Estratto Manuale di Ottica Clinica

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Simona Sorrentino Umberto Sorrentino Francesco Ascari

Manuale di Ottica Clinica

FGE Editore


© Copyright 2018 ISBN 978-88-97929-91-8

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Indice CAPITOLO 1 • Parte 1 Principi di ottica geometrica .......................................................... 9 Introduzione Sorgenti di luce: caratteristiche dell’oggetto e dell’immagine Trasmissione della luce nell’ottica di primo ordine Le leggi dell’ottica geometrica Vergenza Fuochi, piani e punti principali di un diottro sferico Formazione dell’immagine La riflessione Combinazione di lente sfera-cilindro Prismi

CAPITOLO 1 • Parte 2 Principi di ottica fisica e quantistica............................................. 29 Introduzione Teoria quantistica

CAPITOLO 2 Ottica dell’occhio umano ............................................................. 37 Potere diottrico dell’occhio Classificazione dei difetti visivi

CAPITOLO 3 Refrazione clinica ........................................................................... 45 Esame del visus Rifrazione oggettiva Rifrazione soggettiva Accomodazione Materiale e composizione dei vetri Correzione con vetri Correzione con prismi


CAPITOLO 4 Lenti a contatto ............................................................................... 69 Introduzione Lenti a contatto: materiale e costruzione Correzione dei difetti visivi con lenti a contatto Complicazioni delle lenti a contatto

CAPITOLO 5 Impianti intraoculari ....................................................................... 79 Introduzione Effetti delle IOL sulla rifrazione

CAPITOLO 6 Aberrometria ................................................................................... 89 Fronte d’onda Analisi ed interpretazione del fronte d’onda Misura del fronte d’onda Aberrazioni oculari

CAPITOLO 7 Strumenti ottici ................................................................................. 99 Introduzione Strumenti diagnostici Ausili ottici Ausili non ottici Laser


Prefazione Chiunque approcci l’oftalmologia non può prescindere dall’esecuzione di un esame della refrazione perfetto; per ottenere questo risultato, la conoscenza degli elementi di ottica clinica e dei principi di ottica geometrica di base costituiscono sicuramente il primo e fondamentale passo. Negli ultimi anni, la continua evoluzione tecnologica in campo oftalmologico ha introdotto metodiche sempre più accurate nella rilevazione automatica dei difetti della refrazione; tuttavia, la conoscenza dei principi di base come ad esempio l’esame schiascopico costituiscono ad oggi ancora elemento centrale della formazione dell’oftalmologo. In questo testo gli autori hanno il merito di schematizzare e semplificare i concetti di refrazione clinica che spesso risultano complessi per chi li apprende inizialmente; inoltre, sono presentate tutte le novità riguardanti gli impianti intraoculari, approfondendo argomenti molto attuali, quali le aberrazioni di ordine superiore spesso causa di disturbi della visione. Non vengono tralasciati poi i concetti di biometria di base e calcolo delle lenti intraoculari così come la descrizione della sempre più ricca strumentazione di cui l’oculista moderno dispone. Si tratta di un testo completo, clinicamente originale e capace di integrare alle nozioni fondamentali di base le più recenti novità diagnostiche in campo refrattivo. Prof. Vincenzo Scorcia Direttore Clinica Oculistica Università degli Studi “Magna Graecia” Catanzaro



Presentazione Gli argomenti che costituiscono l’ottica fisiologica sono considerati, da chi si approccia per la prima volta alla nostra disciplina, di difficile comprensione o quantomeno come una serie di nozioni teoriche prive di attinenza con la pratica clinica giornaliera. Certamente il progredire delle conoscenze scientifiche, per mezzo di sofisticati strumenti clinico-diagnostici, ha notevolmente contribuito a semplificare il nostro lavoro quotidiano tuttavia alla base di qualsiasi esercizio professionale vi è sempre l’uomo con le sue conoscenze, la sua intelligenza e sensibilità quale elemento imprescindibile. Da queste considerazioni è nata l’idea di scrivere questo manuale: rendere semplici argomenti che possono sembrare complessi ma che nel contempo rappresentano la base del bagaglio professionale di ogni cultore della materia. Ci auguriamo di essere riusciti in questo intento ed in particolare si desidera ringraziare il Dott. Andrea Ascari che ci ha sostenuto con i suoi preziosi consigli e la Nidek nella persona di Guido Battarra per il suo contributo per la realizzazione del testo. Gli Autori



CAPITOLO 1 Parte 1 Principi di ottica geometrica

Introduzione Sorgenti di luce: caratteristiche dell’oggetto e dell’immagine Trasmissione della luce nell’ottica di primo ordine Le leggi dell’ottica geometrica Vergenza Fuochi, piani e punti principali di un diottro sferico Formazione dell’immagine La riflessione Combinazione di lente sfera-cilindro Prismi


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Introduzione Natura della luce Sin dall’antichità sono state avanzate ipotesi sulla natura della luce, Leucippo e Democrate (450 A.C. circa) credevano fosse formata da un flusso di particelle minuscole o “corpuscoli”. Nel 1600 Newton formulò la teoria corpuscolare che sta alla base dell’ottica geometrica la quale essendo di semplice dimostrazione permetteva di spiegare alcuni fenomeni fisici. Successivamente altri autori basandosi su questa teoria formularono alcune leggi come ad esempio la propagazione rettilinea della luce, la riflessione e la rifrazione, la formazione degli angoli d’incidenza e di trasmissione, ecc. Tuttavia questa teoria aveva l’inconveniente di non tener conto di alcuni fenomeni che non era in grado di spiegare come, ad esempio, la diffrazione (Figure 1.1 e 1.2). C. Huygens intorno al 1665 ritenendo la luce formata da onde che si propagano come le onde del mare formulò la teoria ondulatoria attraverso la quale riuscì a dimostrare i diversi fenomeni che caratterizzano la luce come la rifrazione, la riflessione e la diffrazione. Alla fine del 1800 J.C. Maxwell scoprì che la luce è composta da onde elettromagnetiche (EM), le quali rappresentano solo una piccola parte dello spettro, si irradiano come onde e che esiste una relazione tra i campi elettrici oscillanti cioè quelli che ritmicamente invertono di polarità ed i campi oscillanti magnetici. Infine Plank elaborò la teoria quantistica ipotizzando un rapporto tra l’energia e la lunghezza dell’onda elettromagnetica. Nella prima parte ci occuperemo dell’ottica geometrica o ottica di primo ordine che descrive come si propaga la luce attraverso la riflessione e la rifrazione. Le sue leggi sono valide sino a quando la lunghezza d’onda

della luce impiegata è minore delle dimensioni degli oggetti che si illuminano ed è un’approssimazione dell’ottica ondulatoria. Nella seconda parte con l’ottica fisica si studierà la natura ondulatoria della luce le l’interazioni tra luce e materia.

Sorgenti di luce caratteristiche dell’oggetto e dell’immagine Sorgente luminosa La luce visibile rappresenta una parte dello spettro elettromagnetico compresa nella lunghezza d’onda tra i 400 (ultravioletto) ed i 700 (infrarosso) nanometri oppure se si considera in base alla frequenza tra i 790 ed i 435 THz (Teraherzt) ed interagendo con la materia produce diversi fenomeni come l’assorbimento, la diffusione (scattering), la riflessione (speculare o diffusa), la rifrazione e la diffrazione. La velocità con cui si propaga nel vuoto è di 300.000 Km/sec e questo valore viene usato come riferimento nella definizione della lunghezza del metro che approssimata è 3x108 m/s. I raggi provenienti da una sorgente luminosa hanno decorso rettilineo e si propagano in tutte le direzioni. Se nel loro percorso incontrano una superficie che separa due mezzi subiscono una deviazione la cui entità dipende dalla densità ottica o rifrangenza della superficie attraversata. Il raggio che proviene dalla sorgente di luce è detto incidente, l’interfaccia o superficie rifrangente è la superficie che separa i due mezzi, il raggio rifratto è quello che fuoriesce. Entrambi i raggi giacciono sullo stesso piano, l’entità dell’inclinazione in entrata ed in uscita del raggio è indicata dall’angolo acuto che si forma dall’intersezione tra l’asse ottico ed il raggio mentre la direzione di propagazione si raffigura con una freccia. I raggi rettilinei provenienti da una sorgente di luce

NO A

SI B A Figura 1.1 Quando una luce collimata attraversa un apertura per la teoria corpuscolare (A) resta identica. (B) Al contrario il fascio diverge per il fenomeno della diffrazione suggerendo che la luce è un’onda non corpuscolare.

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B

C

Figura 1.2 Per la legge della propagazione rettilinea la luce che attraversa una fessura non dovrebbe cambiare direzione B. Invece cambia direzione per la diffrazione C. La diffrazione è influenzata dalla grandezza dell’apertura.


CAPITOLO 1 Parte 1. Principi di ottica geometrica

Interfaccia

Figura 1.3 Propagazione rettilinea della luce in un mezzo uniforme. Con fronte d’onda sferico la propagazione è rettilinea e la velocità costante. In un mezzo non uniforme varia la velocità della luce ed i raggi non sono rettilinei.

e che si diffondono in un mezzo uniforme formano un fronte d’onda sferico vale a dire una superficie sferica costituita da un insieme di onde di uguale lunghezza, quando invece i raggi provengono dall’infinito o attraversano un mezzo diottrico il fronte d’onda può essere immaginato come una superficie piana. La luce quando proviene da una distanza infinita come ad esempio la luce delle stelle è puntiforme invece se la distanza è ravvicinata come quella emessa da una lampada è diffusa, i raggi che formano il fascio di luce possono essere paralleli, divergenti o convergenti.

raggio incidente

interfaccia ottica

raggio rifratto

Si definisce mezzo qualsiasi materiale capace di trasmettere la luce, se il mezzo separato da una superficie rifrangente o interfaccia è uniforme come ad esempio aria-aria la velocità con cui i raggi di luce lo attraversano sarà omogenea in quanto ha lo stesso indice di rifrazione mentre se i mezzi attraversati sono di densità differente come aria-acqua la velocità dei raggi di luce varierà in base alla densità del mezzo a causa del differente indice di rifrazione. (Figura 1.3) Ad esempio l’effetto miraggio che si può osservare in giornate molto calde è dovuto a differenze dell’indice di rifrazione dell’aria. Quando l’interfaccia che separa due mezzi ha una superficie regolare (Figura 1.4) il raggio di luce che la incontra può essere: rifratto propagandosi da un mezzo all’altro; riflesso ritornando nel primo mezzo o assorbito dissipandosi in calore mentre se è irregolare (Figura 1.5) sia la rifrazione che la riflessione sono diffuse. Infine se nella parte centrale dell’interfaccia è presente una fessura solo una piccola parte del fascio luminoso o pennello di raggi riuscirà ad attraversarla mentre il resto sarà riflesso. Il tragitto luminoso del pennello di raggi si può modificare interponendo delle lenti come ad esempio avviene in un proiettore facendo passare un pennello di raggi divergenti attraverso una lente convergente. Il tragitto del raggio di luce è facile da calcolare se l’interfaccia è un sistema ottico semplice come una lente sottile sferica che in pratica può essere equiparata ad un diaframma senza spessore mentre diventa più complesso se la lente è spessa perché bisogna tenere conto della superficie anteriore, dello spessore e della superficie posteriore oppure se il sistema è composto da più lenti.

Indice di rifrazione θi

θr

piani di incidenza e di riflessione

La velocità della luce nel vuoto è circa 300.000 Km/sec (299 792 458 m/sec), non subisce dispersione e presen-

pennello di luce

raggi rifratti

interfaccia ottica raggi riflessi

interfaccia ottica Figura 1.4 La luce che incontra una superficie lucida è riflessa e/o rifratta in maniera speculare. θi=angolo d’incidenza; θr=angolo di rifrazione.

Figura 1.5 La luce che incontra una superficie irregolare è riflessa o trasmessa diffusamente.

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ta un indice di rifrazione nell’aria uguale ad 1,0 mentre la velocità con cui la luce attraversa i diversi mezzi come acqua, vetro ecc. dipende dalla loro composizione chimica. L’indice di rifrazione di un mezzo si ottiene comparandolo con quello dell’aria, tuttavia nei calcoli è più comodo usare l’indice di rifrazione di un materiale piuttosto che la velocità della luce. L’indice di rifrazione (n) di un mezzo ottico è dato dal rapporto tra la velocità della luce nel vuoto e la velocità nel mezzo attraversato ed è sempre superiore o uguale ad 1: velocità della luce nel vuoto n = ––––––––––––––––––––––––– velocità della luce nel mezzo La composizione chimica del mezzo influenza l’indice di rifrazione ed in casi particolari anche piccole variazioni di temperatura possono conferirgli indici differenti come ad esempio nel polimero di silicone che a 20° ha un indice di rifrazione diverso da quello riscontrato ad una temperatura di 35°. I vetri più comunemente usati per fabbricare le lenti hanno indice di rifrazione tra 1,5 -1,6.

Dispersione cromatica La luce è composta da onde di differente lunghezza e frequenza che producono un fenomeno fisico detto dispersione o dispersione cromatica che risulta più elevata per le onde corte (blu) e più bassa per le onde lunghe (rosso) vale a dire che la luce blu si propaga più lentamente rispetto alla luce rossa e l’angolo di rifrazione è maggiore per il blu rispetto al rosso. (Figura 1.6) L’occhio è in grado di percepire i vari colori, rosso, giallo-verde, blu che compongono lo spettro luminoso e la dispersione della luce provoca nel suo interno un’aberrazione cromatica perché alcune lunghezze d’onda come il giallo focalizzano precisamente sulla retina altre come il blu al davanti e quelle nel rosso dietro. L’occhio ha circa 0.5 D di aberrazione cromatica e la si può evi-

Gialla Rossa

superficie normale

Figura 1.6 Dispersione cromatica.

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denziare accomodando o rilasciando l’accomodazione. Infatti lo sforzo accomodativo permette la tridimensionalità dell’oggetto e lo si evidenzia ad esempio osservando diapositive i cui testi sono composti da diversi colori come rosso e blu dove le scritte in rosso sembrano più vicine rispetto a quelle in blu. C’è da rilevare che questo fenomeno è presente anche in soggetti affetti da discromatopsia rosso-verde. (Figura 1.7) Le aberrazioni cromatiche di un vetro si valutano misurando il suo indice di dispersione, il valore ottenuto è detto numero di Abbe o numero V e si calcola con la formula: nd - 1 V= nf - nc dove: nd, nf, nc sono gli indici di rifrazione dei raggi dello spettro D, F, C di Fraunhofer (rispettivamente D 589,2 nm; F 486,1 nm; C 656,3 nm). In generale alti valori di V indicano una debole dispersione e ridotte aberrazioni cromatiche mentre se i valori sono bassi aumenta la dispersione e di conseguenza le aberrazioni cromatiche. I comuni mezzi ottici presentano un numero di Abbe tra 20 e 70.

Caratteristiche dell’oggetto Sono date dalla posizione che occupa nello spazio e dalla sua luminosità, quest’ultima che può essere diretta quando l’oggetto emette una luce propria oppure riflessa se è illuminato.

Caratteristiche dell’immagine

Blu

Luce bianca

Figura 1.7 Cromostereopsia le scritte rosso e blu su sfondo nero proiettate come diapositiva appaiono tridimensionali.

Le caratteristiche principali sono l’ingrandimento (x), la posizione reale o virtuale, la qualità e la luminosità. Ingrandimento trasversale: (per le immagini reali) indica di quanto è ingrandita l’immagine rispetto alla dimensione dell’oggetto e lo si ottiene dal rapporto tra la distanza in cui è posto l’oggetto con il suo punto immagine coniugato cioè alla distanza in cui si forma l’immagine: altezza dell’immagine Ingrandimento trasversale = altezza dell’oggetto La posizione dell’oggetto e dell’immagine è perpendicolare rispetto all’asse ottico, l’immagine che si ottiene è una riproduzione in scala dell’oggetto. Per convenzio-


CAPITOLO 1 Parte 1. Principi di ottica geometrica

ne l’immagine è positiva se posta al di sopra dell’asse ottico, negativa se al di sotto mentre è diritta se si trova sopra l’asse ottico, invertita se è sotto. (Figura 1.8) Esempio l’ingrandimento trasversale di un oggetto alto + 10 cm forma un’immagine di -5 cm (5/10 = -0,5 cm), ciò significa che l’immagine è invertita e la sua grandezza è la metà rispetto all’oggetto. Ingrandimento lineare: indica la dimensione della zona immagine in rapporto a quella di un oggetto. L’ingrandimento lineare è positivo quando l’immagine è diritta cioè dello stesso lato dell’oggetto è negativo quando l’immagine è invertita cioè nel lato opposto all’oggetto. Esempio un oggetto grande 5 x 7 cm con un ingrandimento di 3X forma un’immagine 15 x 21, significa che la zona immagine è triplicata rispetto all’oggetto. Mentre gli ingrandimenti precedenti forniscono una relazione di grandezza tra immagine ed oggetto l’ingrandimento angolare (M): è una misura di confronto cioè compara la dimensione dell’immagine che si forma sulla retina quando un oggetto è osservato senza e con uno strumento ottico. Per convenzione la misura si esegue ad una distanza standard di 25 cm (= 4D) ed è indipendente dalle reali dimensioni dell’oggetto, come ad esempio quando si osserva un oggetto con una lente d’ingrandimento. In base alle caratteristiche geometriche che assume il raggio luminoso, l’immagine è reale quando è formata da raggi convergenti mentre è virtuale se i raggi sono divergenti. La posizione reale o virtuale che assume l’immagine varia a secondo della lente e della distanza dell’oggetto rispetto al fuoco principale: le lenti positive formano un’immagine reale e capovolta se l’oggetto si trova al davanti del fuoco principale mentre se l’oggetto è tra il fuoco principale e la lente l’immagine è virtuale e diritta. Se l’oggetto è distante dalla lente il doppio della distanza focale principale l’immagine è reale e capovolta e delle le stesse dimensioni dell’oggetto.

Le immagini virtuali e diritte sono sempre ingrandite, le immagini reali e capovolte sono ingrandite se la distanza dell’oggetto dalla lente è inferiore al doppio della distanza focale principale invece sono rimpicciolite quando l’oggetto è oltre questa distanza. Le lenti negative producono sempre un’immagine virtuale diritta e rimpicciolita. Qualità dell’immagine: le immagini non sono copie perfette dell’oggetto, ma una riproduzione in scala e con un’approssimazione elevata perché il singolo punto oggetto non forma nel piano immagine un punto perfettamente circolare ma ellittico, a sezione di cono circolare, detto cerchio di confusione. Pertanto quanto più il cerchio di confusione che si forma è di piccole dimensioni e si posiziona perfettamente sulla retina tanto più l’immagine è a fuoco e nitida, mentre quanto più aumenta il suo diametro e si allontana dalla retina tanto più l’immagine appare sfuocata. Tuttavia un oggetto può essere riconosciuto anche se sfuocato se la grandezza dei cerchi di confusione è proporzionale alla grandezza dell’immagine vale a dire che non supera la grandezza dell’oggetto o meglio le dimensione dell’angolo sotteso dall’oggetto. La dimensione del cerchio di confusione dipende oltre che dalla distanza dalla retina anche dal diametro della pupilla. Infatti se lungo il tragitto ottico di un fascio di luce si interpone un diaframma con un foro, la dimensione di quest’ultimo condizionerà il diametro del cerchio di confusione e quindi la nitidezza dell’immagine. Inoltre, a parità di distanza, aumentando o riducendo il diametro del foro si aumenta o si riduce il diametro del cerchio di confusione a causa dell’effetto diffrattivo. Vale a dire che attraverso il foro passa solo un pennello di raggi centrali e di conseguenza si formerà un’immagine più nitida ma di minore qualità perché meno luminosa.

Punto di focalizzazione

+4 cm

-2 cm PSF

Figura 1.8 Ingrandimento trasversale.In qualunque punto tranne che sull’asse si può misurare l’altezza dell’oggetto (O) e dell’immagine (I).

Figura 1.9 A. Le immagini riprodotte dalle lenti come immagini stigmatiche (A) in realtà in gran parte dei casi, non sono stigmatiche (B) come mostra la PSF (vedi oltre).

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Questo fenomeno si può verificare nella pratica clinica quando si pone un foro stenopeico al davanti della pupilla per aumentare l’acuità visiva, oppure si migliora il visus provocando una miosi con una forte illuminazione o quando un soggetto miope strizza le palpebre per vedere meglio. In conclusione l’immagine che si forma non è perfetta puntiforme, stigmatica, ma si distribuisce su una piccola area del piano immagine (Figura 1.9) producendo un cerchio di confusione definita PSF (point spread function).

Trasmissione della luce nell’ottica di primo ordine Prima di considerare le leggi dell’ottica geometrica è opportuno definire i parametri che agiscono sul percorso di un raggio luminoso quando attraversa un mezzo.

Assi e punti in un sistema ottico Asse ottico: è la linea immaginaria che traccia la luce quando attraversa un sistema ottico con una simmetria di rotazione, gli altri assi ottici sono detti secondari. I piani perpendicolari all’asse ottico che passano per i fuochi sono detti piani focali. Tutte le distanze sono misurate dall’asse ottico, al di sopra di esso i valori sono positivi al di sotto negativi. La simmetria di rotazione: è il movimento circolare con cui tutti i punti si spostano attorno al centro o asse. Punti coniugati: sono una coppia di punti in cui il primo è il punto oggetto, a sua volta ogni singolo punto oggetto forma l’insieme dei punti immagini che sono il secondo punto coniugato. Sono reali se il punto oggetto è posto nello spazio oggetto ed il punto immagine nello spazio immagine, virtuali se si trovano nello spazio di diverso nome. I punti nodali: il punto nodale anteriore e il punto nodale posteriore si trovano sull’asse ottico princi-

Sistema ottico

α Oggetto

Immagine

N N’

α

Figura 1.10 N ed N’ sono rispettivamente i punti nodali anteriori e posteriori di un sistema ottico. L’angolo α formato dall’oggetto e dall’immagine è uguale.

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pale ed in genere sono appaiati, hanno l’importante proprietà di essere collegati da una linea, (Figura 1.10), talvolta si possono accavallare apparendo come un unico punto.Un raggio tracciato da qualsiasi parte del punto oggetto incontra dapprima il il punto nodale anteriore e poi il punto nodale posteriore sull’asse ottico ed, indipendentemente dal punto oggetto scelto, l’intersezione di questo raggio con i due punti nodali forma due angoli uguali tra di loro. Il centro ottico: si trova sull’asse ottico ed i raggi luminosi che lo attraversano non subiscono alcuna deviazione. La posizione che occupa in una lente varia in base alla sua forma: nelle lenti biconcave e biconvesse è al centro, nelle piano concave e piano convesse è sulla superficie della curvatura, nelle concavo-convesse è al di fuori della lente dalla parte della superficie di maggiore potenza. Posizione dell’immagine: indica la distanza tra un punto di referenza ed il punto in cui si posiziona l’immagine e si misura lungo l’asse ottico. Il punto di referenza da cui partire può variare, il più facile è partire dalla superficie posteriore della lente oppure dalla distanza tra il punto principale posteriore e l’immagine. In un occhio ametrope l’immagine si forma al davanti o dietro la retina per cui invece di utilizzare un punto di referenza per misurare la distanza immagine, si può ricorrere ad un modo convenzionale, vale a dire l’immagine a destra del punto di referenza è positiva mentre quella a sinistra negativa. I punti principali: sono il centro della curvatura ed i punti focali anteriori e posteriori, sono appaiati sull’asse ottico come i punti nodali con i quali spesso coincidono. Il fuoco o focale indica il piano o il punto in cui i raggi provenienti dall’infinito si incontrano come ad esempio la rifrazione di una lente o nella riflessione di uno specchio. La distanza focale è la distanza tra il centro ottico della lente ed il piano focale, indica il valore assoluto della lente (esempio 50 mm) ed è usata per catalogare anche gli obiettivi fotografici. Il valore della distanza focale valido per fasci di raggi luminosi parassiali e per lenti sferiche sottili si può ricavare partendo dalla legge di Snell (vedi avanti equazione dell’ottico). La profondità di fuoco: riguarda l’immagine ed indica la distanza tra una sorgente luminosa ed un piano, è costante e si esprime in diottrie mentre la profondità di campo è riferita all’oggetto ed anche essa indica la distanza tra una sorgente luminosa ed un piano. Quando si fotografa un oggetto mettendolo a fuoco l’immagine che ne risulta è perfettamente nitida, mentre tutto ciò che è esterno ad esso appare sfuocato, se la profondità di fuoco si mantiene costante avvicinandosi o allontanandosi


CAPITOLO 1 Parte 1. Principi di ottica geometrica

dal piano in cui è posto varia la profondità di campo. Esempio se si usa una profondità di fuoco di 1D l’oggetto può essere spostato senza che si sfuochi da 33 cm (= a 3D) a 50 cm (=2D) oppure da 50 cm (=2D) ad 1 metro (= 1D) a patto che la profondità di fuoco resti costante, infatti in questo caso la differenza di valori in diottrie è sempre di 1D, quella che invece varia è la distanza lineare che nel primo caso è 17 cm (50-33) e nel secondo 50 cm (100-50). Il limite della profondità di fuoco è rappresentato dalla grandezza del cerchio di diffusione (vedi).

Le leggi dell’ottica geometrica L’ottica geometrica considera la natura della luce corpuscolare e non ondulatoria come è in realtà pertanto i postulati e le leggi su cui si basa non tengono conto di alcuni fenomeni fisici come la diffrazione ecc. Prima di considerare come avviene la propagazione della luce quando attraversa un’interfaccia piana e curva è bene definire alcuni parametri. La superficie normale è una linea immaginaria perpendicolare all’interfaccia ottica con la quale viene a contatto nel punto in cui cade il raggio incidente. (Figura 1.11) Superficie normale e raggio incidente insieme definiscono un piano fittizio detto piano d’incidenza. L’angolo d’incidenza (θ1) si forma dall’intersezione tra raggio incidente e superficie normale e non tra raggio incidente ed interfaccia ottica. Il raggio riflesso e la superficie normale insieme formano il piano di riflessione e dalla loro intersezione si forma l’angolo di riflessione (θr). Gli angoli misurati in senso antiorario hanno valori positivi, mentre in senso orario hanno valori negativi. Il coefficiente di riflessione o riflessività spettrale indica la quantità di luce che un’interfaccia trasmette quan-

interfaccia ottica raggio incidente θi superficie normale θr raggio riflesso n1

n2

Figura 1.11 Legge della riflessione speculare. Angolo di riflessione θr e di incidenza θi sono uguali e sullo stesso piano. Il raggio incidente incontra la perpendicolare alla superficie normale a livello dell’interfaccia definendo il piano d’incidenza. n1 e n2 rappresentano i due indici di rifrazione dei mezzi.

do l’assorbimento è minimo cioè come l’intensità di un raggio luminoso viene ripartita tra raggio incidente e raggio riflesso e può essere calcolato attraverso l’equazione di Fresnel: (n - n )² R= 2 i (n2 + n) n1 ed n2 sono gli indici di rifrazione dei 2 mezzi.

Legge della propagazione rettilinea Un postulato dell’ottica geometrica dice che in un mezzo omogeneo il raggio di luce si propaga in linea retta così come avviene quando un pennello di raggi di luce attraversa un’apertura su un interfaccia. Questa legge, non considera la diffrazione i cui effetti in clinica, nella gran parte dei casi, hanno scarsa importanza. (vedi in ottica fisica natura ondulatoria della luce).

Legge della riflessione o riflessione speculare (legge di Snell) La legge della riflessione stabilisce che raggio incidente, raggio riflesso e superficie normale si trovano nello stesso piano e si esprime con la formula θ1 = θr dove (θ1) = raggio incidente, (θr) = raggio riflesso vale a dire che la direzione del raggio riflesso ha una relazione definita con quella del raggio incidente. L’incidenza di un raggio luminoso è definita normale quando è perpendicolare all’interfaccia ottica, in questo caso il raggio e la superficie normale coincidono; se l’interfaccia è rifrangente il raggio non è deviato, cambia velocità ma non direzione mentre se l’interfaccia è riflettente, il raggio forma con essa un angolo di 90° e viene riflesso tornando indietro. La legge della riflessione è simmetrica in quanto il percorso dei raggi è valido anche nella direzione opposta oppure quando un raggio luminoso passa da un mezzo più denso a uno meno denso. La legge di Snell è difficile da applicare se la luce è polarizzata cioè quando un fascio di luce è diviso in due fasci tra loro perpendicolari in quanto solo uno dei due fasci può essere preso in considerazione perché l’altro non è complanare con quello incidente.

Legge della rifrazione o trasmissione speculare (legge di Snell) È una conseguenza della legge della riflessione perché si considera la relazione tra gli angoli formati dal raggio riflesso e dal raggio incidente. L’intersezione tra superficie normale e raggio riflesso che avviene sull’interfaccia forma un angolo (θr), se il mezzo che l’interfaccia divide ha un indice di rifrazione omogeneo il rapporto tra il seno dell’angolo di incidenza e quello dell’angolo di rifrazione è uguale.Se invece l’indice di rifrazione dei

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interfaccia ottica raggio incidente raggio incidente θθi i

θi

raggio riflesso

superficie θt normale

n1 A

superficie normale θt n2

n1 < n2

n1 B

n2 n1 > n2

raggio riflesso

Figura 1.12 In (A) la luce che si propaga da un mezzo con indice di rifrazione più basso verso un con indice più elevato è deviata verso la superficie normale al contrario in (B) quando passa da un mezzo con indice più elevato verso uno più basso è deviata lontano dalla superficie normale.

mezzi è diverso la direzione del raggio riflesso ha una relazione definita con quella del raggio incidente (Figura 1.12) perché il diverso indice di rifrazione del mezzo provocherà un brusco cambiamento di velocità con conseguente cambio di direzione. La legge si esprime con la formula: n1 sen θ1 = n2 sen θr n1 = indice di rifrazione del mezzo del raggio incidente θ1 = angolo d’incidenza n2 = indice di rifrazione del mezzo del raggio rifratto θ2 = angolo di rifrazione o di trasmissione La direzione del raggio rifratto che passa da un mezzo con indice di rifrazione più basso (aria) verso uno con indice più elevato (vetro) si avvicina alla superficie normale mentre si allontana quando avviene il contrario. Un esempio classico facilmente osservabile è quello di un cucchiaino che sembra spezzato quando è messo in un bicchiere d’acqua, ciò avviene a causa del differente indice di rifrazione tra i due mezzi aria/acqua. (Figura 1.13) L’angolo di riflessione aumenta con l’aumentare dell’angolo di incidenza ma se quest’ultimo è di 90° non è più rifratto ma riflesso. (Figura 1.12)

Riflessione totale interna Quando la luce passa da un mezzo più rifrangente verso uno meno rifrangente viene totalmente riflessa e non rifratta secondo la legge della riflessione. Questo fenomeno detto riflessione totale interna (RTI) si verifica perché la luce che proviene dal mezzo più rifrangente a contatto con l’interfaccia forma un angolo critico per cui è riflessa. Si ha un angolo critico (θc) quando l’angolo che si forma tra il raggio incidente e la superficie normale è al limite di 90° ed il suo valore si può calcolare con la legge di Snell: n1 sen θc = nrsen 90° il seno di 90° è 1 per cui avremo n n1 sen θc = nr che trasformato sen θc = r ni Così l’angolo di riflessione è di 90° quando l’angolo d’incidenza equivale a: θc = arcsen

nr ni

Un esempio clinico di RTI si ha nell’impossibilità di osservare l’angolo irido-corneale direttamente ma solo applicando una lente a contatto in quanto eliminando l’interfaccia aria/cornea si permette alla luce di propagarsi da un mezzo con indice meno elevato (cornea) verso uno con indice più elevato (vetro). Solo in particolari condizioni, come ad esempio in caso di ectasia della cornea, l’angolo d’incidenza è inferiore all’angolo critico per cui è possibile osservare l’angolo direttamente senza la lente per gonioscopia. Il fenomeno della riflessione totale interna è utilizzato nella costruzione delle fibre ottiche perché permette alla luce di essere trasportata da un punto all’altro.

Il principio di Fermat Figura 1.13 Il cucchiaino immerso nel bicchiere sembra spezzato a causa del diverso indice di rifrazione

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Questo principio matematicamente dimostrato da Pierre de Fermat afferma che il tempo di propagazione tra


CAPITOLO 1 Parte 1. Principi di ottica geometrica

o V

P’

P’ P

V’

P i

Figura 1.14 L’asse ottico è una linea immaginaria, gli apici V e V’ sono i punti di intersezione dell’asse con le superfici della lente. In generale i punti principali P e P’ non coincidono con gli apici.

Figura 1.15 La distanza oggetto, (o), è misurata lungo l’asse da P all’oggetto e la distanza immagine, (i), è misurata da P’ all’immagine. La direzione positiva è da sinistra a destra.

l’oggetto e l’immagine deve essere esattamente lo stesso per entrambi i tragitti senza che essi si incrocino al punto immagine. Ciò significa che la luce si propaga da un punto all’altro seguendo il cammino più breve dimostrando l’economicità dei processi naturali. Questo principio ha un’importante applicazione pratica in ottica perché permette di ottimizzare la lunghezza del cammino ottico o OPL (Optical Path Length) conoscendo la distanza reale ed in particolare il tragitto minimo della luce.

da sinistra a destra (P’ i ) mentre ha direzione negativa quando si propaga da destra a sinistra. (P o) La vergenza è la distanza che percorrono i raggi proveniente da un oggetto, è negativa o divergente se i raggi si propagano in direzioni diverse mentre è positiva o convergente se si riuniscono per formare un punto immagine. (Figura 1.16) La vergenza si misura in diottrie, la diottria (D) è l’inverso della distanza in metri (m-1) mentre l’inverso della distanza in D (1/D) da la distanza in metri, così una vergenza di 25 cm corrisponde a 4 D (1/25 = 4 ed 1/4 = 25 cm) e siccome la vergenza varia con il variare del suo tragitto conoscendo la posizione del punto immagine o del punto oggetto è possibile calcolarne il valore in qualunque punto. La vergenza ridotta si ottiene moltiplicando la distanza dal punto da cui proviene il raggio con l’indice di rifrazione del mezzo e si usa al posto della vergenza per semplificare i calcoli. I raggi luminosi partono dal punto oggetto divergendo (U) sino ad incontrare la superficie rifrangente (U+P) e fuoriescono cambiando vergenza in rapporto alla potenza della superficie convergendo in un punto immagine (V), il tutto espresso nella formula della vergenza ridotta: U+P=V U = vergenza ridotta oggetto P = superficie V = vergenza ridotta immagine. I raggi di luce subiscono nel loro tragitto delle variazioni di vergenza in base al sistema ottico che attraversano che può essere una lente semplice cioè un elemento con due superfici di rifrazione o una lente spessa formata da una superficie anteriore, spessore e superficie posteriore oppure un sistema ottico con più elementi. Se la lente è sottile la variazione della vergenza è trascurabile in quanto è equiparata ad una superficie rifrangente mentre il calcolo diventa più complesso se il sistema ottico e formato da una combinazione di più lenti.In questo caso il problema può

Vergenza Vergenza I raggi di luce che attraversano un sistema ottico per formare l’immagine di un oggetto hanno come principali punti di referenza il punto oggetto principale (P) ed il punto immagine principale (P’) tutti gli altri punti derivano da questi. L’apice anteriore (V) e l’apice posteriore (V’), differenti da (P) e (P’), si trovano rispettivamente sulla superficie anteriore e posteriore della lente e sono intersecati dall’asse ottico. (Figura 1.14) La distanza oggetto (o) è la distanza tra (P) ed il punto oggetto mentre la distanza immagine (i) è la distanza tra (P’) ed il punto immagine (Figura 1.15) e per convenzione la luce ha direzione positiva quando si propaga

A

A Figura 1.16 La luce più vicina al punto oggetto è molto divergente per cui (A) una lente posta molto vicino ad esso capterà gran parte della luce emessa. (B) Man mano che la luce si allontana dall’oggetto diverge molto meno per cui una lente posta più distante capterà una minore quantità di luce.

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Manuale di Ottica Clinica

essere superato considerando ogni lente singolarmente in modo che la posizione dell’immagine prodotta dalla prima lente diviene punto oggetto per la seconda lente la quale produce un’immagine che, a sua volta, diviene punto oggetto per la terza lente e così di seguito, in questo modo si può calcolare la vergenza di un infinito numero di lenti come se fossero un’unica lente sottile.

Immagine reale e virtuale L’immagine è reale se si forma dietro la lente nel punto in cui i raggi convergendo con una vergenza positiva si intersecano, vale a dire che l’immagine cade nello spazio immagine. È virtuale quando i raggi dopo aver attraversato la lente con una vergenza negativa sono prolungati in avanti in maniera tale da formare il punto immagine al davanti della lente, vale a dire che l’immagine si forma nello spazio oggetto. Se i raggi luminosi sono paralleli o collimati non si forma alcuna immagine virtuale o reale perché sono all’infinito. Un raggio di luce che attraversa una sfera positiva forma un’immagine reale e capovolta se è a sinistra del fuoco

oggetto vale a dire al davanti del fuoco principale mentre è virtuale e diritta se l’oggetto si trova tra il fuoco oggetto e la retina. Se la distanza dell’oggetto dalla lente è il doppio della distanza focale principale, l’immagine è reale e capovolta della stessa dimensione dell’oggetto. La sfera negativa produce sempre un’immagine virtuale diritta e rimpiccolita. Le immagini virtuali e diritte sono sempre ingrandite, quelle reali e capovolte possono essere: uguali all’oggetto quando questo si trova ad uguale distanza dalla lente, ingrandite se la distanza è inferiore al doppio della distanza focale principale, rimpiccolite se la distanza è superiore alla distanza focale principale. Il modo in cui si forma l’immagine reale è intuitivo: i raggi luminosi attraversano la lente convergendo in un punto del piano immagine. Per capire come si forma l’immagine virtuale bisogna pensare alla posizione del punto oggetto che invece di trovarsi nel piano oggetto è posizionato nel piano immagine. Così facendo i raggi che attraversano una lente e fuoriescono divergendo non formano alcuna immagine reale ma prolungandoli al davanti della lente convergeranno, formando un’im-

A

B +5

F

F’

piano focale anteriore

+5

F

F’

20 cm

+5

F

F’

F

20 cm C

F’

piano focale posteriore

20 cm

20 cm D

Figura 1.17 A. La luce che viene dal fuoco oggetto o punto focale anteriore (F) per definizione lascia la lente collimata cioè tutti i raggi sono paralleli verso l’infinito ottico. B. Allo stesso modo avviene anche per tutti i punti oggetto situanti nel piano focale anteriore. C. La luce collimata parallela all’asse focale che proviene da meno infinito ottico focalizza sul punto focale posteriore (F’). D. La luce collimata al di fuori dell’asse focale focalizza sul fuoco posteriore (F’).

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CAPITOLO 1 Parte 1. Principi di ottica geometrica

magine virtuale, vale a dire che il punto oggetto è situato dietro la lente nel piano immagine e l’immagine si forma nel piano oggetto. Ad esempio consideriamo due lenti distanti una dall’altra in modo tale che i raggi che attraversano la prima lente fuoriescono divergendo andando così a formare un’immagine virtuale. Questa immagine formata servirà da punto oggetto per la seconda lente per cui i raggi provenienti da esso, dopo averla attraversata, andranno a cadere, convergendo, sul piano immagine posto dietro la seconda lente. Nella pratica clinica gli oggetti posti ad una distanza superiore ai 6 metri si considerano come infinito ottico perché hanno una vergenza di circa 0,17D e pochi soggetti percepiscono una differenza al di sotto di 0,25D. Gli oggetti nel piano focale anteriore (F) hanno la loro immagine a più infinito mentre quelli nel piano focale posteriore (F’) a meno infinito.

Fuochi, piani e punti principali di un diottro sferico Fuochi In generale il fuoco (F) è il punto da cui i raggi divergono o su cui convergono. Il fuoco oggetto o punto focale primario (F) o punto focale anteriore (Fª) è il punto da cui partono i raggi luminosi e si trova nel piano focale anteriore, il fuoco immagine o punto focale secondario (F’) o punto focale posteriore (Fa) è il punto posto nel piano focale posteriore su cui converge la luce collimata che non proviene dall’infinito ottico dopo che attraversa una lente. (Figura 1.17CD). La distanza focale è quella tra fuoco e lente, un fascio di luce è detto collimato (co-lineare) quando i raggi che lo compongono sono paralleli e forma un fronte d’onda piano, per definizione i raggi provenienti da qualsiasi punto di (F) nel piano focale anteriore dopo che attraversano la lente sono collimati e si propagano verso l’infinito ottico (Figura 1.17A) (F) ed (F’) sono i punti o fuochi coniugati di una lente posta in un mezzo ottico uniforme (aria, acqua ecc.), la posizione dell’uno determina quella dell’altro in quanto equidistanti e di conseguenza si può calcolare il potere diottrico della lente sommando le diottrie che la separano dai due fuochi. Esempio: i raggi che provengono da un oggetto posto a 33 cm da una lente di +5D può formare il fuoco immagine solo a 50 cm dietro la lente, la vergenza dei raggi è -3D (= 33 cm) - (+5D) della lente, la vergenza in uscita +2D (=50 cm).

Piani e punti principali L’oggetto si trova nel piano principale anteriore, l’immagine nel piano principale posteriore, entrambi i piani sono perpendicolari all’asse ottico e sono la rappresen-

tazione geometrica in cui si curvano i raggi luminosi, sono virtuali quando l’immagine si trova nel piano oggetto invece che nel piano immagine e viceversa. Il punto principale anteriore (P) ed il punto principale posteriore (P’) si formano rispettivamente nel punto di intersezione dell’asse ottico con il piano principale anteriore ed il piano principale posteriore. Il punto nodale anteriore (N) ed il punto nodale posteriore (N’) si ottengono dall’intersezione che si forma tra il prolungamento dei raggi che passano per il centro ottico con l’asse ottico, il raggio entrante è quello dell’oggetto e forma il punto nodale anteriore, il raggio in uscita è quello dell’immagine e forma il punto nodale posteriore. Non confondere il punto principale anteriore e posteriore con il punto nodale anteriore e posteriore, entrambi posizionati sull’asse ottico e che possono coincidere quando la lente si trova tra due mezzi uguali, sia i punti nodali che i punti principali sono un’importante coppia di punti di referenza. Insieme i punti nodali, i punti focali ed i punti principali formano i punti cardinali ed attraverso questi si possono definire completamente le proprietà di primo ordine di un sistema ottico. Tra i componenti dei punti cardinali due paia sono coniugati: il punto principale anteriore con il punto principale posteriore (P e P’) ed il punto nodale anteriore col punto nodale posteriore (N ed N’) mentre i punti focali (F ed F’) ed i punti principali (P e P’) sono associati rispettivamente ai piano anteriore e posteriore ma non esiste un piano nodale associato ad un punto nodale.

Formazione dell’immagine Tragitto dei raggi in un diottro sferico Conoscendo i punti cardinali si può costruire il tragitto dei raggi che attraversano una lente sferica convessa o concava, utilizzando tre raggi o meglio due perché il raggio centrale che attraversa i punti nodali non subisce deviazione rispetto all’asse ottico. Lente sfera-convessa o positiva o convergente: da un punto qualsiasi dell’oggetto posto al davanti del punto focale primario si fanno partire tre raggi, il primo incrocia il punto focale primario (F) sull’asse ottico, attraversa la lente e fuoriesce parallelo all’asse ottico dirigendosi all’infinito.Il secondo raggio parte parallelo all’asse ottico, entra nella lente e fuoriesce incrociando il punto focale secondario (F’) sull’asse ottico. L’intersezione dei due raggi forma il punto immagine corrispondente al punto oggetto con immagine invertita perché sotto l’asse ottico. Il terzo raggio incrocia il centro ottico della lente nel punto nodale senza subire deviazioni. (Figura 1.18A).

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Manuale di Ottica Clinica

Esempio: i raggi partono dall’oggetto con una vergenza di -2D (=50 cm), se attraversano una lente di +4D, escono con una vergenza +2D (=50 cm). Se l’oggetto è posto tra il punto focale primario (F) e la lente il tragitto dei raggi è costruito come sopra detto, il primo parte da (F) passa per il punto oggetto, entra nella lente e fuoriesce parallelo all’asse ottico, il secondo entra nella lente parallelo all’asse ottico e fuoriesce incrociando il punto (F’), il terzo centrale attraversa il centro ottico della lente senza essere deviato. (Figura 1.18B) Dietro la lente non si forma nessun punto immagine perché i raggi sono tutti e tre divergenti. (Figura 1.18C) ma se i tre raggi sono prolungati in maniera retrograda si forma un’immagine virtuale diritta ed ingrandita dietro il punto oggetto, in modo analogo a quanto avviene in clinica quando si osserva il fondo oculare con l’oftalmoscopio indiretto. Lente sfera-concava o negativa o divergente: il tragitto dei raggi è uguale a quello delle lenti convesse con la differenza che la lente concava li fa divergere. Il punto focale anteriore (F) si trova dietro la lente e per definizione un raggio che passa da (F) esce dalla lente parallelo all’asse ottico e sarà a più infinito (Figura 1.19A) allo stesso modo di come si forma l’immagine di un oggetto virtuale nel piano focale anteriore di una lente concava. Il secondo raggio entra nella lente parallelo all’asse ottico e passa per il fuoco immagine (F’), (Figura 1.19B) analogamente a come un oggetto

+10D -20D

Figura 1.18 A Tragitto dei raggi in un diottro sferico. Spiegazione nel testo.

reale posto a meno infinito ottico formerà un’immagine virtuale nel piano focale posteriore di una lente concava.

Distanze focali La distanza focale anteriore (DFA) è la distanza tra il fuoco oggetto ed il punto principale anteriore mentre la distanza focale posteriore (DFP) è tra il punto principale posteriore ed il fuoco. Entrambe sono espresse in metri, la potenza (P ) o potenza rifrattiva della lente si esprime in diottrie (D) e corrisponde all’inverso della distanza focale espressa in metri. DFA =

no

DFP =

P

ni P

Esempio: una lente di +5D posta in un mezzo omogeneo ha una DFA di -20 cm ed una DFP di +20 cm (1/5 = 20 cm).

A

-2D

-10D

F’ oggetto

F

rag

gio

cen

tral

5 cm

5 cm

F’

F’

e

50 cm

50 cm

40 cm +10D

B -2D

immagine virtuale F

F’ oggetto

F’

F’ 50 cm

Figura 1.18 B e C Tragitto di un raggio attraverso una lente sferica convessa. B. L’oggetto è a destra del fuoco anteriore. C. L’immagine è ingrandita, dritta, virtuale, localizzata a sinistra dell’oggetto.

20

50 cm

Figura 1.19 Tragitto di un raggio attraverso lente sferica concava. A. Passa per il fuoco oggetto Fª lascia la lente collimando con l’asse ottico. B. La luce collimata, parallela all’asse ottico, lascia la lente come se andasse ad incrociare il fuoco immagine Fp.


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