficie oculare in modo da configurare un’area precorneale, un’area preoculare, il lago lacrimale ed i menischi (figura 3). I menischi lacrimali hanno uno spessore di 0,3-0,5 mm ed hanno un ruolo importantissimo nel mantenere ben disteso sulla superficie oculare il tessuto lacrimale. Quando inseriamo una LeLa (soprattutto se rigida) la modificazione più immediata che osserviamo è la formazione di un nuovo menisco lacrimale attorno alla lente (figura 4). Questo nuovo menisco perilenticolare è tanto più spesso quanto più spesso è il bordo della LeLa (come ad esempio nelle lenti con elevato potere negativo) e sottrae tanto più tessuto lacrimale alla superficie oculare quanto più grande è il diametro della lente. La formazione di questo nuovo menisco modifica le forze che pongono in tensione il tessuto lacrimale generando aree d’assottigliamento. Inoltre la sola presenza della LeLa interrompendo la congruità del complesso palpebre-superficie oculare determina una così cattiva distribuzione del tessuto lacrimale sulla superficie oculare da giustificare la comparsa di colorabilità epiteliale alle ore 3 e 9 di comune riscontro in portatori di LeLa a struttura rigida. L’impianto della LeLa nel tessuto lacrimale determina la separazione del TL precorneale in un film lacrimale postlente ed un film lacrimale prelente (figura 5). Recentemente, utilizzando ancora l’interferometria, è stato rilevato che lo spessore medio del film lacrimale postlente (2,34 micron) è sostanzialmente simile allo spessore medio del film prelente (2,31 micron) e, quindi, significativamente più sottile di quanto sembrava dalle rilevazioni pachimetriche (11-12 micron)[5]. Il film postlente sarà formato da muco ed acqua ed essendo privo dello strato lipidico, tenderà ad evaporare velocemente divenendo ipertonico.
Figura 4. Notevole menisco perilenticolare in lente rigida di elevato potere negativo.
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Figura 5. Struttura del tessuto lacrimale dopo impianto di LeLa.
Il film prelente, invece, risulterà formato da acqua con pochissima mucina per cui avrà una elevata tensione superficiale che non consentirà una corretta distribuzione del film lipidico e pertanto risulterà poco stabile e tenderà ad evaporare rapidamente. Le modificazioni a carico della produzione di TL che possono osservarsi in fase di adattamento alle LeLa sono abbastanza ovvie e sono rappresentate dal notevole aumento della produzione di fluido lacrimale isotonico da parte delle ghiandole lacrimali con conseguente caduta dell’osmolarità del tessuto lacrimale da diluizione. Il processo di adattamento alle LeLa comporta la riduzione della sensibilità corneale e della sensibilità del bordo palpebrale, pertanto nei soggetti adattati all’uso di LeLa, la tendenza all’evaporazione lacrimale legata all’alterata architettura del tessuto lacrimale viene sempre meno controbilanciata da un aumento della secrezione di fluido isotonico da parte delle ghiandole lacrimali (che è un fenomeno prevalentemente riflesso) e il tessuto lacrimale diviene rapidamente molto ipertonico[6], se questa condizione non viene corretta si può instaurare una sindrome secca da iperevaporazione che è una delle cause della adesione delle lenti lacrimali alla superficie oculare. Per garantire un normale stato di deturgescenza epiteliale l’osmolarità del tessuto lacrimale dovrebbe essere di circa 310 mOsm/l, equivalenti ad una soluzione appena superiore all’1% di NaCl. Questa condizione di lieve iperosmolarità è il risultato della normale evaporazione dell’acqua dal tessuto lacrimale
quando l’occhio è aperto; quando, invece, le palpebre rimangono chiuse a lungo, come durante il sonno, l’osmolarità del tessuto lacrimale scende a valori inferiori a 290 mOsm/l. Una osmolarità inferiore a 280 mOsm/l è in grado di indurre edema dell’epitelio corneale[7]. Le lacrime svolgono anche un ruolo essenziale di difesa della superficie oculare dalla contaminazione da parte di microrganismi grazie al loro contenuto di complemento, glicoproteine, immunoglobuline A (IgA, sIgA), lattoferrina, leucociti, lisozima, mucine e fosfolipasi A2 (PLA2). L’uso di lenti lacrimali mentre non sembra in grado di modificare significativamente la concentrazione nel tessuto lacrimale di lattoferrina e lisozima[8], è invece in grado di ridurre la concentrazione di IgA e PLA2[9]. Inoltre la concentrazione di quest’ultima si riduce con l’età in rapporto alla riduzione della secrezione lacrimale[10]. Un ulteriore elemento da segnalare è il riscontro nel tessuto lacrimale dei portatori di lenti lacrimali contaminate, di una concentrazione significativamente più elevata di fibronectina rispetto a quella rilevabile nei portatori di lenti lacrimali non contaminate[11]. La conseguenza clinica di queste informazioni è che l’uso delle lenti lacrimali è in grado di ridurre le capacità del tessuto lacrimale di difendere la superficie oculare. L’ipossia cronica indotta dall’uso di lenti lacrimali determina la riduzione della concentrazione nel tessuto lacrimale del Decay Accelerating Factor, una proteina di membrana che controlla l’attivazione del complemento. La mancanza di controllo sull’attivazione del complemento è responsabile della maggioranza delle risposte infiammatorie correlate all’utilizzo di lenti lacrimali, dall’occhio rosso acuto alla congiuntivite a papille giganti. Ovviamente in questa situazione cresce la concentrazione nel tessuto lacrimale di tutti i mediatori dell’infiammazione: citochine, Fattore Attivante le Piastrine, Fattore di crescita dell’Endotelio Vasale, interleuchine, plasminogeno ed attivatori della plasmina, metaboliti dell’acido arachidonico (eicosanoidi). Gli eicosanoidi sono composti biologicamente attivi in grado, tra l’altro, di stimolare la formazione di nuovi vasi e di aumentare la permeabilità vasale. La concentrazione di questi metaboliti nel tessuto lacrimale diviene particolarmente alta in condizioni di grave ipossia[12].
Palpebre Le palpebre ed in particolare la loro cinetica (ammiccamento) sono determinanti per la distensione e la stabilizzazione del tessuto lacrimale sulla superficie
4. Interazioni tra lenti lacrimali e superficie oculare
Figura 6. Rima palpebrale stretta: lʼarea della superficie oculare esposta è ridotta, pertanto sarà necessario minore volume lacrimale e siccome anche lʼescursione della palpebra superiore sarà minore, risulterà ridotto anche il ricambio del tessuto lacrimale.
Figura 7. Rima palpebrale larga: lʼarea della superficie oculare esposta è aumentata, pertanto sarà necessario maggiore volume lacrimale e siccome anche lʼescursione della palpebra superiore sarà maggiore, risulterà aumentato anche il ricambio del tessuto lacrimale.
oculare e per il ricambio delle cellule epiteliali corneocongiuntivali. Inoltre, esse delimitano la rima palpebrale che è un altro parametro di estrema importanza in contattologia (figure 6 e 7). Il film lacrimale postlente gioca un ruolo determinante nel metabolismo della superficie oculare che si trova sotto la lente e quindi deve essere ricambiato frequentemente. Grazie all’ammiccamento durante la fase di discesa la palpebra superiore con la sua pressione (fino a 200 gr/cm2) allontana una certa quota di film postlente, che viene riformato durante la fase di risalita della palpebra superiore (effetto pompa) (figura 8). L’entità del ricambio del film lacrimale postlente sarà influenzato dall’escursione della palpebra superiore (maggiore nei soggetti con rima palpebrale più larga), dalla elasticità del polimero che costituisce la lente e dal tipo di applicazione.
L’elasticità è una proprietà meccanica del materiale che consente alla lente di tornare alla forma originaria dopo essere stata deformata dall’ammiccamento e di mantenerla sino all’ammiccamento successivo. Questa caratteristica del materiale è condizionata anche dalla sua capacità di permettere un buon movimento di fluidi attraverso la lente e deve essere estremamente equilibrata: se la lente riprende troppo rapidamente la sua forma originaria dopo l’ammiccamento, si crea una rapida adesione della zona aptica della lente alla superficie oculare, mentre si forma una depressione della zona ottica con pressione negativa dietro la lente che impedisce a questa parte della lente di riposizionarsi correttamente; si crea un effetto suzione che praticamente immobilizza la lente impedendo il ricambio del film postlente.
Figura 8. Effetto pompa dellʼammiccamento.
Il tipo di applicazione può condizionare significativamente il ricambio del film lacrimale postlente nel senso che un’applicazione più piatta, cioè con un appoggio prevalentemente apicale, consente una maggiore deformabilità della lente e quindi un maggiore ricambio. Se, però, l’applicazione diviene troppo piatta i bordi della lente si sollevano ed aumenta notevolmente lo sfregamento tra bordo della lente e congiuntiva palpebrale con formazione di depositi lungo il bordo della lente (figura 9), formazione di bolle d’aria nella porzione periferica della lente, aumento del rischio di comparsa di congiuntivite gigantopapillare e di epiteliopatia da sfregamento della congiuntiva bulbare. Inoltre un contatto eccessivo e ripetuto tra bordo della lente e congiuntiva tarsale può indurre uno stato infiammatorio localizzato dei dotti delle ghiandole lacrimali palpebrali (soprattutto di quelle di
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Figura 9. Depositi lungo il bordo di una LeLa applicata piatta.
Meibomio) che possono più facilmente andare incontro ad anomalie di funzionamento (drop-out ghiandolare) ed occlusione (figure 10 e 11). All’infiammazione si associa sempre un aumento localizzato della temperatura che, nel tempo, altera la composizione della secrezione lipidica (figura 12) con l’innalzamento del punto di fusione del mebo ed inevitabili conseguenze negative sulla formazione dello strato lipidico del tessuto lacrimale. In sostanza le proprietà del materiale della lente ed il tipo di applicazione andranno selezionate anche in base alle caratteristiche della rima palpebrale del portatore al fine di garantire ad ogni ammiccamento, un adeguato movimento della lente sulla superficie oculare che consenta all’effetto pompa di ricambiare il 10-20% del film lacrimale postlente rigida e l’1-2% del film postlente morbida. Le palpebre durante l’ammiccamento scaricano sul bulbo oculare una forza di compressione che può raggiungere i 200 gr/cm2; questa energia, oltre a determinare il movimento e la distribuzione del tessuto lacrimale, stimola la desquamazione delle cellule epiteliali soprattutto nella porzione centrale della
Figura 10. Ghiandola di Meibomio non funzionante.
Figura 11. Cheratinizzazione dello sbocco di una ghiandola di Meibomio.
Figura 12. La presenza di schiuma sul bordo palpebrale e la irregolarità del bordo palpebrale interno sono tra i segni tipici di disfunzione meibomiana; la schiuma si accumula prevalentemente al canto esterno in quanto galleggiando sulle lacrime viene spinta dallʼammiccamento in direzione opposta a quella delle lacrime.
cornea, favorendo così il regolare ricambio cellulare. Con l’introduzione di lenti lacrimali questo meccanismo viene interrotto in quanto l’energia palpebrale si scaricherà sulle lenti e non sulla superficie oculare, contribuendo per un verso ai fenomeni di stagnazione metabolica dell’epitelio corneale e per un altro ai fenomeni di adesione delle lenti lacrimali alla superficie oculare. Infatti, la chiusura dell’occhio determina un notevole assottigliamento del film postlente il cui spessore scende a poco più di 1 micron già dopo 15 minuti di chiusura palpebrale e diviene non più misurabile (1 micron, è il limite di risoluzione della metodica interferometrica) dopo 30 minuti di chiusura palpebrale[13]. Sia la statica sia la cinetica palpebrale sono influenzate dalla presenza di LeLa. Le modificazioni della cinetica palpebrale durante la fase di adattamento sono ovvie: il ritmo dell’ammic-
4. Interazioni tra lenti lacrimali e superficie oculare
Figura 13. Grave ptosi in portatrice di una cattiva applicazione di lente in PMMA per cheratocono in OD. La sospensione dellʼuso della lente rigida in OD ha rivelato, dopo alcuni mesi, un quadro di warpage corneale e non di cheratocono.
camento aumenta notevolmente. Quando si raggiunge un buon adattamento alle LeLa persiste un lieve aumento del ritmo di ammiccamento. I soggetti con problemi di tolleranza alle lenti ammiccano meno frequentemente e spesso in modo incompleto o solo accennato, ciò determina un ridotto ricambio del film postlente ed un notevole aumento dell’evaporazione lacrimale da esposizione che, periodicamente, fa scattare nel portatore la necessità di eseguire una serie di ammiccamenti forzati. La statica palpebrale può subire modificazioni rilevanti sia transitorie (pseudoptosi), sia permanenti (ptosi vera). La pseudoptosi è un fenomeno relativamente frequente ed è correlato alla presenza di uno stato infiammatorio della palpebra superiore (come ad esempio una importante congiuntivite gigantopapillare) con fenomeni trasudatizi nel tessuto connetti-
Figura 14. Lo stesso soggetto dellʼimmagine precedente dopo instillazione di fenilefrina in OD: la palpebra superiore sale evidentemente, senza però significativa modificazione della piega palpebrale, in questo caso si può ipotizzare (essendo state escluse altre possibili cause) una ptosi mista sia da lesione aponeurotica che da denervazione.
vo che diviene più pesante. La risoluzione dello stato flogistico, si accompagna alla risoluzione della ptosi. La ptosi vera può essere determinata o dalla disinserzione dell’aponeurosi del muscolo elevatore della palpebra superiore dovuta ad una eccessiva manipolazione della palpebra durante le manovre di applicazione della lente oppure ad una parziale denervazione delle fibre inferiori del muscolo elevatore della palpebra superiore e dei muscoli di Muller dovuta ad un’applicazione inadatta di una lente a struttura rigida (figura 13). La diagnosi differenziale tra queste due forme di ptosi si basa sulla notevole sensibilità delle fibre muscolari denervate cosicchè la somministrazione di un collirio simpaticomimetico (fenilefrina) ne determina la immediata contrazione con riduzione della ptosi nel caso di ptosi da denervazione e nessun effetto nel caso di lesione dell’aponeurosi. È possibile anche il riscontro di forme miste dove nella patogenesi della ptosi si può individuare sia la lesione aponeurotica che la denervazione (figura 14). In presenza di ptosi nel portatore di lenti a contatto bisogna comunque escludere ogni altra possibile causa. Il trattamento della ptosi vera è chirurgico. Infine va sempre ricordato che per ottenere una corretta distensione del tessuto lacrimale sulla superficie oculare è indispensabile una perfetta integrità del bordo libero palpebrale. Quando il bordo libero delle palpebre non è uniforme (figure 15 e 16) il rapporto tra palpebra e tessuto lacrimale diviene incongruo, la formazione dei menischi non può avvenire regolarmente e già solo questo può produrre una notevole instabilità del tessuto lacrimale.
Figura 15. Neoformazione coinvolgente la porzione interna del bordo palpebrale inferiore. Una condizione di questo tipo è sufficiente ad interrompere la coerenza del rapporto tra palpebre e tessuto lacrimale.
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Figura 16. Neoformazione coinvolgente la porzione interna del bordo palpebrale superiore. Una localizzazione di questo tipo oltre ad alterare i rapporti tra palpebra e tessuto lacrimale, rappresenta un ostacolo allʼadeguatezza dei rapporti tra palpebra e lente lacrimale.
Congiuntiva La mucosa congiuntivale risponde alla presenza della lente lacrimale (microtraumatismi) ed alle modificazioni del tessuto lacrimale da essa indotte (iperosmolarità) evolvendo lentamente verso la metaplasia squamosa. Tutti i portatori di lenti lacrimali sono a rischio di metaplasia squamosa della congiuntiva se non adeguatamente trattati (vedi più avanti: La sindrome da aumentata evaporazione lacrimale). Tutte le volte che ci troviamo di fronte un portatore di lenti lacrimali soprattutto idrofile che non fa uso di integratori lacrimali, dobbiamo sospettare la presenza di iperosmolarità lacrimale[14] e di un quadro più o meno evoluto di metaplasia squamosa, anche in totale assenza di sintomatologia. La conferma al sospetto di metaplasia squamosa può essere rapidamente ottenuta con una semplice citologia ad impressione.
Figura 17. Piega grossolana della congiuntiva bulbare inferiore in un quadro di metaplasia squamosa.
Figura 18. Epiteliopatia congiuntivale da sfregamento della palpebra superiore in un portatore di lente a contatto rigida; risulta bene evidente lʼarea di colorazione localizzata nella porzione della congiuntiva tarsale superiore corrispondente alla posizione della lente.
La metaplasia squamosa inizia con la progressiva riduzione della concentrazione di cellule mucipare, mentre le cellule epiteliali perdono i villi ed il glicocalice. Le cellule invecchiano precocemente, perdono sia la loro capacità secernente che la capacità di trattenere le lacrime (naturali e artificiali). Pertanto lo scorrimento delle palpebre sulla congiuntiva diviene difficoltoso e tendono a formarsi pieghe più o meno evidenti della congiuntiva bulbare (figura 17). Questo fenomeno, se non è molto evoluto, può essere facilmente arrestato restaurando le condizioni fisiologiche della superficie oculare. Il continuo sfregamento della congiuntiva palpebrale superiore con la lente, in particolare nei casi in cui il film prelente è molto instabile, può determinare la comparsa di una epiteliopatia congiuntivale da sfregamento della palpebra superiore (figura 18) (lidwiper epitheliopathy) ben evidenziabile con la colorazione con fluoresceina o rosa bengala[15]. Nella maggioranza dei casi questa manifestazione è asinto-
Figura 19. Cisti dermoide della congiuntiva bulbare temporale con dellen corneale da cattiva distribuzione del tessuto lacrimale per incongruità localizzata tra palpebre e superficie oculare.
4. Interazioni tra lenti lacrimali e superficie oculare
Figura 20. La presenza di uno pterigio crea un ostacolo al corretto posizionamento delle lenti morbide ed al corretto movimento delle lenti rigide che possono sollecitare notevolmente lʼarea del cappuccio e della testa.
Figura 21. Una bozza filtrante di questo tipo altera significativamente la congruità della superficie oculare, rende impossibile lʼimpiego di lenti morbide e particolarmente difficoltoso lʼimpiego di lenti rigide.
matica; quando diviene sintomatica i sintomi sono quelli tipici dell’occhio secco da lenti lacrimali. Infine bisogna tenere presente che ogni cambiamento della normale architettura congiuntivale (figure 19, 20, 21) altera la normale distensione del tessuto lacrimale da parte delle palpebre e non consente una corretta relazione tra superficie oculare e lente lacrimale.
Uno dei prodotti del metabolismo anaerobico del glucosio è l’acido lattico. Quando impiantiamo una LeLa, il rifornimento di ossigeno alla cornea e l’eliminazione dell’anidride carbonica dalla cornea viene garantito dal ricambio del film lacrimale postlente e dalla permeabilità ai gas del polimero della lente. Nessuna lente lacrimale può garantire una perfetta respirazione corneale, pertanto in tutti i portatori di LeLa si possono osservare manifestazioni più o meno evidenti legate alla riduzione della concentrazione di ossigeno ed all’aumento della concentrazione di anidride carbonica nel tessuto lacrimale con conseguente attivazione del metabolismo anaerobico del glucosio ed acidosi tessutale (pH 7.10) da ipercapnia ed accumulo di acido lattico. Gli effetti della scarsa disponibilità di ossigeno per il metabolismo corneale sono molteplici. La prima e più evidente manifestazione dell’ipossia corneale è la riduzione della sensibilità. La riduzione della sensibilità corneale è il primo passo verso l’adattamento alla presenza di lenti lacrimali. La sensibilità corneale ha un andamento circadiano: è più bassa al mattino (dopo la prolungata chiusura palpebrale del sonno) ed aumenta nel corso della giornata. Sembra inoltre essere condizionata dal colore dell’iride: maggiore nei soggetti con iride chiara. La riduzione della sensibilità corneale incide negativamente sia sulla produzione delle lacrime che sull’attività metabolica delle cellule dell’epitelio corneale, quindi fa diminuire la capacità di riparazione corneale. L’ipoestesia infine riduce la soglia di attenzione del portatore nei confronti delle manifestazioni iniziali di eventuali patologie oculari. Un soggetto in condizioni di buon adattamento, che riferisca di
Cornea La cornea normale non è vascolarizzata e utilizza energia prodotta prevalentemente dal metabolismo aerobico del glucosio. La cornea, quindi, ha bisogno di rifornirsi di ossigeno (circa 5-6 µl/cm2/ora) e di eliminare anidride carbonica. Quando gli occhi sono aperti l’epitelio ed i due terzi anteriori dello stroma corneale prelevano ossigeno dall’aria attraverso il tessuto lacrimale, dove scaricano l’anidride carbonica. L’endotelio ed il terzo posteriore dello stroma, invece, ricevono ossigeno dall’acqueo e nell’acqueo scaricano l’anidride carbonica. Quando gli occhi sono chiusi la cornea riceve ossigeno essenzialmente dai vasi sanguigni della congiuntiva tarsale superiore, con una modesta partecipazione dei vasi limbari e dell’acqueo, mentre si libera dell’anidride carbonica sempre attraverso il tessuto lacrimale. In condizioni di normale respirazione corneale il pH dello stroma corneale è circa 7.55 ad occhi aperti ed ovviamente più acido (circa 7.37) ad occhi chiusi. Se la disponibilità di ossigeno nel tessuto lacrimale si riduce (ipossia), la cornea per far fronte alle necessità energetiche attinge alle sue riserve di glicogeno che trasforma in glucosio attraverso la via anaerobica del metabolismo glucidico.
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stare benissimo con le lenti, di non sentirle mai, è un soggetto con profonda ipoestesia corneale ipossica. Il numero delle mitosi delle cellule epiteliali superficiali centrali si riduce e con esso si riduce il ricambio delle cellule epiteliali. Nei portatori di LeLa le cellule epiteliali superficiali centrali sono più vecchie (vengono sostituite più lentamente) ed essendo invecchiate più del normale sono anche più grandi. Alla riduzione del ricambio cellulare contribuisce anche la scomparsa dell’effetto dell’ammiccamento sulla desquamazione cellulare per la presenza stessa della lente lacrimale. L’epitelio corneale si adatta ad una ridotta concentrazione d’ossigeno e le cellule imparano a consumarne meno, come conseguenza anche la diffusione d’ossigeno all’interno della cornea si riduce. L’epitelio corneale diviene più fragile, questa condizione può essere agevolmente rilevata con l’estesiometro di Cochet-Bonnet, misurando la lunghezza del filo in grado di determinare una lesione colorabile. Nei portatori di LeLa si può produrre una lesione epiteliale con una lunghezza del filo dal 30% al 50% maggiore che nei non portatori di lenti. È ben dimostrato[16] che ogni volta che la cornea deve essere riparata l’attività mitotica delle cellule epiteliali limbari è molto più elevata dell’attività mitotica delle cellule epiteliali centrali. Durante il processo di riparazione, inoltre, possono comparire al limbus dei cunei di epitelio pigmentato (epithelial pigment slide) che indicano l’accelerazione della migrazione delle nuove cellule dal limbus verso il centro della cornea. Recentemente è stato dimostrato[17] che l’incidenza di cunei pigmentati limbari è nettamente maggiore nei portatori di lenti lacrimali rispetto ai controlli, e tra i portatori è risultata significativamente maggiore nei portatori di lenti morbide ad uso prolungato. Tutte le espressioni di stagnazione metabolica che abbiamo visto nella cornea centrale hanno, quindi, un contrappasso nel riscontro nel portatore di lenti lacrimali di un notevole aumento delle divisioni cellulari a livello del limbus sede delle cellule staminali. Sulla scorta di questi dati dobbiamo ritenere che le lenti lacrimali, stressando la cornea con un meccanismo multifattoriale, rallentano il ricambio cellulare nella cornea centrale e, contemporaneamente, stimolano le cellule staminali a produrre nuove cellule epiteliali. Purtroppo, però, questa progenie di cellule epiteliali non sembra in grado di raggiungere il centro della cornea, probabilmente inibita dalla presenza delle cellule vecchie. La corrente teoria sulle cellule staminali limbari ipotizza un ciclo riprodutti-
vo molto lento in quanto queste cellule sono una riserva limitata che deve durare tutta la vita per garantire il normale ricambio cellulare e per riparare eventuali danni. Cosa può succedere all’epitelio corneale se questa esauribile capacità rigenerativa viene costantemente sollecitata dall’uso di lenti lacrimali? Espressione del disordine della crescita cellulare sono alcune manifestazioni cliniche come le microcisti, le bolle ed i vacuoli epiteliali. Tra queste, le microcisti sono la manifestazione di più frequente riscontro da quando si è diffuso l’uso prolungato delle lenti lacrimali. Il quadro clinico è molto simile alla cheratopatia bollosa solo che le formazioni traslucide sono molto più superficiali, sono irregolari per forma e dimensione e sono raccolte in gruppo di 2040 (a secondo del numero di notti consecutive passate con le lenti lacrimali) nell’area centro-paracentrale della cornea. Come nella cheratopatia bollosa, le microcisti possono aprirsi con formazione di aree di colorabilità epiteliale non sempre in grado di provocare dolore a causa dell’ipoestesia corneale. Il riscontro di più di 50 microcisti o di microcisti colorabili deve consigliare la sospensione dell’uso delle lenti[18]. Nei portatori di LeLa morbide ad uso continuo è stata evidenziata la presenza nelle aree centroparacentrali della cornea di cellule di Langherans[19]. Nella cornea queste cellule sono del tutto assenti o confinate al limbus in piccolissima quantità. L’assenza delle Langherans dalla cornea contribuisce ad estraniare questo tessuto dal sistema immunitario. La presenza di queste cellule rende la cornea più prona a manifestazioni infiammatorie. L’ipossia sembrerebbe promuovere una up-regulation di alcune citochine (IL6, IL1β, TNFα) ad azione chemiotattica sulle cellule di Langherans.
Figura 22. Tenue cheratopatia puntata; è sempre opportuno ricercarla immediatamente dopo la rimozione della lente perché una manifestazione di questo tipo è scarsamente sintomatica e può scomparire entro qualche ora.
4. Interazioni tra lenti lacrimali e superficie oculare
Figura 23. Cheratopatia puntata.
La condizione ipossica – ma anche una improvvisa ipotonizzazione del tessuto lacrimale – accompagnata dalla ipoestesia, dalla secchezza oculare, dagli effetti citotossici di alcuni prodotti per la manutenzione delle lenti e dall’azione meccanica delle lenti e delle manovre di inserzione e rimozione, compromettono la barriera epiteliale della cornea danneggiando le giunzioni intercellulari (emidesmosomi, giunzioni strette). Le conseguenze della perdita della barriera epiteliale si presentano dapprima in modo subclinico con la riduzione del potenziale elettrico transcorneale. Successivamente, compaiono vari gradi di colorabilità epiteliale che possono andare da una tenue cheratopatia puntata (figura 22), molto superficiale e per questo non accompagnata da dolore ma da discomfort che dura per poco tempo dopo la rimozione della lente, a quadri evidenti di cheratopatia puntata (figura 23) dove la sintomatologia è marcata, sino a veri e propri quadri di erosione epiteliale (figura 24) o di epiteliolisi (figura 25) testimoni dell’incapacità dei sistemi di rigenerazione epiteliale di supe-
Figura 24. Erosione corneale in portatore di lenti lacrimali monouso.
rare le difficoltà create dall’insufficiente apporto di ossigeno. È evidente che queste condizioni sono una strada maestra per l’adesione e la penetrazione batterica. Va sempre ricordato che le alterazioni delle cellule basali dell’epitelio corneale espongo i glicosfingolipidi che fanno da recettori per i batteri, come il ben noto asialo gm1 recettore specifico dello pseudomonas. Inoltre, come è stato ben evidenziato dagli studi sulla chirurgia rifrattiva[20] un qualsiasi danno subito dall’epitelio corneale si traduce nella deplezione di cheratociti stromali. Il danno epiteliale, infatti, innesca un processo apoptotico che è l’evento promotore della risposta riparativa, ma che può essere recepito anche da quei cheratociti stromali dotati di recettore per l’IL1 che muoiono per essere sostituiti da nuove cellule simili a fibroblasti[21]. Nel portatore di lenti lacrimali il danno epiteliale è frequente oltre che per l’ipossia anche per il traumatismo legato alle manovre di rimozione ed applicazione delle lenti e per gli effetti tossici dei prodotti per la manutenzione. A fronte di danno ripetuti dobbiamo attenderci una ripetuta attivazione del processo apoptotico-riparativo che determinerà la riduzione del numero di cheratociti presenti nello stroma corneale e, quindi, un suo assottigliamento; infatti questo meccanismo è invocato anche nella patogenesi del cheratocono[22]. Ritengo che questi dati ci possano spiegare anche la comparsa del warpage corneale se potesse essere dimostrato nelle cornee dei soggetti che vanno incontro a questa patologia da lenti lacrimali, un aumento del numero di cellule con recettori per l’IL1, così come è stato dimostrato nel cheratocono[22]. Abbiamo già accennato al fatto che in condizioni di ipossia la cornea ricorre al metabolismo anaerobico del glucosio partendo dalle sue cospicue riserve di glicogeno e che questo percorso conduce alla produ-
Figura 25. Lisi epiteliale sterile in portatrice di lenti monouso. Oltre alla lisi dellʼepitelio che appare accartocciato inferiormente, si nota, sempre inferiormente, lʼinfiltrazione di colorante.
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Figura 26. Iperemia congiuntivale ed edema epiteliale in portatore di lenti morbide.
Figura 28. Edema corneale da lente monouso tenuta durante il sonno.
zione di acido lattico. L’acido lattico tende ad accumularsi nello stroma corneale e, addirittura, nell’acqueo, in quanto abbandona la cornea molto lentamente. Sul piano clinico questa condizione determina: aumento dell’enzima latticodeidrogenasi nel tessuto lacrimale, edema corneale con acidosi da ipercapnia ed accumulo di acido lattico. L’edema corneale è la conseguenza diretta dell’accumulo di acido lattico nello stroma corneale che diviene ipertonico ed attira acqua all’interno della cornea. Un certo grado di edema corneale è di frequente riscontro nei portatori di lenti lacrimali. Più spesso la manifestazione edematosa interessa il solo epitelio (figura 26) e si accompagna alla visione di aloni intorno alle luci ed a modesta riduzione della capacità visiva. L’edema stromale nella maggior parte dei casi è una manifestazione di lieve entità, spesso asintomatica come le strie dello stroma superficiale che equivalgono ad un edema di circa il 6%[20]. In altri casi la manifestazione si accompagna a sintomi più o meno evidenti come nel caso delle pliche della stroma profondo (figura 27) che indicano un rigonfia-
mento stromale di circa il 15% o più[23] che si accompagna alla visione di aloni intorno alle fonti luminose e a significativa riduzione della capacità visiva. Altre volte ancora si tratta di manifestazioni rilevanti, in grado di ridurre notevolmente l’acuità visiva e che richiedono la sospensione delle lenti anche per tempi prolungati (figura 28). La valutazione dell’entità dell’edema corneale che compare nella fase di adattamento alle lenti lacrimali può costituire un elemento utilissimo di valutazione dell’aspirante portatore di lenti lacrimali[24]. I pazienti possono essere suddivisi in tre gruppi: 1. soggetti con edema compreso entro il 4%, che compare entro una o due ore di uso delle lenti e scompare con l’uso della lente; in questo caso si deve supporre che l’edema sia dovuto alla notevole riduzione della tonicità lacrimale da diluizione legata all’aumento della secrezione lacrimale; 2. soggetti con edema compreso tra 5% e 7% che compare dopo alcune ore di uso della lente rimanendo stabile; in questo caso si deve ritenere che l’edema sia di origine ipossica e quindi per questi
Figura 27. Pliche stromali profonde circondate da edema corneale in portatrice di lenti lacrimali ad uso continuo.
Figura 29. Opacità stromale in portatore di lenti lacrimali ad uso permanente.
4. Interazioni tra lenti lacrimali e superficie oculare
soggetti si deve prevedere un tempo di uso della lente contenuto oppure devono essere scelte lenti ad alta permeabilità ai gas; 3. soggetti con edema superiore al 7% che compare dopo alcune ore di uso della lente rimanendo stabile; anche in questo caso l’edema è di origine ipossica e di entità considerevole, per questi soggetti si deve prevedere un tempo di uso della lente piuttosto limitato associato a lenti ad elevata permeabilità ai gas. In risposta a sollecitazioni meccaniche, infiammatorie o tossiche è possibile rilevare nello stroma superficiale dei portatori di lenti lacrimali anche la presenza di aree opache (figura 29) o di infiltrati sterili (figura 30). Gli infiltrati sterili sono dovuti alla migrazione di cellule infiammatorie dai vasi limbari, si localizzano prevalentemente nella periferia della cornea ma, se la stimolazione continua, posso raggiungere anche le aree centrali. Abbiamo già detto che l’ipercapnia e l’accumulo di acido lattico determinano acidosi del tessuto corneale. Gli effetti dello spostamento verso il basso dei valori del pH stromale vanno ricercati a livello dell’endotelio corneale. L’endotelio corneale è di origine mesenchimale ed è costituito da un singolo strato di cellule esagonali connesse da un sistema giunzionale che conferisce allo strato endoteliale le caratteristiche di una barriera tra acqueo e stroma che, grazie alle gap junctions, consente la penetrazione di piccole molecole e di elettroliti. Più accuratamente questo strato cellulare dovrebbe essere considerato un mesotelio sia perché non possiede le caratteristiche morfologiche tipiche dell’endotelio vascolare, sia perché delimita una cavità (la camera anteriore) così come il mesotelio delimita le cavità sierose (pleura, pericardio, peritoneo). Alla nascita lo strato endoteliale è costituito da circa 500.000 cellule con una densità di 4.000 – 4.500 cellule per millimetro quadrato, prive di attività mitotica in vivo, (ma capaci di proliferare in coltura) e quindi destinate a ridursi fisiologicamente nel corso della vita con conseguente comparsa fisiologica di polimorfismo e polimegatismo. Il mosaico endoteliale oltre a garantire il mantenimento dell’idratazione corneale al 78%, sintetizza la sua membrana basale (Descemet). Le cellule endoteliali dispongono di un notevole apparato energetico e condividono con le cellule ellissoidi dei fotorecettori retinici la più alta concentrazione di mitocondri. Ma la domanda da porsi è: la forma esagonale e le dimensioni del mosaico endoteliale sono rilevanti per il suo funzionamento?
Figura 30. Infiltrati sterili stromali superficiali (più piccoli) e sottoepiteliali (più grandi).
L’esagono è sul piano geometrico la forma più stabile, da un punto di vista matematico la forma più adatta a ricoprire una superficie riducendo al minimo il consumo di materiale, e da un punto di vista termodinamico la forma più efficiente. Infatti in natura è una delle forme più utilizzate, basti pensare al favo costruito dalle api. Quindi, dobbiamo ritenere che la forma delle cellule endoteliali è importante per l’efficienza del sistema. Qualsiasi tipo di uso e di materiale per lenti a contatto produce sull’endotelio corneale modificazioni transitorie (bolle endoteliali) e permanenti (polimegatismo, polimorfismo, riduzione della densità cellulare). In biomicroscopia le bolle endoteliali si presentano come aree scure in corrispondenza del bordo delle cellule endoteliali in quanto la cellula rigonfia diviene sporgente nell’acqueo deviando la luce in direzione diversa dall’osservatore (figura 31). Le bolle sono cellule endoteliali rigonfie che aumentano in numero e grandezza nella prima mezz’ora dall’applicazione della lente, per diminuire nella
Figura 31. Bolle endoteliali in portatrice di lenti rigide gaspermeabili.
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seconda mezz’ora dall’applicazione della lente e quindi stabilizzarsi dopo circa un’ora di uso delle lenti. Questo livello rimane costante finché dura l’applicazione della lente. Il fenomeno scompare rapidamente con la rimozione della lente e tende ad attenuarsi significativamente con l’adattamento alle lenti. L’entità della manifestazione è inversamente proporzionale al DK/t della lente e non compare con le lenti in gomma siliconica. Negli operati di cheratoplastica perforante la formazione di bolle è nettamente inferiore. L’espressività inversamente proporzionale all’indice di trasmissibilità ai gas del materiale della lente e la rapidità di comparsa delle bolle ci orientano verso un’eziopatogenesi da acidosi ipercapnica, in quanto la diffusione di anidride carbonica all’interno della cornea è molto rapida. La manifestazione clinica di rigonfiamento cellulare osservata in biomicroscopia, potrebbe essere dovuta al fatto che questo ambiente acido o provoca edema delle cellule endoteliali, oppure induce un’espressione genica a carico dei nuclei coinvolti che divengono iper-riflettenti nei cheratociti ed ingranditi nelle cellule endoteliali con dislocazione posteriore della membrana cellulare e formazione della bolla. La conferma a questa ipotesi patogenetica viene dal riscontro di bolle anche in altre condizioni di ipossia come l’anossia atmosferica sperimentale, l’esposizione ad anidride carbonica e la chiusura prolungata delle palpebre. Le bolle endoteliali, sembrano più rilevanti sul piano della fisiologia che sul piano clinico. In realtà la rilevanza clinica di questa manifestazione è tutta da definire: il fatto che la manifestazione compaia in tutti i portatori di lenti lacrimali e, quindi, sia prevedibile ci può portare a sottostimarla. Contemporaneamente, sapere che la manifestazione può essere d’entità estremamente variabile ci deve far chiedere perché alcune cellule si gonfiano ed altre no e quali cellule sono più normali quelle che si gonfiano o quelle che non si gonfiano e, quindi, sul piano clinico è meglio avere una cornea che risponde con molte bolle all’applicazione di lenti lacrimali o è meglio una cornea che risponda con poche bolle. La transitorietà della manifestazione ci può far ritenere questo fenomeno davvero poco rilevante sul piano clinico. Ma, d’altra parte, sappiamo che il fenomeno decresce con l’uso delle lenti e ciò vuol dire che alcune cellule non si gonfiano più. Non si gonfiano più perché si sono adattate a bassi livelli di ossigeno, ad un ambiente acido ed ipercapnico oppure la persistenza di queste condizioni ne ha ridotto la vitalità e quindi non sono più in grado di reagire a condizioni di stress? Il comportamento della cornea
Figura 32. Endotelio dellʼocchio destro di un soggetto operato di cataratta con facoemulsificazione ed impianto di IOL da circa 5 anni.
trapiantata che, come abbiamo detto, risponde pochissimo all’applicazione della lente a contatto, non ci viene in aiuto nel risolvere questi enigmi in quanto potrebbe essere dovuto al fatto che quell’endotelio, avendo superato prove ben più dure, è divenuto più resistente oppure è divenuto meno sensibile, meno vitale, meno reattivo. Possiamo avanzare l’ipotesi che queste modificazioni dimensionali transitorie potrebbero essere la base per la comparsa delle manifestazioni permanenti, potrebbe essere questa la fase in cui cominciano ad instaurarsi le condizioni che porteranno al polimegatismo ed al polimorfismo: man mano che aumenta il tempo di uso delle lenti lacrimali si riduce la risposta acuta, le cellule divengono meno vitali e compaiono le manifestazioni permanenti. Ovviamente queste manifestazioni compariranno più precocemente quanto più il tipo di uso della lente ed
Figura 33. Endotelio dellʼocchio sinistro dello stesso soggetto della figura 32, operato di cataratta con estrazione intracapsulare da circa 30 anni, durante i quali ha sempre usato una lente lacrimale per afachia (figura 34).
4. Interazioni tra lenti lacrimali e superficie oculare
Figura 34. Occhio sinistro del soggetto delle figure 32 e 33.
il materiale indurranno ipossia; desidero ancora sottolineare che queste modificazioni devono essere considerate permanenti sino a quando non venga dimostrata la loro totale remissione dopo un periodo di sospensione dell’uso di lenti lacrimali. Per polimegatismo si intende l’aumento del numero di cellule con area di dimensione diversa. Si misura con il Coefficiente di Variazione (CV) il cui valore medio normale è 0.307. Con il termine polimorfismo si indica l’aumento del numero di cellule non esagonali. Si può misurare o con il Coefficiente di Forma (CF) dove l’esagono equivale a 0.907 e la circonferenza a 1; oppure semplicemente calcolando la percentuale di cellule esagonali (esagonalità) il cui valore minimo normale deve essere 60%. Polimegatismo e polimorfismo sono strettamente correlati: non si osserva polimegatismo senza polimorfismo e viceversa. Nella loro eziologia oltre al
Figura 35. Stesso endotelio della figura 33: allʼinterno delle aree colorate è facile notare come le quattro cellule endoteliali delimitate abbiano assunto una forma triangolare con gli apici diretti tutti verso lo stesso punto centrale che è stato lasciato scoperto dalla morte di una cellula endoteliale.
fisiologico processo di invecchiamento con la riduzione della densità cellulare ed alle stesse cause che producono le bolle, dobbiamo ricordare anche il diabete di I tipo (figure 32, 33, 34). Nell’occhio che ha usato lenti lacrimali è evidente la profonda trasformazione subita dall’endotelio nel corso degli anni e la notevole riduzione della densità cellulare endoteliale, in parte dovuta anche alla tecnica chirurgica di estrazione della cataratta in OS. Un ulteriore elemento che, a mio giudizio, possiamo utilizzare per sostenere la riduzione della densità cellulare endoteliale da lenti lacrimali è proprio la comparsa del polimegatismo e del polimorfismo. Perché la cellule endoteliali dovrebbero aumentare di dimensione e cambiare forma se non per ricoprire gli spazi lasciati vuoti dalle cellule morte? È lo stesso fenomeno che osserviamo con l’invecchiamento: la densità cellulare endoteliale si riduce e compaiono polimegatismo e polimorfismo. Le lenti lacrimali fanno la stessa cosa, solo più velocemente. Queste considerazioni trovano conferma nell’osservazione più attenta del mosaico endoteliale (figure 35 e 36). L’endotelio del portatore di lenti lacrimali rischia, quindi, di divenire funzionalmente meno efficiente (si riduce la sua capacità di riportare lo spessore corneale a valori normali), la struttura endoteliale non essendo più costituita da un mosaico esagonale diviene meno stabile, meno resistente allo stress e, quindi, aumentano in questi soggetti le probabilità di uno scompenso endoteliale da manovre chirurgiche e la comparsa di intolleranza alle lenti a contatto da esaurimento corneale. Per impedire che le lenti lacrimali producano alterazioni dell’endotelio corneale è indispensabile impedi-
Figura 36. In questa immagine i segni colorati circoscrivono due immagini “floreali” dove la corolla è una cellula endoteliale che sta morendo ed i petali sono le cellule endoteliali circostanti che si stanno preparando a sostituirla.
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Figura 37. Vasodilatazione a palizzata con una poco evidente iperemia limbare in un portatore di lenti idrofile giornaliere; la rimozione della lente rende più evidente lʼiperemia limbare in quanto interrompe la compressione sui vasi congiuntivali esercitata dalla lente.
re l’insorgenza di ipossia educando il nostro paziente ad un uso corretto delle lenti ed utilizzando lenti lacrimali ad altissima permeabilità ai gas. Inoltre, in considerazione della dimostrata tossicità in vitro del cloruro di benzalconio sulle cellule endoteliali, indicheremo sistemi di manutenzione privi di questo conservante. Infine, la manifestazione clinica che più di tutte esprime il tentativo della cornea di procurarsi l’ossigeno necessario alla sua sopravvivenza è rappresentato dalla neovascolarizzazione. La vera e propria neovascolarizzazione corneale nei portatori di lenti lacrimali non è un fenomeno frequente, molto più frequenti invece sono i segni che la precedono come l’iperemia limbare e la vasodilatazione a palizzata (figura 37).
La sindrome da aumentata evaporazione lacrimale Come abbiamo visto, dopo l’impianto di LeLa la superficie oculare va incontro ad un progressivo adattamento alla presenza delle lenti riducendo la sensibilità corneale. Alla riduzione della sensibilità • riduzione della sensibilità corneale • progressiva riduzione della produzione di fluido lacrimale isotonico • riduzione del volume lacrimale • iperosmolarità – perdita di cellule mucipare – metaplasia epiteliale – infiammazione della superficie oculare Tabella 1. Sindrome da aumentata evaporazione lacrimale.
corneale corrisponde una riduzione della produzione di fluido lacrimale isotonico che in un contesto di elevata evaporazione lacrimale come quello che si crea per la sola presenza della lente produce una netta riduzione di volume del tessuto lacrimale che diviene più sottile, più denso, più viscoso ed iperosmolare (tabella 1). Se l’iperosmolarità del tessuto lacrimale non viene corretta, la superficie oculare va incontro a tutta una serie di modificazioni tipiche dell’occhio secco: • perdita di cellule caliciformi, il cui numero quindi si riduce e con esso la produzione di mucina[25]; • metaplasia degli epiteli tipica dell’occhio secco, localizzata prevalentemente nell’area della superficie oculare corrispondente alla rima palpebrale a conferma del ruolo rilevante dell’evaporazione acquosa nella patogenesi di queste alterazioni[25]; • stato infiammatorio della superficie oculare con comparsa nella cellule epiteliali della congiuntiva bulbare di mediatori dell’infiammazione (CD54, ICAM1, HLA-DR, leucociti)[26]. Se il tessuto lacrimale è tanto sottile da far scendere la distanza tra lente e superficie oculare a valori di 0.4-0.3 nanometri, si assiste ad una inversione delle forze di attrazione intermolecolare (forze di van der Waals) che, sostenuta dalla attrazione dipolo-dipolo tra le molecole d’acqua presenti nel tessuto lacrimale, determina l’adesione delle lenti alla superficie oculare. L’adesione delle lenti blocca il ricambio del film postlente, attiva la cascata del complemento e favorisce l’adesione dei microrganismi alla cornea. Questa manifestazione clinica può comparire sia negli utilizzatori di lenti morbide che negli utilizzatori di lenti a struttura rigida. Nei portatori di lenti morbide i segni clinici specifici sono poco evidenti e spesso riferiti dal paziente come difficoltà di rimuovere la lente. Nei portatori di lenti rigide possono comparire diverse forme di colorabilità epiteliale non spiegabili con le caratteristiche dell’applicazione, ma i segni più tipici sono l’accumulo di detriti cellulari dietro la lente (figura 38) e lo stampo da decubito, colorabile, a volte localizzato al di fuori dell’area coperta dalla lente (figura 39). Come è stato già detto la chiusura anche non prolungata degli occhi determina un notevole assottigliamento del film lacrimale postlente e ciò potrebbe spiegare la maggiore predisposizione a questo fenomeno dei portatori di lenti ad uso continuo e dei soggetti con occhio secco. La comparsa della sindrome da aumentata evaporazione lacrimale nei portatori di lenti a contatto deve essere considerata inevitabile e quindi deve essere
4. Interazioni tra lenti lacrimali e superficie oculare
la superficie oculare priva di conservanti. Nei portatori di lenti rigide è possibile ridurre il rischio di adesione della lente riducendo il diametro e utilizzando un’applicazione piatta.
La sindrome della lente stretta
sempre prevenuta sia per impedire i danni dell’iperosmolarità cronica sia per evitare l’adesione della lente alla superficie oculare. Il trattamento della sindrome da aumentata evaporazione ha come obiettivi principali la ricostituzione del volume lacrimale, la riduzione della sua osmolarità e l’idratazione della lente morbida. Per ottenere questi risultati bisogna evitare gli integratori lacrimali a base di sostanze mucomimetiche, ma utilizzare integratori lacrimali diluenti a base di semplice soluzione salina isotonica (0,9% di cloruro di sodio). Questi integratori lacrimali consentono anche un vero e proprio lavaggio della superficie oculare allontanando inquinanti organici ed inorganici. La frequenza della loro somministrazione non deve essere inferiore a 4 volte al giorno e deve essere aumentata in relazione alle caratteristiche dell’ambiente in cui vengono utilizzate le lenti lacrimali. È sempre raccomandabile la idratazione delle lenti morbide immediatamente prima della loro rimozione. Data la necessità di una somministrazione così frequente è assolutamente indispensabile che la soluzione idratante raggiunga
Tutti i materiali per la realizzazione di lenti lacrimali nascono allo stato secco in forma di catena polimerica. Quelli a polimero idrofilo vengono idratati cioè legano una grande quantità di molecole d’acqua con legami idrogeno (che sono legami chimici forti), questa acqua viene denominata appunto “acqua legata”; il processo d’idratazione si completa con l’assorbimento per imbibizione di altre molecole di acqua che andranno ad occupare gli spazi tra le maglie della catena polimerica senza contrarre legami chimici, questa viene denominata “acqua libera” (figura 40). A differenza dell’acqua legata, l’acqua libera conserva tutte le caratteristiche dell’acqua comune: aumenta di volume vicino al punto di congelamento, è un buon solvente per le sostanze idrosolubili e, soprattutto, evapora facilmente. Se la lente idrofila non dispone di un adeguato rifornimento d’acqua si disidrata, in pratica perde l’acqua libera, perciò gli spazi tra le maglie del reticolo polimerico si svuotano e la rete polimerica collassa (figura 41). Abbiamo già visto che la presenza delle lenti lacrimali determina inevitabilmente un quadro di occhio secco da evaporazione e che la superficie anteriore delle lenti lacrimali è ricoperta da un film lacrimale che tende ad evaporare molto rapidamente. Queste due condizioni determinano l’evaporazione di acqua dagli strati superficiali della lente; ma nel momento in cui la superficie della lente si disidrata, si assiste ad un movimento di acqua dagli strati più profondi della lente verso la superficie fino anche alla perva-
Figura 39. Stampo da decubito in portatore di lenti rigide gaspermeabili.
Figura 40. Struttura di un polimero idrofilo con acqua legata (rosso) ed acqua libera (azzurro).
Figura 38. Detriti cellulari in portatore di lente rigida per cheratocono con fibrosi sottoepiteliale e notevoli fenomeni di adesione.
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Figura 41. Struttura di un polimero idrofilo disidratato.
porazione della quota acquosa del film postlente. Le lenti ad alta idratazione ed a maggior spessore perdono una maggiore quantità di acqua, mentre le lenti più sottili si disidratano più velocemente. Se la quantità d’acqua che evapora dalla superficie della lente è maggiore di quella che dall’interno raggiunge la superficie, il contenuto d’acqua all’interno della lente non è più uniforme e la lente si deforma. Una lente così asciutta e distorta viene facilmente espulsa dall’occhio. Questo fenomeno accade più facilmente con le lenti ultrasottili come le lenti terapeutiche in pazienti con occhio secco o quelle ad uso prolungato in pazienti che dormono con gli occhi non completamente chiusi.
La disidratazione delle lenti idrofile ed il conseguente aumento della pressione osmotica non si possono impedire e, se per un verso questo quadro si può sfruttare in terapia come agente iperosmolare per disidratare la cornea – come ad esempio nell’edema epiteliale da scompenso endoteliale – esso è responsabile della sindrome della lente stretta (figura 42) (tabella 2). A causa del collasso del polimero la lente diviene più sottile. Aumenta l’indice di rifrazione con conseguente spostamento positivo del potere della lente (le lenti positive divengono più positive, le lenti negative meno negative) per cui di fronte ad un paziente che dopo la fase di adattamento modifica inspiegabilmente lo stato rifrattivo con le lenti lacrimali applicate, bisogna sempre pensare ad una sindrome da lente stretta. La lente va incontro ad un riassetto dimensionale divenendo complessivamente più piccola con conseguente riduzione del suo raggio di curvatura e della sua mobilità, così che il già modesto ricambio di flusso lacrimale postlente si riduce ulteriormente. Si riduce drasticamente la permeabilità ai gas del polimero sia a causa della ridotta disponibilità di acqua libera, che media gli scambi gassosi, sia per la riduzione dello spazio nelle maglie del polimero. Come per la sindrome da aumentata evaporazione lacrimale di cui la sindrome della lente stretta è una conseguenza, la prevenzione si esercita con la somministrazione regolare di soluzione isotonica non conservata.
Depositi
Figura 42. Lente disidratata e iperemia congiuntivale in un soggetto con sindrome della lente stretta.
• diminuzione dello spessore della lente • aumento dellʼindice di rifrazione • riduzione del raggio di curvatura • riduzione della mobilità • riduzione del turnover del film postlente • riduzione della permeabilità ai gas Tabella 2. Sindrome della lente stretta.
Un ultimo aspetto che attiene ai rapporti che si instaurano tra lenti lacrimali e superficie oculare è rappresentato dalla formazione dei depositi sulle lenti. I depositi sulle lenti morbide sono i maggiori responsabili dei problemi clinici legati all’uso di queste lenti. La tabella 3 esemplifica la cascata degli eventi che porta alla formazione di depositi sulle lenti lacrimali. Fondamentalmente i depositi possono essere di natura organica (proteici e lipidici) ed inorganica (calcio, ferro). I depositi a loro volta rappresentano la via per la contaminazione delle lenti da parte dei microrganismi (batteri, virus, funghi). Qualsiasi materiale e, quindi anche le lenti lacrimali, venga a contatto con fluidi a contenuto proteico, come il tessuto lacrimale, viene rivestito da uno strato proteico. Dopo l’applicazione le lenti lacrimali vengono rapi-
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4. Interazioni tra lenti lacrimali e superficie oculare
proteine lacrimali
disidratazione delle lenti
film condizionante sulle lenti
essiccamento del film proteico
biofilm sulle lenti
denaturazione delle proteine DEPOSITI
PORTATORE
LENTI
caratteristiche dellʼammiccamento
caratteristiche fisico-chimiche e geometriche
caratteristiche del tessuto lacrimale
caratteristiche della manutenzione
ambiente di vita e di lavoro
tempo di utilizzo frequenza di sostituzione
damente (poche ore) rivestite da un sottile (circa 1 micron) strato mucoproteico che viene denominato film condizionante in quanto, permettendo la bagnabilità della superficie della lente, è essenziale per garantire l’integrazione della lente con la superficie oculare. Questo film è destinato entro pochi giorni (da 2 a 5) a divenire molto più spesso, formando un vero e proprio rivestimento sulla lente, che viene denominato biofilm. Il biofilm deve essere considerato una vera e propria matrice formata dalle proteine lacrimali, da sostanze provenienti dall’ambiente esterno tra cui i microrganismi e dalla sostanza polimerica extracellulare prodotta dai microrganismi stessi. Per queste sue caratteristiche non è ben accetto per un utilizzo sicuro delle lenti a contatto e, quindi, bisogna tentare di impedirne la formazione adottando adeguati sistemi di manutenzione associati ad integratori lacrimali proteolitici o modificando la frequenza di ricambio delle lenti o il tipo di lenti. Se le lenti si disidratano, per ridotto volume lacrimale o per notevole rallentamento della frequenza dell’ammiccamento, richiamano acqua dal tessuto lacrimale che diviene ipertonico per l’aumento della sua componente corpuscolata e, quindi, in grado di sedimentare sulla superficie delle lenti una maggiore quantità di proteine. Inoltre la disidratazione delle lenti espone il film condizionante all’ambiente esterno che ne determina l’ossidazione e la denaturazione. Le proteine denaturate si ancorano alla matrice polimerica della lente e vengono facilmente contaminate dai lipidi del tessuto lacrimale che rendono la superficie della lente non più bagnabile ed un ottimo sito di attacco per i depositi. I depositi possono formarsi sia sulla superficie della lente per un processo di adsorbimento, sia nella
Tabella 3. Formazione di depositi sulle lenti lacrimali.
matrice polimerica per un processo di assorbimento. I depositi superficiali sono più facili da rimuovere con le normali manovre di manutenzione (enzimi, detersione meccanica). Gli aspetti che possono condizionare la formazione dei depositi attengono sia alle caratteristiche delle lenti che alle peculiarità del portatore. Tra le caratteristiche fisico-chimiche della lente deve essere sempre ricordato che le lenti lacrimali tendono a formare tanti più depositi quanto maggiore è il loro contenuto di acqua e quanto maggiore è la loro carica ionica. Pertanto ai fini della formazione dei depositi sarebbe sempre preferibile scegliere lenti non ioniche a bassa idrofilia. Nonostante questo, però, le lenti lacrimali ad alta idrofilia e ioniche risultano comunque più compatibili in quanto la migliore dinamica dei fluidi dell’alta idrofilia riduce il rischio di denaturazione delle proteine e la carica ionica del polimero permette una migliore distribuzione del tessuto lacrimale prelente che riesce addirittura a formare un buon strato lipidico. L’alternativa è rappresentata dalle lenti ad altissima permeabilità e basso contenuto di acqua come quelle in fluorosilicone-idrogel che riescono a conservare un’elevatissima permeabilità ai gas pur con una ridotta idrofilia. Ovviamente più una lente viene utilizzata (ore e giorni di uso) e più una lente è deteriorata (figura 43) maggiore sarà la possibilità che si formino depositi. Infine, notevole importanza per la formazione dei depositi è rivestita dalla manutenzione. Una significativa quota delle proteine accumulate durante il giorno viene rilasciata nelle soluzioni di manutenzione con pH neutro e con surfattante. L’assenza di surfattante ed un pH tendenzialmente acido, come ad esempio si trova nei sistemi di manutenzione a base
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Figura 43. Una lente deteriorata è il substrato ideale per la formazione di depositi.
Figura 45. Lente per afachia invasa da depositi mucoproteici.
Figura 44. Notevole biofilm proteico.
Figura 46. Depositi mucolipidici
di perossido di idrogeno, non favoriscono il rilascio delle proteine. Tra le caratteristiche attinenti al portatore, ancora una volta è opportuno richiamare l’estrema importanza del sistema ammiccamento-distribuzione lacrimale anche ai fini della formazione dei depositi. Inoltre, nella formazione dei depositi organici gioca un ruolo rilevante anche la composizione del tessuto lacrimale. Mentre la formazione dei depositi mucoproteici (figure 44 e 45) è essenzialmente correlata alle caratteristiche fisico-chimiche della lente (contenuto d’acqua e ionicità), la formazione dei depositi lipidici (figura 46) è, invece, condizionata anche dalle caratteristiche individuali del portatore (composizione lipidica, caratteristiche dell’ammiccamento, caratteristiche dell’ambiente di vita e soprattutto di lavoro, condizioni sistemiche). Tutti i tipi di deposito riducono la gaspermeabilità
del polimero, favoriscono l’ipossia con tutta la sequela di fenomeni che abbiamo visto, aumentano notevolmente il rischio di fenomeni settici, e giocano un ruolo fondamentale nella patogenesi della congiuntivite gigantopapillare. Il nostro atteggiamento nei confronti di un portatore di lenti lacrimali che tenda a formare depositi deve essere sempre molto deciso: se possibile bisogna cercare di individuare e rimuovere la causa dei depositi (soprattutto se legata ad errori di manutenzione delle lenti) ed associare l’uso di integratori lacrimali in grado di rimuovere le proteine. Se questo non è sufficiente dobbiamo suggerire una più frequente sostituzione delle lenti o l’uso di lenti in silicone-idrogel. Se, nonostante tutti questi provvedimenti, non si riesce a risolvere questo problema, è opportuno suggerire l’interruzione dell’uso delle lenti lacrimali.
NOTE
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Selezione del paziente e controllo del portatore di lenti a contatto La selezione del paziente rappresenta un fattore chiave per il successo dell’applicazione delle lenti a contatto (LAC). Le ragioni che spingono i pazienti adulti all’uso di LAC sono varie. Alcuni le richiedono per motivi funzionali (migliorare la qualità e la quantità della visione, eliminare una diplopia intrattabile), altri per esigenze estetiche, altri ancora per necessità professionali o per esigenze sportive. Nei bambini, invece, l’utilizzazione di LAC ha sempre esigenze funzionali. Non tutti i pazienti sono idonei all’uso di LAC, quindi il medico contattologo deve prima valutare se il paziente ha le caratteristiche necessarie perché l’applicazione abbia successo; il passo successivo è la scelta della LAC più idonea al singolo paziente. Infine per un successo applicativo è indispensabile conoscere vantaggi e svantaggi delle LAC rispetto agli occhiali. Vantaggi: campo visivo più ampio, correzione dell’anisometropia, assenza di effetto prismatico indesiderato con i movimenti oculari, minore necessità di convergenza con lenti positive, migliore correzione per le irregolarità della superficie corneale (cheratocono, cicatrici), minori problemi legati a condizioni climatiche esterne (pioggia, neve), esteticamente migliori, più pratiche per attività sportive, usi professionali, usi terapeutici. Svantaggi: difficoltà pratiche e tempo richiesto per l’applicazione e l’adattamento, abilità manuale del paziente, procedure igieniche e di disinfezione delle lenti, possibili limitazioni del tempo di utilizzo, scarsa disponibilità di lenti prismatiche per correzione di eventuali strabismi, maggiore richiesta di accomodazione con lenti negative, perdite o rotture delle LAC, possibili complicanze con corpi estranei, deterioramento, costi di mantenimento e spese globali maggiori.
Visita preliminare È importante valutare gli scopi, le aspettative ed i desideri del paziente che decide di far uso di LAC. Non sempre però le necessità del paziente si accordano con le sue aspettative ed i suoi desideri. Se le aspettative non vengono soddisfatte o se i risultati dell’uso delle LAC fossero differenti da quelli previsti, il paziente potrebbe rimanere deluso ed anche
rinunciare a portarle. Si andrà quindi incontro sicuramente ad un insuccesso applicativo. Bisogna stabilire se il paziente ha le caratteristiche necessarie perché l’applicazione abbia un esito favorevole. Questo dipende da vari fattori. 1) C’è un valido motivo per usare le LAC? 2) Gli obiettivi che vogliono essere raggiunti con l’uso delle LAC possono in qualche modo andare contro gli interessi del paziente? 3) Quali sono le caratteristiche dell’ambiente di lavoro del paziente? Ci sono sostanze chimiche disperse nell’aria dell’ambiente di lavoro o altre condizioni che possono controindicare l’uso di una LAC? 4) Qual è l’età del paziente? Sta diventando presbite? (nei pazienti miopi la LAC aumenta le necessità accomodative, mentre negli ipermetropi le riduce). 5) Il paziente è disposto a seguire i consigli sull’uso, sulla manutenzione e sulla sostituzione delle LAC? Nel corso della visita preliminare il medico contattologo deve illustrare al paziente: – le caratteristiche del suo difetto di refrazione – le caratteristiche essenziali delle LAC – le principali interazioni tra LAC ed occhio – i risultati raggiungibili con l’uso della LAC nel caso specifico – le possibili complicanze oculari legate all’uso delle LAC – i suggerimenti per prevenire le eventuali complicanze – le indicazioni d’uso, manutenzione e sostituzione delle lenti nel caso specifico. Tali informazioni saranno raccolte in un documento di consenso informato che verrà consegnato al paziente prima di procedere all’applicazione delle LAC. Il paziente inoltre deve essere informato sul tipo di LAC disponibili, sui tempi e sulle procedure di adattamento ed applicazione, sulle visite di controllo richieste, sull’uso e sulla manutenzione delle LAC, sull’impegno economico per la manutenzione delle LAC e sulla necessità di periodiche visite di controllo. Infine verranno consegnate al paziente le istruzioni per il corretto uso delle LAC come riportate nella tabella 1.
5. Selezione del paziente e controllo del portatore di lenti a contatto
1. Lavarsi accuratamente le mani prima di maneggiare le LAC 2. Maneggiare le LAC su superficie liscia e piana 3. Le LAC sono fragili e possono rompersi; maneggiare con cura e delicatezza le LAC. Usare guanti di latex se le unghie sono lunghe 4. Nella pulizia delle LAC, pulirle con movimento di “avanti e indietro” piuttosto che circolare: si riduce così il rischio di rompere i sottili margini delle LAC 5. Non usare mai acqua di rubinetto per la pulizia o il risciacquo delle LAC 6. Attenzione a non invertire le LAC (destra - sinistra) 7. Se la visione è annebbiata o si avverte fastidio una volta inserite le LAC controllare se: A la LAC è nellʼocchio sbagliato B è rovesciata C la LAC non è sufficientemente pulita D cʼè un corpo estraneo sotto la LAC 8. Togliere le lenti prima di nuotare o in ambienti con fumo 9. Dopo la sospensione dellʼuso delle LAC per un certo periodo, si ricomincia sempre in modo graduale Tabella 1. Istruzioni scritte per il paziente.
Esame oculistico completo Un esame oculistico completo ha inizio con l’anamnesi del paziente. Il paziente deve essere quindi sottoposto a visita oculistica completa per stabilire se è o meno adatto all’uso di LAC. I pazienti che mostrano scarsa igiene e scarso senso di responsabilità sono destinati all’insuccesso.
Anamnesi Deve essere molto dettagliata. In particolare bisogna indagare sulle condizioni oculari del paziente comprese le patologie in atto o pregresse (glaucoma, occhio secco), e sullo stato di salute generale (allergie, xerostomia, terapie sistemiche), in quanto una malattia sistemica infatti potrebbe manifestarsi anche a livello oculare o degli annessi in termini di riduzione della secrezione lacrimale o di aumentata sensibilità alle infezioni o di fenomeni allergici. Bisogna inoltre porre attenzione all’assunzione di farmaci da parte del paziente che possono agire sull’occhio o sugli annessi (cortisonici, estrogeni e contraccettivi orali, antipertensivi, antidepressivi, antistaminici). Bisogna indagare sul precedente uso di LAC per evitare errori già commessi e stabilire così i fattori predisponenti al successo dell’uso di LAC, sul tipo di lavoro e sull’ambiente in cui viene svolto, se infine il paziente esercita attività sportiva rischiose per l’uso di LAC
Visita oculistica Si esegue quindi una visita oculistica completa senza
omettere alcun procedimento. Acutezza visiva, refrazione, cheratometria, corneotopografia devono essere effettuate accuratamente. Bisogna valutare il diametro corneale, la motilità oculare, la motilità e posizione delle palpebre e l’ampiezza della rima palpebrale. L’esame biomicroscopico deve essere particolarmente accurato e riservare attenzione speciale alla cute, ai margini palpebrali ed alla superficie oculare per evidenziare ogni minima irregolarità su ogni parte esaminata. L’esame delle palpebre deve rilevare posizioni e dimensioni della rima palpebrale, eventuali irregolarità dei margini palpebrali, concrezioni, blefariti. Per la congiuntiva si ricerca la presenza di iperemia, pinguecole, congiuntiviti, tesaurismosi da cosmetici o da polveri ambientali, bozze congiuntivali da pregressi interventi filtranti. Sulla cornea è importante rilevare la presenza di neovasi limbari, colorabilità, cicatrici, assottigliamenti centrali o periferici, pterigio. Bisogna inoltre effettuare un attento esame della superficie oculare cercando qualsiasi irregolarità congiuntivale o corneale (cicatrici, opacità, infiltrati, pterigio) e dei menischi lacrimali. Si esegue inoltre la tonometria, e l’esame del fondo oculare. Per l’esame della secrezione lacrimale sono disponibili vari tests eseguibili ambulatoriamente. I principali sono i seguenti: Break-Up Time (BUT) o tempo di rottura del film lacrimale consiste nell’osservazione alla lampada della superficie del film lacrimale precorneale dopo instillazione di fluoresceina. Mantenendo le palpebre aperte, la comparsa di aree prive di fluoresceina (dry
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spots) in meno di 10 sec indicano un deficit della funzione idrofilizzante della mucina sull’epitelio corneale. Può anche essere valutato senza l’uso di un colorante (NIBUT: tempo di rottura del film lacrimale non invasivo); indica però soltanto un assottigliamento del film lacrimale. La valutazione del NIBUT può avvalersi di: – cheratometro ad un mira: viene misurato il tempo necessario perché compaia la prima distorsione in qualsiasi punto della mira. Poco affidabile perché le 3 mire interessano solo la porzione centrale della cornea; – Tearscope (figura 1): utilizza una sorgente luminosa che proviene da un anello catodico freddo: l’osservazione della luce riflessa dà il BUT senza colorante il cui valore normale è di circa 40 secondi. Il Tearscope Plus offre un sistema operativo semplice e immediato, ma soprattutto dà la possibilità di: – osservare dal vivo spessore e qualità del film lacrimale sfruttando un sistema non invasivo (non interferendo su tessuti o film lacrimale); – misurare con precisione il tempo di rottura del film lacrimale, grazie al cronometro integrato nello strumento. Inoltre, in dotazione allo strumento sono disponibili vari accessori (filtri, griglie, anelli) per effettuare analisi più specifiche sulle caratteristiche del film lacrimale e della superficie corneale. Il Tearscope Plus può essere utilizzato sulla lampada a fessura oppure manualmente. Con questo strumento è estremamente semplice valutare in un brevissimo spazio di tempo: qualità e quantità del film lacrimale, controllo fluorescinico delle lenti RGP, controllo del film lacrimale prelente, controllo dello stato delle lenti (depositi, graffi, ecc.).
La classificazione dei quadri osservati con lo strumento avverrà tramite una piccola guida allegata al Tearscope Plus. La possibilità di esaminare direttamente lo spessore del film lacrimale che si forma sulla superficie della LAC rappresenta un importante vantaggio pratico: già nella fase di giudizio applicativo è possibile valutare l’idoneità del materiale scelto per l’applicazione. Infatti, una buona bagnabilità superficiale della lente, accompagnata da una stabilità di spessore del film lacrimale sarà sicuramente un’indicazione di buona riuscita dell’applicazione ed ottima scelta del materiale. Test di Schirmer 1: valuta la secrezione basale e riflessa. Utilizza una striscia di carta bibula di materiale e misura standard (35 mm di lunghezza e 5 mm di larghezza) Si effettua piegando i 3 mm terminali ed agganciandoli alla porzione nasale o temporale del margine della palpebra inferiore. Si considera normale un valore del test di 10 mm in 5 minuti. Pazienti con secrezione < 2 mm in 5 minuti sono inadatti all’uso di LAC. Test di Schirmer 2: si stimola la mucosa nasale con vapori di ammoniaca o con un batuffolo di cotone a livello del turbinato medio e si valuta nel contempo la secrezione lacrimale. Serve a differenziare una insufficienza secretoria riflessa da irritazione congiuntivale ma non da quella provocata da altre zone. Test di Schirmer 3: valuta la secrezione basale. Simile al test 1 ma utilizza un anestetico locale. Si considera iposecrezione un valore del test < 10 mm. Esame dei menischi lacrimali: lo spessore normale dei menischi lacrimali è compreso tra 0.2-0.5 mm. Si può valutare riducendo l’altezza del fascio di luce della lampada a fessura. Un’altezza ridotta suggerisce una riduzione del volume. Un film lacrimale schiumoso indica una disfunzione della ghiandola di Meibomio. Test con fluoresceina: colora gli spazi intercellulari ed i fluidi. Evidenzia meglio i menischi lacrimali ed i danni epiteliali corneali.
Figura 1. Tearscope Plus.
Corneotopografia: il cheratometro misura solo i 3 mm centrali corneali, ma non fornisce alcuna informazione riguardo l’apice e la periferia della cornea. L’interazione cornea-LAC dà origine a numerosi punti di contatto e di accumuli di fluoresceina che devono avere una dinamica ed un’aderenza appropriata per mantenere un’ottimale appoggio della LAC senza danneggiare l’occhio. Una periferia corneale più curva o più piana inoltre altera la forma del
5. Selezione del paziente e controllo del portatore di lenti a contatto
Figura 2. Astigmatismo asimmetrico.
film lacrimale e quindi il rapporto lente-cornea; questo a sua volta influisce sul potere della lente necessaria al paziente. La corneotopografia permette la conoscenza del tipo di astigmatismo e dei valori cheratometrici della media periferia lungo il meridiano orizzontale (astigmatismo secondo regola o contro regola) e verticale (astigmatismo simmetrico o asimmetrico, figura 2), e la diagnosi precoce del cheratocono (figura 3); si può così selezionare il tipo lente idonea alle caratteristiche clinico-morfologiche della cornea del paziente. Inoltre i programmi utilizzati per l’applicazione di LAC permettono di effettuare il test della simulazione con fluoresceina in cui viene visualizzato il pattern fluorescinico della prima LAC di prova selezionata; ciò oltre ad un notevole risparmio di tempo permette di ridurre i disagi per il paziente che non viene così sottoposto a prove prolungate. Ciò si rivela particolarmente utile per i pazienti in età pediatrica in cui spesso, per ovvi motivi di scarsa collaborazione, la scelta della prima lente deve coincidere con la prima lente di prova.
Tempi richiesti per una adeguata applicazione La fase di applicazione delle LAC dovrebbe essere riservata alla visita successiva a quella iniziale. Infatti, l’uso della fluoresceina, dei midriatici impiegati per un esame oculistico completo creerebbe problemi sia per stabilire l’acutezza visiva sia per valutare la relazione esistente tra la zona ottica della LAC ed occhi con pupilla non dilatata. La conoscenza dei vantaggi e svantaggi connessi all’uso di LAC unitamente ad una attenta valutazio-
Figura 3. Cheratocono iniziale.
ne anamnestica e clinica del paziente ci permettono di stabilire caso per caso le indicazioni e le controindicazioni all’uso di LAC.
Indicazioni Un paziente intelligente, motivato, in grado di spendere tempo e denaro per una manutenzione adeguata delle sue lenti possiede le caratteristiche per essere con successo un portatore di LAC. Tali requisiti associati alla correzione di difetti refrattivi (anisometropia, miopia elevata, afachia, astigmatismo corneale irregolare), a motivazioni occupazionali (personaggi dello spettacolo, attività sportiva agonistica, forze armate), estetiche (rifiuto degli occhiali, variazione del colore degli occhi, lenti protesiche) e terapeutiche (bendaggi, disturbi della motilità oculare) rappresentano le principali indicazioni all’uso delle LAC.
Controindicazioni La controindicazione assoluta è la mancanza di motivazione del paziente. Svilupperà inoltre più facilmente complicanze per la minore attenzione all’igiene delle lenti. Ulteriori controindicazioni sono: l’utilizzazione di prismi orizzontali o verticali >3 DP per la correzione di disturbi della motilità oculare, infezioni attive o patologie pregresse, secchezza oculare, ridotta sensibilità corneale, allergie, diabete (per aumento della fragilità epiteliale, predisposizione ad infezioni), esoftalmo da ipertiroidismo che causa eccessiva disidratazione, glaucoma per pregressi interventi filtranti con bozze congiuntivali, distrofie corneali, malformazioni e patologie palpebrali (blefa-
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rite, orzaiolo, calazio, entropion, ectropion), pterigio corneale, cause ambientali (polvere, fumo, secchezza da ambienti climatizzati, vapori), altitudine (bassa pressione parziale di O2) ed infine prolungato lavoro al videoterminale con riduzione dell’ammiccamento. Controindicazione relativa è invece una ridotta secrezione lacrimale. Infatti tutti gli stati di insufficiente secrezione lacrimale producono danni di vari livelli sulla superficie oculare e l’effetto sulla superficie oculare è il punto di confine tra insufficienza lacrimale sintomatica ed asintomatica. Circa il 60% dei fenomeni di intolleranza alle LAC è dovuto a deficit lacrimale quantitativo o qualitativo. D’altra parte però le LAC per l’effetto protettivo e di rilascio di liquidi associate alla terapia sostitutiva possono essere utilizzate anche per il trattamento della dry eye syndrome.
Fattori che influenzano la scelta della lente Infine bisogna considerare i fattori che influenzano la scelta della LAC. Il primo fra tutti è il tipo di astigmatismo, infatti possiamo distinguere 5 tipi di refrazione astigmatica: a) refrazione astigmatica con cornea torica: astigmatismo corneale che rappresenta un’indicazione per LAC RGP o morbida torica; b) refrazione astigmatica con cornea sferica: astigmatismo posteriore (del cristallino): indicazione per LAC morbida con superficie anteriore torica; c) refrazione sferica con cornea torica: astigmatismo corneale compensato dall’astigmatismo lenticolare. Indicazione per LAC morbida; d) refrazione astigmatica maggiore dell’astigmatismo corneale: astigmatismo corneale + lenticolare. Indicazione per lente rigida torica anteriore; e) astigmatismo irregolare da cheratocono: LAC composita. Anche una ridotta secrezione lacrimale è da considerare per la scelta della LAC idonea, in questo caso infatti si possono usare LAC morbide con alto Dk/t di tipo diverso: a) bassa idrofilia, b) alta idrofilia con bassa disidratazione, c) biocompatibili. Tra le LAC a bassa idrofilia ricordiamo principalmente le LAC ad uso continuo (Lotrafilcon A 26%, Balafilcon A 36%). Tra quelle a medio alta idrofilia ricordiamo quelle costituite da Netrafilcon A 65%,
Tetrafilcon A 42.5%, LAC alla glicerina con idrofilia variabile dal 49% al 69%. Le LAC biocompatibili (Omafilcon A 62%) sono lenti alla fosforilcolina che non provocano reazioni biologiche da corpo estraneo. Infatti la fosforilcolina è un costituente naturale delle membrane cellulari e ne permette sia la biocompatibilità evitando il rigetto che l’idratazione trattenendo acqua all’interno ed all’esterno del materiale della lente.
Prescrizione della lente Le lenti vengono prescritte dopo prova di adattamento con sovrarefrazione sferica e/o astigmatica per la valutazione del potere delle LAC. Prima di valutare l’acuità visiva e l’adattamento è necessario attendere almeno 15 minuti sia per permettere alla LAC di sistemarsi sulla superficie oculare che per la riduzione della lacrimazione che accompagna l’inserimento della lente. Si esegue quindi la valutazione dell’acutezza visiva con sovrarefrazione sferica e/o astigmatica senza tralasciare l’esame del visus binoculare e della motilità oculare per evidenziare eventuali disturbi sensoriomotori.
Inserimento e rimozione Si procede quindi all’inserimento e rimozione della LAC. Meglio insegnare prima la rimozione che l’inserimento; infatti in caso di problemi che possono insorgere con la LAC il paziente deve essere in grado di toglierla immediatamente. Le procedure di inserzione sono uguali sia per LAC rigide che morbide. La rimozione è invece differente. Inserimento. Dopo aver pulita e lavata LAC con soluzione salina, si invita il paziente a guardare allo specchio la propria immagine, le palpebre vengono tenute aperte e la lente viene applicata sulla cornea con il pollice o l’indice della mano dominante. Per la rimozione delle LAC rigide esistono vari metodi ed ogni paziente si sceglie quello a lui più congeniale. Il più efficace sembra il seguente: due dita una di ogni mano vengono posizionate verticalmente e spingono i margini palpebrali uno contro l’altro con delicata pressione sul globo oculare. La rimozione della LAC morbida avviene pinzando i bordi della LAC con il pollice e l’indice preferibilmente dopo aver fatto scivolare la LAC temporalmente sulla sclera. Generalmente il tempo di utilizzo delle LAC sarebbe idealmente di 8-10 ore; per LAC morbide il tempo può
5. Selezione del paziente e controllo del portatore di lenti a contatto
essere esteso a tutto il giorno. Il tempo di applicazione è comunque strettamente individuale e dovrebbe essere valutato considerando il tipo ed entità del difetto refrattivo, le esigenze del paziente e le condizioni cliniche oculari o generali del paziente.
Visite di controllo per i portatori di LAC La prima visita di controllo viene programmata dopo circa 2 settimane dalla consegna delle lenti. Infatti tale periodo si ritiene sufficiente per l’adattamento alle LAC, se invece persistono sintomi e disturbi provocati dalle LAC si è ancora in tempo per cercare di risolvere eventuali problemi. Sarebbe meglio visitare il paziente nel pomeriggio dopo che ha portato le LAC almeno 6 ore. I portatori di LAC ad uso continuo dovrebbero essere esaminati al mattino per poter vedere gli effetti dell’applicazione durante il sonno per l’ipossia corneale provocata dalla chiusura della rima palpebrale. Il colloquio iniziale in tale visita riveste molta importanza, infatti bisogna chiedere se le lenti sono confortevoli, se le procedure di applicazione hanno comportato particolari problemi, quante ore al giorno riesce a portale, se si sono verificate perdite o fuoriuscite delle LAC, se la manutenzione delle LAC è stata eseguita correttamente, se sono stati rispettati i tempi previsti di applicazione, se vi sono stati fenomeni di annebbiamento visivo dopo aver tolto le LAC. Un annebbiamento che dura meno di 30 minuti in portatori di LAC in PMMA non è significativo, tale fenomeno però non dovrebbe verificarsi affatto con lenti rigide gas permeabili (RGP). Infine si deve chiedere al paziente se ha notato rossore, bruciore, abbagliamento o diplopia monoculare. Gli obiettivi di tale esame sono il controllo dell’adattamento, della visione, e della tolleranza soggettiva. L’esame dell’acuità visiva deve essere eseguito in visione monoculare e binoculare completato con retinoscopia e sovrarefrazione. Si procede quindi alla valutazione dell’adattamento con luce bianca per studiare la centratura della LAC in posizione primaria, la posizione della lente nei movimenti verticali ed orizzontali dell’occhio. L’esame biomicroscopico deve essere eseguito con LAC e senza. Alla lampada a fessura si dovrà osservare la LAC in posizione di riposo ed i movimenti provocati dall’ammiccamento, la presenza di edema corneale, le condizioni delle LAC, la presenza di eventuali detriti sotto le LAC. Il test con fluoresceina ci fornisce informazioni sui
punti di contatto tra la lente e la cornea, eventuale colorabilità corneale ad ore 3 e ore 9, diffusa colorazione corneale, il ristagno di liquido sotto la LAC. L’eversione palpebrale evidenzierà condizioni di ipertrofia papillare eventualmente insorte. Le LAC vengono quindi rimosse e viene eseguita la cheratometria ed eventualmente la corneotopografia confrontando i valori ottenuti con quelli precedenti all’applicazione. L’esame biomicroscopico ricerca l’eventuale presenza di zone di colorazione corneale, segni di edema corneale, eventuale indentazione corneale da LAC rigide o sclerale da LAC morbide, eventuale congestione dei vasi limbari o congiuntivali. Effettuati tali esami il medico contattologo è ora in grado di valutare se gli eventuali disturbi sono di natura esclusivamente adattiva o invece richiedono variazioni delle LAC prescritte precedentemente. I cambiamenti necessari possono essere di varia natura: variazioni del potere delle LAC, cambiamenti del tipo di LAC (sostituire una LAC RGP con una a più alto Dk; una LAC morbida con una a più alto contenuto acquoso), trovare soluzioni differenti come ad esempio sostituire una LAC RGP con una morbida o viceversa, oppure una sferica con una torica, variare i tempi di utilizzo cercando di andare incontro alle esigenze del paziente, cambiare infine le soluzioni di lavaggio per eventuale insorgenza di allergie. Se non vi sono problemi o se i problemi sono stati risolti i controlli successivi saranno effettuati a 6, 12 e 18 mesi dall’applicazione delle LAC. Vediamo infine i problemi che possono insorgere in pazienti ben adattati alle LAC rigide in PMMA o RGP. I sintomi più frequentemente osservati è il fenomeno dei cosiddetti “occhiali sporchi” cioè visione annebbiata dopo che le lenti sono state rimosse e sono stati indossati gli occhiali, iperemia, fastidio, visione limitata o abrasioni. L’edema epiteliale corneale è in genere la causa degli “occhiali sporchi” e si evidenzia dopo circa 2-6 ore di uso delle LAC. Inoltre per diffrazione causata dall’epitelio edematoso si possono verificare ridotta tolleranza all’abbagliamento e difficoltà nella visione notturna. Annebbiamenti visivi possono essere dovuti ad una ridotta bagnabilità della LAC provocata da una difettosa superficie della lente provocata ad esempio da graffi che permettono ai residui epiteliali di rimanere sulla superficie della LAC allargandone i punti idrofobici. Più spesso è causata da da cambiamenti della qualità o quantità delle lacrime. Un problema particolare è rappresentato dal graduale sviluppo di un’intolleranza a LAC rigide o RGP portate senza problemi per vari anni. Tale evoluzione indica spes-
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so un’intolleranza corneale che può insorgere dopo vari anni di buona tolleranza. In molti casi, invece, la LAC è dislocata in alto, sembrerebbe infatti che la tolleranza sia maggiore se la lente è mantenuta entro i confini della cornea, e che la congiuntiva perilimbare superiore e palpebrale divengano più sensibili all’irritazione meccanica provocata dal bordo della lente. La comparsa di abrasioni richiede un’attenta anamnesi: se si sono manifestate dall’inizio dell’uso della lente, l’adattamento è sempre stato scarso o la lente è difettosa. Se la comparsa è recente può essere legata ad uso troppo prolungato. Infine nel caso di problemi visivi un’altra eventualità spesso poco considerata è l’astigmatismo indotto da LAC rigide di lunga durata; meno comune con LAC RGP. Il primo segno è rappresentato da cambiamenti nella prescrizione delle lenti confermato dai rilievi cheratometrici e corneotopografici. Ovviamente al minimo sospetto di tale situazione bisogna sospendere l’uso delle lenti e prescrivere LAC di tipo diverso. Nel caso di LAC morbide la prima visita viene fissata ad alcune settimane dall’inizio dell’uso della lente e dopo alcune ore di porto della LAC. Alle visite di controllo bisogna indagare sulla eventuale presenza di tralci mucosi o di aumento della vascolarizzazione perilimbare. Alla lampada a fessura è molto importante l’esame del riflesso della LAC inserita nell’occhio. Un irregolarità di tale riflesso indica che la lente ha aderito troppo alla cornea o era stretta fin dall’inizio. L’esame può essere eseguito anche al cheratometro, infatti la comparsa di distorsione delle mire è uno dei primi segni di edema corneale. All’esame della congiuntiva palpebrale è importante la ricerca di eventuale ipertrofia papillare. Problemi di visione possono essere causati da un’errata centratura delle lenti, da una lente stretta, o da astigmatismo residuo o indotto dalla LAC. Infine una visione inferiore a quella prevista potrebbe essere causata da erosioni epiteliali fini meglio evidenziate dopo la rimozione della lente e la colorazione con fluoresceina. Se l’uso delle LAC non è confortevole le possibili cause sono da ricercare in un adattamento
non corretto o in una intolleranza ai liquidi di manutenzione. I problemi provocati dalle soluzioni insorgono in genere entro poche ore, e variano da sensazione di bruciore o secchezza oculare fino a dolore con iperemia pericheratica. In questi casi si osserva una colorazione punteggiata con fluoresceina in corrispondenza della congiuntiva perilimbare che nei casi più gravi può arrivare ad una diffusa colorazione corneale. Occasionalmente una intolleranza ai liquidi può dare edema epiteliale. Il riscontro di ipertrofia papillare gigante ci può far prendere in considerazione principalmente 2 possibilità: 1) cambiare la lente con una dai bordi più sottili o con lenti biocompatibili; 2)verificare la pulizia della lente; si può infatti avere un netto miglioramento rimuovendo i depositi dalla lente usando, ad esempio, i pulitori enzimatici, o sospendendo l’uso del Thimerosal o utilizzando le soluzioni sterilizzanti a freddo. Utile può essere il cambio delle soluzioni con eventuale impiego del perossido di idrogeno. Se queste misure falliscono è necessario prima sospendere l’uso delle LAC e successivamente cambiarle con nuovi tipi di lenti; in alternativa si può ridurre il tempo di utilizzazione delle LAC. Infine durante le visite di controllo va ricercata in particolare la presenza di dilatazione dei vasi limbari o la crescita di neovasi a partenza limbare. In presenza di neovasi limbari il paziente va esaminato ad intervalli più brevi. È utile raccomandare al paziente un ridotto tempo di uso delle LAC, in quanto i neovasi dipendono da ipossia cronica corneale, e rimuovere le lenti al minimo segno di irritazione oculare che ne stimola la crescita. Se tutto va bene la visita di controllo successiva può essere programmata a 6 mesi e quindi annualmente. Ricordiamo infine le principali caratteristiche del paziente per un buon successo applicativo:
Intelligenza
Motivazione
Disponibilità di tempo e denaro per la manutenzione delle sue lenti a contatto
Sottoporsi a periodiche visite di controllo.