Formazione a Distanza Estratto da
EuVision
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Provider: Fabiano Group S.r.l. - Reg. San Giovanni 40 - 14053 Canelli (AT) Tel. 0141 827827 - Fax 0141 033112 - fad@fabianogroup.com
Indice dei contenuti 4
Effetto in vitro dello iodopovidone su alcuni ceppi di Staphylococcus Epidermidis e Staphylococcus Aureus di provenienza congiuntivale Stefano Palma
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Diagnostica per immagini (imaging) delle vie lacrimali di deflusso Giovanni Scorcia
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Emangioma cavernoso dell’orbita: presentazione di una serie di casi e revisione della letteratura Paolo Amaddeo
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IncidentalitĂ e guida automobilistica Nicola Pescosolido
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Effetto in vitro dello iodopovidone su alcuni ceppi di Staphylococcus Epidermidis e Staphylococcus Aureus di provenienza congiuntivale Stefano Palma Università “G. D’Annunzio” di Chieti, Dipartimento di Scienze Biomediche
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RIASSUNTO Una nostra contemporanea indagine in vivo ha evidenziato la persistenza a livello congiuntivele di alcuni ceppi batterici dopo profilassi preoperatoria con iodopovidone. Prendendo spunto da tale dato abbiamo voluto analizzare in vitro l’attività della sostanza nei confronti di alcuni ceppi di stafilococco epidermidis e di stafilococco aureus, germi talvolta apparentemente non sensibili nel primo studio. Lo iodopovidone si è dimostrato efficace in vitro già dopo 15” sia a
concentrazioni dell’1% che a concentrazioni del 5% nei confronti di tutti i ceppi di stafilococco epidermidis analizzati mentre nel caso dello S. Aureus i tempi di esposizione necessari per inibire la crescita batterica sono stati nella maggior parte dei casi più lunghi; ma due ceppi sembravano non rispondere dopo 2’.
Introduzione La disinfezione pre-operatoria della superficie oculare con iodopovidone al 5% rappresenta uno dei cardini della profilassi preoperatoria oftalmologica. L’instillazione di tale sostanza antisettica sembra infatti rappresentare il sistema più efficace nel contrastare la contaminazione settica della superficie oculare e nel ridurre il rischio di endoftalmite1. Il Povidone è un complesso organico idrofilico che agisce come trasportatore della componente Iodica alle membrane cellulari ed ha mostrato attività battericida ad ampio spettro ed attività anche nei con-
fronti di Funghi, Protozoi ed alcuni Virus2,3. Una volta raggiunta la parete cellulare il complesso Iodo-Povidone rilascia la componente Iodica che è rapidamente citotossica è uccide le cellule procariotiche in circa 10 secondi4. Altra componente Iodica libera viene via via rilasciata dal complesso Iodo-Povidone sostituendosi alla parte libera in precedenza consumata, fino al suo completo esaurimento. La concentrazione di Iodio libero aumenta con concentrazioni più diluite di Iodo-Povidone e quindi per paradosso l’efficacia battericida in vitro sembrerebbe essere maggiore a concentrazioni più diluite (0,1-1%) con attività batte-
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PAROLE CHIAVE Iodo-Povidone,Staphylococcus Epidermidis, Staphylococcus Aureus
ricida relativamente più rapida5. In vivo è stata invece dimostrata una maggiore attività battericida ad una concentrazione più elevata (5%)6. Un nostro contemporaneo studio in vivo pur confermando l’efficacia dello iodopovidone al 5% nei confronti di molte specie batteriche riscontrate a livello congiuntivale nell’immediato pre-operatorio e dimostrando una notevole riduzione della contaminazione batterica della superficie oculare a fine intervento (dopo la profilassi) ha peraltro evidenziato la persistenza di alcuni ceppi apparentemente non sensibili7. Questa evenienza ci ha indotto ad eseguire uno studio in vitro su ceppi di Stafilococco Epidermidis e Stafilococco Aureus riscontrati a livello congiuntivale a fine intervento o nel pre operatorio. Materiali e Metodi L’indagine è stata condotta analizzando l’attività in vitro dello Iodo-Povidone, ai tempi t1(15”), t2(30”), t3(1’), t4(2’), nei confronti di dieci ceppi di Staphylococcus Aureus Coagulasi positivo, ed in dieci ceppi di Staphylococcus Epidermidis Coagulasi negativo di origine congiuntivale. Cinque ceppi di Staphylococcus Aureus e cinque di Staphylococcus Epidermidis provenivano dalla congiuntiva di pazienti sottoposti ad intervento di cataratta e si trattava di germi persistenti a fine intervento messi in coltura presso il laboratorio di microbiologia dell’Ospedale Policlinico Casilino di Roma, dove i prelievi clinici erano stati effettuati. Gli altri ceppi di provenienza congiuntivele nel pre-operatorio erano in coltura presso la UOC (microbiologia, viroloia, immunologia) dell’Ospedale S. Pertini di Roma dove lo studio in vitro è stato effettuato. I ceppi analizzati crescevano in brodocoltura (1cc) mentre lo Iodo-Povidone è stato utilizzato alla concentrazione dell’1% e del 5%.
Tabella 1. Effetto in vitro dello iodopovidone a diverse concentrazioni e con diversi tempi di esposizione su ceppi di St. epidermidis e di St. Aureus di diversa proveneinza (oculare-orofaringea)
Risultati La tabella 1 riporta i risultati dello studio in vitro sull’efficacia dello Iodo-Povidone su ceppi di Staphylococcus Epidermidis e Staphylococcus Aureus. Tutti gli Staphylococcus Epidermidis, coagulasi negativi, trattati con Iodo-Povidone 5%, non hanno mostrato crescita nè col procedimento A (Iodo Povidone 1%) né con quello B (di Iodo-Povidone 5%). Gli Staphylococcus Aureus, coagulasi positivi, hanno mostrato un comportamento discordante. Otto ceppi su dieci hanno mostrato crescita solo al t1 (15”) sia col procedimento A che con quello B. Due ceppi su dieci, persistenti a livello congiuntivele dopo profilassi – a fine intervento di cataratta, hanno mostrato un comportamento diverso in presenza delle due diverse concentrazioni di iodopovidone: col procedimento A l’andamento era sovrapponibile a quello dei primi 8 ceppi con crescita fino al tempo T1 (15”N), mentre con la concetrazione B era presente crescita batterica fino al t4 (2’). Questo andamento coincide con quanto già noto in letteratura5 sull’efficacia in vitro delle diverse concentrazioni di IodoPovidone, ed in particolare sulla maggiore attività delle concentrazioni più basse.
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Discussione e Conclusioni Lo studio in vitro da noi condotto su diversi ceppi di Stafilococco Aureus e di Stafilococco Epidermidis di provenienza congiuntivale ha dimostrato l’efficacia dello iodopovidone già dopo 15” sia a concentrazioni dell’1% che a concentrazioni del 5% nei confronti di tutti i ceppi di Stafilococco Epidermidis analizzati. Dato questo estremamente confortante in considerazione dell’importanza di tale germe nella eziopatogenesi delle endoftalmiti. La persistenza di Stafilococco Epidermidis a fine intervento evidenziata in alcuni casi in un nostro contemporaneo studio non sembra attribuibile pertanto ad una mancanza di efficacia dello iodopovidone, quanto forse ad un ridotto mantenimento nel tempo di una giusta concentrazione della sostanza sulla superficie oculare. In presenza di S. Aureus i tempi di esposizione richiesti per inibire la crescita batterica sembrano essere più lunghi. Nella maggior parte dei casi appare
sufficiente un tempo di 30”, ma alcuni ceppi sembrano non rispondere in 2’ allo iodopovidone a concentrazione più alta (5%): paradosso già emerso in precedenti studi attribuibile all’aumento della concentrazione di Iodio libero con concentrazioni più diluite di Iodo-Povidone, ma riferibile per quanto noto ai soli studi in vitro. È possibile che i due ceppi (persistenti a fine intervento dopo profilassi) sui quali lo iodopovidone al 5% è risultato scarsamente attivo fossero particolarmente resistenti, ma non si deve trascurare il fatto che anche in un nostro precedente studio in vivo7 proprio lo stafilococco aureus era il germe nei confronti del quale la profilassi preoperatoria eseguita con la medesima sostanza risultava meno efficace. Una certa attenzione va quindi rivolta a questo germe verificando nuovamente sia in vitro che in vivo i necessari tempi di esposizione e le concentrazioni eventualmente idonee ad ottenere l’arresto della cre scita batterica.
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NOTE
Diagnostica per immagini (imaging) delle vie lacrimali di deflusso Giovanni Scorcia Cattedra di Malattie Apparato Visivo – Università di Catanzaro
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ABSTRACT The diagnostics of the lacrimal drainage evolved over the last few years. We can divide the diagnostic imaging (imaging) based on sensitivity techniques used in techniques than first level (Low Tech) and second level (High Tech). Techniques of first level understanding the radiographs of the skull. The techniques of second level (High Tech) include Ultrasound exame (UBM B Scan), the study of radio-tomographic lacrimal drainage apparatus by Dacryocystography (DCG) and Computerized Axial Dacriotomography (Dacrio-TC). Through the Dacrio-TC can detect the location of obstruction or stenosis of the lacrimal drainage and is an irreplaceable method in the comparative assessment of cases of success or failure of a dacriocistorinostomy and follow up of patients operated on. The Dacrio-TC is proved to be a safe method and has no side effects were not reported allergies and/or systemic intolerance to contrast medium iodate.
RIASSUNTO La diagnostica strumentale delle vie lacrimali di deflusso si è evoluta nel corso degli ultimi anni. Possiamo suddividere la diagnostica per immagini (imaging) in base alla sensibilità delle tecniche utilizzate in tecniche di 1° livello o “Low Tech” e di 2° livello o “High Tech”. Nelle tecniche di 1° livello viene compresa la “Radiografia Standard del Cranio”. Le tecniche di 2° livello o “High Tech” comprendono l’Ecografia B Scan UBM, lo studio radio-tomografico dell’apparato lacrimale di deflusso mediante Dacriocistografia (DCG) e Dacriotomografia AssialeCcomputerizzata (Dacrio-TC). Mediante la Dacrio-TC è possibile rilevare la localizzazione dell’ostruzione o della stenosi delle vie lacrimali di deflusso e rappresenta una metodica insostituibile nella valutazione comparativa dei casi di successo o di fallimento di una dacriocistorinostomia e nel follow up dei pazienti operati. La Dacrio-TC si è rivelata una metodica sicura e priva di effetti collaterali:non sono state segnalate allergie e/o intolleranze sistemiche al m.d.c. iodato.
KEYWORDS: Lacrimal drainage, Dacriocistography, Computerized Axial Dacriotomography
PAROLE CHIAVE: Vie lacrimali di deflusso, dacriocistografia, dacriocistografia assiale computerizzata
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La diagnostica strumentale delle vie lacrimali di deflusso si è evoluta nel corso degli ultimi anni. Le tecniche radiologiche sempre più sofisticate hanno consentito la visualizzazione morfo – funzionale del flusso lacrimale in relazione ai suoi aspetti di fisiopatologia. La diagnostica radiologica delle vie lacrimali vede i suoi albori nel 1922, quando Campbell e coll. eseguivano studi radiografici limitati al sacco lacrimale nella sola proiezione sagittale postero-anteriore; successivamente, nel 1959 Jones apportò decisive innovazioni alla classica tecnica di esame proponendo l’impiego del catetere lacrimale al posto dell’ago, per l’introduzione del mezzo di contrasto nei canalicoli e l’acquisizione di radiogrammi seriati con cui si otteneva la completa visualizzazione del sistema lacrimale di deflusso. In tempi più recenti l’evoluzione delle conoscenze relative alla patologia lacrimale e alla sua correlazione esistente con eventuali anomalie nasali e/o paranasali, nonché dello scheletro orbito-facciale, ha reso imprescindibile ai fini di una corretta e approfondita diagnosi strumentale l’uso di sofisticate tecniche di imaging. Tra queste, la Tomografia Computerizzata è in grado di evidenziare: anomalie delle cellule etmoidali, dei turbinati o dei meati nasali nonché condizioni di ipertrofia della mucosa nasale, talvolta responsabili di fenomeni ostruttivi a carico dell’orifizio inferiore del dotto naso-lacrimale o dell’obliterazione di una rinostomia. Possiamo suddividere la diagnostica per immagini (imaging) in base alla sensibilità delle tecniche utilizzate in tecniche di 1° livello o “Low Tech” e di 2° livello o “High Tech”. Nelle tecniche di 1° livello viene compresa la “RADIOGRAFIA STANDARD del CRANIO”, in duplice proiezione (antero-posteriore e latero-laterale); si tratta di indagine semplice e non invasiva con la quale si visualizzano le parti ossee delle vie lacrimali, delle cavità nasali e dei seni paranasali. La
Strumentario per la Dacrio- TC
presenza di lesioni traumatiche e anomalie cranio-facciali sono i reperti più frequenti. I limiti sono dati dalla bassa sensibilità e specificità della metodica che non consentono diagnosi sempre attendibili e di precisione. Le tecniche di 2° livello o “High Tech” comprendono l’ecografia, lo studio radio-tomografico dell’apparato lacrimale di deflusso mediante dacriocistografia (DCG) e dacriotomografia assiale computerizzata (dacriotc). L’“Ecografia B scan UBM” è un esame incruento, di rapida esecuzione, che fornisce informazioni sulle strutture anatomiche normali o sulla presenza di ostruzioni alte, grossolane, delle vie lacrimali di deflusso. Essa è particolarmente indicata in età pediatrica per il vantaggio della sua non invasività e perché non occorre sedazione. È in
Definizione e spessore delle sezioni e dei piani di scansione
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Dacrio- TC normale: ricostruzione 3 D
grado di identificare ostruzioni situate a livello dei canalicoli o del seno di Meier, ma non la si può considerare scevra da svantaggi per le scarse informazioni funzionali, per la mancata identificazione delle ostruzioni basse e per la presenza di numerosi possibili artefatti. L’Ultrabiomicroscopia (UBM) si avvale dell’uso di trasduttori ad alta frequenza (20-35-50 Hz), applicata in campo oftalmologico per l’osservazione ad alta risoluzione delle strutture oculari più superficiali. La “Dacriocistografia (DCG)” visualizza la pervietà dei canalicoli, del sacco lacrimale e del dotto naso-lacrimale, mentre in caso di ostruzione o stenosi, evidenzia localizzazione e grado di queste o la presenza di fistole, diverticoli, concrezioni litiasiche (dacrioliti). Essa viene eseguita mediante acquisizione di una serie di radiogrammi scattati a breve distanza l’uno dall’ altro utilizzando un amplificatore di brillanza, durante l’introduzione di mezzo di contrasto iodato (iopamidolo), previa incannulazione dei canalicoli lacrimali attraverso i puntini inferiori con ago cannula del diametro di 25 o 26 G. Le indicazioni comprendono, dunque, tutte le condizioni in cui il sintomo dominante è l’epifora, ed in generale, tutti i casi in cui si sospetti la presenza di patologia ostruttiva in cui il lavaggio delle vie lacrimali dimostri impervietà.
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La DCG è indicata, inoltre, nella valutazione preoperatoria di un intervento chirurgico volto al ripristino del deflusso, nella microchirurgia dei canalicoli, o nei casi in cui precedenti interventi chirurgici come la dacriocistorinostomia, o la plastica ricostruttiva dei canalicoli non siano andate a buon fine. Il metodo della “sottrazione digitale” delle strutture ossee analizza particolarmente le caratteristiche anatomiche delle vie lacrimali,eliminando le immagini radiopache di fondo. Il limite più importante della DCG è conseguente alla necessità, a volte, di dover iniettare con energia il mezzo di contrasto attraverso il catetere collegato alla cannula lacrimale: la pressione di iniezione del liquido (sicuramente maggiore di quella di flusso fisiologico delle lacrime) può risolvere artificiosamente piccole sub stenosi o rimuovere dacrioliti, simulando pervietà delle vie. L’evoluzione della DCG è costituita dalla “tomografia computerizzata (Dacrio TC)”. Essa trova, attualmente, numerose indicazioni applicative: – nel realizzare studi morfometrici sul sistema lacrimale di deflusso: la conoscenza dettagliata dell’anatomia del sacco lacrimale e del condotto naso-lacrimale è infatti essenziale all’oftalmologo per la precisa pianificazione di qualsiasi procedura interventistica o chirurgica (endoscopia lacrimale, impianto di stent, dacriocistorinostomia) allo scopo di evitare manipolazioni inutili o dannose. – nell’evidenziazione di patologie rinologiche e/o dei seni paranasali spesso cause misconosciute di ostruzione al deflusso lacrimale: l’ipertrofia della mucosa nasale, le varianti morfologiche dei turbinati o dei meati nasali, la poliposi nasale, le sinusiti acute e croniche – nella diagnostica delle anomalie congenite dell’apparato lacrimale di deflusso: sacco lacrimale soprannumerario associato (spesso a fondo cieco), aplasia del dotto
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nasolacrimale (di frequente associata ad arinia), dotto nasolacrimale soprannumerario (spesso associato a polirinia), atresia o ostruzione del dotto nasolacrimale. nella visualizzazione di una rara anomalia, quale il diverticolo del sacco lacrimale: consistente in una condizione caratterizzata dalla presenza di una struttura cistica che comunica con il sacco lacrimale nella dacriolitiasi al fine di evitare l’insorgenza di complicanze stenotico - infiammatorie laddove vi sia diagnosi tardiva nel “determinare la distribuzione normale dei diametri del canale lacrimale osseo ed accertare se vi è un’associazione fra il diametro del canale osseo e l’ostruzione primaria del condotto nasolacrimale (PANDO)”, l’accertamento mediante TC è stato eseguito da Janssen, Mansour e coll. che hanno osservato le variazioni anatomiche del canale osseo naso-lacrimale tra i due sessi: esso nelle donne è più lungo e più stretto e pertanto responsabile di una maggiore incidenza di ostruzione del dotto naso-lacrimale nei soggetti di sesso femminile. nella diagnosi delle lesioni tumorali primitive del sistema naso-lacrimale e di quelle del complesso rino-sinusale che colpiscono secondariamente l’apparato lacrimale: i papillomi: l’emangioma del dotto naso-lacrimale, linfoma primitivo del sistema naso-lacrimale e il melanoma del sacco, ostruzioni secondarie delle vie lacrimali in corso di neoplasie sistemiche (linfomi, leucemie, carcinomi). nella valutazione post-operatoria dopo dacriocistorinostomia ab externo o dopo inserimento di uno “stent” lacrimale (dacriocistostenting). mediante TC è possibile valutare la presenza di lesioni del sistema lacrimale secondarie a traumi del massiccio facciale accidentali (fratture tipo Lefort I-II-III) o iatrogene (osteotomie) e che possono essere responsabili di epifora permanente, a
Dacrio- TC patologica: ricostruzione 3 D
causa degli stretti rapporti anatomici tra la parte intraossea delle vie lacrimali di deflusso e il massiccio facciale anteriore. La tomografia si avvale dell’immagine assiale corrispondente a sezioni trasversali del distretto corporeo in esame, del quale vengono rappresentati tutti i tessuti, ognuno dotato di una propria densità. La TC consente di ottenere sezioni oblique sul piano trasversale, sezioni coronali o frontali e scansioni assiali (di spessore pari a 3 mm). Oltre alla tomografia tradizionale, è disponibile la TC spirale (elicoidale o volumetrica), in grado di acquisire scansioni mediante rotazioni multiple del sistema, raccogliendo dati non già di una sezione ma di un volume anatomico; da questi dati volumetrici il software elabora e ricostruisce rapidamente immagini assiali contigue, sovrapposte o distanziate. Le scansioni spirali hanno tempi di acquisizione (30-50 sec.) inferiori rispetto alla metodica tradizionale e forniscono immagini assiali ottimali per ottenere ricostruzioni su diversi piani (multiplanari) e ricostruzioni elettroniche tridimensionali (3D); in tal modo è possibile la visualizzazione “spaziale” delle diverse componenti del sistema lacrimale e dei loro rapporti con le strutture circostanti. La dacrio-tc si esegue con l’uso di mezzo di
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Dacriocistografia: immagine con sottrazione ossea
contrasto che viene fatto defluire nelle vie lacrimali previa incannulazione, allo scopo di opacizzarne ed evidenziarne le varie porzioni (“contrast enhancement”). La sostanza utilizzabile in questa procedura è idrosolubile come lo “Iopamidolo”; esso è generalmente ben tollerato poiché la sua viscosità a 37°C si avvicina a quella del fluido lacrimale e, miscelandosi in modo omogeneo ad esso, ne consente la dettagliata visualizzazione nei condotti opacizzati. Presenta caratteristiche di fluidità tali da attraversare facilmente condotti a sezione sottile come cannule e cateteri lacrimali e, contemporaneamente, densità tale da persistere nelle vie lacrimali per il tempo necessario a consentire l’esecuzione delle scansioni. L’impiego dei mezzi di contrasto idrosolubili riduce le conseguenze legate all’insorgenza di cheratopatie superficiali, causate in parte
Ecografia del sacco lacrimale
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dalla tossicità del collirio anestetico sull’epitelio, in parte dalla prolungata esposizione della cornea durante l’esame. Non sono noti fenomeni allergici a seguito dell’introduzione del mezzo di contrasto per via endocanalicolare, in quanto l’assorbimento della sostanza attraverso la mucosa delle vie lacrimali è praticamente nullo; pertanto non si rende necessaria alcuna premedicazione desensibilizzante nei giorni che precedono l’esame né si richiedono da parte del paziente particolari precauzioni e/o comportamenti. L’esecuzione dell’esame deve essere preceduto da irrigazione delle vie lacrimali con soluzione fisiologica al fine di eliminare eventuali residui di muco o detriti cellulari. Si procede con il paziente in posizione supina sul lettino radiologico, all’instillazione di anestetico locale nel sacco congiuntivale ed a dilatazione dei puntini lacrimali, in cui si andranno a posizionare due cannule lacrimali (da 25 o 26 G) una per lato, in ciascun canalicolo. Le cannule sono collegate a due sottili cateteri, le cui estremità fanno capo ad un raccordo unico, connesso a sua volta ad un deflussore dal quale fluisce a goccia lenta il mezzo di contrasto per circa 5-7 minuti. Questo scorrerà completamente nelle vie lacrimali di deflusso se pervie, mentre apparirà interrotto nelle stenosi o ostruzioni. Questa applicazione permette lo scorrimento fisiologico continuo del mezzo di contrasto per l’intero tempo di acquisizione delle scansioni, mantenendo distese le pareti dei condotti consentendo la visualizzazione di tutti i segmenti delle vie lacrimali di deflusso; inoltre l’osservazione del deflusso bilaterale contemporaneo del mezzo di contrasto fornisce informazioni diagnostiche morfofunzionali sia in caso di patologia simmetrica sia in caso di anomalie monolaterali. Dopo aver cateterizzato i condotti lacrimali e posizionato correttamente il paziente (la cui testa viene immobilizzata per evitare ar-
tefatti da movimento), mediante un cursore elettronico viene selezionata e delimitata l’area di interesse sulla quale si programmano le sezioni di opportuno spessore ed orientate secondo opportune angolazioni. Lo spessore delle sezioni (scansioni) sarà tanto minore e il loro numero tanto maggiore quanto migliore sarà la risoluzione dell’immagine delle strutture esaminate. Le immagini acquisite vengono ricostruite dal computer e trasmesse al monitor dove sono visibili in tempo reale, e successivamente memorizzate e riportate su pellicola radiografica. Nell’immagine visualizzata, i tessuti più densi appaiono in grigio chiaro, quelli meno densi in grigio scuro ed è possibile eseguire in modo automatico misure quantitative di attenuazione e di densità di una determinata struttura o area di interesse
nonché determinare le dimensioni lineari di parti dell’immagine. L’indagine TC permette di ottenere ricostruzioni bi-tridimensionali che consentono la visualizzazione delle più minute porzioni del sistema lacrimale di deflusso e delle strutture ossee ad esse adiacenti; Mediante la dacrio-TC è possibile rilevare esattamente la localizzazione dell’ostruzione o della stenosi lungo i diversi tratti delle vie lacrimali di deflusso e rappresenta una metodica insostituibile nella valutazione comparativa dei casi di successo o di fallimento di una dacriocistorinostomia e nel follow up dei pazienti operati. La dacrio-Tc si è rivelata una metodica sicura e priva di effetti collaterali:non sono state segnalate allergie e/o intolleranze si stemiche al m.d.c. iodato.
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Emangioma cavernoso dell’orbita: presentazione di una serie di casi e revisione della letteratura Paolo Amaddeo U.S.C. Ch. Maxillo-Facciale Ospedali Riuniti di Bergamo
ABSTRACT Cavernous hemangiomas represents the most frequent benign tumor of the orbit, it is most popular in the female sex in the fourth and fith decades. It is a monolateral lesion with tardive symptoms frequentely representeted by progressive exophthalmus without pain; it is showed by a mass non riducible and non pulsant. We present few cases operated in our Division because the Patients presented an endoorbital mass with the clinical caracteristics of cavernous hemangiomas. In our Division we proceeded to surgical extirpation by different approaches due to the unlike position of the mass. In the periodic examens in our Division all Patients showed the absence of recurrence and the conservation of the eye movements and also of the visus. The hystological examens were of Cavernous hemangiomas in all cases.
RIASSUNTO Obiettivo: L’emangioma cavernoso rappresenta il tumore benigno più frequente dell’orbita, interessa di preferenza il sesso femminile e l’età media di insorgenza è di circa 40-50 anni.Tipicamente appare come una lesione monolaterale, con manifestazioni cliniche tardive, caratterizzate dalla comparsa di esoftalmo progressivo con assenza di dolore; si manifesta come una massa riducibile e non pulsante. Metodo: Si presentano alcuni casi clinici esemplificativi di pazienti che sono stati trattati nella nostra Unità Operativa a seguito del riscontro di una neoformazione endoorbitaria con le caratteristiche cliniche dell’emangioma cavernoso. Risultati: Si procedeva ad asportazione chirurgica della lesione mediante accessi diversi a seconda della posizione della neoformazione. Conclusioni: Nei controlli clinici periodici presso la Nostra U.O. si poteva evidenziare per tutti i pazienti trattati l’assenza di recidive ed il mantenimento dei movimenti estrinseci dell’orbita con la conservazione del visus. L’esame istologico era di angioma cavernoso. PAROLE CHIAVE: Orbital haemangiomas, Orbital tumors, Maxillo-facial surgery
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Introduzione Le malformazioni vascolari dell’orbita sono state, in passato, classificate facendo ricorso a criteri di tipo clinico, morfologico od istologico, generando, a volte, confusione tra i clinici. Le prime classificazioni si devono a Virchow nel 1863 ed a Wegner nel 18771-2, successivamente, Mulliken e Glowacki nel 1982 introdussero la classificazione basata su criteri biologici e caratteristiche di cellularità endoteliale3-4; nel 1993 Jackson, Padwa nel 1995 e successivamente Enjorlas nel 1997 hanno tentato di dare ordine a questa materia complessa5-6, infine nel 1998 è stata introdotta, dai membri dell’Orbital Society, una nuova classificazione delle lesioni vascolari dell’orbita basata su principi emodinamici6. Si dividono così in lesioni Tipo 1, o con assenza di flusso, si tratta di malformazioni con piccole connessioni al sistema vascolare ed include i linfangiomi, gli angiomi cavernosi e le lesioni linfangiomatose. Tipo 2, o a basso flusso, malformazioni distensibili, aventi una diretta e ricca connessione con il sistema venoso, che aumentano di volume con la manovra di Valsalva e rappresentate essenzialmente dalle varici orbitarie. Il Tipo 3, ad alto flusso, sono lesioni a flusso arterioso e rappresentate dalle fistole arterovenose7. Si parlerà così di tre grandi categorie: gli emangiomi immaturi, le malformazioni vascolari vere e proprie ed infine i tumori vascolari7. Gli emangiomi immaturi sono caratterizzati da ipercellularità e da una proliferazione delle cellule endoteliali, non sono presenti alla nascita e tendono a regredire spontaneamente con gli anni8. Le malformazioni vascolari vere e proprie presentano delle anomalie strutturali, possono esser classificate in base al tipo di vaso coinvolto in: malformazioni capillari, malformazioni arteriose, malformazioni ve-
nose, malformazioni linfatiche. Queste malformazioni sono spesse combinate tra loro per dar origine a malformazioni capillaro-venose, capillaro-linfatiche ed artero-venose. Queste ultime malformazioni sono divise, a loro volta, in malformazioni a basso ed alto flusso. Quelle a basso flusso, che sono le più frequenti, sono distinte in: capillari venose, linfatiche oppure in linfangiomi. Le malformazioni ad alto flusso, invece, comprendono le malformazioni arteriose, gli aneurismi, le ectasie, le coartazioni e le fistole arteriose-venose8. Dal punto di vista clinico un emangioma immaturo non è presente alla nascita, ha una crescita rapida postnatale seguita da una fase di proliferazione e regressione lenta; il sesso femminile sembra più colpito con un rapporto di 3:18. Le malformazioni vascolari, invece, sono per definizione congenite, si sviluppano con gli anni e possono subire modificazioni grazie a stimoli traumatici, infettivi od ormonali, in questo caso il rapporto maschi-femmine è di 1:1. I tumori vascolari, sono principalmente rappresentati dall’emangioma capillare nell’infanzia e dall’angioma cavernoso nell’età adulta. L’emangioma capillare infantile è uno dei tumori benigni più frequenti nell’infanzia dovuto ad una proliferazione di un ammasso di capillari di medesima taglia e struttura dei capillari normali; può manifestarsi sottoforma di piccole lesioni isolate oppure di imponenti masse8. Da un punto di vista clinico, l’emangioma capillare, compare, tipicamente, nei primi mesi di vita; mentre in un terzo dei casi si manifesta già alla nascita, come una lesione piatta, contornata da teleangectasie venose. Con il tempo, la zona interessata apparirà, invece, rilevata con piccoli noduli lisci e lobulati. Nel caso in cui la lesione sia situata nei piani più profondi dei tessuti molli, apparirà come un rigonfiamento di
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colore porpora o bluastro, simulando, quindi, un ematoma. Una volta diagnosticato, il tumore subirà una fase di proliferazione rapida, con una durata media di tre-sei mesi dalla diagnosi, dopo un periodo di stabilizzazione subentrerà una fase di involuzione definitiva, nella quale, l’aspetto caratteristico sarà una diminuzione della tensione cutanea con la comparsa di una colorazione più tenue e la presenza di piccole lesioni grigiastre in superficie; quest’involuzione, comincia attorno ai cinque anni e potrà prolungarsi fino ai dieci anni circa, senza, nella maggior parte dei casi, alcun difetto estetico. Le modeste sequele estetiche residue, sono rappresentate da cicatrici e nel caso di una localizzazione al cuoio capelluto dalla perdita di capelli9. Caso 1 M.V., 54 anni, sesso maschile giungeva alla nostra attenzione per la presenza di una neoformazione endoorbitaria supero-ester-
na all’occhio sinistro, presente da circa un anno e seguita dal curante, il quale consigliava visita Oculistica con esecuzione di R.M.N. delle orbite dalla quale risultava in corrispondenza della fossa lacrimale sinistra un processo espansivo extra-conico costituito da una parte orbitaria ed una intraossea; la porzione intra-orbitaria occupava lo spazio supero-esterno, tra il muscolo elevatore della palpebra ed il retto laterale, le dimensioni di tale lesione erano di diametro maggiore antero-posteriore di circa 2 cm; lateralmente la lesione si continuava con la componente intraossea, con diametro massimo di 12 mm che si sviluppava nell’osso frontale. Nella sequenza T1 la lesione aveva un aspetto isodenso rispetto al tessuto muscolare, mentre era iperintenso in sequenza T2. La diagnosi radiologica propendeva per un quadro di adenoma pleomorfo (Figure 1-2). All’esame obiettivo i movimenti oculomotori estrinseci risultavano conservati
Figure 1-2. Tc e R.M.N. delle orbite che evidenziano in corrispondenza della fossa lacrimale sinistra un processo espansivo extra-conico costituito da una parte orbitaria ed una intraossea; la porzione intra-orbitaria occupava lo spazio superoesterno, tra il muscolo elevatore della palpebra ed il retto laterale
Figure 3-4-5. All’esame obiettivo i movimenti oculomotori estrinseci risultavano conservati e la cute sovrastante indenne
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(Figure 3-4). La neoformazione era palpabile, di consistenza elastica e mobile sui piani; la cute sovrastante appariva integra (Figura 5). Il paziente riferiva una diplopia nelle versioni a sinistra ed in alto. Si procedeva ad asportazione chirurgica di tale lesione con un accesso secondo Kronlein; la lesione appariva indovata a livello del tetto orbitario, lateralmente alla ghiandola lacrimale, si evidenziava inoltre un’erosione della componente ossea (Figure 6-7-8-9). Nei controlli clinici periodici presso la Nostra U.O. si evidenziava il mantenimento
dei movimenti estrinseci dell’orbita con la conservazione del visus (Figure 10-11-1213-14). L’esame istologico era di angioma cavernoso. Caso 2 B.L. 65 anni, sesso femminile, da anni portatrice di una neoformazione intraconica con diametro maggiore di circa 3 cm. La diagnosi radiologica propendeva per un quadro di angioma cavernoso (Figura 15). All’esame obiettivo i movimenti oculomotori estrinseci risultavano conservati. La paziente presentava un esoftalmo di grado medio e non riferiva diplopia.
Figure 6-7-8-9. Accesso secondo Kronlëin, la lesione appariva indovata a livello del tetto orbitario, lateralmente alla ghiandola lacrimale, si evidenziava inoltre un’erosione della componente ossea.
Figure 10-11-12-13-14. Nei controlli clinici periodici presso la Nostra U.O. si evidenziava il mantenimento dei movimenti estrinseci dell’orbita con la conservazione del visus. Figura 10: controllo a 6 giorni; figure 11-12-13: controllo a 12 mesi. Figura 14: Conservazione dei movimenti
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del visus e la RM eseguita a distanza evidenziava il buon esito dell’intervento (Figura 18). L’esame istologico confermava il sospetto clinico di angioma cavernoso.
Figura 15. Neoformazione intraconica con diametro maggiore di circa 3 cm
Si procedeva ad asportazione chirurgica di tale lesione con un accesso laterale secondo Kronlein (Figure 16-17). Ai controlli clinici postoperatori si evidenziava il mantenimento dei movimenti estrinseci dell’orbita con la conservazione
Figura 16-17. Asportazione chirurgica della neoformazione con un accesso laterale secondo Kronlein
Figura 18. RM.N. postoperatoria
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Caso 3 A.C. 60 anni, sesso maschile, inviatoci dal proprio oculista di fiducia a seguito del riscontro TC di neoformazione extraconica al polo inferiore dell’orbita ds (Figura 19). Il paziente presentava esoftalmo lieve senza lamentare diplopia. È stato sottoposto ad intervento con accesso congiuntivale inferiore (Figure 20-21) con completa e persistente risoluzione della patologia. L’esame istologico confermava il sospetto clinico di angioma cavernoso. Discussione L’emangioma cavernoso rappresenta il tumore benigno più frequente dell’orbita, interessa di preferenza il sesso femminile e l’età media di insorgenza è di circa 40-50 anni8-14-15-16-17. Tipicamente è una lesione monolaterale, con manifestazioni cliniche tardive, caratterizzate dalla comparsa di esoftalmo progressivo con assenza di dolore; si manifesta come una massa riducibile e non pulsante; nel caso delle localizzazioni anteriori si può apprezzare una massa sotto palpebrale ben delimitata non aderente ai piani profondi con la tendenza a debordare nell’orbita alla pressione. Nel caso di una localizzazione intraconica le manifestazioni cliniche sono più ricche: il paziente potrà riferire una riduzione dell’acuità visiva14-15-16-17. Diagnosi radiologica: L’ecografia risulta essere particolarmente utile; in modalità A (Amplitude Mode), condizione in cui gli echi vengono rappresentati come picchi di ampiezza proporzionali alla loro intensità, i bordi del tumore sono ben definiti con un orletto ben visibile; in modalità B
(Brightness Mode), in cui gli echi vengono visualizzati come punti di luminosità proporzionali alla loro intensità, si può evidenziare una massa intraconica con una superficie posteriore ben definita. La presenza di una struttura irregolare associata ad una struttura ben delimitata è la tipica espressione di un emangioma cavernoso1415-16. La T.A.C. evidenzia una struttura, nella maggior parte dei casi intraconica, ben circoscritta avente forma rotonda od ovalare, con contorni regolari. Raramente una piccola porzione del tumore presenta un’estensione extraconica. La maggior parte di queste lesioni è situata a livello della parete laterale dell’orbita determinando uno spostamento interno del nervo ottico. Dopo iniezione del mezzo di contrasto, l’emangioma ha una struttura omogenea od eterogenea nella medesima percentuale dei casi; il nervo ottico è spesso spostato dalla sua sede anatomica e si possono evidenziare anche delle zone di calcificazione. La R.M.N. orbitaria e cerebrale, permette una migliore definizione dei tessuti molli; l’emangioma cavernoso appare, tipicamente, isodenso nei confronti dei muscoli extra orbitari nella sequenza T1, contrastando con il segnale iperdenso della componente grassa presente nella sequenza T28-16. Macroscopicamente, l’emangioma cavernoso appare come una lesione di colore bluastro, di forma variabile, ben capsulata; i
peduncoli vascolari, afferenti la neoformazione, difficilmente sono visibili. La lesione è facilmente enucleabile in quanto la capsula non è aderente ai tessuti adiacenti; la sua dimensione è variabile ma difficilmente supera gli 8 cm3 8-16. Microscopicamente si ritrovano tre tipiche strutture dell’emangioma: una capsula esterna composta da fasci di fibre connettivali nelle quali si possono riscontrare dei fibrociti; delle vaste cavità vascolari irregolari sia per forma che per volume, con un diametro oscillante tra 250 e 1000 micron, rivestite internamente da endotelio. Si tratta di capillari dilatati contenenti sangue nerastro e poco ossigenato; bande fibrose paucicellulari, tra le cavità, aventi la medesima composizione della capsula8. La diagnosi differenziale si pone nei confronti del linfangioma, del rabdomiosarcoma, del neuroblastoma, delle cisti dermoidi,
Figura 19. TC: neoformazione extraconica al polo inferiore dell’orbita destra
Figura 20-21. Asportazione della neoformazione mediante accesso congiuntivele inferiore
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della cellulite orbitaria e di tutte le patologie infiammatorie acute7. Il punto in comune di tutte queste patologie, a differenza dell’emangioma cavernoso, risulta essere il fatto di presentarsi con un esoftalmo a rapida crescita. I maggiori problemi di diagnosi differenziale si pongono però nei confronti dei due tumori che più frequentemente possono essere confusi con l’emangioma cavernoso: il fibroma solitario dell'orbita e lo schwannoma. In entrambi i casi può essere di ausilio la diagnostica per immagini; nel caso del fibroma solitario dell'orbita la neoplasia alla TAC appare come una lesione ben circoscritta e capsulata, se la lesione fosse presente da anni si può osservare compressione ossea senza sua erosione. All’inserimento del mezzo di contrasto si evidenzia la presenza di una lesione delimitata con aspetto unico; anche nel caso di lesioni multiple o multilobulari, l’aspetto radiologico non cambia, sarà quindi al momento dell’atto chirurgico che si scoprirà l’aspetto plurilobulato18-19-20-21. Alla RM nelle sequenze T1 apparirà come una lesione modestamente isodensa in rapporto con i muscoli, mentre sarà ipodensa in contrasto con il grasso periorbitario. Nelle sequenze T2 potrà invece apparire con un’alternanza di aree iso-ipodense simulando il quadro di uno schwannoma8-10. Lo schwannoma. alla T.A.C. appare come una lesione ben delimitata, arrotondata ed
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ovalare; si evidenziano e si alternano aree a minor densità ed aree a densità simile a quella dei muscoli oculo-motori; queste aree ipodense intratumorali sono significative e tipiche dei tumori neurogeni e probabile espressione di cisti da necrosi emorragica8. Alla R.M.N. in fase T1 è una lesione ovalare ipo-isodensa, rapportata ai muscoli oculomotori; in fase T2 si alternano aree di ipo ed iperdensità8. Per queste sue caratteristiche radiografiche viene posta diagnosi differenziale in prima istanza con l’angioma cavernoso, può essere dirimente a questo riguardo uno studio R.M. dinamico23. Il trattamento dell’emangioma è prima di tutto chirurgico e si basa sull’asportazione radicale della lesione. I risultati sono soddisfacenti e le recidive rare; le difficoltà sono legate alla vicinanza ed ai rapporti con muscoli, vasi e strutture nervose17. L’approccio mediante orbitotomia laterale, eventualmente associato a disinserzione del muscolo retto laterale, rappresenta la tecnica più classica d’accesso, in quanto, permette di raggiungere gli angiomi cavernosi retrobulbari intraconici che sono i più frequenti. Altri accessi chirurgici sono condizionati dalla localizzazione della neoplasia; l’accesso per via transcongiuntivale è preferibile nelle localizzazioni anteriori12-17. Ultimamente si sono andate perfezionando tecniche di approccio microchirurgico che consentono la completa exeresi del tumore anche senza il ricorso ad orbitotomie24.
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Incidentalità e guida automobilistica PRIMA PARTE Nicola Pescosolido “Sapienza” - Università di Roma, I Facoltà di Medicina e Chirurgia, Dipartimento di Scienze dell’Invecchiamento
Incidentalità I dati relativi alla sicurezza stradale periodicamente pubblicati dall’ISTAT-ACI (2007), ci portano a ricavare alcuni aspetti particolarmente significativi per quel che riguarda il coinvolgimento del processo visivo nella guida automobilistica. Il maggior numero di incidenti si verifica su strade urbane, anche se quelli più gravi si verificano fuori città (Tabella 1). Le variabili coinvolte in un incidente stradale sono molteplici e, apparentemente non
AMBITI STRADALI Incidenti
Morti
Feriti
sembrano essere legate in modo primario a difetti e alterazioni visive. La figura 1 mette in evidenza l’incidenza degli incidenti nel corso delle ore della giornata e le curve che riguardano gli incidenti hanno un andamento in crescendo dalle prime ore del mattino per poi decrescere alla sera, con tre picchi significativi orientativamente situati alle ore 8.00, alle ore 12.00 e alle ore 18.00, ore in cui si ha il maggior numero di automobili in circolazione (particolarmente accentuato all’ini-
Indice di mortalità (a) Indice di lesività (b)
Strade urbane
182.177
2.494
242.042
1,3
132,8
Autostrade
13.319
590
22.646
4,4
170,0
Altre strade
42.628
2.585
68.267
6,1
160,1
Totale
238.124
5.669
332.955
2,4
139,4
(a) Rapporto tra il numero dei morti ed il numero degli incidenti, moltiplicato 100 (b) Rapporto tra il numero dei feriti e il numero degli incidenti, moltiplicato 100 Tabella 1. Incidentalità secondo l’ambito stradale – Anno 2006 (da ISTAT-ACI, 2007)
Figura 1. Incidenti stradali e indice di mortalità per 100 mila incidenti, per ore del giorno - Anno 2006 (da ISTAT-ACI, 2007)
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GIORNI DELLA SETTIMANA
Valori assoluti
Composizioni percentuali
Incedenti
Morti
Feriti
Incidenti
Morti
Feriti
Lunedì
34.429
784
46.911
14,4
13,8
14,1
Martedì
34.783
707
46.605
14,6
12,5
14,0
Mercoledì
34.742
666
46.330
14,6
11,7
13,9
Giovedì
36.041
714
48.337
15,1
12,6
14,5
Venerdì
36.574
803
49.796
15,4
14,2
15,0
Sabato
34.181
991
50.230
14,4
17,5
15,1
Domenica
27.374
1.004
44.746
11,5
17,7
13,4
Totale
238.124
5.669
332.955
100,0
100,0
100,0
Tabella 2. Incidenti, morti e feriti per giorni della settimana – Anno 2006 (valori assoluti e composizioni percentuali) (da ISTAT-ACI, 2007)
zio e alla fine delle ore lavorative) e in cui si verificano le significative variazioni di illuminazione naturale dell’ambiente. Si può notare, inoltre, dalla tabella 2 come l’incidenza è costante durante i giorni lavorativi, aumenta nel week-end e si riduce durante i giorni festivi (domenica), e il mese dell’anno a più alto rischio di sinistri è il mese di Luglio (Figura 2) Tra le principali cause di incidentalità non ci sarebbero però i disordini del sistema visivo, rappresentati dal mancato uso di lenti correttive o apparecchi di protesi e dalle situazioni di abbagliamento, probabilmente la valutazione dei disordini visivi limitata solo a questi due aspetti è molto restrittiva (Pescosolido, 2001). Carenze come causa presunta di incidentalità
possono infatti essere riscontrate anche in altri eventi, i principali dei quali sono quelli riportati nella tabella 3 (dati ISTAT-ACI, 2006). Inoltre, è interessante notare come il tasso di incidentalità nelle curve delle strade extraurbane a unica carreggiata è 2-5 volte (23% mortalità) il tasso di incidentalità in rettilineo. L’incidentalità decresce con il raggio delle curve e nelle strade extraurbane a due corsie le curve con raggio di 200 m hanno un doppio tasso di incidentalità rispetto alle curve con raggio di 400 m. Quindi è necessario razionalizzare gli impianti di segnaletica quale fattore di sicurezza e redigere apposite direttive per uniformare i criteri di installazione della segnaletica. Possono essere presenti condizioni visive del conducente per le quali il veicolo può
Figura 2. Incidenti stradali – dati mensili – Anni 2005-2006 (da ISTAT-ACI, 2007)
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DESCRIZIONE CAUSE
Procedeva senza rispettare le regole della precedenza o il semaforo di cui Procedeva senza rispettare lo stop Procedeva senza dare la precedenza al veicolo proveniente da destra Procedeva senza rispettare il segnale di dare precedenza Procedeva senza rispettare le segnalazioni semaforiche o dell’agente Procedeva con guida distratta o andamento indeciso Procedeva con velocità troppo elevata di cui Procedeva con eccesso di velocità Procedeva senza rispettare i limiti di velocità Procedeva senza mantenere la distanza di sicurezza Manovrava irregolarmente Svoltava irregolarmente Procedeva contromano Sorpassava irregolarmente Ostacolo accidentale Veicolo evitato Non dava la precedenza al pedone sugli appositi attraversamenti Buche, ecc. evitato Procedeva non in prossimità del margine destro della carreggiata Veicolo fermo in posizione irregolare urtato Altre cause relative al comportamento Cause imputabili al comportamento scorretto del conducente nella circolazione Anormale per ebrezza da alcool Anormale per improvviso malore Anormale per ingestione di sostanze stupefacenti o psicotrope Anormale per sonno Abbagliato Anormale per condizioni morbose in atto Altre cause relative allo stato psico-fisico del conducente Cause imputabili allo stato psico-fisico del conducente Rottura o insufficienza dei freni Scoppio o eccessiva usura di pneumatici Rottura o guasto dello sterzo Mancanza o insufficienza dei fari o delle luci di posizione Altre cause relative al veicolo Distacco di ruota Cause imputabili a difetti o avarie del veicolo Comportamento scorretto del pedone Pedone anormale per ebbrezza da alcool Altre cause relative allo stato psico-fisico del pedone Cause imputabili al pedone Totale
Valori assoluti
Composizione percentuali
53.326
17,74
17.039 15.665 16.982 3.640 46.190 38.365
5,67 5,21 5,65 1,21 15,36 12,76
36.432 1.887 31.270 18.360 9.188 7.544 6.645 6.401 6.377 5.246 5.220 3.517 3.165 7.495 284.629 4.246 678 433 400 120 75 57 6.009 241 191 74 66 62 51 685 9,301 27 11 9.339 300.662
12,12 0,63 10,40 6,11 3,06 2,51 2,21 2,13 2,12 1,74 1,74 1,17 1,05 2,49 94,67 1,41 0,23 0,14 0,13 0,04 0,02 0,02 2,00 0,08 0,06 0,02 0,02 0,02 0,02 0,23 3,09 0,01 0,00 3,11 100,00
Tabella 3. Cause accertate o presunte di incidenti stradali – Anno 2006 (valori assoluti e composizioni percentuali) (da ISTAT-ACI, 2007)
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apparire più lontano di quanto non sia in realtà, condizioni di ridotta sensibilità al contrasto per le quali può risultare difficile distinguere il pedone che attraversa o ancora condizioni che comportano un restringimento del campo visivo tale non rispettare un segnale di precedenza e quindi causare un incidente con un veicolo che procede lateralmente. Quindi, tali cause devono sicuramente essere considerate di ordine visivo e assumere un peso più rilevante (Pescosolido, 2001). Da sottolineare sono ancora una serie di incidenti senza urto, con veicoli fermi od ostacoli fissi (ISTAT-ACI, 2006), in seguito ad uno sbandamento e la conseguente fuoriuscita del veicolo per evitare pedoni, animali, veicoli e buche, mentre il conducente procede ad una velocità consentita dai limiti stradali (Figura 3). Da quanto esposto sembra giusto considerare che il fattore vista, che sicuramente interviene in tutti i casi precedentemente riportati, deve essere considerato come la chiave di ingresso per la maggior parte delle informazioni che un conducente automobilistico percepisce durante la guida, informazioni che tra le altre cose devono essere elaborate molto velocemente per essere rapidamente trasformate in azioni. È ovvio, a questo punto, che eventuali carenze visive possono influenzare il tempo di reazione del conducente, aumentandolo. Molto interessante è anche il dato statistico secondo il quale la
maggior parte degli incidenti stradali avviene in condizioni metereologiche e stradali ottimali, di conseguenza legate in modo ridotto a fattori ambientali. In sintesi, da quanto esposto, è necessario avere alla guida automobilistica una buona efficienza visiva e quindi una buona acuità visiva, statica e dinamica, sensibilità al contrasto, un campo visivo idoneo e così via. Segue che un soggetto con difficoltà relative alla vista avrà sicuramente un maggior numero di probabilità di incorrere in un eventuale incidente stradale, come è stato provato da Owsley (1994). Questo Autore ha messo in evidenza un aumentato rischio di incidenti stradali in soggetti che presentavano problemi di vista. Mc Closkey (1958), invece, non aveva trovato questa associazione. In effetti, quest’ultimo Autore ha usato nel classificare i soggetti partecipanti al suo studio i risultati di test di routine per il rilascio o il rinnovo della patente di guida, test di cui lo stesso Autore lamenta la scarsa sensibilità ai fini della caratterizzazione di un reale maggior rischio di incidentalità stradale. Gresset e Meyer (1994) hanno invece riscontrato, studiando 4000 soggetti di 70 anni, un significativo aumento del rischio di incidenti stradali dovuti alla ridotta acuità visiva. Le principali cause di danno visivo, la cui incidenza aumenta considerevolmente nella popolazione anziana, sono rappresentate da cataratta, degenerazione maculare e glaucoma (Podgor et al., 1983).
Figura 3. Incidenti stradali secondo la natura – Anno 2006 (da ISTAT-ACI, 2007)
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Infatti, da diversi studi è stato evidenziato che i soggetti con cataratta hanno un severo danneggiamento della sensibilità al contrasto (Owsley et al., 2001), i soggetti con degenerazione maculare hanno una maggiore disabilità dopo abbagliamento (Scilley et al., 2002) e i soggetti con glaucoma presentano una riduzione del campo visivo e quindi una diminuzione delle performance di guida con un aumento del rischio di incidenti automobilistici (Szlyk et al., 2005; Sharon et al., 2007; Haymes et al., 2008). Scilley et al. (2002) hanno condotto uno studio su soggetti anziani (età > 50 aa) affetti da degenerazione maculare legata all’età allo stadio iniziale (ARM) (una o più drusen soft, rimaneggiamento pigmentario foveolare, ma senza neovascolarizzazione coroideale o atrofia a carta geografica) e acuità visiva di 20/60 o più, confrontati con un gruppo di controllo rappresentato da soggetti adulti senza maculopatia e con A.V. di 20/35 (6/10) o più. I metodi utilizzati hanno previsto la misura della sensibilità scotopica, dell’A.V. e la somministrazione di questionari ADVS (Activities of Daily Vision Scale) specifici per testare la presenza o meno di difficoltà nelle attività quotidiane compresa la guida automobilistica. I risultati hanno dimostrato che i soggetti, nelle fasi precoci della malattia, anche se mantengono un’A.V. ancora relativamente buona (20/60 o meglio), riportano una maggiore difficoltà nella guida notturna rispetto ai soggetti del gruppo di controllo, oltre ad una peggiore performance nella visione per vicino con una maggiore disabilità dopo abbagliamento. La disfunzione scotopica, uno dei marker clinici della ARM, è sicuramente legata alla difficoltà nella guida automobilistica notturna. Infine, quando il danno visivo è molto grave, anche se in un solo occhio, i soggetti riportano gravi disturbi nella guida diurna e nella performance visiva per vicino e per lontano. Molti altri Autori (Rieger,1992; Schiefer et al., 1993; Lachenmyr et al., 1994; Anderson e Holliday, 1995; Bichao et al., 1995) si sono interessati allo studio delle funzioni visive nelle condizioni dinamiche della guida au-
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tomobilistica e hanno raggiunto la conclusione che è necessario accertare l’idoneità di un soggetto alla guida studiando attentamente i vari parametri della funzione visiva e di conseguenza la necessità di introdurre test affidabili e di facile esecuzione. Bisogna inoltre considerare che il numero dei soggetti guidatori va via via aumentando (Transportation Research Board, 1988), insieme al numero di guidatori anziani e sono proprio questi ultimi ad essere più frequentemente coinvolti, pur con modalità differenti, in incidenti stradali (Stamatiadis e Deacon, 1995), per deficit campimetrici, disattenzione, inosservanza dei segnali di stop, svolta a destra o a sinistra, guida su strade trafficate e mancata visualizzazione dei segnali stradali (Keltner e Johnson, 1987). Altri studi, hanno messo in evidenza un significativo cambiamento nei guidatori anziani della capacità e abilità di guida. Questi cambiamenti comprendono l’aumento del tempo di reazione e il rallentamento psicomotorio generale (Salthouse, 1982), cambiamenti cognitivi correlati all’attenzione e al riconoscimento che portano alla ridotta capacità di compiere due cose contemporaneamente (Plude e Hoyer, 1985) e infine il declino visivo legato all’età (Weale, 1992). Visto che la guida è considerata essere una attività altamente legata alla funzione visiva (Hofstetter, 1976; Johnson e Keltner, 1983; Brabynm et al., 1994), è stato suggerito che la maggiore incidenza di problemi visivi e di malattie oculari negli anziani, contribuisce al loro alto grado di incidenti stradali (Shinar e Schieber, 1991). Così, anche in assenza di vere e proprie patologie oculari, ci sono variazioni fisiologiche della funzione visiva legate all’età che possono influire sulle attività quotidiane, quali l’aumento del discomfort da abbagliamento, la ridotta sensibilità al contrasto, la ridotta acuità visiva e il prolungato tempo di adattamento (Weale, 1992). In altri studi è stata data importanza al ruolo della sensibilità al contrasto nella guida automobilistica, quali quelli di Wood et al. (19931995) che hanno evidenziato una relazione
significativa tra capacità di guida e sensibilità al contrasto valutata mediante il test di Pelli-Robson e l’UFOV (Campo di Vista Utile). Owsley et al. (1998) hanno inoltre riportato che anziani guidatori con il punteggio di UFOV ridotto del 40% sono esposti a un incidente stradale entro il periodo dei tre anni successivi. Infatti, l’UFOV è un importante fattore predittivo di coinvolgimento in incidenti stradali (Ball et al., 1993), di incidenti stradali futuri (Owsley et al., 1998) e di restrizioni alla guida (West et al., 2003). Altri lavori sono stati condotti su questo argomento. In particolare, Busse (1993) ha valutato i seguenti parametri: l’acuità visiva a bassa luminanza (visione crepuscolare), la sensibilità al contrasto e la visione stereoscopica. A quanto è risultato i valori di tutti questi parametri diminuiscono in modo proporzionale all’età e a ciò si associa l’aumento spiccato della sensibilità alla luce. Wood e Owens nel 2005 hanno voluto esaminare se l’acuità visiva o la sensibilità al contrasto, misurate in condizioni di varia luminanza, potessero predire la capacità di guida nelle ore diurne e notturne. Gli Autori hanno riscontrato che la capacità di guida di tutti i soggetti sottoposti allo studio veniva significativamente influenzata in modo negativo in condizioni di bassa luminanza, in particolare nei soggetti di età avanzata. Tale situazione, inoltre, veniva messa in evidenza maggiormente dalla sensibilità al contrasto rispetto all’acuità visiva. Questi risultati sottolineano e confermano che la visibilità è seriamente danneggiata durante la guida notturna e che il problema è maggiore nei soggetti anziani piuttosto che nei giovani. Tuttavia, le implicazioni di questi risultati nella licenza di guida devono essere ulteriormente valutate (Wood e Owens, 2005). A questo proposito sono stati esaminati come fattori predittivi significativi nel coinvolgimento in incidenti automobilistici, la sensibilità all’abbagliamento, la perdita del campo visivo e l’UFOV (Campo di Vista Utile) rispetto all’acuità visiva, alla sensibilità al contrasto e alla stereo acuità (Pescosolido e Evangelista, 2007).
Inoltre, in uno studio di Maltz e Shinar (1999), sono stati messi a confronto i movimenti oculari durante la guida automobilistica di soggetti giovani e soggetti anziani. I risultati hanno mostrato che i soggetti anziani necessitano di un tempo più lungo di fissazione, di un numero maggiore di fissazioni e presentano movimenti saccadici più brevi rispetto ai partecipanti più giovani. Inoltre, nella seconda parte del medesimo studio è stato dimostrato che i soggetti anziani impegnano il loro sguardo per un tempo più lungo e su piccole porzioni dell’ambiente circostante, rispetto ai soggetti giovani che esaminano l’ambiente molto più velocemente (Maltz e Shinar, 1999). I danni sulla funzione visiva che risultano da anomalie delle strutture oculari o da lesioni encefaliche, possono significativamente influenzare la capacità visiva (MacDougall e Moore, 2005). L’impatto di patologie vestibolari sulla coordinazione testa-occhi è un elemento importante nel discorso della sicurezza stradale anche se le ricerche e gli studi in questo campo sono esigue. Una migliore comprensione dell’argomento potrebbe derivare proprio da una analisi obiettiva del coordinamento testa-occhi durante le attività di guida automobilistica e in particolare dell’impatto di questi fattori sulla capacità di guida e soprattutto sulla sicurezza dell’automobilista (MacDougall e Moore, 2005). A conferma di quanto esposto in un altro studio (Wood e Mallon, 2001) si è voluta confrontare l’abilità alla guida automobilistica di soggetti giovani e soggetti anziani con e senza problemi visivi, su percorsi trafficati. Lo scopo di questo studio è stato quello di determinare se l’età e il danno visivo influiscono realmente sulle abilità alla guida automobilistica e sul grado di sicurezza durante la guida in condizioni di strade trafficate. I partecipanti allo studio sono stati 30 soggetti di giovane età, 25 di mezza età, 35 soggetti anziani con funzione visiva normale e 47 soggetti anziani con problemi visivi (tutti i partecipanti erano in possesso di una patente di guida). I risultati hanno messo in evi-
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denza che i guidatori considerati meno sicuri alla guida erano tutti i soggetti anziani e tra la maggior parte di loro (75%) quelli con problemi visivi (Wood e Mallon, 2001). È chiaro che questi dati suggeriscono come un soggetto anziano alla guida, per quanto possa guidare con prudenza, è a rischio e pone gli altri guidatori in condizioni rischiose e pericolose. Alla luce dei fatti sembra necessario l’introduzione di nuove misure di giudizio e di sicurezza stradale per evitare l’affollamento sulle strade di guidatori potenzialmente dannosi per se stessi e per gli altri. Questi dati potrebbero essere usati come base per l’istituzione di programmi atti a migliorare la sicurezza stradale attraverso l’educazione stradale e attraverso la progettazione di sistemi stradali adatti a migliorare le precarie condizioni dei guidatori più anziani. Infatti, la sola misura dell’acuità visiva non permette di conoscere le performance di guida dei soggetti anziani. Sono stati condotti altri studi designati ad indagare i risultati ottenuti sia in soggetti con danni visivi simulati che in soggetti con reali deficit visivi. Negli studi fatti è stato esaminato l’effetto dei danni visivi simulati su soggetti giovani e anziani (con normale capacità visiva) dei quali si è testata la capacità di guida su una strada chiusa (Wood e Troutbeck, 1992; 1994; 1995). Gli altri fattori influenzanti la guida, uno dei quali l’esperienza, sono stati mantenuti costanti. Il circuito stradale chiuso utilizzato presentava una superficie stradale asfaltata, includeva curve, dossi e rettilinei ed era libero da altri veicoli. Il circuito è stato concepito in modo da essere un mezzo utile per accertare una serie svariata di capacità legate alla guida e alla funzione visiva: riconoscimento dei segnali stradali, tempo di reazione in caso di pericolo, riconoscimento di situazioni pericolose, retromarcia, manovre. I risultati di questi studi hanno evidenziato che le cataratte simulate e un significativo restringimento del campo visivo riducono la capacità di guida (Wood e Troutbeck, 1992; 1994; 1995).
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Un altro significativo dato emerso è stato che i danni visivi hanno un impatto molto più importante e significativo nei soggetti anziani rispetto ai giovani (Wood e Troutbeck, 1995). È stato stabilito che la differenza tra soggetti anziani e giovani riguarda prevalentemente il tempo di reazione (i riflessi), cioè il tempo necessario per vedere e reagire ad uno stimolo di pericolo, che è risultato essere tre volte maggiore nei soggetti anziani. Ancora una volta i risultati hanno dimostrato che l’età e i danni visivi hanno un significativo effetto soprattutto per quel che riguarda la visione e il riconoscimento dei segnali stradali, il tempo di reazione e il tempo impiegato per completare il percorso di prova. Un altro elemento scaturito da questi studi è stato che la misura dell’acuità visiva ad alto contrasto risulta poco efficace per la previsione dei problemi di guida in soggetti con danni visivi. A questo punto si è voluto accertare l’effetto dell’età e del danno visivo sulle capacità di guida di soggetti giovani, di mezza età e anziani con funzione visiva normale e con problemi visivi (cataratta, glaucoma, degenerazione maculare), tutti regolarmente patentati (Wood, 1999), mediante una prova pratica su una strada aperta al traffico. È stata così utilizzata una strada normalmente trafficata, un veicolo a due comandi con un istruttore di guida professionista seduto al posto del passeggero, e un esperto seduto dietro al fine di esaminare il soggetto alla guida in tutte le diverse situazioni. L’esaminato doveva guidare su strade cittadine più o meno trafficate, attraversare una serie di incroci variamente pericolosi, semplici e complessi. Alla fine della prova poteva essere data una valutazione complessiva del soggetto alla guida sia da parte dell’istruttore che da parte dell’esperto. In questi studi la funzione visiva è stata misurata sia usando i tradizionali test visivi sia altri metodi in alcuni casi ritenuti più efficaci. I test visivi comprendevano l’acuità visiva statica e dinamica, la sensibilità all’abbagliamento e una misura dell’UFOV. L’analisi preliminare dei dati ottenuti ha di-
mostrato che i soggetti anziani guidatori con funzione visiva normale presentano una minore capacità di guida rispetto a guidatori giovani o di mezza età senza danni visivi, ma ancora peggiore è risultata la capacità di guida di soggetti anziani con danni visivi. Questi risultati sono sicuramente in accordo con gli studi precedentemente condotti sull’effetto dell’età e dei danni visivi sulle capacità di guida (Taub e Sturr, 1991; Wood e Troutbeck, 1995), sia su strada aperta al traffico che su un percorso chiuso. Un recente studio (Cross et al., 2009) condotto in 3 Stati diversi degli USA (Alabama, Kentucky e Maryland), che ha coinvolto 3158 partecipanti, conferma i dati dimostrati in precedenza. Il test UFOV rimane il test più sensibile per valutare i fattori di rischio più frequentemente associati al coinvolgimento in incidenti stradali rispetto ad altri esami come la sensibilità al contrasto e l’acuità visiva. La riduzione dell’UFOV si associa in
modo direttamente proporzionale all’aumento del rischio di collisioni automobilistiche. Infatti, una diminuzione del 45% di questo parametro dimostra una più netta associazione con incidenti stradali causati per colpa rispetto a una diminuzione del 35% che si verifica per le collisioni di altro tipo. Questi risultati alimentano l’idea che l’UFOV test potrebbe essere un efficace metodo di screening per la sicurezza dei guidatori. Concludendo, si può affermare che i soggetti anziani sia con vista normale che con danni visivi hanno una capacità di guida significativamente ridotta rispetto ai soggetti più giovani e di mezza età (Coeckelbergh et al., 2002) e la misurazione dell’acuità visiva ad alto contrasto è, da sola, un dato insufficiente per la valutazione dei deficit della capacità di guida ed eventuali potenziali alternative a questa misura sono la sensibilità al contrasto, i valori dell’UFOV e la valutazione dei difetti campimetrici.
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