Correzioni ottiche dei difetti visivi

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I DIFETTI DELLA VISTA Nell’adulto e nel bambino

Fabiano Gruppo Editoriale


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Introduzione Dopo il primo volume dedicato all’ottica ed alla rifrazione ed alle loro regole di base necessarie per la prescrizione corretta di un occhiale, ci è sembrato opportuno proseguire il percorso dedicato alla rifrazione affrontando il tema delle caratteristiche delle lenti oftalmiche. La prescrizione e l’approntamento di un occhiale corretto ed adeguato non può infatti prescindere dalla conoscenza delle lenti che vengono montate. Le numerose richieste di chiarimenti sull’argomento giunteci in questi ultimi anni da parte dei colleghi, ci hanno convinto ad affrontare un tema spesso considerato ostico e complicato nel tentativo di semplificare il più possibile il tema delle caratteristiche di costruzione delle lenti oftalmiche e degli effetti che queste hanno sulla quotidianità del soggetto che le deve indossare. Le lenti oftalmiche hanno infatti subito una notevole evoluzione in questi ultimi 20 anni e poco risulta essere presente nei testi della letteratura. Tale evoluzione è dovuta alle continue nuove e migliorative tecniche di costruzione, che consente la presenza sul mercato di un gran numero di lenti con differenti tipologie e finanche differenti caratteristiche nell’ambito della stessa tipologia di lenti Gli argomenti trattati non vogliono essere un manuale tecnico bensì un approfondimento delle conseguenze che i vari tipi di lenti oftalmiche hanno nelle situazioni cliniche dei nostri pazienti, sia adulti sia bambini. Il manuale si rivolge pertanto non solo ai medici oculisti, ma anche agli ortottisti assistenti in oftalmologia che tanta responsabilità hanno sulla scelta di alcuni tipi di lenti, quali ad esempio possono essere i prismi o le lenti bifocali. La corretta conoscenza delle caratteristiche tecniche delle lenti a tempiale e delle conseguenze che queste possono avere se approntate in maniera errata su di una montatura sono anche alla base del corretto atteggiamento che la figura dell’ottico deve avere nel momento della scelta dell’occhiale: riteniamo pertanto che quest’opera possa essere di interesse anche per tale categoria professionale. Conoscere meglio infatti vuol dire meglio riconoscere e meglio trattare, e ci auspichiamo che gli argomenti affrontati possano contribuire a semplificare il lavoro dei nostri colleghi e di tutte le figure coinvolte nella prescrizione e nella scelta delle varie tipologie di lenti da “inserire nella montatura” Un sentito ringraziamento va ai contributors che hanno collaborato con professionalità alla stesura di alcune parti tecniche di questo manuale.

Luigi Mele Andrea Piantanida Mario Bifani


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Indice CAPITOLO 1 – Ottica delle lenti oftalmiche Introduzione 1.1 Il Diottro 1.2 La rifrazione 1.3 La Dispersione 1.4 La Trasparenza Bibliografia

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CAPITOLO 2 – I materiali delle lenti oftalmiche Introduzione 2.1 IL VETRO 2.1.1 La Composizione del vetro 2.1.2 I Vetri utilizzati in ottica oftalmica 2.2 LE RESINE ORGANICHE 2.2.1 Il Cr-39 2.2.2 Il Policarbonato 2.2.3 Il Trivex 2.2.4 Materiali ad alto indice di refrazione (MR) Bibliografia

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CAPITOLO 3 – La produzione delle lenti oftalmiche Introduzione 3.1 La produzione dello sbozzo in vetro 3.2 La produzione dello sbozzo in resina organica 3.3 La lavorazione dello sbozzo e la lente finita Bibliografia

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CAPITOLO 4 – I trattamenti delle lenti Introduzione 4.1 Il trattamento indurente 4.1.1 Il Trattamento indurente per le lenti in vetro 4.1.2 Il trattamento indurente per le lenti in materiale organico 4.1.3 Verniciatura o laccatura 4.1.4 Tecniche di verniciatura 4.1.5 Sublimazione 4.1.6 I test per il controllo della resistenza 4.1.7 Considerazioni sulla realizzazione di un trattamento indurente 4.2 IL TRATTAMENTO ANTIRIFLESSO 4.2.1 Origini del trattamento antiriflesso 4.2.2 I riflessi e i loro effetti 4.2.3 I principi fisici del trattamento antiriflesso 4.2.4 Produzione dell’ antiriflesso 4.2.5 Materiali per l’antiriflesso 4.2.6 Tipologie di antiriflesso 4.2.7 Antiriflesso per lenti in vetro 4.2.8 Antiriflesso per lenti in organico 4.3 IL TRATTAMENTO IDROREPELLENTE 4.3.1 Realizzazione dello strato idrorepellente 4.4 I TRATTAMENTI INTEGRATI 4.4.1 realizzazione di un trattamento integrato Bibliografia

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CAPITOLO 5 – Le aberrazioni ottiche Introduzione 5.1 La caustica 5.2 Il defocus 5.3 L’astigmatismo 5.4 L’aberrazione sferica 5.5 L’aberrazione di coma 5.6 Trifoglio, Quadrifoglio, Pentafoglio, Esafoglio... 5.7 Il fronte d’onda 5.8 L’obiettivo perfetto 5.9 Gli aberrometri 5.10 Il defocus 5.11 L’astigmatismo 5.12 L’aberrazione sferica 5.13 Il tilting 5.14 L’aberrazione di coma 5.15 Il quadrifoglio 5.16 Il trifoglio 5.17 La topoaberrometria 5.18 I polinomi di Zernike 5.19 Le aberrazioni 5.20 La piramide di Zernike 5.21 Qualche considerazione sulle rappresentazioni in scala di colori 5.22 La rappresentazione e la misura delle aberrazioni 5.23 La Root Mean Square (RMS) 5.24 Il defocus equivalente 5.25 La Point Spread Function (PSF) 5.26 La Modulation Transfer Function (MTF) 5.27 La superficie di riferimento 5.28 Ancora qualche puntualizzazione 5.29 Una tecnica con tante virtù e qualche limite Per saperne di più Bibliografia

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CAPITOLO 6 – Le geometrie delle lenti oftalmiche Introduzione 6.1 ANATOMIA DI UNA LENTE OFTALMICA 6.2 LE SUPERFICI DELLE LENTI OFTALMICHE 6.2.1 Lenti sferiche 6.2.2 Lenti cilindriche o piano cilindriche 6.2.3 Lenti sfero-cilindriche 6.2.4 Lenti toriche 6.2.5 Lenti prismatiche 6.2.6 Lenti asferiche 6.3 CAMPO DI VISIONE DELLE LENTI 6.4 LE LENTI ACROMATICHE 6.5 SPESSORE DELLE LENTI 6.5.1 Spessore centrale Bibliografia

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CAPITOLO 7 – Lenti monofocali Introduzione 7.1 LE TIPOLOGIE DI LENTI MONOFOCALI SFERICHE 7.1.1 Menischi 7.1.2 Lenti piano-sferiche 7.2 LE TIPOLOGIE DI LENTI MONOFOCALI ASTIGMATICHE 7.2.1 Lente piano cilindrica

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7.2.2 Lente bicilindrica 7.2.3 Lente sfero cilindrica 7.2.4 Lente piano torica 7.2.5 Lente sfero torica 7.2.6 Lente bitorica 7.3 LE TIPOLOGIE DI LENTI MONOFOCALI ASFERICHE 7.3.1 Lenti asferiche a superficie ellittica convessa 7.3.2 Lenti asferiche a superficie ellittica concava 7.3.3 Lenti Atoral 7.3.4 Lenti Asferiche di Mertè 7.3.5 Lenti a superficie iperboloidale 7.4 LENTI LENTICOLARI 7.4.1 Lenticolari negative 7.4.2 Lenticolari positive 7.5 LE LENTI MONOFOCALI EVOLUTE 7.5.1 Monofocali evolute per lontano 7.5.2 Monofocali evolute per vicino Bibliografia CAPITOLO 8 – L’utilizzo delle lenti monofocali in età pediatrica: caratteristiche ottiche ed effetti fisiopatologici 8.1 PRINCIPI GENERALI 8.2 CALCOLO DELLA DISTANZA INTERPUPILLARE Bibliografia

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CAPITOLO 9 – Le lenti prismatiche 9.1 IL PRISMA 9.2 LENTI PRISMATICHE E DEVIAZIONI OCULARI 9.3 LE LENTI PRISMATICHE DI FRESNEL 9.4 LA QUANTIFICAZIONE DELLA DEVIAZIONE OCULARE ED I PRISMI Bibliografia

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CAPITOLO 10 – I disturbi della motilità oculare e le lenti monofocali Pag. 215 10.1 INFLUENZA DELLE LENTI OFTALMICHE SULLA MOTILITÀ OCULARE 10.2 STRABISMO, VIZI DI RIFRAZIONE E DECENTRAMENTO DELLE LENTI MONFOCALI Bibliografia CAPITOLO 11 – Le lenti sferiche press-on di Fresnel Pag. 221 11.1 PRINCIPI GENERALI 11.2 CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE DELLE LENTI SFERICHE PRESS ON DI FRESNEL 11.3 UTILIZZO CLINICO DELLE LENTI SFERICHE PRESS-ON DI FRESNEL Bibliografia CAPITOLO 12 – Le lenti multifocali Introduzione 12.1 LENTI BIFOCALI 12.1.1 Lenti bifocali a disco fuso 12.1.2 Lenti bifocali a variazione di curvatura 12.2 IL SALTO DI IMMAGINE 12.3 LENTI TRIFOCALI Bibliografia

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CAPITOLO 13 – Le lenti bifocali in età pediatrica 13.1 LA LENTE EXECUTIVE E-LINE 13.2 LA LENTE EXCELIT AS 13.3 LE LENTI BIFOCALI NEI DISTURBI DELLA MOTILITÀ OCULARE Bibliografia

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CAPITOLO 14 – Le lenti progressive Introduzione 14.1 ANATOMIA DELLA LENTE PROGRESSIVA 14.1.1 Le aree funzionali 14.1.2 Il prisma di alleggerimento 14.1.3 Il canale di progressione 14.1.4 L’ Inset 14.2 L’ASTIGMATISMO DI SUPERFICIE 14.3 IL DESIGN DELLE LENTI PROGRESSIVE 14.3.1 Le lenti progressive “Hard” 14.3.2 Le lenti progressive “Soft” 14.3.3 Considerazioni sul design delle lenti 14.4 LA BINOCULARITÀ NELLE LENTI PROGRESSIVE 14.4.1 La costruzione asimmetrica 14.4.2 L’inset variabile 14.5 LE GEOMETRIE DI SUPERFICIE 14.5.1 Lenti progressive a progressione esterna 14.5.2 Lenti progressive a geometria interna 14.5.3 Lenti progressive a doppia addizione 14.5.4 Le lenti a progressione integrata 14.5.5 Lenti progressive ad addizione fissa compensata 14.6 LENTI PROGRESSIVE A GEOMETRIA PERSONALIZZATA 14.6.1 La geometria “free form” 14.6.2 La geometria “camber”

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CAPITOLO 15 – Le lenti progressive nei disturbi della motilità oculare Bibliografia

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CAPITOLO 16 – La correzione dei vizi di refrazione con lenti oftalmiche 16.1 MIOPIA 16.1.1 La compensazione ottica della miopia nell’adulto 16.1.2 La compensazione ottica della miopia nel bambino 16.1.3 La miopia precoce e la miopia scolare 16.1.4 La miopia monolaterale elevata (Unilateral High Myopia) 16.1.4 Gestione della miopia monolaterale elevata 16.2 IPERMETROPIA 16.2.1 La compensazione ottica della ipermetropia nell’adulto e nel bambino 16.3 ASTIGMATISMO 16.3.1 La compensazione ottica dell’astigmatismo nell’adulto 16.3.2 Astigmatismo miopico semplice 16.3.3 Astigmatismo ipermetropico semplice 16.3.4 Astigmatismo composto 16.3.5 Astigmatismo misto 16.3.6 La compensazione ottica dell’astigmatismo nel bambino 16.4 VISIONE E POSTUROLOGIA Riferimenti Bibliografia

Pag. 273

CAPITOLO 17 – La correzione ottica della presbiopia Pag. 293 Introduzione 17.1 LA CLASSIFICAZIONE IN BASE ALL’ETÀ 17.2 LAG E LEAD ACCOMODATIVO 17.3 LA VARIAZIONE DELL’AMPIEZZA ACCOMODATIVA CON L’AVANZARE DELL’ETÀ 17.4 LA CONVERGENZA 17.5 LE ANOMALIE DI ACCOMODAZIONE 17.6 DISTANZA DI HARMON 17.7 PRINCIPI GENERALI DELLA CORREZIONE


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17.7.1 L’occhiale monofocale 17.7.2 Il mezzo occhiale 17.7.3 L’occhiale bifocale 17.7.4 Lenti trifocali 17.7.5 Lenti progressive 17.8 NECESSITÀ VISIVE PER VICINO-INTERMEDIO 17.8.1 Lenti vicino-intermedio 17.8.2 Lenti lontano-intermedio 17.9 LENTI PROGRESSIVE IN CASO DI PRESBIOPIA ASSOCIATA AD AMETROPIE 17.9.1 Lenti progressive per ipermetropi 17.9.2 Lenti progressive per miopi 17.9.3 Lenti progressive per astigmatici 17.10 LE LENTI INDOOR Bibliografia


1. Ottica delle lenti oftalmiche

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Capitolo 1 – Ottica delle lenti oftalmiche

Introduzione

La scelta del materiale adatto ad una lente costituisce un momento cardine della realizzazione di un occhiale da vista. Spesso il paziente, maggiormente attento alla ricerca della montatura che si addica alla sua personalità, presta scarsa attenzione al tipo ed alla qualità della lente da applicare, rischiando di inficiare la qualità della visione e, di conseguenza, il grado di soddisfazione dell’occhiale prodotto. È pertanto compito dello specialista della visione indirizzare il paziente nella scelta della lente maggiormente adatta alle sue esigenze. Esistono numerosi materiali di produzione per lenti oftalmiche, ciascuno con proprietà differenti e specifiche per la singola circostanza di prescrizione. Per garantire la piena comprensione delle differenze dei singoli materiali costituenti i mezzi diottrici dell’occhiale, occorre soffermarsi sulle principali caratteristiche fisiche che ne permettono il raffronto, quali la rifrazione, la dispersione e la trasparenza.

1.1 Il Diottro

Un diottro è un sistema ottico formato da due mezzi omogenei, trasparenti, isotropi e con uno specifico indice di rifrazione. “Un diottro è detto sferico quando la superficie di separazione tra i due mezzi è una sfera”. Un diottro sferico presenta: • un centro di curvatura. Un punto sull’asse ottico che ha la seguente proprietà: qualsiasi raggio passante per esso non subisce alcuna deviazione. • un fuoco oggetto. Un punto sull’asse ottico a cui corrisponde un immagine all’infinito. Il fuoco oggetto può essere reale se è dato dall’intersezione dei raggi incidenti, virtuale se è dato dall’intersezione dei prolungamenti dei raggi incidenti. • un fuoco immagine. Un punto sull’asse ottico a cui corrisponde un oggetto posto all’infinito. Anche tale fuoco può essere: – reale se l’intersezione è dovuto a raggi rifratti. – virtuale quando l’intersezione è data dai prolungamenti dei raggi rifratti. A seconda della curvatura del diottro sferico possiamo distinguere il seguente sistema in: • Diottro convesso, quando il centro di curvatura si trova nello spazio a indice di rifrazione maggiore e il raggio di curvatura R>0. Tale diottro è detto anche POSITIVO (Figura 1). • Diottro concavo, quando il centro di curvatura si trova nello spazio con indice di rifrazione minore e il raggio di curvatura R<0. Tale diottro è detto NEGATIVO (Figura 2). Dato l’indice di rifrazione n’ del diottro e il suo raggio di curvatura è possibile calcolare il potere del diottro attraverso la seguente formula.


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Figura 1. Diottro Convesso

Figura 2. Diottro Concavo

Se conosciamo la distanza oggetto-vertice (p) e la distanza immagine-vertice (q) è possibile legare queste due quantità al potere del sistema ottico nel seguente modo:

1.2 La rifrazione

La caratteristica fondamentale di un mezzo ottico è l’indice di rifrazione. Esso consta di un valore numerico che indica quanto efficientemente un materiale rifrange la luce, valore che dipende da quanto velocemente la luce attraversa il materiale in esame. In particolare l’indice di rifrazione n esprime il rapporto tra la velocità c della luce nel vuoto e la velocità v della luce nel mezzo considerato, ovvero:

Nei materiali la velocità della luce è sempre minore che nel vuoto, ed è influenzata dai seguenti fattori: - natura del mezzo; - temperatura (soprattutto per sostanze liquide e gassose); - pressione (sostanze gassose); - lunghezza d’onda della radiazione (la lunghezza d’onda minore è più lenta della luce di lunghezza d’onda maggiore).


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1. Ottica delle lenti oftalmiche

Normalmente i valori dell’indice di rifrazione vengono dati per una temperatura di 20 °C e una pressione di 1 atm (760 torr = 101,325 kPa). L’indice di rifrazione viene riferito al valore delle singole lunghezze d’onda della luce, pertanto all’indice n viene affiancata un’ulteriore lettera, in riferimento alla lunghezza d’onda. Vengono dunque utilizzate normalmente: - ne che, nell’ambito dello spettro della luce solare, si riferisce alla riga verde alla lunghezza d’onda λ= 546,07 nm; - nC’ che si riferisce alla riga rossa alla lunghezza d’onda λ= 643,85 nm; - nF’ che si riferisce alla riga blu alla lunghezza d’onda λ= 479,99 nm. L’indice di rifrazione ne riferito alla riga verde si dice indice di rifrazione principale (Figura 3).

Figura 3. Spettro della luce solare con le principali righe di assorbimento.

L’utilizzo di un materiale ad alto indice di rifrazione permette di ottenere, a parità di potere, lenti di ridotto spessore. Tale dato non deve però trarre in inganno, in quanto l’uso di materiali ad alto indice di rifrazione può comportare il peggioramento di altre caratteristiche.

1.3 La dispersione

Ponendo su un grafico l’indice di rifrazione n di una sostanza in funzione della lunghezza d’onda si potrà osservare come tale indice diminuisca con l’aumentare della lunghezza d’onda λ (Figura 4).

Figura 4. Rapporto tra rifrazione e lunghezza d’onda in riferimento a differenti materiali.


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Figura 5. Deviazione spettrale dei differenti colori in relazione alla dispersione del materiale.

In ottica la dispersione è un fenomeno fisico che causa la separazione di un’onda (nel nostro caso la luminosa) in componenti spettrali con diverse lunghezze d’onda, a causa della dipendenza della velocità dell’onda dalla lunghezza d’onda nel mezzo attraversato. Più semplicemente la dispersione è la grandezza che indica quanto i raggi di luce di diversi colori vengono dispersi nel passaggio attraverso un mezzo ottico. Prendendo in esame un raggio di luce bianca, risultante dunque dalla composizione di tutti i colori spettrali, incidente su un prisma a sezione triangolare, nelle due rifrazioni subite dai raggi luminosi nell’attraversare il prisma i diversi colori verranno deviati in misura differente, emergendo dalla faccia opposta del prisma separati uno dall’altro, con diversi angoli di rifrazione (Figura 5). È possibile distinguere le seguenti grandezze: - dispersione principale, ossia la differenza fra gli indici di rifrazione nF’ e nC’ per la luce blu (λ = 479,99 nm) e la luce rossa (λ = 643,85 nm); - dispersione parziale, la differenza fra gli indici di rifrazione per altre lunghezze d’onda; - dispersione parziale relativa, rapporto tra una dispersione parziale e la dispersione principale; - numero di Abbe o costringenza, che indica il rapporto di dispersione cromatica di un materiale trasparente alle lunghezze d’onda del visibile. Esso viene espresso come:

Il numero di Abbe riferito al materiale che costituisce una lente rappresenta un indice oggettivo di quanto la lente disperde le diverse lunghezze d’onda della luce, ossia di come la luce passa attraverso di essa. Materiali con basso numero di Abbe presentano alta dispersione, condizione che può causare aberrazione cromatica, fastidioso errore ottico lamentato dal paziente come la presenza di aloni colorati intorno agli oggetti, soprattutto le luci. Tale errore, se presente, è più evidente quando si guarda attraverso la periferia delle lenti, meno guardando attraverso la zona ottica. Il numero di Abbe, in riferimento alle lenti oftalmiche, va da un massimo di 59 ad un minimo di 30; minore è il numero di Abbe di un materiale, maggiore sarà la sua dispersione, con maggior probabilità di provocare l’aberrazione cromatica.


1. Ottica delle lenti oftalmiche

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1.4 La trasparenza

La trasparenza di un mezzo ottico indica la sua capacità di lasciarsi attraversare dalla luce. I fenomeni che possono influire sulla quantità di luce che riesce ad attraversare una lamina di materiale trasparente sono l’assorbimento all’interno del materiale e le riflessioni su ogni superficie attraversata. Le grandezze fisiche che misurano l’assorbimento all’interno del materiale sono la trasmittanza e l’assorbanza. Il valore della trasmittanza T, per ciascun tipo di materiale e per uno specifico spessore, è dato dal rapporto tra l’intensità della radiazione trasmessa I e l’intensità I0 della radiazione incidente:

L’assorbanza A, in passato detta densità ottica, è data invece dal logaritmo decimale del reciproco della trasmittanza (Figura 6):

Figura 6. Trasmittanza ed assorbanza di radiazione luminosa attraverso un materiale trasparente.

Nel caso andassimo a sovrapporre due strati di materiale trasparente, la trasmittanza risultante sarà data dal prodotto delle trasmittanze dei due strati;l’assorbanza risultante invece sarà data dalla somma delle loro due assorbanze. Quando un fascio di luce incide sulla superficie di separazione di due mezzi, una quota del fascio si riflette, e un’altra penetra nel secondo mezzo. La percentuale di radiazione riflessa dipende dall’angolo d’incidenza; quando il fascio è molto radente, ossia l’angolo di incidenza si avvicina a 90°, aumenta notevolmente la quantità di radiazione riflessa. Il fattore di riflessione ρ, ossia la percentuale della radiazione riflessa dalla superficie di separazione fra due mezzi con indice di rifrazione n’ e n”, è espresso da:


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Assorbimento

Riflettanza

100%

Trasmittanza

Riflettanza, assorbimento e Trasmittanza Figura 7. Rappresentazione delle proprietà fisiche delle lenti oftalmiche.

Quindi nel caso in cui un materiale con n’=1,5 sia immerso in aria, dunque sia in rapporto con n”=1, si avrà che: ρ = (0,5/2,5)2 = 0,04 = 4% Tale valore aumenta con l’aumentare dell’indice di rifrazione del materiale in esame. Siccome di ogni lente dobbiamo prendere in considerazione entrambe le superfici, una di entrata e una di emergenza, e siccome si ha il medesimo tipo di riflessione su entrambe le superfici, la quantità di radiazione riflessa da una lente è pari all’incirca al doppio di quanto indicato sopra. Tali riflessioni possono essere ridotte o addirittura eliminate con opportuni trattamenti, denominati appunto antiriflesso (Figura 7).

Bibliografia • • • • • • • • •

Lovisolo C., Abati S., Buratto L., Montani G., Occhiali in Ottica Oftalmica, CAMO, Milano, 1993 Catalano F., Elementi di Ottica generale, Zanichelli, Bologna, 2001 Rossetti A. Lenti e occhiali, Medical books,2003 G. Paliaga, “Vizi di rifrazione”, M. Medica, IV edizione,2008 Catalano F, Fondamenti di Ottica della Visione, Piccin 2004 Mele L. at all. Manuale pratico di lenti oftalmiche, Centro Studi Salmoiraghi &Viganò 2014 M. Jalie, Ophthalmic Lenses and Dispensing, Butterworth Heinemann, Oxford, UK, 2003 Alonso J., Alda J., Ophthalmic optics, Encyclopedia of Optical Engineering, Marcel Dekker, New York, 2003. Jalie M., The principles of the ophthalmic lenses, The Association of British Dispensing Opticians, London, 1984


2. I materiali delle lenti oftalmiche

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Capitolo 2 – I materiali delle lenti oftalmiche Introduzione

Le lenti oftalmiche giocano un ruolo fondamentale nella cura e nella visione, affinché queste possano svolgere il loro ruolo nel modo più efficiente e con il minor numero di inconvenienti per il paziente è importante scegliere il materiale di fabbricazione con cura. Le principali proprietà che suddetti materiali devono avere sono: – Trasparenza alla luce visibile: La luce che incide sulla lente deve attraversarla subendo la minima perturbazione, vanno evitati fenomeni di assorbimento, riflessione e diffusione; – Schermatura alla luce UV: Per proteggere l’occhio da radiazioni luminose potenzialmente nocive; – Bassa densità: Per minimizzare il peso della lente stessa e, dunque, permettere di avere un occhiale leggero e semplice da maneggiare; – Facilità di taglio: Per permettere di creare lenti di varie forme senza che il taglio scalfisca o danneggi la lente stessa; – Resistenza meccanica: Per dare una certa resistenza alla caduta accidentale, al graffio o alle abrasioni, in modo tale da estendere la vita da calendario delle lenti; questa proprietà viene spesso indicata come “durezza”; – Resistenza alle dilatazioni termiche: Per evitare che l’esposizione della lente a varie situazioni di temperatura causi fenomeni di dilatazione e contrazione che, dopo numerosi cicli, potrebbero causare la creazione di crepe sulla lente; – Resistenza chimica: Per permettere di utilizzare sostanze chimiche di uso comune (alcol, acetone, detergenti, ecc...) per la pulizia della lente e per evitare corrosione dovuta all’esposizione prolungata a queste sostanze. Da quest’elenco si può rilevare la difficoltà nella scelta del materiale; persino volendo scendere a compromessi con i vari aspetti delle proprietà sopra citate, la ricerca è davvero complessa. Non esiste (o meglio, non è stato ancora scoperto ne sintetizzato) un materiale che, da solo, si presti come un buon candidato per la creazione di lenti oftalmiche, rivestendo in sé tutte le caratteristiche richieste. Questo significa che le lenti debbono essere costruite dalla miscelazione di più materiali diversi che permettano di trovare il giusto compromesso nelle proprietà in modo da avere un prodotto che possa avere facilità ed ampio spettro di utilizzo. I vantaggi che derivano da tale approccio introducono, purtroppo, una serie di problematiche dovute alla non perfetta miscibilità di sostanze diverse (come criterio generale solo due sostanze identiche che si trovano nelle stesse condizioni sono miscibili al 100%) che si rispecchia in difetti nel prodotto finale che lo renderebbero inutilizzabile. Pertanto si introducono due proprietà che il prodotto finito miscelato deve indispensabilmente avere: Omogeneità: Le proprietà chimico-fisiche del prodotto devono essere le stesse in – qualunque punto, in pratica non devono esistere nel solido delle zone isolate dove si riscontra un brusco cambiamento delle proprietà; Isotropia: Le proprietà del prodotto devono essere costanti in ogni direzione di – osservazione. In pratica molte proprietà fisiche (ad esempio la trasparenza alla luce visibile) dipendono dalla posizione relativa tra l’oggetto di cui si sta misurando la


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Figura 1. Differenza tra un vetro isotropo (A) e la mina di una matita, un solido anisotropo (B).

proprietà e la fonte dell’interferenza che è causa della proprietà (seguendo il nostro esempio, la fonte è la direzione del raggio luminoso, e l’oggetto è una lente con una determinata orientazione rispetto al raggio incidente). Una rotazione, in qualunque direzione, dell’oggetto o uno spostamento della direzione di incidenza della fonte solitamente si traduce in un cambiamento della proprietà, questo fenomeno è chiamato anisotropia (se ruoto la lente o sposto l’angolo di incidenza del raggio sulla lente si potrebbero avere delle interferenze che peggiorerebbero la trasparenza alla luce). Poiché la visione non deve peggiorare a seconda della posizione della fonte luminosa, è fondamentale che la lente sia composta da un materiale isotropo. Tra tutti i materiali esistenti, quelli che rispecchiano queste caratteristiche dal punto di vista chimico-fisico appartengono a due grandi gruppi: – Vetro minerale: Si tratta di diversi tipi di vetro ottico ottenuti dal vetro semplice con l’aggiunta di specifici additivi; – Resine Organiche: Costituite dal gruppo di resine normalmente derivate dalla lavorazione di varie classi di composti organici.

2.1 Il vetro

La scoperta del vetro è uno dei tanti traguardi del progresso dei quali il genere umano non ha conservato memoria. L’utilizzo di oggetti di vetro sia per scopi pratici che ornamentali risale almeno a 1500 anni prima di Cristo e, nel corso della storia sono stati ideati innumerevoli metodi per sintetizzare e lavorare il vetro in tutto il mondo. Solo a partire dalla fine del XIII secolo esso fu utilizzato per produrre, come sostituto del berillo (Be3Al2(Si6O18)), le prime lenti oftalmiche destinate a modificare il mondo della visione. Al di là, comunque, di chi ne sia stato l’inventore, il vetro ha rappresentato per circa 8 secoli l’unico materiale utilizzato per la costruzione delle lenti oftalmiche. Il vetro è un solido omogeneo e trasparente ottenuto dalla fusione ad alta temperatura (>1000°C) di silice (biossido di silicio, SiO2) e altre sostanze che ne modificano specifiche proprietà. La caratteristica fondamentale del vetro è di avere una struttura amorfa. In generale esistono molti modi per differenziare e qualificare la materia allo stato solido, tra questi riveste particolare importanza la distinzione tra solidi cristallini e solidi amorfi. Un solido si definisce cristallino quando è caratterizzato da un ordine tridimensionale a


2. I materiali delle lenti oftalmiche

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Figura 2. Perovskite, un esempio di solido cristallino. Da notare la grande somiglianza tra la struttura del reticolo a livello molecolare e la forma macroscopica dei cristalli.

lungo raggio, per semplicità un solido cristallino è composto dalla stessa sequenza di atomi (o molecole) legati tra loro allo stesso modo per tutta la lunghezza del solido. Questa regolarità e la costanza nel suo mantenimento per lunghe distanze dà vita ad una serie di strutture di forma ben precisa dette reticoli. Il susseguirsi di questi reticoli nello spazio da vita al solido cristallino e, morfologicamente, ai cristalli con cui noi tutti siamo familiari. Un solido amorfo non possiede questa regolarità. In natura molti materiali cristallizzano, ad esempio tutti i minerali di interesse geologico sono cristalli di sali di diversa natura, mentre i casi di solidi amorfi di origine naturale sono estremamente rari. A volte la medesima sostanza può esistere sia forma cristallina che amorfa, un esempio sono il vetro ed il quarzo che sono composti dalla stessa unità di base (SiO2), oppure, per fare un esempio a noi caro, zucchero e zucchero filato; il semplice trattamento termico è sufficiente a far perdere ai cristalli di zucchero la loro struttura ordinata. Oltre alle grandi differenze strutturali, solidi cristallini ed amorfi differiscono tra loro per una serie di proprietà che rendono l’uno o l’altro preferibile per specifiche applicazioni: – Risposta al taglio: Il materiale cristallino, quando tagliato con un adeguato strumento, si spezzerà in due frammenti la cui forma rispecchierà la struttura di cui si è discusso in precedenza. Quando un materiale amorfo viene tagliato questo tenderà piuttosto a scheggiarsi e a frammentarsi in vari pezzi tutti di forma diversa e casuale; – Isotropia: I solidi amorfi sono (a meno di volute e specifiche variazioni) isotropi, mentre quelli cristallini sono prevalentemente anisotropi; – Densità: Successivamente al cambiamento di fase tra lo stato solido e liquido (o viceversa) nei solidi cristallini vi è un brusco cambiamento della densità dovuto al processo di cristallizzazione. Nei solidi amorfi questo processo è assente, dunque la densità varia in modo più graduale;

Figura 3. Differenze strutturali micro e macro tra zucchero e zucchero filato.


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– Raffreddamento: Quando un materiale si raffredda passando di fase dallo stato liquido a quello solido (questo passaggio di fase è chiamato solidificazione) si ottengono andamenti diversi a seconda che il materiale diventi un solido amorfo o cristallino. Si nota nel solido cristallino la presenza di un tratto orizzontale nel quale la solidificazione ha luogo e la temperatura non varia (si parla di temperatura di fusione, Tm), mentre nel solido amorfo la temperatura diminuisce senza discontinuità. Per questo spesso si riferisce ai solidi amorfi come “liquidi superraffreddati”; – Temperatura di fusione: L’andamento del passaggio dallo stato solido a quello liquido (fusione) varia drasticamente tra un solido cristallino ed uno amorfo. Il solido cristallino mostra una brusca variazione di volume mantenendo la temperatura costante durante tutto il processo. Il solido amorfo possiede un andamento senza discontinuità e si riconosce il punto dove la pendenza della curva cambia come la temperatura di transizione vetrosa (Tg). A temperature più alte di Tg il fuso non si comporta come un liquido normale, bensì mostra delle caratteristiche molto più simili alla plastica quando riscaldata. Questa fase del riscaldamento del solido amorfo si chiama rammollimento. Continuando ad alzare la temperatura il fuso diventa sempre meno viscoso fino a comportarsi come un liquido a tutti gli effetti. In generale il vetro è quasi perfettamente trasparente alle radiazioni con lunghezza d’onda nel visibile (400-700 nm), con valori di trasmittanza dell’ordine del 99% per uno spessore della lente di 1 mm (Figura 5). Inoltre passando a lunghezze d’onda inferiori (radiazioni UV) si nota un assorbimento di intensità rapidamente crescente dovuto alla presenza di carbonati di metalli alcalini che mostrano un assorbimento in questa regione dello spettro. Questa è una caratteristica tipica del vetro amorfo, l’equivalente cristallino, il quarzo, è totalmente trasparente anche alle radiazioni UV (fino a 200 nm circa). La durezza di un materiale può essere quantificata in diversi modi. Uno dei metodi più utilizzati e conosciuti nella scienza dei materiali è la scala Mohs delle durezze. Questa è una scala empirica che permette di classificare la durezza di una sostanza paragonandola ad un’altra la cui durezza è ben conosciuta e tabulata. La durezza del vetro varia consistentemente a seconda della sua composizione di base e della percentuale di additivi aggiunti. In generale il valore della durezza nella scala di Mohs per il vetro oscilla tra 4 (fluorite) e 7 (quarzo).

Figura 4. Andamento del processo di raffreddamento (figura a sinistra) e del processo di riscaldamento (figura a destra) per solidi cristallini ed amorfi.


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Figura 5. Curva di trasmittanza per un vetro crown dello spessore di 1 mm.

Esistono una serie di moduli che permettono di quantificare la risposta di un materiale ad uno stress applicato. Questi moduli sono: – Modulo di Young: Esprime l’elasticità di un materiale, ovvero quantifica la sua resistenza ad essere deformato elasticamente lungo un suo asse. Per il vetro ha un valore compreso tra 37 e 99 GPa; – Modulo di taglio: Esprime la resistenza di un materiale al taglio lungo una direzione specifica. Per il vetro ha valore compreso tra 15 e 38 GPa; – Modulo di compressibilità: Esprime la resistenza di un materiale ad essere compresso quando una pressione esterna è applicata. Per il vetro ha valore compreso tra 35 e 55 GPa. Il vetro è un ottimo isolante termico. Per quantificare la sua capacità isolante si usa la conduttività termica, che indica la resistenza di un materiale a riscaldarsi quando sottoposto ad alte temperature. Per il vetro è piuttosto bassa, infatti è compresa tra 1,55 e 3,00 W/m*K. Il vetro risulta essere anche un ottimo isolante elettrico, per quantificare la resistenza elettrica di un materiale si usa la costante dielettrica nel mezzo. Per il vetro è compresa tra 3,5 e 10. Ai fini pratici si riportano le caratteristiche fin’ora discusse in una tabella (Tabella 1). 2.1.1 La composizione del vetro Il vetro è ottenuto fondendo, nell’intervallo di temperatura 1300-1700°C, una miscela di polveri il cui componente principale è la silice (SiO2) in una percentuale che varia dal 68% al 77%. La semplice silice da sola non è sufficiente per creare un prodotto che possa essere utilizzato per scopi pratici. Quindi sono aggiunti, all’atto della fusione, una serie di sostanze in percentuali variabili che permettono di ottenere un prodotto con le migliori proprietà chimico-fisiche possibili. Il fenomeno per cui l’aggiunta di piccole quantità di specifiche sostanze provoca un’alterazione delle proprietà chimico-fisiche di un solido è chiamato drogaggio. Ogni solido (sia cristallino che amorfo) presenta nel suo reticolo una serie di difetti (il cui numero è governato da leggi termodinamiche) i quali modificano le proprietà del materiale. Un difetto tipico è la vacanza, in cui un


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Correzioni ottiche dei difetti visivi

Proprietà

Valori

Trasmittanza

≈99%

Durezza (Mohs)

4-7

Modulo di Young (GPa)

37-99

Modulo di taglio (GPa)

15-38

Modulo di compressibilità (GPa)

35-55

Conduttività termica (W/m*K)

1,55-3,00

Costante dielettrica

3,5-10,0

Tabella 1.

atomo (che dovrebbe occupare una precisa posizione nel reticolo) risulta essere assente. È possibile minimizzare la creazione di difetti in un solido utilizzando particolari tecniche di sintesi, ma questo trattamento comporta una notevole complessità e un aumento del costo del prodotto finale. Per fare un semplice esempio, si consideri un bicchiere di vetro e la parte esposta alla luce dei pannelli solari. La composizione elementare di questi due oggetti è praticamente la stessa, ma il pannello solare necessita di silice praticamente priva di difetti. Il drogaggio permette di sfruttare le imperfezioni presenti inserendo altre sostanze nei vuoti creati dai difetti, si riesce così a impartire al materiale nuove ed utili proprietà. Le sostanze tipicamente aggiunte nella sintesi del vetro sono: – Sostanze fondenti: Questi sono la soda (Na2CO3) e la potassa (K2CO3), ovvero carbonati alcalini che hanno lo scopo principale di ridurre il punto di fusione della silice da 1600°C a circa 1000°C; – Calce (CaO): Questa sostanze deve essere aggiunta perché la presenza delle sostanze fondenti rende il vetro parzialmente solubile in acqua. L’aggiunta di calce ripristina l’insolubilità di partenza; – Sostanze stabilizzanti: Queste sostanze migliorano le proprietà chimiche e meccaniche del prodotto, queste sono: ossido di bario (BaO), ossido di magnesio (MgO) ed ossido di zinco (ZnO);

Figura 6. Effetto di un drogante nella struttura del vetro, da notare come gli elementi alieni (Ca2+, Na+, Al, O-) cercano di riempire il più possibile i buchi presenti nel reticolo.


2. I materiali delle lenti oftalmiche

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– Sostanze affinanti: Queste sostanze riducono la probabilità di formazione di difetti a livello molecolare, sono: nitrati alcalini (NaNO3, KNO3), nitrato d’ammonio (NH4NO3); – Sostanze coloranti: Queste sostanze impartiscono al vetro una colorazione specifica a seconda del materiale utilizzato. Sono: ossido di ferro (III) (Fe2O3), ossido di rame (II) (CuO), ossido di cobalto (II) (CoO). La chiave per comprendere a quale sostanza sia associato un dato colore sta nel metallo, o più precisamente nello stato di ossidazione del metallo stesso. Molto semplicemente, una sostanza risulterà colorata quando, a livello molecolare, vi è un’interazione specifica tra gli elettroni negli orbitali più esterni del metallo e la luce incidente. Normalmente un metallo, in un qualunque stato di ossidazione, possiede un certo numero di elettroni esterni che si trovano negli orbitali “d”. Poiché ogni tipo di orbitale d (ce ne sono cinque) può contenere massimo due elettroni, ci saranno degli orbitali d pieni e degli orbitali d vuoti e vi sarà una certa differenza in energia tra quelli pieni e quelli vuoti che impedirà agli elettroni di “saltare” dalla loro posizione verso orbitali ad energia più alta. La magnitudine di questa energia dipende da molti fattori, i più importanti sono: la natura del metallo, il suo stato di ossidazione, la natura degli altri atomi attaccati al metallo e lo stato di ossidazione di questi ultimi. A volte, però, la luce che incide su quella data sostanza può trasferire parte della sua energia agli elettroni che, così facendo, avranno acquisito sufficiente energia per saltare verso gli orbitali più energetici. Questo fenomeno di interazione luce-materia prende il nome di assorbimento. Per motivi legati alla meccanica quantistica, l’assorbimento può avvenire solo se la distanza (in energia) tra gli orbitali pieni e vuoti è uguale o minore all’energia della luce incidente. Quindi, data una sostanza, a prescindere dalla intensità della luce incidente, per fare il salto verrà assorbita sempre la stessa quantità di energia. Se a questa energia corrisponde una lunghezza d’onda nel visibile, la sostanza risulterà colorata ed il colore dipenderà unicamente dalla differenza in energia tra gli orbitali pieni e vuoti. Per fare un esempio pratico, si prenda il composto Fe2O3. La differenza in energia tra gli orbitali è pari a 1,9 eV, quindi, affinché ci sia assorbimento, la luce che impatta sulla sostanza deve possedere almeno una lunghezza d’onda pari a 650 nm. A questa lunghezza d’onda corrisponde il colore rosso (Figura 7). Quando una sostanza assorbe nel rosso, la luce che non è stata assorbita ed è passata attraverso il materiale senza subire interferenze si mostrerà con il colore complementare di quello assorbito, quindi, nel nostro caso, la presenza di Fe2O3 conferirà al vetro un colore verde (complementare del rosso).

Figura 7. Transizione elettronica nel rosso che da l’emissione nel verde (suo complementare), tipicamente usato per le bottiglie di colore verde.


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Così i vetri rossi si ottengono miscelando sostanze contenenti rame(II), selenio (II) od oro (I); vetri verdi si ottengono miscelando ferro (III); con il cobalto (II) si ottengono i vetri azzurri, mentre con il piombo (II) si ottengono vetri con tonalità giallina. A tal proposito appare utile segnalare come nei vetri più comuni il classico riflesso verde, presente quando visti di taglio, è dovuto alla presenza di piccolissime quantità di ferro presenti come impurità della polvere di silice. Se tutte queste sostanze sono pure il vetro sarà definito ordinario, con il tipico nome commerciale crown, mentre se nella miscela di base si introducono ulteriori sostanze si ottengono vetri più o meno pregiati con caratteristiche diverse. 2.1.2 I vetri utilizzati in ottica oftalmica I tipi di vetro più comunemente usati sono: – Crown. È prodotto da silicati di calcio-alcali (RCH) contenenti circa il 10% di ossido di potassio (K2O). È il più diffuso vetro del settore oftalmico perché presenta il miglior rapporto tra gli elementi identificativi della qualità, ed è apprezzato soprattutto per la sua durezza, omogeneità e facilità di taglio. Presenta le seguenti caratteristiche di base: Indice di rifrazione (n) = 1,523; Numero di Abbe (ν) = 58.60; Densità (ρ) = 2,54 g/cm3. I punti di forza sono costituiti dalla trasparenza e la bassa dispersione, mentre i punti di debolezza sono rappresentati dalla fragilità nonché dal peso e dallo spessore, i cui valori sono direttamente proporzionali al potere diottrico. Per ovviare all’eccesso di peso, composti quali borace (Na2B4O7) o anidride borica (B2O3) possono essere aggiunti alla miscela originaria. La loro presenza, grazie ad un’azione fluidificante, diminuisce la densità della massa vetrosa rendendola, dunque, più leggera. Migliori valori di indice di rifrazione possono essere ottenuti con l’aggiunta, in quota consistente (30%), di ossido di bario (Ba2O). In questo modo l’indice sale ad 1,6 senza avere effetto sul coefficiente di dispersione (che è una delle migliori qualità del vetro crown), tuttavia si riscontra un aumento della densità e, dunque, del peso. Esiste la possibilità di utilizzare altri composti di bario che non alterano la densità, ma l’aggiunta di queste sostanze causa un peggioramento del coefficiente di dispersione deprimendolo a valori intorno a 42. Essendo non solo il più diffuso oggigiorno, ma anche uno dei più antichi vetri sintetizzati, il vetro crown è stato a lungo studiato nelle sue proprietà ed in molti hanno dato il loro contributo al fine di ottimizzarne le caratteristiche. Come conseguenza un numero enorme di composti sono stati aggiunti alla composizione di base e l’effetto di queste aggiunte è stato investigato a fondo dando vita ad un altrettanto enorme varietà di vetri crown con un vasto campo di applicazioni. – Flint. Sono ottenuti dall’addizione di ossido di piombo (II) (PbO) in percentuali variabili dal 4 al 60% e, sebbene quasi abbandonati, mantengono un interesse commerciale nell’industria delle cristallerie in quanto più pregiati del crown. I principali motivi del disuso di questo tipo di vetro sono sia la sua fragilità ed eccessiva tenerezza sia l’elevato impatto ambientale della loro sintesi a causa della presenza del piombo. Altri vetri a base di piombo sono i cristalli di Boemia o di Murano, che mostrano un elevato costo ed un’alta fragilità. Presenta le seguenti caratteristiche di base: Indice di rifrazione (n) = 1,80; Numero di Abbe (ν) = 26;


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Densità (ρ) = 4.8 g/cm3. Lenti ottenute da questi vetri si rivelano adatte alla correzione di alte ametropie, ma presentano un peso e dispersione elevati tanto da rendere l’occhiale difficilmente tollerabile. Per i vetri flint con indice di rifrazione più elevato la banda di assorbimento si avvicina alla zona della radiazione visibile; come conseguenza questi vetri assorbono leggermente nella banda blu-violetta e appaiono con una lieve sfumatura di colore giallino per via dell’assorbimento spettrale del piombo. Al di fuori dell’ambiente medico, questo tipo di lenti è spesso utilizzato in combinazione con uno o più vetri crown in telescopi professionali. – Vetri al Titanio. Sono ottenuti con l’addizione in miscela di ossido di titanio (IV) (TiO2). Questo tipo di materiale si è dimostrato molto resistente ed un possibile candidato per l’utilizzo nell’ambito aero-spaziale. Precedentemente all’utilizzo del titanio, altri metalli di transizione erano stati aggiunti al fuso vetroso per impartire maggiore resistenza, tra questi l’applicazione di zirconio si mostrava promettente. Il titanio (molto simile in struttura elettronica allo zirconio) dette risultati decisamente migliori e fu preferito agli altri metalli per applicazioni che richiedevano durabilità senza sacrificare troppo le proprietà ottiche. Per ogni applicazione pratica e quotidiana questi vetri hanno ormai sostituito completamente i vetri flint. I vetri al titanio presentano le seguenti proprità: Indice di rifrazione (n) = 1,7; Numero di Abbe (ν) = 35-40; Densità (ρ) = 3 g/cm3. Presentano una valida protezione dall’ultravioletto, ma necessitano di trattamento antiriflesso complesso in quanto la riflessione sulle due superfici della lente supera il 15%. La capacità di schermatura dalle radiazioni UV è sfruttata nelle creme solari che spesso contengono piccole quantità di TiO2. – Le terre rare. Sono ottenuti con l’aggiunta di composti contenenti metalli delle cosiddette terre rare, ovvero metalli presenti nella parte inferiore della tavola periodica, tipicamente lantanidi; tali elementi includono lantanio, niobio e tantalio. Le lenti così ottenute sono utilizzate per la correzione delle elevate ametropie miopiche. Questi vetri presentano le seguenti priorità: Indice di rifrazione (n) = 1,8-1,9; Numero di Abbe (ν) = 35-40; Densità (ρ) = 3-4 g/cm3. Le proprietà fisiche cambiano, ovviamente, a seconda del metallo (o dei metalli) utilizzato. Ad esempio i dati di un vetro composto dalla sola addizione di lantanio sono: n=1,804, ν=36, d=3,62 g/cm3. Invece, utilizzando tutti e tre i metalli si ottiene un vetro le seguenti caratteristiche: n=1,878, ν=38, d=4,75 gcm3. Questo tipo di vetri sono di recente sviluppo e si mostrano una valida alternativa, per specifiche applicazioni, ai vetri al titanio. Nell’ambito oftalmologico sono ancora poco sviluppati e sicuramente si troverà spazio per approfondire la ricerca su questi materiali nei prossimi anni. Uno degli svantaggi di queste lenti contenenti terre rare risiede in uno scadimento della dispersione e della densità relativamente contenuto rispetto ai suoi concorrenti.

2.2 Le resine organiche

Con l’espressione “vetri organici” vengono definiti quei mezzi ottici trasparenti composti da materiali polimerici. Sono molto diffusi in ottica oftalmica e hanno molte proprietà vantaggiose rispetto ai vetri minerali.


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In generale per polimero si intende una macromolecola, ossia una molecola di elevato peso molecolare, costituita da una singola unità (detta monomero) ripetuta un grande numero di volte. Le singole unità ripetitive sono legate tra loro da legami covalenti, e le singole catene così formate interagiscono tra loro tramite legami di tipo elettrostatico (Van der Waals) o intrecciandosi tra loro formando dei “nodi” detti aggrovigliamenti. I polimeri sono tra le sostanze con cui abbiamo più a che fare nella vita quotidiana. Esempi di sostanze polimeriche sono: tutte le plastiche, le gomme, le resine e le fibre sintetiche. Il mondo delle plastiche è storicamente recente ed è una branca della chimica del petrolio. Negli anni ’50 questo tipo di chimica nacque (come quasi sempre avviene per le grandi scoperte) per errore, un chimico tedesco, Karl Ziegler riuscì ad ottenere per la prima volta un polimero utilizzando un idrocarburo semplice (molecola ritenuta praticamente inerte), questo polimero era il polietilene (PE). Un anno dopo il chimico Giulio Natta riuscì a dimostrare che la sintesi di poliolefine non era un evento casuale, ma poteva essere controllato e gestito. Egli riuscì a sintetizzare il polipropilene (i-PP) dando il via ad una “caccia” che dura ancora ai nostri giorni per sintetizzare innovativi materiali polimerici in grado di cambiare la vita quotidiana dell’umanità. Sia Ziegler che Natta furono insigniti del premio Nobel per la chimica nel 1963. Come per ogni altro materiale, anche per i polimeri vi è la distinzione tra solido cristallino ed amorfo. Il vetro, come già trattato cade nella categoria degli amorfi. Per i polimeri la trattazione è un po’ più complessa. In generale, ogni polimero può essere sintetizzato con proprietà di cristallinità o amorfismo. In tutti i polimeri che tratteremo, considereremo, ove non espressamente descritto, sempre sostanze semi-cristalline, ovvero un miscuglio (nel medesimo mezzo) di parti amorfe e parti cristalline che interagiscono tra loro per dare resistenza e flessibilità al mezzo. Uno dei primi materiali che vennero sperimentati per sostituire il vetro in alcune applicazioni particolarmente soggette a traumi fu il polimetilmetacrilato (PMMA), il polimero del metacrilato di metile. Questo materiale ha la grande qualità di essere praticamente infrangibile anche in presenza di sollecitazioni meccaniche molto marcate, ma, al contempo, presenta una bassa resistenza all’abrasione. Questa sua caratteristica di graffiarsi con estrema facilità ne ha presto limitato la possibilità d’uso in ottica oftalmica. Oggi è molto utilizzato per creare vetri di sicurezza ed è normalmente conosciuto come Plexiglas o Perspex. Ebbe molto più successo un altro materiale la cui progettazione fu commissionata dal governo americano alla Columbia Southern Division della Pittsburgh Plate Glass Indusrtries al fine di poter realizzare i parabrezza degli aerei militari. Furono progettati circa 170 monomeri termoindurenti, tra i quali fu scelto il composto numero 39: il glicocarbonato di allile, meglio conosciuto come Columbia resin 39 o CR39. Successivamente un optometrista, Robert Graham, intuì le potenzialità che il CR39

Figura 8. A sinistra il monomero del PMMA, a destra la catena in crescita.


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poteva avere anche nella produzione di lenti oftalmiche E Fondò la Armolite Lenses Co, azienda che per prima lanciò la produzione e la vendita di lenti in CR39, leggere, infrangibili, e meglio resistenti ai graffi del plexiglass. A differenza dei vetri minerali (dove la silice è sempre il componente maggiormente presente), non è possibile elencare per i polimeri una serie di proprietà che non subiscono grandi variazioni con la composizione, infatti cambiare polimero significa cambiare totalmente la composizione. Le proprietà chimico-fisiche verranno dunque discusse caso per caso. 2.2.1 Cr-39 Si tratta di un polimero sintetico termoindurente appartenente alla classe dei poliesteri (carbonato di dialliglicole). Le sue caratteristiche sono le seguenti: Trasmittanza: 93%; Indice di rifrazione: (n) =1,498; Numero di Abbe: (ν) = 59,3; Durezza (Mohs): ≈ 4; Densità: (ρ) = 1,31 g/cm3; Resistenza chimica: Non viene intaccato da acqua, alcol etilico, trielina, acetone o diluente nitro; può quindi essere pulito con acetone o con alcol; Resistenza termica: Eccellente, resiste a deformazioni fino a temperature intorno ai 100°C. Il valore di “n” relativamente modesto comporta che, a parità di potere diottrico, una lente in CR-39 ha uno spessore maggiore della corrispondente lente in vetro minerale, tuttavia il valore di densità è circa la metà di quello del vetro crown (2,54 g/cm 3) e ciò conferisce alla lente organica una leggerezza decisamente superiore. Il CR-39 taglia completamente la radiazione UV-B al di sotto di 320 nm e una buona parte della radiazione UV-A (la trasmittanza nella banda UV-A tra 380 nm e 320 nm di uno spessore di 1 mm di CR-39 è pari al 10,3%). Il CR-39 è un materiale più morbido del vetro e a tale inconveniente si ovvia con opportuni trattamenti antigraffio, il più diffuso dei quali è il coating organico. Si tratta di un rivestimento con una vernice antigraffio di 4-6 mm di spessore realizzato mediante un bagno in polisilossano. Il trattamento antigraffio si accompagna a quello antiriflesso in quanto l’indice di rifrazione della vernice è di poco inferiore a quello del CR-39. La resistenza meccanica e l’elasticità del CR-39 sono scarse, per cui non è adatto per montature a giorno se lo spessore è minore di 4-5 mm. Osservando le caratteristiche chimico-fisiche del CR-39 si comprende il grande successo che questo materiale ha avuto, tale da rappresentare il successore del vetro crown nella maggioranza delle realizzazioni oftalmiche (Tabella 2).

Figura 9. Unità ripetitiva del CR-39


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Correzioni ottiche dei difetti visivi

Vetro Crown

CR-39

Cr-39 vs Crown

Densità

2,54 g/cm3

1,32 g/cm3

La lente finita pesa la metà di quella in crown

Indice di rifrazione

1,523

1,498

La differenza di spessore di una lente, anche di potere elevato, rimane inferiore a 0,05 mm

Numero di Abbe

58,60

57,8

Omogeneità e isotropia rimangono garantite ad alti livelli.

Trasmittanza

91,4%

93%

La differenza è minima, mostrano entrambi un’ottima trasparenza.

Tabella 2

Il punto debole del CR-39, come del resto di tutte le materie plastiche, rimane la durezza, che nel vetro crown rappresenta un elemento di grande pregio. L’utilizzo, ormai quasi universale, dei trattamenti indurenti delle superfici delle lenti finite ha permesso di ridurre il problema. In definitiva queste lenti rappresentano un’alternativa spesso conveniente alle classiche lenti in vetro e sono spesso preferite a queste ultime. 2.2.2 Policarbonato (PC) È un materiale termoplastico che ricorda il PMMA ed ha la importante caratteristica di avere una struttura completamente amorfa (molto simile al vetro), questa struttura fornisce al materiale notevole resistenza meccanica (50 volte maggiore del CR-39 e 500 volte rispetto al vetro non temperato): Indice di rifrazione: (n) = 1,587; Numero di Abbe: (ν) = 29; Durezza (Mohs): ≈ 7,0; Densità: (ρ) = 1,20 g/cm3; Resistenza chimica: Non viene intaccato da acqua o alcol etilico, tuttavia si mostra suscettibile di attacco da parte di chetoni, quindi l’acetone non può essere utilizzato per pulire la lente; Resistenza termica: Eccellente, resta stabile fino a temperature intorno ai 130-140°C. È completamente opaco ai raggi UV, la trasmittanza si riduce bruscamente a zero a circa 400 nm. I punti di debolezza del PC sono però importanti. Il numero di Abbe è decisamente basso e, pertanto, la qualità ottica è tra le più basse della sua categoria. La sua durezza è molto inferiore alle plastiche termoindurenti (CR-39), tanto da non poter essere commercializzato privo di trattamento indurente delle superfici, che ne riduce la resistenza all’impatto. La sagomatura finale della lente in PC non può essere effettuata con le usuali attrezzature con cui si lavora il vetro o il CR39, ma solo con particolari mole a secco che utilizzano abrasivi di elevato diametro. La lente, inoltre risulta suscettibile all’invecchiamento ed all’esposizione a solventi. In funzione di queste limitazioni, le lenti in policarbonato vengono utilizzate quasi


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Figura 10. L’unità ripetitiva di un policarbonato.

esclusivamente nei casi ove sia necessario garantire la massima sicurezza contro i traumi. Lentamente stanno per essere sostituite da lenti in TRIVEX o MR8. 2.2.3 Trivex Il Trivex è un poliuretano materiale sviluppato nel 2001 dalla Pittsburgh, Penn., che unisce la resistenza meccanica del policarbonato con una grande qualità ottica e leggerezza. Le sue caratteristiche sono: Indice di rifrazione: (n) = 1,53; Numero di Abbe: (ν) = 46; Durezza (Mohs): ≈ 6,5; Densità: (ρ) = 1,11 g/cm3; Resistenza chimica: Non viene attaccato da alcun solvente di uso comune: ammoniaca, acetone, alcol, acqua; e mostra una discreta resistenza all’attacco di sostanze acide; Resistenza termica: Si mostra una resistenza inferiore al policarbonato, deformazioni cominciano ad apparire intorno a 105°C. La lente risulta totalmente opaca ai raggi nell’UV, l’indice di rifrazione è simile a quello del CR-39 e del vetro crown, il numero di Abbe è sufficientemente elevato da non dare problemi di aberrazione cromatica. La struttura polimerica interna del Trivex lo rende particolarmente resistente e adatto per la realizzazione di montature a giorno. Il trivex è il materiale più leggero disponibile per la produzione di lenti oftalmiche, inoltre mostra una grande resistenza meccanica contro gli urti, ma si mostra suscettibile al graffio. Trattamenti anti-graffio sono possibili per risolvere il problema, ma questi riducono sensibilmente la resistenza meccanica della lente. 2.2.4 Materiali ad alto indice di rifrazione (MR) Diversi produttori offrono polimeri con indice di rifrazione pari a 1,60, 1,66 o anche 1,70, quasi tutti appartenenti alla famiglia dei poliuretani. Diverse compagnie utilizzano diversi monomeri ed i prodotti finali posseggono una diversa nomenclatura. A titolo di esempio mostriamo una serie di lenti della serie MRTM prodotte dalla Mitsui Chemicals che rientrano in questa categoria e le loro principali caratteristiche fisiche (Tabella 3). Queste lenti, a parità di potere ottico, sono meno curve e più sottili di quelle ottenute con materiali con indice di rifrazione inferiore. I materiali ad alto indice di rifrazione tendono però ad avere un numero di Abbe inferiore rispetto a lenti realizzate con materiali più convenzionali e soffrono maggiormente quindi di aberrazione cromatica; inoltre queste lenti sono anche leggermente più pesanti. Una lente di questo tipo con indice di rifrazione 1,66, per esempio, ha un numero di Abbe pari a 32 e una densità di 1,35 g/cm3. Altro problema che si presenta con materiali ad alto indice di rifrazione è la maggiore riflettività. Un materiale con indice di rifrazione 1,66 riflette il 6,3% della luce incidente


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Correzioni ottiche dei difetti visivi

su ogni superficie, rispetto al 4,0 % del CR-39. Per questo motivo, e anche per la minore curvatura delle superfici, si possono avere con queste lenti riflessi fastidiosi. Per eliminarli sono necessari trattamenti superficiali antiriflesso.

MR MR-10 ™

MR-8 ™

MR-7 ™

1.60

1.67

1.67

1.74

Numero di Abbe

41

31

31

32

Resistenza termica (ºC)

118

85

100

78

Buona

Buona

Buona

ok

Indice di rifrazione

Resistenza agli urti

MR-174 ™

Tabella 3

A fini pratici, si riportano le principali caratteristiche ottiche dei diversi materiali trattati (Tabella 4). Materiale

Indice di rifrazione

Numero di Abbe

Densità

Assorbimento UVA e UVB

CR39

1,499

58

1.329

100%-90%

MR8

1,59

42

1.351

100%-100%

TRIVEX

1,532

43-45

1.100

100%-100%

POLICARBONATO

1,586

32

1.200

100%-100%

Vetro Crown

1,523

58,5

2,610

79%-20%

Tabella 4


2. I materiali delle lenti oftalmiche

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