Indice
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Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Distrofie autosomiche dominanti legate alla regione 5q31 . . . . . . . . . . . . . . . Distrofia corneale reticolata di tipo 1; CDL1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Distrofia corneale granulare di tipo I; CDGG I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Distrofia corneale granulare di tipo II; CDG2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Distrofia corneale della membrana di Bowman di tipo I; CDB I . . . . . . . . Distrofia corneale della membrana di Bowman di tipo II; CDB II . . . . . . . Distrofia della membrana basale dell’epitelio corneale; MDFD . . . . . . . . . .
7 9 15 18 20 22 24
Altre mutazioni autosomiche dominanti legate alla regione 5q31 . . . . . . . . . .
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Distrofie corneali legate ad altri loci genici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Distrofia corneale epiteliale giovanile; MECD . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Distrofia corneale di Lisch; LECD . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Distrofia con erosioni epiteliali ricorrenti; ERED . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Distrofia corneale subepiteliale mucinosa; SMCD . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Distrofia corneale maculare; MCDC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Distrofia corneale centrale cristallina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Distrofia corneale di Fleck; FCD . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Distrofia corneale marginale cristallina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Distrofia corneale reticolata di tipo 2; CDL2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Distrofia corneale reticolata di tipo 3; CDL3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Distrofia corneale endoteliale congenita di tipo 1; CHED1 . . . . . . . . . . . . Distrofia corneale endoteliale congenita di tipo 2; CHED2 . . . . . . . . . . . . Distrofia corneale posteriore polimorfica ereditaria; PPCD . . . . . . . . . . . . Distrofia corneale di Fuchs: FECD . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
30 30 32 32 33 33 37 40 41 42 43 45 46 46 53
Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Le distrofie corneali
Introduzione
distrofie corneali, era basata sulle manifestazioni cliniche e sulle caratteristiche istopatologiche di ogni singola entità. Oggi, grazie alle acquisizioni di genetica molecolare e al conseguente ingigantimento delle conoscenze, è possibile collegare una specifica patologia a una definita regione cromosomica nell’ambito della quale è possibile individuare e mappare il gene e la mutazione causativa (Tab. 2) (Bourcier et al., 1999; Vincent et al., 2003; Weiss, 2009). In tal modo non solo si chiarisce l’identità della singola patologia, scoprendo eventuali sovrapposizioni di quadri clinici in passato riferiti come diverse entità nosologiche (Moller, 1989; Monnet et al., 2000), ma si apre anche la via alla comprensione di associazioni fenotipiche prima inspiegate e adesso confortate dal riscontro di basi molecolari comuni, quali la vicinanza dei loci genici o la funzione associata (Munier et al., 1997; Chang et al., 1998). Questo passaggio è avvenuto nel 2008, con il supporto della Cornea Society e dopo tre anni di meticoloso lavoro da parte di Weiss e colleghi che hanno creato l’International Committee on the Classification of Corneal Dystrophies (IC3D), gruppo organizzato non solo per effettuare una revisione nella nomenclatura, ma anche per correggere gli errori di comprensione e creare un metodo in grado di eliminare alcune disaccuratezze nell’informazione presente in letteratura. È nata così una nuova classificazione delle distrofie corneali in cui ogni entità patologica possiede una sua scheda in cui sono raccolti gli eventi chiave che la caratterizzano e a cui viene assegnato il numero MIM (Mendelian Inheritance in Man, in pratica una banca dati che cataloga tutte
Le distrofie corneali sono disordini rari. Sono definite come malattie corneali primitive non associate a traumi, infiammazioni precedenti o malattie sistemiche. Colpiscono entrambi gli occhi. Sono ereditarie, per la maggior parte secondo un tratto autosomico dominante, da cui l’importanza del counseling genetico. Tuttavia, queste generalizzazioni non sono caratteristiche di tutte le distrofie corneali. Alcuni di questi disturbi, come la distrofia corneale maculare e la distrofia corneale di Schnyder mostrano anche manifestazioni sistemiche. Le manifestazioni cliniche variano ampiamente con le singole entità e una distrofia corneale deve essere sospettata quando la trasparenza corneale viene persa o quando compaiano spontaneamente opacità corneali, in particolare in entrambe le cornee, e soprattutto in presenza di una storia familiare positiva o nella prole di genitori consanguinei. Diagnosi differenziali principali includono varie patologie come gammapatie monoclonali, deficit lecitina-colesterolo aciltransferasi, malattia di Fabry, cistinosi, carenza di tirosina transaminasi, malattie da accumulo lisosomiale (mucopolisaccaridosi, lipidosi, mucolipidosi) e diverse malattie della pelle (ittiosi X-relate, KFSD cheratosi follicolare spinulosa decalvante). La gestione delle distrofie corneali varia a seconda della specifica malattia (Klintworth, 2009). Tradizionalmente, al 2008, la classificazione usata si basava su criteri esclusivamente anatomopatologici in particolare facendo riferimento allo strato corneale che risultava maggiormente compromesso (Tab. 1) (Waring, 1998). Infatti, nel corso di tutto il 19° secolo e fino agli inizi del 20° la nomenclatura di tutte le malattie, comprese le
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Strato
Distrofia
Sinonimi
Epitelio
• epitelio giovanile di Meesmann • epiteliale giovanile di Lisch
M. basale epiteliale
• della membrana basale epiteliale centrale
M. di Bowman
• della Bowman di tipo 1; CDB1 • della Bowman di tipo 2; CDB2
• di Reis-Buckler’s; RBCD • a favo di miele di Thiel e Behnke; CDTB
• granulare di tipo 1; CDGG1
• di Groenouw di tipo 1; granular corneal dystrophy type 1; GCD1 • di Avellino; ACD; granulare-reticolata • di Groenouw di tipo 2; macular corneal distrophy, MCD
• granulare di tipo 2; GCD2 • maculare; MCDC Sottotipi: - maculare di tipo 1; MCDC1 - maculare di tipo 2; MCDC2 • cristallina centrale • cristallina marginale Stroma • reticolata di tipo 1; CDL1 • reticolata di tipo 2; CDL2
• reticolata di tipo 3; CDL3
Endotelio e m. di Descemet
• di Schnyder; SCCD • di Bietti; corneo-retinica di Bietti; degenerazione tapetoretinica di Bietti con distrofia corneale marginale • di Biber-Haab-Dimmer; lattice corneal dystrophy type 1; LCD1 • lattice corneal dystrophy type 2; LCD2; amiloidosi dovuta alla gelsolina mutante; neuropatia cranica amiloidosica associata a distrofia corneale a lattice; amiloidosi del tipo V° o finnico; amiloidosi di Meretoja • lattice corneal dystrophy type 3; LCD3, a gocce di gelatina; gelatinous drop-like dystrophy; GDLD; amiloidosi corneale; distrofia corneale amiloidosica giapponese
• endoteliale congenita di tipo 1; CHED1 • di Maumeneee • endoteliale congenita di tipo 2; CHED2 • edema corneale ereditario congenito di Maumenee • posteriore polimorfica ereditaria; • keratitis bullosa interna; distrofia corneale PPCD1; PPCD2; PPCD3 endoteliale congenita • distrofia di Fuchs
Tabella 1. Classificazione delle distrofie corneali usata fino al 2008 basata su criteri esclusivamente anatomopatologici in particolare facendo riferimento allo strato corneale maggiormente compromesso
in quanto la continua crescita delle conoscenze in ambito di genetica molecolare obbliga a effettuare periodici aggiustamenti della classificazione delle distrofie corneali (Tab. 2). Questo sistema permette così il continuo aggiornamento della categorizzazione di pari passo al progresso delle conoscenze. La nomenclatura IC3D introduce ulteriori criteri scientifici obiettivi per determinare se
le patologie aventi una componente genetica) in base a uno specifico tratto mendeliano, eponimo, locus genico, ereditarietà, manifestazione, segno, sintomo, progressione della malattia, sua istopatologia comprendente microscopia ottica, microscopia elettronica, microscopia confocale e immunoistochimica se disponibile. In più è stato incluso un sistema di categorizzazione impostato sul livello di conoscenza di ogni singola patologia
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Le distrofie corneali
Summary of the corneal dystrophies: modes of inheritance, gene loci, genes and the categories of the International Committee for the Classification of Corneal Dystrophies (IC3D) categories
Superficial corneal dystrophies Meesmann dystrophy Meesmann dystrophy Stocker-Holt dystrophy Granular corneal dystrophy type III (Reis-Bücklers dystrophy) Thiel-Behnke dystrophy Thiel-Behnke dystrophy Gelatinous droplike corneal dystrophy (familial subepithelial corneal amyloidosis) Subepithelial mucinous corneal dystrophy Lisch epithelial dystrophy Epithelial recurrent erosion dystrophy
Mode of inheritance Gene locus
Gene
IC3D Category*
AD AD AD AD AD AD
12q13 17q12 17q12 5q31 5q31 10q23-q24
KRT3 KRT12 KRT12 TGFBI TGFBI Unknown
1 1 1 1 1 1
AR AD XR AD
Ip32 Unknown Xp22.3 Unknown
TACSTD2 (M1S1) 1 Unknown 4 Unknown 2 Unknown 3
Corneal stromal dystrophies Macular corneal dystrophy Granular corneal dystrophy type I Granular corneal dystrophy type II (Avellino dystrophy, combined lattice-granular dystrophy) Lattice corneal dystrophy type I and variants Lattice corneal dystrophy type II Fleck dystrophy Schnyder amorphous corneal dystrophy Congenital stromal dystrophy
AR AD
16q22 5q31
CHST6 TGFB1
1 1
AD AD AD AD AD AD
5q31 5q31 9q31 2q35 Ip34.I–p36 12q13.2
TGFB1 TGFB1 GSN P1P5K3 UB1AD1 DCN
1 1 1 1 1 1
Posterior dystrophies Fuchs dystrophy (early onset) Fuchs dystrophy (late onset) Fuchs dystrophy (late onset) Fuchs dystrophy (late onset) Fuchs dystrophy (late onset) Posterior polymorphous dystrophy type 1 Posterior polymorphous dystrophy type 2 Posterior polymorphous dystrophy type 3 Congenital endothelial dystrophy type 1 Congenital endothelial dystrophy type 2
AD AD AD ? ? AD AD AD AD AR
Ip34.3 13pTel-13q12.13 18q21.2-q21.32 20p13-p12 10p11.2 20p11.2 Ip34.3-p32.3 10p11.2-q11.2 20p11.2-q11.2 20p13-p12
COL8A Unknown Unknown SLC4A11 TCF8 Unknown COL8A2# TCF8 Unknown SLC4A11
1 1 2 1 1 2 1 1 2 1
X-linked endothelial corneal dystrophy
XR
Unknown
Unknown
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* Category 1: A well-defined corneal dystrophy in which the gene has been mapped and identified and specific mutation are known Category 2: A well-defined corneal dystrophy that has been mapped to 1 or more specific chromosomal loci, but the gene(s) remains to be identified Category 3: A well-defined clinical corneal dystrophy in which the disorder has not yet been mapped to a chromosomal locus Category 4: A suspected new, or previously documented corneal dystrophy, although the evidence for it, being a distinct entity, is not yet convincing
Tabella 2. Classificazione delle distrofie corneali secondo l’International Committee on the Classification of Corneal Dystrophies (IC3D)
e nella comprensione della loro patogenesi facilitando la scelta di un adeguato trattamento. Negli Stati Uniti l’analisi del genotipo del paziente viene ottenuta senza difficoltà sottopo-
un’entità patologica osservata rappresenta una nuova distrofia corneale o la variante di una forma già nota. Ciò permette all’oftalmologo di districarsi nella distinzione delle singole patologie
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N. PESCOSOLIDO, M. AUTOLITANO
Il progresso delle scoperte sulle distrofie corneali ha apportato nuove stimolanti informazioni anche al di fuori dell’oftalmologia. Per esempio, Weiss, nel corso dei suoi studi sulla SDC, ha notato che i depositi corneali di colesterolo presenti in questa distrofia sono molto simili a quelli delle lesioni aterosclerotiche e ha perciò supposto che ci possa essere un legame tra esse e quelle riscontrate nei vasi sanguigni in corso di aterosclerosi (Gaynor et al., 1996). Può la cornea servire come modello per mettere a punto delle sostanze leganti i lipidi che potrebbero essere usate in altre regioni dell’organismo? È chiaro che, di pari passo con il progredire delle possibilità terapeutiche, le conoscenze sulle distrofie corneali si sono di molto accresciute nel passaggio dal 20° al 21° secolo quando l’approccio categorizzativo su basi esclusivamente anatomopatologiche è stato affiancato e completato dall’enorme bagaglio di informazioni apportato dalla genetica molecolare. La nomenclatura IC3D rappresenta dunque il primo passo nella rivalutazione delle distrofie corneali dando enfasi all’origine genetica sottostante alle manifestazioni cliniche e anatomopatologiche (Weiss, 2009).
nendo la documentazione diagnostica e un campione di sangue all’EyeGENE (National Ophtalmic Disease Genotyping Network) rete creata dal National Eye Institute (USA) come risorsa e riferimento a disposizione della comunità per le malattie genetiche oftalmiche (Dubowitz, 2009). Ciò risulta di più difficile attuazione nel nostro Paese. Dopo aver definito la mutazione genetica per una specifica distrofia corneale è necessario comprenderne i meccanismi patogenetici al fine di sviluppare un trattamento. Per esempio, nella distrofia corneale centrale cristallina (SCD), la mutazione del gene UBIAD1 risulta in un eccesso di produzione di colesterolo o in un deficit della sua rimozione dalla cornea? Solo definendo il meccanismo patogenetico sarà infatti possibile sviluppare un trattamento non chirurgico della patologia che prevenga la perdita della funzione visiva del paziente affetto. L’intervento terapeutico può essere articolato su diversi fronti dalla terapia genica con reintroduzione dell’enzima mancante a quella farmacologica con l’impiego di composti leganti la sostanza accumulatasi in eccesso nel tessuto corneale. Nel caso dell’SCD un agente legante il colesterolo può essere applicato per via topica per legare l’eccesso di colesterolo.
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Le distrofie corneali
Distrofie autosomiche dominanti legate alla regione 5q31
le come peptide guida nella secrezione, quattro domini omologhi (FAS) di 140 aminoacidi e un motivo Arg-Gly-Asp (o RGD) all’estremità C-terminale localizzato nei codoni 642-643-644 (Schema 2). Il motivo RGD è caratteristico di molte proteine della matrice extracellulare che modulano l’adesione intercellulare e serve da ligando per molte integrine (Tab.3). Una struttura simile a quella della KE è stata descritta per la fasciclina I, una proteina della Drosophila che forse media l’adesione delle cellule neuronali e per la OSF2, una proteina che potrebbe mediare l’adesione degli osteoblasti nei mammiferi. Si può pertanto ipotizzare che la KE abbia un ruolo nell’adesione intercellulare, benchè le integrine che si legano specificamente a essa non siano state ancora individuate. La proteina è espressa costitutivamente in numerosi tessuti, tra cui la cute (dermoepitelina) e la cornea. Nell’occhio umano, come già accennato, si ritrova prevalentemente sulla superficie
La ricerca genetica negli ultimi anni ha svelato che la localizzazione cromosomica di alcune distrofie corneali clinicamente descritte come entità disparate è, in realtà, la stessa (Chang et al., 1998). Infatti, la distrofia corneale reticolata di tipo I (LCD1), la distrofia corneale granulare di Groenouw di tipo I (GCD1), la distrofia corneale di Avellino (ACD o GCD2), la distrofia corneale di Reis-Buckler’s (RBCD o CDB I), la distrofia corneale di Thiel-Benke (CDTB o CDB II) e la distrofia corneale della membrana basale dell’epitelio corneale (MDFD) o distrofia di Cogan mappano tutte sul braccio lungo del cromosoma 5, banda 31. Si tratta, dunque, di varianti alleliche, tutte trasmesse in modo autosomico dominante. Il gene fu identificato da Munier et al. nel 1997. Si tratta di una sequenza genomica la cui trascrizione è stimolata dal transforming growth factor-beta1 (TGF-β1) già isolata da cellule umane adenocarcinomatose trattate con TGF-β1 (Skonier et al., 1992, 1994) consistente in 17 esoni. Questo gene fu considerato un buon candidato sia perché mappava nel locus 5q31 collegato alle distrofie corneali sia perché veniva trascritto nell’occhio umano quasi esclusivamente a livello dell’epitelio corneale e dei cheratociti stromali (Schema 1). Al gene stimolato dal TGF-β1 venne quindi assegnato il nome di beta-ig-h3 (β-ig-h3) e al suo prodotto proteico quello di keratoepitelina (KE). Il prodotto del gene è una proteina (KE) della matrice extracellulare di 68 kDa formata da 683 residui aminoacidici altamente conservata nella filogenesi. Essa contiene un’estremità N-termina-
Schema 1. Cromosoma 5: la freccia indica il gene beta-ig-h3 (β-ig-h3) mappato nel locus 5q31 le cui mutazioni sono collegate a numerose distrofie corneali
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Famiglia: Integrine Catene β β1 CD 29 GPlla 110 kDa ubiquitarie
Catene α Nome α1 VLA-1
CD α CD 49a
Sito
α2
VLA-2 (gpIa)
CD 49b
α3
VLA-3
CD 49c CD 49d
RGD
α4
VLA-4
CD 49e
α5
VLA-5 (gpIc)
CD 49f
LDV non RDG (CS-1) RGD
α6
VLA-6 (gpIc)
αv αL
Distribuzione linfociti T attivi, monociti, fibroblasti, cellule endoteliali dei capillari, cellule muscolari lisce
PM KDa 200
collagene
piastrine, monociti (debolmente), linfociti T (in coltura) cellule basali epiteliali, linfociti T ed altre cellule aderenti (in coltura)
150
laminina collagene fibronectina invasina epiligrina fibronectina CD 106 trombospondina fibronectina invasina laminina
α8 α9
β2 CD 18 95 kDa tutti i leucociti
Ligando collagene laminina
tenascina
LFA-1
CD 51 CD 11a
αM
Mac-1 (Mo-1, CR 3)
CD 11b
αX
p150,95
CD 11c
β3 CD 61 gpIIIa 110kDa
αv
CD 51
β4
α6
CD 49 f
β5 β6 β7
αv αv α4
CD 51 CD 51 CD 49d
β8
αE αv
CD 103 CD 51
RGD
? ICAM-1 (CD 54) ICAM-2 (CD 102) ICAM-3 (CD 50)1 ICAM-1 (CD 54) proteine solubili: fibrinogeno, fattore X, iC3b1 frazioni solubili del complemento
RGD
fibrina fibronectina vitronectina fibrinogeno fattore di Von Willebrand laminina
RGD RGD LDV non-RGD
tenascina MadCam-1 fibronectina CD 106 E-caderina
linfociti, timociti, monociti, eosinofili, basofili e cellule NK....assenza dei neutrofilli monociti, cellule endoteliali e debolmente: granulociti, piastrine, cellule della linea T piastrine.: timociti, monociti e linfociti T cellule basali epidermiche, cellule muscolari, epatociti, cellule basali linbiche ed epiteliali della cornea cellule epiteliali? linfociti, monociti, polinucleati neutrofili......
Tabella 3. Caratteristiche di alcune integrine (Genin, 1997)
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145
160
150?
140
monociti, macrofagi, granulociti, cellule NK..... macrofagi, monociti, granulociti, cellule NK, cellule dendritiche, linfociti B/T attivati....... cellule endoteliali
cellule epiteliali (costituenti degli emidesmosomi) cellule endoteliali cellule endoteliali, linfociti mucosi (ligando dell’adressina vascolare mucosa) (B/T) linfociti intraepiteliali placenta
RGD
150
140 140 145
Le distrofie corneali
struttura proteica a questo livello può verosimilmente causare alterazioni strutturali nella KE, che di conseguenza precipita negli strati sottostanti all’epitelio e si aggrega secondo le varie figure osservate istologicamente (Munier et al., 1997; Korvatska et al., 1998). Le distrofie autosomiche dominanti correlate a mutazioni nel gene β-ig-h3 sono quindi caratterizzate da depositi intracorneali che provocano una progressiva perdita della trasparenza e, a seconda della localizzazione, una riduzione della capacità visiva. In merito al trattamento può rendersi necessario un trapianto di cornea lamellare sia per scopi funzionali sia per alleviare il dolore dovuto alle erosioni ricorrenti ma l’esito può rivelarsi frustrante e non sono esclusi i reinterventi, percui spesso si opta per l’applicazione di lenti a contatto terapeutiche al silicone idrogel o alla PTK (cheratectomia fotorefrattiva terapeutica). La diagnosi differenziale mediante analisi genetica molecolare ha trovato, in definitiva, anche un riscontro clinico, poiché può risultare particolarmente arduo distinguere biomicroscopicamente o anche con l’esame istologico le numerose varianti e forme atipiche di una distrofia. Il reperto di una mutazione nota del gene estratto dai linfociti periferici può essere, spesso, dirimente (Monnet et al., 2000).
Schema 2. Prodotto del gene beta-ig-h3 (β-ig-h3): cheratoepitelina (KE) è proteina della matrice extracellulare di 68 kDa formata da 683 residui aminoacidici altamente conservata nella filogenesi. Essa contiene una estremità N-terminale come peptide guida nella secrezione, quattro domini omologhi (FAS) di 140 aminoacidi e un motivo Arg-Gly-Asp (o RGD) all’estremità C-terminale localizzato nei codoni 642643-644
esterna delle cellule epiteliali corneali e dei cheratociti stromali. Anche nel coniglio è espressa sia dalle cellule epiteliali che dai cheratociti stromali della cornea. La tappa successiva è consistita nella ricerca sistematica di mutazioni del gene β-ig-h3 in soggetti colpiti da distrofie corneali. In 6 famiglie furono trovate mutazioni di senso (missense mutations), vale a dire responsabili della traduzione di aminoacidi diversi rispetto a quelli presenti nella struttura primaria originaria. La maggior parte dei pazienti mostravano mutazioni e hot spots mutazionali localizzati a livello del dinucleotide CpG di due codoni argininici, Arg124 e Arg555, rispettivamente negli esoni 4 e 12. Esiste comunque una eterogeneità allelica e lo screening del gene TGFBI o β-ig-h3 ha permesso di identificare numerose altre mutazioni (Fujiki et al., 1998; Endo et al., 1999; Stewart et al., 1999; Eifrig et al., 2004; Chakravarthi et al., 2005).
Distrofia corneale reticolata di tipo 1; CDL1
Ogni distrofia è stata associata a una specifica mutazione: la CDL1 con Arg124Cys (R124C); la GCD1 con Arg555Trp (R555W); la ACD con Arg124His (R124H); la CDB I con Arg124Leu (R124L) e βF540; la CDB II con Arg555Gln (R555Q). Le mutazioni confermate da studi su famiglie e gruppi etnici indipendenti sono di senso e confermano l’importanza dei residui argininici dei codoni 124 e 555. Un’alterazione della
Sinonimi: distrofia corneale di Biber-Haab-Dimmer lattice corneal dystrophy type 1; LCD1 OMIM: 122000 La LCD1 è una delle più comuni distrofie corneali nel mondo occidentale, ma sono state repertati casi in tutto il mondo tra cui in Bulgaria
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N. PESCOSOLIDO, M. AUTOLITANO
Schema 3. Distrofia corneale reticolata di tipo 1; CDL 1:missense mutation a carico del nucleotide 417 dell’esone 4 del gene β-ig-h3: in particolare, la transizione di una citosina in timina (C » T) a questo livello provoca la sostituzione di un residuo argininico con uno cisteinico nel codone 124 della KE (mutazione R124C)
plastica lamellare (LKP) o perforante (PKP) (Foerster et al., 2007). L’esatto meccanismo patogenetico responsabile delle alterazioni della capacità di riparazione epiteliale non è ancora stato del tutto chiarito.
(Capoluongo et al., 2005); Spagna (BlancoMarchite et al., 2007) e Cina (Liu et al., 2008). In pazienti affetti da questo disordine è stata dimostrata una missense mutation a carico del nucleotide 417 dell’esone 4 del gene β-ig-h3: in particolare, la transizione di una citosina in timina (C » T) a questo livello provoca la sostituzione di un residuo argininico con uno cisteinico nel codone 124 della KE (mutazione R124C; cfr.: Munier et al., 1997; Gupta et al., 1998) (Schema 3). La proteina mutata forma verosimilmente composti intermedi amiloidogenici che precipitano nello stroma corneale (Munier et al., 1997). La malattia esordisce di solito nell’infanzia, inizialmente senza grave compromissione del visus. Il decorso, però, è ingravescente e spesso entro la quinta-sesta decade di vita l’opacamento dello stroma in zona ottica causa un notevole deficit funzionale e ulcere corneali ricorrenti con alterazioni della riepitelizzazione anche in seguito a interventi chirurgici come la cheratectomia fototerapeutica (PTK) (Das et al., 2005) o la cherato-
Figura 1. Distrofia corneale reticolata di tipo 1 (CDL 1); aspetto biomicroscopico classico: figure ramificate a graticciata inserite nello stroma corneale. Nei casi più avanzati è comune un’opacità stromale diffusa
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Le distrofie corneali
Figura 2. Distrofia corneale reticolata di tipo 1 (CDL 1); nel tempo, le figure ramificate si ispessiscono, assumono un orientamento più radiale e si approfondano nello stroma
L’epitelio corneale aderisce alla sottostante membrana di Bowman tramite una serie di strutture di ancoraggio definite collettivamente “complesso giunzionale” (Gipson, 1992) composto da filamenti intermedi, emidesmosomi, filamenti di ancoraggio, membrana basale e fibrille di ancoraggio (Päällysaho et al., 1992) (Schema 4). Un recente studio (Resch et al., 2009) si è proposto di investigare le potenziali correlazioni patologiche tra il difetto della riparazione epiteliale che si osserva nella LCD1 con la distribuzione delle integrine e dei componenti della membrana basale e degli emidesmosomi. È stato esaminato il tes-
L’aspetto biomicroscopico classico di questa distrofia è costituito da figure ramificate a graticciata inserite nello stroma corneale (Frayer e Blodi, 1959; Nakamura, 2000). Si notano linee grigiastre simili a fili di cotone principalmente in una zona intermedia compresa tra il centro della cornea e la periferia, di solito senza raggiungere il limbus. Opacità puntiformi rotonde a margini netti sono disseminate ovunque. Il tessuto corneale interposto è relativamente chiaro e permette una certa possibilità di visione. Nel tempo, le figure ramificate si ispessiscono, assumono un orientamento più radiale e si approfondano nello stroma (Fig. 1, 2). Dal punto di vista istologico si reperta una degenerazione amiloide in assenza di deposizione di mucopolisaccaridi acidi (Fig. 3). Il materiale amiloide si accumula principalmente nella zona centrale della parte anteriore dello stroma (Mazgalova et al., 2000). Le alterazioni diventano evidenti nell’adolescenza e consistono in fini depositi allungati dal doppio contorno che si interdigitano tra loro a formare una trama reticolare. Essi si accrescono lentamente nel corso degli anni fino a formare una lesione centrale superficiale. La LCD1 è stata definita come una forma di amiloidosi localizzata alla cornea (Klintworth, 1967). Non sono stati repertati segni clinici di interessamento sistemico. Le erosioni sono dovute ad accumulo di amiloide sottoepiteliale che impedisce l’adesione tra epitelio e stroma.
Figura 3. Distrofia corneale reticolata di tipo 1 (CDL 1); depositi di amiloide in criosezione corneale. Colorazione Lester King
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N. PESCOSOLIDO, M. AUTOLITANO
B
A
Schema 4. A: L’epitelio corneale aderisce alla sottostante membrana di Bowman tramite una serie di strutture di ancoraggio definite collettivamente “complesso giunzionale” 1. Desmosomi; 2. Cheratofilamenti; 3. Emidesmosomi; 4. Fibre di ancoraggio (collagene tipo VII); 5. Placca di ancoraggio; 6. Laminina-Eparansolfato;7. Collagene tipo IV; 8. Strato basale epiteliale; 9. Lamina basale (Lamina lucida e lamina densa); 10. Membrana di Bowman (Collagene tipo I). B: Meccanismi di ancoraggio tra la membrana basale epiteliale e la membrana di Bowman. 1. Emidesmosomi; 2. Lamina basale; 3. Fibre collagene; 4. Fibre di ancoraggio; 5. Placche di ancoraggio
significatività statistica probabilmente, secondo gli Autori, a causa dell’esiguità del numero di cornee esaminate e della porzione analizzata con microscopio elettronico rispetto alla sezione di cornea sottoposta al microscopio ottico e all’analisi immunoistochimica. La membrana basale è risultata interrotta nelle forme di LCD con depositi sub epiteliali e continua in quelle stromali. Lo spessore della membrana basale delle cornee con depositi sub epiteliali e stromali non differiva in maniera significativa da quello riscontrato nei controlli normali. Per studiare la distribuzione delle molecole di adesione della matrice cellulare epiteliale e i componenti della membrana basale è stata usata l’immunofluorescenza. Nei controlli normali il pattern di staining delle integrine α6 e β4, che rappresentano i maggiori costituenti dei desmosomi, consiste in una linea continua lungo la superficie basale delle cellule epiteliali, mentre nelle cornee
suto corneale di 4 pazienti con LCD1, sottoposti a PKP, con microscopio ottico ed elettronico e tecniche di immunoistochimica. Al microscopio ottico nelle diverse forme di LCD si osserva irregolarità dell’epitelio che mostra uno spessore variabile con la presenza di depositi di amiloide a placche PAS-positivi confermati dalla colorazione con rosso Congo e dal fenomeno della birifrangenza con luce polarizzata. Il microscopio elettronico a trasmissione conferma la presenza di ammassi di filamenti di amiloide con diametro di 10 nm mescolati a detriti cellulari elettrondensi e elettronlucenti collocati tra la membrana basale cellulare e la membrana di Bowman. Gli emidesmosomi che ancorano le cellule epiteliali con la sottostante membrana basale erano normalmente sviluppati come nel tessuto corneale normale, ma si è osservata una riduzione della loro densità nelle cornee con presenza di depositi di amiloide stromali e sub epiteliali senza tuttavia raggiungere una
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Le distrofie corneali
Anticorpi
Membrana basale Cornea
Limbus
Congiuntiva
Vasi
LAMININA-1
+
+
+
+
CATENA a1
+/-
+
+
+
CATENA a2
-
+
-
-
CATENA a3
+
+
+
-
CATENAb1
+/-
+
+
+
CATENAb2
-
+
+
+
CATENAb3
+
+
+
-
CATENA g1
+/-
+
+
+
LAMININA-S
+
+
+
-
COLLAGENE IV
-
+
+
+
COLLAGENE VII
+
+
+
-
FIBRONECTINA
+
+
+
+
EDAcFn
+
+
+
+
EDBcFn
-
-
-
-
Onc-cFn
+
+
+
+
Tabella 4. Composizione biochimica della membrana basale. Comparazione cornea, limbus, congiuntiva e vasi (Tuori e coll., 1996)
rispetto alle forme con depositi stromali. Il collagene di tipo VII, che rappresenta il principale costituente strutturale delle fibrille di ancoraggio, mostra uno staining uniforme nelle cornee normali, un pattern discontinuo e irregolare nelle forme a depositi sub epiteliali e uno staining aumentato a chiazze nelle forme a depositi stromali. Il collagene di tipo XVII, costituente trasmembrana degli emidesmosomi, mostra uno staining marcatamente ridotto specialmente nelle forme con depositi sub epiteliali. I maggiori costituenti della membrana basale le laminine 1 e 5 e la catena singola γ2 mostrano nelle cornee distrofiche staining variabili e irregolari con interruzioni, inspessimenti e duplicazioni localizzate della membrana basale. La fibrillina-2, maggiore costituente le microfibrille elastiche che ancorano la membrana basale al sottostante stroma, normalmente mostra un debole staining continuo nella membrana basale
affette da LCD essa appare discontinua e irregolare sia nelle forme con depositi sub epiteliali sia in quelle stromali. Lo staining per la integrina αV, che è presente nelle cornee normali lungo le membrane basolaterali delle cellule epiteliali basali si dimostra anch’esso irregolare con zone di intensità aumentata nelle forme sub epiteliali, mentre nelle forme stromali risulta interrotto. Viceversa lo staining per le integrine α3, β1, α3β1, β2 e β5 distroglicano e per la plectina risultano nelle cornee distrofiche non differenti dai controlli. Nelle cornee normali, utilizzando anticorpi diretti contro vari componenti della membrana basale epiteliale (Tab. 4), si ottiene uno staining continuo e regolare della membrana stessa e dell’interfaccia con le cellule epiteliali. Le alterazioni del pattern di staining sono molto pronunciate nelle forme di LCD con depositi sub epiteliali
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N. PESCOSOLIDO, M. AUTOLITANO
dopo l’intervento può essere esclusa. Le molto pronunciate differenze patologiche osservate tra le forme con depositi superficiali e quelle con depositi profondi, di LCD, concordano con l’osservazione clinica che il difetto di riepitelizzazione è molto più marcato nelle forme con depositi superficiali rispetto alle forme stromali profonde. Nella forma superficiale le marcate alterazioni e la discontinuità dello staining delle integrine α6 e β4 e dei componenti della membrana basale può essere dovuto ai meccanismi di riparo e alla modalità di deposito di amiloide. Le interruzioni potrebbero essere dovute all’effetto meccanico dei depositi di amiloide che migrerebbero dalla superficie agli strati corneali profondi, ma quest’ipotesi resta ancora da verificare. La presenza di fibrillina nei depositi di amiloide è stata già riportata in precedenza (Dahlbäck e Salai, 1990). Sembrerebbe che la fibrillina 2 non sia realmente assente nella membrana basale cellulare epiteliale, ma che non si sarebbe in grado di differenziarla in maniera evidente dallo staining positivo dei depositi e questa potrebbe essere la ragione per cui lo staining della fibrillina 2 a livello della membrana appare debole e positivo nei depositi in entrambe le forme di LCD. Concludendo, i risultati di questo studio indicano la presenza di alterazioni significative a carico delle molecole di adesione della matrice cellulare epiteliale e dei componenti della membrana basale in cornee con LCD che, nel caso della forma superficiale, spiegherebbero in parte il difetto della guarigione epiteliale nei pazienti con distrofia a lattice. Nella LCD1 può essere necessaria una cheratoplastica perforante anche intorno ai 20 anni di età, anche se generalmente essa è indicata solo dopo la quarta decade. Il risultato della PK è eccellente, ma l’amiloide si può depositare nel tessuto del donatore dai 2-14 anni più tardi causando una recidiva della patologia.
dell’epitelio mentre in entrambe le forme di LCD mostra aree irregolari di accentuazione e inspessimento della colorazione. Alterazioni meno significative dello staining sono state trovate soprattutto nelle forme con amiloide sub epiteliale anche per il collagene di tipo IV, V e XVIII, per le catene delle laminine α1, α3,γ1, per il nidogeno 1 e 2, perlecano e fibrillina 1 (Resch et al., 2009). Nonostante la non significatività statistica di alcuni dati per i motivi esposti in precedenza, le prove immunoistochimiche supportano l’osservazione clinica dei disturbi visivi e delle erosioni corneali a lenta guarigione che occorrono in questi pazienti dovute a una ridotta adesione dell’epitelio al sottostante stroma con difficoltà nella riepitelizzazione. Il meccanismo dell’adesione mediato dalle integrine e da altri recettori di superficie è infatti evento fondamentale per l’ancoraggio, la migrazione, l’accrescimento e la differenziazione cellulare (Päällysaho et al., 1992; Gipson et al., 1993). Diversi Autori avevano già descritto le alterazioni delle molecole di adesione nelle cornee infiammate e nei disordini degenerativi come il cheratocono o la distrofia endoteliale di Fuchs (Vorkauf et al., 1995) o nell’animale da laboratorio dopo abrasione corneale indotta (Latvala et al., 1996) osservando una diversa distribuzione delle integrine α6 e β4 durante le diverse fasi della guarigione e verificando che la migrazione epiteliale è influenzata anche dalla distribuzione delle laminine oltre che da quella del collagene di tipo IV (Fujikawa et al., 1984). Le alterazioni di queste molecole portano dunque a una riduzione dei legami cellula-cellula e cellula-matrice e questo spiega la causa delle erosioni corneali ricorrenti e del ritardo della riepitelizzazione dopo PTK e PKP nella LCD. La recidiva dopo PTK può spiegarsi con il ritardo della riepitelizzazione, mentre dopo PKP la recidiva nelle prime 4 settimane
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Le distrofie corneali
zialmente buona. I bambini mostrano opacità corneali piccole e superficiali, spesso disposte in linee; di solito la superficie corneale è liscia (Moller, 1990). Sono stati descritti sia casi a esordio piuttosto tardivo (15-20 anni) e decorso mite (Forsius et al., 1983) sia casi precoci e gravi, tanto da dover essere trattati con trapianto corneale entro i 17 anni. Questi ultimi rappresentano verosimilmente l’espressione della malattia allo stato omozigote (Moller e Ridgway, 1990). La manifestazione clinica tipica consiste in opacità grigio-biancastre nello stroma superficiale a forma di bacchetta o ad anello a margini netti disposte in un’area rotondeggiante di dimensione variabile al centro della cornea (Garner, 1965) (Fig. 4). Esse tendono ad aggregarsi e a diffondere, assumendo a volte morfologie caratteristiche come noduli, mezze lune, catenelle o chiazze foggiate a bastone; questi depositi possono essere in numero tale da rendere torbida l’intera cornea ma generalmente viene risparmiato un anello perilimbare di 2-3 mm di larghezza (Weidle e Lisch, 1984; Auw-Haedrich et al., 1996) e la periferia corneale e il tessuto interposto ai granuli possono mantenersi trasparenti (Fig. 5). La predisposizione alle ulcere ricorrenti è causata dall’accumulo di materiale tra l’epitelio e la
Distrofia corneale granulare di tipo I; CDGG I Sinonimi: distrofia corneale di Groenouw di tipo 1 granular corneal dystrophy type I; GCD1 OMIM: 121900 Questa distrofia fu descritta inizialmente da Groenouw (1890, 1898, 1917), che ne evidenziò l’ereditarietà autosomica dominante studiando una famiglia per 4 generazioni (1933); lo stesso fu confermato da osservazioni successive (Moller, 1990). Casi isolati, apparentemente non associati a caratteri ereditari non sono infrequenti (Eggink e Beekhuis, 1995). Lo studio genealogico di molte famiglie suggerisce che la patologia si manifesta più frequentemente nei soggetti di sesso maschile, così come studi correlati hanno riportato il caso di una famiglia in cui l’occorrenza della mutazione distrofica, associata con una retinopatia pigmentosa primitiva, sembrava essere in relazione al colore dell’iride, in particolare se marrone. L’esordio generalmente è compreso nei primi 20 anni di vita, ma l’acuità visiva si mantiene ini-
Figura 4. Distrofia corneale granulare di tipo I (CDGG I); aspetto biomicroscopico classico: figure bianco-grigiastre a “briciole di pane” nella parte centrale dello stroma anteriore che con il tempo aumentano di numero e diffondono in profondità
Figura 5. Distrofia corneale granulare di tipo I (CDGG I); aspetto biomicroscopico classico: la periferia corneale e il tessuto interposto ai granuli possono mantenersi trasparenti
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N. PESCOSOLIDO, M. AUTOLITANO
membrana di Bowman. La capacità di diffusione e l’aumento del numero dei depositi porta a una graduale separazione, al rigonfiamento e alla distruzione della membrana di Bowman. Col tempo i depositi tendono a penetrare lo stroma corneale (Fig. 6). Al microscopio elettronico si evidenziano depositi conici e trapezoidali che raramente si estendono molto in profondità nello stroma (Fig. 7). Grazie alla microscopia elettronica a trasmissione e alle valutazioni istochimiche si è osservata
la presenza di fosfolipidi (Fig. 8). La separazione e l’identificazione dei fosfolipidi effettuata con cromatografia su carta mostra la presenza di fosfatidilcolina, sfingomielina, fosfatidilglicerolo. Mentre il contenuto in sfingomielina e in fosfatidilglicerolo non sembra essere molto differente da quello di una cornea normale, la concentrazione di fosfatidilcolina valutata con cromatografia in strato sottile risulta invece aumentata. Questo risultato suggerisce che la fosfatidilcolina potrebbe essere il materiale che aumenta nei depositi della distrofia corneale con sviluppo della distrofia granulare. L’esame dell’assetto lipidico ematico dei pazienti con distrofia granulare ha dato risultati negativi, per cui si ritiene che questa distrofia sia la conseguenza di un alterato metabolismo fosfolipidico della cornea e dei tessuti adiacenti (Frising et al., 2006). Il decorso clinico progredisce solitamente con una sintomatologia non drammatica ma possono comunque occorrere attacchi di leggero rossore e fotofobia con il possibile sviluppo di erosioni ricorrenti. Agli episodi di una certa severità possono far seguito opacizzazione e neovascolarizzazione corneale. Nei pazienti adulti (40-50 anni) l’acuità visiva
Figura 7. Distrofia corneale granulare di tipo I (CDGG I); al microscopio elettronico si evidenziano depositi conici e trapezoidali che raramente si estendono molto in profondità nello stroma
Figura 8. Distrofia corneale granulare di tipo I (CDGG I); sezione istologica in cui si repertano chiaramente depositi fucsinofili (rossi) di forma irregolare. Colorazione Masson tricromatica
Figura 6. Distrofia corneale granulare di tipo I (CDGG I); aspetto biomicroscopico classico: col tempo i depositi tendono a penetrare lo stroma corneale
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Le distrofie corneali
Schema 5. Distrofia corneale granulare di tipo I; CDGG I: transizione C »T in posizione 1710 a carico del dinucleotide CpG nell’esone 12 del gene β-ig-h3, codificante per il codone 555 della sequenza proteica (Eiberg et al., 1993, 1994; Munier et al., 1997). Il codone originario CGG viene perciò sostituito da TGG e ne risulta la sostituzione di un residuo di arginina con uno di triptofano (mutazione R555W)
1998; Kocak-Altintas et al., 2001) (Schema 5). In una famiglia giapponese in cui era avvenuto un matrimonio tra consanguinei sono nati fenotipi particolarmente severi (forma placoide). Questi individui risultavano omozigoti per la mutazione R555W. La distrofia di Groenouw 1 è, dunque, la prima malattia oftalmica in cui sia stata dimostrata l’omozigosi per una mutazione autosomica dominante con tecniche di biologia molecolare (Okada et. al., 1998). Le erosioni possono essere trattate con l’uso di lenti a contatto silicone idrogel o con cheratectomia superficiale. È possibile intervenire con PTK per ridurre le irregolarità corneali. Raramente è necessario l’intervento di cheratoplastica lamellare ed è possibile la recidiva sul tessuto del donatore.
è ridotta (in uno studio risultava attorno a 0.5, Moller, 1990) a causa sia dei processi cicatriziali che dell’addensarsi delle opacità in zona centrale. La superficie corneale appare irregolare, le opacità grandi e distribuite sia superficialmente sia più profondamente nello stroma. È stata anche rilevata una sensibilità corneale ridotta (Haddad et al., 1977). Gli anziani hanno un’acuità visiva ancora minore (tra 0.5 e 0.1, Moller, 1990) e in questi si può associare una cataratta. Il disordine è stato collegato a una transizione C»T in posizione 1710 a carico del dinucleotide CpG nell’esone 12 del gene β-ig-h3, codificante per il codone 555 della sequenza proteica (Eiberg et al., 1993, 1994; Munier et al., 1997). Il codone originario CGG viene perciò sostituito da TGG e ne risulta la sostituzione di un residuo di arginina con uno di triptofano (mutazione R555W, cfr.: Munier et al., 1997; Korvatska et al.,
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N. PESCOSOLIDO, M. AUTOLITANO
Distrofia corneale granulare di tipo II; CDG2
Questo tipo di distrofia si trasmette in modo autosomico dominante. L’esordio si colloca di solito entro i 20 anni di età ed è contraddistinto dal reperto di depositi grigio-biancastri di aspetto granulare nello stroma corneale sub epiteliale e nella sua porzione anteriore con o senza la presenza di lattice lines in ambito stromale (Fig. 9, 10). Sembra che i depositi granulari compaiano più precocemente mentre le lattice lines durante la seconda o terza decade di vita o anche più tardi. Le linee differiscono da quelle della distrofia a lattice tipica essendo più grandi, più larghe, più bianche e più spigolose (Rosenwasser et al., 1993). Istologicamente con le colorazioni Masson tricromatica e rosso Congo, i depositi granulari appaiono come distinti depositi ialini e depositi fusiformi di amiloide nello stroma corneale (Garner, 1969; Owens, 1992). Alcuni Autori hanno ritenuto di poter distinguere clinicamente le due distrofie di Groenouw in base all’aspetto dello stroma corneale tra le singole lesioni, che risulta trasparente nel tipo 1 e torbido nel tipo 2 (West, 1980). Molto spesso la diagnosi clinica può rivelarsi difficoltosa data la presenza dei casi atipici (Caparello et al., 2008) in cui lo stroma può risultare torbido solo in alcuni settori corneali.
Sinonimi: distrofia corneale di Avellino distrofia corneale granularereticolata Avellino corneal dystrophy; ACD OMIM: 607541 Nella stessa regione cromosomica (5q31) della distrofia reticolata di tipo 1 e di quella granulare di tipo 1 mappa anche un’altra forma fenotipicamente distinta di distrofia corneale che mostra insieme le caratteristiche di entrambe le malattie citate (Yamamoto et al., 2000). Il nome “distrofia corneale di Avellino” è dovuto alle origini italiane delle famiglie inizialmente studiate (Folberg et al., 1988; Holland et al., 1992; Rosenwasser et al., 1993). Tuttavia, oggi sono state osservate numerose altre famiglie colpite in varie aree geografiche indipendenti l’una dall’altra. Quindi, sembra più opportuno ribattezzare la malattia come “distrofia corneale granulare di tipo 2; GCD2” (Stone et al., 1994; Kennedy et al., 1996; Schmitt-Bernard et al., 2000). In particolare, in Giappone, questa malattia sembra essere una delle distrofie corneali legate alla regione 5q31 più frequenti (Yamamoto et al., 2000; Mashima et al., 2000).
Figura 9. Distrofia corneale granulare di tipo II (CDG2); aspetto biomicroscopico classico: reperto di depositi grigio-biancastri nello stroma corneale di aspetto sia granulare che lineare ramificato
Figura 10. Distrofia corneale granulare di tipo II (CDG2); aspetto biomicroscopico classico: presenza di lattice lines in ambito stromale
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Le distrofie corneali
Schema 6. Distrofia corneale granulare di tipo II; CDG2: transizione G»A nella posizione del nucleotide 418 dell’esone 4 del gene β-ig-h3: ne risulta la sostituzione di un residuo argininico con uno istidinico a livello del codone 124 della cheratoepitelina (mutazione R124H)
per la stessa mutazione R124H (Kaji et al., 2000; Yamamoto et al., 2000) mentre in eterozigosi sono state osservate forme atipiche con assenza dei depositi amiloidi (Stewart et al., 1999; El -Ashry et al., 2003). Nonostante specifiche mutazioni del gene β-ig-h3 (TGFBI) siano state associate con diverse forme di distrofia corneale sono stati osservati fenotipi variabili e atipici (Aldave et al., 2004; 2005; 2006) insieme a numerose variazioni intra e interfamiliari per cui la correlazione genotipo-fenotipo non è sempre possibile (Klintworth, 1999). In uno studio recente di Paliwal et al. (2009) sono stati analizzati 5 individui affetti (con diagnosi di distrofia corneale granulare) appartenenti a due famiglie indiane non consanguinee e non correlate tra loro rapportandone l’analisi genetica alle manifestazioni fenotipiche. Lo studio con microscopio confocale ha mostrato che tre individui (uno appartenente alla famiglia A e due alla famiglia B) presentavano scarsi e sottili depositi lineari bianco-grigiastri nello stroma superficiale differenti da quelli osser-
Da un punto di vista istologico le distrofie corneali sono classificate basandosi sulla natura dei depositi osservati nel tessuto. Le distrofie granulari sono contraddistinte dalla presenza di depositi ialini e nell’ambito di una distrofia a lattice da depositi amiloidi. La distrofia di Avellino è l’unica che mostra depositi amiloidi insieme a depositi ialini. L’analisi istologica non è sempre sufficiente a formulare una corretta diagnosi differenziale e inoltre non è sempre possibile effettuarla se l’intervento chirurgico non è necessario; bisogna quindi ricercare la mutazione responsabile mediante l’analisi genetica dai linfociti periferici (Yamamoto et al., 2000; Dighiero et al., 2000; Ayse et al., 2001). Il disordine è causato da una transizione G»A nella posizione del nucleotide 418 dell’esone 4 del gene β-ig-h3: ne risulta la sostituzione di un residuo argininico con uno istidinico a livello del codone 124 della cheratoepitelina (mutazione R124H, Munier et al., 1997; Korvatska et al., 1998) (Schema 6). Una forma particolarmente grave della malattia è stata associata a omozigosi 19
N. PESCOSOLIDO, M. AUTOLITANO
vati classicamente nella distrofia corneale a lattice in quanto non refrattivi, non traslucidi né ramificati; due individui nella sesta decade di vita (uno appartenente ad A e uno a B) con mutazione R124H in eterozigosi non mostravano alcuna lesione tipo lattice come quelle classicamente descritte nella progressione della distrofia corneale di Avellino. La microscopia confocale ha inoltre mostrato come in 3 individui affetti (uno appartenente ad A e due a B) erano presenti granuli altamente riflettenti nello stroma superficiale della regione corneale centrale senza nessun’altra immagine corrispondente a lesioni simil lattice. In un altro studio (Aldave et al.,2008) l’analisi genetica di individui affetti ha permesso di rilevare la presenza di una nuova mutazione causativa (M619K) nel gene β-ig-h3(TGFBI) permettendo la classificazione di queste forme come una variante della distrofia di Avellino (Aldave et al., 2008). Questi risultati confermano l’importanza di uno screening di TGFBI come tappa obbligata per procedere alla corretta diagnosi differenziale delle distrofie corneali facilitando la tempestività dell’intervento e della corretta gestione soprattutto dei pazienti più giovani (Paliwal et al. 2009).
carta geografica (Reis, 1917; Buckler, 1949; Kuchle et al., 1995). All’esame biomicroscopico la cornea, persa la trasparenza, si presenta “pulverulenta”, ha una superficie cresposa e un anello di condensazione periferico separato dal limbus per mezzo di una sottile striscia di tessuto illeso (Fig. 11, 12). Le lesioni coinvolgono anzitutto la membrana di Bowman, ma anche l’epitelio e la parte superficiale dello stroma. L’esordio si colloca di solito nella prima infanzia ed è associato alla comparsa di un fine reticolo opaco bilateralmente e simmetricamente a livello della membrana di Bowman. L’acuità visiva, in questo stadio, si mantiene ancora piuttosto buona. Sono i genitori che notano nei loro bambini episodi intermittenti di arrossamento e irritazione spontanea degli occhi. Con il progredire della malattia, le opacità si addensano al centro della cornea (opacità confluenti “a carta geografica”), mentre la periferia è tipicamente pulita e non vi sono segni di neovascolarizzazione corneale (Small et al., 1996). L’acuità visiva può essere ridotta sia per le opacità dei depositi che per la formazione di cicatrici sottoepiteliali e stromali superficiali. Altri sintomi sono la riduzione della sensibilità corneale, la fotofobia, il dolore e la lacrimazione. Erosioni corneali ricorrenti si possono avere tra gli 8 e i 20 anni; quindi di nuovo, in maniera più grave, verso i 4050 anni. In una delle prime famiglie descritte, molti componenti erano simultaneamente affetti da strabismo (Paufique e Bonnet, 1966). La cheratoplastica lamellare si può rendere necessaria sia per la riduzione del visus sia per il dolore causato dalle erosioni continue, ma l’intervento viene frequentemente reso vano dalle precoci recidive (Ridgway et al., 2000). La prognosi è complessivamente peggiore rispetto a quella della distrofia della membrana di Bowman di tipo II. Studi istochimici hanno dimostrato la presenza di depositi subepiteliali granulari che risultano eosinofili all’ematossilina-eosina e rossi alla colorazione tricromatica di Masson (Kuchle et al.,
Distrofia corneale della membrana di Bowman di tipo I; CDB I Sinonimi: distrofia corneale di ReisBuckler’s; RBCD distrofia corneale a carta geografica variante superficiale della distrofia granulare geographic or “true” ReisBuckler’s corneal dystrophy OMIM: 121900 I segni tipici della distrofia corneale di ReisBuckler’s sono le opacità corneali confluenti a
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Le distrofie corneali
Figura 11. Distrofia corneale della membrana di Bowman di tipo I (CDB I); aspetto biomicroscopico classico: opacità corneali confluenti a carta geografica
Figura 12. Distrofia corneale della membrana di Bowman di tipo I (CDB I); aspetto biomicroscopico classico: le lesioni coinvolgono anzitutto la membrana di Bowman, ma anche l’epitelio e la parte superficiale dello stroma
1995; Ridgway et al., 2000) (Fig. 13). Tali depositi di fatto rimpiazzano la membrana di Bowman e inviano prolungamenti sia nell’epitelio che nello stroma anteriore. La membrana basale epiteliale, tuttavia, non appare coinvolta. Dal punto di vista ultrastrutturale si repertano tipici corpi bastoncellari (‘rod-shaped bodies’, Kuchle et al., 1995), simili a quelli della distrofia granulare. Inoltre, quasi tutte le cellule epiteliali, ma specialmente quelle dello strato basale, mostrano alterazioni di tipo degenerativo (Rice et al., 1968; Akiya e Brown, 1971): mitocondri rigonfi, vacuoli allargati, edema e distruzione del reticolo endoplasmico. La membrana di Bowman risulta quasi completamente sostituita da masse di fibrille collagene disorientate e fibrille elettrondense più piccole di origine non ancora determinata. Depositi elettron-densi si trovano anche tra le cellule epiteliali e all’interno delle cellule stesse (Ridgway et al., 2000). Nelle recidive, dopo cheratoplastica perforante, si ritrovano depositi elettrondensi tra l’epitelio e la membrana di Bowman del donatore e tipici corpi bastoncellari sia tra le cellule epiteliali sia al loro interno, in taluni casi direttamente connessi con gli accumuli a livello della membrana di Bowman.
Tali reperti suggeriscono un’origine epiteliale della distrofia di Reis-Buckler’s e un coinvolgimento secondario della membrana di Bowman e dello stroma anteriore (Ridgway et al., 2000). Anche in alcuni di questi casi è possibile intervenire con una PTK per ridurre le irregolarità della cornea. Le ricerche effettuate indicano che l’alterazio-
Figura 13. Distrofia corneale della membrana di Bowman di tipo I (CDB I); sezione istologica corneale: depositi sub epiteliali granulari che risultano rossi (fucsinofili) alla colorazione tricromatica di Masson
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N. PESCOSOLIDO, M. AUTOLITANO
Schema 7. Distrofia corneale della membrana di Bowman di tipo I; CDB I: trasversione G»T nel nucleotide 417 esone 4 del gene β-ig-h3. Ciò causa la sostituzione di un residuo Arg con uno Leu nella posizione 124 della cheratoepitelina (mutazione R124L)
Distrofia corneale della membrana di Bowman di tipo II; CDB II
ne genetica responsabile del disordine è una trasversione G»T nel nucleotide 417 esone 4 del gene β-ig-h3. Ciò causa la sostituzione di un residuo Arg con uno Leu nella posizione 124 della cheratoepitelina (mutazione R124L, Okada et al., 1998; Mashima et al., 1999, 2000; Ridway et al., 2000) (Schema 7). Tuttavia, sono stati descritti fenotipi simili con mutazioni genetiche diverse: ad esempio, la mutazione β F540 in una famiglia sarda del villaggio di Arbus (Rozzo et al., 1998). In questo caso è stata individuata la delezione di tre nucleotidi nell’esone 12 del gene β-ig-h3, responsabile della mancata traduzione della fenilalanina in posizione 540 della sequenza proteica. Tale residuo aminoacidico è localizzato sul versante interno del quarto dominio omologo della cheratoepitelina, venedosi così a trovare in un sito altamente conservato nella filogenesi. Un’alterazione a questo livello è verosimilmente responsabile di alterazioni strutturali che possono portare alla precipitazione subepiteliale della proteina.
Sinonimi: distrofia corneale di ThielBehnke; CDTB honeycomb or Thiel-Behnke corneal dystrophy OMIM: 602082 Descritta per la prima volta da Behnke e Thiel nel 1965 nella regione dello Schleswig-Holstein (Behnke e Thiel, 1965), questa distrofia è una malattia della membrana basale anteriore e di Bowman dal decorso progressivo che causa fotofobia, dolore, erosioni corneali ricorrenti e cicatrici. È facilmente confusa con la distrofia di ReisBuckler’s (CDB I) e con quella di Meesman, per cui può essere necessaria una differenziazione mediante analisi microscopica e genetica (Kuchle et al., 1995; Yee et al., 1997; Rigway et al., 2000). Il segno clinico tipico della distrofia di Behnke
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Le distrofie corneali
ta sarà causa di ulcere dolorose e ricorrenti. L’esordio è ancora più precoce rispetto alla CDB I (di solito entro i 20 anni di età), ma la progressione è più lenta. Quindi, la prognosi funzionale è complessivamente migliore. All’analisi ultrastrutturale si dimostrano i seguenti reperti: distruzione della membrana di Bowman, una banda ondulante subepiteliale di materiale densamente fibroso contenente scarse cellule, scomparsa in molte zone della membrana basale epiteliale. Il tessuto fibrocellulare accumulato è composto da fibre collagene di 9-15 nm di diametro arricciate e annodate tra loro (Kuchle et al., 1995). Questi depositi sono eosinofili, non si colorano in rosso con la tricromatica di Masson nè reagiscono con il rosso Congo o con il PAS. Materiale ialino si ritrova anche nello spazio extracellulare tra le cellule epiteliali, benchè non nelle cellule stesse. Questa osservazione suggerisce anche nel caso della CDB II una origine epiteliale, analogamente a quanto ipotizzato per la CDB I e la CDG1, anche se la morfologia dei depositi,
Figura 14. Distrofia corneale della membrana di Bowman di tipo II(CDB II); presenza di opacità a forma di alveare a livello della membrana di Bowman mentre la superficie corneale è distintivamente liscia
e Thiel è la presenza di opacità a forma di alveare a livello della membrana di Bowman (Kuchle et al., 1995) mentre la superficie corneale è distintivamente liscia (Fig. 14). Come nella CDB I, la scarsità di emidesmosomi ancoranti le cellule epiteliali basali alla membrana basale già destruttura-
Schema 8. Distrofia corneale della membrana di Bowman di tipo II; CDB II: transizione G»A nel nucleotide 1711 esone 12 del gene β-igh3, responsabile della sostituzione di una Arg con Gln nella posizione 555 della cheratoepitelina (mutazione R555Q)
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Distrofia della membrana basale dell’epitelio corneale; MDFD
come appare istologicamente, è diversa nelle tre distrofie (Rigway et al., 2000). La modalità di trasmissione è autosomica dominante. La mutazione genetica responsabile è stata individuata nel gene β-ig-h3, esone 12, nucleotide 1711. Si tratta di una transizione G»A nel contesto di un dinucleotide CpG,responsabile della sostituzione di una Arg con Gln nella posizione 555 della cheratoepitelina (mutazione R555Q, Munier et al., 1997; Okada et al., 1998; Rigway et al., 2000; Mashima et al., 2000) (Schema 8). Quanto detto, tuttavia, sembra non esaurire le possibili varianti genotipiche delle distrofie della membrana di Bowman, in quanto alcune forme di distrofia corneale anteriore hanno mostrato un linkage con la regione 10q24 (Sullivan et al., 1997; Yee et al., 1997). Rimane da chiarire se effettivamente queste forme siano classificabili fenotipicamente come CDB II (Rigway et al., 2000).
Sinonimi: distrofia di Cogan; Map-Dot-Fingerprint; distrofia corneale anteriore OMIM: 121820 Si tratta di una distrofia corneale anteriore bilaterale, caratterizzata dalla presenza a livello epiteliale di linee grigiastre con andamento a fingerprint, aree irregolari tipo carta geografica con aspetto a vetro smerigliato, piccole alterazioni sferoidali (microcisti) opache all’esame con la lampada a fessura (Fig. 15, 16). Sono state riportate diverse famiglie in cui è stata documentata una trasmissione autosomica dominante della malattia, con individui affetti sia in età giovanile che adulta; tuttavia in un altro studio è stato documentato che questo tipo di distro-
Figura 15. Distrofia della membrana basale dell’epitelio corneale (Map-Dot-Fingerprint) aspetto biomicroscopico classico: dots: presenza di microcisti intraepiteliali che si presentano come opacità grigio-bianche di forma circolare, allungata, a virgola e che all’illuminazione diretta sono simili a depositi di gesso; fingerprint: opacità lineari sottili, curvilinee e parallele visibili con la sola retroilluminazione; Map: impronta a carta geografica, si intende la presenza di macchie opache, grigiastre e con margine netto
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ne diretta sono simili a depositi di gesso, oppure possono apparire come piccole opacità fittamente raggruppate di aspetto chiaro (Bertolotto e Iester, 2008). Queste lesioni possono interessare sia la cornea centrale che quella periferica con conseguenze molto diverse sulla qualità della visione. L’acuità visiva può infatti variare da 10/10 a 1/10. Istopatologicamente sono formate da aggregati cistici di cellule degenerate che contengono frammenti di nuclei, di citoplasma e di lipidi. Generalmente sono asintomatiche a meno che non si complichino in erosioni corneali. Il disegno fingerprint (o impronta digitale) è visibile con la sola retroilluminazione con cui si evidenziano le caratteristiche opacità lineari sottili, curvilinee e parallele. Con il termine Map (o impronta a carta geografica) si intende la presenza di macchie opache, grigiastre e con margine netto. Al di sotto di queste aree grigie si repertano solitamente le microcisti epiteliali. Istopatologicamente queste aree sono caratterizzate da inspessimento della membrana basale epiteliale che in parte sconfina nell’epitelio formando lamine e fibrille di materiale simile a quello della membrana basale stessa. Un altro tipo di lesione distrofica è rappresentato dalle vescicole di Bron e Brown: un ammasso di puntini chiari, visibili solo in retroilluminazione che sembrano essere formate da uno strato di materiale fibrillogranulare deposto tra la membrana basale epiteliale e la membrana di Bowman (Bertolotto e Iester, 2008). Alla base di queste lesioni c’è probabilmente un’anomala sintesi dei costituenti della membrana basale all’interno dell’epitelio. L’accumulo di questo materiale, impedendo la corretta migrazione delle cellule epiteliali verso la superficie, provoca la formazione di cisti contenenti cellule degenerate. Le erosioni corneali ricorrenti si verificano in una certa percentuale di pazienti a causa della scomparsa degli emidesmosomi tra le cellule basali epiteliali e per la cattiva aderenza dell’epitelio a una membrana basale inspessita e alterata.
Figura 16. Distrofia della membrana basale dell’epitelio corneale (Map-Dot-Fingerprint) schematizzazione delle lesioni caratteristiche
fia corneale è presente in circa il 75% delle persone con più di 50 anni di età, quasi a rappresentare una modalità età-dipendente di degenerazione corneale. La modalità di trasmissione autosomica dominante non può essere comunque esclusa. L’insorgenza si colloca generalmente nell’età adulta (50-70 anni) più frequentemente colpisce individui di sesso femminile. L’esatta incidenza della condizione è sconosciuta. Sebbene questo tipo di distrofia corneale sia generalmente asintomatica, più del 10 % degli individui affetti presenta lesioni corneali ricorrenti. Dal punto di vista istopatologico sono state evidenziate alterazioni variabili nella giunzione dell’epitelio alla membrana basale, quali una membrana basale qualitativamente alterata e quantitativamente ridondante che si accresce nello strato epiteliale e lacune intraepiteliali ripiene di detriti cellulari. L’esame istologico mostra un ispessimento della membrana basale con deposizione di proteine fibrillari tra la membrana basale e la membrana di Bowman. Con il termine Dots si intende la presenza di microcisti intraepiteliali che possono essere descritte come opacità grigio-bianche di forma circolare, allungata, a virgola e che all’illuminazio-
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scopo profilattico, seguiti da un bendaggio compressivo per 48 ore e da analgesici per via generale, può aiutare a promuovere la riepitelizzazione corneale e a calmare il paziente. Se l’epitelio è estesamente lasso e distaccato, deve essere rimosso delicatamente con del cotone risparmiando la zona limbare per evitare la congiuntivalizzazione corneale. La rimozione dell’epitelio deve essere effettuata in maniera eccentrica per evitare che la riepitelizzazione, che procede in modo centripeto, esiti con irregolarità di spessore proprio sull’asse visivo. L’applicazione di una lente a contatto silicone idrogel può prevenire l’insorgenza delle ulcerazioni corneali. In caso di ripetute erosioni recidivanti si può tentare di ottenere una maggiore adesione dell’epitelio forando con un aghetto la membrana basale per permettere all’epitelio di ancorarsi agli strati sottostanti. La cheratectomia fototerapeutica può essere utile. Tuttavia, pur essendo alta la probabilità di recidiva dopo il trattamento, è possibile con successo il reintervento.
Causano dolore molto intenso, di solito al risveglio mattutino, blefarospasmo e lacrimazione. L’epitelio appare distaccato e raggrinzito e lo stroma corneale sottostante è interessato da un edema brunastro e granuloso. Sebbene le erosioni siano ricorrenti, la loro insorgenza ciclica può cessare dopo qualche anno dal loro esordio (1-3 anni) persistendo comunque le lesioni distrofiche. Un’importante complicanza è rappresentata dalla insorgenza di astigmatismo. L’applicazione di una pomata contenente cloruro di sodio al 5% applicata prima di coricarsi accompagnata all’uso di un collirio sempre a base di cloruro di sodio durante il giorno, può contribuire alla riduzione dell’edema e delle irregolarità epiteliali. L’utilizzo di un sostituto lacrimale facilitando la lubrificazione della cornea può evitare attriti che potrebbero provocare il distacco dell’epitelio stesso. Se il visus è marcatamente peggiorato si può rimuovere l’epitelio alterato con cotone o con lama da bisturi. In caso di erosione corneale, se l’epitelio non è troppo distaccato, l’uso di una soluzione ipertonica, di un cicloplegico e di un antibiotico a
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Altre mutazioni autosomiche dominanti legate alla regione 5q31
e 108 bp, mentre gli altri membri della famiglia non affetti sintetizzavano solo il frammento 319 bp. Queste due mutazioni (Leu509Pro e Gly623 Arg) sono nuove e sono risultate assenti su 100 volontari non affetti analizzati dagli Autori. Tutte le mutazioni sono state trovate in eterozigosi. Tre membri di una famiglia con distrofia corneale a lattice tipo I (MIM 122900) hanno mostrato una mutazione arginina 124 a cisteina (Arg124Cys), cinque membri di una famiglia e tre casi sporadici con distrofia corneale di Groenouw tipo I (distrofia granulare; MIM 121900) hanno mostrato una mutazione di arginina 555 a triptofano (Arg555Trp) e tre membri di una famiglia e un caso sporadico con distrofia corneale di Avellino (distrofia granulare di tipo II; MIM 607541) hanno mostrato una mutazione di arginina124 a istidina (Arg124His). È stata trovata una mutazione di istidina 626 in arginina (His626Arg) in una famiglia con distrofia corneale tipo lattice e in un caso sporadico con amiloidosi corneale polimorfa e una mutazione di alanina546 ad acido aspartico (Ala546Asp). Non è stata identificata alcuna mutazione nel paziente membro di una famiglia e in un caso sporadico con fenotipo di distrofia corneale di ThielBehnke (distrofia corneale della membrana di Bowman tipo II; MIM 602082). Questo studio su 16 famiglie tedesche e nove casi sporadici di distrofia corneale autosomica dominante ha quindi evidenziato sette differenti mutazioni del gene TGFBI. Quattro di esse corrispondono a mutazioni fenotipo-specifiche con
Recentemente sono stati pubblicati i risultati di uno studio (Gruenauer-Kloevekorn et al., 2009) in cui 41 soggetti con distrofia corneale ereditata in forma autosomica dominante, appartenenti a 16 famiglie tedesche, più 9 casi sporadici sono stati sottoposti allo screening del gene TGFBI allo scopo di trovare nuove mutazioni del gene. Sono state identificate sette mutazioni di cui due nuove nei soggetti affetti appartenenti a 15 famiglie e in 6 casi sporadici con diagnosi di distrofia corneale tipo lattice, distrofia corneale granulare di tipo I, distrofia corneale di Avellino (distrofia corneale granulare di tipo 2) e tre unici fenotipi. In due membri di una famiglia con distrofia corneale a fenotipo simil-geografico (geographic pattern-like) o distrofia di Reis-Buckler’s è stata trovata la transizione 1573C>T che causa la mutazione leucina 509 a prolina (Leu509Pro). Questa mutazione è stata confermata con l’uso dell’enzima di restrizione Acul (NEB, Ipswich, Massachusetts). Entrambi i pazienti sintetizzavano i frammenti 57 bp, 166 bp e 223 bp mentre i membri non affetti della stessa famiglia sintetizzavano solo i frammenti 57 bp e 166 bp. È stata trovata ancora la transversione 1914G>C che dà luogo a una mutazione da glicina 623 a arginina (Gly623Arg) in 11 membri di due famiglie e in un caso sporadico che manifestavano una variante della distrofia a lattice a tarda insorgenza con opacità corneali tipo map. Questa mutazione è stata confermata con l’uso dell’enzima di restrizione KasI (NEB). Tutti i pazienti affetti sintetizzavano i frammenti 319 bp, 211 bp
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depositi rosso Congo negativi (Kawasaki et al., 1999; Tian et al., 2005). È stato inoltre notato un forte staining sottoepiteliale con anticorpi anti KE2 insieme a uno staining positivo con anticorpi anti KE15. Ciò è in contrasto con quello che si riscontra di solito nei casi di distrofia a lattice che mostrano un intenso staining dei depositi amiloidi solo con gli anticorpi anti KE2 e nessuna reazione con quelli anti KE15 (Korvatska et al., 1999; Konishi et al., 2000). Nei casi esaminati in questo studio sono state quindi osservate alcune, ma non tutte, le caratteristiche delle distrofie granulari e a lattice legate alla mutazione di TGFBI: la positività dei depositi al rosso Congo, che ne rivela la natura amiloide come nei casi di distrofia a lattice e lo staining positivo con anticorpi anti KE15 che si riscontra in alcuni pazienti con sottotipi non-lattice di distrofie corneali legate a TGFBI come la distrofia corneale di Groenouw granulare di tipo I (Korvatska et al., 1999; Konishi et al., 2000). Konishi et al., (2000) hanno descritto la coesistenza di depositi amilioidi e staining positivo con anticorpi policlonali anti KE15 in pazienti con distrofia corneale di Avellino (distrofia corneale granulare di tipo II) proponendo come meccanismo patogenetico una riduzione della proteolisi della cheratoepitelina mutante risultante nell’aggregazione proteica in ambito sottoepiteliale e medio-stromale con depositi di proteina troncata o degenerata negli strati medio-profondi. Inoltre, l’alterazione della proteolisi della cheratoepitelina potrebbe essere associata ai casi di distrofia corneale di Avellino in età avanzata. La cheratoepitelina contiene, come detto, quattro regioni FAS1 di omologia interna di circa 140 aminoacidi. Tutte le mutazioni collocate nella quarta regione FAS1 danno luogo a sottotipi differenti che mostrano staining positivo con anticorpi monoclonali anti KE2 (tipo lattice) o con anticorpi monoclonali anti KE15(tipo granulare). Viceversa, la distrofia corneale di Avellino (staining positivo sia con anticorpi monoclonali anti
hot spots mutazionali corrispondenti ad arginina124 e arginina555 della cheratoepitelina come nella maggior parte dei casi di distrofia corneale autosomica dominante legata a TGFBI (Korvatska et al., 1998; Okada et al., 1998; Munier et al., 2002; Chakravarthi et al., 2005). Sono state trovate inoltre due nuove mutazioni di TGFBI che danno luogo a dei fenotipi che differiscono per diversi aspetti dalle classiche forme legate a questo gene. La nuova mutazione Leu509Pro mostra un fenotipo simile alla distrofia di Reis-Bücklers (MIM 121900) con presenza di opacità geografiche e sfumate dello stroma superiore e alta incidenza di recidiva dopo trapianto, ma ne differisce per aspetti istologici e immunoistochimici con depositi amiloidi adiacenti a depositi non amiloidi nell’ambito dello stroma anteriore e medio confermate dalla colorazione con rosso Congo. Queste manifestazioni sono differenti da quelle riportate per le altre mutazioni dell’esone 11, come Pro501Thr e Val505Asp, che presentano caratteristiche della distrofia a lattice soprattutto la presenza delle lattice lines e solo in alcuni casi l’intorbidamento dello stroma centrale (Fujiki et al., 1998; Kawasaki et al., 1999; Tian et al., 2005). Il fenotipo dei pazienti portatori della mutazione Leu509Pro non è identico a quelli classificati come distrofia a lattice tipo IIIA (MIM 608471), distrofia a lattice tipo IV o distrofia a lattice tipo I (MIM 122200). Non sono state trovate lattice lines, ma piuttosto opacità sfumate soprattutto nella regione sottoepiteliale e anteriore dello stroma con granulazioni di piccole dimensioni rispetto a quelle che si osservano nella distrofia di Reis-Bücklers (MIM 121900). Nei soggetti con mutazione Pro501Thr e Val505Asp si osservano di solito esclusivamente depositi amiloidi presenti nello stroma anteriore e nell’area sottoepiteliale mentre nei soggetti partecipanti a questo studio sono stati trovati depositi rosso Congo positivi di piccole dimensioni nella zona sottoepiteliale e medio-stromale vicino a
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famiglie e in tre casi sporadici di distrofia corneale a fenotipo Thiel-Behnke (distrofia corneale della membrana di Bowman, tipo II). È possibile, ma improbabile, che in questi casi le mutazioni si trovino a livello dell’introne o del promotore del gene TGFBI. Tuttavia esistono delle difficoltà nel distinguere tra il fenotipo della distrofia corneale di Thiel-Behnke e quello della distrofia corneale di Reiss-Bückler’s. Inoltre, in passato, veniva usata la stessa nomenclatura per indicare entrambi i pattern distrofici (Küchle et al., 1995; Weidle et al., 1999). Yee et al. (1997), con l’analisi di linkage, hanno dimostrato i meccanismi molecolari della distrofia di Thiel-Behnke individuando il locus sul cromosoma 10q23-24. In questo studio, comprendente solo una poco numerosa famiglia e tre casi sporadici di distrofia di Thiel-Behnke, sfortunatamente non è stato possibile effettuare l’analisi di linkage e stabilire quindi se il locus cromosomico fosse il medesimo. Inoltre, dato che su tutti i pazienti era stata effettuata una cheratectomia fototerapeutica (PTK), non è stato possibile effettuare esami istologici e immunoistochimici che delucidassero la natura delle opacità corneali della distrofia di Thiel-Behnke. In breve, le due nuove mutazioni identificate in questo studio, entrambe collocate nella prima regione FAS1 della cheratoepitelina, sono ognuna associata con fenotipi diversi di distrofia corneale: o con la variante a lattice con opacità map-simili o con fenotipo simil-geografico, con gli stessi reperti immunoistochimici e istopatologici. Le mutazioni locate nella quarta regione FAS1 della cheratoepitelina possono dare luogo a numerosi fenotipi oltre al comune fenotipo simillattice. Lo studio dimostra quindi l’eterogeneità genetica dei pazienti con distrofia corneale legata a TGFBI anche in base alle loro origini geografiche.
KE2 che anti KE15 e riscontro istopatologico di amiloide) è associata a una mutazione della prima regione FAS1 (Dighiero et al., 2000; Munier et al., 2002; Eifrig et al., 2004). Secondo le conoscenze degli Autori si tratterebbe della prima descrizione della coesistenza di amiloide e staining positivo con anticorpi monoclonali anti KE2 e anti KE15 in pazienti con mutazione del gene TGFBI localizzata nella quarta regione FAS1 della cheratoepitelina. Alla luce di questi fatti è chiaro che la differente ubicazione e il tipo di mutazione del gene da luogo al manifestarsi di fenotipi diversi con meccanismi non ancora del tutto compresi (Gruenauer-Kloevekorn et al., 2009). La seconda nuova mutazione trovata Gly623 Arg è associata con una variante della distrofia tipo lattice combinata con delle opacità simili a quelle di tipo map e insorgenza tardiva. La mutazione dell’esone 14 del gene TGFBI (in particolare mutazioni coinvolgenti il codone 623) dà luogo a un fenotipo a pattern geografico o lattice simile in combinazione con la presenza di depositi a livello della membrana di Bowman (Aldave et al., 2005). Aldave et al.(2005) avevano già riportato il caso di una famiglia con mutazione Gly623Arg con fenotipo sovrapponibile comprendente fini striature a lattice e opacità sottoepiteliali nell’ambito della regione corneale centrale ma senza la presenza di depositi amiloidi. La positività al rosso Congo conferma invece la loro presenza nei casi esaminati da Gruenauer-Kloevekorn et al. (2009) dove peraltro non è stato riscontrato alcuno staining con anticorpi anti KE15. Nelle famiglie tedesche con mutazione Gly623Arg è stata invece confermata la presenza di distrofia tipo lattice, con tutte le sue caratteristiche istopatologiche e immunoistochimiche, che non ha provocato deterioramento della funzione visiva in nessuno dei pazienti esaminati sotto i 42 anni di età. È interessante notare come non sia stata trovata alcuna mutazione nel gene TGFBI in una delle
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Distrofie corneali legate ad altri loci genici
Distrofia corneale epiteliale giovanile; MECD
Le lesioni appaiono come una moltitudine di fini opacità puntiformi localizzate a livello dell'epitelio corneale centrale, in misura minore nella cornea periferica e a volte nella membrana di Bowman di entrambi gli occhi (Fig. 17). Si tratta di microcisti o piccole vescicole che sovente si complicano con erosioni puntate ricorrenti (Fig. 18). Spesso asintomatica, tale distrofia si può manifestare con dolore, lacrimazione, fotofobia e visione annebbiata. Solo raramente si ha una grave riduzione dell’acuità visiva. I pazienti non tollerano lenti a contatto, poichè queste traumatizzano l’epitelio corneale. Le complicanze sono costituite dalle ulcere corneali ricorrenti dovute alla fragilità epiteliale. Una possibile metodica di trattamento è rappresentata dalla cheratoplastica
Sinonimi: distrofia corneale di Meesmann juvenile epithelial corneal dystrophy of Meesmann OMIM: 122100, 148043, 601687 La malattia fu descritta inizialmente in Germania (Meesmann e Wilke, 1939), successivamente in individui americani di origine tedesca (Stocker e Holt, 1954, 1955) e, quindi, anche in soggetti nord-irlandesi (Irvine et al., 1997), arabi (Badr et al., 1998) e di altre nazionalità. L’esordio può essere tanto precoce da collocarsi nei primi mesi di vita e il decorso è progressivo.
Figura 17. Distrofia corneale epiteliale giovanile di Meesmann; aspetto biomicroscopico classico: moltitudine di fini opacità puntiformi localizzate nell’epitelio e a volte nella membrana di Bowman
Figura 18. Distrofia corneale epiteliale giovanile di Meesmann; visione delle piccole opacità in retroilluminazione
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Figura 19. Distrofia corneale epiteliale giovanile di Meesmann; al microscopio elettronico si osservano gruppi di materiale fibrogranulare elettrondenso all’interno di una cellula epiteliale degenerata
Figura 20. Distrofia corneale epiteliale giovanile di Meesmann; microscopio elettronico: più elevato ingrandimento della sostanza peculiare (Ps) depositata rappresentata da una citocheratina mutata in stretta associazione con singoli filamenti (F)
specificamente espresse a livello degli strati epiteliali anteriori o sopra-basali (Panjawi, 1997), che sono quelli più fragili nella distrofia di Meesmann (Irvine et al., 1997). A oggi, sono stati descritti pazienti eterozigoti portatori di mutazioni di senso nei geni citati (Nishida et al., 1997; Irvine et al., 1997; Takahashi et al., 1998). La mutazione, quindi, sembrerebbe avere un effetto dominante “negativo”, ovvero la presenza dell’allele mutato causa la traduzione di una proteina difettosa che non si assembla in modo corretto nel filamento intermedio del citoscheletro e predispone alla lisi cellulare al minimo traumatismo (Vincent et al., 2003). Una variante della distrofia corneale di Meesmann è rappresentata dalla distrofia corneale di Stocker-Holt causata dalla mutazione Arg19Leu nel gene KRT12 della citocheratina 12 (Stocker e Holt,1954;1955; Klintworth et al., 1999). La MECD persiste per tutta la vita. È stata tentata la rimozione dell'epitelio corneale anormale con scarsi risultati. Anche con la rimozione dell'epitelio patologico, la distrofia recidiva sull’epitelio rigenerato.
lamellare (Alkemade e Van Balen, 1966; Vincent et al., 2003). L’istologia dimostra una membrana basale ispessita in modo variabile evento comunque non specifico e presente in numerosi altri disturbi dell’epitelio corneale. Al microscopio elettronico si notano microcisti epiteliali e vacuoli citoplasmatici riempiti da una sostanza peculiare, PAS+ diastasi e neuraminidasi resistente, (Kuwabara e Ciccarelli, 1964) che al microscopio elettronico a trasmissione risulta essere cheratina fibrillo granulare circondata da filamenti citoplasmatici e vacuoli (Fig. 19, 20). L’ereditarietà è di tipo autosomico dominante (Meesmann e Wilke, 1939; Badr et al., 1998) a penetranza probabilmente incompleta o con espressività ritardata in alcuni casi ad esordio tardivo (oltre i 17 anni, Badr et al., 1998). Le mutazioni responsabili si trovano nei geni KRT3 e KRT12 che codificano per le cheratine cornea-specifiche K3 e K12: tali geni mappano rispettivamente nei loci 12q13 e 17q12. Le due cheratine K3 e K12 compongono i filamenti intermedi del citoscheletro corneale e sono
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Distrofia con erosioni epiteliali ricorrenti; ERED
Distrofia corneale di Lisch; LECD
Sinonimi: erosioni corneali ricorrenti ereditarie, Distrofia Helsinglandica, Distrofia Smolandiensis OMIM: 122400
OMIM: 300778 La distrofia di Lisch è stata riconosciuta come entità nosologica autonoma con caratteristiche peculiari sia dal punto di vista clinico che istologico e genetico (Lisch et al., 1992; Robin et al., 1994; Lisch et al., 2000). L’esordio si colloca entro la seconda decade di vita. Risulta colpito l’epitelio corneale, il quale presenta bande di opacità grigiastre a forma di verticillo o di ruota (Fig. 21). In retroilluminazione, si riconosce che tali opacità sono microcisti epiteliali chiare e densamente raggruppate. La perdita della trasparenza corneale è progressiva mentre il dolore è infrequente. Talvolta, si può trarre giovamento dall’uso di lenti a contatto in silicone idrogel, a differenza di quanto accade nella distrofia di Meesmann. Non vi sono differenze significative di espressività tra maschi e femmine. Il disordine mappa in Xp22.3 e si trasmette con modalità dominante legata al cromosoma X (Lisch et al., 2000).
Questo tipo di distrofia corneale è caratterizzata da episodi ricorrenti di erosioni epiteliali fin dall'infanzia, in assenza di malattie associate (Franceschetti, 1928; Wales, 1955; Valle,1967; Hammar et al., 2008). Le erosioni iniziano spontaneamente o sono scatenate da traumi minori, polvere e fumo. La condizione può diventare evidente dai 6 mesi di vita, ma di regola l’esordio si colloca tra i 4 e i 6 anni. Le erosioni possono essere accompagnate da haze subepiteliale o bolle e opacità subepiteliali apparentemente a causa dello sviluppo di fibrosi o noduli cheloide-simili. Non sono state identificate anomalie morfologiche specifiche nella ERED. L'eziologia non è completamente nota. Il gene per ERED non è stato ancora associato a uno specifico locus cromosomico. Questi pazienti possono essere trattati con terapia medica del difetto epiteliale e proteggendo l'epitelio con deficit di aderenza. Un antibiotico topico, un cicloplegico e un bendaggio compressivo possono essere molto utili come l’uso di unguento lubrificante durante la notte. L’utilizzo di soluzione salina ipertonica e di lenti a contatto terapeutiche possono anche avere un ruolo. Nella ERED l'intensità e la frequenza delle erosioni epiteliali ricorrenti tendono a diminuire con il tempo e di solito cessano entro la fine del quarto decennio. Quando presente, l’opacità subepiteliale tende ad ampliarsi nel tempo.
Figura 21. Distrofia corneale di Lisch; aspetto biomicroscopico classico: bande di opacità epiteliali grigiastre a forma di verticillo o di ruota
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Le distrofie corneali
Distrofia corneale subepiteliale mucinosa; SMCD
SMCD è la presenza di materiale mucinoso sub epiteliale (Fig. 22). Esso è associato con una banda di GAG (glicosaminoglicani) a livello della membrana di Bowman che sono stati identificati, con tecniche istochimiche, come condroitin-4-solfato e dermatan solfato (Fig. 23). Il gene per la SMCD non è stato mappato in nessun locus cromosomico particolare. Nelle prime fasi di malattia, quando le erosioni epiteliali della cornea sono presenti, il trattamento coincide con quello delle ERED (vedi sopra). Dato che questa distrofia è stata riportata in un'unica famiglia, la terapia ideale rimane incerta. La SMCD progredisce poi nel tempo causando l’instaurazione di opacità corneali.
OMIM: 612867 È caratterizzata da frequenti erosioni corneali ricorrenti nel primo decennio di vita e, in letteratura, è descritto lo sviluppo di opacità subepiteliale e haze corneale solo in pazienti di età superiore ai 10 anni (Feder, 1993). Una caratteristica morfologica sorprendente del tessuto corneale con
Distrofia corneale maculare; MCDC Sinonimi: distrofia corneale di Groenouw di tipo 2 macular corneal dystrophy, MCD distrofia corneale Fehr Sottotipi: distrofia corneale maculare di tipo 1; MCD1 distrofia corneale maculare di tipo 2; MCD2 OMIM: 217800
Figura 22. Distrofia corneale subepiteliale mucinosa (SMCD); aspetto biomicroscopico classico: una opacità di forma irregolare è presente nella cornea superficiale
La distrofia maculare comprende vari sottotipi caratterizzati geneticamente e biochimicamente. In ogni caso l’ereditarietà è autosomica recessiva, l’esordio si colloca nella prima decade di vita, di solito tra i 5 e i 9 anni e l’aspetto clinico è sovrapponibile. I sintomi comprendono dolorosi attacchi di fotofobia, sensazione di corpo estraneo, quindi, riduzione della sensibilità corneale, erosioni ricorrenti e riduzione del visus che si esacerbano di solito oltre i 30 anni di età. In clinica, all’inizio si osservano opacità puntiformi grigiastre dai bordi indistinti nello stroma anteriore soprattutto al centro della cornea e un tessuto interposto a vetro smerigliato (Fig. 24). Successivamente, le lesioni si
Figura 23. Distrofia corneale subepiteliale mucinosa (SMCD); sezione istologica corneale: la regione della cornea sotto l'epitelio, dove lo strato di Bowman è normalmente presente, contiene una banda intensamente colorata. Colorazione Blu Alcian
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Figura 24. Distrofia corneale maculare (MCDC); aspetto biomicroscopico classico: opacità puntiformi grigiastre dai bordi indistinti nello stroma anteriore soprattutto al centro della cornea e un tessuto interposto a vetro smerigliato
strato come la biosintesi dei glicosaminoglicani corneali contenenti cheratansolfato (KS-GAGs) sia alterata probabilmente a causa di un’anomala elaborazione della componente glicoproteica (Jones e Zimmerman, 1961; Klintworth e Vogel, 1964; Klintworth e Smith, 1977; Hart e Lennarz, 1978; Hassell et al., 1980; Klintworth et al., 1986; Quantock et al., 1997). Da indagini sul siero si è compreso che il disordine non è limitato alla cornea, ma si estende anche agli altri tessuti produttori di cheratansolfato (KS), tra cui principalmente la cartilagine. La cornea, infatti, è responsabile solo in minima parte della concentrazione di KS in circolo. Se quest’ultima si presenta significativamente ridotta bisogna quindi ricercare un’anomalia nei siti di produzione maggiori, ossia cute, valvole cardiache, cartilagine e osso (Thonar et al., 1986; Chackravarti et al., 1995). La causa, in definitiva, potrebbe essere una deficienza di solfotransferasi (Nakazawa et al., 1984). Anche se le conseguenze cliniche della MCD si manifestano a livello corneale, l’alterazione riguarda, in realtà, il metabolismo dei KSPG in tutto l’organismo (Jonasson et al., 1996). Il dosaggio sierico di cheratan-solfato non è utile, tuttavia, a individuare i portatori sani di MCD (Jonasson et al., 1996). Sulla base di studi immunoistochimici del tes-
estendono in periferia e in profondità e la superficie corneale diventa irregolare con eventuali aree di assottigliamento (Fig. 25). La diagnosi differenziale riguarda la distrofia granulare di tipo 1 (CDGG1) e quella reticolata (LCD1) e si giova delle caratteristiche relative all’esordio (che qui si colloca nella prima decade di vita), al decorso (progressivo) e alla modalità di trasmissione (autosomica recessiva). Studi istopatologici nella MCD hanno dimo-
Figura 25. Distrofia corneale maculare (MCDC); aspetto biomicroscopico classico: col tempo le lesioni si estendono in periferia e in profondità e la superficie corneale diventa irregolare con eventuali aree di assottigliamento
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Le distrofie corneali
ne neosintetizzate nella parte anteriore e di fibrille mature in quella posteriore; maggiore concentrazione di lumicano nella parte posteriore. Nei topi mutanti lo stroma anteriore conserva le sue proprietà fisiche di trasparenza e strutturali, con fibrille di diametro normale regolarmente riunite in fasci (ricordiamo che il range del diametro delle fibrille collagene nello stroma corneale è di 20-40 nm). Lo stroma posteriore, invece, contiene fibrille fino al 6% più spesse (similmente a quanto accade nelle mucopolisaccaridosi) ed è complessivamente assottigliato (similmente a quanto accade nel cheratocono). Si osserva un’abnorme crescita laterale delle fibrille che impedisce l’ordinato raggruppamento in fasci e distrugge l’organizzazione lamellare di questa parte dello stroma, con conseguente perdita della trasparenza. Esistono prove sul ruolo dei LPG (Large Proteoglycans) nei tendini e nello stroma corneale in vitro, consistenti nel fatto che questi proteoglicani ritardano la formazione spontanea delle fibrille collagene e ne inibiscono la crescita laterale (Vogel et al., 1984; Rada et al., 1993). Sufficienti informazioni suggeriscono un ruolo simile del lumicano a livello dello stroma posteriore della cornea in vivo, in quanto esso limita l’associazione laterale tra le fibrille collagene mature e mantiene un adeguato grado di idratazione ambientale (Chakravarti et al., 2000). La carenza di lumicano nello stroma posteriore non sembra poter essere compensata da alcun altro proteoglicano corneale, neppure cheratocano o mimecano. Il cheratocano, d’altra parte, gioca un ruolo di rilievo nel mantenimento delle proprietà fisiologiche e strutturali dello stroma anteriore. L’assottigliamento corneale rilevato nei topi mutanti non è stato ancora chiaramente spiegato: potrebbe essere dovuto sia a una riduzione nel pool di cheratociti, se si ammette che il lumicano guidi la migrazione cellulare nelle prime fasi di sviluppo dello stroma, sia a una riduzione di altri componenti della matrice extracellulare consensualmente alla deficienza di lumicano. Bisogna
suto corneale e di test immunoenzimatici su siero (ELISA), la MCD è stata suddivisa in due sottotipi. Nel tipo 1 (MCD1), il cheratansolfato antigenico (aKS) è virtualmente assente tanto nella cornea quanto nella cartilagine e nel siero. Nel tipo 2 (MCD2), l’aKS è presente nel siero e nella cartilagine a livelli ridotti o normali, ma si accumula in modo abnorme nella cornea (Yang et al., 1987; Edward et al., 1988; Jonasson et al., 1996). Una conseguenza della mancanza di KS nella MCD1 è la ridotta solfatazione del lumicano, uno dei maggiori KSPG dello stroma corneale. Esso appartiene alla famiglia dei proteoglicani ricchi in leucina (LRP), come il cheratocano (altro KSPG), la decorina (un proteoglicano contenente condroitin solfato), la fibromodulina, il biglicano, l’osteoglicina e l’epificano (Iozzo, 1996). L’alterazione del lumicano comporta, da un lato, una ridotta possibilità di interazione elettrostatica con le fibrille collagene e, quindi, un disordine strutturale nella disposizione di tali fibrille, dall’altro una minor solubilità della molecola, quindi una ridotta idratazione dello stroma corneale. Con il tempo, le catene alterate precipitano, la struttura della trama di collagene si disorganizza, lo stroma si assottiglia e la trasparenza corneale diminuisce. Gli stessi segni clinici e istopatologici si manifestano nella MCD2 (Jonasson et al., 1996). Studi sperimentali su topi mutanti privati del gene per il lumicano confermano il ruolo chiave di questo KSPG nel mantenimento della trasparenza corneale (Chakravarti et al., 2000). I topi mutanti mostrano opacità, assottigliamento corneale e alterazioni nella struttura e nell’organizzazione delle fibrille collagene stromali. I difetti, evidenziati in base all’aumento di retrodiffusione luminosa, sono confinati alla parte posteriore dello stroma (definendo come stroma anteriore i primi 10 µm soggiacenti all’epitelio e come stroma posteriore gli ultimi 10 µm adiacenti alla Descemet). Questo dato rispecchia le differenze strutturali fisiologicamente presenti tra stroma anteriore e posteriore: presenza di fibrille collage-
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Figura 26. Distrofia corneale maculare (MCDC); sezione istologica corneale: le anomalie all'interno della cornea sono facilmente visibili a livello dei cheratociti e nell’ambito subepiteliale extracellulare perché intensamente colorabili con metodiche che evidenziano i glicosaminoglicani. Colorazione ferro colloidale di Hale
Figura 27. Distrofia corneale maculare (MCDC); microscopia elettronica a scansione di una sezione attraverso la stroma corneale che mostra un accumulo di materiale anomalo tra le lamelle di collagene a livello di un cheratocita
zioni intrageniche (di senso, delezioni, inserzioni, frameshift) capaci di inattivare l’enzima, mentre nella MCD2 è stata osservata una vasta delezione e/o sostituzione del promotore genico causata da una ricombinazione omologa che blocca la trascrizione (Akama, 2000; Liu, 2000; Plaas, 2001). Perciò, nella MCD1 l’enzima è inattivo mentre nella MCD2 vi è una deficienza specifica del suo trascritto a livello corneale. In ogni caso, la sintesi e la secrezione dei KS-GAG è bloccata e sostituita con la poliactosamina al posto del cheratansolfato (Vincent, 2003). I sottotipi MCD1 e 2 possono coesistere nella stessa famiglia. Le opacità corneali della MCD possono essere conseguenti non solo alla carenza di cheratansolfato, ma anche all’accumulo di altri glicosaminoglicani, quali condroitinsolfato, dermatansolfato o ialuronato, che possono interferire con la disposizione regolare delle fibrille collagene corneali (Fig. 26, 27). Il trapianto di cornea rappresenta un’opzione terapeutica spesso coronata da successo.
notare, inoltre, che il lumicano può essere espresso anche dall’epitelio corneale in risposta a un trauma, determinando in tal caso l’ispessimento dell’epitelio stesso (Saika et al., 2000). Una carenza cronica di lumicano comporterebbe la perdita di questa risposta compensatoria dell’epitelio al trauma e, quindi, un residuo assottigliamento del tessuto progressivo nel tempo (Chakravarti et al., 2000). Analisi genetiche su famiglie americane e islandesi hanno strettamente collegato la MCD1 al locus 16q22. Analogamente, la MCD2 mostra un picco di associazione con lo stesso locus. Questo reperto ripropone l’eventualità che i due sottotipi non siano in realtà altro che variazioni fenotipiche nell’espressione dello stesso gene, come nel caso della LCD1 e CDGG1 (Vance et al., 1996). Le mutazioni coinvolgono il gene CHST6, che codifica per un enzima chiamato N-acetilglucosamina-6-solfotransferasi (c-GlnNAc6ST, Akama et al., 2000); la sua funzione è quella di iniziare la solfatazione del cheratansolfato nella cornea. Nella MCD1 sono state trovate numerose muta-
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Le distrofie corneali
Distrofia corneale centrale cristallina
cornea di forma ovale o anulare a margini irregolari con periferia trasparente (Fig. 28, 29). Benchè vi sia una tendenza all’estensione verso il limbus, di solito rimane un’area periferica illesa (Fig. 30). La sensibilità corneale è normale. Al biomicroscopio si vedono numerosi piccoli cristalli aghiformi brillanti e policromatici disposti ad arco. Le opacità sono localizzate soprattutto nella porzione anteriore dello stroma, si estendono in maniera irregolare negli strati più profondi e in taluni casi sono presenti anche senza l’evidenza della presenza di cristalli (Weiss et al., 1996). L’esordio è precoce, generalmente entro la prima decade, ma la malattia può anche essere già manifesta alla nascita (Fry e Pickett, 1950; Luxenberg, 1967). Il decorso è, di solito, scarsamente progressivo. In alcune famiglie è stata descritta l’associazione con genu valgum (Delleman e Winkelman, 1968; Battisti et al., 1998). Istologicamente, la membrana di Bowman risulta interessata tranne che nella porzione periferica illesa mentre l’epitelio, comunque, non è coinvolto (Fig. 31). L’analisi biochimica di un bottone corneale proveniente da un caso clinicamente e istopatologicamente riconosciuto di distrofia cristallina ha concluso che i lipidi presenti in
Sinonimi: distrofia corneale di Schnyder; SCCD central cristalline dystrophy OMIM: 121800 Questo raro disordine, inizialmente descritto da Schnyder (1929; 1939) si presenta come un opacamento bilaterale della parte centrale della
Figura 28. Distrofia corneale centrale cristallina; aspetto biomicroscopico classico: opacamento stromale anteriore della parte centrale della cornea di forma ovale o anulare a margini irregolari
Figura 29. Distrofia corneale centrale cristallina; aspetto biomicroscopico classico: le opacità sono localizzate soprattutto nella porzione anteriore dello stroma, si estendono in maniera irregolare negli strati più profondi e in taluni casi sono presenti anche senza l’evidenza della presenza di cristalli
Figura 30. Distrofia corneale centrale cristallina; aspetto biomicroscopico classico: benchè vi sia una tendenza all’estensione verso il limbus, di solito rimane un’area periferica illesa
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identificate in 28 famiglie con SCCD non correlate tra loro (Yellore et al., 2007; Orr et al., 2008; Weiss et al., 2007; 2008). Recentemente (Kobayashi et al., 2009), è stato effettuato uno studio su pazienti appartenenti a famiglie giapponesi con SDDC sottoposti ad analisi genetica e analisi della cornea in vivo con microscopio confocale allo scopo di correlare le mutazioni a degli specifici aspetti fenotipici. Sono state così identificate altre nuove mutazioni in eterozigosi del gene UBIAD1: Y174C (A853G) nell’esone 1 in due casi (casi 1 e 2), K181R (A874G) nell’esone 2 in altri due casi (casi 4 e 5) e N233H (A1029C) nell’esone 2 in un altro caso (caso 6). Nei 200 casi controllo esaminati, non è stata trovata alcuna mutazione. In uno dei soggetti a cui non era stata diagnosticata una SCCD appartenente alle famiglie affette (caso 3; madre del caso 1) non è stata trovata alcuna mutazione del gene UBIAD1. In questa paziente (caso 3), con cornea biomicroscopicamente normale e trasparente, l’analisi in vivo della cornea con microscopia confocale conferma una struttura normale di tutti gli stati corneali. In tutti gli altri casi con diagnosi clinica di SCCD si osserva la normalità degli strati cellulari epiteliali basale e superficiale. Nei casi 1,5 e 6 è stato reperito il plesso nervoso sub epiteliale impossibile da reperire anche ad alti contrasti nei casi 2 e 4. In tutti i casi la riflettività stromale di background è risultata aumentata. Nei casi 4, 2 (solo nell’occhio sinistro), 5 e 6 sono stati osservati numerosi cristalli aghiformi (casi 2, 4 e 5) o rettangolari (solo nel caso 6) depositati nello stroma anteriore. Viceversa nel caso 1 e nell’occhio destro del caso 2 non si è osservata presenza di cristalli. È stato possibile visualizzare l’endotelio solo nel caso 1 che è risultato invece irreperibile nei restanti casi a causa della presenza di opacità dello stroma. In questo studio sono state dunque trovate tre nuove mutazioni del gene UBIAD1 (Y1474C, K181R e N233H) in tre distinte famiglie giapponesi con SCCD confermando l’eterogeneità gene-
Figura 31. Distrofia corneale centrale cristallina; criosezione istologica corneale senza fissazione: esaminando la sezione con luce polarizzata sono evidenti nello stroma superficiale corneale cristalli birifrangenti di colesterolo
esso sono soprattutto fosfolipidi (sfingomielina), colesterolo non esterificato ed esteri del colesterolo (Garner e Tripathi, 1972; McCarthy et al., 1994). Lo studio ultrastrutturale di una biopsia cutanea e del pellet di fibroblasti ha mostrato la presenza di vacuoli sferici provvisti di membrana e contenenti lipidi. I fibroblasti in coltura mostravano un’anomala positività citoplasmatica alla colorazione con filipina, una sonda fluorescente che si lega specificamente al colesterolo non esterificato (Battisti et al., 1998). Da questi studi è nata l’ipotesi patogenetica di un disordine del metabolismo lipidico, sicuramente coinvolgente il colesterolo, localizzato nella cornea. La dislipidemia, però, può non manifestarsi a livello sierico. L’ereditarietà è di tipo autosomico dominante. Una vasta analisi genetica di linkage ha reso possibile assegnare il gene UBIAD1 per la SCCD al locus 1p36-p34.1 (Shearman et al., 1996). Orr et al.(2008) hanno identificato 5 tipi di possibili mutazioni missense del gene UBIAD1 dominio UbiA preniltransferasi contenente la proteina UBIAD1 in 5 famiglie con SCCD. Le mutazioni missense di UBIAD1 sono state descritte da altri studi confermandone l’associazione con SCCD e attualmente esse risultano
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Le distrofie corneali
rarità della distrofia corneale, si può dire che il riscontro delle mutazioni di UBIAD1 nelle famiglie giapponesi affette nello studio di Kobayashi et al. (2009) supporta fortemente l’ipotesi che sia proprio la mutazione di questa proteina la causa della SCCD. Lo studio (Kobayashi et al., 2009) riporta ancora, per la prima volta, la descrizione degli aspetti tipici della malattia all’osservazione in vivo con microscopia confocale. I depositi cristallini, caratteristica peculiare della SCCD, sono stati repertati distintamente in 4 pazienti. La correlazione geno-fenotipica è stata dimostrata in 2 pazienti portatori della stessa mutazione (K181R) nel gene di UBIAD1 che presentavano caratteristiche simili alla biomicroscopia e alla microscopia confocale. Viceversa in altri 2 casi (padre e figlio) portatori della stessa mutazione del gene di UBIAD1 (Y174C) si sono riscontrati fenotipi differenti di SCCD. Infatti, con la biomicroscopia si è osservata la presenza di SCCD con assenza di cristalli in entrambi gli occhi nel caso del figlio, mentre nel padre la SCCD si manifestava con presenza di cristalli solo nell’occhio sinistro. I due quadri fenotipici sono stati confermati dall’analisi del tessuto corneale in vivo con microscopio confocale e questi risultati non solo dimostrano l’eterogeneità fenotipica, ma anche la possibilità dell’esistenza di variabilità fenotipica tra i due occhi del medesimo paziente. Malgrado il coinvolgimento stromale sia totale i depositi di materiale cristallino sono stati repertati soprattutto nella regione stromale anteriore in 4 pazienti, questa localizzazione preferenziale era stata già riportata da Vesaluoma et al. (1999) in uno studio di microscopia confocale con lampada a mercurio in cui era stato notato anche il danneggiamento del plesso nervoso sub epiteliale nelle fasi avanzate di malattia in accordo a quanto riportato in 2 casi del recente lavoro di Kobayashi et al. (2009). Un altro dato interessante riportato da questo studio concerne la forma e il numero dei cristalli
tica del disordine. Nel caso 1 è stata dimostrata la segregazione della mutazione Y174C e la presenza di SCCD ; il padre del caso 1 (caso 2) ha la mutazione e presenta la malattia, mentre la madre (caso 3) senza SCCD non è portatrice della mutazione e ciò indica che la mutazione del gene UBIAD1 è causa di SCCD. In precedenza erano state riportate 11 diverse mutazioni (N102S, D112G, G117R, D118G, R119G, L121F, S171P, T175I, G186R, N232S e D236E) di cui N102S è un hotspot (Yellore et al., 2007; Orr et al., 2008; Weiss et al., 2007; 2008). La loro localizzazione rivela diversi clusters identificati come loop 1, 2 o 3 quando descritti con modello bidimensionale (Weiss et al., 2008). Le tre nuove mutazioni identificate nel lavoro di Kobayashi et al., (2009) sono situate in questi clusters (loop 2 e 3) e tutte le mutazioni sembrano colpire le regioni della proteina situate su un lato della membrana. Inoltre, tutte le alterazioni si trovano nella porzione idrofila della proteina UBIAD1 o nelle eliche transmembrana vicine al doppio strato lipidico. Non è stato ancora chiarito se le manifestazioni cliniche della SCCD siano dovute a un’aploinsufficienza e se le mutazioni di UBIAD1 causino l’inibizione o l’attivazione della funzione del gene. McGarvey et al.(2005) hanno dimostrato che la proteina UBIAD1 (anche conosciuta come TERE1) interagisce con il dominio carbossiterminale dell’apoE. Weiss et al. (2008) hanno ipotizzato che UBIAD1 possa essere coinvolta nella prenilazione dell’apoE necessaria per il movimento e la funzionalità della proteina apoE neo sintetizzata. Pertanto, le alterazioni strutturali dell’UBIAD1 potrebbero provocare un disturbo nella solubilizzazione e nella rimozione del colesterolo dalle cellule apoE mediato, dando luogo al classico fenotipo osservabile nelle cornee di pazienti con SCCD. Di tutte le 28 famiglie affette, studiate in precedenza, con mutazioni di UBIAD1 solo tre erano di origine asiatica e nessuna di esse era giapponese (Yellore et al., 2007; Orr et al., 2008; Weiss et al., 2007; 2008), dunque, tenendo conto della
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depositati nel tessuto corneale che alla microscopia confocale si dimostrano variabili nei singoli pazienti a dispetto di un reperto clinico comune. In particolare essi si sono dimostrati aghiformi in 3 casi, mentre in 1 caso si mostravano di forma rettangolare o più simili a dei diamanti anche se si suppone abbiano la medesima composizione chimica e cioè colesterolo, fosfolipidi o entrambi presenti contemporaneamente. A causa dell’esiguità del numero di pazienti analizzati non è stato possibile dimostrare una correlazione tra il genotipo e il numero e la forma dei cristalli depositati. Depositi aghiformi di materiale cristallino sono stati osservati in cornee affette da numerose altre malattie come le distrofie di Thiel-Behnke e Reis-Bücklers (Kobayashi e Sugiyama, 2007), distrofie stromali (Kobayashi et al., 2007), nella fase acuta dell’infiammazione (Kobayashi et al., 2003) e nella cheratopatia bollosa prima e dopo la cheratoplastica lamellare posteriore (Kobayashi et al., 2008); l’origine precisa e il significato clinico di queste strutture restano tutt’oggi sconosciuti. La maggior parte dei casi è trattata con cheratectomia superficiale.
Figura 32. Distrofia corneale di Fleck; aspetto biomicroscopico classico: opacità a chiazzette minute asintomatica, progressiva e simmetrica diffusa in tutto lo stroma corneale
osservano soprattutto nel terzo centrale della cornea (fenotipo centrale nuvoloso). Esse sono meno numerose nello stroma anteriore e periferico e sono a volte più dense nello stroma profondo vicino alla membrana di Descemet, su cui sono talvolta localizzate (Fig. 33). Queste opacità, apparentemente diverse, che di solito coinvolgono
Distrofia corneale di Fleck; FCD Sinonimi: distrofia corneale punteggiata di François-Neetens OMIM: 121850 La FCD è caratterizzata da un’opacità a chiazzette minute asintomatica, progressiva e simmetrica diffusa in tutto lo stroma corneale (Fig. 32). Può manifestarsi come numerose piccole macchie di forma ovale, semicircolare o corona-simile con bordi distinti nella cornea centrale e periferica, con porzioni interposte di tessuto corneale normale. Altri tipi di opacità ricordano i fiocchi di neve o le nuvole e consistono di piccole aggregazioni grigiastre, con margini mal definiti che si
Figura 33. Distrofia corneale di Fleck; aspetto biomicroscopico classico: altri tipi di opacità ricordano i fiocchi di neve o le nuvole e consistono di piccole aggregazioni grigiastre, con margini mal definiti che si osservano soprattutto nel terzo centrale della cornea (fenotipo centrale nuvoloso). Esse sono meno numerose nello stroma anteriore e periferico e sono a volte più dense nello stroma profondo vicino alla membrana di Descemet, su cui sono talvolta localizzate
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Le distrofie corneali
entrambe le cornee simmetricamente, sono state osservate in una stessa famiglia. Sono stati segnalati casi unilaterali. La FCD colpisce maschi e femmine allo stesso modo ed è stata osservata la possibile insorgenza nel corso di tutta la vita come anche in bambini di 2 anni di età. L'epitelio corneale, lo strato di Bowman, e la membrane di Descemet sono di regola illese. La sensibilità corneale è di solito normale. Il tessuto corneale con FCD è stato poco studiato, ma alcuni cheratociti contengono materiale fibrillogranulare all’interno di vacuoli intracitoplasmatici o inclusioni elettrondense pleomorfiche membranose e intracitoplasmatiche. Il materiale prelevato reagisce positivamente con Alcian blu, ferro colloidale, Sudan nero B e colorazione all’olio rosso O ed è parzialmente sensibile alla ialuronidasi e β-galattosidasi. Esso ha le caratteristiche istochimiche dei GAG e dei lipidi. Alterazioni extracellulari sono rare, ma sono stati osservati ampi focolai di collagene anomalo. Con il microscopio elettronico a trasmissione sono evidenti nelle cellule colpite inclusioni contenenti materiale granulare fine delimitate da membrana in strato singolo. Alcuni cheratociti contengono inclusioni elettrondense e pleomorfiche, membranose e intracitoplasmatiche. La FCD è dovuta a una mutazione nel gene PIP5K3 loca-
lizzato nel cromosoma 2 nel locus 2q34 che codifica per PIKFyve una proteina chinasi che regola lo stato di fosforilazione del fosfatidilinositolo intracellulare appartenente a una superfamiglia di chinasi dei lipidi. La FCD non è progressiva, non pregiudica la visione e di solito è asintomatica e non richiede trattamento, ma è stata riportata una fotofobia lieve. In un paziente che ha subito una cheratoplastica penetrante per cheratocono, non vi è alcuna prova clinica di recidiva di FCD sul tessuto del donatore, dopo 10 anni dall’intervento.
Distrofia corneale marginale cristallina Sinonimi: distrofia corneale di Bietti distrofia cristallina corneoretinica di Bietti degenerazione tapetoretinica di Bietti con distrofia corneale marginale crystallin corneoretinal dystrophy OMIM: 210370 Disordine piuttosto raro in Occidente (Harrison et al., 1987; Wilson et al., 1989), è abbastanza frequente in Cina. L’ereditarietà è autosomica recessiva con esordio nella terza decade di vita (Hu, 1983). Bietti per primo notò la presenza di depositi corneali cristallini in pazienti con alterazioni del fondo tipo retinite puntata albescente (Bietti, 1937). La degenerazione retinica era caratterizzata da innumerevoli puntini brillanti intraretinici disseminati, cui si associavano sclerosi vasale, emeralopia e restringimento del campo visivo per degenerazione progressiva dei fotorecettori e dell’epitelio pigmentato retinico (Fig. 34). Successivamente, è stata descritta una distrofia corneale marginale associata con depositi cristallini paralimbari a livello subepiteliale o stromale anteriore (Welch, 1977).
Figura 34. Alterazioni del fondo tipo retinite puntata albescente nella distrofia corneale marginale cristallina di Bietti
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La prognosi è influenzata soprattutto dalle condizioni retiniche, poichè mentre la distrofia corneale può rimanere invariata e i depositi stromali addirittura diminuire, possono insorgere pallore papillare, restringimento vasale, riduzione dell’acuità visiva e restringimento dei campi visivi (Bagolini e Ioli-Spada, 1968). Istopatologicamente si dimostra la presenza di cristalli formati da colesterolo o esteri del colesterolo e accumuli di lipidi complessi nei fibroblasti corneali e congiuntivali e nella matrice extracellulare (Wilson, 1989). Queste inclusioni sono presenti anche nei linfociti circolanti, suggerendo l’ipotesi di un’alterazione sistemica del metabolismo lipidico (Grizzard et al., 1978; Hayasaka e Okuyama, 1984). È stato riportato un linkage al locus 4q35-qter (Jiao et al., 2000).
Figura 35. Distrofia corneale reticolata di tipo 2(CDL2); aspetto biomicroscopico classico: opacità lineari ramificate localizzate nello stroma anteriore e intermedio
configurare una vera e propria cardiopatia (Kiuru et al., 1992, 1994). L’aspetto della cornea alla lampada a fessura è caratterizzato da opacità lineari ramificate localizzate nello stroma anteriore e intermedio (Fig. 35). Tali depositi corrispondono a fibrille di amiloide formate da prodotti di degradazione della gelsolina. La diagnosi differenziale rispetto alla LCD1 deve considerare (Meretoja, 1973): l’esordio della patologia, che nella LCD1 è precoce (i.e., nella prima o seconda decade di vita), mentre nella LCD2 è più tardivo tanto che l’acuità visiva può mantenersi buona fino ai 5070 anni; i reperti biomicroscopici, in quanto nella LCD2 le linee di opacità sono più spesse, ma meno fitte, il loro orientamento è più radiale e sono risparmiate alcune porzioni di cornea centralmente, con scarse o assenti opacità puntiformi o cristalli; le complicanze, quali l’iposensibilità corneale, le erosioni epiteliali ricorrenti e i loro esiti cicatriziali, tuttavia più frequenti nella LCD1. In un caso di paralisi facciale (Sack et al., 1981) è stata descritta fin dall’esordio una progressiva incapacità da parte del paziente (di 56
Distrofia corneale reticolata di tipo 2; CDL2 Sinonimi: lattice corneal dystrophy type 2; LCD2 amiloidosi dovuta alla gelsolina mutante neuropatia cranica amiloidosica associata a distrofia corneale a lattice amiloidosi del tipo V o finnico amiloidosi di Meretoja OMIM: 105120 La malattia fu documentata diffusamente dagli studi di Meretoja in Finlandia (Meretoja, 1973; Meretoja et al., 1978). Si tratta di una forma di amiloidosi sistemica che si manifesta attraverso una distrofia corneale reticolata associata a neuropatia cranica, la quale può causare, a esempio, una paresi facciale. Altre manifestazioni, osservate con bassa frequenza, sono la sindrome nefrosica, l’insufficienza renale e segni minori di disfunzione autonomica, a esempio cardiaci, senza tuttavia
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Le distrofie corneali
per una famiglia americana di origini scozzesi (Sack et al., 1981; de la Chapelle et al., 1992). Nonostante il carattere autosomico dominante, la mutazione può comparire anche allo stato omozigote causando un fenotipo particolarmente compromesso: a livello renale, a esempio, sono stati documentati massicci depositi granulari di sostanza amiloide responsabili di sindrome nefrosica e insufficienza terminale (Maury, 1993).
anni) di controllare il labbro inferiore che cadeva verso il basso, finchè esso non risultò completamente everso e protuberante con esposizione della mucosa gengivale inferiore. Cinque anni dopo si aggiunse l’impossibilità a corrugare la fronte e comparve un tic all’angolo destro del labbro inferiore. La cute era eccezionalmente elastica, ricordando un caso di ‘cutis hyperelastica’ riportato in precedenza (Klaus et al., 1959). L’interessamento dei muscoli extraoculari era minimo senza ptosi. Al biomicroscopio era evidenziabile bilateralmente la distrofia corneale reticolata. L’amiloidosi del tipo V o finnico è causata da una deposizione sistemica di gelsolina dal plasma (Maury et al., 1990; Haltia et al., 1990). La gelsolina plasmatica è una variante dell’isoforma intracellulare e se ne differenzia per la presenza di 23 aminoacidi in più sul versante N-terminale. La sua funzione è probabilmente quella di favorire la clearance dell’actina, cui si lega in presenza di concentrazioni di calcio anche inferiori alla micromole. Il gene della gelsolina (GSN) mappa in 9q34. In tutte le famiglie finniche studiate è stata trovata sempre la stessa mutazione: Asp187Asn (Maury, 1993; Paunio et al., 1992; de la Chapelle et al., 1992; Haltia et al., 1992); lo stesso dicasi
Distrofia corneale reticolata di tipo 3; CDL3 Sinonimi: lattice corneal dystrophy type 3; LCD3 distrofia corneale a gocce di gelatina; gelatinous drop-like dystrophy; GDLD,GDCD, amiloidosi corneale distrofia corneale amiloidosica giapponese OMIM: 204870 Si tratta di un raro disordine a trasmissione autosomica recessiva (Schmitt-Bernard et al.,
Figura 36. Distrofia corneale reticolata di tipo 3; (CDL3); presenza di depositi nodulari pianeggianti; successivamente, tali masse si accrescono in numero e in spessore sia profondamente nello stroma sia rispetto alla superficie corneale divenendo perciò rilevate, assumono un colore grigio-giallastro e un aspetto gelatinoso (a forma di gelso, “mulberry-like dystrophy”)
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2000). È caratterizzato nelle fasi iniziali dalla presenza di depositi nodulari pianeggianti; successivamente, tali masse si accrescono in numero e in spessore sia profondamente nello stroma sia rispetto alla superficie corneale divenendo perciò rilevate, assumono un colore grigio-giallastro e un aspetto gelatinoso (a forma di gelso, “mulberrylike dystrophy”) (Fig. 36). I depositi si dispongono in uno spesso reticolo, tanto denso da inficiare il visus in maniera anche molto grave. La distrofia fu per la prima volta descritta da Nakaizumi in Giappone nel 1914. In questo paese la prevalenza è più elevata che altrove (Hida et al., 1987) e pari a circa 1/31.546 persone tra i 5 e i 79 anni (Fujiki et al., 1986). L’esordio della forma giapponese è tardivo e si colloca tra i 70 e i 90 anni. Il decorso è progressivo con episodi di riacutizzazione. La diagnosi differenziale si pone nei confronti della cheratopatia a bandelletta nelle fasi iniziali e delle altre due forme di distrofia reticolata (LCD1; LCD2 o tipo finnico), entrambe a trasmissione autosomica dominante, nelle fasi evolute. Istologicamente si osserva una deposizione nodulare di sostanza amiloide mista ad accumuli più diffusi di lattoferrina e prodotti derivati dalla cheratoepitelina (Akhtar et al., 2000). Il materiale è abbondante soprattutto nella membrana di Bowman e nell’epitelio, dove si rileva un indebolimento delle giunzioni intercellulari, mentre è modesto nella porzione anteriore dello stroma corneale (Fig. 37). È assente, invece, nella congiuntiva, negli annessi oculari e a livello sistemico. All’inizio delle fasi di ricorrenza clinica è stata dimostrata la presenza di depositi amiloidi tra le cellule basali dell’epitelio corneale e la membrana di Bowman (Shimazaki et al., 1995). Questi depositi sono del tipo SAP (Serum amyloid P protein APCS, Mondino et al., 1981), la quale è una proteina della famiglia delle pentraxine.
Figura 37. Distrofia corneale reticolata di tipo 3; (CDL3); sezione istologica corneale: si osserva una deposizione nodulare di sostanza amiloide mista ad accumuli più diffusi di lattoferrina e prodotti derivati dalla cheratoepitelina. Il materiale è abbondante soprattutto nella membrana di Bowman e nell’epitelio, dove si rileva un indebolimento delle giunzioni intercellulari, mentre è modesto nella porzione anteriore dello stroma corneale. Colorazione Rosso Congo
ridico C dello Streptococcus pneumoniae (Tillett e Francis, 1930; Abernethy e Avery, 1941), la cui concentrazione aumenta anche di mille volte durante una risposta di fase acuta (Hsu e Perin, 1995). Tra la CRP e la SAP vi è un’omologia del 59%. La loro denominazione deriva dalla capacità di formare complessi pentamerici o decamerici dalla caratteristica disposizione discoidale tenuta insieme da legami non covalenti. Una peculiare proprietà di queste proteine è quella di unirsi a numerosi ligandi. Perciò, esse potrebbero mediare un accumulo aspecifico di batteri e detriti cellulari in associazione all’infiammazione e alla risposta immune].
I geni che codificano per le pentraxine mappano in 1q21-q23 (Whitehead et al., 1983; FloydSmith et al., 1985, 1986). Tuttavia, analisi di linkage su numerose famiglie giapponesi hanno condotto alla conclusione che il gene coinvolto nella GDLD doveva mappare in realtà in un locus diverso del cromosoma 1,
[Nota: le pentraxine comprendono, inoltre, la proteina C-reattiva (CRP), una proteina sierica prodotta dal fegato che lega l’antigene polisacca-
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geno. L’analisi biochimica ha dimostrato, ulteriormente, che la proteina mutata è tronca, precipita e si accumula nella regione perinucleare a differenza della proteina normale che risulta distribuita diffusamente nel citoplasma con un aspetto omogeneo o finemente granulare.
e precisamente in 1p31 (Tsujikawa et al., 1998). Qui si trovavano due geni candidati: la chinasi-2 CDC-simile (CLK2) e la subunità alpha-2 catalitica della proteinchinasi AMP-dipendente (PRKAA2). Un’ulteriore analisi di linkage ha permesso di circoscrivere la regione critica a 400 kb, in cui era incluso il gene M1S1 (Tsujikawa et al., 1999): tale designazione sta per componente di membrana, cromosoma 1, marcatore di superficie 1 (Membrane component, chromosome 1, surface marker 1 - M1S1). Il gene è anche chiamato GA733-1 (o TROP2), appartiene alla famiglia dei geni GA733, è interamente trascritto ed è composto da 9 esoni (Linnenbach et al., 1989, 1993). Esso codifica per un polipeptide di 323 aminoacidi dal peso di 35.709 kD con 4 potenziali siti di N-glicosilazione (Linnenbach et al., 1993; Fornaro et al., 1995). L’antigene M1S1 è espresso nella cornea così come nel rene, polmone, placenta, pancreas e prostata. Ricordiamo che esso è stato per la prima volta individuato a partire dalle cellule di un adenocarcinoma gastrico (Antigene 1 associato al tumore gastrointestinale, gp 40-kD) (Linnenbach et al., 1989). L’omologia con la proteina prodotta dall’altro gene della stessa famiglia, il GA733-2, è del 49% (Fornaro et al., 1995). La regione di omologia è situata nei 2 domini extracitoplasmatici e nella regione ritenuta transmembrana. Un’altra sequenza conservata si trova nel dominio citoplasmatico e corrisponde a un potenziale sito di fosforilazione. In 26 pazienti di 20 diverse famiglie giapponesi colpite da GDLD sono state trovate 4 mutazioni del gene M1S1: Gln118Ter (Q118X), Gln207Ter (Q207X), Ser170Ter (S170X), e 632delA (Tsujikawa et al., 1999). La Gln118Ter (Q118X) era responsabile di 40 (pari all’82.5%) degli alleli “malati”. In due pazienti indiani indipendenti è stata individuata, invece, la mutazione Q118E (Ren, 2000). Tale reperto suggerisce che la posizione Q118 è un probabile “hot spot” muta-
Distrofia corneale endoteliale congenita di tipo 1; CHED1 Sinonimi: distrofia corneale di Maumenee congenital ereditary endothelial dystrophy type 1 OMIM: 121700 Si tratta di una forma di distrofia corneale endoteliale a trasmissione autosomica dominante (Turpin et al., 1939; Desvignes e Vigo, 1955; Maumenee, 1960; Pearce et al., 1969), forse identica alla disgenesia mesenchimale del segmento anteriore (Maumenee, 1982). L’esordio è stato osservato sia alla nascita sia nella prima infanzia
Figura 38. Distrofia corneale endoteliale congenita di tipo 1(CHED1); aspetto classico: cornea a vetro smerigliato, superficie epiteliale ruvida, Descemet ispessita, endotelio con vacuoli e aree focali di minus. Non guttae. Edema stromale omogeneo on o senza bolle
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fino agli otto anni di età (Kirkness, 1987). La cornea ha un aspetto a vetro smerigliato, la superficie epiteliale può essere ruvida, la membrana di Descemet è ispessita (ma solo a volte duplicata da uno strato di collagene posteriore, cfr. PPCD), l’endotelio presenta vacuoli e aree focali di minus. Non ci sono guttae e la sensibilità corneale è conservata. L’edema stromale appare omogeneo con o senza bolle (Fig. 38). Il deficit visivo è da moderato a grave. Non è comune, tuttavia, il nistagmo. Se necessaria, la cheratoplastica perforante ha buone possibilità di successo anche se eseguita tardivamente (Kirkness et al., 1987). Analisi di linkage hanno permesso di mappare la distrofia in 20p11.2-20q11.2, in una regione di 2.7-cM interna a quella di 30-cM dove è localizzato il gene per la PPCD (vedi oltre). I due loci sono nella regione pericentromerica del cromosoma 20 e potrebbero rappresentare varianti alleliche (Toma et al., 1995).
ta sono geneticamente distinte, in quanto mappano in loci diversi del braccio corto del cromosoma 20 (Hand et al., 1999). La CHED2 sarebbe legata al locus 20p13, forse a soli 4 cM dal telomero (McCartney e Kirkness, 1988).
Distrofia corneale posteriore polimorfica ereditaria; PPCD Varianti: PPCD1, OMIM: 122000 PPCD2, OMIM: 609140 PPCD3, OMIM: 609141 Sinonimi: posterior polymorphous corneal dystrophy keratitis bullosa interna distrofia corneale endoteliale congenita Si tratta di una distrofia a ereditarietà autosomica dominante chiamata anche keratitis bullosa interna (Koeppe, 1916) o distrofia corneale endoteliale congenita (Pearce et al., 1969). L’età di esordio, in realtà, è variabile: generalmente si presenta negli adulti, ma in alcuni casi può manife-
Distrofia corneale endoteliale congenita di tipo 2; CHED2 Sinonimi: edema corneale ereditario congenito di Maumenee congenital ereditary endothelial dystrophy type 2 OMIM: 217700 Si tratta della forma autosomica recessiva di distrofia corneale endoteliale congenita (Redmond, 1946; Maumenee, 1960; Kirkness et al., 1987). L’esordio si colloca alla nascita o nelle prime settimane di vita, più precocemente rispetto alla CHED1 (Kirkness et al., 1987). L’aspetto clinico è molto simile. Nella CHED2 l’edema corneale, di solito, non è bolloso e l’ispessimento della membrana di Descemet è più accentuato. Le due forme di distrofia endoteliale congeni-
Figura 39. Distrofia corneale posteriore polimorfica ereditaria (PPCD); aspetto biomicroscopico classico: vacuoli a livello endoteliale in forma localizzata o diffusa associati a un edema corneale di vario grado. Si osservano lesioni di aspetto geografico, vescicolare o lineare con margini grigi dentellati e infrazioni della Descemet
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Le distrofie corneali
starsi in forma grave già nell’infanzia (Vincent, 2003). Sono coinvolti gli strati corneali posteriori con una riduzione nel numero delle cellule endoteliali e un ispessimento della membrana di Descemet (Pearce et al., 1969; Cibis et al., 1977). Clinicamente si notano vacuoli a livello endoteliale in forma localizzata o diffusa associati a un edema corneale di vario grado (Heron et al., 1995). A carico della membrana di Descemet si osservano depressioni, opacità polimorfe (Schlichting, 1941) e rotture (Rubinstein e Silverman, 1968). Opacità possono comparire anche negli strati più profondi dello stroma (Schlichting, 1941) (Fig. 39). La perdita di visus è variabile e la prognosi spesso è buona, ma la gravità dell’edema corneale può rendere necessario il trapianto di cellule endoteliali. Possono essere presenti sottili sinechie anteriori e si può sviluppare glaucoma secondario. Al microscopio si rileva uno strato collagene anomalo che replica posteriormente lo strato anteriore, anch’esso alterato, della membrana di Descemet. L’endotelio presenta un mosaico di cellule normali e distrofiche, con disposizione in strati multipli specie in periferia e altre caratteristiche proprie di un epitelio, tra cui la presenza di desmosomi, tonofilamenti e microvilli (metaplasia epiteliale) (Krachmer et al., 1985; Mc Cartney, 1988) (Fig. 40, 42). Tali cellule abnormi conservano la loro capacità di dividersi e si estendono sul trabecolato sclero-corneale causando glaucoma in una porzione di pazienti che può arrivare al 40% (Heron et al., 1995). L’epitelio, invece, è normale. Poiché le distrofie corneali endoteliali (posteriori) mostrano delle caratteristiche patologiche comuni e hanno tutte come risultato una disfunzione endoteliale primaria, è possibile che una parte di esse possa essere identificata come manifestazione clinica prodotta da mutazioni differenti dello stesso gene. La genetica della PPCD è eterogenea e numerosi sono i geni che sono stati correlati alla malattia. Per quanto riguarda la PPCD1 (OMIM: 122000) l’analisi di linkage con alcuni markers
Figura 40. Distrofia corneale posteriore polimorfica ereditaria (PPCD); sezione istologica corneale: aspetto dell’endotelio abnorme che si trasforma in uno strato cellulare squamoso pluristratificato (metaplasia epiteliale). Colorazione all’acido periodico di Schiff
Figura 41. Distrofia corneale posteriore polimorfica ereditaria (PPCD); vista dell'endotelio corneale al microscopio elettronico a scansione che mostra i profili di superficie delle cellule endoteliali (ENDO) e delle cellule epiteliali (EPI)
Figura 42. Distrofia corneale posteriore polimorfica ereditaria (PPCD); al microscopio elettronico a scansione si evidenziano numerosi microvilli sulla superficie di una cellula endoteliale corneale
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(STRP = short tandem repeat polymorphism) ha permesso di localizzare il gene VSX-1 (visual systems homeobox 1) sul cromosoma 20q in un intervallo di 30-cM tra 20p11.2 e q11.2 (Heron et al., 1995), dove mappa anche la CHED1. In un recente studio Clausen et al.(2009) hanno effettuato un’analisi mutazionale del gene VSX-1 in 10 membri affetti e in 15 non affetti di tre famiglie con distrofia endoteliale di Fuchs autosomica dominante e in un paziente maschio affetto da distrofia polimorfica posteriore. Gli Autori riportano che lo screening del gene VSX-1 non ha rilevato alcuna sequenza mutata né nei pazienti affetti né in quelli non affetti da distrofia di Fuchs e nel paziente affetto da distrofia polimorfica posteriore indicando che probabilmente sono altri i geni implicati nella patogenesi di entrambe le patologie. Questa etiologia, tuttavia, si ritiene ancora essere responsabile del 9% circa di casi di PPCD1 e rappresenterebbe una variante allelica di cheratocono (pari al 4.5% dei cheratoconi). Nel cromosoma 1, locus 1p34.3-p32, è stato identificato il gene mutato COL8A2 che codifica per le catene α2 del collagene di tipo VIII principale costituente la membrana di Descemet (Tab. 5), che causerebbe il 6% circa dei casi di PPCD2 (OMIM:609140) e rappresenterebbe una variante allelica della distrofia endoteliale di Fuch’s (Biswas et al., 2001). Sono state ancora segnalate mutazioni del gene TCF8 localizzato sul cromosoma 10 che sarebbero implicate in un 45% di casi di distrofia polimorfica posteriore PPCD3 (OMIM:609141) (Shimizu et al., 2004; Krafchak et al., 2005). Il gene TCF8 codifica per Zeb1, fattore di trascrizione con dominio zinc finger che riveste un ruolo molto importante durante lo sviluppo embrionale. Tramite il legame con le sequenze E-box simili Zeb1 svolgerebbe un ruolo regolatorio sull’espressione del collagene di tipo I (Terraz et al., 2001) e nella repressione del fenotipo epiteliale (Frisch, 1994; Krafchak et al., 2005) che rappresenta un evento critico per il mantenimento di un fenotipo
endoteliale. Il gene TCF8 è stato mappato sulla regione PPCD3 del cromosoma 10 ed è stata identificata una mutazione a suo carico (Asn696Ser) anche in alcuni casi di FECD, ma non si è certi che tipo di conseguenze possa avere sulla proteina e se rivesta realmente un ruolo patogenetico in questa distrofia. Le mutazioni di TCF8 finora identificate nei pazienti con PPCD3 consistono in delezioni, inserzioni, o mutazioni nonsense che producono un arresto della sintesi proteica e la produzione di una proteina tronca (Liskova et al., 2007). Queste mutazioni condurranno tutte a una perdita di funzione ed è stato suggerito che la aploinsufficienza rappresenti il meccanismo patogenetico associato al fenotipo PPCD mentre la FECD potrebbe essere associata a mutazioni missense (Mehta et al., 2008). Questa resta comunque un’ipotesi interessante fino a che non verranno comprese le conseguenze che questa mutazione produce sulla funzione della proteina. Zeb1 è un fattore di trascrizione la cui funzione è strettamente legata a quella di TGF-β. Lega Smad (molecola che agisce a valle nel signaling di TGF-β) per attivarla e facilitare il suo assemblamento in un complesso trascrizionale attivo con il coattivatore p300, in modo da amplificare il segnale mediato da TGF-β (Postigo, 2003). In assenza del segnale di TGF-β, Zeb1 può interagire con il repressore trascrizionale CtBP e reprimere la trascrizione (Postigo e Dean,1999). La sovraespressione di Zeb1 nel cancro induce una transizione dal fenotipo epiteliale a quello mesenchimale (Peinardo et al., 2007), ciò rappresenta un processo TGF-β dipendente che favorisce le metastasi (Thiery, 2003; Zavadil, 2005). Questa transizione fenotipica è il risultato della repressione, mediata da Zeb1, dei geni che inducono differenziazione epiteliale come il gene dell’E-caderina e geni coinvolti nella determinazione della polarità e formazione delle tight junctions (Peinardo et al., 2007). Al contrario, i topi Zeb1 null mostrano un fenotipo opposto: intensi-
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Le distrofie corneali
Collagene Tipi di collagene
Catene
Lunghezza della triplice elica
Ultrastruttura
I
[α1(I)]2 [α2(I)]
300 nm
grosse fibre striate (periodicità di 65 nm)
II
[α1(II)]3 (periodicità di 65 nm)
300 nm
piccole fibre striate
III
[α1(III)]3
300 nm (periodicità di 65 nm)
fibre striate
IV
[α1(IV)]2 [α2(IV)]
390 nm
lamina
V
[α1(V)] [α2(V)] [α3(V)]
390 nm
fibre
VI
[α1(VI)] [α2(VI)] [α3(VI)]
150 nm
fibre
VII
[α1(VII)]3
450 nm
fibre
VIII
[α1(VIII)]3
?
lamina
IX
[α1(IX)] [α2(IX)] [α3(IX)]
200 nm
fibre
Tabella 5. Tipi di collagene presenti nei tessuti oculari (Marshall e coll., 1993)
ti con evidenza di espressione ectopica di markers epiteliali come citocheratina, E-caderina e COL4A3; erano inoltre presenti aderenze irido corneali e corneo lenticolari associate alla disfunzione endoteliale. Le aderenze corneo lenticolari danno luogo spesso a rotture corneali con distacco dell’endotelio dalla cornea con aderenza all’epitelio della lente, quelle irido corneali danno luogo a riduzione dell’angolo. La metaplasia epiteliale dell’endotelio è risultata associata a proliferazione cellulare abnorme con un quadro molto simile a quello riscontrato in cornee affette da PPCD (Weisenthal e Streeten, 1997; Krafchak et al., 2005). Gli Autori riportano ancora un fenotipo simile alla PPCD anche nei topi eterozigoti in età adulta concludendo che il modello animale proposto può rappresentare un valido strumento per chiarire i meccanismi coinvolti nella patologia (Liu et al., 2008).
ficazione dell’espressione genica epiteliale e riduzione dell’espressione genica del fenotipo mesenchimale (Liu et al., 2008). Ciò suggerisce l’idea che le mutazioni di Zeb1 possano essere responsabili dell’espressione ectopica di geni epiteliali nell’endotelio corneale che conduce alla metaplasia epiteliale riscontrata nei quadri di PPCD. Recentemente, a tal fine, è stato pubblicato uno studio (Liu et al., 2008) in cui topi mutanti Zeb1 null o con mutazione di Zeb1 in eterozigosi sono stati proposti come modello animale di PPCD al fine di comprendere meglio gli eventi genetici che potrebbero contribuire allo sviluppo della malattia. Gli Autori hanno esaminato le cornee degli animali confrontandole con quelle di animali wild-type di controllo riscontrando ispessimento corneale nei feti a termine di topo Zeb1 null con metaplasia epiteliale dell’endotelio e dei cheratoci-
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N. PESCOSOLIDO, M. AUTOLITANO
fibroso costituito da uno strato fibrocellulare popolato da cellule simili ai fibroblasti localizzato tra la membrana basale dell’epitelio e lo strato di Bowman. Lo spessore della membrana di Descemet risultava alterato in maniera significativa rispetto ai controlli e del tutto irregolare con consistenti variazioni individuali. In sei pazienti è stato osservato chiaramente uno strato collagene posteriore (PLC) depositato posteriormente alla Descemet presente, oltre che nella PPCD, anche in altre numerose endoteliopatie corneali quali la distrofia di Fuchs e le distrofie endoteliali congenite ereditarie, con differenze in struttura e composizione caratteristiche per la singola patologia. L’endotelio di tutte le cornee di controllo è composto da un singolo strato di cellule piatte strettamente adese alla Descemet, mentre quello delle cornee con PPCD mostrava uno strato cellulare singolo o doppio con proliferazioni focali fino a sei strati cellulari (Merjava et al., 2009). Le catene α1 e α2 del collagene di tipo IV non sono state trovate in nessuna cornea controllo né nella membrana basale dell’epitelio, né nello stroma, mentre la marcatura risulta molto intensa a livello limbare e congiuntivale. In un caso controllo sono state ritrovate le catene α1 (collagene tipo IV) disposte in fila singola dal lato stromale della zona periferica della membrana di Descemet e dal lato stromale e dal lato endoteliale della stessa in due controlli. Le catene α2 risultavano presenti solo dal lato stromale della Descemet in tutti i controlli. Le catene α1 e α2 erano invece presenti nella membrana basale dell’epitelio in più della metà dei casi di cornee con PPCD. Entrambe le catene risultavano localizzate nel 1/10-1/3 posteriore dello stroma. La membrana di Descemet di tutti i casi di PPCD rivelava una positività medio-intensa per entrambi i tipi di catene dal lato endoteliale (otto casi per α1; sei casi per α2) o dal lato endoteliale e stromale (due casi per α1; quattro casi per α2). L’immunostaining è stato osservato in singola o doppia fila nella Descemet e, in taluni casi, l’intero strato collagene posteriore (PLC) risulta marcato.
Un’altra ipotesi è che siano coinvolte nella PPCD anche mutazioni nei geni COL4A3, COL4A4 e COL4A5 del collagene di tipo IV già correlati con la sindrome di Alport (Colville e Savige, 1997). Considerando che nelle cornee con PPCD è stata trovata una disregolazione dell’espressione di COL4A3 e che nel promotore di COL4A3 sono contenuti siti di legame con Zeb1 si è ipotizzato che le mutazioni di Zeb1 conducano alla de-repressione di COL4A3 e alla produzione di una membrana di Descemet alterata (normalmente costituita da collagene di tipo VIII) (Krafchak et al., 2005). In uno studio recente (Merjava et al., 2009) è stato analizzato, con tecniche di immunoistochimica, il tessuto corneale proveniente da cornee normali di pazienti adulti sottoposti a trapianto e di pazienti con PPCD comparando presenza e distribuzione di tutte le sei catene di collagene di tipo IV e delle catene ·1 e ·2 del collagene di tipo VIII allo scopo di stabilire se le alterazioni della membrana di Descemet che si riscontrano nella patologia siano correlate a modifiche nella composizione del collagene. Sono state analizzate dodici cornee di dieci pazienti con PPCD di origine ceca che hanno richiesto trapianto di cornea a causa dell’istaurazione di edema stromale ed epiteliale. Tre di questi pazienti con PPCD mostravano la presenza di cheratocono e tre un quadro di cheratopatia bollosa. Altre due cornee analizzate provenivano invece da pazienti già mappati sulla regione 20p11.2, mentre altre nove da sette membri di cinque famiglie originarie della stessa area geografica sottoposti in precedenza ad analisi genetica i cui risultati, non pubblicati, suggerivano che in queste famiglie sia presente un linkage con il locus PPCD1(Merjava et al., 2009). Infine, un’altra cornea proveniva da un paziente con una identificata mutazione del gene di Zeb1 (Liskova et al., 2007) per un totale di 24 cornee sottoposte ad analisi. Dal punto di vista morfologico gli Autori riportano in tre pazienti la presenza di un panno
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Le distrofie corneali
Uno staining medio-moderato per le catene α3 (collagene tipo IV) è stato osservato nella membrana basale epiteliale nel 63% dei controlli con intensità decrescente verso il limbus e negatività a livello della congiuntiva. Lo stroma risultava diffusamente positivo e la Descemet intensamente marcata dal lato endoteliale di tutti i controlli normali. Una positività medio-intensa per le α3 è stata invece osservata nel 90% delle cornee con PPCD. Lo stroma di sette casi risultava positivo nella porzione posteriore e in tre casi diffusamente positivo senza presenza di un gradiente e in due casi risultava negativo. Il 90% dei pazienti con PPCD mostra una linea singola di staining medio-intenso dal lato endoteliale della Descemet e in due di essi la linea di staining risultava duplicata (Merjava et al., 2009). Per quanto riguarda le catene α4 (collagene tipo IV) è stato osservato un segnale assente o moderatamente presente sia nei controlli che nelle cornee con PPCD sia nella membrana di Bowman (BME) che nello stroma con l’unica differenza è che nei controlli si è ritrovato un pattern diffuso mentre nei casi di PPCD un coinvolgimento dello stroma posteriore. La positività della Descemet è intensa nei controlli e da negativa a intensa nei casi di PPCD. Uno staining medio-intenso per le catene α5 (collagene tipo IV) è stato osservato nella Descemet e nella BME sia nei controlli che nei casi di PPCD, nei primi con pattern stromale diffuso, con prevalente interessamento posteriore in quattro casi di PPCD. Uno staining medio-intenso per le catene α6 (collagene tipo IV) è stato osservato nella BME di tutti i controlli mentre mostra debole positività nei casi di PPCD. Lo stroma e la Descemet mostravano un pattern molto simile sia nei controlli che nei casi di PPCD con stroma negativo e Descemet mediamente positiva. Le catene α1 (collagene tipo VIII) non sono state trovate né nella BME né nello stroma di alcuna cornea eccetto in tre casi con PPCD in cui
lo staining è risultato positivo a livello del panno fibroso e nello stroma posteriore. Le stesse erano invece presenti nello stroma limbare e nella congiuntiva di tutti i casi controllo. In tutte le cornee normali lo staining per le catene α1 (collagene tipo VIII) era localizzato dal lato stromale della Descemet, mentre in quattro controlli anche da quello endoteliale. La Descement di tutti i casi con PPCD mostrava una positività medio-intensa dal lato stromale o da entrambi i lati. Le catene α2 (collagene tipo VIII) sono state repertate nella Descemet e nello stroma di tutte le cornee controllo. Lo staining della Descemet era limitato al lato stromale con presenza di striature verticali in un 63% dei controlli. Una positività molto intensa è stata rilevata nelle cellule endoteliali della maggior parte dei controlli. Nei casi di PPCD le catene α2 (collagene tipo VIII) erano presenti nell’83% dei casi dal lato stromale e nel 67% dal lato endoteliale della Descemet. Le striature verticali sono state osservate nel 33% dei casi di PPCD e in taluni casi si è osservata positività a doppia linea e un PCL intensamente positivo. Lo staining delle cellule endoteliali risultava molto più debole rispetto alle cornee controllo. Il panno fibroso sub epiteliale, riscontrato in tre casi con PPCD, risultava positivo alle catene α1 α2 e α5 (collagene tipo IV) e alle α1 (collagene tipo VIII). A livello della membrana di Bowman non è stata riscontrata nessuna differenza tra cornee normali e patologiche. È noto da tempo che la PPCD è caratterizzata morfologicamente da alterazioni funzionali della porzione corneale posteriore (Hogan e Bietti, 1969; Boruchoff e Kuwabara, 1971; Rodriguez et al., 1980; Jirsova et al., 2007), ma nello studio di Merjava et al. sono state trovate non solo alterazioni dell’endotelio e della Descemet, ma anche modifiche nella composizione della membrana basale e dello stroma anteriore nelle cornee affette da PPCD. La differenza più rilevante consiste nella presenza di catene α1 e α2 del collagene tipo IV nella BME e nella regione stromale posteriore che
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dri clinici suggerendo che in questi pazienti il meccanismo sottostante all’origine delle alterazioni dell’espressione del collagene tipo IV sia differente. Non è stata rilevata espressione ectopica di catene α3 del collagene tipo IV nell’endotelio patologico del paziente con mutazione del gene di Zeb1 e questo risultato è in disaccordo con quanto riportato in un altro paziente con medesima mutazione e nell’endotelio dei topi mutanti Zeb1 null (Krafchak et al., 2005; Liu et al., 2008); la spiegazione potrebbe essere l’esistenza di patterns diversi di espressione nei vari stadi di malattia. Ancora, nello studio di Merjava et al. (2009) si è osservato l’accumulo di catene α1, α2 del collagene tipo IV e delle catene α1, α2 del collagene tipo VIII nell’ambito dello strato collagene posteriore la cui presenza rappresenta una caratteristica peculiare della PPCD (Waring, 1982). Comunque, a parte la singola mutazione di COL8A2 in due pazienti con PPCD (Biswas et al., 2001), altri studi non sono riusciti a identificare mutazioni dei geni COL8A1 e COL8A2 causative di malattia (Yellore et al., 2005; Urquhart et al., 2006; Liskova et al., 2007). Nei topi COLA1–/– /COLA2–/– è stato osservato un marcato inspessimento della Descemet assente nella zona bandeggiata anteriore (ABZ), (che si forma nella vita intrauterina in contrapposizione alla zona posteriore non bandeggiata (PNBZ) sintetizzata dopo la nascita), insieme a una bassa densità cellulare, polimorfismo e polimegatismo dell’endotelio (Hopfer et al., 2005). Modifiche nella localizzazione e distribuzione del collagene di tipo VIII erano state precedentemente riportate in pazienti con distrofia di Fuchs associate o meno alla mutazione causativa del gene COL8A2 (Gottsch et al., 2005). Nello studio di Merjava et al. (2009) è stata trovato un pattern di striature verticali nella Descemet nelle cornee controllo e in qualche caso di PPCD e ciò è in contrasto con quanto riportato da Gottsch et al. in uno studio del 2005 in cui i controlli non presentavano questo particolare. Il collagene di tipo VIII viene
sono invece assenti nel tessuto corneale normale. La presenza di staining medio-intenso per le catene α1 e α2 del collagene tipo IV e la sua localizzazione dal lato endoteliale della Descemet, che è stato osservato in numerose cornee affette rispetto allo staining solo dal lato stromale dei controlli sani, suggerisce che le alterazioni della membrana di Descemet dal lato endoteliale, che compaiono dopo la nascita, possano essere il risultato di una secrezione anomala di un endotelio patologico. Giacché nelle cornee normali la localizzazione delle catene α1 e α2 del collagene tipo IV è ristretta alle regioni limbare e congiuntivale (Kabosova et al., 2007) aree in cui le cellule si trovano in attiva proliferazione, la loro presenza dal lato endoteliale della Descemet potrebbe ricoprire un ruolo nella stimolazione dell’attività proliferativa dell’endotelio aberrante delle cornee con PPCD (Merjava et al., 2009). Non è stata trovata alcuna correlazione tra la presenza abnorme di collagene di tipo IV e VIII e l’espressione delle citocheratine nell’endotelio patologico riportata in studi precedenti (Jirsova et al., 2007). Similmente, lo spessore dello strato collagene posteriore (PCL) sembra non dipendere dalla espressione alterata delle citocheratine né dall’età del paziente.Viceversa, è stato osservato un aumento dello spessore della Descemet con l’età sia in tutti i controlli sia nelle cornee con PPCD. Anche se la causa primaria di danno endoteliale non è stata ancora ben chiarita, queste alterazioni della composizione della Descemet potrebbero concorrere al danno endoteliale. L’accumulo di catene α1, α2 e la diminuzione delle α3 e α5 del collagene tipo IV nella membrana basale dell’epitelio dei pazienti con cheratocono e l’accumulo di catene α1, α2 nella Descemet di pazienti con cheratopatia bollosa erano stati già precedentemente descritti (Ljubimov et al., 1996; Kenney et al., 1997; Tuori et al., 1997; Deng et al., 2001), ma nello studio di Merjava et al. (2009) non sono state trovate significative differenze nei pazienti con PPCD che presentavano questi qua-
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espresso nelle cellule in attiva proliferazione, in molti tipi di cellule tumorali e nelle cellule endoteliali durante l’angiogenesi (Sage e Iruela-Arispe, 1990; Paulus et al., 1991) ed esiste la possibilità che la proliferazione delle cellule endoteliali osservata nei pazienti con PPCD possa essere indotta dal collagene di tipo VIII depositato nel panno collagene posteriore (PLC). Inoltre, gli Autori riportano la presenza di catene α1 del collagene tipo VIII nello stroma posteriore di due pazienti con PPCD ed è interessante notare la colocalizzazione con le catene α1 - α5 del collagene tipo IV. Gli Autori hanno segnalato la presenza del panno fibroso positivo per le catene α1, α3 e α5 del collagene tipo IV e delle catene α1 del collagene tipo VIII. Oltre ai due tipi di collagene, erano state precedentemente repertate nell’area fibrosa sub epiteliale dei pazienti con cheratopatia bollosa anche laminina e tenascina (Ljubimov et al., 1996) e gli Autori hanno supposto che questa struttura, descritta nei pazienti con PPCD per la prima volta da Grayson (1974) si formi secondariamente come conseguenza della cheratopatia bollosa che è stata confermata nel loro studio in due pazienti su tre che presentavano questo strato collagene aberrante e dunque la sua formazione rappresenterebbe modifiche secondarie alla compromissione della funzione endoteliale. Concludendo, alla luce dei risultati ottenuti, si può supporre che le alterazioni delle catene del collagene di tipo IV e di tipo VIII nelle cornee con PPCD possano contribuire alle modifiche morfologiche dell’endotelio abnorme come nella stimolazione della sua capacità proliferativa.
OMIM: 136800
grado di penetranza e una espressività variabile. Nel suo quadro clinico completo comprende una distrofia associata sia delle limitanti posteriore e anteriore che dello stroma. Le alterazioni qualitative e quantitative dell'endotelio sono all'origine dell'edema stromale ed epiteliale (Adamis et al., 1993; Bergmanson et al., 1999). Numerose distrofie endoteliali primitive, in primo luogo la cornea guttata, possono esserne la causa benché l'incidenza della forma edematosa sia, ovviamente, molto inferiore a quella delle distrofie endoteliali che eventualmente la determinano (Brooks et al., 1988). Alla microscopia speculare la prevalenza delle gutte è varia, a seconda degli studi presi in considerazione, dal 5 al 70%. Essa aumenta con l’età. Lorenzetti et al. (1967) hanno trovato, in uno studio includente più di 2000 pazienti, una prevalenza di gutte corneali del 31,5% tra i 10 e i 39 anni d’età e del 70,4% oltre i 40 anni. In questo studio la prevalenza di gutte confluenti risulta dello 0,18% tra i 10 e i 39 anni e del 3,9% al di là dei 40 anni. Secondo numerosi Autori (Waring e Mbekeani, 1998) sarebbe predominante nel sesso femminile con un rapporto di 4:1. Anche il grado di severità della malattia è più rilevante nelle donne rispetto agli uomini, ma ancora non sono state chiarite le ragioni di questi fenomeni. L'esordio si colloca in generale dopo i 50 anni ed evolve lentamente nell’arco di 10-20 anni. Trovandosi di fronte a un edema corneale, l’anamnesi e il monitoraggio dell’evoluzione delle lesioni corneali costituiscono elementi chiave per formulare la diagnosi di distrofia di Fuchs. Si manifesta bilateralmente in modo asimmetrico. Talvolta l’asimmetria è talmente marcata che può far pensare a una affezione monolaterale. In generale, l’evoluzione si svolge passando dagli stadi di cornea guttata, edema corneale successivo con cheratopatia bollosa e si conclude con opacizzazione e neovascolarizzazione corneale.
La distrofia di Fuchs è una patologia ereditaria a trasmissione autosomica dominante con un alto
Wilson e Bourne hanno classificato la distrofia di Fuchs in tre stadi evolutivi (1988).
Distrofia corneale di Fuchs; FECD
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Lo stadio 1 è asintomatico. Le prime lesioni visibili all’esame clinico appaiono tra la 3 e la 5 decade. La dispersione pigmentaria è dovuta all’endocitosi di granuli di pigmento melaninico da parte delle cellule endoteliali. Le gutte si rendono visibili alla lampada a fessura con la riflessione speculare e con la retroilluminazione (midriasi pupillare) come escrescenze della membrana di Descemet di forma arrotondata posteriormente. Si localizzano al centro della cornea prima in modo distanziato, successivamente diventano confluenti. Sono spesso accompagnate da depositi di pigmento a livello endoteliale che spesso possono essere repertati prima della comparsa delle gutte. La porzione centrale della membrana di Descemet assume così una colorazione grigiastra, un aspetto irregolare e inspessito visibile con fessura larga tangenziale. Circa il 4% di questi pazienti evolve allo stadio 2 e non è possibile predire in quali pazienti avverrà l’evoluzione e nella maggior parte dei casi il paziente resterà asintomatico per tutta la vita. Il passaggio allo stadio 2 si ha abitualmente verso i 50-60 anni. La comparsa dell’edema corneale segna il passaggio allo stadio 2 e compare la sintomatologia funzionale: visione confusa, abbagliamento alla luce diretta e percezione di aloni colorati intorno alle sorgenti luminose. Questi disturbi funzionali sono presenti al mattino al risveglio e tendono a scomparire nel corso della giornata. Col progredire delle lesioni distrofiche diventano più persistenti fino a diventare permanenti. Si accompagnano a un abbassamento dell’acuità visiva per lontano e per vicino dovuta all’opacificazione dello stroma e all’astigmatismo corneale irregolare posteriore. La visione per vicino è ridotta in maniera precoce e importante nel corso della distrofia di Fuchs mentre questi pazienti possono conservare un’acuità visiva per lontano di circa 5/10 pur essendo gravemente compromessa la visione per vicino. Con l’instaurazione dell’edema epiteliale compare la sintomatologia dolorosa. L’esame biomicroscopi-
Figura 43. Distrofia corneale di Fuchs (FECD); aspetto biomicroscopico: marcato opacamento corneale con esteso edema dovuto alla perdita di cellule endoteliali che, in condizioni fisiologiche, mantengono lo stroma idrofilo in stato di deturgescenza
co evidenzia un edema stromale centrale predescemetico insieme a un edema dello stroma anteriore dietro la membrana di Bowman con aumento dello spessore corneale centrale. La coalescenza delle gutte e l’edema corneale predescemetico si traducono nel classico aspetto ed argento battuto della membrana di Descemet e una opacizzazione stromale posteriore visibile con fessura sottile. Diventa quindi spesso impossibile distinguere le gutte alla lampada a fessura soprattutto se esse sono nascoste dallo strato fibroso posteriore. L’edema predescemetico crea una diffrazione della luce incidente. Esso interessa progressivamente tutto lo spessore dello stroma estendendosi anche alla periferia corneale. L’esame della membrana di Descemet alla lampada a fessura in riflessione speculare può evidenziare delle pieghe. A livello epiteliale si osserva, durante l’evoluzione della distrofia, un edema epiteliale che dà luogo alle irregolarità della superficie epiteliale visibili con luce blu dopo colorazione con fluoresceina e in seguito alla formazione di bolle intra- e sottoepiteliali fonte di erosioni dolorose provocate dalla loro rottura. La sensibilità corneale risulta diminuita. Paradossalmente le cheratiti infettive sono meno frequenti di quanto lascerebbe supporre lo stato dell’epitelio. 54
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chiaro ben delimitato rotondo od ovale, gutte irregolari con una zona centrale dai limiti mal definiti e di luminosità variabile); Stadio 4: gutte confluenti, formazione di un’immagine multilobata con diverse zone chiare, gutte isolate a distribuzione irregolare; morfologia delle cellule endoteliali anormale anche a distanza dalle gutte, aumento importante della superficie cellulare endoteliale; gutte regolari e irregolari; Stadio 5: non è visibile nessuna cellula o contorno cellulare, l’aspetto del riflesso endoteliodescemetico è invertito con contorni chiari brillanti intorno a zone nere consistenti in depositi di collagene.
L’evoluzione dell’edema corneale crea un’opacizzazione a vetro smerigliato e l’ispessimento della cornea centrale con una regione periferica più chiara e sottile (Fig. 43). Allo stadio 3 compare la fibrosi subepiteliale con riduzione dell’edema epiteliale. La riduzione dell’acuità visiva è grave e la visione è ridotta alla sola percezione del movimento. Può svilupparsi una neovascolarizzazione corneale periferica. Spesso è necessaria una cheratoplastica perforante che ha elevate probabilità di successo (Vincent et al., 2003). La cataratta è un’associazione comune e il trauma legato all’intervento di cataratta può scompensare completamente la cornea. Può perciò essere indicato un intervento di cheratoplastica perforante associato all’estrazione di cataratta e all’inserimento della IOL (triplice intervento).
Alla microscopia confocale si ritrovano altresì anomalie della membrana di Bowman sottoforma di riflesso brillante diffuso e assenza di rami nervosi corneali visibili, anomalie dello stroma anteriore (lacune e aumento del riflesso dovuto all’edema e anomalie dello stroma posteriore (lacune, striature profonde di 5-20 µm di larghezza e aumento del riflesso dovuto all’edema). La membrana di Descemet è sempre inspessita con striature profonde e gutte. La densità endoteliale media è diminuita.
Alla microscopia speculare, si evidenziano le gutte sottoforma di zone nere con centro chiaro che mascherano totalmente il mosaico di cellule endoteliali che le ricoprono, pleomorfismo cellulare (diminuzione della percentuale di cellule di forma esagonale), polimegatismo (anisocitosi) e una riduzione della densità cellulare endoteliale. Laing et al. (1981) hanno descritto 5 stadi progressivi della distrofia alla microscopia speculare: Stadio 1: gutte isolate, dimensioni inferiori a quelle di una cellula endoteliale con centro chiaro ben definito, morfologia delle cellule endoteliali vicine normale; Stadio 2: gutte isolate, dimensioni prossime a quelle di una cellula endoteliale, morfologia delle cellule endoteliali vicine anormale (cellule allungate, aspetto a rosette, contorno lucente a contatto della gutte); morfologia cellulare intorno alle rosette normale; Stadio 3: gutte confluenti, dimensioni da 5 a 10 cellule endoteliali, morfologia delle cellule endoteliali vicine anormale con normalità di quelle più distanti; possono essere osservati due tipi di gutte (gutte regolari arrotondate con un centro
Da un punto di vista fisiopatologico la distrofia di Fuchs è una patologia che interessa primitivamente lo strato endotelio-descemetico della cornea. Questa si estrinseca attraverso la formazione di edema stromale e successivamente epiteliale. Esso ha come conseguenza la formazione di fibrosi sub epiteliale. Gli eventi fisiopatologici che caratterizzano questa distrofia sono la produzione di un materiale anomalo con la formazione di una membrana di Descemet multi lamellare a partire dalla nascita e disfunzione della pompa endoteliale. Studi con autoistoradiografia e immunoistochimica hanno dimostrato che la densità dei siti Na+/K+ adenosina trifosfatasi (ATPasi, pompa cellulare sodio/potassio) diminuisce nel corso della distrofia di Fuchs parallelamente alla progressione
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della malattia (Mc Cartney et al. 1989). La perdita dei siti ATPasi si traduce in una diminuzione della capacità di recupero dall’edema corneale ipossico indotto dal porto di una lente a contatto e dal successivo inspessimento dello spessore corneale. La comparsa dell’edema valutata con l’inspessimento corneale centrale è correlata al carattere confluente delle gutte (Wilson e Bourne, 1988). Contrariamente alla pompa endoteliale, la barriera endoteliale, valutata con test della diffusione della fluoresceina in camera anteriore misurata con fluorofotometria, non risulta alterata in corso di distrofia di Fuchs (Wilson e Bourne, 1988). Istologicamente, il segno caratteristico della patologia consiste nella presenza di escrescenze posteriori della membrana di Descemet (Hogan et al., 1974) (Fig. 44). Lo spessore dell’endotelio è ridotto con nuclei irregolarmente dislocati con presenza di vacuoli e granuli di pigmento (Bourne et al., 1982). La riduzione dello spessore delle cellule endoteliali è massima in coincidenza delle gutte. A questo livello l’endotelio può essere assente. Il numero di nuclei visibili in sezione istologica è inferiore al reale (Hogan, 1974). Il grado di colorabilità dei nuclei all’ematossilina è variabile, risulta maggiore nelle cellule di aspetto fibroblastico rispetto alle cellule che hanno conservato una morfologia normale. La membrana di Descemet è ispessita (dai 14 ai 40 µm con valori di riferimento normali a 50 anni di 10-12 µm) e l’aumento di spessore è tanto più importante quanto più la distrofia è clinicamente evoluta (Hogan, 1974). Essa mostra una struttura laminare con addensamenti focali alla reazione con l’acido periodico di Shiff (PAS) che corrispondono alle gutte (Bourne et al., 1982). Le gutte possono avere una forma sessile o una forma peduncolata ed essere ricoperte o essere indovate in una fibrosi sub endoteliale meno densa della membrana di Descemet. Ciò può realizzare un aspetto a gutte duplicate con una faccia anteriore in continuità con la Descemet e una faccia posteriore a
Figura 44. Distrofia corneale di Fuchs (FECD); sezione istologica: al microscopio ottico sono evidenti numerose escrescenze a livello della superficie posteriore della membrana di Descemet (guttae) e la presenza di cisti nell’epitelio corneale sotto una membrana basale ectopica. Colorazione all’acido periodico di Schiff
ridosso del tessuto sottoendoteliale (Hogan, 1974). La classificazione istologica di Hogan (1974) distingue quattro forme: inspessimento descemetico moderato con gutte prominenti regolarmente dislocate inspessimento descemetico marcato con gutte più prominenti inspessimento descemetico e slaminamento della membrana di Descemet senza gutte. Nella stessa cornea possono essere repertate forme istologiche differenti. Con l’ausilio del microscopio a contrasto di fase possono essere visualizzate anche le gutte nascoste dalla fibrosi sub endoteliale. Sulle preparazioni di membrana di Descemet si osserva una diminuzione della densità cellulare endoteliale e un polimorfismo endoteliale. I nuclei cellulari sono spinti dentro le gutte. Lo stroma è sede di edema con un inspessimento delle lamelle collagene. L’edema diminui-
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Figura 45. Distrofia corneale di Fuchs (FECD); sezione istologica: la bolla sottoepiteliale risulta dalla separazione dell’epitelio corneale dalla membrana di Bowman. La cheratopatia bollosa è la manifestazione di numerosi disordini della cornea in cui si accumula fluido sotto l’epitelio a causa di una disfunzione dell’endotelio
Figura 46. Distrofia corneale di Fuchs (FECD); sezione istologica: più forte ingrandimento della figura precedente che mostra le cisti intraepiteliali e la membrana basale dell’epitelio ectopica. Queste alterazioni non specifiche si ritrovano in diversi disordini dell’epitelio corneale e sono comunemente definite come distrofie della membrana basale dell’epitelio. Colorazione all’acido periodico di Schiff
sce quando la malattia arriva a uno stadio avanzato con aumento del numero di cheratociti. La membrana di Bowman può apparire normale o presentare delle rotture colmate da un tessuto fibroso. Sotto l’epitelio, negli stadi avanzati, si forma una fibrosi avascolare che può raggiungere i 350 µm (Iwamoto e De Voe, 1971). La fibrosi può penetrare l’epitelio soggiacente e talvolta isolare delle isole epiteliali. A livello dell’epitelio si riscontra edema delle cellule basali con bolle sottoepiteliali (Fig. 45). Lo spessore dell’epitelio può essere irregolare con formazione di ondulazioni (Fig. 46). Depositi di β ig-h3 sono stati evidenziati con reazioni immunoistochimiche nella Descemet e nello strato collagene posteriore come anche nel contesto della fibrosi sottoepiteliale (Hirano et al., 1996). Questi si accompagnano a depositi di collagene di tipo VI. La loro associazione suggerisce che queste due molecole possano giocare un ruolo nell’ancoraggio del tessuto patologico (fibrosi sottoepiteliale e strato posteriore di collagene) allo stroma soggiacente.
Alla microscopia elettronica a trasmissione le escrescenze descemetiche si repertano soprattutto al centro, ma anche alla periferia corneale. Si accompagnano a un aumento di spessore della membrana di Descemet, disorganizzazione delle strutture periodiche e aumento del collagene a lunga periodicità (Iwamoto e De Voe, 1971) (Fig. 47-49). Le gutte possono essere assenti (Iwamoto e De Voe, 1971).
Figura 47. Distrofia corneale di Fuchs (FECD); microscopio elettronico a scansione: aspetto delle guttae alla superficie inferiore della cornea
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Figura 48. Distrofia corneale di Fuchs (FECD); microscopio elettronico a trasmissione: melanosoma contenente cellule endoteliali corneali strettamente aderenti allo strato collagene con fibrille orientate in varie direzioni
Figura 49. Distrofia corneale di Fuchs (FECD); microscopio elettronico a trasmissione:ampia banda di collagene con membrana di Descemet inspessita
In alcune famiglie si reperta un linkage con il locus 1p34.3-p32, dove sono state individuate mutazioni a carico del gene COL8A2 (3.4%) (Biswas, 2001). Mutazioni a questo livello in teoria possono distruggere la stabilità dell’assemblaggio sopramolecolare. La stessa associazione si trova anche nel 6% di casi di PPCD. Vi è, tuttavia, una scarsa correlazione genotipo-fenotipo poiché la stessa mutazione si ritrova in quadri clinici differenti. Altri casi di FECD sono stati mappati al cromosoma 13 (13pTe1-3q12.13) (Sundin et al., 2006) e 18 (18q21.2-q21.32) (Sundin et al., 2006). In due nuclei familiari con una variante autosomica dominante di FECD e PPCD a precoce insorgenza è stata recentemente trovata una muta-
zione Gln455Lys nel gene del COL8A2 suggerendo che questi due disturbi sono correlati tra loro. È stata anche trovata una mutazione Leu450Trp nello stesso gene in casi di FECD a esordio precoce (Liskova et al, 2007) e una mutazione in eterozigosi nel gene SLC4A11 in 4 tra 89 casi di FECD a insorgenza tardiva (Vithana et al., 2008), ma il significato di questi risultati resta da determinare. Una nuova mutazione nel TCF8 gene, che provoca PPCD tipo 3, è stata trovata solo in uno dei 74 casi di pazienti cinesi con FECD (Klintworth, 2009). È stata individuata anche un’altra mutazione, questa volta mitocondriale, in un caso associato a ipoacusia, diabete, aritmie cardiache, atassia e ipereflessia (Albin, 1998).
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Conclusioni
lo di conoscenza di ogni singola patologia in quanto la continua crescita delle conoscenze in ambito di genetica molecolare obbliga a effettuare periodici aggiustamenti della classificazione delle distrofie corneali. Questo sistema permette così il continuo aggiornamento della categorizzazione di pari passo al progresso delle conoscenze. La nomenclatura IC3D introduce ulteriori criteri scientifici obiettivi per determinare se un’entità patologica osservata rappresenta una nuova distrofia corneale o la variante di una forma già nota. Ciò permette all’oftalmologo di districarsi nella distinzione delle singole patologie e nella comprensione della loro patogenesi facilitando la scelta di un adeguato trattamento. L’intervento terapeutico può essere articolato su diversi fronti dalla terapia genica con reintroduzione dell’enzima mancante a quella farmacologica con l’impiego di composti leganti la sostanza accumulatasi in eccesso nel tessuto corneale. Il vantaggio di queste possibili soluzioni si basa sulla facile accessibilità di tale struttura anatomica e del sempre costante sviluppo tecnologico che odiernamente rende disponibile una sempre più ricca strumentazione utile a tal scopo. Gli Autori confidano che lo sforzo attuato nel realizzare la presente opera, al fine di focalizzare il vasto argomento, possa essere d’aiuto per un pronto raggiungimento di un intervento terapeutico mirato.
Le distrofie corneali sono disordini rari con manifestazioni cliniche ampiamente variabili. Oggi, grazie alle acquisizioni di genetica molecolare e al conseguente ingigantimento delle conoscenze, abbiamo riportato come sia possibile collegare una specifica patologia a una definita regione cromosomica nell’ambito della quale è possibile individuare e mappare il gene e la mutazione causativa. In tal modo si apre anche la via alla comprensione di associazioni fenotipiche prima inspiegate e adesso confortate dal riscontro di basi molecolari comuni, quali la vicinanza dei loci genici o la funzione associata. È chiaro che, di pari passo al progredire delle possibilità terapeutiche, le conoscenze sulle distrofie corneali si sono di molto accresciute nel passaggio dal 20° al 21° secolo quando l’approccio categorizzativo su basi esclusivamente anatomopatologiche è stato affiancato e completato dall’enorme bagaglio di informazioni apportato dalla genetica molecolare. Questo passaggio è avvenuto nel 2008. È nata così una nuova classificazione delle distrofie in base a uno specifico tratto mendeliano, eponimo, locus genico, ereditarietà, manifestazione, segno, sintomo, progressione della malattia, sua istopatologia comprendente microscopia ottica, microscopia elettronica, microscopia confocale e immunoistochimica se disponibile. In più è stato incluso un sistema di categorizzazione impostato sul livel-
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