Fabiano Gruppo Editoriale
Copyright 2017 FGE srl – Fabiano Gruppo Editoriale
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Grafica e stampa: FGE srl
ISBN 978-88-97929-70-3
FGE srl – Fabiano Gruppo Editoriale Reg. Rivelle 7/F – 14050 Moasca (AT) – Tel. 0141 1706694 – Fax 0141 856013 info@fgeditore.it – www.fgeditore.it
Coordinatore Luigi Mele
Autori Luigi Mele Medico Chirurgo Oculista Andrea Piantanida Medico Chirurgo Oculista Mario Bifani Medico Chirurgo Oculista
Contributors Costantino Bianchi Medico Chirurgo Oculista
Antonio Mocellin Medico Chirurgo Oculista
Gianni Boccacini Fisico IRSOO
Italo Muzza Ortottista
Decio Capobianco Medico Chirurgo Oculista
Roberta Nobili Ortottista
Mario Casini Medico Chirurgo Oculista
Paolo Perri Medico Chirurgo Oculista
Ciro Costagliola Medico Chirurgo Oculista
Matteo Piovella Medico Chirurgo Oculista
Carla Gallenga Medico Chirurgo Oculista
Manuela Spera Ortottista
Pier Enrico Gallenga Medico Chirurgo Oculista
Pasquale Troiano Medico Chirurgo Oculista
Gioacchino Gesmundo Ottico
Salvatore Troise Medico Chirurgo Oculista
Barbara Kusa Medico Chirurgo Oculista
Marica Vampo Fisico IRSOO
Michele Lanza Medico Chirurgo Oculista
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Introduzione Affrontare la refrazione in tempi di computer potrebbe sembrare anacronistico e forse anche un po’ inutile. In realtà la pratica clinica quotidiana specie in oftalmologia pediatrica ci obbliga ad avere dimestichezza con tecniche che esulano dall’utilizzo di macchinari sofisticati. Ancora oggi utilizzare tecniche manuali per diagnosticare i difetti visivi nell’adulto ed ancor di più nei bambini risulta un passaggio non solo necessario ma anche inevitabile al fine di poter prescrivere una correzione “giusta”. È infatti sull’analisi accurata e precisa della refrazione che si basa la gestione sia dell’ambliopia sia dello strabismo sia di tutte le patologie oculari. Si potrebbe dire che proprio la refrazione è la “pietra angolare” della terapia oculistica: bisogna considerare infatti che risulta molto difficile se non impossibile richiedere al bambino e talvolta anche all’adulto, quella collaborazione che permette l’utilizzo di computer o quant’altro con sufficiente precisione ed accuratezza. Per questi motivi spinti dalla esigenza di fornire un supporto a tutti i medici oculisti ed a tutti gli ortottisti nasce questo testo con una parte elettivamente dedicata alla refrazione nel bambino. Molte delle regole descritte potranno essere agevolmente utilizzate coi pazienti, adulti o bambini che siano, consentendo ai colleghi di intervenire in maniera semplice “sul campo” laddove non esistano strumentazioni adeguate. Pur consapevoli della presenza di opere dedicate alla refrazione che hanno rappresentato e rappresentano ancora oggi il punto di riferimento per “imparare a dare gli occhiali”, abbiamo ritenuto opportuno cercare di semplificare gli argomenti dando un taglio pratico alla loro descrizione, riservando al lettore la facoltà di approfondirli leggendo le opere già pubblicate in passato. Si spera che l’utilizzo di questo manuale possa contribuire ad agevolare la pratica quotidiana di chi si troverà ad affrontare i problemi refrattivi da cui dipendono il trattamento delle più comuni patologie oculari. Un sentito ringraziamento ai contributors che con professionalità hanno collaborato alla stesura di alcuni capitoli di quest’opera, trasfondendo in essi il loro sapere e la loro esperienza. Un encomio particolare va anche al Dott. Costantino Bianchi ed alla giovane ortottista Dr.ssa Gulia Gerosa per il paziente e preciso lavoro di revisione. Luigi Mele Andrea Piantanida Mario Bifani
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Indice PARTE PRIMA CAPITOLO 1 – Le radiazioni elettromagnetiche (L. Mele, C. Caruso) Le caratteristiche fisiche La polarizzazione Lo spettro delle radiazioni elettromagnetiche La radiazione del visibile La spettrofotometria
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CAPITOLO 2 – Ottica geometrica (M. Bifani, G. Boccacini, M. Vampo) Riflessione Rifrazione Radiazione policromatica Numero di Abbe Prisma Diottro sferico Lente sottile Lenti astigmatiche Lenti prismatiche Convenzione degli ottici
pag. 9
CAPITOLO 3 – Acuità visiva (L. Mele, P. Troiano) Introduzione Definizione di acuità visiva Unità di misura dell’acuità visiva Notazione decimale Scala di Monoyer Frazione di Snellen Scala LogMAR Cicli per grado (c/g) Strumenti per la valutazione dell’acuità visiva Calcolo del valore di AV Fattori che influenzano l’acuità visiva Curiosità
pag. 67
CAPITOLO 4 – Occhio schematico (M. Bifani, M. Lanza) Introduzione L’occhio “esatto” di Gullstrand Poteri diottrici della cornea Poteri diottrici del cristallino Potere totale dell’occhio Definizione di emmetropia e ametropia (miopia e ipermetropia) Occhio emmetrope Occhio ametrope Disco di diffusione: definizione e calcolo del suo diametro
pag. 81
CAPITOLO 5 – Ametropie sferiche ed astigmatismo (L. Mele, C. Gallenga, P. Perri) Introduzione La miopia: introduzione e definizione Genetica della miopia Classificazione della miopia Sintomi e segni della miopia Ipermetropia e sue classificazioni Sintomi e segni dell’ipermetropia Astigmatismo: introduzione e definizione
pag. 89
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L’astigmatismo oculare Classificazione dell’astigmatismo Sintomi dell’astigmatismo Cheratocono e microambiente CAPITOLO 6 – Accomodazione e convergenza (L. Mele, P.E. Gallenga) Introduzione Filogenesi dell’accomodazione Punto prossimo Punto remoto Variazioni fisiologiche nel processo dell’accomodazione Accomodazione da sfuocamento Profondità di fuoco e di campo Accomodazione prossimale Accomodazione da vergenze orizzontali Accomodazione aggregata Stato di riposo dell’accomodazione Misura del potere accomodativo Convergenza Unità di misura della convergenza Componenti della convergenza
pag. 105
CAPITOLO 7 – Cassetta lenti di prova e forottero (M. Bifani, D. Capobianco) Descrizione cassetta di lenti Il posizionamento del portalenti La centratura delle lenti di prova Forottero Lenti accessorie del forottero Vantaggi nell’uso del forottero Svantaggi nell’uso del forottero Oftalmometria
pag. 121
CAPITOLO 8 – Test preliminari ed esame refrattivo oggettivo (M. Bifani, B. Kusa) Anamnesi Valutazione dell’acuità visiva Foro stenopeico Punto prossimo di accomodazione Occhio dominante Test del filtro rosso (dominanza sensoriale) Test del foro (dominanza motoria) La schiascopia o retinoscopia Esecuzione dell’esame Schiascopia statica: i movimenti Ricerca della lente corretrice Schema riassuntivo Ametropia astigmatica Fonti d’errore nella schiascopia Autorefrattometro
pag. 133
pag. 147 CAPITOLO 9 – Refrazione monoculare (M. Bifani, S. Troise) Compensazione della miopia Compensazione dell’ipermetropia Metodiche di misura dell’ipermetropia Compensazione dell’astigmatismo con il quadrante per astigmatici Procedura d’esame con il quadrante per astigmatici Esempio pratico Compensazione dell’astigmatismo con il cilindro crociato di Jackson Utilizzo del cilindro crociato per l’evidenziazione del potere e dell’asse del cilindro correttore
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CAPITOLO 10 – Bilanciamenti monoculari e binoculari (L. Mele, A. Mocellin) Rifinitura della sfera Test bicromatico o Duochrome Test del reticolo a croce Utilizzo di lenti di ± 0,25 dt Test di bilanciamento binoculare Filtri ed ottotipi polarizzati Prismi dissocianti
pag. 157
CAPITOLO 11 – Presbiopia (L. Mele, M. Piovella) Variazioni del cristallino e dell’accomodazione con l’avvento della presbiopia La presbiopia Classificazione della presbiopia Eziologia della presbiopia Fattori che influenzano l’insorgenza della presbiopia Sintomatologia soggettiva Determinazione dell’addizione Determinazione dell’addizione secondo Bennon Determinazione dell’addizione secondo Bennet Tabelle Determinazione dell’addizione secondo il metodo del minimo e massimo positivo Verifica dell’addizione Controllo dell’intervallo di visione nitida Verifica dell’addizione con reticolo a croce e cilindro crociato Verifica dell’addizione con il test bicromatico
pag. 171
CAPITOLO 12 – Anisometropia e refrazione binoculare (L. Mele, C. Costagliola) Introduzione Visione del soggetto anisometrope Influenza dell’anisometropia sullo sviluppo del sistema visivo Tecnica di esame Test delle 4 luci di Worth Lang stereotest 1 e 2 Titmus fly stereotest Schiascopia Esame refrattivo soggettivo Refrazione binoculare Vantaggi dell’esame in visione binoculare Metodo vettografico Setto separatore di Turville Sospensione foveale (annebbiamento monoculare) HIC Test
pag. 183
CAPITOLO 13 – Deviazioni oculari latenti: le forie (L. Mele, C. Bianchi) Il sistema motorio e le sue anomalie Gli squilibri del sistema motorio: forie e tropie Classificazione degli squilibri muscolari latenti Esame dello stato eteroforico Tecniche soggettive per l’evidenziazione delle forie Test di Schober Test di Hering Tecnica con cilindro di Maddox Metodo di Von Graefe Tecniche oggettive per l’evidenziazione delle forie: cover test Cover/Uncover Test Cover Test Alternato Confronto tra Cover/Uncover Test e Cover Test Alternato
pag. 197
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Misura dell’entità delle forie Importanza della valutazione delle forie
PARTE SECONDA CAPITOLO 14 – Acutezza visiva in età pediatrica (A. Piantanida) Introduzione Definizione e caratteristiche Metodi oggettivi di misurazione dell’acutezza visiva Le scale di misura: ottotipo decimale ed ottotipo logaritmico Soglie ed indovinamento Metodi di utilizzo degli ottotipi a progressione logaritmica Le analisi statistiche della misura dell’ acutezza visiva
pag. 209
CAPITOLO 15 – La refrazione in età pediatrica (A. Piantanida) Validità Validità di criterio Validità predittiva Validità concorrente Accomodoazione Accomodazione binoculare Ampiezza accomodativa Cicloplegia Effetti collaterali dei cicloplegici
pag. 225
CAPITOLO 16 – Il Riflesso rosso del fundus e la refrazione in età pediatrica (A. Piantanida, R. Nobili) Quadri clinici del riflesso rosso
pag. 233
CAPITOLO 17 – La schiascopia in età pediatrica (A. Piantanida) La schiascopia a striscia La schiascopia sferica Cause di errore nella schiascopia La schiascopia cilindrica
pag. 237
CAPITOLO 18 – La motilità oculare e la refrazione (A. Piantanida, M. Spera) Anatomia della motilità oculare Duzioni versioni e vergenze Disallineamento oculare: strabismo Il Prisma Influenza delle lenti oftalmiche sulla motilità oculare Strabismo e vizi refrattivi
pag. 247
PARTE TERZA CAPITOLO 19 – La montatura nell’adulto (L. Mele, M. Casini) Definizioni Parti fondamentali della montatura Sistemi di misura Sistemi di riferimento Angolo pantoscopico Angolo di avvolgimento Montature in materiali di sintesi Materiali di Sintesi Metodi di costruzione di una montatura in materiali di sintesi Montature in metallo Classificazioni
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X
Parti fondamentali della montatura in metallo Metodi di costruzione di una montatura in titanio La montatura per lenti progressive CAPITOLO 20 – Le lenti oftalmiche (L. Mele, G. Gesmundo) Costruzione delle lenti oftalmiche Materiali organici Vetro minerale I materiali costitutivi delle lenti oftalmiche La refrazione La dispersione La trasparenza Vetro minerale Vetri organici Cr 39 Materiali ad alto indice di refrazione Geometria delle lenti oftalmiche Lenti sferiche Lenti asferiche Lenti toriche Ottica delle lenti oftalmiche Lenti monofocali Lenti bifocali Lenti da interno o indoor Lenti progressive Lenti oftalmiche personalizzate: la tecnologia free form I filtri delle lenti oftalmiche Lenti da sole Lenti fotocromatiche Lenti a filtro selettivo Lenti polarizzanti Lenti a filtro blu I trattamenti delle lenti Il trattamento antiriflesso Il trattamento indurente Il trattamento idrorepellente La tempera
pag. 291
pag. 317 CAPITOLO 21 – L’occhiale in età pediatrica (A. Piantanida) Caratteristiche generali di una montatura Le montature pediatriche: conformazione, materiali e caratteristiche morfologiche Le montature in gomma o polimeri biocompatibili Montature per lo sport Lenti: potere, distanza, ingrandimento ed effetti derivanti dal loro utilizzo proprio e improprio Occhiali con lenti bifocali nei bambini: tipologie e indicazioni per l’impiego Occhiali con lenti da sole e fotocromatiche nel bambino Conclusioni
CAPITOLO 22 – La prescrizione delle lenti a contatto in età pediatrica (A. Piantanida, I. Muzza) Quando le lenti a contatto nei bambini Multifocali a visione simultanea Multifocali a traslazione I materiali delle lenti a contatto L’occhio ed i parametri pediatrici
pag. 329
CAPITOLO 23 – La compilazione della ricetta (M. Bifani)
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PARTE PRIMA
1. Le radiazioni elettromagnetiche
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Capitolo 1 – Le radiazioni elettromagnetiche L. Mele, C. Caruso Caratteristiche fisiche Alcuni fenomeni fisici possono essere spiegati assumendo che l’energia luminosa sia costituita da onde, mentre altri fenomeni vengono spiegati accettando che, la stessa, sia costituita da particelle discrete (fotoni), ciascuna dotata di una energia E legata alla frequenza della radiazione dalla relazione di Einstein del 1905. Oggi con il termine radiazione s’intende ogni forma di energia che si propaga mediante onde e particelle in moto. La materia è formata da atomi costituiti da un nucleo, dotato di carica elettrica positiva, e da elettroni dotati di carica elettrica negativa. Un elettrone immobile genera, a causa della sua carica, una forza elettrica nello spazio circostante, il campo elettrico. Questo campo elettrico, generato dall’elettrone, viene perturbato dal cambiamento di distanza, dall’elettrone stesso, durante la sua oscillazione attorno al nucleo. La variazione del campo elettrico genera un campo magnetico. La radiazione elettromagnetica, quindi, è un fenomeno ondulatorio dovuto alla propagazione di perturbazioni periodiche di un campo elettrico e di un campo magnetico, oscillanti in piani tra di loro ortogonali. Essa viaggia nel vuoto alla velocità di 2.99x108 m/s, mentre nell’acqua (mari, oceani...) si riduce a circa 2.2x108 m/s, e può essere descritta matematicamente dalle equazioni di Maxwell, in base alla quale: “…ogni qual volta si verifica una variazione di campo elettrico si genera un campo magnetico; viceversa, da un campo magnetico variabile nel tempo si genera un campo elettrico. Una perturbazione elettromagnetica, una volta che si è generata, si propaga nello spazio anche quando viene a cessare la causa che l’ha originata…”. I parametri che caratterizzano le radiazioni elettromagnetiche sono: – Lunghezza d’onda (λ), ovvero lo spazio percorso da un’onda per compiere un’oscillazione completa. Essa viene definita anche come distanza tra due creste o due ventri vicini; – Velocità di propagazione nel vuoto (c), ovvero la distanza percorsa da un’oscillazione nell’unità di tempo e che, nel caso delle radiazioni elettromagnetiche, è la velocità della luce che nel vuoto raggiunge il suo valore massimo e viene indicata con co = 3x108 m/s; negli altri mezzi invece tale velocità è pari a co/n, dove n è una costante tipica del mezzo nel quale si propaga l’onda ed è detta indice di refrazione assoluto del mezzo. Non esistono mezzi nei quali n sia minore di uno, cioè la luce nel vuoto si propaga con la massima velocità possibile; – Frequenza (ν), ovvero il numero di oscillazioni nell’unità di tempo. Essa è espressa in Hertz (Hz, dove 1 Hz = 1s-1); – Periodo (T), ovvero l’intervallo di tempo che intercorre tra due passaggi consecutivi della cresta in uno stesso punto. Tutti questi elementi caratteristici delle onde elettromagnetiche sono legati tra loro dalle seguenti relazioni:
1. Le radiazioni elettromagnetiche
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Benché la velocità c sia la stessa per tutte le onde elettromagnetiche, la lunghezza d’onda e la frequenza possono variare notevolmente. Esse sono, naturalmente, l’una inversamente proporzionale all’altra: quanto maggiore è la lunghezza d’onda tanto minore è la frequenza.
1.3 La polarizzazione Il campo elettromagnetico, la cui variazione nel tempo e nello spazio provoca le onde elettromagnetiche, è un vettore caratterizzato da una vibrazione, cioè da un modulo di direzione e verso. La direzione del vettore campo elettrico è denominata “direzione di polarizzazione”. Le onde elettromagnetiche sono trasversali, il che sta ad indicare che il vettore campo elettrico giace sempre in un piano perpendicolare alla direzione di propagazione, detto piano di vibrazione. Quando il campo elettrico-magnetico oscilla su una linea retta si parlerà di polarizzazione lineare, ma se la direzione di polarizzazione cambia nel tempo, il vettore campo elettrico potrà vibrare lungo una circonferenza, polarizzazione circolare, oppure su una ellissi, polarizzazione ellittica. In natura è presente la radiazione non polarizzata, cioè quella radiazione la cui polarizzazione varia continuamente in maniera casuale. Per ottenere una radiazione polarizzata si usano i polarizzatori, dispositivi che, investiti da una radiazione priva di una ben precisa direzione di polarizzazione danno luogo a luce completamente o parzialmente polarizzata. Un esempio tipico di polarizzatore della luce visibile è il materiale Polaroid, che consiste di un sottile strato di piccoli cristalli di herapatite (un sale di iodio e chinino) tutti allineati con i loro assi paralleli. Questi cristalli assorbono la luce quando le oscillazioni sono in una direzione, mentre non l’assorbono quando le oscillazioni sono in un’altra direzione. Gli occhiali muniti di lenti Polaroid sono quindi particolarmente adatti a ridurre la luce non polarizzata, quale è quella che si ottiene per riflessione su superfici come acqua, asfalto e neve.
1.4 Lo spettro delle radiazioni elettromagnetiche L’insieme di tutte le lunghezze d’onda elettromagnetiche costituisce il cosiddetto spettro elettromagnetico, suddiviso in regioni parzialmente sovrapposte. L’intervallo di frequenza entro il quale le onde elettromagnetiche sono oggetto di applicazione e di studio è estremamente ampio essendo compreso fra un migliaio di Hertz e circa 1025 Hertz (e oltre). A seconda della loro frequenza, le onde elettromagnetiche sono prodotte da tipi di sorgenti diverse, hanno proprietà diverse e in particolare hanno diverse modalità di interazione con la materia. In base al loro livello energetico, verranno distinte in ionizzanti e non ionizzanti (Figura 1). Le radiazioni non ionizzanti sono dotate di livelli energetici bassi e non interagiscono con la materia a livello molecolare quanto a livello superficiale illuminandola e causandone l’innalzamento termico. Ne fanno parte le radiazioni del visibile (luce), le radiazioni infrarosse, le microonde e le onde radio. Le radiazioni ionizzanti, invece, sono quelle a più alta energia in grado, quindi, di interagire con la materia a livello molecolare modificandola e/o alterandola. Ne fanno parte le radiazioni UVA, UVB, UVC, i raggi X, i raggi gamma ed il nucleare.
1. Le radiazioni elettromagnetiche
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Figura 1. Lo spettro delle radiazioni elettromagnetiche
Le radioonde, onde invisibili del tipo generato e rivelato per la prima volta da Hertz, hanno frequenza compresa tra 103 Hertz e circa 109 Hertz. I segnali televisivi, le onde corte, le onde radar, i segnali radio AM (amplitude modulation, modulazione di ampiezza) e FM (frequency modulation, modulazione di frequenza) sono particolari tipi di radioonde. Vengono generati da circuiti elettronici che fanno oscillare cariche elettriche le quali, quando vengono accelerate, emettono energia. Le onde radio sono impiegate in radiotelegrafia, nelle trasmissioni radiofoniche, telefoniche, televisive, radar, nei sistemi di navigazione e nelle comunicazioni spaziali. Le microonde hanno frequenze comprese tra 109Hz e alcune unità di 1011Hz e lunghezza d’onda compresa tra 0,3x109 nm e 0,3x106 nm e sono generate da dispositivi meccanici (cavità risonanti, guide d’onda). Le microonde attraversano l’atmosfera terrestre senza subire interferenze, come accade invece per le onde radio, e possono penetrare attraverso nubi e foschia, a differenza della radiazione visibile e infrarossa (che hanno lunghezza d’onda inferiore). Sono usate nella ricerca (studi atomici e molecolari) e in telecomunicazioni (radar e GPS). Vengono inoltre facilmente assorbite dalle molecole d’acqua contenute negli alimenti, facendoli riscaldare rapidamente (forno a microonde). La radiazione infrarossa (IR) occupa l’intervallo di lunghezze d’onda (frequenza) compreso tra 1mm e 750 nm (300 GHz e 400 THz). La banda dell’infrarosso è comunemente divisa in tre parti: FAR, MID, NEAR. La regione FAR è vicina alla banda delle microonde, la NEAR è vicina alla banda della luce visibile. Circa il 50% della radiazione solare è emessa nella regione infrarossa (NEAR, vicina al visibile), il resto è emesso nel visibile e, in piccola parte, nell’ultravioletto. La terra, a una temperatura media di circa 15°C, emette nell’infrarosso. La radiazione infrarossa viene spontaneamente emessa dai corpi caldi, in cui gli atomi vengono eccitati tramite gli urti causati dall’agitazione termica. Se assorbiti da una molecola, i quanti hanno un’energia sufficiente a provocare un moto vibrazionale, che si traduce in un aumento di temperatura. L’emissione infrarossa è utilizzata in medicina per terapie fisiche e, nella ricerca, per lo studio dei livelli energetici vibrazionali. Molti animali, come i serpenti, sono sensibili all’infrarosso. Il vetro è opaco all’infra-
1. Le radiazioni elettromagnetiche
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rosso, il che spiega il cosiddetto effetto serra. Infatti la luce che attraversa il vetro di una serra viene assorbita dalle piante e riemessa sotto forma di infrarosso, il quale rimane intrappolato provocando l’aumento di temperatura all’interno della serra. La radiazione visibile (o semplicemente luce) (Figura 2) ha frequenza compresa tra 3,8x1014 Hz e 7,9x1014 e lunghezza d’onda compresa tra 380 nm e 780 nm. Il campo della luce del visibile è molto ristretto rispetto all’intero spettro delle radiazioni, ma è estremamente importante per gli organismi viventi poiché l’occhio della maggior parte di essi è sensibile a queste radiazioni. La luce viene emessa da atomi e molecole quando i relativi elettroni compiono transizioni da uno stato metastabile o instabile alla stato fondamentale, o da cariche microscopiche in movimento per agitazione termica a temperature molto elevate. In particolare il Sole (la cui temperatura superficiale è prossima a 6000 gradi) emette uno spettro di radiazioni il cui massimo è centrato intorno ad una lunghezza d’onda di circa 5000 U.A. (1 U.A.=10-7mm) e si estende dall’ultravioletto al vicino infrarosso. I raggi ultravioletti (UV) (Figura 3) occupano l’intervallo di lunghezza d’onda compreso tra la luce visibile e i raggi X, ossia tra: 400 nm e 10 nm (750 THz e 30000 THz) ed energie tra 3 eV e 124 eV. In fisica la radiazione ultravioletta è divisa in quattro regioni: Near (400-300 nm), Middle (300-200 nm), Far (200-100 nm), Extreme (sotto i 100 nm). Quando si considera l’impatto dei raggi UV sull’ambiente e sulla salute umana, sono evidenziate tre regioni dello spettro UV: UV-A (400-315 nm), UV-B (315-280 nm) e UV-C (280-100 nm). La sorgente naturale più importante di radiazione UV è il sole. La radiazione UV che raggiunge la superfice terrestre è circa il 9% (circa 120 W/m2) della radiazione solare al top dell’atmosfera. L’atmosfera terrestre, tramite processi di assorbimento e diffusione, agisce come un filtro rispetto alle radiazioni provenienti dal sole. In particolare: – la radiazione UV- C (la più dannosa per la vita a causa del suo alto contenuto energetico) vie- Figura 2. La radiazione del visibile ne completamente assorbita dall’ozono e dall’ossigeno degli strati più alti dell’atmosfera; – la radiazione UV-B viene anch’essa in buona parte assorbita, ma una non trascurabile percentuale (circa il 1520%) riesce a raggiungere la superficie terrestre; è responsabile di bruciature solari e di cancro alla pelle. – la radiazione UVA riesce in buona parte (circa il 55-60%) a raggiungere la superficie terrestre. Figura 3. Lo spettro dell’ultravioletto
1. Le radiazioni elettromagnetiche
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Sono utilizzati nelle lampade germicide (UV-C), dove distruggono microorganismi quali batteri, virus, muffe, ecc., e sono usate per assicurare la sterilità di utensili e ambienti ospedalieri. Trovano largo uso nelle lampade UV (UV-A), per favorire l’abbronzatura, e nel laser UV (UV-B) in applicazioni industriali (incisioni con laser) e in medicina (dermatologia). I raggi X hanno frequenza compresa fra circa 3x1017Hz e 5x1019Hz e lunghezza d’onda compresa tra i 6x10-1nm e 6x10-3 nm. I raggi X hanno energia sufficiente per provocare transizioni di elettroni atomici più interni, danneggiare le cellule viventi e possono penetrare nei tessuti biologici. L’atmosfera terrestre assorbe al 95% i raggi X provenienti dall’universo, cosa che rende merito del fatto che la maggior parte è prodotta artificialmente dall’uomo. Il loro diverso assorbimento ad opera dei tessuti di diversa consistenza e densità rende possibile il loro impiego in diagnostica medica (radiografia e radioscopia). Trovano inoltre applicazioni in radiochimica e Medicina. Rosalind Franklin, al King’s College di Londra, utilizzò la diffrazione a raggi X per studiare fibre di DNA. Con i risultati che ottenne (tra il 1951 e il 1953) diede un contributo fondamentale alla scoperta della struttura a doppia elica del DNA. James Watson e Francis Crick ebbero modo di conoscere foto e dati elaborati (non ancora pubblicati) dalla Franklin: i risultati della Franklin furono per loro molto utili nell’elaborazione del modello della doppia elica del DNA (marzo 1953). I raggi gamma hanno frequenze superiori a 3x1018 Hz con lunghezze d’onda minori a 10-1 nm e sono prodotte nei decadimenti radioattivi gamma, in interazioni tra particelle (annichilazione elettrone-positrone, decadimento del pione neutro); processi tipici delle reazioni nucleari. Raggi X e raggi γ hanno un intervallo energetico di sovrapposizione. Tipicamente, quando possibile, le due radiazioni sono distinte e definite (X o γ) in base alla loro origine: raggi X se emessi da elettroni al di fuori del nucleo, raggi γ se emessi dal nucleo (decadimenti radioattivi). Vengono impiegati nella medicina nucleare attraverso varie metodiche diagnostiche quali SPECT (Tomografia computerizzata a emissione di fotoni singoli), PET (Tomografia a emissione di positroni), oppure in applicazioni terapeutiche quali la Cobalto terapia.
1.5 Le radiazione del visibile All’interno dello spettro elettromagnetico, solo una piccolissima porzione appartiene al cosiddetto spettro visibile (Figura 4), cioè all’insieme delle lunghezze d’onda
Figura 4. Lo spettro della luce visibile è solo una piccola porzione dell’intero spettro elettromagnetico
1. Le radiazioni elettromagnetiche
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a cui l’occhio umano è sensibile e che sono alla base della percezione dei colori. Le differenze individuali possono far variare leggermente l’ampiezza dello spettro visibile. In linea di massima, comunque, esso si situa tra i 380 e i 780 nanometri: alla lunghezza d’onda minore corrisponde la gamma cromatica del blu-violetto, alla lunghezza d’onda maggiore corrisponde invece la gamma dei rossi. Il termine luce (dal latino lux) si riferisce, quindi, alla porzione dello spettro elettromagnetico visibile dall’occhio umano, ed è approssimativamente compresa tra 400 e 700 nanometri di lunghezza d’onda. Questo intervallo coincide con il centro della regione spettrale della luce emessa dal sole che riesce ad arrivare al suolo attraverso l’atmosfera. I limiti dello spettro visibile all’occhio umano non sono uguali per tutte le persone, ma variano soggettivamente e possono raggiungere i 720 nanometri, avvicinandosi agli infrarossi, e i 380 nanometri avvicinandosi agli ultravioletti. La presenza contemporanea di tutte le lunghezze d’onda visibili, in quantità proporzionali a quelle della luce solare, forma la luce bianca. La luce, come tutte le onde elettromagnetiche, interagisce con la materia. I fenomeni che più comunemente influenzano o impediscono la trasmissione della luce attraverso la materia sono: l’assorbimento, la diffusione (scattering), la riflessione speculare o diffusa, la refrazione e la diffrazione. La riflessione diffusa da parte delle superfici, da sola o combinata con l’assorbimento, è il principale meccanismo attraverso il quale gli oggetti si rivelano ai nostri occhi, mentre la diffusione da parte dell’atmosfera è responsabile della luminosità del cielo. La refrazione (Figura 5) è la deviazione subita da un’onda che ha luogo quando questa passa da un mezzo ad un altro nel quale la sua velocità di propagazione cambia. Quando l’onda passa in un materiale che ne aumenta la velocità la nuova direzione forma un angolo meno ampio mentre se passa in un materiale che ne riduce la velocità la direzione forma un angolo più ampio. È responsabile delle distorsioni ottiche. La riflessione è il fenomeno per cui un’onda cambia di direzione a causa di un impatto con un materiale rifletFigura 5. La refrazione tente. Se il materiale ha una superficie levigata e regolare si parlerà di riflessione lineare, il cd. effetto specchio. Mentre quando la superficie è irregolare si parlerà di riflessione diffusa responsabile dello scattering della luce, il cd. abbagliamento. La dispersione è la separazione di un’onda in componenti spettrali con diverse lunghezze d’onda, a causa della interazione con il mezzo attraversato, il cd. effetto arcobaleno. In seguito ai suddetti processi fisici, la luce monocromatica (bianca) che attraversa un prisma di cristallo Figura 6. Bande spettrali della radiazione visibile
1. Le radiazioni elettromagnetiche
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trasparente (come dimostrato da Newton nel 1966) viene suddivisa in bande colorimetriche (bande spettrali) nelle quali viene, classicamente suddiviso, lo spettro della luce visibile (Figura 6). Una cosa simile accade nell’arcobaleno: la luce che passa attraverso le piccole gocce d’acqua, sospese nell’aria dopo una pioggia, si scompone nei sette colori dello spettro (con tutte le relative gradazioni intermedie).
1.6 La spettrofotometria La spettrofotometria (o spettrometria) UV-visibile si basa sull’assorbimento di radiazioni elettromagnetiche dell’intervallo del visibile e del vicino ultravioletto da parte di atomi o di molecole. Questa tecnica trova applicazione nella determinazione qualitativa e quantitativa di numerose sostanze sia organiche che inorganiche nel campo ambientale, farmaceutico e alimentare. Quantificare l’interazione Figura 7. Spettrometria vetro minerale della radiazione visibile con un campione chimico, di varia natura, permette ad esempio la determinazione della concentrazione di un campione incognito o di seguire l’andamento di una reazione in funzione del tempo. Le tecniche spettroscopiche sono basate sullo scambio di energia che si verifica fra l’energia radiante e la materia. Il principio si basa sulla registrazione dell’intensità della radiazione trasmessa da un campione Figura 8. Spettrometria lenti in carbonio CR39 (IT) in funzione dell’intensità della radiazione incidente (I0) al variare della lunghezza d’onda incidente(λ). Il rapporto tra la radiazione incidente sul campione e quella trasmessa determina la trasmittanza (T) del campione stesso (T=IT/I0). La trasmittanza viene visualizzata attraverso un grafico dove sull’asse delle ascisse è riportata la λ e su quello delle ordinate la percentuale di energia, relativa alla λ, trasmessa. In particolare, la spettrofotometria di assorbimento è interessata ai fenomeni di assorbimento delle radiazioni luminose della regione dello spettro elettromagnetico appartenenti al campo del visibile (350 – 700 nm) e del vicino ultravioletto (200 – 350 nm). Viene interessato anche l’UV lontano (10 – 200 nm), anche se in questo caso si opera sotto vuoto o in atmosfera di gas inerte, perché l’ossigeno atmosferico copre i segnali delle altre sostanze. In campo ottico la spettrofotometria è fondamentale per valutare l’assorbimento
1. Le radiazioni elettromagnetiche
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delle diverse radiazioni elettromagnetiche da parte dei diversi materiali che costituiscono le lenti (Figure 7 e 8). Ăˆ interessante notare come le lenti in policarbonato bloccano (T=0) tutte le radiazioni UV cosa che non accade con le lenti in vetro minerale.
2. Ottica geometrica
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Capitolo 2 – Ottica geometrica M. Bifani, G. Boccaccini, M. Vampo
Il ramo della fisica che studia i fenomeni luminosi nelle loro varie manifestazioni (emissione, propagazione, assorbimento o interazione con altri mezzi) costituisce la scienza chiamata OTTICA. Lo studio di questa disciplina può essere eseguito da vari punti di vista ed allora avremo: 1) l’OTTICA GEOMETRICA quando l’interesse principale è rivolto al cammino, o traiettoria, della luce, valutandone l’aspetto geometrico senza porsi domande su quale sia la sua natura; 2) l’OTTICA FISICA quando il fine è studiare la natura della radiazione ottica, indagando sulla sua origine e sul suo sistema di propagazione; 3) l’OTTICA QUANTISTICA quando l’oggetto delle indagini sono le interazioni della radiazione ottica con le entità atomiche della natura; tale studio richiede la conoscenza della meccanica quantistica e pertanto esula dalle finalità di questo capitolo del libro. In queste note tratteremo l’Ottica dal punto di vista geometrico e quindi studieremo principalmente quale è la traiettoria del raggio luminoso (vedi par. 2.1) quando questo si propaga in determinati ambienti e soprattutto osserveremo le variazioni di cammino che il raggio subisce quando attraversa uno o più elementi fisici che definiremo “mezzi ottici”.
2.1 Le principali definizioni dell’ottica geometrica Per creare un linguaggio tecnico-scientifico che ci permetta di esporre speditamente gli argomenti che seguono, è necessario fornire una serie di definizioni che sono il glossario fondamentale dell’ottica geometrica; queste sono: - “mezzo omogeneo”: si dice omogeneo un materiale le cui proprietà chimiche sono uguali in ogni sua parte; - “mezzo isotropo”: si dice isotropo il materiale che presenta uguali caratteristiche fisiche in ogni sua parte, indipendentemente dalla direzione considerata (ad esempio uguale resistenza meccanica o elettrica in tutte le direzioni); - “mezzo ottico”: si definisce mezzo ottico un materiale che sia al tempo stesso omogeneo ed isotropo (ed in certi casi anche trasparente); - “raggio” (ottico o luminoso): si definisce raggio la traiettoria percorsa dalla radiazione ottica (luce) nei mezzi omogenei ed isotropi; tale percorso in questi mezzi viene assunto rettilineo (è cioè una linea retta) per il rispetto del principio di Fèrmat; - “diottro” o discontinuità ottica: si definisce diottro una superficie ideale, di forma qualunque, che separa due mezzi ottici diversi; quindi la presenza di un diottro presuppone che il raggio che lo attraversa (salvo un caso particolare di incidenza) venga deviato, perché, come si è detto prima, la traiettoria è rettilinea solo quando il raggio si propaga nello stesso mezzo ottico.
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2.2 I fenomeni fisici connessi alla luce incidente Quando una radiazione incide su un diottro possono verificarsi contemporaneamente i seguenti quattro fenomeni fisici: riflessione, refrazione, assorbimento e diffusione; i primi due sono oggetto dell’Ottica geometrica e ne parleremo ampiamente in seguito, mentre l’assorbimento e la diffusione vengono studiati nell’Ottica Fisica; di essi diremo solamente che Figura 1. Fenomeni fisici relativi alla luce incidente su un diottro l’uno riguarda la trasformazione di energia da una forma all’altra (esempio da energia luminosa in calore) e l’altro riguarda la distribuzione della radiazione in modo disordinato nello spazio, a causa della scabrezza della superficie. Quanto detto può essere schematizzato nella figura 1, in cui si è rappresentato un raggio incidente su un diottro e la normale N al punto di incidenza con i relativi fenomeni che ne nascono. Lo spazio sopra il diottro costituisce il mezzo ottico, indicato con M.O.1, da cui proviene il raggio incidente e che è differente dal mezzo ottico sottostante, indicato in figura con M.O.2.
2.3 La riflessione Il fenomeno della riflessione si ha quando la luce, che incide su un diottro, viene da questo rinviata nel mezzo di provenienza; al raggio rinviato si dà il nome di raggio riflesso (in riferimento alla figura 1, è il raggio colorato di blu). Studiare la riflessione com- Figura 2. Riflessione su un diottro porta trascurare gli altri fenomeni fisici visti in precedenza, ma che nella realtà avvengono contemporaneamente; così sarà anche per la refrazione e questo perché nell’Ottica geometrica ci occupiamo dell’aspetto geometrico della questione e non di quello energetico. Per quanto detto, il fenomeno può così essere rappresentato graficamente in figura 2, dove l’angolo di incidenza i è l’angolo compreso tra la normale N al diottro ed il raggio incidente, quello di riflessione i’ è compreso tra la normale ed il raggio riflesso. Le leggi alla base della riflessione sono due: 1) il raggio incidente, quello riflesso e la normale alla superficie nel punto di incidenza giacciono sullo stesso piano (legge di complanarità) 2) l’angolo di incidenza i e l’angolo di riflessione i’ sono uguali, ovvero: i = i’
2. Ottica geometrica
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2.4 La refrazione La refrazione si ha quando un raggio luminoso proveniente da un mezzo ottico (M.O.1) incontra un diottro, lo attraversa e si propaga nel mezzo ottico successivo (M.O.2), pertanto nel fenomeno della refrazione si studia il cammino del raggio che si propaga in quest’ultimo mezzo; a questo raggio si dà il nome di raggio rifratto (nella figura 1 è il raggio colorato di verde). Nell’ipotesi che il raggio inci- Figura 3. Refrazione attraverso un diottro dente sia monocromatico, avente cioè una sola lunghezza d’onda (più avanti, nel par. 2.5.2, chiariremo meglio questo aspetto) la situazione si presenta come raffigurata in figura 3; dove si indica con: i = angolo di incidenza del raggio sul diottro i’ = angolo di refrazione del raggio che attraversa il diottro (N.B. come nella riflessione, anche nel fenomeno della refrazione gli angoli sono misurati a partire dalla normale). La figura 3 non inganni il lettore: il raggio rifratto prenderà una sola delle due direzioni indicate in figura, saranno le caratteristiche ottiche dei due mezzi a dirci se sarà quella rossa o la blu. Inoltre si indica con δ l’angolo formato tra la direzione del raggio rifratto ed il prolungamento della direzione del raggio incidente: a tale angolo si dà il nome di angolo di deviazione. Come nel caso della riflessione, le leggi che regolano il fenomeno della refrazione sono due: 1) il raggio incidente, la normale al punto di incidenza ed il raggio rifratto giacciono nello stesso piano (legge di complanarità) 2) il rapporto tra il seno dell’angolo di incidenza e quello di refrazione è costante ovvero in formula
Quest’ultima espressione (al momento incompleta) va sotto il nome di legge di SnellCartesio e per angoli i, i’ minori di 30° può essere sostituita con l’espressione approssimata:
Nel caso si utilizzi la precedente espressione approssimata parleremo di Ottica al primo ordine od Ottica gaussiana; pertanto si parla di Ottica gaussiana quando consideriamo angoli a di piccola ampiezza (non superiore a 30°), per i quali possiamo identificare il valore del seno dell’angolo espresso in gradi sessagesimali con la sua misura in radianti, cioè sen (a°) ≅ arad. La legge di Snell-Cartesio (o la sua espressione approssimata) costituisce un assunto fondamentale dell’Ottica geometrica perché ci dice che: al variare dell’angolo i anche l’angolo i’ varierà di conseguenza, in modo che il rapporto tra i loro seni (od il loro rapporto diretto) rimanga costante; questa affermazione costituisce il significa-
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to geometrico della legge di Snell-Cartesio o legge fondamentale della refrazione. Il vero problema è conoscere il valore di questa costante, che sarà generalmente diversa per ogni coppia di mezzi ottici esistenti in natura; per rispondere al quesito fissiamo il mezzo di provenienza del raggio e variamo l’altro mezzo ottico. Come mezzo ottico Figura 4. Refrazione attraverso un diottro con raggio proveniente dal di provenienza del raggio vuoto viene convenzionalmente scelto il vuoto e come secondo mezzo ottico uno qualsiasi: sperimentalmente si osserva che qualunque sia il secondo mezzo la radiazione rifratta si avvicina sempre alla normale, pertanto avremo che in questa situazione i’ è sempre minore di i e quindi, poiché vale ancora la legge di Snell-Cartesio (esatta o approssimata), il valore della costante sarà sempre maggiore di 1. Nella figura 4 il mezzo ottico 1 (M.O.1) coincide con il vuoto ed il mezzo ottico 2 (M.O.2) è quello in cui si propaga la radiazione rifratta, dopo aver oltrepassato il diottro. Riepilogando, diremo che quando il raggio proviene dal vuoto ed, attraversato un diottro, si propaga in un mezzo ottico qualunque abbiamo che:
oppure
Il valore della costante delle espressioni precedenti, assume un significato importante, data la particolare situazione ottica (raggio proveniente dal vuoto) nella quale è stato ricavato, e viene chiamato indice di refrazione assoluto del mezzo ottico ed indicato con il simbolo n, quindi:
oppure
pertanto l’indice di refrazione assoluto di un mezzo ottico è dato dal rapporto tra il seno dell’angolo di incidenza ed il seno dell’angolo di refrazione (o dal rapporto diretto degli angoli se essi sono minori di 30°) quando la radiazione incidente proviene dal vuoto. Tale indice è un numero puro, sempre positivo e, salvo un unico caso che vedremo più avanti, anche > 1. Per chiarire meglio il significato dell’indice di refrazione assoluto di un materiale facciamo il seguente esempio: consideriamo il vetro Crown (materiale molto utilizzato in ottica) il cui indice di refrazione assoluto è 1,523; questo numero indica che per qualsiasi angolo di incidenza sulla superficie del vetro, ovviamente compreso tra 0°
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e 90°, avremo un angolo di refrazione di valore tale che il rapporto tra i seni dei due angoli è sempre uguale a 1,523. Inoltre l’indice di refrazione assoluto di un materiale permette di chiarire meglio il concetto di mezzo isotropo: in ottica un materiale è isotropo quando ha l’indice di refrazione assoluto uguale in tutte le direzioni considerate all’interno di esso. Ripetendo il procedimento precedente per tutti i materiali esistenti in natura, o per lo meno per tutti quelli che hanno importanza dal punto di vista ottico, sono stati ricavati i loro indici di refrazione assoluti i cui risultati possono essere così riassunti: – per i materiali liquidi nl ≅ 1,33… (le cifre decimali dalla terza in poi variano a seconda del liquido, per l’acqua si assume n = 1,333; tra i liquidi fa eccezione il solfuro di carbonio che ha n = 1,63 che è tipico dell’indice dei solidi) – per i materiali solidi ns ≅ 1,39 ÷ 1,9 (anche per tali valori esiste un’eccezione rappresentata dal diamante il quale ha un indice di refrazione assoluto n = 2,4 ÷ 2,5). – per il vuoto nv = 1 (valore facilmente ricavabile quando, nell’esperimento con il quale si ricava l’indice di refrazione assoluto, il secondo mezzo sia ancora il vuoto) – per l’aria na = 1,000293 ≅ 1 (quindi per gli studi di ottica oftalmica si assume che aria e vuoto siano mezzi assimilabili, anche se fisicamente non è così). L’indice di refrazione assoluto di un materiale è molto importante in ottica oftalmica perché serve a valutare lo spessore di una lente; infatti più alto è l’indice e più piccolo sarà lo spessore, ma di solito aumenta il peso specifico del mezzo. Nella pratica considereremo il mezzo ottico (la lente) circondato da aria, che in ottica significa dire immerso in aria, quindi parleremo di indice di refrazione assoluto. Aver definito l’indice di refrazione assoluto di un materiale consente la risposta alla domanda, postaci in precedenza, di quale sia la direzione presa dal raggio rifratto dopo aver attraversato il diottro. Considerando due materiali a contatto (separati dal diottro), essi saranno caratterizzati da due indici di refrazione assoluti n1 ed n’1 rispettivamente, ovvero data la seguente situazione:
se un raggio incide sulla superficie del diottro e poi si propaga nel mezzo 2 avremo che:
il rapporto n’1 / n1 si chiama indice di refrazione relativo dei due mezzi ottici e si indica con il simbolo nr, cioè:
pertanto dati due mezzi ottici qualunque, a contatto tra loro e separati da un diottro di forma qualsiasi, la legge di Snell-Cartesio si traduce nel dire che: il rapporto tra il seno dell’angolo di incidenza e quello di refrazione è costante e tale costante è uguale al rapporto tra l’indice di refrazione assoluto del mezzo in cui si rifrange il raggio e l’indice di refrazione assoluto del mezzo da cui proviene il raggio, ossia più brevemente è uguale all’indice di refrazione relativo dei due materiali.
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È opportuno far notare che anche l’indice di refrazione relativo è un numero puro, poiché scaturisce dal rapporto di due numeri puri, quali sono gli indici di refrazione assoluti n1 ed n’1. Inoltre la conoscenza degli indici di refrazione dei due materiali permette anche di stabilire il cammino geometrico del raggio rifratto nel mezzo 2; infatti se n’1 > n1 la legge di Snell-Cartesio dice che da cui e pertanto, ricordando l’andamento della funzione seno di un angolo nell’intervallo 0°÷ 90°, avremo che i > i’, quindi il raggio rifratto si avvicina alla normale perché l’angolo di refrazione è più piccolo dell’angolo di incidenza. Mentre se n’1 < n1 avremo che e quindi anche pertanto, considerato sempre l’intervallo di angoli 0°÷90°, segue che i < i’ e perciò il raggio rifratto si allontana dalla normale perché l’angolo di refrazione è maggiore dell’angolo di incidenza. Chiariamo quanto detto con due esempi, nei quali supporremo di operare con angoli < 30°. Esempio 1. Supposto n1 = 1,3 ed n’1 = 1,6 (vetro) la legge di Snell-Cartesio (approssimata) dice pertanto:
pertanto i = 1,23 ⋅ i’, cioè i > i’ e quindi nell’attraversare il diottro il raggio rifratto si avvicina alla normale, come illustrato nella figura 5. Esempio 2. Supposto n1 = 1,6 (vetro) ed n’1 = 1,3 la legge di Snell-Cartesio (approssimata) dice pertanto:
pertanto i = 0,81 ⋅ i’, cioè i < i’ e quindi nell’attraversare il diottro il raggio rifratto si allontana dalla normale, come illustrato nella figura 6. Per quanto concerne l’angolo di deviazione δ, precedentemente definito, possiamo asserire che il suo valore dipende dall’angolo di incidenza e dagli indici di refrazione assoluti dei due mezzi; è definita “salto d’indice” la differenza tra gli indici di refrazione assoluti dei due mezzi ottici, pertanto si può affermare che, a parità di angolo di incidenza i, l’angolo di deviazione δ aumenta Figura 5. Refrazione attraverso un diottro con passaggio all’aumentare del salto d’indice e del raggio da un indice di refrazione minore a maggiore
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viceversa diminuisce al diminuire del salto d’indice. Non dimostreremo analiticamente quanto detto sopra, ma per giustificare ciò basti pensare che più sono diversi otticamente i materiali (e ciò si traduce con l’espressione: “tanto più grande è la differenza tra i loro indici”) e maggiormente il raggio rifratto si allontanerà dalla direzione del raggio incidente (indicata con il prolungamento tratteggiato). Il raggio rifratto proseguirebbe Figura 6. Refrazione attraverso un diottro con passaggio indisturbato se n1 fosse uguale ad del raggio da un indice di refrazione maggiore a minore n’1; in questo caso infatti non ci sarebbe il diottro ma un unico mezzo omogeneo.
2.5 La radiazione policromatica Lo studio dell’Ottica, secondo l’approccio fisico, ci dice che i raggi luminosi sono in realtà delle radiazioni elettromagnetiche caratterizzate da una certa gamma di lunghezze d’onda. Riguardo alla lunghezza d’onda (λ), le radiazioni elettromagnetiche vengono classificate nel modo indicato in figura 7. Come è evidenziato nello schema di figura 7, la radiazione compresa tra le lunghezze d’onda dell’UV-A, VISIBILE ed INFRAROSSO (I.R.) VICINO costituisce la radiazione più importante per l’Ottica geometrica perché è quella che viene maggiormente impiegata nelle applicazioni strumentali, compreso l’occhio umano, ed è detta radiazione ottica. All’interno di questo ampio rango di lunghezze d’onda si trova la radiazione visibile che è di fondamentale importanza per il meccanismo della visione umana, perché è verso tali frequenze che il nostro occhio è sensibile; vediamola quindi più in dettaglio. 2.5.1 Lo spettro elettromagnetico della luce visibile Vediamo in dettaglio il rango delle lunghezze d’onda nel campo del visibile. Questo intervallo ha una straordinaria importanza nel processo di vi-
Figura 7. Spettro della radiazione elettromagnetica
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sione dell’occhio umano, perché ad esso è associata la percezione cromatica; infatti ad ogni lunghezza d’onda l’occhio associa un determinato colore. (figura 8, dove λ è riportata in nanometri nm). Se usiamo come unità di misura il µm (micron) possiamo asserire che lo spettro del visibile è compre- Figura 8. Spettro elettromagnetico della luce visibile e lunghezze d’onda di so tra le lunghez- Fraunhofer ze d’onda che vanno da 0,4 µm a 0,8 µm circa. Nelle ultime due colonne di destra di questo schema si è anche riportata la sensibilità relativa dell’occhio umano ai colori, o meglio alle lunghezze d’onda che l’occhio traduce in quei colori. 2.5.2 La refrazione policromatica Una radiazione elettromagnetica originata da onde che hanno tutte la stessa lunghezza d’onda è detta monocromatica e viene percepita dall’occhio di un solo colore; in natura difficilmente si ha radiazione di questo tipo, se non quando si consideri la radiazione emessa da particolari strumenti fisici quali il laser, il monocromatore ecc. Molto più frequente è invece il caso che la radiazione emessa dai corpi che stiamo esaminando sia policromatica, ossia un tipo di radiazione che è caratterizzato da onde elettromagnetiche aventi un numero molteplice di lunghezze d’onda. Cosa succede, nel caso in cui vogliamo occuparci del solo fenomeno della refrazione, quando una radiazione policromatica incontra la superficie di un diottro? Avviene che dopo aver attraversato il diottro il raggio policromatico incidente viene scomposto in tanti raggi rifratti monocromatici, tante quante sono le lunghezze d’onda del raggio incidente; l’insieme dei raggi monocromatici rifratti è chiamato spettro (elettromagnetico) della radiazione. Possiamo cioè dire che per ogni lunghezza d’onda del raggio che incide, corrisponde un particolare raggio rifratto monocromatico che si origina nella refrazione. Nel caso di refrazione di radiazione visibile (luce bianca), contrassegnata da un numero elevato di lunghezze d’onda, avremo una infinità di raggi rifratti, cosa che rende difficoltoso lo studio di tale fenomeno ed allora, per razionalizzare lo studio, si prendono in considerazione solo tre raggi rifratti, quelli delle bande di emissione di Fraunhofer, esattamente quelli relativi alle lunghezze d’onda: – λC = 656,3 nm (riga rossa dell’idrogeno, C), che identifica il colore rosso; – λD = 589,3 nm (riga gialla dell’elio, D), che identifica il colore giallo; – λF = 486,1 nm (riga blu dell’idrogeno, F), che identifica il colore blu. Riguardando lo schema di figura 8, si potrà notare che la prima e l’ultima delle tre lunghezze d’onda scelte non si trovano in realtà alle estremità dell’intervallo del visi-
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bile, mentre la seconda non è esattamente al centro di detto intervallo; si potrebbe quindi dubitare sulla opportunità di tale scelta, ma in realtà la scelta è corretta poiché queste sono le lunghezze d’onda (o per meglio dire le frequenze) verso le quali l’occhio umano è più sensibile. Rappresentando con uno schema la refrazione della luce visibile si Figura 9. Dispersione e rifrangenza di un mezzo ottico ha sperimentalmente il comportamento di figura 9. Nella figura 9 si evidenzia che nella refrazione policromatica l’angolo di refrazione relativo alle tre lunghezze d’onda fondamentali rispetta la seguente condizione geometrica: i’F < i’D < i’C cioè il raggio blu è quello che si avvicina di più alla normale subendo la maggior deviazione, mentre quello rosso si avvicina di meno perché subisce la minor deviazione; ovviamente il raggio giallo subirà una deviazione intermedia tra le due. Inoltre nella figura abbiamo sottinteso che il raggio incidente provenga dal vuoto perché, se fosse diversamente, al momento dell’emissione della luce si avrebbe subito il fenomeno di refrazione policromatica e sul diottro perverrebbero già tanti raggi monocromatici relativi ad ogni lunghezza d’onda e quindi il fenomeno perderebbe di interesse perché significherebbe studiare la refrazione di tanti raggi monocromatici, seppure di colore diverso. Infine con il termine ravis si intende il sincretismo della frase: radiazione vista; quindi con la scrittura “ravis rossa” si intende una radiazione che l’occhio umano vede di colore rosso. Se poi, per fissare le idee, consideriamo sempre in figura 9, angoli minori di 30° possiamo scrivere, ricordando la definizione di indice di refrazione assoluto (par. 2.4):
Pertanto, al riguardo di una radiazione policromatica, un materiale sarà sempre contraddistinto da tre indici di refrazione assoluti: uno per la ravis blu (n’F), uno per la ravis gialla (n’D) ed uno per la ravis rossa (n’C). Se l’indice fornito non è specificatamente attribuito ad una lunghezza d’onda, si assume convenzionalmente che si tratti di n’D. Per le relazioni esistenti tra gli angoli i’F, i’D ed i’C viste in precedenza si può dedurre che, nel campo della radiazione visibile: n’F > n’D > n’C ciò è valido per tutti i mezzi ottici dielettrici; quindi si può ricavare che ogni mezzo ottico avrà un indice di refrazione assoluto per il blu maggiore del giallo, a sua volta maggiore del rosso. Vogliamo adesso ricavare alcune relazioni geometriche che interessano gli indici di refrazione del materiale e a tal proposito consideriamo la differenza tra l’indice
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maggiore e minore, cioè n’F – n’C detta dispersione del mezzo ottico ed il suo significato geometrico può essere così definito: ricordando che ed possiamo esprimere la dispersione come
da cui, potendo approssimare che
avremo per la dispersione
Da questa espressione si vede come la dispersione sia direttamente proporzionale all’angolo (i’C - i’F), che rappresenta l’angolo compreso tra i raggi rifratti della ravis rossa e della ravis blu; essendo questi i raggi estremi dello spettro elettromagnetico di un materiale (relativamente al visibile) la dispersione ci informa, anche se per via indiretta, sull’ampiezza del cono dei raggi rifratti e quindi ci illustra di quanto si disperdano le componenti del raggio incidente dopo la refrazione. Per quanto riguarda l’ottica, strumentale od oftalmica, minore è la dispersione dei mezzi utilizzati (ossia minore è la differenza tra l’indice massimo e minimo), tanto migliore sarà il loro comportamento perché significa che il raggio policromatico rifratto rimane più compatto dopo la refrazione (bassa dispersione) e quindi più nitida sarà l’immagine prodotta da tali mezzi. Consideriamo adesso la differenza tra l’indice intermedio e quello dell’aria n’D - 1 detta rifrangenza del mezzo ottico; il suo significato geometrico può essere così stabilito (sempre in riferimento alla figura 9): ricordando che
sostituendo nell’espressione della rifrangenza abbiamo
la quale espressione ci informa che la rifrangenza del materiale è direttamente proporzionale all’angolo (i - i’D); questo angolo, come si vede dalla figura 9, è l’angolo formato tra la direzione del raggio incidente, prolungata idealmente nel secondo mezzo, e la direzione del raggio rifratto relativo alla ravis gialla che, come si è detto, viene assunto come il raggio rappresentativo di tutto lo spettro, trovandosi compreso tra quello blu e rosso. La rifrangenza, dunque, ci fornisce in via indiretta la deviazione che lo spettro elettromagnetico ha subito, rispetto alla sua direzione di incidenza, dopo la refrazione. Nei mezzi ottici è importante che alto sia il valore della rifrangenza perché ciò significa una forte capacità di deviare il percorso geometrico del raggio incidente e
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questa caratteristica si ripercuote positivamente in una riduzione dello spessore del mezzo ottico, a parità di deviazione da imprimere (alta rifrangenza). 2.5.3 Il numero di Abbe di un mezzo ottico Riassumendo quanto detto nel par. 2.5.2 si può dire che un mezzo ottico ideale dovrebbe possedere i seguenti requisiti: a) bassa dispersione, per mantenere compatto lo spettro dei raggi rifratti e quindi creare minori problemi nella visione all’occhio umano b) alta rifrangenza, per imprimere un forte cambio di direzione alla direzione del raggio con tutti i vantaggi che ne derivano in tema di riduzione dello spessore del mezzo ottico (per esempio quando si parla di lente). Esiste un parametro che quantifica con un numero i concetti sopra esposti; il suo valore è dato dal rapporto tra la rifrangenza e la dispersione del materiale e viene chiamato numero di Abbe o costringenza o bontà ottica oppure ancora coefficiente di dispersione media di un mezzo ottico e viene indicato con la lettera ν (ni o nu), in formula abbiamo:
Come si vede ν aumenta se sono rispettate le condizioni a) e b) precedenti sul mezzo ottico ideale, pertanto il comportamento ottico di un mezzo sarà migliore quanto più grande sarà il suo numero di Abbe. A scopo di riferimento possiamo dire che in ottica le sostanze che hanno numero di Abbe < 30 sono sostanze ad alta dispersione e quindi di bassa bontà ottica; mentre le sostanze con numero di Abbe > 60 vengono considerate a bassa dispersione e quindi di elevata bontà ottica; bisogna anche aggiungere che la maggior parte dei materiali impiegati nell’ottica ha valori di ν compresi nell’intervallo sopra indicato. Riportiamo per completezza i numeri di Abbe di alcuni materiali utilizzati in ottica oftalmica (ricordando che l’indice n’ riportato è in realtà n’D): CR 39 ν = 58; n’ = 1,499 materie organiche Policarbonato ν = 30; n’ = 1,589 Crown ν = 59; n’ = 1,523 Flint ν = 38; n’ = 1,7 vetri Crown al Bario ν = 42; n’ = 1,6 Titanio ν = 42; n’ = 1,7 Infine concludiamo il paragrafo riportando un semplice esempio applicativo, relativo al numero di Abbe. Esempio: calcolare l’indice n’D di un mezzo ottico avente n’F = 1,529; n’C = 1,520 e ν = 58,1. Dall’espressione del numero di Abbe
si ha (n’D – 1) = ν · (n’F – n’C) e quindi n’D = ν · (n’F – n’C) + 1 che sostituendo dà n’D = 58,1 · (1,529 – 1,520) + 1 da cui n’D = 1,523. Si noti che i risultati trovati rispettano la condizione n’F > n’D > n’C.
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2.6 Il prisma È definito prisma un mezzo ottico delimitato da due superfici piane ma non parallele tra loro (questa è la definizione geometrica). Un volume che lo rappresenta è quello di figura 10. Il prisma è individuato dal diedro AA’BB’SS’; le facce interessate dall’attraversamento della radiazione (raggio con freccia) sono le superfici laterali ABS’S e A’B’S’S (dette facce attive del prisma) e l’angolo che esse formano è indicato con α; il rettangolo AA’B’B costituisce la base e la retta SS’ lo spigolo del prisma. E’ interessante notare che se la radiazione attraversasse le facce attive AA’S e BB’S’ il diedro considerato non si comporterebbe più come un prisma ma come un altro mezzo ottico, a facce piane e parallele, detto lamina. Sezionando il prisma con un piano (π) perpendicolare alle facce attive la sezione ottenuta è il triangolo CC’V, tratteggiato in figura, che ha forma triangolare uguale alle superfici laterali non attive; è questa la sezione che prenderemo in considerazione nello studio del prisma perché faremo l’ipotesi che la radiazione incida su una faccia attiva (fuoriuscendo dall’altra) come se giacesse sul piano π.
Figura 10. Geometria del prisma
Figura 11. Sezione e parametri del prisma
2.6.1 I parametri ottici e geometrici del prisma Prendendo in considerazione la sezione CC’V della figura 10 otteniamo la sezione del prisma in figura 11, dove in essa abbiamo: n1 = indice di refrazione del mezzo che precede il prisma n’1 = indice di refrazione del mezzo che costituisce il prisma n’2 = indice di refrazione del mezzo che segue il prisma questi tre indici di refrazione costituiscono i parametri ottici; α = angolo di rifrangenza del prisma questo unico angolo costituisce il parametro geometrico. Nella generalità della situazione quindi il comportamento ottico del prisma è individuato da quattro parametri complessivi; essi possono ridursi a tre se il mezzo che precede è uguale a quello che segue il prisma (cioè se n1 = n’2) ed allora il prisma si dirà immerso nello stesso mezzo. Si distinguono due tipologie di prismi: 1) prisma fisico o geometrico si ha quando l’angolo di rifrangenza α è maggiore di 15° (α >15°) 2) prisma sottile od oftalmico: quando l’angolo di rifrangenza α è minore od uguale a 15° (α ≤ 15°). 2.6.2 Il comportamento ottico del prisma La modificazione della traiettoria di un raggio luminoso che attraversi un prisma dipende ovviamente dalle relazioni che intercorrono tra i parametri ottici n1, n’1
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ed n’2 (condizioni ottiche); nel nostro studio prenderemo in considerazione il caso ottico più comune nella realtà, ossia: n’1 > n1, n’2 cioè quando il prisma ha indice di refrazione assoluto maggiore di quello dei mezzi che lo circondano. In questa ipotesi la traiettoria di un raggio monocromatico che attraversa il prisma è rappresentata in figura 12 (supponiamo per ora che n1 ≠ n’2). Il raggio incidente attraversando la prima su- Figura 12. Angolo di deviazione del prisma perficie del prisma, per le conseguenze della legge di Snell-Cartesio, dopo la refrazione si avvicina alla normale (n’1 > n1) e arrivato sulla seconda superficie fuoriesce dal prisma allontanandosi dalla normale in quanto n’2 < n’1; pertanto osservando la direzione del raggio incidente (con prolungamento tratteggiato nel disegno) e quella del prolungamento del raggio rifratto che si incontrano in K, possiamo dire che in tali condizioni ottiche (le ripetiamo n’1 > n1, n’2), l’effetto del prisma è quello di far ruotare la radiazione emergente, rispetto a quella entrante, verso la base del prisma. L’angolo che rappresenta tale rotazione viene detto angolo di deviazione del raggio (prodotta dal prisma). In alcuni casi viene chiamato, più semplicemente, angolo di deviazione del prisma. Esso è indicato con δ ed è individuato dal prolungamento della direzione del raggio incidente e da quello del raggio rifratto. Per tale ragione un prisma viene anche definito un deviatore di vergenza (dove per vergenza in questa sede si intende qualcosa riconducibile all’inclinazione del raggio). Quando il prisma è immerso nello stesso mezzo ottico, nella condizione ottica n’1 > n1 = n’2 e gli angoli sono ≤ 30° l’angolo di deviazione δ si calcola con la relazione (formula della deviazione del prisma quando n1 = n’2 ≠ 1) Nel caso particolare in cui il prisma è immerso in aria (n1 = n’2 = 1) la formula diviene: (formula della deviazione del prisma quando n1 = n’2 = 1) Si ricorda, ancora una volta, che con n’1 si fa riferimento all’indice di refrazione del prisma. Sottolineiamo che la validità delle precedenti relazioni è dovuta a due ipotesi semplificatrici: la prima presuppone angoli minori di 30°, la seconda presuppone che il prisma sia immerso nello stesso mezzo ottico (aria od altro mezzo). 2.6.3 La formazione dell’immagine con il prisma Come si è detto l’effetto del prisma, quando il suo indice di refrazione ha valore maggiore di quello dei mezzi che lo circondano, è quello di far ruotare la radiazione uscente verso la propria base; vogliamo pertanto determinare il meccanismo grafico con il quale si formerà l’immagine di un oggetto osservato attraverso di esso, riferendoci alla figura 13 e ricordando che a questo scopo è necessario il tracciamento di almeno due raggi. In figura 13 consideriamo un prisma generico, cioè con α > 15°; i due raggi che partono dall’oggetto A attraversando il prisma subiscono una rotazione verso la base di questo; pertanto giungono sull’osservatore O con una vergenza tale che all’osservatore pare provengano da un punto A’, detto immagine di A data dal prisma, individuato
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dai prolungamenti dei raggi uscenti dal prisma e spostato verso il vertice V. Riepilogando: il comportamento di un prisma per il quale vale n’1 > n1, n’2 determina una rotazione verso il vertice dell’immagine (in conseguenza della rotazione verso la base dei raggi uscenti) ed un avvicinamento verso Figura 13. Formazione dell’immagine data da un prisma generico il prisma dell’immagine stessa. Questo avvicinamento potrebbe determinare un effetto di ingrandimento dell’immagine che, in realtà, viene trascurato poiché si utilizzano prismi sottili (α ≤ 15°). Da notare infine che, parlando rigorosamente, le deviazioni subite dai raggi incidenti tracciati sono diverse tra loro (e difatti nel disegno le abbiamo indicate distintamente con δ1 e δ2) ma in pratica si ritengono uguali quando gli angoli in gioco sono comunque minori di 30°. Consideriamo adesso un prisma sottile od oftalmico, cioè con α ≤ 15° (vedi figura 14); anche in questo caso l’immagine sarà spostata verso il vertice ma, data la “sottigliezza” del prisma, dovuta al suo piccolo angolo di rifrangenza, possiamo approssimare che la deviazione complessiva avvenga proprio sull’asse. Proprio in virtù di questa approssimazione si può affermare che l’immagine venga a formarsi sulla verticale del punto A, trascurando l’effetto di avvicinamento (e di ingrandimento) rilevato in precedenza, come rappresentato in figura 14 (con α maggiorato per esigenze grafiche). Il vantaggio dell’uso dei prismi oftalmici consiste quindi nell’affermare che l’immagine si trova alla stessa distanza dell’oggetto dal prisma ed entrambe le distanze vengono riferite al suo asse. 2.6.4. Misura della deviazione: la diottria prismatica Lo studio del prisma permette di definire un particolare sistema di misura degli angoli: il sistema della diottria prismatica. Ci sono due distinte maniere per definire tale nuova unità di misura di un angolo, vediamole entrambe. Il primo modo, che definiremo geometrico, fa riferimento a quanto stabilito nel sistema analitico o circolare o dell’angolo radiante, in cui la misura di un angolo in radianti, è data dal rapporto tra l’arco di circonferenza l ed il raggio r espressi nella stessa unità di misura. Nel caso della diottria prismatica avremo invece la situazione
Figura 14. Formazione dell’immagine data da un prisma sottile
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di figura 15, nella quale l’angolo ϕ avrà ampiezza di 1 diottria prismatica (simbolo Δ) quando alla lunghezza del raggio di 1 m (un metro) corrisponde un arco di circonferenza (l) di lunghezza 1 cm (un centimetro); in formula
Ricordando che la misura di un angolo espressa in milliradianti (mrad) è definita dal rapporto tra la lunghezza dell’arco espressa in mm (millimetri) e quella del raggio in m (metri), ossia in formula
per la definizione della diottria prismatica possiamo allora scrivere
Questa espressione rappresenta l’equivalenza fondamentale tra i due sistemi di misura. Il secondo modo, che definiremo ottico, chiama invece in causa direttamente il comportamento deviatorio del prisma nei confronti della radiazione che lo attraversa, consideriamo infatti la figura 16. Nella figura 16 si considera una sorgente monocromatica A che emette radiazione con traiettoria inizialmente orizzontale fino ad incontrare nel punto A1 uno schermo (S) verticale; sul percorso del raggio viene poi posto un prisma sottile che imprime alla radiazione una deviazione di un angolo δ verso la propria base; se il prisma, come si suppone, è immerso in aria il raggio deviato in questo caso incontrerà lo schermo nel punto A2 e l’angolo di deviazione δ avrà ampiezza di 1 diottria prismatica (Δ) se la distanza tra i punti A1 ed A2 misura 1 cm (un centimetro) quando il prisma sottile è posto ad 1 m (un metro) dallo schermo, che tradotto in formula diviene
Alla luce di queste due definizioni possiamo concludere che, avendo un prisma con angolo α di nota ampiezza espressa in gradi, possiamo calcolarne la deviazione in diottrie prismatiche trasformando l’angolo di deviazione δ prima in milliradianti (moltiplicandolo per 17,45) e poi dividendo per 10; oppure, senza passare attraverso i milliradianti, moltiplicando direttamente per 1,745. Vediamo alcuni esempi di quanto sopra affermato: a) dato un prisma con n’1 =1,5 ed α = 5° ed immerso in aria avremo δ = 2,5° per cui δ = 2,5° ⋅ 1,745 ≅ 4,362 Δ b) dato un prisma con n’1 =1,6 ed α = 5° ed immerso in aria avremo δ = 3° per cui δ = 3° ⋅ 1,745 ≅ 5,235 Δ
Figura 15. Definizione analitica della diottria prismatica
Figura 16. Definizione optometrica della diottria prismatica