L'apprendista stregone II tema dello scienziato che indaga instancabilmente la realtà alla luce della ragione e finisce per discoprire mostri, è stato motivo ispiratore di una vasta letteratura. Aldrovandi, più che discoprire mostri, in realtà, si limita a classificarli o a costruirne di nuovi tramite il montaggio di parti anatomiche appartenenti ad animali diversi. Egli ricerca le cause che generano i mostri, inoltre i suoi studi, più che basarsi sull’indagine, si fondano sul viaggio, inteso sia in senso mentale, su ponderosi e polverosi trattati di filosofia naturale, che fisico, attraverso paludi ed anfratti montuosi. Viaggio che più propriamente dovremmo chiamare escursione, dato che, a differenza dell'Ulisse omerico, Aldrovandi era radicato alla sua terra. Il viaggio aldrovandesco è simile a quello immaginario effettuato da Giulio Cesare Croce nella sua "Cosmografia poetica", dove la realtà si interseca con il mito ed il cui fine precipuo è il sorprendere per la varietà di esseri straordinari incontrati: creature multiformi, dove si fondono elementi umani, bestiali e caratteri specifici di differenti specie, in metamorfosi che ricordano più le trasmutazioni dantesche della settima bolgia che l’opera di Ovidio. Aldrovandi ci mostra gemelli siamesi ed esseri deformi per sovrabbondanza o carenza di arti, come vitelli lunari con più di quattro zampe o sciopedi con una gamba sola che utilizzano per proteggersi dal sole cocente, o ancora esseri pennuti fantastici e draghi. Questo zoo dell’assurdo convive con forme consuete di animali sullo sfondo di piante comuni. Questo aspirare allo straordinario e al fenomenale mostra un evidente tentativo di voler emergere, di voler apparire come una figura eccezionale, depositario di una collezione unica nel suo genere, sia per la rarità dei reperti che per la loro vastità e varietà. E’ questa pulsione che spinge Aldrovandi a rinvenire nei fossi veri e propri draghi, o a raccogliere animaletti, disseccarli , poi a costruire nuove specie ricomponendoli a sua discrezione. E’ il caso della "cetrina" e dei rospi provvisti di zanne e di coda. Non si tratta comunque di una operazione del tutto arbitraria e nemmeno di una creazione artistica fine a se stessa, volta ad arricchire il panorama zoologico del suo teatro naturale, bensì è un tentativo di ricostruire forme animali ritenute esistenti e descritte da Aristotele.
Come l’illustrazione dei draghi deve essere fedele alle fonti, in funzione dei vari luoghi geografici di provenienza di queste creature immaginarie, ma ritenute reali, cosi il montaggio dei disparati elementi anatomici con altri appositamente costruiti in legno ha un fine didattico e divulgativo. Si tratta di rappresentare fedelmente forme viventi note, per il momento non reperibili, ma la cui esistenza è assicurata dal probatorio "ipse dixit". In fondo è una operazione scientifica del tutto analoga a quella effettuata ancor oggi dai paleontologi, quando ricostruiscono la forma di un dinosauro a partire dai fossili. Il margine di arbitrarietà di tale operazione non inficia l'oggettività scientifica. L’aspetto teatrale o farsesco che possiamo intravedere nelle ricostruzioni aldrovandesche non è difforme dagli odierni filoni filmici sul tema dei dinosauri. In ogni caso, pur così caratterizzata, la figura aldrovandesca manca della tragicità,o almeno della drammaticità, che tipizzano il personaggio letterario del dottore quale apprendista stregone. Aldrovandi finisce piuttosto per identificarsi con il dottore della commedia dell’arte, con lo stravagante Graziano crocesco, oppure con il Balanzone dei burattini. Aldrovandi può anche considerarsi l'ispiratore indiretto dei vari personaggi del dottore messi in scena da Molière, per finire con il "docteur Bolonais" che raccoglie i semplici, tra Colombina ed Arlecchino, nelle "Fetes Gâlantes" di Verlaine, quando ormai le figure delle maschere sono rese evanescenti. Aldrovandi non può invece simboleggiare quella figura di scienziato che discopre verità scomode e dissacratorie o che tenta, con mezzi puramente umani, di squarciare il velo dei misteri insondabili. Dante, nella sua Commedia, considera diverse figure di tal tipo, innanzitutto alcuni famosi indovini e maghi che, per voler vedere troppo avanti, non solo non discoprono le verità autentiche, ma si trasformano essi stessi in mostri, dove la medesima natura umana è stravolta, trovandosi con il capo ruotato contro la schiena a piangere lacrime amare che scorrono copiosamente lungo le natiche. Il loro continuo moto circolare, con lo sguardo a ritroso, stigmatizza la vanità della ricerca effettuata con le sole forze umane, prescindendo da Dio, e l'impossibilita di sondare il futuro.
Ma nella Commedia, la figura che meglio simboleggia lo scienziato è Ulisse, figura eroica che intende ergersi al di sopra dei bruti per ritrovare la dignità dell'uomo nella ricerca della virtù e della conoscenza. Ma tale ricerca è definita da Dante un "folle volo", perché ripropone il peccato originale, satanico, dell'orgoglio, della creatura che vuole essere pari a Dio. Il proposito di Ulisse quindi naufraga assieme alla sua fragile imbarcazione che raffigura la caducità della natura umana, la sua finitezza, anche se il motivo della condanna è piuttosto la fraudolenza, ossia la razionalità utilizzata per fini immorali. Il tema dello scienziato superbo che vuol giungere oltre i limiti della conoscenza é ripreso da Marlowe. Qui il mostro discoperto è l'elemento spirituale, demoniaco, che da un lato alimenta la stessa sete di conoscenza, ma che dall'altro blocca repentinamente la ricerca a causa dello scadere del tempo. Sarà infatti il battere delle ore, poi dei minuti, poi dell'ultimo istante a stroncare definitivamente ogni aspirazione di Faust. Goethe riprenderà questa vicenda reinterpretandola secondo il gusto romantico in senso sentimentale, infatti l’oggetto della ricerca di Faust, ispirata dal diavolo, non è più la discoperta di occulte verità naturali, ma piuttosto l'esperienza sensuale ed amorosa che cambiando infine di registro, sublimandosi in un amore spirituale, purificato dalle passioni, costituirà motivo di redenzione. Arrigo Boito, nella sua riduzione teatrale, sintetizzerà la vicenda facendo gridare a Faust che solo l’Amore della Vergine è degno di cristallizzare per l' eternità l'ultimo istante di vita, nell’invocazione "tu sei bello !", poiché l’amore reale per Margherita fu dolore e quello ideale per Elena fu sogno. Credo che Dante non avrebbe approvato questo risvolto della vicenda e che, piuttosto, come Mariowe avrebbe fatto precipitare Faust all'inferno, forse nel girone dei maghi o, più probabilmente, in quello dei seduttori, costretti a correre incessantemente sotto le sferzate dei demoni cornuti. Non credo, infatti, che per la morale cattolica la sola delusione che consegue alla vana ricerca del godimento sia di per se stessa salvifica. Manca infatti in Faust un autentico combattimento spirituale. Sia nel sabba infernale con i diavoli e con le silfidi della tradizione gotica, che nel sabba classico corrispondono a sirene e a fauni, Faust appare uno spettatore passivo ed è incapace di scorgere in queste forme l’incarnazione degli spiriti del male, secondo la dottrina di Paracelso.
In Frankenstein, di Mary Shelley, vediamo poi come le pratiche occulte della tradizione cabalistica vengano sostituite dalla moderna tecnologia, mediante l’attribuzione di poteri mistici alla corrente elettrica, che si sostituisce al soffio divino per dare vita a una versione rimodernata del Golem. Questa creatura, orribile ma dotata di prestanza fisica eccezionale, si ribellerà al suo artefice con una pervicacia vendicativa che ha qualcosa di femminile, quasi una componente erotica insoddisfatta, tanto nella ostinazione che nei contraddittori rimorsi. Il tema del mostro che si ribella al suo creatore è ripreso da Stevenson, ma Mr. Hide è una parte di noi stessi, un elemento spirituale indivisibile della nostra anima, che può emergere con personalità propria soltanto grazie ad una specifica droga elaborata dal dr. Jekyll. Stevenson, come Mary Shelley, attribuisce alla tecnica scientifica poteri magici, cioè la possibilità di intervenire sull’ elemento spirituale servendosi di mezzi materiali, quali formulazioni chimiche oppure scariche elettriche. La componente sciamanica, che tradizionalmente si esprime per simboli o per segni, è qui sostituita dal solo supporto fisico, cioè il significante si sostituisce al significato. L’apprendista stregone moderno, cioè, pretende di dominare il mondo spirituale senza la mediazione degli enti spirituali stessi, a differenza di Faust. Viene così abbandonata la valenza simbolica dell’oggetto materiale, che è il vero tramite verso il mondo spirituale, attribuendo anche a questa ultima dimensione il determinismo del mondo fisico, anzi ritenendo la dimensione spirituale come subalterna al teatro della natura e da questo prodotta. Il cielo viene scambiato con la terra, la materia pretende di produrre la coscienza, é il rovescio della creazione, l’informe presume di contenere in se stesso la forma. In conclusione l'apprendista stregone si identifica con il metodo scientifico inteso in senso assoluto e con come tecnica rivolta a fini pratici.
Questo metodo, basato sul maniacale reiterarsi delle sperimentazioni e sulla fredda applicazione di astratti algoritmi che, nel loro artificio, non possono racchiudere la complessità del reale, pretende allora di essere l’unica strada che porta alla conoscenza. Mai, però, potrà darsi una equazione che possa descrivere tutta la complessità e la bellezza di una onda che si frange sugli scogli o di un cielo cosparso di nubi, risultando piuttosto più efficace a rievocarli una frase poetica o un dipinto. Ancora meno una equazione potrà descrivere gli aspetti spirituali e la dimensione esistenziale dell'uomo. Il metodo empirico, presumendo di poter essere applicato in ogni ambito e scambiando i mezzi con i fini, prevarica allora in campi che non gli sono propri e si rivela, oltre che inefficace, disastroso.
L'apprendista stregone
Gli oscuri liquidi abissi, le terre oltre i monti lontane, gli alti cieli elevati al di lĂ delle nubi, ogni loro mistero, ogni occulto potere, ogni origine e fine tormentano, pungolano, eccitano l'avida sete insaziabile del moderno apprendista stregone. Ulisse, Faust, Frankenstein, Jekyll e mille altri impavidi incoscienti tuffati nel folle volo e poi sommersi nel vano eterno correre a ritroso che in circolo castiga tutti quelli che troppo avanti vollero scrutare. Ăˆ la caduta dello scienziato, il destino a questo riservato per il maniacale altero reiterarsi di ossessive replicate sperimentazioni, degli astrusi algoritmi, delle deduzioni che ruotando nelle teoriche spire di rigorose superbe applicazioni negano al profondo Mistero la superioritĂ esistenziale. Nella sua tracotanza lo sciagurato ha confuso il materico significante con il divino nascosto significato, ha preteso di scambiare la vita del cĂŹelo con la fredda zolla inanimata, ha negato, ha respinto del trascendente le manifestazioni. Nel ricercare caparbio la forma si infanga con la terrea materia, spalanca le atre porte dell'informe, del caos, della mostruosa Chernobyl moderna.