Estratto - Aspetti non convenzionali della patogenesi del glaucoma

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Sergio Claudio SaccĂ Alberto Izzotti

Patogenesi del glaucoma. Aspetti non convenzionali

Fabiano Editore


FABIANO Gruppo Editoriale

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Indice

Capitolo 1 Introduzione ........................................................................................................ 7 Capitolo 2 Luce ambientale e antiossidanti endogeni quali principali agenti determinanti di malattie oculari di natura non cancerosa ................................................................ 7 Capitolo 3 La Via di Deflusso convenzionale: Un Tessuto con Unità Morfologica e Funzionale ....... 7 Capitolo 4 Lo stress ossidativo e la camera anteriore ................................................................ 7 Capitolo 5 Dal danno al DNA ai cambiamenti nella funzionalità del trabecolato nell’invecchiamento e nel glaucoma ....................................................................... 7 Capitolo 6 Altri fattori di interesse ......................................................................................... 7 Capitolo 7 Similitudini tra Glaucoma e le neurodegenerazioni cerebrali ..................................... 7 Capitolo 8 Difetti Visivi correlati con l’invecchiamento .............................................................. 7 Capitolo 9 Sostanze di interesse che supportano la terapia del glaucoma .................................. 7

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Prefazione

Quando l’editore Ferdinando Fabiano mi ha chiesto di scrivere un libro sulla patogenesi del glaucoma, mi è sembrato di ricevere, più che un invito, una specie di giustificazione di tutto il tempo che ho impiegato, senza alcuna retribuzione, nello studio dei perché di questa patologia. Oggi, è noto che il glaucoma è una malattia complessa dove molti fattori entrano in gioco, ma nel 1981, anno in cui entrai a far parte della Clinica Oculistica dell’Università di Genova, si pensava che si trattasse di una malattia ove, a causa di un intasamento del trabecolato – un vero filtro vivente, ma simile come funzionamento a quello delle teiere – la pressione intraoculare aumentava, schiacciando la testa del nervo ottico e i suoi vasi, con conseguente sviluppo della otticopatia glaucomatosa. Oggi si sa che questa spiegazione non è corretta, che il passaggio dell’umore acqueo segue un “rituale” complesso, ed è certamente un processo attivo, ove le cellule giocano un ruolo importantissimo. Ma di ciò potrete leggere in questo libro più volte. Molte sono le persone che devo ringraziare per avermi accompagnato durante questi anni di ricerca e formazione. In primis il Prof. Giuseppe Ciurlo, perché malgrado le sue idee non collimassero (almeno inizialmente) con le mie, ha sempre stimolato in me l’interesse per il glaucoma e mi ha spronato ad approfondirne lo studio. Voglio ricordare anche il compianto Professor Mario Zingirian, animo nobile e clinico attento, che essendo un grande esperto di perimetria mi ascoltava sempre con molta attenzione e nonostante tutto mi aiutava. Ricordo, quando, per la prima volta, dissi che la camera anteriore era un vaso: mi guardò con stupore, per poi commentare che avevo idee strane, frutto della mia fantasia, e che non bisognava darmi molto credito. Quando nel 2001 Wang dimostrò che la camera anteriore è un vaso, accolse la notizia con un sorriso, dicendo: “Si vede che Saccà sa ragionare!”. Poi c’è il mio amico Prof. Giovanni Calabria che essendo un letterato vero, non certo come me (ha appena finito di scrivere il suo secondo libro), ed avvezzo alla pesca, mi ha aiutato a comprendere le difficoltà della ricerca, spronandomi a condurla con sempre maggior rigore. Infine, devo un sentito grazie all’Amico e fratello Prof. Alberto Izzotti, senza il quale non avrei potuto scrivere neanche un abstract di quello che poi si è rivelato un percorso denso di verità scientifiche ed articoli su riviste prestigiose, un connubio che ancora oggi perdura. Questo libro è un po’ la summa di quello che abbiamo fatto insieme in tutti questi anni, da quando abbiamo scoperto che il glaucoma è una malattia da radicali liberi. Ricordo che era il 5


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2002 e c’erano solo altri undici lavori nel mondo che parlavano di danno ossidativo e glaucoma. Erano oltre due anni che raccoglievamo campioni di trabecolato umano da pazienti operati di glaucoma quando Alberto mi disse di smetterla di dargli campioni di trabecolato glaucomatoso. Li voleva invece da pazienti sani. Pensai immediatamente che quello sarebbe stato un lavoro monco, perché per avere del tessuto sano, avrei dovuto, poco verosimilmente, uccidere qualche essere umano. Dopo lo sconforto, la fantasia, come di solito accade in frangenti critici, mi venne in aiuto, facendomi imitare Colombo con il suo uovo: gli anellini corneali che restano dopo un trapianto di cornea, hanno, come tutti sanno, per 360° il trabecolato sano. Cosi riuscimmo a superare l’impasse ed a portare a termine il primo lavoro che dimostrava un danno al trabecolato da radicali liberi. Penso al giudizio del referee che ci scrisse di quel lavoro, pubblicato sull’American Journal of Medicine, che avrebbero dovuto leggerlo in tanti, perchè era la massima sintesi possibile tra clinica e biologia. Da allora abbiamo fatto molte cose, alcune anche senza aiuti finanziari, per puro interesse scientifico, ma sempre improntate al più stretto rigore. Ancora oggi, considero questa attività il mio nobile hobby, perché non ho mai guadagnato con la ricerca, anzi. In ogni caso, oltrepassata la soglia dei 60 anni, il mio entusiasmo verso lo studio della patogenesi del glaucoma è rimasto immutato. Tuttavia, ancora oggi abbiamo di fronte molti oculisti che non ostante la sua complessità, si comportano come se il glaucoma fosse un numero. Questo libro è un po’ la risposta a tutti loro, con la speranza di modificare il loro approccio a questa malattia. Devo poi aggiungere che nel corso degli anni ho avuto il conforto, l’appoggio e l’aiuto di Clinici molto più illustri e molto più importanti di me. Cito tra gli altri il Prof. Stefano Gandolfi, che mi ha onorato con la sua amicizia e che mi ha molte volte illuminato durante le nostre lunghissime discussioni, ed il Prof. Gianluca Manni, glaucomatologo dalla preparazione enciclopedica. Insieme, hanno come hobby palesemente dichiarato, quello di prendermi in giro e rimproverarmi su facebook. Non posso non ringraziare un altro grande clinico, il Prof. Marchini che continua a darmi credito con la sua preziosa presenza agli incontri scientifici che io organizzo. E a proposito di questo, ultimi, ma non per importanza, voglio menzionare e ringraziare sentitamente il mio fraterno amico Prof. Carlo Traverso, che mi ha sempre supportato dandomi carta bianca nella ricerca e condividendo moltissime delle mie idee, ed al Prof. Luca Rossetti, il quale ha spartito recentissimamente con me l’onere e l’onore di un congresso internazionale sulla patogenesi del glaucoma, che oltre ad essere foriero di idee e di orgoglio lo è stato anche di fatiche e di apprensioni. Questo libro, scritto a quattro mani con Alberto Izzotti, mio alter ego, o “mio rovescio della medaglia”, come lo ha definito il mio amico e mentore Prof. Gandolfi, spero possa cogliere il vostro interesse, non tanto per svelarvi una verità che non è mai univoca – sola eccezione è Dio – ma per invogliarvi, come lettori, a chiedervi tutti i perché che né io né Alberto siamo stati in grado di sciogliere. Almeno per ora. Genova addì 01/11/2019

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Sergio Claudio Saccà


Capitolo 1

INTRODUZIONE

1.1 Breve excursus storico Il glaucoma è noto in medicina fin dall’antichità. Con il termine “glaucoma”, apparso per la prima volta negli Aforismi di Ippocrate (460-375 a.C.), ci si riferiva generalmente non a una specifica malattia, ma al caratteristico colore assunto dal segmento anteriore dell’occhio interessato (glaukos, “verde bluastro, grigio bluastro”). Questa denominazione ha fatto sì che il glaucoma fosse confuso con varie altre malattie, in particolare con la cataratta. La situazione si chiarì nel 1600, allorché Richard Banister, nel primo libro di oftalmologia in lingua inglese, segnalò che il bulbo glaucomatoso appariva più solido e più duro del normale. Ancora oggi la terminologia introdotta da Banister serve a distinguere, in tedesco, tra cataratta (Grauer Star) e glaucoma (Grüner Star). Nel 1722 Charles Major Seminary di Saint-Yves, nel suo manuale sulle malattie dell’occhio, descrisse per la prima volta un difetto del campo visivo (perdita nel settore nasale), dedicando un capitolo al glaucoma. La prima esposizione di un attacco di glaucoma acuto, risalente invece al 1818, è opera di Antonio Scarpa, che lo descrive quale «amaurosi». Nel 1823 James George Guthrie, il fondatore della Royal Westminster Infirmary for the Cure of Diseases of the Eye, (‘Regia Infermeria per la cura delle malattie dell’occhio di Westminster’), tuttora operante all’interno dell’ospedale Moorfields Eye, descrisse l’ipertensione oculare, associandola a un’alterazione dell’umor vitreo. A William Mackenzie (1791-1868) va riconosciuto il merito di aver compreso l’importanza dell’ipertensione oculare nel glaucoma, che descrisse, sia come ipertensione acuta che cronica, nel suo Trattato pratico sulle malattie dell’occhio, opera fondamentale e universalmente riconosciuta per l’oftalmologia dell’epoca. Nel 1850 Hermann Helmholtz (1821-1894) inventò l’oftalmoscopio, consentendo l’osservazione in vivo della parte interna dell’occhio. Nello stesso periodo, Wilhelm Friedrich Albrecht von Graefe (1828-1870) inventò l’iridectomia come soluzione chirurgica in caso di attacco di glaucoma acuto. La nozione di umor acqueo (AH) quale liquido stagnante fu dibattuta nei primi anni del XX secolo da Theodore Leber (1840-1917). (Figura 1) Successivamente, nel 1923, Seidel dimostrò tramite l’uso di coloranti il flusso continuo dell’AH dalla camera anteriore (AC) dell’occhio. Nel 1965 si è scoperto che l’AH attraversa 7


Patogenesi del glaucoma. Aspetti non convenzionali

Figura 1. Incisione delle Istitutiones Chirurgiches di Lorenz Heister Anterdam 1739 (Parigi Centro di dod. Oftal. Della facoltà di medicina). Il malato viene tenuto fermo dall’assistente del chirurgo oftalmologo. Accanto gli strumenti chirurgici necessary per l’estazione della cataratta. Con lo sviluppo delle conoscenze di oculistica, vennero fondate riviste e società scientifiche (Gli annales di oculistique sono del 1838, la Revue d’ophthalmologie è del 1871, gli Archives d’ophtalmologie del 1887. La Societè Francaise di Ophtalmologie nacque nel 1883

sia il trabecolato (TM) che la via uveosclerale, e che una piccola quantità di liquido viene persa attraverso il limbus sclerale (Bill, 1971). Il deflusso dell’AH è influenzato anche dall’assorbimento di determinate sostanze da parte dell’iride (Raviola & Butler, 1985). Si è rilevato in seguito come l’AH scorra attraverso l'angolo iridocorneale per poi raggiungere il flusso ematico attraverso il canale di Schlemm. L’alterazione di questo percorso determina l’ipertensione oculare. L’invenzione del tonometro ad indentazione è da attribuire a Hjalmar August Schiotz (1850-1927), mentre Hans Goldmann (1899-1991) sviluppò il tonometro ad applanazione, utilizzato anche oggi. Dei numerosi oftalmologi che hanno a loro volta contribuito allo studio del glaucoma è doveroso ricordare Jannik Peterson Bjerrum (1851-1920), per gli studi sul campo visivo, Adolf Weber (1829-1915), per la descrizione dell’escavazione papillare, e Otto Barkan, il capostipite della gonioscopia moderna. Vorremmo infine menzionare Jonas Stein Friedenwald (1897-1955), il quale, mostrando di essere avanti rispetto ai tempi, scrisse: “seguire il paziente affetto da glaucoma con il solo aiuto dell’alone del tonometro, o seguirlo semplicemente determinandone l’acutezza visiva è ottusità clinica”. 8


Capitolo 1 - Introduzione

1.2 Definizione e classificazione del glaucoma Il glaucoma è una sindrome neurodegenerativa caratterizzata da atrofia ottica progressiva, causata dalla morte per apoptosi delle cellule gangliari retiniche in conseguenza di una combinazione di vari fattori, tra cui stress ossidativo, ischemia, danno ai mitocondri e alterazioni del proteoma. Questa complessa malattia colpisce tessuti specifici: nella camera anteriore, il TM; nel sistema nervoso centrale, le cellule gangliari retiniche (RGC) della testa del nervo ottico e il nucleo genicolato laterale (NGL). Una elevata pressione intraoculare (IOP) rappresenta un significativo fattore di rischio per il danno glaucomatoso. Le sindromi glaucomatose possono essere divise in due gruppi sostanzialmente diversi: i glaucomi a pressione normale (NTG) e i glaucomi ad alta pressione (HTG). Questa definizione rimane fondamentale, sebbene controversa. Alcuni autori vorrebbero abolire questa terminologia, ritenendo la definizione di HTG arbitraria e poiché molti pazienti con glaucoma primario ad angolo aperto (POAG) presentano una IOP inferiore al limite statisticamente normale, costituito da 21 mmHg (2 deviazioni standard sopra la media della popolazione costituita da circa 15 mmHg) (Sommer, 2011). La misurazione della IOP è influenzata dallo spessore e dalla curvatura della cornea centrale, nonché dalla lunghezza assiale dell’occhio e dalle sue proprietà biomeccaniche, quali l’isteresi corneale e le sue proprietà di smorzamento viscoso. Di fatto la misurazione della IOP mediante il tonometro di Goldmann è affidabile nel monitorare le alterazioni nel singolo paziente; non sempre tuttavia potrebbe misurare la reale pressione intraoculare (Whitacre e Stein, 1993). Inoltre, il tonometro ad applanazione di Goldmann, l’attuale “gold standard”, potrebbe non essere sufficientemente preciso da misurare la reale IOP (Chihara, 2008). L’aumento della IOP è tipico nei HTG; la sua riduzione a livelli fisiologici è necessaria per evitare la morte delle RGC. La terapia farmacologica ipotonica è viceversa spesso meno efficace nei NTG (de Jonget et al., 1989). In generale, i difetti della testa del nervo ottico e quelli del campo visivo sono simili nel glaucoma, indipendentemente dal valore della IOP (Figura 2). I fattori patogeni tuttavia sono invece considerevolmente diversi. Nel NTG, i difetti localizzati nello strato di fibre nervose sono spesso più vicini alla fovea e risultano di larghezza maggiore rispetto a quelli del POAG (Woo et al., 2003). Durante gli studi angiografici, i tempi di flusso artero-venoso retinico risultano nel NTG significativamente prolungati (Plange et al., 2008). Le anomalie vascolari o della perfusione comportano inoltre nel NTG una maggiore frequenza di emicrania, il fenomeno di Raynaud e apnea notturna (Shields, 2008). La correlazione tra la riduzione notturna della pressione arteriosa e la progressione dei difetti del campo visivo suggerisce che nei pazienti affetti da NTG il disturbo della pressione sanguigna notturna fisiologica potrebbe essere coinvolto nella progressione del glaucoma (Kiuchi et al., 2006). La fluttuazione circadiana nella pressione di perfusione oculare media è inoltre un fattore di rischio per lo sviluppo di NTG; è necessario valutare i fattori di rischio vascolare qualora i pazienti affetti da NTG presentino difetti del campo visivo centrale (Park et al., 2012). Si ritiene che il NTG sia causato principalmente da meccanismi di morte delle RGC non 9


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Figura 2. a: testa del nervo ottico normale; b: Glaucoma a pressione normale: il bordo neuroretinico è ridotto e si possono osservare difetti del campo visivo; c: Glaucoma ad alta pressione: riduzione marcata dell'intero bordo neuroretinico, generalmente associata al campo visivo tubulare. Sia nei casi b e c non è possibile differenziare il tipo di glaucoma dalla sola osservazione della papilla

correlati alla IOP, sebbene i meccanismi patogeni non siano ancora stati compresi. Una insufficiente considerazione della IOP nei pazienti con POAG con cornee sottili può portare a una diagnosi errata di NTG. La sopravvalutazione della IOP in soggetti normali con cornee spesse può portare invece a una errata diagnosi di ipertensione oculare (Doyle et al., 2005). Diversi gruppi di ricerca non hanno rilevato alcuna relazione tra la IOP e la progressione della malattia (Greenfield et al., 2007). Ad esempio, un gradiente di pressione translaminare e una bassa pressione del fluido spinale possono essere fattori importanti nel NTG; il diametro della guaina del nervo ottico risulta inoltre significativamente aumentato nei pazienti con NTG (Jaggi et al., 2012). IOP, pressione del liquido cerebrospinale e pressione arteriosa sono reciprocamente correlate. L’elevata pressione retro-lamina cribrosa porta a una normale differenza di pressione translaminare negli occhi con IOP elevata, evitando così lo sviluppo del danno glaucomatoso del nervo ottico (Ren et al., 2011). Oltre a ciò, lo spazio subaracnoideo del nervo ottico nei pazienti con NTG risulta più piccolo rispetto ai controlli. Nel NTG, la pressione del fluido cerebrospinale nel nervo ottico può essere più bassa, e conseguentemente la differenza di pressione trans-lamina cribrosa potrebbe risultare anormalmente elevata (Liu et al., 2018). I pazienti con POAG mostrano inoltre livelli bassi di glutatione circolante, mentre nei pazienti con NTG, i livelli di glutatione totale circolante sono risultati simili a quelli dei soggetti normali (Park and Moon, 2012). Lo stato degli antiossidanti è significativamente più alto nel NTG rispetto ai controlli sani, mentre nel POAG le difese antiossidanti risultano compromesse (Izzotti et al., 2006). Il POAG si definisce come danno glaucomatoso al nervo ottico in un occhio che tramite gonioscopia non presenta evidenze di chiusura dell’angolo e la cui causa non è ancora identificabile. Secondo la definizione dell'American Academy of Ophthalmology, divulgata nel 1996, il POAG è una neuropatia ottica multifattoriale caratterizzata da perdita acquisita di fibre nervose ottiche.

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Capitolo 1 - Introduzione

La sua gravità viene quindi classificata in termini di danni al campo visivo. Il POAG è la forma più frequente di glaucoma, rappresentando circa il 60-70% di tutti i glaucomi, mentre l’occorrenza di glaucomi ad angolo chiuso primario (PACG) è del 2-8% (Cedrone et al., 2008). Il PACG è correlato alla dimensione dell’angolo irido-corneale, che può chiudersi a causa del contatto dell’iride periferica con il TM. Ciò può determinare il blocco parziale o totale del deflusso dell’AH, con conseguente aumento dell’IOP. Importante distinguere, in questo tipo di glaucoma, tra forme acute, intermittenti e croniche. La forma acuta di PACG si verifica nella minoranza dei pazienti, come indicato da indagini effettuate su campioni di popolazioni africane e asiatiche, mentre più frequenti sono le forme croniche e intermittenti, generalmente asintomatiche (EGS, 2017). Il glaucoma è definito secondario in presenza di una patologia identificabile o di una anormalità, come difetti correlati a uveite, traumi, neovascolarizzazione o dimensioni del cristallino. Appartengono a questa tipologia il glaucoma pigmentario e il glaucoma pseudoesfoliativo. Concorrono allo sviluppo del glaucoma molti fattori, tra cui l’invecchiamento, la predisposizione genetica, fattori ambientali ed endogeni. Nel HTG svolge un ruolo fondamentale il TM, poiché la sua disfunzione porta a una riduzione del deflusso dell’AH e all’aumento della IOP.

1.3 Epidemiologia Nel 2010 la prevalenza media in tutto il mondo del glaucoma ad angolo aperto era dell’1,96%, mentre quella del PACG era dello 0,69% (Quigley & Broman, 2006). I fattori razziali vi svolgono un ruolo di primo piano (Figura 3). Lo studio “Tajimi” sulla prevalenza di POAG condotto in Giappone ha dimostrato che la maggior parte dei pazienti giapponesi con POAG ha una IOP bassa o normale (Iwase et al., 2004). Il tasso di prevalenza di POAG tra gli asiatici americani (6,52%) è simile a quello degli ispanici (6,40%) e superiore a quello dei caucasici (5,59%). I tassi di prevalenza di POAG e NTG sono considerevolmente più alti tra gli asiatici americani (rispettivamente 3,01% e 0,73%) rispetto ad altri gruppi etnici (Stein et al., 2011). La più alta prevalenza di POAG nel mondo si verifica tra gli africani e quella di PACG tra gli Inuit. Numerose prove indicano l’importanza del contributo genetico nell’insorgere del POAG. Come evidenziato da studi condotti su gemelli e parenti, è possibile che il glaucoma si manifesti come un tratto complesso, con più geni che contribuiscono al fenotipo insieme a fattori ambientali non identificati (Lichter, 2001). In conclusione, le proiezioni demografiche per gli anni 2010 e 2020 indicavano il glaucoma ad angolo aperto quale forma di glaucoma più diffusa in Europa, con la previsione di 60,5 milioni di casi di glaucoma ad angolo aperto e ad angolo chiuso per il 2010 e 79,6 milioni di casi entro il 2020, il 74% dei quali ad angolo aperto.

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Patogenesi del glaucoma. Aspetti non convenzionali

Figura 3. Da un punto di vista epidemiologico il glaucoma è una malattia in crescita come tutte le malattie neurodegenerative indipendentemente dai fattori raziali

1.4 La pressione intraoculare quale fattore di rischio Dato che una IOP elevata rappresenta il principale fattore di rischio modificabile per l’insorgenza e la progressione del glaucoma, l’unica terapia consolidata per il glaucoma consiste nell’abbassamento della IOP. L’obiettivo della terapia è raggiungere il livello target di IOP senza incidere troppo nella qualità di vita del paziente. I valori della IOP nella popolazione normale sono per lo più al di sotto della soglia dei 20 mmHg. Una IOP estremamente bassa può causare errori di rifrazione, alterazioni emato-oftalmiche, opacità lenticolari, pieghe maculari e edema del disco ottico. Una IOP alta al contrario può causare anomalie dell’iride, edema corneale, cataratta e neuropatia ottica glaucomatosa. La compensazione della IOP è essenziale per mantenere le condizioni fisiologiche dell’occhio. Di seguito un’importante relazione quantitativa: IOP = F / C + PV, dove F sta per il tasso di formazione di fluido acqueo; C il tasso di deflusso; PV la pressione venosa episclerale. La riduzione della pressione intraoculare mediante trattamenti che riducono la velocità di formazione dell’umor acqueo o aumentano la velocità di deflusso, riducono l’incidenza di danni glaucomatosi in soggetti con IOP elevata. 12


Capitolo 1 - Introduzione

Gli esiti del trattamento risultano talvolta controversi. Ad esempio, Schulzer e collaboratori (1991) non hanno rilevato nella totalità dei casi differenze tra il gruppo trattato e il gruppo sottoposto a placebo. La più convincente evidenza che una IOP elevata possa causare danni al nervo ottico è fornita dal glaucoma secondario. Nei pazienti sottoposti a recessione dell’angolo post-traumatica si sviluppa infatti una IOP elevata che, se non viene abbassata, provoca un danno glaucomatoso. Il danno non si verifica se la IOP viene mantenuta entro limiti normali. Vari fattori possono contribuire alla neuropatia ottica glaucomatosa in diversi casi di NTG; interagendo con la IOP con diversa intensità, questi fattori possono influenzare l’efficacia dei trattamenti per abbassare la IOP (Anderson et al., 2003). Non sempre poi i risultati ottenuti dopo chirurgia filtrante appaiono coerenti. In uno studio prospettico su pazienti sottoposti alla prima trabeculectomia per POAG o PACG, la IOP era risultata ben controllata. Tuttavia, durante il follow-up, l’acuità visiva e il campo visivo risaltavano costantemente diminuiti (Bevin et al., 2008). Nei pazienti con NTG l’effetto positivo della riduzione della IOP sulla progressione della compromissione del campo visivo è stato riscontrato solo eliminando l’impatto della cataratta sulla progressione del danno del campo visivo (Collaborative Normal-Tension Glaucoma Study Group, 1998). È stato tuttavia dimostrato che nel glaucoma precoce la progressiva perdita di funzionalità delle RGC può essere rallentata abbassando la IOP (Ventura et al., 2012). Questi risultati contrastanti sottolineano la varietà di fattori che possono influenzare la salute delle cellule gangliari. Oggi, tuttavia, l’approccio terapeutico adottato dagli oftalmologi mira solo a ridurre la IOP, trascurando altri fattori potenzialmente importanti. La correlazione tra IOP e glaucoma, sebbene evidente, non è stata ancora chiarita. (Figura 4) I valori della IOP in effetti non sono costanti, ma variano nelle 24 ore (Figura 5). Le maggiori fluttuazioni si verificano nei pazienti affetti da POAG (Figura 6) e il deterioramento del campo visivo si verifica negli occhi che presentano variazioni circadiane di maggiore entità. Anche il volume dell’AH è soggetto a variazioni circadiane. Il ritmo circadiano, notato per la prima volta da Sidler-Hugenin nel 1899, è stato poi confermato da molti altri ricercatori. Il fatto che queste oscillazioni siano presenti in tutti i pazienti, compresi quelli sottoposti a trattamento, suggerisce l’ipotesi di un controllo centrale o neuro-ormonale. Ad esempio, in conigli sottoposti a condizione di alternanza luce-buio, la IOP aumenta con l’inizio del buio, a causa dell’aumentata attività dei nervi simpatici oculari (Liu et al., 1994). Studi condotti mediante fluorofotometria hanno inoltre dimostrato che la secrezione di AH rimane costante nelle ore diurne, ma diminuisce notevolmente durante il sonno. Ciò ha portato a ipotizzare che i valori di IOP notturni potrebbero essere inferiori ai valori diurni. La produzione di AH e la IOP sono tuttavia eventi relativamente indipendenti. I picchi di pressione misurati al risveglio infatti non riflettono un aumento della produzione di AH. Questi picchi, di circa 6 mmHg, sono probabilmente correlati al processo del risveglio. Ciò potrebbe significare che le curve della tonometria notturna non siano molto affidabili, in quanto influenzate dagli aumenti di pressione dovuti al risveglio, necessario per valutare la IOP. In studi precedenti abbiamo identificato sei tipi di curve della IOP diurna. Nel 50% dei 13


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Figura 4. Distribuzione della pressione oculare nella popolazione: La Linea A indica la distribuzione di frequenza delle pressioni intraoculari nella popolazione. la distribuzione è asimmetrica (code) a destra. La linea B rappresenta la normale “popolazione” che completa una distribuzione gaussiana. La Linea C rappresenta la popolazione anormale, che aggiunto alla popolazione normale produce la “coda”.

Figura 5. Nella maggior parte dei casi, la parte discendente dell'onda sinusoidale corrisponde all'andamento mattutino del valore IOP, mentre la parte crescente della curva corrisponde ai valori IOP durante la notte. Le variazioni di pressione individuali possono essere sovrapposte a questa onda per rappresentare gli intervalli in IOP che si verificano in un dato punto lungo la curva delle 24 ore

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Capitolo 1 - Introduzione

Figura 6. Questo tipo di curva tonometrica è la più frequente nel POAG mentre nel NTG e nei soggetti normali il tono in quasi il 50% è stabile. (Saccà et al. 1998)

casi di POAG, la curva mostrava un ritmo circadiano concavo, con variazioni medie più alte al mattino e più basse nel primo pomeriggio. La stessa tendenza è stata osservata nel 35% circa dei soggetti sani e dei pazienti con NTG. I nostri risultati hanno anche mostrato che a un tono più alto corrispondevano fluttuazioni più evidenti. Nella maggior parte dei casi abbiamo riscontrato che la IOP più elevata si verificava al mattino (8:00). Nell’uomo, la curva della IOP è simile a una curva sinusoidale, la cui parte concava è osservata di giorno, la parte convessa di notte (Saccà et al., 1998) (Figura 3). Il TM è una struttura attraverso la quale passa l’AH; le sue cellule endoteliali sono organizzate in un reticolo, al fine di aumentare la superficie filtrante complessiva. Si ritiene che nel glaucoma svolga un ruolo importante l’interazione tra le cellule del TM e i radicali liberi. Da questo punto di vista, la IOP potrebbe essere considerata un indicatore della salute del TM, nel senso che l’aumento della IOP è causato da cellule TM disfunzionali. Abbiamo dimostrato che sia il timololo che la dorzolamide, ampiamente utilizzati per abbassare la IOP, agiscono come antiossidanti in grado di proteggere le cellule endoteliali e i loro mitocondri (Saccà et al., 2011). Nella terapia del glaucoma l’obiettivo finale dovrebbe essere dunque non solo abbassare la IOP, ma anche proteggere le cellule del TM. Le moderne teorie sulla funzione del TM non lo considerano un filtro passivo, ma un tessuto altamente regolato e metabolicamente attivo. L’aumento della IOP non risulta pertanto dall’ostruzione degli spazi inter-trabecolari e dei pori del TM (Sit et al., 1997). Il TM è inoltre in grado di contrarsi e rilassarsi al fine di aumentare o ridurre il numero di cellule esposte all’AH (Saccà et al., 2016a). Le fluttuazioni della IOP riflettono probabilmente i cambiamenti di motilità nel TM. All’interno della popolazione glaucomatosa, è stata riscontrata una perdita progressiva del campo visivo nei pazienti che presentano 15


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fluttuazioni della IOP significativamente maggiori rispetto a quelli con campo visivo stabile. Oltre a ciò, i picchi della IOP sono stati associati alla progressiva perdita della vista, indipendentemente dalla IOP media (Zeimer et al., 1991). Questi picchi sono probabilmente correlati alla disfunzione del TM, la cui base molecolare è descritta di seguito.

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CAPITOLO 2

Luce ambientale e antiossidanti endogeni quali principali agenti determinanti di malattie oculari di natura non cancerosa 2.1 Introduzione L’ozono, presente negli strati superiori dell’atmosfera (Figura 1), è un gas altamente ossidante; le sue molecole sono formate da tre atomi di ossigeno. Ciononostante, l’ozono è essenziale per la vita sulla Terra, per la sua capacità di assorbire la radiazione ultravioletta (UVR). Man mano che attraversa l’atmosfera, la UVR del sole viene dispersa e assorbita, assorbimento mediato principalmente dall’ossigeno molecolare e dall’ozono. Il 90% dell’ozono si trova nella stratosfera (fino a 40 km), il resto nella troposfera. Questi strati di ozono impediscono di raggiungere la superficie terrestre a quasi tutte le lunghezze d’onda a banda corta inferiori ai 290 nm. Assorbono inoltre il 70–90% della UVB. L’assottigliamento dello strato di ozono (ozonosfera) ha portato a un aumento della radiazione UVB solare che raggiunge la superficie terrestre, con molteplici conseguenze per la salute umana. Il sole rappresenta la principale fonte naturale di luce ultravioletta; i raggi UV hanno un effetto fortemente deleterio sul materiale genetico cellulare, influenzandone l’integrità. La UV è stata classificata in tre bande per lunghezza d’onda: UVA (320–400 nm), UVB (290–320 nm) e UVC (<290 nm). La UV produce specifici effetti genotossici, inducendo mutazioni e danni al DNA. I danni derivanti dai raggi UV sono determinati da una reazione fotochimica la cui efficienza dipende dalla lunghezza d’onda e segue l’assorbimento diretto di energia UV da parte delle basi del DNA [1], dai lipidi e dalle proteine [2]. La UV induce inoltre stress ossidativo nelle cellule irradiate attraverso la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS), tramite l’attivazione di riboflavina, triptofano e porfirina, che a loro volta possono attivare l’ossigeno cellulare [3]. Lo stress ossidativo si definisce come lo squilibrio tra la produzione di ROS e le capacità antiossidanti della cellula. La principale conseguenza di questo fenomeno è il danno alle macromolecole cellulari. L’attacco dei ROS, in particolare dei radicali idrossilici, sugli acidi nucleici può causare mutazioni, tra cui modifiche dei nucleotidi che distorcono l’elica o frammentazione della spina dorsale dello zucchero-fosfato. Se proteine ​​e lipidi modificati possono essere eliminati attraverso il normale processo di rinnovamento cellulare, viceversa il danno al DNA deve essere riparato, poiché può indurre mutagenesi (ad es. sostituzioni di basi, transizioni, transver17


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Figura 1. L’ozono si forma naturalmente per effetto dell’interazione delle molecole di ossigeno presenti nell’atmosfera con le radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole. La concentrazione naturale di ozono rimane pressoché costante grazie all’equilibrio tra il processo di produzione e quello di distruzione operato da alcuni composti dell’azoto, anch’essi presenti in atmosfera. A livello della stratosfera, lo strato di ozono crea una sorta di schermo protettivo che assorbe le dannose radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole, consentendo la vita sulla Terra. Questo tipo di radiazioni, infatti, altamente energetiche e penetranti, possono alterare e danneggiare il DNA degli esseri viventi. Nella troposfera, invece, la formazione dell’ozono è correlata soprattutto alle emissioni inquinanti degli autoveicoli e delle industrie, che rilasciano nell’aria anidride solforosa, ossidi di azoto e composti organici volatili. Questo ozono ha un notevole potere ossidante e risulta nocivo per la salute degli organismi, uomo compreso. Per mantenere costante la quantità di ozono nella stratosfera devono avvenire reazioni fotochimiche che devono essere in perfetto equilibrio fra di loro, ma sono facilmente perturbabili da molecole che possono interferire in questo equilibrio, come i composti clorurati (come i clorofluorocarburi), i bromurati e gli ossidi di azoto. L’emissione di questi composti in atmosfera accentua il naturale assottigliamento dello strato di ozono che permette alle radiazioni ultraviolette di arrivare sulla superficie terrestre con la seria possibilità di provocare gravi danni agli esseri viventi

sioni, frame-shift o traslocazioni cromosomiche), alterare la normale espressione genica, e creare prodotti proteici aberranti che sono dannosi per la funzione e vitalità cellulare, in quanto possono determinare l’arresto del ciclo cellulare e della riparazione del DNA o l’attivazione di percorsi apoptotici. Da un punto di vista fisiologico, il danno al DNA è rilevato dalle proteine-sensore e viene quindi riparato, soprattutto mediante il sistema di riparazione per escissione di basi. In questo sistema le cellule hanno checkpoints che attivandosi arre18


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stano il ciclo cellulare, impedendo quindi la replicazione del DNA danneggiato e difettoso [4]. Le cellule sono inoltre dotate di enzimi che riconoscono e rimuovono le basi danneggiate o danni al DNA più complessi, in modo da prevenire mutagenesi e disfunzione cellulare che determinano cancro, neurodegenerazione e altri stati patologici [5]. Nel DNA nucleare e mitocondriale, la lesione del DNA più frequentemente rilevata e studiata è l’8-OHdG, che è stata quindi ampiamente utilizzata come biomarcatore di stress ossidativo [6,7]. Oltre che come biomarcatore per la misurazione del danno ossidativo endogeno al DNA, di recente l’8-OHdG è stata impiegata in numerosi studi anche come fattore di rischio per molte malattie, tra cui il cancro [8]. In linea di principio, lo stress ossidativo gioca un ruolo fondamentale in due categorie fondamentali di malattie: nella prima, i mitocondri sono il sito principale di elevata produzione di ROS. Nel cancro ad esempio, nei mitocondri si verifica uno squilibrio ossidativo a favore delle specie ossidate nello stato redox tiolo-disolfuro sistemico e ridotta clearance del glucosio. La seconda categoria può essere definita “processi infiammatori ossidativi “, poiché si tratta di malattie in genere associate a eccessiva stimolazione dell’attività del NAD(P)H ossidasi da parte di citochine o altri agenti. Stress ossidativo e infiammazione sono interconnessi e hanno molti circuiti di feedback; è pertanto difficile distinguere i due processi. Numerosi studi stanno attualmente analizzando mutazioni critiche della via mitocondriale e dei processi infiammatori che sono alla base dell’aumento, con l’età, di stress ossidativo e infiammazione [9-11]. La respirazione mitocondriale nei pazienti con malattie a livello dei mitocondri viene infatti compromessa nei tessuti colpiti. La respirazione mitocondriale si riduce nei tessuti dell’uomo con l’età [12]. Nelle cellule che invecchiano, lo stress ossidativo riduce anche il numero di mitocondri e induce l’espressione di geni i cui prodotti riducono gli ossidanti; questo processo induce infiammazione [13]. Gli occhi sono costantemente esposti agli effetti dei raggi UV (Figura 1), cui numerose prove attribuiscono la patogenesi dei tessuti oculari. Quando i raggi UV raggiungono l’occhio, la quantità assorbita da strutture diverse dipende dalla lunghezza d’onda [14]. Le lunghezze d’onda più corte sono per lo più assorbite nella cornea; il 92% dei raggi UV aventi lunghezza d’onda di 300 nm ad esempio, viene assorbito nella cornea. Una proporzione più grande di lunghezze d’onda maggiori attraversa la cornea per raggiungere il cristallino; pertanto oltre il 50% di UVA a 360 nm viene assorbito dal cristallino [15]. I tessuti oculari sono tuttavia ben muniti di difese antiossidanti. Le cellule epiteliali corneali, normalmente esposte a elevati livelli di ossigeno, possiedono forti difese antiossidanti, efficaci per la protezione dagli insulti legati ai ROS. Altri tessuti oculari al contrario, come il trabecolato, non sono direttamente esposti alla luce e si trovano in compartimenti a basso contenuto di ossigeno; sono pertanto scarsamente muniti di difese antiossidanti e meno in grado di contrastare gli effetti dannosi dei ROS. In questo capitolo metteremo in relazione il danno ossidativo che deriva da radiazioni non ionizzanti con patologie di natura non cancerosa dell’occhio, diffuse in tutto il mondo che hanno una alta prevalenza nella popolazione umana. 19


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2.2 Le difese antiossidanti Lo stress ossidativo riflette l’eccessiva formazione e/o una diminuita rimozione di ROS. Livelli eccessivi di ROS, provocando danni al DNA, inducono l’apoptosi in vari tipi di cellule [16]. L’ H2O2 funge direttamente da messaggero per l’attivazione di NF-κB [17]. I ROS attivano il fattore di trascrizione NF-κB, che induce l’espressione di una grande varietà di fattori, tra cui citochine pro-infiammatorie (IL-1/6 e TNF-α) [18]. Pertanto, livelli adeguati delle difese antiossidanti responsabili dello scavenging dei radicali liberi sono essenziali per l’omeostasi ossidoriduttiva e per l’inibizione dell’infiammazione. Un antiossidante può essere sommariamente definito come una qualsiasi sostanza che ritardi o inibisca il danno ossidativo diretto verso una molecola bersaglio [19]. Alterazioni nella concentrazione di ROS influenzano la capacità di scavenging. In condizioni normali, la quantità di ROS nei tessuti è relativamente bassa. L’aumento di superossido o di monossido di azoto porta a un temporaneo squilibrio, che costituisce la base della regolazione ossidoriduttiva. Il persistente aumento della produzione di ROS o di specie reattive dall’azoto (RNS) può portare a cambiamenti persistenti nella trasduzione del segnale e nell’espressione genica, da cui possono risultare condizioni patologiche. Nei tessuti oculari queste interazioni possiedono aspetti peculiari. Dalle sezioni esterne a quelle interne, la superficie oculare è composta dal film lacrimale, dalla congiuntiva e dalla cornea, che costituiscono, insieme all’umor acqueo, la prima barriera fisica e biochimica dell’occhio e svolgono un ruolo fondamentale nel contrastare i radicali liberi.

2.1. Il film lacrimale Oltre a proteggere dalla radiazione ultravioletta, il film lacrimale contiene diversi tipi di componenti che proteggono le cellule della superficie oculare da fattori fisici, tra cui umidità [20] e temperatura [21]. Svolgono un ruolo importante nel film lacrimale gli antiossidanti (Figura 2). Nelle lacrime dell’uomo si trovano vari tipi di antiossidanti. Acido ascorbico, tirosina, glutatione ridotto, cisteina e acido urico (328 µM) sono tutti presenti nel film lacrimale [22]. Non è chiaro se gli antiossidanti lacrimali derivino ​​principalmente da cellule corneali o ghiandole lacrimali [23]. La concentrazione totale di antiossidanti nelle lacrime è di circa 400 mM; la metà circa del totale è rappresentato da ascorbato e urato [24]. L’acido urico, un importante antiossidante nei primati superiori, partecipa a una reazione Fenton con il perossido [25]. La vitamina C, o acido ascorbico, è presente nelle secrezioni della ghiandola lacrimale principale, ma ha una concentrazione inferiore nelle lacrime basali [26]. Il film lacrimale contiene anche immunoglobulina A, lipocalina (la principale proteina nelle lacrime con la capacità di legare i lipidi) e altre proteine in grado di proteggere la cornea dal danno ossidativo [27]. La lipocalina è coinvolta nella risposta immunitaria aspecifica. Rispetto ai pazienti più giovani, nelle lacrime dei soggetti anziani si riscontra una minore difesa complessiva contro i 20


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Figura 2. All’interno della cellula i radicali liberi possono essere generati in vari modi. Le radiazioni ionizzanti idrolizzano l’acqua (H2O) a idrogeno (H) e radicale ossidrilico (•OH). Fanno parte di questa categoria i raggi ultravioletti, i raggi X e i raggi gamma. Le infiammazioni sono processi che scatenano la produzione di ROS da parte della NADPH ossidasi dei leucociti al fine di sbarazzarsi di organismi patogeni; talvolta però i radicali liberi prodotti danneggiano anche cellule sane. Alcuni enzimi come la xantina ossidasi che genera O2-, la NO sintasi che genera NO, la superossido dismutasi che genera H2O2, oppure a partire da enzimi che metabolizzano farmaci o altre sostanze chimiche esogene. La fosforilazione ossidativa che si verifica durante la respirazione cellulare e che genera piccole quantità di ciascuno dei tre più importanti ROS. I metalli di transizione fungono da catalizzatori nelle reazioni che portano alla produzione di radicali liberi. Il più comune è il Fe2+ tramite la reazione di Fenton, seguito dal rame (Cu). Altri radicali liberi possono concorrere alla formazione di ulteriori radicali liberi, per esempio quando NO e O2- reagiscono per formare il perossinitrito ONOO-

processi foto-ossidanti e ossidativi [28]. La lipocalina lacrimale è presente in misura ridotta nelle lacrime delle persone affette da disturbi caratterizzati da una ridotta secrezione lacrimale come la malattia di Sjögren [29]. Un altro fattore protettivo è costituito dalla concentrazione di K+. La radiazione UV comporta infatti l’attivazione dei canali del K+, la quale provoca perdita di K+ intracellulare. Ne consegue l’attivazione di percorsi apoptotici [30,31], in quanto la perdita di K+ intracellulare attiva l’iniziatore caspase-8 e l’effettore caspase-3, portando a frammentazione del DNA nelle cellule epiteliali corneali [32]. 21


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