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INDICE

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Introduzione

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Dissoluzione della città

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La grande dimensione

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Caratteri architettonici del centro commerciale

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aria condizionata scale mobili parcheggi

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Impatto ambientale dei centri commerciali (documento)

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Cenni storici sull’evoluzione dei centri commerciali nel mondo

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Centri commerciali elencati in ordine cronologico Progetti recenti Centro commerciale Vulcano Buono, Nola, Napoli.

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Ripetitività, anonimato, identità

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La mcdonaldizzazione Aeroporto Parco a tema Villaggio turistico

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Il centro commerciale e l’economia dell’experience

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Strategie di marketing

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Marchi, loghi e griffe

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Iconografia

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Pop-Art Learning from Denis Scott e Robert Venturi Pubblicita’ Flyers d’architettura L’architettura dei videogame La percezione del tempo e la velocità Il contributo del dibattito architettonico sui moti apparenti o relativi

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Diagrammi

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Diagrammi: governare la complessità di un centro commerciale La “promenade architecturale” l’esempio di Le Corbusier a Chardigarh, Punjab


pag.76 pag.76 pag.81

Sezione letteraria “Regno a venire”: il futuro consumato secondo J. G. Ballard “La società sotto assedio”, “modernità liquida”: il concetto di globalizzazione secondo Zygmunt Bauman

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Conclusioni

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Bibliografia

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Ringraziamenti


INTRO Il mio lavoro di tesi si propone di trattare lo spazio dei centri commerciali mediante sequenze narrative, una sorta di montaggio della realtà contemporanea. Ho cercato il paragone con i modi di fruizione del mezzo televisivo e cinematografico e la ridondanza dei messaggi che essi comportano poichè si adatta maggiormente a una condizione di continue interruzioni e di casuali inserimenti presenti nella struttura narrativa della città contemporanea. L’analisi è stata condotta sotto un profilo storico e bibliografico. < ...a highway designer cannot be sure that people will watch his drama from beginning to end. They will enter and leave the highway ay intermediate points, even if these points are as limited in number as they are on a superhighway. The sequence must therefore be interruptible>.

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“(...)La profondità di campo delle prospettive classiche è stata sostituita, fin dal principio del XX secolo, dalla profondità di tempo delle tecniche avanzate. Lo sviluppo dell’industria cinematografica e di quella aeronautica ha seguito di poco l’apertura dei grandi boulevards. Alla sfilata haussmanniana ha fatto seguito la sequenza accelerata dei fratelli Lumiére, dopo la spianata degli Invalides è venuto l’invalidamento del piano urbanistico, e lo schermo ha improvvisamento sostituito la piazza, come crocevia dei mass media. Dall’estetica dell’apparizione di un’immagine stabile, presente per la sua statica all’estetica della sparizione di un’immagine instabile, presente per la sua fuga(cinematica, cinematografica...), abbiamo assistito ad una trasmutazione delle rappresentazioni. All’emergenza di forme, di volumi destinati a persistere nella durata dei loro supporti materiali, hanno fatto seguito immagini la cui sola durata è data dalla persistenza retinica. Insomma, ancor più della Las Vegas di Venturi, sarebbe piuttosto Holliwood a meritare una tesi di urbanistica, poichè,dopo le città-teatro dell’Antichità e del Rinascimento, è stata la prima CINECITTÀ, la città del cinema vivente, in cui si sono fusi fino al delirio la scena e la realtà, il piano catastale e il piano-sequenza, i viventi e i morti-viventi. Qui più che altrove, le tecnologie avanzate si sono incontrate per plasmare uno spazio-tempo sintetico, Babilonia della derealizzazione filmica, zona industriale delle false apparenze, Holliwood si è edificata,quartiere dopo quartiere, viale dopo viale, sul crepuscolo delle apparenze, sulla riuscita di procedimenti illusionistici, sullo slancio propulsivo di produzioni spettacolari come quelle di D.W.Griffith, in vista dell’ urbanizzazione megalomaniaca di Disneyland e dell’ Epcot Center. Paul, Virilio, Lo spazio critico, pp 23

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DISSOLUZIONE DELLA CITTA’ Le nuove teorie sulla progettazione di grandi edifici collettivi, coincidono cronologicamente e socialmente con l’avvenuta ricostruzione post-bellica, con lo sviluppo della rivoluzione industriale e, legandosi al proliferare delle attività terziarie, hanno modificato il paesaggio urbano soprattutto per quanto riguarda le grandi opere residenziali e commerciali. A causa del sovraffollamento delle grandi città, sono sorti numerosi studi urbanistici per quanto riguarda le zone periferiche. Gli approcci più avanzati si sono orientati inizialmente verso modelli dispersivi, dalle città-giardino, quelli per le città lineari dei disurbanisti russi, dal new urbanism all’approccio razionale dei CIAM. Un elemento fondamentale nel fenomeno di dissoluzione urbana è stato senz’altro un maggior potere d’acquisto e,quindi, la possibilità di usufruire di beni come l’automobile. A questo proposito Bauman in “Modernità liquida” cita le parole dell’ economista della Sorbona Daniel Cohen: < Un bel giorno Henry Ford decise di “raddoppiare” il salario ai suoi operai. Il motivo (pubblicamente) dichiarato, la celebre frase <Voglio che i miei operai siano pagati abbastanza bene da poter comprare le mie automobili>>.La disponibilità diffusa agli spostamenti in automobile ha intaccato profondamente la coesione dei tessuti urbani, producendo quei fenomeni di dissoluzione generalmente definiti SPRAWL. In questa conformazione territoriale, gli architetti si sono concentrati nell’ideazione di grandi edifici collettivi diluiti in zone molto ampie, tra grandi vuoti urbani, verde e infrastrutture.

E’ possibile definire teoricamente questa convergenza? La convergenza è possibile solo a patto di spogliarsi dell’identità. Ciò viene considerato di solito come una perdita. Ma alla scala in cui si verifica, deve avere un significato. Quali sono gli svantaggi dell’identità e, viceversa, quali sono i vantaggi della neutralità? E se questa omogeneizzazione apparentemente occidentale (e di solito compianta) fosse un processo intenzionale, un movimento cosciente dalla differenza alla similitudine? E se fossimo di fronte ad un movimento di liberazione planetario: < ABBASSO IL CARATTERE!>?

Rem Koolhaas, Junkspce, Quolibet,2006.

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“(...)Accedendo a canali di comunicazione, a nuove idee, a sistemi di trasporto ecc., gli individui possono prendere parte contemporaneamente a comunità pubbliche, ad attività professionali, a relazioni sociali o a passatempi secondo criteri personali non dettati da prossimità spaziale. Allo stesso tempo, decresce l’importanza delle “comunità luogo”, per le quali conta la loro posizione fisica. In contrasto con quanto dichiarano i critici, tuttavia, l’”urbano senza luogo” non ha distrutto lo spazio pubblico, è diventato difficile da vedere. Quando si vede è difficile da comprendere, data la sua crescente complessità e frammentazione. Allo stesso tempo, le reti di comunicazione e trasporto che producono frammentazione ci rendono più coscienti della sua esistenza”.

Marco Cenzatti, Spazi pubblici e mondi paralleli, in “Casabella”, numero monografico Il disegno degli spazi aperti, n.597/598,1993, pp.35.

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LA GRANDE DIMENSIONE La grande dimensione ha sempre contato nella storia dell’ architettura, al di la’ dell considerazioni qualitative. Contava ai tempi degli egizi e conta oggi, quando le innovazioni tecnologiche permettono una dilatazione assoluta degli spazi interni. Grazie, infatti, ad innovazioni come l’energia elettrica, l’aria condizionata, l’ascensore,le

scale mobili, è nato un tipo edilizio sempre più alto, più profondo, più grande. In “Grande e Veloce” di Giovanni Corbellini, viene approfondita la tesi che vede nella percezione di scala, un carattere importante nell’ identificazione della grande dimensione. Il preogressivo aumento di volume degli edifici pubblici, nella storia degli ultimi decenni

deriva anche dalla necessità di occupare una posizione”ben visibile”,ad opera dei gruppi che partecipano alle competizioni globali. I monumenti contemporanei rappresentano il potere economico. I centri commerciali rientrano in questa categoria.

< Perchè scalare l’Everest? Perchè affrontare fatiche e pericoli? “Perchè è là”, rispondevano i primi conquistatori del tetto del mondo. Rem Koolaas apre con questa citazione il suo testo sulla Bigness a sottolineare il potere comulativo, autoevidente della quantità, della pura quantità spinta all’estremo. (...) Il raggiungimento di una certa “massa critica”comporta una serie di trasformazioni del rapporto tra edificio e architettura che Koolhaas riassume all’inizio della Bigness: l’impossibilità di controllo compositivo della dismisura attraverso il gesto, o più gesti architettonici; l’annullamento dei “caratteri distrinutivi” da parte della mobilità meccanica garantita dagli ascensori, la “lobotomia” che interrompe il contatto tra interno ed esterno (la sezione dell’edificio raggiunge dimensioni tali da impedire sia il rapporto funzionale tra involucro e contenuto, che è risolto attraverso i mezzi artificiali, che quello rappresentativo: troppe attività, in rapporto alla superficie esterna disponibile); la tendenziale irrilevanza della qualità estetica (la sola massa è sufficiente a garantirne l’impatto); l’autoreferenzialità (“fuck the context!”)>.

Giovanni Corbellini, Ex Libris.16 parole chiave dell’architettura contemporanea, 22 Publisher, 2007.

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BIGNESS Superata una certa scala, l’ architettura assume la peculiarità della Bigness. La miglior motivazione per affrontare la Bigness è quella offerta a suo tempo dagli scalatori del Monte Everest: < perché è là>. La Bigness è l’ architettura estrema. Pare incredibile che il puro semplice dimensionamento di un edificio possa dar vita a un programma ideologico indipendente dalla volontà dei suoi progettisti. Di tutte le possibili categorie, quella della Bigness non sembrerebbe meritare un <manifesto>: sminuita come questione intellettuale, pare essere in via d’ estinzione, come un dinosauro, per la sua goffaggine, lentezza, mancanza di flessibilità, problematicità. Ma, in verità, solo la Bigness può attivare quel regime di complessità che coinvolge la piena comprensione dell’ architettura e dei campi ad essa collegati. Cento anni fa una generazione di conquiste teoriche e di tecnologie di supporto ha scatenato un Big bang architettonico. Randomizzando la circolazione, corto-circuitando le distanze, artificializzando gli interni, riducendo i volumi, esaltando le dimensioni e accelerando la costruzione: l’ ascensore, l’elettricità, il condizionamento dell’ aria, l’acciaio e infine le nuove infrastrutture hanno costituito un insieme di mutazioni capaci di provocare la nascita di un’ altra specie architettonica. Gli effetti combinati di queste scoperte hanno prodotto strutture più alte e più profonde- più grandi- come mai prima ne erano state concepite, e insieme dotate di grandi potenzialità per la riorganizzazione sociale; una programmazione infinitamente più ricca. TEOREMI Alimentata all’ inizio dall’ energia incosciente del puramente quantitativo, la Bigness è stata, per circa un secolo, una condizione per lo più priva di teorizzatori, una rivoluzione senza programma. Delirious New York sottintendeva una latente < Teoria della Bigness> basata su cinque teoremi: 1 Superata una certa massa critica, un edificio diventa un Grande Edificio. Una tale mole non riesce più ad essere controllata da un solo gesto architettonico, e nemmeno da una qualsivoglia combinazione di gesti architettonici. Questa impossibilità fa scattare l’ autonomia delle sue parti, il che è diverso dalla frammentazione: le parti restano legate al tutto. 2 L’ ascensore- con la sua possibilità di creare collegamenti meccanici anziché architettonici- e il complesso di invenzioni che da esso derivano, annullano e svuotano il repertorio classico dell ‘architettura. Questioni di composizione, scala metrica, proporzioni, dettaglio sono ormai accademiche. L’ <arte> dell’ architettura è inutile nella Bigness 3 Nella Bigness , la distanza tra nucleo e involucro cresce al punto che la facciata non può più rivelare ciò che avviene all’ interno. L’esigenza umanistica di <onestà> è abbandonata al suo destino: architettura degli interni e architettura degli esterni divengono progetti separati: una confrontandosi con l’ instabilità delle esigenze programmatiche e iconografiche, l’ altra- portatrice di disinformazioneoffrendo alla città l’ apparente stabilità di un oggetto. Là dove l’ architettura pone certezze, la Bigness pone dubbi: trasforma la città da una sommatoria di evidenze in un accumulo di misteri. Ciò che si vede non corrisponde più a ciò che realmente si ottinene. 4 Tramite la sola dimensione, tali edifici entrano in una sfera amorale, al di la’ del bene e del male. Il loro impatto è indipendente dalla loro qualità. 5 Tutte insieme, queste rotture- con la scala metrica, con la composizione architettonica , con la tradizione, con la trasparenza, con l’ etica- implicano la rottura definitiva, quella radicale: la Bigness non fa più parte di alcun tessuto. Esiste; al massimo cesiste. Il suo messaggio implicito è : fanculo il contesto. Nel 1978 la Bigness sembrava un fenomeno del e per il/i Nuovo/i Mondo/. Ma, nella seconda metà degli anni Ottanta, si sono moltiplicati i segni di una nuova ondata di modernizzazione che avrebbe coinvolto- in forma più o meno camuffata- il Vecchio Mondo, dando origine a episodi di un nuovo corso persino nel continente <finito>.L’ assenza di una teoria della Bigness- qual’ è il massimo che un’ architettura può fare?- è la più estenuante debolezza dell’’ architettura. In mancanza di una teoria della Bigness, gli architetti vengono a trovarsi nei panni dei creatori di Frankestein: artefici di un esperimento parzialmente riuscito, i cui risultati stanno impazzendo e sono perciò screditat. Dato che manca una teoria della Bigness , non si sa cosa fare con la Bigness , non si sa dove metterla, come utilizzarla, non si sa come programmarla. I grandi errori sono i nostri unici rapporti con la 6


Bigness. Nonostante questo nome ottuso la Bigness è un territorio teorico di questo fine secolo: in un paesaggio di disordine, dissociazione, smembramento e rifiuto, l’attrativa della Bigness sta nella sua possibilità di ricostruire l’ Unità, di far risorgere la Realtà, reinventare il collettivo e rivendicare il massimo di possibilità. Solo per mezzo della Bigness l’ architettura può dissociarsi dagli esausti movimenti ideologici e artistici del movimento e del formalismo, per riacquistare la sua strumentalità come veicolo di modernizzazione. La Bigness riconosce che l’ architettura, per come la conosciamo, è in difficoltà, ma non va a cadere nell’ eccesso opposto rigurgitando ancor più architettura. Essa propone una nuova economia in cui non si dà più lo slogan <tutto è architettura>, ma si riconquista una posizione strategica con un’ azione di ripiegamento e di concentrazione, cedendo alle forze nemiche ciò che resta di un territorio conteso. INIZIO La Bigness distrugge, ma è anche un nuovo inizio. Può ricomporre ciò che spezza. Un paradosso della Bigness è che, a dispetto dei calcoli che occorrono per progettarla, e anzi proprio per la sua rigidità, è il tipo di architettura che ingegnerizza l’ imprevedibile. Invece di rinforzare la coesistenza, la Bigness si basa su regimi di libertà, sull’ assemblaggio delle massime differenze. Solo la Bigness può accogliere una proliferazione eterogenea di eventi in un unico contenitore. Essa sviluppa strategie per organizzare sia la loro indipendenza che la loro interdipendenzaall’ interno di un’ entità più vasta, in una simbiosi che esaspera la specificità, anziché comprometterla. Attraverso la contaminazione piuttosto che attraverso la purezza, attraverso la quantità piuttosto che la qualità, solo la Bigness può favorire autenticamente nuove relazioni tra entità funzionali che ampliano la propria identità, invece di limitarla. L’artificialità e la complessità della Bigness liberano la funzione dalla sua armatura difensiva permettendo una sorta di liquefazione: elementi del programma reagiscono uno con l’ altro per creare nuovi eventi- la Bigness ritorna ad un modello di alchimia programmatica.A prima vista, le attività ammassate nella struttura della Bigness esigono l’ interazione, ma la Bigness allo stesso tempo le mantiene separate. Come le barre di plutonio che, a seconda del loro grado di immersione, ritardano o attivano la reazione nucleare, la Bigness regola l’ intensità della coesistenza programmatica. Sebbene la Bigness sia progetto per una perenne intensità, essa manifesta anche un certo grado di serenità e perfino di dolcezza. È semplicemente impossibile animare intenzionalmente la sua intera massa. La sua vastità spegne la coazione dell’ architettura a decidere e determinare. Alcune zone saranno dimenticate, saranno libere dall’ architettura. TEAM La Bigness è il punto in cui l’ architettura diventa insieme massimamente e minimamente <architettonica>: massimamente, per via dell’ enormità dell’ oggetto; minimamente per la sua perdita di autonomia- diventa strumento di altre forze, diventa dipendente. La Bigness è impersonale: l’ architetto non è più condannato al divismo. Anche quando la Bigness entra nella stratosfera dell’ ambizione architettonica- il puro fremito della megalomania- essa può essere realizzata solo al prezzo di cedere il controllo, di una trasmutazione magica. Implica cioè l’esistenza di una rete di cordoni ombelicali con altre discipline la cui prestazione è altrettanto critica di quella dell’ architetto: come scalatori legati uno all’ altro dalle corde di salvataggio, coloro che realizzano la Bigness costituiscono un team( termine mai più pronunciato negli ultimi quarant’ anni di polemica sull’ architettura). Al di là della cifra stilistica personale, la Bigness significa rea alle tecnologie , agli ingegneri, agli appaltatori, ai realizzatori, ai politici, ad altri ancora. Promette all’ architettura una sorta di status posteroico, un riallineamento alla neutralità.Visto sullo sfondo dell’ Europa, lo shock della Bigness ci ha obbligato a rendere ciò che era implicito in Delirious New York esplicito nel nostro lavoro. La Bigness è sfociata in una doppia polemica: contro i precedenti tentativi di integrazione e concentrazione , e contro le contemporanee teorie che mettevano in discussione la possibilità dell’ Unità e della Realtà come categorie agibili, e si rassegnavano all’ inevitabile decomposizione e dissoluzione dell’ architettura. Gli Europei avevano evitato la minaccia della Bigness attraverso una sua teorizzazione in termini superiori alla possibilità di applicazione. Il loro contributo era consistito nel <dono> della megastruttura, sorta di supporto tecnico onnicomprensivo e onnipotente che in definitiva metteva in discussione la condizione dell’ edificio singolo: una Bigness molto rassicurante, visto che le sue stesse condizioni ne escludevano la realizzazione. 7


L’ <urbanisme spatial> di Yona Friedmann(1958) fu emblematico: la Bigness fluttuava su Parigi come una coperta metallica di nuvole, con la promessa di un possibile rinnovo urbano <totale>, ma vago. Eppure non atterrava mai a confronto, non rivendicava mai il posto che le spettava- la critica come decorazione. Nel 1972, il Beaubourg-Loft Platonico- aveva proposto degli spazi in cui <tutto> era possibile. La flessibilità che ne derivava fu mascherata come l’ imposizione di una media teorica a spese sia del carattere che della precisione: era l’ entità a prezzo dell’ identità. Perversamente, la sua pura dimostratività gli precludeva l’ autentica neutralità realizzata senza sforzo nel grattacielo americano. La generazione del maggio ’68, la mia generazione- straordinariamente intelligente, informata, opportunamente traumatizzata da selezionati cataclismi,esplicita nel suo ricorrere a prestiti da altre discipline- è stata così segnata dal fallimento di questi e altri simili modelli di densità e di interazione, dalla loro sistematica insensibilità al particolare, che ha finito per proporre due principali strategie difensiva: lo smantellamento e la sparizione. Nel primo , il mondo viene scompostoin incompatibili frattali di unicità, ciascuno di essi a sua volta pretesto per un ulteriore disintegrazione del tutto: un parossismo della frammentazione che trasforma il particolare in sistema. Dietro a questa disgregazione del programma nelle più piccole particelle funzionali, incombe la vendetta perversamente inconscia della vecchia dottrina <la forma segue la funzione>, che spinge inesorabilmente il contenuto del progetto (dietro i fuochi d’ artificio della sofisticatezza intellettuale e formale), verso la piattezza del diagramma doppiamente deludente dal momento che la sua estetica suggerisce una ricca orchestrazione del caos. In questo paesaggio di smembramento e di disordine fasullo, ogni attività è messa al suo posto. Le ibridazioni /vicinanze/attriti/accavallamenti/sovrapposizioni programmatiche che sono possibili nella Bigness – in effetti l’ intero apparato di montaggio inventato all’ inizio del secolo per organizzare le relazioni tra parti separate- stano per essere smembrate da una parte del’ attuale avanguardia in composizioni che, dietro la loro apparente sregolatezza, sono di una rigidità e pedateria quasi risibili. La seconda tragedia, la sparizione, travalica la questio ne della Bigness - dalla presenza imponenteattraverso un esteso impiego di simulazione, virtualità, inesistenza. A partire dagli anni Sessanta, un patchwork di argomentazioni raccattato tra sociologi americani, ideologi, filosofi, intellettuali francesi, cyber-mistici etc. sostiene che l’ architettura sarà il primo <solido che svanisce nella’ aria> per effetto combinato di tendenze demografiche, elettronica, mezzi di comunicazione, velocità, l’economia, tempo libero, la morte di Dio, il libro, il telefono, il fax, benessere, democrazia, la fine della Grande Storia… Esercitando un diritto di prelazione sulla scomparsa effettiva dell’ architettura, questa avanguardia Sta sperimentando una virtualità reale o simulata, rivendicando, in nome dell’ umiltà, la sua precedente onnipotenza nel mondo della realtà virtuale ( dove è possibile instaurare impunemente il fascismo?) MASSIMO Paradossalmente, l’ Unità e la Realtà cessarono di esistere come imprese possibili per l’ architetto proprio nel momento in cui l’approssimarsi della fine del secondo Millennio assistette ad una corsa totale verso la riorganizzazione, il consolidamento e l’ espansione, ad una richiesta a gran voce di megadimensioni. Impegnata in altre faccende, un’ intera classe professionale fu infine incapace di utilizzare i drammatici eventi economici e sociali che, se affrontati, avrebbero potuto ristabilirne la credibilità.

Rem Koolhaas, Bigness, ovvero il problema della Grande Dimensione, Junkspace, Quolibet, 2006. 8


Gli scenari «Grande è bello»: è questa la parola d’ordine delle costruzioni. Ma c’ è chi dissente Quella ricerca ossessiva del nuovo Colosseo Gregotti: inutili (e provinciali) esibizioni di potenza MILANO - «Bigness is business». Pensare in grande scala, insomma, è pur sempre un buon affare. Anche se i nostri nuovi Colossei sembrano essere comunque inevitabili: fino dalla Rivoluzione industriale quella che veniva definita civilizzazione è stata sempre collegata ad un ampliamento delle città come degli edifici e in genere delle forme, mentre l’ idea di «piccolo è bello» veniva accusata, tacciata di minacciare lo stesso progresso. Tanti sono, d’ altra parte, gli italiani coinvolti ora nella febbre del «bigness»: Renzo Piano (il «Vulcano Buono» appena inaugurato ad Afragola), Massimiliano Fuksas (campus universitario in Nigeria), Mario Bellini (Biblioteca di Torino), il gruppo Archea (discoteca in Cina), Cino Zucchi (complesso residenziale a Bolzano), Michele De Lucchi (torri in Georgia), Paolo Desideri (stazione Tiburtina a Roma), Mario Cucinella (ospedale in Toscana), Italo Rota (padiglione Expo di Saragozza). Francesco Dal Co, professore di Storia dell’ architettura all’ Università di Venezia e attuale direttore di Casabella, tiene subito a precisare: «Bisogna distinguere innanzitutto tra quello che sta succedendo in Cina, in Oriente o nei Paesi arabi e la realtà del Vecchio Continente, Italia compresa. In Cina l’ idea di realizzare grandi architetture si collega indissolubilmente con la necessità impetuosa di trovare sbocchi a capitali enormi. Leggermente differente la situazione, ad esempio, a Dubai, dove tutto nasce dal bisogno di programmare un futuro che vada oltre il petrolio ed ecco che si creano alberghi a sette stelle altissimi che hanno lo stesso compito che ha avuto Disneyland per Orlando: creare un’ attrazione che giustificasse la vita di una città altrimenti senza grandi possibilità. Queste megarchitetture devono prima di tutto far spettacolo». E l’ Europa? «Qui si parte da progetti comunque più equilibrati, penso a Madrid e alla Spagna in generale, perché comunque il tessuto delle stesse città resta più forte, più definito. Quindi si tratta di progetti “più contenuti” perché si tratta di realtà intensamente abitate dalla storia. Potrei dire che Torino ha colto più opportunità delle altre, qualche opportunità l’ avrebbe anche Genova se solo scegliesse la via indicata da Piano». Secondo Vittorio Gregotti, che ha tra l’ altro firmato il grande insediamento della Bicocca a Milano e da tempo è impegnato nella realizzazione di un agglomerato urbano a Shanghai, in questa voglia di primato si ritrovano anche molte motivazioni legate alla nostra contemporaneità: «Progettare in grande ha in sé qualcosa di esibizionistico, direi di fallocratico, è quasi un’ affermazione della propria potenza, anche se in tutto questo esibizionismo si può ritrovare una profonda dose di provincialismo. C’ è poi, chiaramente, anche l’ aspetto economico, o meglio speculativo: edificare in grande può essere molto redditizio. In quel caso è importante, direi fondamentale, pensare non soltanto a megarchitetture ma anche ai piani regolatori. Penso alla Bicocca ma sempre a Milano penso anche a Santa Giulia. E poi penso a Barcellona o a quello che è stato fatto dietro la City di Londra». Per Gregotti c’ è però anche un elemento sociale da prendere in considerazione: «Quando si creano queste grandi strutture abitative dove si concentrano grandi agglomerati di persone si finiscono per ricreare in qualche modo veri e propri ghetti monoclasse». L’ idea del «bigness» sembra arrivare da lontano. Addirittura dagli anni Novanta. «Il primo a parlare di bigness è stato Rem Koolhaas nel 1994 su Domus, approfondendo poi la questione nel suo saggio successivo “S,M,L,XL” - spiega Stefano Boeri, direttore di Abitare e progettista del complesso ospedaliero Cerba a Milano -. Oggi, soprattutto in Italia, la necessità di costruire nuovi Colossei nasce dalla presenza di grandi spazi ottocenteschi dismessi, fabbriche, stazioni, carceri che vengono abbandonati, che si liberano e che spesso vengono abbattuti. In quelle aree si finisce per ricreare il calco dei grandi edifici precedenti. Da noi tutto questo sta accadendo con grande ritardo rispetto a Berlino o a Barcellona. Certo, si potrebbero anche realizzare piccoli edifici ma per i grandi investitori quei piccoli edifici non sarebbero poi così tanto redditizi». E prosegue Boeri: «Quella della nuova Cina è oggi l’ unica grandeur veramente imperiale, è in qualche modo la stessa grandiosità degli antichi romani che volevano prima di tutto stupire e mostrare al mondo intero il proprio potere. La Russia, ad esempio, manca di grande committenza e punta prima di tutto alla creazione di infrastrutture, le sue sono architetture che non hanno alcuna ambizione di rappresentatività. Non sono altro che piccoli edifici mediocri anche se riprodotti su grande scala». Bucci Stefano 9


CARATTERI ARCHITETTONICI DEL CENTRO COMMERCIALE

“[...] Poichè costa, non è più gratis, lo spazio condizionato diventa inevitabilmente spazio soggetto a condizioni; e prima o poi , tutto lo spazio soggetto a condizioni diventa

Junkspace...”

“Il Junkspace è sigillato, tenuto insieme non dalla sua struttura, ma dalla sua pelle, come una bolla. La gravità è rimasta costante, combattuta con lo stesso arsenale fin dall‘ inizio dei tempi; ma l’aria condizionata- un medium invisibile, dunque inosservato- ha davvero rivoluzionato l’ architettura. L’ aria condizionata ha dato vita all’ edificio senza fine. Se l’ architettura separa gli edifici, l’aria condizionata li unisce. L’ aria condizionata impone regimi mutevoli di organizzazione e coesistenza che lasciano indietro l’architettura. Un solo centro commerciale è oggi il lavoro di generazioni di organizzatori dello spazio, riparatori e tecnici, come nel Medioevo: E’ L’ARIA CONDIZIONATA A SORREGGERE LE NOSTRE CATTEDRALI.”

Rem Koolhaas, Junkspace, 2006.

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ARIA CONDIZIONATA L’aria condizionata è stato un elemento fondante nella costruzione dei centri commerciali poiché ha permesso la loro espansione in tutte le direzioni e la completa fruibilità. Lo shopping nei mall non avrebbe potuto avere un inizio così spontaneo e massiccio senza l’aria condizionata. Soltanto l’aria condizionata ha permesso un ambiente artificiale così naturale e confortevole anche se privo finestre e completamente sigillato. Insieme alle scale mobili, ha permesso un’esplosione della profondità degli spazi interni sempre più divisi da quelli esterni, in maniera sempre più inevitabile.Ciò ha permesso di ospitare quasi ogni tipo di attività umana in diverse combinazioni. Un tempo si preferiva fare shopping all’esterno, guardando la natura come un’imprevedibile interferenza con la fioritura del commercio. Poi, invece, è stato creato un suo regno: il bazar, l’arcade e lo shopping mall, tutti esistono in un unico ambiente affinchè si possa avere un maggior controllo e una maggior autonomia rispetto alle condizioni esterne. Con l’invenzione dell’aria condizionata, la luce naturale e l’aria hanno potuto finalmente essere sostituite e rese obsolete, mentre le “ideali” e completamente artificiali condizioni dello shopping sono state adottate dal pubblico con molto entusiasmo. Per rendere gli spazi interni più larghi, più confortevoli, più controllati e più difficili da evadere, e per combinare in un edificio singolo tutte le attività solitamente disperse, l’aria condizionata ha radicalmente alterato la maniera in cui la gente spende il proprio tempo.

Il tempo dello shopping non è stato solo allungato, quando gli stores e gli shopping mall iniziarono la loro decisa invasione sull’attività pubblica, ma è stato dominato, ottimizzato e sfruttato a proprio vantaggio: maggiore è il confort più grande è la disponibilità a spendere più tempo al chiuso e, alla stessa misura, più grande è la possibilità di spendere soldi. Crescendo le vendite, la fornitura di comfort diventò il mantra per l’industria dell’aria condizionata durante il dopoguerra, al punto che il raffrescamento meccanico fu accettato come una necessità inevitabile. L’aria fredda divenne talmente fondamentale da poter essere considerata una delle poche costanti negli spazi del commercio. EVOLUZIONE STORICA 1842-89 PREMONIZIONE_ La prima e più cara articolazione di quali fossero i benefici del raffrescamento meccanico sulla società furono ispirati dalla paura dell’urbanizzazione. Con la rapida industrializzazione e la grande esplosione della crescita delle città durante la metà del ‘900, le condizioni di malasanità e la diffusione delle malattie, gli sforzi maggiori erano concentrati nel mantenimento di un ambiente urbano il più possibile salubre.

Una proposta molto importante per il suo carattere latente piuttosto che immediato fu formulata da Johnn Gorrie, un fisico proveniente da Apalachicola in FloridaDopo aver ascoltato i pareri del dirigente dell’ ufficio, dei membri del consiglio cittadino, del tesoriere, il direttore di banca e del sindaco, Gorrie divenne ossessionato dalla relazione tra la temperatura e la salute, soprattutto sugli effetti del calore responsabili della diffusione delle malattie. Nel 1842 in “Refrigeration and Ventilation of Cities”, Gorrie suggerì una soluzione radicale :”il raffreddamento delle città può difendere gli abitanti dagli effetti di ambienti insalubri causati da un eccessivo calore accompagnato da umidità”. Secondo Gorrie i metodi con i quali possono essere contrattaccati i mali delle alte temperature, capaci di riuscire a migliorare la condizione di vita nelle nostre città, derivano dalla rarefazione e distribuzione di aria atmosferica, preventivamente privata di gran parte del calore latente attraverso un sistema di condensazione meccanica, al fine di creare freddo in larga scala, in tutte le stagioni, e alle temperature più calde di tutto il pianeta. L’aria raffreddata e secca poteva essere così trasmessa da serbatoi adatti, nelle perferie delle città attraverso condotte, come acqua o gas e essere così distribuiti e rilasciati nelle case, ma anche nelle strade e nelle piazze della città. Mentre la rifrigenerazione artificiale ha conosciuto numerose scoperte nella metà del secolo precedente, questa è la prima volta che il controllo del clima dell’intero sistema abitativo è stata immaginata.

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L’ambizione che sta dietro ad una concezione che si propone di cambiare in maniera talmente profonda la natura delle condizioni di vita dell’uomo, è guidata da un’ ideologia che combina insieme l’ interesse per la salute fisica con la cambio di rotta di un comportamento, il miglioramento di ciò che Gorrie considera gli attributi innati di razza, la preservazione della stabilità mentale e la crescita dell’ economica. Gorrie crede che la temperatura atmosferica determina, o almeno modifica in gran parte il carattere della nostra razza.L’alta temperatura e l’umidità, per Gorrie, impedisce a una larga porzione della famiglia umana di dividere i vantaggi naturali che possiede e causa il deperimento fisico e mentale degli abitanti originari. “[..] the indisposition to, and, indie, incapacity for, continuous muscular exertion, in the white race, during the existence of tropical heat, is one of the best estabilished truths in human physiology. It is the equally well known, that the other races of the human family, who are endowed with the faculty of resisting solar heat with impunity, have not the intelligence to enable them to compete successfully…with the natives of more temperate climates.” Serve inoltre a creare un ambiente di lavoro confortevole e, quindi per assicurare che i cicli di produzione e consumo continuino a crescere senza impicci. Il caldo ,per Gorrie è un serio impedimento al commercio: le città situate in un certo luogo favorevole agli affari con grandi vantaggi dal punto di vista commerciale sono guastate da una contingenza: il vincolo ad essere oppresse ,ogni estate, da un caldo 12

torrido, e nella loro posizione la malaria è una naturale conseguenza, la quale interrompe inevitabilmente il regolare corso degli affari. Con il raffreddamento meccanico, Gorrie credeva che potesse essere assicurata finalmente la sicurezza in molte transizioni di affari.Sotto l’impulso delle argomentazioni teoriche di Gorrie furono sperimentati numersi tentativi di creare aria fredda. Nel 1842 Gorrie inventò un sistema di raffreddamento dell’aria soffiando dell’aria su dei contenitori conteneti del ghiaccio.Due anni dopo, servendosi dei principi che aveva descritto in “Refrigeration and Ventilation of Cities” sviluppò una macchina sperimentale del ciclo dell’aria, un miglioramento dei primi tentativi attraverso il congelamento chimico,ghiccio naturale e evaporazione del freddo, dove l’aria era usata come refrigerante.La macchina produce aria fredda in un processo attraverso il quale l’aria è prima compressa mediante un pistone in un contenitore metallico.Attraverso la condensazione, il calore dall’aria si trasferisce sul metallo. Dopo di ciò,l’aria è immediatamente espansa affinchè non potesse riassorbire calore. Nel 1850 e nel 1851, Gorrie brevettò un sistema di refrigerazione a ciclo d’aria compressa destinato a produrre ghiaccio e aria fredda. “Small pumps inject cooling water into a compression cylinder and brine into an expansion cylinder. The brine is used to freeze a can of ice. The chilled air exiting from the expansion cylinder cools the incoming water that, in turn, forms the ice.”

La refrigerazione per mezzo della compressione si dimostrò meno efficiente che la refrigerazione chimica, ma ebbe dei benefici nella produzione inodore di aria non infiammabile e inoltre fu l’ inenzione più immediata e naturale al fine di produrre e godere della comodità dovuta al raffreddamento. Per la produzione di freddo e aria secca, Gorrie rappresentò il precursore per la produzione di reffrescamento meccanico per il comfort piuttosto che per il suo uso primario per quel tempo,ovvero come conservazione frigorifera. La macchina fu impiegata per il condizionamento dell’ospedale di Apalachicola. La macchina di Gorrie, tuttavia, trovò la maggiore applicazione negli ambiti commerciali. Ammettendo che l’unica via per raggiungere gli scopi ”umanitari” , il raffredamento per il benessere fisico,mentale ed economico , è attraverso la commercializzazione del suo prodotto, Gorrie descrive la sua macchina come un “accessorio per l’estensione del commercio”.


Gorrie morì improvvisamente nel 1855. Sebbene avesse solo cinquantadue anni quando perse la vita, Gorrie è stato il propulsore dello sviluppo del raffreddamento meccanico più lungo di chiunque altro prima di lui, impegnando gran parte della sua vita a questo progetto. Nel 1899 fu dedicato a Gorrie un monumento a Apalachicola. Nell’ insegna sottostante, Judge Raney ricorda l’ingiustizia degli obiettivi irrealizzati dei fisici:

piped refrigeration

Undici anni prima della morte di Gorrie, una pubblicazione del Commercial Advertiser di Apalachicola diceva “ le invenzioni che Gorrie propone sono calcolate, in verità, per alterare e per estendere lo sviluppo della civilizzazione”.

“Egli morì profondamente abbattuto da ciò che non vide nel consumo della sua impresa scientifica.”

1889_La refrigerazione per mezzo di compression, un metodo simile a quello proposto da Gorrie, fu effettivamente utilizzato per procuare aria fredda su scala urbana. Il fluido refrigerato è condotto dalle stazioni centrali agli edifici a cui era destinato. Le tubature furono disposte nei sotterranei di Londra, Parigi, Boston; Baltimore, Denver, Kansas City, Los Angeles, Louisville, Nashville, New York e St. Luis.

L’evoluzione dei vari impianti di condizionamento dell’aria, indica il profondo impatto che l’aria condizionata ha avuto nella vita e nella società moderna. In primo luogo rappresentano la possibilità di mantenere un ambiente e tutto ciò che contiene, sotto controllo, una condizione ideale estesa sempre di più nel tempo; sono destinati a mantenere la quiete anche in un contesto stressante, suggestionano alla possibilità di un comportamento equilibrato attraverso il rifornimento di aria meccanicamente regolata; e infine rappresentano il sistema destinato alla crescita delle condizioni interne delle industrie, provando che il tempo di lavoro può essere prolungato artificialmente e creare più efficienza e profitti. Insieme tutti questi benefici della nuova tecnologia formeranno una forza senza precedenti per la penetrazione del commercio in territori precedentemente non adatti e non disponibili. 13


1902-4_Un sistema di ventilazione più evoluto con capacità di 450 tonnellate di refrigerante fu impiegato pochi anni più tardi per fornire un ambiente più confortevole e che favorisse le transazioni commerciali. Tra il 1902 e il 1904, il New York Exchange fu equipaggiato con il sistema di refrigerazione Wolff.Gran parte del guadagno di calore, ben il 66%, è generato dall’ attività dell’ uomo, e il resto è prodotto dall’ illuminazione, dalle attrezzature e dal guadagno solare. A causa del suo tentativo di controllare tutti e quattro i fattori chiave: temperatura, umidità, igiene e distribuzione dell’aria-fattori che comportano la moderna definizione di aria condizionata-il Stock Exchange system può essere ragionevolmente definito la prima vera istallazione di aria condizionata. L’ambiente interno è mantenuto ad una temperatura intorno ai 75°F e al 55% di umidità relativa, una costante climatica che le istallazione Wolff sono state in grado di mantenere per venti anni. Il successo di questa istallazione, e la realizzazione di spazi interni molto grandi ha ispirato l’ interesse a introdurre il clima artificiale nei teatri e nei vari shopping center per quanto rigrarda la progettazione di spazi chiusi.

1904_Il grande pubblico fu partecipe di questa invenzione nel 1904 nel Missouri state Building.“the first time that comfort cooling is experienced by numbers of people from all over the world” St. Luis World’s FairIl World’ s Fair premise una prima dimostrazione e l’immediata accettazione del pubblico delle tanto criticate invenzioni che avevano spinto in maniera molto significativa alla modernizzazione: le esposizioni di New York nel 1853 e di Parigi nel 1900 avevano spianato la strada per la diffusione dell’ ascensore, le scale mobili , il Wordl’s Fair registrò, invece, indelebilmente l’ esperienza del clima artificiale nella coscienza del pubblico. Ne seguì un’irrefrenabile domanda di spazi raffrescati artificialmente. 1905_Il termine aria condiziona.ta fu coniato nel 1905 da Stuart Cramer. 1908_ Nel 1908 fu inventato da Carrier il diagramma psicometrico che misura il comfort dell’ uomo in termini di temperatura e umidità . IL livello di comfort ideale è definito in un’area del diagramma molto ristretta. Le aziende che producono impianti di aria condizionata si fronteggiano nel mantenimento della temperatura e del l’umidità entro questa zona prescritta

DIAGRAMMA PSICOMETRICO DI CARRIER

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1919_ Nel 1919, due anni dopo il primo cinema ad aria condizionata, il Abraham & Strauss Department Store a New York divenne il primo luogo commerciale ad essere”condizionato”. Seguì il Macy appena dopo con il più grande sistema di raffreddamento ancora istallato. L’aria condizionata eliminò praticamente le imprevedibili e improvvise fluttuazioni delle vendite dovute ai cambiamenti climatici. Provvide a controllare costantemente l’ambiente e dare ai consumatori la promessa, come spiegò un avviso di Carrier del 1930, di essere “istantaneamente rivitalizzato,””vivendo più rinfrescati di quando si entra”. A questo proposito, gli spazi commerciali funzionanti ad aria condizionata si interessano di fornire le condizioni ideali per vivere.


L’abilità a creare spazi interni climatizzati e l’aumento dei flussi dei consumatori attrattidal costante livello di comfort rende possibile spazi commerciali sempre più ampi.La crescita enorme di spazi interni fu alimentata dallo sviluppo della macchina centrifuga refrigerante ad opera di Carrier nel 1922, il primo metodo veramente pratico per condizionare spazi molto ampi. Due anni dopo trovò il suo debutto nel J.L. Hudson Department Store a Detroit in Michigan.

1956_SHOPPING MALL_ La storia dell’aria condizionata e lo shopping culmina nell ‘inenzione dello shopping mall. A differenza dell’emporio ( department store=grande magazzino), il centro commerciale è l’unico tipo di vendita al dettaglio che esiste perché c’è l’aria condizionata. Il Centro commerciale chiuso è fisicamente impossibile senza aria condizionata, nessun altro tipo prima di esso ha raggiunto una tale profondità degli spazi interni e una tale entità del clima artificiale. Victor Gruen, l’ ideatore degli shopping mall, progettò il primo centro chiuso, Southale Shopping Center nel Minneapolis.

“In providing a year-round climate of “eternal spring” through the skill of architects and engineers, the shopping center consciously pampers the shopper, who reacts gratefully by arriving from longer distances, visiting the center more frequently, staying longer, and in consequence contributing to higher sales figures” Victor Gruen “Whenever I got é to Minnesota* it was either freezingly cold..or it was unbearably hot. From these personal experiences, under which I suffered greatly,..I concluded that open public pedestrian areas in a climate of extremes…could not be a total success. So I carefully prepared the Daytonsé Gruen’s clients* for the shocking idea of establishing completely weather-protected, covered and climatized public areas.” Victor Gruen Victor Gruen 15


La finestra e alcune altre connessioni con l’ esterno sono definitivamente ritenute non necessarie, obsolete e addirittura ostili al commercio. I negozianti trovavano che la climatizzazione , che offre non solo il controllo della temperatura e dell’ umidità, ma anche aria pulita, fosse nettamente preferibile alle procedure di apertura e chiusura delle finestre e quindi agli spifferi d’aria e all’immissione di aria sporca e piena di polvere, così chiedevano una strutture senza finestre,né aperture. Così quello che un tempo era considerato l’esterno ora è diventato unesterno”interiorizzato”, completamente protetto, coperto e controllato. Questa area servirà come spazio di circolazione comune. Inoltre , la configurazione del gruppo di negozi interni che si affacciano su una corte coperta, non solo riduce l’esposizione del muro esterno,ma provvede anche a temperare l’aria di tutti i negozi. E l’attività urbana è seguita come un risultato. Nel progetto di Southdale” il più grande spazio coperto dal tempo in un‘intera area, Gruen capì che il clima artificiale garantiva che il centro diventasse non solo un luogo di incontro, ma anche alla sera un posto per i più importanti eventi della città. Dal punto di vista delle vendite, il nuovo ambiente avrebbe cambiato il consumatore.

Per provare seppur in maniera empirica i benefici dell’ energia del consumatore non sfruttata che l’aria condizionata libera Gruen creò una tabella che elencava le distanze e il tempo che si impiegava a percorrerle.

Sebbene l’idea che sta dietro all’ aria condizionata non ha avuto grossi cambiamenti da quando fu inizialmente proposta da Gorrie, le ripercussioni di questa singola invenzione hanno permesso la costruzione di nuovi spazi in maniera inevitabile. Ha permesso che gli spazi interni si ampliassero notevolmente di più rispetto a quelli esterni. L’aria condizionata ha anche permesso che l’interno si sostituisse all’ esterno, sotto condizioni strettamente controllate. A causa di spazi molto vasti con differenti attività. L’aria condizionata ha riunito tutto in un’ unica esperienza, spazio e programma hanno perso gran parte del loro carattere distintivo. Ultimamente, tuttavia, benché l’aria condizionata a permesso allo shopping di trionfare in termini di misura, è solo uno dei parecchi meccanismi e forze che hanno aiutato lo shopping nella sua espansione. Come lo shopping se espande in altri regni vuol dire che è coinvolto in altre forze.

Lo rivela una ricerca condotta negli Stati Uniti. I condizionatori ‘sregolano’ la temperatura dell’aria, annullando i meccanismi naturali dell’organismo, che col caldo abbassano la fame. Allo stesso modo un riscaldamento invernale troppo alto non permette all’organismo di sentire freddo e bruciare piu’ grassi. 16


PARCHEGGI <Sulla Strip commerciale le vetrine del supermercato non presentano alcuna merce... L’edificio stesso è arretrato rispetto alla highway e semi-nascosto, come la gran parte dell’ ambiente urbano, da automobili in parcheggio. La vasta area di parcheggio è sul fronte dell’ edificio, non sul retro,dato che è sia un simbolo che una comodità. L’edificio è basso proprio perchè il sistema di condizionamento dell’aria richiede spazi di modesta altezza e le tecniche di vendita sconsigliano l’uso di secondi piani; la sua architettura è anonima proprio perchè può essere difficilmente vista dalla strada. Sia la merce che l’architettura non hanno rapporto con la strada. La grande insegna su palo “balza in avanti” per collegare l’automobilista al negozio, mentre lungo la strada le miscele per dolci e i detersivi sono pubblicizzati dai loro prodotti nazionali su enormi cartelloni”inflessi” verso la highway. Il segno grafico nello spazio è diventato l’architettura di questo paesaggio.> Robert Venturi, Learning from Las Vegas,1972. CENTRO COMMERCIALE VULCANO BUONO,NOLA,NAPOLI PARCHEGGI Dispone di parcheggi per circa 8000 posti. Sono tu tti localizzati all’ esterno.

CENTRO COMMERCIALE ETNAPOLIS, CATANIA PARCHEGGI L’intero piano interrato e la copertura dell’ Etnapolis sono dedicati a parcheggi per una disponibilità complessiva di 6000 posti

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IMPATTO AMBIENTALE DEI operation and maintenance of a commercial building also CENTRI impacts on the amenity of the COMMERCIALI (Documento)

Commercial buildings have many varied impacts on the environment. The major impacts are associated with the manufacture, use and subsequent disposal of certain inputs, but the effect on local and internal environments of a commercial building can also be significant. Other environmental effects of buildings include atmospheric emissions, water effluent, and solid waste. In 1990 greenhouse gas emissions attributable to the operation of commercial buildings represented 8.5 per cent of Australia’s total emissions for that year. These emissions are growing at annual rate of 5 per cent (AGO 1990a). Greenhouse gases contribute to a global phenomenon known as the enhanced greenhouse effect. In addition to potential impacts on greenhouse gas emissions, commercial buildings can have environmental effects through the use of other resources. For example, commercial buildings are a major source of waste, generated at all phases of a building’s life. Construction waste includes material such as concrete, bricks, and fittings (which may be recyclable). The materials used to construct a commercial building may also have been produced using environmentally damaging processes. Some materials used in construction can contain high levels of embodied energy. As well as affecting the surrounding environment, the design,

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building’sinternal environment. This can have implications for occupants’ health. For instance, materials such as carpets may be backed by synthetic latex, which may emit a number of toxic gases (Best 1997). Similarly, techniques adopted for lighting, air conditioning, heating and so on may also impact on occupants’ health and may affect productivity.

Focus on energy use While all of the environmental impacts outlined above are important, in the rest of this report, the Commission focuses on energy use in commercial buildings. There are several reasons for this approach. The first is to keep the task manageable. The second is that greenhouse gases, and Australia’s response to the Kyoto Protocol, are an important concern for policy makers.

Enhanced greenhouse effect and government strategies The greenhouse effect is a normal phenomenon. The enhanced greenhouse effect is attributed to the burning of fossil fuels and the release of greenhouse gases. Carbon dioxide concentration in the atmosphere is increasing, trapping heat (normally radiated back into space) and potentially leading to increased global warming. In response to the enhanced greenhouse effect, industrialised nations signed the Kyoto Protocol, an international agreement to limit greenhouse gas emissions. Australia agreed to limit its emissions in the target period (2008– 2012) to no more than eight per cent above 1990 emission levels. When ratified, the Kyoto target will become legally binding. Australia has in place a National Greenhouse Strategy which contains three key goals: limit net greenhouse gas emissions in accordance with Australia’s commitments; foster knowledge and understanding of greenhouse issues; and develop adaptation responses to climate change. Sources: World Bank (1990); CoA (1998).

Embodied energy Embodied energy refers to the total energy used over a product’s life. This may include energy used to mine the product’s components, to process the materials, to manufacture the product, to transport it to site and possibly even the energy used in its disposal. Commercial buildings may contain significant amounts of embodied energy. Estimates of embodied energy associated with a typical commercial building range from equivalent of around 30 years (or more) of operational energy to 6 to 8 per cent of whole of life emissions. Efforts to reduce embodied energy could be important for minimising the environmental impact of commercial buildings. Sources: CSIRO (sub. 18); David Ness-Chang (sub. 8), EMET Consultants and Solarch Group (1999).


The third reason is that greenhouse gases may be seen as representative of a whole class of environmental problems. Therefore, responses to limit greenhouse gas emissions efficiently and effectively may be relevant to policy discussions in other areas of environmental impact. Measuring a commercial building’s performance This report does not attempt to assess directly the performance of commercial buildings in an environmental, or any other, sense but examines the framework within which performance is judged. Appendix C examines the methods and lists some of the indicators used by the industry to assess the performance of commercial buildings. 10 Performance indicators are commonly used to focus on different aspects of building service, such as the inputs used or the outputs produced. It is important to obtain a wide range of information when measuring the performance of commercial buildings, particularly given the diverse performance requirements of the different stakeholders. Stakeholders often seek performance information in areas such as: upfront costs; location; staff and/or customer comfort; health and safety; and ease of upgrade/alteration. Analysis of performance information on these different aspects can be used to assess the effectiveness and efficiency with which a commercial building’s services are provided.

For those involved in construction, performance measures focus on production issues rather than the ongoing operation of the building. Performance indicators used to measure building performance from a tenant’s (and manager’s) perspective are typically broader, reflecting a more diverse range of objectives.

· efficiency of hot water services; · efficiency of lifts; and · other services, plant and equipment. Productivity Commission 1999, The Environmental Performance of Commercial Buildings, Research Report, AusInfo, Canberra.

Environmental performance of commercial buildings For stakeholders in the building sector, environmental performance may be only one of a number of aspects of performance that may be of interest. Moreover, its significance among a range of performance criteria will vary depending on the stakeholder involved. Firms may be motivated to improve the environmental performance of commercial buildings for a range of reasons, from the purely financial to notions such as corporate environmental leadership. Firms concerned with the environmental performance of their buildings can use a variety of measures to assess this performance including: · thermal performance of the building fabric; · feasible technical improvements to the heating, ventilation and air conditioning (HVAC) systems; · the management and maintenance of, and operational improvements to, HVAC systems; · feasible technical improvements to lighting; · the management and maintenance of, and controlled improvements to, lighting;

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CENNI STORICI SULL’ EVOLUZIONE DEI CENTRI COMMERCIALI NEL MONDO Nella struttura urbana, gli spazi destinati al commercio hanno subito in epoca contemporanea, un profondo processo di mutamento, iniziato nella prima metà degli anni ’20 negli Stati Uniti e poi esportato in Europa, Asia e Australia. Con la nascita delle periferie e della cultura dell’automobile, negli USA, nasce un tipo di spazio dedicato esclusivamente al commercio, lontano dalla città. Il primo centro commerciale , in assoluto nel mondo, è stato costruito a Kansas City, Missouri nel 1924 e venne chiamato “Country Club Plaza”. Comprendeva negozi, ristoranti, luoghi di intrattenimento e uffici, era circondato da alberghi ed era facilmente raggiungibile in automobile. Al “Country Club Plaza” seguirono altri centri dello stesso stile: 1928_ Don M. Casto apre un grandissimo”Avenue Shopping Center” a Columbus con 4 supermercati e 20 altri negozi con parcheggio per 400 macchine Il centro oggi è divenuto un modello di accessibilità. 1931_ L’Hinghland Park a Dallas progettato da H. Prather. E un centro commerciale in stile mediterraneo con negozi che si affacciano su un parcheggio interno. 1943_ Linda Vista Shopping Center in San Diego fu realizzato dal Ministero del Tesoro per un programma governativo al servizio dei lavoratori durante la seconda guerra mondiale e fu uno dei primi centri commerciali concepiti come spazio unico, separato da strade e abitazioni, che utilizza 20

no una piazza concava di 82mila piedi con giardini e sentieri pedonali, ma con parcheggi limitati per sole 216 autovetture. 1951 Valley Plaza fu aperto come il primo centro commerciale progettato per essere costruito vicino alle grandi strade, localizzato nei pressi di San Ferdinando Valley a nord di Los Angeles

Mentre gli altri centri erano stati realizzati su un solo livello, Gruen mise i negozi su due livelli, collegati da ascensori e accessibili da un parcheggio a 2 livelli. Al centro sistemò una specie di piazza urbana, “un cortile giardino” sotto un lucernario, con una vasca dei pesci, enormi strutture a forma di alberi, una voliera di 6 metri, piena di uccelli colorati, balcoTuttavia il concetto di uno shop- nate con cascate di verde e un ping mall, come lo conosciamo caffè. Il risultato fece scalpore. oggi, appare negli anni ’50. Il centro commerciale di “SouIl pioniere di questa idea fu thdale” esiste ancora. Non un architetto, Victor Gruen , di sembra un edificio storico. nascita austriaca ed emigrato in Egli non disegnò un edificio, America. Era un uomo piccoma un archetipo che, mezzo selo, risoluto, irrefrenabile, un colo ancora dopo, è stato riproconversatore “torrenziale”, con dotto così fedelmente e in così occhi brillanti e una mente velo- tante migliaia di occasioni che ce . Era cresciuto nell’ambiente oggi, qualunque americano, fa la spesa o passeggia in un della buona Vienna ebraica anteguerra e aveva studiato fac-simile di “Southdale”, più all’Accademia di Belle Arti, volte al mese. Victor Gruen può trascorreva le serate esibendosi essere considerato il più autoin locali di cabaret. revole architetto del ventesimo Progettò alcune facciate di secolo. Ha inventato il centro negozi, ma l’idea geniale che lo commerciale Egli, per tutti gli contraddistinse fu l’ideazione di anni seguenti, si fece promotore dell’esperienza di Minneapolis: un centro commerciale aperto chiamato “Northland Shopping Quando si trattava di costruiCenter” fuori Detroit nel 1954. re un centro commerciale era Copriva una superficie di circa l’idea di Victor Gruen a contare. Egli si augurava che intorno 70 ettari e un parcheggio con n° 10.000 posti auto. a quel centro si costruissero L’ideazione sua più famosa fu parchi, scuole, case e apparil progetto successivo, a Edina, tamenti; il suo grande schema, appena fuori Mineapolis, si però, non fu mai portato a termine. chiamava “Southdale Center”: conteneva 72 negozi e 2 grandi A metà anni ’50 accadde qualmagazzini. A differenza decosa che ribaltò le economie gli altri centri “Southdale” era dei centri commerciali: furono INTROVERSO: le pareti esterne trasformate le regole fiscali riguardanti l’ammortamento, dei negozi erano cieche e tutta l’attività era focalizzata all’incosa che agevolò molto i coterno. struttori. Egli concepì l’idea di metteFurono investiti soldi in centro re l’intero complesso sotto un commerciali. I prezzi salirono tetto, con aria condizionata per vertiginosamente, gli edifici dil’estate e riscaldata per l’inverventarono più grossi perché più costoso era l’edificio più alta no. era la quota di ammortamento.


I costruttori non realizzavano i centri come servizi per la comunità, si costruiva nelle zone dove il terreno era più economico; senza neanche tener conto della crescita o meno demografica. Avviene così che nell’arco di venti anni, anche perdendo il numero degli abitanti si sono costruiti lo stesso,numerosissimi centri commerciali. Questa è l’epoca dei fast-food, dell’Holiday Inn, dei vari negozi a basso prezzo che si moltiplicavano e si dividevano contemporaneamente il traffico dei clienti. Gruen aveva un’ incrollabile fede nella “piazza del mercato americana” che doveva essere un luogo di incontro degli abitanti delle squallide periferie urbane. Quando, avanti negli anni, arrivò a capire invece, che i costruttori erano stati interessati solo al profitto, ebbe una grande delusione, i suoi centri commerciali erano diventati delle macchine da spesa. Andò ad abitare in campagna vicino Vienna e, poco più a sud, si accorse che era stato costruito un centro commerciale. Gruen aveva inventato il centro commerciale per fare l’America più simile a Vienna e aveva finito per vedere Vienna più simile all’America. Questa formula di vendita è in uso in tutto il mondo:

1962_ DOWTNTOWN PLAZA, Rochester, NY. Dowtntown Plaza fu progettata da Victor Gruen Associates of Los Angeles. Rappresentò lo shopping mall più grande mai costruito in tutta la nazione e, per questo, fu molto pubblicizzato. Midtown comprendeva, al suo interno, tutti i servizi della città, fu costruito su più livelli e nel sottosuolo furono disposti i parcheggi che erano direttamente connessi al piano superiore. Directly opposite Midtown Plaza on the north side of E. Main is Sibley Centre, 228 E. Main Street, an important early-20thcentury retail building.

1967_SOUTH COAST, Costa Mesa, California.

1964_GHIRARDELLI SQUARE, S. Francisco.

1962_KING OF PRUSSIA MALL

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1975_DEL AMO FASHION CENTER, Los Angeles, California.

1991_ARICANDUVA MALL, S.Paulo, Brasile.

1991_SM CITY CEBU, Cebu City, Filippine.

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1992_MALL OF AMERICA, Bloomington, Minnesota.

2004_ J. YUAN IN BEIJING, Cina.

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2005_MALL OF THE EMIRATES, Dubai, Emirati Arabi.

2005_CHIA TAI SQUARE, Shanghai, Cina.

2005_CEVAHIR ISTAMBUl, Instanbul, Turchia.

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2005_BERJAYA TIMES SQUARE, Kuala Lumpur, Malesia.

2006_CENTRAL WORD PLAZA, Bankok, Tainlandia.

2007_VULCANO BUONO, Nola, Italia

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FUTURE SYSTEMS _ Selfridge

FRANK GEHRY_ Santa Monica Place

JEAN NOUVEL_ Triangle es Gares Euralille Lafayette, Berlino

MASSIMILIANO FUKSAS_ Europarck Spar a Salisburgo, Etnapolis,Catania

MURPHY, ELMUT JAHN_ Sony Center a Berlino e Centro commerciale Kaufhof a Chemnitz

REM KOOHLAAS_ Progetto per il quartiere Les Halles, Parigi 26


2007_“O’ VESUVIELLO”, NOLA, NAPOLI

Il Vulcano Buono è un complesso multifunzionale situato a Nola, in provincia di Napoli. La grande opera rappresenta il completamento del distretto CisInterporto di Nola,nella Provincia di Napoli. in cui il Vulcano Buono rappresenta un Centro Servizi polifunzionale. Vulcano Buono è stato progettato dall’architetto Renzo Piano. “O’Vesuviello”, come l’adora chiamare l’architetto, è un’enorme struttura di cemento a forma di cono alto 42 metri. Sorge su un’area di circa 450.000 mq, di cui circa 150.000 coperti, ed ospita un ipermercato Auchan con 80 casse, un albergo della catena Holiday Inn con 150 stanze, un cinema multisala Warner con 9 sale per circa 2.100 posti, sale conferenze, 25 punti ristoro e connesse attività terziarie. Dispone di parcheggi per circa 8.000 posti auto. Un “mall” circolare lungo quasi 1 Km, su cui si affacciano le vetrine dei marchi più prestigiosi per 180 punti vendita, circonda una grande piazza di 22.000 mq nella quale è prevista l’organizzazione di grandi eventi. La piazza centrale presenta un diametro di 160 metri equivalente a Piazza del Plebiscito a Napoli. L’esterno è caratterizzato dalle pendenze delle coperture in calcestruzzo armato, sulle quali è posto del terriccio dove cresceranno le piante per rendere mimetica la struttura con il verde attorno.

Questo clone della minacciosa montagna sarà, secondo gli ideatori, un Vesuvio “buono” capace di portare benessere e ricchezza alla popolazione dell’area in cui sorge, un’enorme struttura coperta di vegetazione per vestire la durezza del cemento ed integrare la montagna artificiale nel paesaggio naturale senza stravolgerlo troppo.

Andy Warhol, Vesuvius, 1985.

Renzo Piano, Vulcano Buono, 2007. 27


La copertura è scandita dalle molteplici aperture che corrispondono agli ingressi Capri, Sorrento, Amalfi, Positano e Ischia, più le uscite di sicurezza. L’interno, a doppia altezza, è suddiviso in colori: • Capri-giallo • Sorrento-arancione • Amalfi-blu • Positano-rosso • Ischia-verde. Le hall degli ingressi sono delle grosse piazze dedicate alle omonime cittadine corrispondeti, le piazze sono raccordate dai viali dedicati ad alcuni esponenti napoletani come Antonio de Curtis, Massimo Troisi, Tina Pica e Pupella Maggio, il piano sovrastante è collegato con quello di terra tramite scale mobili e ascensori, mentre al piano superiore i solai di entrambe le parti sono collegati da ponti di acciaio.

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Nella piazza creata nel “cratere” del Vulcano Buono è previsto un punto d’incontro e il luogo per ospitare le attività pubbliche di ogni tipo.

Nelle intenzioni di Renzo Piano, il centro commerciale Vulcano Buono, rappresenta quasi un’opera di “land art”. Posside tutti gli elementi di un megacentro commerciale, ma non vuole essere il solito contenitore di negozi, il “non luogo” ma proprio come egli stesso dice <un’interpretazione della cooperazione in chiave moderna. Non vogliamo costruire un triste shopping center ma una piazza dove il vuoto è l’elemento di incontro tra le persone>.

Apre il «Vulcano buono» “(...)Ha stonato solo l’intervento del vescovo di Nola, che, invece di ridursi umilmente solo a benedire l’opera con poche parole umane, ha rivendicato soprattutto a Dio la realizzazione di tutto quello che si è fatto. Ed ha auspicato la costruzione di un edificio cattolico nella struttura.” 29


INTERPORTO COMPANO DI NOLA Il centro commerciale si inserisce nel complesso dell’ iterporto Campano di Nola. L’Interporto Campano di Nola, avviato nel 2000, insieme all’adiacente CIS (Centro Ingrosso Sviluppo), il più grande centro di distribuzione commerciale d’Europa, costituisce un comparto che si estende su circa 4 milioni di m² e dà vita all’unico polo italiano in grado di rappresentare un nodo fondamentale per il traffico mondiale delle merci. Complessivamente, nel distretto Cis/Interporto, operano oltre 600 aziende della distribuzione e della logistica, con 5000 addetti. Sono stati costruiti oltre 400.000 m² per i magazzini, 250.000 m² in piazzali e oltre 25 km di strade interne per movimentare oltre 3,5 milioni di tonnellate di merci. L’investimento realizzato è pari a 250 milioni di euro, mentre quello previsto per il completamento ammonta a 115 milioni di euro. L’insieme è collegato con Napoli, la Campania, il Mezzogiorno, il Centro-Nord e con il resto del mondo con grandi assi infrastrutturali. Si pensa che Napoli e la Campania, la Basilicata possano avere uno slancio innovativo grazie all’ ineterporto, completato nel 2007 con il centro commerciale Vulcano Buono, come è avvenuto per Barcellona e la Catalogna, la Spagna, utilizzando intelligentemente i fondi europei destinati alle regioni europee più sottosviluppate, anche alla luce delle opportunità del Mediterraneo, divenuto area strategica del commercio mondiale.Il CIS offre una serie di servizi primari con infrastrutture che lo rendono autonomo 30

ed in grado di svolgere tutte le funzioni collegate al commercio, alla distribuzione, alla logistica ed alla finanza. I servizi disponibili sono veramente tanti: Ufficio informazioni, Ufficio Postale, Vigilanza, Posto di Polizia, Agenzia Pratiche, Ambulatorio Medico, Stazione di servizio, Eliporto, Bar, Ristorante, Paninoteca, Self-Service, Agenzia di Viaggi, Rivendita giornali e tabacchi e persino campi di calcio e di tennis ed una Stazione Doganale e Spedizionieri Internazionali operativi presso il contiguo Interporto Campano. Nel concreto, l’obiettivo è un fatturato di 15-16 miliardi di euro, con un movimento di 13 mila mezzi all’ora, nonostante il pensiero artistico di Piano che afferma: «Il vulcano buono non è uno shopping center, concezione di luogo che io ho in antipatia. Abbiamo dato servizi alla città Cis/Interporto - precisa PianoNé io né Punzo pensavamo alla formula malata del centro commerciale in cui come in un juke box la gente che entra viene scossa fino a far cadere soldi dalle sue tasche».


Articoli di giornale_ La Repubblica, sezione: NAPOLI

Vulcano Buono Inaugurato a Nola NOLA (Napoli). Il premier Romano Prodi ha inaugurato stamani “Vulcano Buono”, il più grande centro servizi d’Italia, progettato dall’architetto Renzo Piano, anch’egli presente alla cerimonia. La struttura si estende su una superficie di 450mila metri quadri e al centro ha uno spazio grande come Piazza del Plebiscito (160 metri di diametro e 20mila metri quadri di superficie) ottima per manifestazioni ed altri eventi, con ulteriori spazi da adibire ad attività commerciali. Nell’area coperta (150mila metri quadri) ci saranno un ipermercato Auchan su 24mila metri quadri, 160 negozi, una multisala cinema Warner (capienza 2500 spettatori), un albergo Holiday Inn con 158 stanze, bar, ristoranti, sale congressi e un parcheggio a 8mila posti. 2500 i posti di lavoro che assorbirà complessivamente una volta a regime. L’apertura al pubblico è prevista per venerdì 7 dicembre. “Vulcano buono” completa un sistema integrato, assieme all’Interporto e al Cis di Nola, che oggi può contare su mille aziende, 8mila addetti, 40mila occupati nell’indotto e 30mila presenza al giorno. . .

Napoli - ‘Vulcano Buono nasce a Nola la nuova Napoli’ Ha lasciato la sua frase come un timbro. «È la nuova piazza di Napoli». Larga e profonda come quella del Plebiscito. Giorgio Napolitano la guardava dall’alto del suo orgoglio. Le sue origini sono a Gallo di Comiziano, vicino Nola. La nuova piazza di Napoli è al centro di ‘Vulcano Buono’ il più grande centro commerciale italiano, capolavoro di architettura moderna, firmato Renzo Piano. Apre il 6 dicembre, verrà Prodi. «È l’altra Napoli», lo slogan che fa girare Gianni Punzo, il mercante che ha creato tre città dove vent’anni fa non c’era una pietra.

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Articoli di giornale_ La Repubblica, sezione: NAPOLI

A Nola arriva il Vulcano buono ‘In periferia portare vita e lavoro’ Nella piana di Nola, improvvisamente, una montagna: presenza sorprendente, ma spero non inquietante, sottolinea l’ architetto Renzo Piano. Tra poco più di un anno chi arriverà laggiù troverà il “Vulcano Buono”, alto 40 metri e largo 170, ricoperto alle falde di alberi. Tra le viscere e i piani superiori, un ipermercato, alberghi, ristoranti, una multisala e, soprattutto, «una piazza vuota», un’ agorà luogo di incontri e scambi, «che non ha una funzione precisa e perciò le ha tutte, si riempie di vita, si anima» la descrive il suo autore. Diapositive del cantiere dove lavorano 400 operai. La montagna emerge a forma di tronco conico di fronte al Vesuvio. Il verde coprirà i materiali che fanno da sostegno alla struttura. Non quella ordinaria di tristi shopping center, scatoloni chiusi, ma una superficie conica che vive di luce naturale. Attorno un parcheggio di 7000 posti auto. Piano illustra il progetto, un investimento iniziale di 180 milioni di euro, nella sede della Regione Campania, con il governatore Antonio Bassolino, il presidente del Cis Interporto, Gianni Punzo, l’ assessore ai Trasporti, Ennio Cascetta, il preside di Architettura, Benedetto Gravagnuolo. Bassolino interviene: «Anche noi con piazza Plebiscito abbiamo fatto la scelta di rispettare lo spazio vuoto». Aleggia il tema della rivolta delle Banlieu parigine: nelle periferie malate, consiglia Piano, «bisogna portare vita e lavoro». Il “Vulcano buono” copre un’ area di 450 mila metri quadrati. A regime il centro multiservizi avrà 1500-2000 addetti, in totale saranno coinvolte 8000-9000 persone. Le due strutture si trovano ai lati del “Vulcano Buono” e completeranno il distretto dello sviluppo di Nola, a ridosso di Marcianise dove c’ è il Tarì e sta nascendo il Polo della Qualità. La joint venture che lo gestirà si chiama Vulcano spa, Punzo è amministratore delegato, un parternship tra la Cis shopping, controllata del gruppo Interporto Campano, con il 55 per cento e l’ altro 45 per cento della società tra la francese Auchan e l’ americana Simon Property. Obiettivo è un fatturato di 15-16 miliardi di euro, con un movimento di 13 mila mezzi all’ ora nel 2007. «Nel cuore della Campania nasce una grande opera di architettura e una struttura produttiva di livello internazionale, collegata con i porti di Napoli, Salerno e Gioia Tauro» sottolinea il governatore Bassolino, «la sosteniamo con convinzione - chiarisce - anche quando si è trattato di finanziare le strade di collegamento». Piano ha preparato il progetto per il recupero dell’ ex area Falck a Sesto San Giovanni, affidato alla società Risanamento. E a Bagnoli, Piano, che farebbe? «Quella di Sesto San Giovanni è un’ acciaieria con problemi simili a quelli di Bagnoli - risponde - ma senza la sua bellezza straordinaria. Lo sforzo che facciamo, prima ancora che architettonico, è sociale per portare nel territorio quel mix di funzioni necessarie in periferie così vulnerabili». Dalla città delle fabbriche alla fabbrica delle idee. Dunque nelle periferie «la prima cosa è portare vita, lavoro, non l’ industria pesante di una volta, ma centri di ricerca e di insegnamento, gli incubatori, i vivai di imprese, i nuovi mestieri». A New York, ha ricordato Piano, «stiamo realizzando l’ espansione della Colomba University ad Harlem». Patrizia Capua

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RIPETITIVITA’- ANONIMATO - IDENTITA’ Il franchising di alcuni marchi (IKEA, CARRERFOUR, MACDONALD) sono presenti sul territorio con una propria identità, riconoscibili su qualunque itinerario autostradale.

Lo stesso oggetto lo ritroviamo in case americane , asiatiche, Sono di solito abbinati e serviti europee ed è riconoscibile per dalle stesse infrastrutture e crea- il suo stile inconfondibile e vago. no un polo commerciale. Accanto a questi megastore Producono oggetti di massa per un consumo di massa, sono sono sorti negli ultimi anni shopping mall che offrono una anonimi per un consumatore pluralità di servizi in un conteanonimo, sono generici per un sto architettonico regolato e , consumatore generico. sembrerebbe, non arbitrario.

IKEA è un’ azienda multinazionale con sede in Svezia, specializzata nella vendita di mobili e complementi d’arredo. Il gruppo IKEA è presente in 44 nazioni. Il suo marchio è facilmente riconoscibile, i suoi punti vendita si trovano generalmente in prossimità di autostrade, e presentano la medesima architettura in tutte le parti del mondo.

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LA MCDONALDIZZAZIONE La Mcdonaldizzazione è un termine utilizzato spesso come sinonimo di globalizzazione. Prende spunto dalla politica del lavoro attuata dalla società di fast-food McDonald’s in varie parti del mondo. In senso stretto, McDonaldizzare significa sviluppare ristoranti economici concepiti come catene di montaggio, facili da esportare in altri luoghi tramite la vendita di diritti d’uso o di royalty. Tale tipo di riproduzione seriale conivolge tutto il processo gestionale, dalla promozione, alla realizzazione dei contenitori prediposti ad ospitare l’ attività di vendita ( che si presentano con le medesime caratteristiche tipologiche) dalla presentazione alla vendita di di merce prodotta in serie. In generale, la McDonaldizzazione rappresenta “un processo profondo e di ampia portata di cambiamento globale” che coinvolge gran parte delle istituzioni sociali, basato su un modello

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che presuppone la riproducibilità universale dei prodotti. La sua filosofia si basa sui principi di “efficienza, calcolabilità, prevedibilità e controllo”, attraverso la “sostituzione di tecnologia non-umana a quella umana” e la realizzazione completa della nozione di Taylorismo manageriale, ovvero la separazione tra le componenti intellettuali e materiali del lavoro.Quindi la combinazione sistematica di routine e macchinari, per ridurre l’intervento umano al minimo, con il monitoraggio delle azioni dei dipendenti e la riduzione dei costi. La McDonaldizzazione è considerata parte di un processo più vasto, chiamato Americanizzazione e definito come “propagazione di idee, usanze, modelli sociali, industria e capitale americani nel mondo”.


AEROPORTO

Essa si serve degli stessi modelli strutturali elastici, flessibili e addizionali e degli stessi materiali e tiene conto della più o meno capacità di contenere i flussi migratori di entrata e di uscita e dei tempi di permanenza dei passeggeri. La società che consuma l’aeroporto è multietnica, multiculturale e in gran parte generica. Nell’aeroporto c’è l’universalità delle culture e dei bisogni. Ha un’ identità indeterminata.

“Un interessante recente sviluppo molto interessanti sono i negozi negli aereoporti. Sono molto divertita da come coloro che pianificavano gli aereoporti li considerino come i luoghi migliori per le vendite, luoghi in cui la gente aspetta per prendere un aereo, non dove si aspetta per fare il biglietto,ma lungo il viale, aspettando il momento dell’imbarcazione, possono fare dello shopping.” Denis Scott Brown_Intervista con Hans Ulrich Obrist e Rem Koolhaas, Ginevra, agosto 2000.

L’aeroporto, oggi, rappresenta la condizione dell’uomo di passaggio, esprime l’universalità e la specificità. La prima come luogo di mercato omologato e standard e il secondo come immagine della città a cui appartiene. I vecchi aeroporti tendevano ad essere anonimi ed erano al servizio dell’attività che svolgevano, erano praticamente un non-luogo, oggi ,invece, sono l’estensione degli shopping mall urbani. Gli aeroporti degli anni ’60 avevano una pianta esagonale, pentagonale o ettagonale, pianta e alzato ortogonali negli anni ’70, negli anni ’80 conglomerato urbano a collage, sezione curva unica negli anni ’90. Lo schema di base dell’aeroporto oggi corrisponde alla pianta urbana della città a cui apparAreoporto di Monaco_ Munich Airport tiene: Monaco, Francoforte, Stapleton (Colorado,Denver) ne sono alcuni esempi. Essi sono “quartieri aeroportuali”, utilizzati dai passegeri per tutti i servizi efficienti e attraenti che offrono. Gli aeroporti di Londra (Gatwick), Amsterdam (Schiphol), Irlanda( Scannon) si fanno concorrenza per i propri duty Areoporto di Amsterdam_ Schiphol Areoporto di Londra_Gatwick free e shopping mall interni, veri paradisi per il viaggiatore, dove vi sono negozi che da soli valgono un viaggio ( l’aeroporto di Fiumicino a Roma con il suo centro commerciale “La piazzetta”). Anche la progettazione dell’architettura del quartiere aeroportuale rispecchia quella del centro commerciale tipo. Areoporto di Francoforte_ Flughafen-Rhein-Main <Il modello fluido dell’areoporto si sostituisce a quello delle città, il cui avvenire si annucia sempre meno materiale..> Bruno Fortier, La città senza agglomerazione, in “Casabella”, n.599, marzo 1993, p.45.

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PARCHI A TEMA Robert Venturi, architetto che ha voluto rispecchiare l’esistente ed esprimere culture e mode dell’uomo contemporaneo, esaltava il valore assoluto dei parchi Disney. Disneyland rappresentava per lui lo spirito della città americana del futuro. Il potere straordinario delle varie Disneyland del mondo, dalla prima nel 1955 a Los Angeles in California, fino a quelle francesi e giapponesi attuali è stato quello di aver creato una terra di illusioni, un parco di divertimenti per adulti e bambini, grande come una città. Disneyland è un modello perfetto e insuperato non solo perché è uno straordinario parco giochi, ma perché in esso vi sono dei codici totalmente comprensibili che provengono dal mondo dei media. In essa vi è hi-tech e pop-culture, miti della tradizione, favole e storie. E’ un mondo di sogni in cui ciascuno può trovare il proprio sogno personale: vi è Fantasyland, Frontierland, vi è una città spaziale e l’isola di Peter Pan, alta tecnologia dei robot e la Main Street in scala 1:1. Esso rappresenta in qualche maniera, un mondo che è esistito almeno nei nostri ricordi e dove è stato possibile essere felici. Il suo segreto sta nel non lasciare alcun momento alla noia, gli addetti assicurano il flaneur e giocano con lui. Eurodisney permette un esperienza totalizzante.

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C’è un elenco di quartieri che rappresentano un sistema di mondi manipolati e preconfezionati in cui l’unica verità sta nel somigliare ad un modello ideale. Il filo conduttore di questa trasformazione della città è il consumo: di merci, di servizi, e di esperienze. Disneyland diventa uno shopping mall scenografico. Tutte le parti della città storica si ricompongono in un parco a tema, dedicato al suo re: il consumatore. Negli USA, la storia è al livello di massa, è facilmente rappresentabile con cartoline, rappresentazioni teatrali, giornali, e viene ricostruita mediante spettacoli praticamente ovunque. In un’atmosfera incredibile, ad esempio a Fanevil Hall, uno dei luoghi sacri dell’indipendenza americana si fondano lo spirito dello shopping mall, quello di Disneyland, quello del libro di storia, quello del luna park. L’effetto di attrazione in ogni singola ricostruzione è lo stesso.


DISNEY SPACE Disney space is the invention of a new urbanism by a single individual, Walt Disney, whose yearnings for a n idealized enviroment produced a series of, in retrospect, visionary moves that irreversibly trasformed the composition of the twentieth-century city. Disney’ s humble desire resulted in the radical conversion of the city, from public to private, modern to neotraditional, noncommercial to commercial. He accomplished this transformation by generating a template- recycling and reengineering an earlier architecture and urbanism into a new commercial nostalgia- that, in its renewable versatility, subsequently proved adaptable everywhere.

Guidato, in parte, dall’accumulo delle sue perdite, Walt divenne ossessionato dall’idea di uno spazio che potesse essere continuamente formulato, progettato, e animato. La sua brama culminò nell’idea di Disneyland Park del quale dichiarò in un’intervista all’Hollywood Citizen-News nel 1952: IL parco significa molto per me. E qualcosa che non si conclude, qualcosa della quale posso mantenere la crescita, qualcosa che posso mantenere in vita, e aggiungervi sempre di più. Io voglio qualcosa di vivo, qualcosa destinata solo a crescere. Questo è il parco. Qualcosa che può essere soltanto più bella anno dopo anno. Qualcosa che può solo migliorare se riscontra il piacere del pubblico. Non posso fare questo con un’immagine. Sarebbe qualcosa di finito di immodificabile prima che il pubblico abbia deciso se le piace o meno.

Attraverso delle motivazioni fantastiche il progetto di Disneyland, i classici principi dell’ architettura reale dell’urbanizzazione si dimostrarono incompatibili con la visione di walt dello spazio. Egli formulò una serie di progetti principali e di approcci che potessero spingere l’architettura e la forma urbana varso il fantastico: animazione, fantasia, manipolazione delle grandezze,prospettive forzate e il “winnie”. Quest’ultimo è la il nome informale scelto da Walt Disney per indicare il punto principale d’attrazione visibile da ogni anglo del parco, che orienta il visitatore verso il luogo focale dell’attività del parco.Il castello abbastanza alto da essere visualizzato attraverso tutto il parco e il maggiore “winnie”, ogni luogo più piccolo ha un minor “winnie”.

Immaginare era il neologismo di Walt per descrivere la relazione tra la natura del progetto e il lavoro di animazione presso gli studi di Disney: immaginazione + ingegnerizzazione. Mentre tutti erano animatori, gli “immaginatori” avevano diversi backgrounds, provenivano da diversi campi del sapere: dai pianificatori, ai progettisti, agli architetti, egli ingegneri, agli informatici, ai direttori dei cantieri. Le tecniche cinematografiche permettono ai visitatori di avere esperienza del parco come erano presentate nei film. Disneyland è stata progettata come una serie di eventi, così come si sviluppano nel corso d’inglese, in cui gli elementi generalmente non collegati geograficamente e architettonicamente sono integrati in un “tutto apparentemente logico e scorrevole”. Ad Adventureland, questo è molto evidente: Messicani, Africani, Islamici e carat37


teristiche Caraibiche appaiono una dopo l’ altra in una sequenza accelerata di architettura e vegetazioneSebbene Walt rifiutò i principi dell’architettura per il progetto di Disneyland, si aprì allo stile del centro cittadino degli Stati Uniti. La Main Street del parco negli USA rimescolava con una certa nostalgia le caratteristiche delle città nate prima dell’ automobile, gli shopping malls e e caratteri delle periferie nella campagne americane. Disneyland è, inoltre, uno dei siti pregni della tradizione architettonica vernacolare americana combinata con la moderna attività commerciale. Sebbene Disneyland fosse diventato molto popolare, Walt immaginò un successivo progetto che sarebbe stato il culmine dell’ambizioni della sua vita: materializzare un mondo che inglobasse gli elementi della città reale e del parco a tema. Walt immaginò un nuovo mondo che contenesse una comunità di residenti, una zona industriale, un aereoporto, tutti collegati da un sistema ferroviario ad alta velocità. Più che Disneyland, Walt Disney World Resort è un ambiente idealizzato ispirato da elementi del passato che si guardano al futuro. Lo storico dell’ architettura James Moore crede che il Walt Disney World Resort sia un “tessuto di miti” dove le memorie di un passato idilliaco non sono solo riviste attraverso la reingegnerizzazione dell’ architettura e della pianificazione urbana tradizionali, ma sono anche integrate con le più moderne tecnologie e soprattutto il commercio, tutto secondo la perfezione delle utopie future. Walt Disney morì il 15 dicembre del 1966, prima di aver visto il completamento del suo mondo. 38

L’ apertura del Walt Disney World Resort nel 1971 fu molto apprezzata dai personaggi di spicco d’ architettura. Il creitico Paul Goldberger commentò ciò come “forse il più importante laboratorio di pianificazione urbana negli Stati Uniti” e pensava che visitarlo fosse “un pellegrinaggio obbligatorio per i giovani architetti”. Lo storico Peter Blake lo definì” la più interessante New Town degli Stati Uniti”. E l’architetto Robert Venturi la lodò come “la più vicina a ciò che la gente desidera che gli architetti abbiano fatto. E’ il sibolo dell’ utopia americana. Forse una fonte più influente ancora delle visioni utopiche di Walt Disney è stato Victor Gruen, l’inventore degli shopping malls americani. Walt possedeva numerose copie di Heart of Our Cities di Gruen, che teneva nella libreria del suo studio. Lo studio del 1964 “urban crisis” deplorava gli effetti di disgregazione portati dall’ automobile, dai quartieri periferici residenziali e dai media (specialmente la televisione) a discapito del tradizionale centro città, il cui declino riduceva le relazioni tra la gente e quindi distruggeva l’integrità della comunità.

Gruen propose di reinventare un centro di incontro sociale attraverso i centri commerciali. I malls potevano sostituire le stesse funzioni del centro tradizionale della città (comunità, coesione e commercio), ma sarebbero stati situati in luoghi accessibili con l’automobile. Gli shopping mall di Gruen come centri sociali dovevano essere circondati da parecchi edifici residenziali, che formasse unitariamente dal singolo modulo una nuova città. Nel piano “Metropolis of Tomorrow” riassumette le caratteristiche della città radiale di Le Corbusier, mantre pensò a degli spazi interni “ aperti, vivibili e facilmente leggibili”. Per creare l’atmosfera dello spazio pubblico, Gruen propose elementi urbani tipo, piazze, terrazze e fontane. I due shopping malls di Southdale a Edina in Minnesota e Midtown Plaza a Rochestes, a New York contengono queste innovazioni. L’idea di Gruen per il Metropolis of Tomorrow era già di dominio pubblico quando Disneyland Park era in costruzione e indubbiamente influenzò il progetto di Disneyland e le sue maggiori caratteristiche. le similitudini sono chiare: tutti erano orientati


al commercio, tutti gli ambienti erano pedonabili, erano fornite tutte le funzioni della città tradizionale, con tutti i servizi indispensabili sistemati in direzione del centro. Marty Sklar, il Presidente del Disney Imagineering (che era a contatto con Disney prima dell’ apertura di Disneyland Park) tracciò un quadro ben delineato per guidare L’ immaginazione nel progetto d’architettura. Mickey’s 10 Commandments era un elenco di criteri per creare un ‘architettura più aperta alla gente che esperiva edifici e luoghi: Know your audience. Wear your guest’ shoes, that is, don’t forget the human factor. Organize the flow of the people and ideas. Create a “winie” (visual magnet). Communicate with visual literacy.

Avoid overload- create turnons. Tell one story at a time. Avoid contradictions- maintain identity. For every ounce of treatment provide a ton full of treat. Keep it up. Molti promotori commerciali e venditori citano I parchi a tema di Disney come fonte di ispirazione per l’ideazione e la progettazione di shopping mall a tema, chiamati anche destinazioni per il commercio e il divertimento. Il punto chiave d’interesse è Disneyland Park, per il suo fascino da piccola città, con una propria atmosfera e configurazione. Molti commercianti prendono in prestito queste idee per attrarre in un centro commerciale il più altro numero di consumatori. Ma, l’attrazione più efficace

che deriva dalla formula coniata da Walt è il legame tra il piacere e l’acquisto. Il venditore elabora la particolare inclinazione dei parchi a tema: la gente va lì per stare bene e non necessariamente per andare solo a passeggio. Spendono soldi. E quando la gente si diverte e sta bene, spende ancora più soldi. Questa è la connessione che sta alla base di un centro commerciale. NEW URBANISM Agli inizi degli anni ’80 nelle nuove città americane, la versione architettonica e urbanistica di Disney fu rivista dal gruppo dei New Irbanist, capeggiati da Andres Duany e Elizabeth Plater- Zyberk a Miami, Elizabeth Moule e Stefanos Polyzoides a Los Angeles e Peter Calthorpe a san Francisco. Nelle nuove città progettate dai New Urbanist l’ideale era Celebration, una città che simulava la vita di una città antica, rivisitando tradizionali stili di vita attraverso dei progetti preselezionati e codici ambientali consolidati. Duany e Plater-Zyberk, che progettarono una prima soluzione del master plan di Celebration sono i più famosi pianificatori e codificatori di questa maniera di concepire lo spazio urbano.

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DALL’ ESPERIENZA DEI PARCHI A TEMA AI CENTRI COMMERCIALI DISTRICT FASHION OUTLET MANTOVA

OUTLET VALMONTONE

OUTLET MOLFETTA

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VILLAGGI TURISTICI Anche i villaggi turistici sono delle realtà macroscopiche in cui tutti i desideri dei vacanzieri sono stimolati e realizzati. La reclusione implica la realizzazione di tutti quei piaceri negati e repressi durante l’anno, e ne è l’habitat ideale. Il villaggio turistico conforta lo stress, da’ serenità e aliena l’ uomo moderno dalle ansie e dalle insicurezze. Come il parco a tema, le grandi navi da crociera, anche i villaggi turistici organizzano e costruiscono il tempo libero più lungo: le vacanze. Offrono dei servizi la cui ricerca in altro ambito, sottoporrebbe ad ansia e nervosismo. L’ immagine architettonica, i servizi offerti, lo shopping, il personale, le attività e lo stile complessivo di intrattenimento sono proporzionati al tipo di clientela a cui si propongono. Come i grandi magazzini accanto e staccati dalle città, così i villaggi turistici sono spesso avulsi dalla città circostanti e quindi dalla e culture caratterizzanti e locali. Spostano quantità enormi di denaro e milioni di persone in zone recintate come cittadelle fortificate. In questa peculiarità i villaggi diventano sempre più competitivi tra di loro e la loro nascita e morte dipende da offerte sempre più accattivanti e superiori alla domanda.

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IL CENTRO COMMERCIALE E L’ ECONOMIA DELL’ EXPERIENCE Ai margini delle città caotiche e liquide nascono i centri commerciali che sono una risposta alle pressanti esigenze di consumo ed essi stessi espressione della cultura dei consumi e dell’economia di mercato globale della nostra società. I grandi centri commerciali testimoniano l’ emergere di un’economia dell’experience, infatti sono spazi sociali e strutture architettoniche che cercano di inglobare tutti i bisogni del consumatore e non solo. Entrare in un luogo di consumo di massa implica un coinvolgimento di sensi (vedere, sentire, toccare, gustare, odorare) e di emozioni, a tal punto che l’atto dell’ acquisto finisce per diventare una minima parte dell’esperienza complessiva. Lo shopping mall persuade il consumatore all’ acquisto mediante un coinvolgimento emozionale ed esperienziale e la teatralizzazione dell’ offerta. La nuova tendenza dello shopping stravolge la “funzione” del punto vendita tramutandolo da semplice luogo d’acquisto a luogo di permanenza e di esperienza. Lo shopping diventa un momento ludico, una vera e propria esperienza che coinvolge la sfera emotiva e sensoriale inconscia del cliente. Il concept store è individuato come uno spazio commerciale innovativo, costruito intorno ad un tema specifico, in cui i prodotti sono messi in scena in un contesto spettacolare ed espressivo, e dove prima dei prodotti ciò che si vuole proporre è la gratificante esperienza che il consumatore può provare nel negozio stesso. 42

L’obiettivo chiave del progettista è comprendere in che misura l’ambientazione del punto vendita e più in particolare gli stimoli olfattivi diffusi al suo interno, possono influenzare il comportamento del personale di vendita e la relazione con il cliente. I punti vendita diventano punti di esperienza e devono avere un ambiente gradevole e accattivante, il punto vendita deve “sedurre” il cliente attraverso i profumi, la musica, la vista... Quindi l’atmosfera del negozio, la creazione di atmosfere recepibili in maniera multisensoriale diventa una variabile da utilizzare strategicamente per creare un vantaggio competitivo forte. In questa ottica NASCE, CRESCE, VIVE, SOPRAVVIVE, SCOPPIA e COLLASSA il centro commerciale. Il consumatore è incantato e affascinato da luci, colori, suoni e profumi. Quello spazio di tempo libero che ha ritagliato da una quotidianità frenetica, lo vive come in un sogno e si abbandona all’ illusione di una vita migliore e in questo modo consuma.

Può accedere ad oggetti del suo desiderio senza troppe preoccupazioni economiche, perché tutto è alla portata della sua tasca. E’ l’apoteosi della capacità del povero di poter entrare in un rango superiore permettendosi la fruizione di certi prodotti. Rem Koolhaas sottolinea che il centro commerciale è la sola architettura che può sopravvivere, ma non può inglobare tutti i bisogni, perché molti sono ancora confusi, troppo deboli, segreti, ancora niente per l’uomo moderno. Anche Zygmunt Bauman insiste sullo stesso concetto. Riflette sull’ incapacità dell’ uomo di comprendere il presente e ciò che gli necessita e si auspica un cambio di rotta dove i valori umani vengano rinnovati e portati al centro del suo dibattito, dove possa tornare a considerarsi uomo. Si rivolge ai Poteri, alla Politica e all’ Economia perché si facciano carico delle proprie responsabilità di fronte a questi tempi troppo fluidi.

Daniel Libesking_Centro commerciale Westside a Berna


STRATEGIE DI MARKETING La decisione riguardo al luogo in cui nascerà un centro commerciale è determinata da politiche e strategie di carattere economico. Quando non c’è più più profitto tutto può essere distrutto e ricostruito da un’ altra parte. A volte la megastruttura commerciale ha un carattere di RINNOVO URBANO VAGO: nasce in luoghi insospettabili, la sua collocazione appare casuale e la stessa nascita improvvisa. Tutto, comunque, risponde a delle regole di mercato dove le grandi catene di prodotti di consumo e le grandi organizzazioni in franchising sono l’ asse portante della distribuzione commerciale. Improvvisamente nasce, in uno spazio vuoto, uno spazio urbano fatto di infrastrutture: strade, parcheggi ben ottimizzati, edifici articolati in parti funzionali standardizzate e tecnicamente efficienti (depositi, supermercati,centri di benessere, banche, sale da gioco, multisale). Alcuni spazi sono dedicati a eventi di ogni tipo. A poco a pocosi aggiungono, attorno al centro commerciale quartieri-dormitorio, abitazioni a costi accessibili, ma prive di tutti quei servizi di base che rendono un centro abitato autosufficiente (ferrovie, uffici postali, ospedali, chiese, centri sportvi). In questo caso l’ iniziativa è partita dalla costruzione del centro commerciale, come anche opportunità di lavoro, intorno al quale sono nati i “quartieri Ipocrisia”, differentemente dall’esperienza dei grands ensembles francesi o i Siedlungs dove l’iniziativa abi

tativa di tipo pubblico è stata assediata a sua volta dal centro commerciale. Si ritrovano anche centri commerciali che vivono in armonia con la città e con le esigenze dei suoi abitanti. Sono collocati in zone accessibili e fruibili anche a piedi. Essi non si siolano rispetto alla città, ma sono parte di essa. Può accadere che una delle due parti può perdere la sua autenticità.

CENTRO COMMERCIALE ”LA BUFALOTTA” Roma La realizzazione di centro commerciale ha dato impulso alla costruzione di residenze. Il centro commerciale gode dello svincolo sul Grande Raccordo Anulare, le zone residenziali sono,invece, mal servite. I nuovi residenti lamentano un gioco perverso del sistema commerciale.

IL CASO DEL VULCANO BUONO, NOLA, NAPOLI l nuovo centro commerciale di Nola, Napoli, è nato a completamento dell’ Interporto Campano di Nola, a pochi chilometri da Napoli. I servizi disponibili nella zona dell’ interporto sono molti: Ufficio informazioni, Ufficio Postale, Vigilanza, Posto di Polizia, Agenzia Pratiche, Ambulatorio Medico, Stazione di servizio, Eliporto, Bar, Ristorante, Paninoteca, Self-Service, Agenzia di Viaggi, Rivendita giornali e tabacchi e persino campi di calcio e di tennis ed una Stazione Doganale e Spedizionieri Internazionali operativi presso il contiguo Interporto Campano. Sono presenti numerose banche e studi professionali. L’ Interoporto e quindi il centro commerciale sono in posizione isolata rispetto alla cittadina di Nola, e le residenze non sono previste in questo contesto. L’Iterporto Campano, completato dal centro commerciale Vulcano Buono, testimonia una particolare forma di assetto urbano. L’ attività lavorativa incentrata sulla distribuzione delle merci si coniuga con i tutti i servzi primari e secondari, creando un polo molto attivo, se non vitale per l’area dell’agronolano, situato al di fuori della città.

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MARCHI ,LOGHI E GRIFFE Il centro commerciale è anonimo e standardizzato nelle sue parti così come i prodotti nei loro marchi. Le tasche dei consumatori ben studiate e ispezionate, ora e nel tempo, dettano le regole del gioco: gli spostamenti del consumatore da casa al centro, dall’atrio d’ingresso al negozio, dall’entrata del negozio al camerino, alla cassa. L’architetto si adegua. Il marchio esige uno specifico criterio progettuale, visibile sia nelle medie che nelle grandi firme, visibile in tutti gli shopping mall. Questa ripetitività dà valore aggiunto alle griffe del prodotto. Printemp, Armani, Versace, Trussardi sono alcuni dei marchi per ceti alti, che impiegano architetti famosi, in una logica di reciproco rafforzamento tra il marchio del prodotto e la firma del progettista. Più in basso si affollano le architetture degli shopping mall dove design, tecnologia e psicologia si uniscono per fare di ogni persona un visitatore e di ogni visitatore un consumatore. Nella piramide di valore economico seguono gli spazi riconoscibili immediatamente, quelli del grande consumo di massa (Benetton, H&M, McDonald). Strade, facciate, vetrine, insegne senza soluzione di continuità creano uno spazio di stimoli, promesse ed offerte. C’è una grande proliferazione di marchi a basso e medio costo, la differenza sta anche nella localizzazione all’interno del centro commerciale: ai più attraenti spetta una posizione privilegiata. Il progettista è costretto ad operare all’interno di una formula standard, creata in termini di profitto. 44

La ripetitività degli ambienti, moduli prefabbricati e geometricamente uguali nel tempo induco ad uno stato di perenne oppressione.

Njiric + Njiric. IPERMERCATO BAUMAXX, Maribor.

Massimiliano Fuksas_ CENTRO COMMERCIALE ETNAPOLIS, Catania.

Gino Valle_ SHOWROOM GEATTI, Terenzano.


ICONOGRAFIA Nel gusto degli Usa anni ‘50 si assiste al rifiuto delle geometrie bianche razionaliste dell’architettura europea e dello stile Bauhaus. Si ebbero reazioni con L’Action painting e con il Neo-dada, ma il fenomeno radicalmente nuovo della neoavanguardia post-bellica fu la Pop Art. La Pop Art è stata una corrente tipicamente americana, che più di ogni altra ha dato all’arte degli Usa una posizione leader sulla scena internazionale. La Pop Art è stata classificata come un’arte prettamente sociale. I principali artisti Pop sono stati: Oldenburg, Warhol, lichtenstein, Wesselman, Rosenquist, Segal, Ruscha etc. Essi dipingono prelevando dal vivo immagini e oggetti del contesto quotidiano: scatole di alimenti, bottiglie di Coca Cola, strumenti tecnologici, foto di donne famose, figure prese dai cartelli pubblicitari, particolari ingigantiti di reclame, con la tecnica propria della pittura commerciale, con quella dei disegni dei fumetti etc. Il tutto <come nuovo>. La Pop Art è, insomma, un’ iconografia di immagini e oggetti attraenti e brillanti, così come appaiono nella realtà, come si vedono nei supermarketo come nei mass media, segni inconfondibili della civiltà dei consumi. Merita riflettere su quanto la Pop art ha inciso sulle forme dell’ architettura, come hanno fatto Robert Venturi e Denis Scott Brown in Learning from Las Vegas. La Pop Art rappresenta “cose” della vita quotidiana, una sorta di riconsiderazione dal basso, basato su uno scenario artificiale e tecnologico.

Per comprendere il legame della Pop Art e l’architettura bisogna fare nuovamente un passo indietro e ricollegarci alle nozioni provenienti dalle teorie della “Bigness”. Come già discusso con l’ introduzione delle teorie sulla grande dimensione, tra gli anni ‘50 e gli anni ‘60, “le tentazioni dell’ architettura” sono rivolte alle megastrutture, edifici di grande scala la cui progettazione si pone a livello intermedio tra architettura e urbanistica. Le nuove concezioni di grandi edifici collettivi concidono cronologicamente e socialmente con l’avvenuta ricostruzione post-bellica, con lo sviluppo della grande rivoluzione industriale e, legandosi al proliferare delle attività terziarie hanno modificato il paesaggio urbano, soprattutto per quanto riguarda l’attività edilizia residenziale e commerciale. Le insegne pubblicitarie di cui si serve la Pop Arte sono diventate l’architettura di Las Vegas. Robert Venturi e Denis Scott Brown partendo dall’esperienza di Las Vegas, abbozzano <una teoria generale della percezione urbana>. Las Vegas rappresenta per loro un “existing landscape” dal quale architetti e urbanisti hanno molto da imparare. Ci propongono Las Vegas come il migliore modello oggi disponibile per verificare certe teorie vecchie e nuove sulla città come “fatto di comunicazione”, come “sistema di segni”. Nel loro primo scritto su Las Vegas essi dicono: <i pionieri della critica esaltarono il volume e Le Corbusier come Wright hanno parlato dell’ architettura in termini di forma e di luce, ma gli altri fra i maggiori teorici dell’ architettura moderna, inclusi Giedion, Pevsner, Zevi, Kahn ed Edmund Bacon attualmente hanno visto nello spazio il fattore essenziale

che distingue l’ architettura dalla pittura, che ha il suo specifico nel colore, dalla scultura che è volumetrica, e dalla letteratura, che è simbolica (...). In questo approccio puristico all’ architettura moderna le tecniche della struttura e della programmazione hanno dominato su quelle del significato e dell’ immagine, e la tradizione dell’ iconologia è stata abbandonata>. Gli autori, invece, basandosi sull’ analisi di alcuni ambienti della realtà americana, si propongono di individuare <una pura architettura della comunicazione(...). Questa è un’ architettura di stili e di segni, essa è anti-spaziale: qui a Las Vegas, la comunicazione domina gli spazi intesi come elemento principale della conformazione architettonica e ambientale>. Le grandi strade di Las Vegas affollate dalle insegne e dalla pubblicità dei grandi Casinò appaiono come luoghi in cui <immagini simboliche comunicano una quantità di significati attraverso centinaia di associazioni in un paio di secondi.> Il simbolo prevale sullo spazio. Perchè i rapporti spaziali sono costruiti sui simboli piuttosto che sulle forme spaziali(...) lo stesso edificio è un’insegna. Il ristorante a forma di humburger, che all’esterno è un simbolo scultoreo, all’interno è un riparo architettonico>. A queste annotazioni fanno segiuto analisi attente a evitare equivoci. Infatti l’articolo termina con osservazioni quali: <Abbiamo analizzato Las Vegas solo come un fenomeno di comunicazione architettonica. Non abbiamo chiamato in causa problemi di valutazione. La pubblicità, il gioco d’azzardo e gli istinti competitivi esulavano dai nostri interessi(...). 45


Stiamo analizzando un metodo, non un contenuto. Comunque non c’è ragione perchè le tecniche della persuasione commerciale e lo skyline delle insegne non possano venire agli intenti di un civile e culturale cambiamento. Ma ciò non riguarda specificatamente l’architetto>. Negli scritti successivi, Robert Venturi e Denis Scott Brown hanno mantenuto questa loro posizione di scoperta di espressioni popolari e spontanee diffuse in tutto l’ ambiente americano, hanno sottolineato i legami dell’ architettura alla Pop Art, hanno manifestato l’esigenza di un’architettura sempre più simbolica e comunicativa ma, non hanno mai sconfinato dagli interessi disciplinari.

EDIFICI-PAPERA, EDIFICI-INSEGNA

“Là dove i sistemi architettonici di spazio, struttura e programma funzionale sono sommersi e distorti da una forma simbolica complessiva. Chiameremo questo tipo di edificio-che-diviene-scultura “papera”, in onore del drive-in a forma di papera “il paperino di Long-Island” illustrato in God’s Own Junkyard di Peter Blake...La papera è quel particolare edificio che “è”un simbolo...crediamo che oggi la papera sia assai poco importante, nonostante essa pervada l’architettura moderna”. Robert Venturi, Denis Scott-Brown, Learning from las Vegas,1972.

Mvrdv _ IKEA

“Where the architectural systems of space, structure, and program are submerged and distorted by an overall symbolic form. This kind of building- becoming-sculpture we call the duck in honor of the duck-shaped drive-in, ‘The Long Island Duckling,’ illustrated in God’s Own Junkyard by Peter Blake.1 The duck is the special building that is a symbol.”

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<La Pop Art ha dimostrato come il banale sia spesso la principale sorgente dell’ occasionale vitalità e varietà del paesaggio urbano, e come all’origine della banalità e della volgarità dell’intero panorama non sia la banalità o la volgarità intrinseca dei singoli elementi, ma piuttosto le relazioni contestuali, sia spaziali che di scala. Un’altra implicazione significativa della PopArt induce a considerazioni di metodologia urbanistica. Gli architetti e gli urbanisti, che denunciano rabbiosamente il paesaggio urbano per la banalità e la volgarità, elaborano complicati metodi per abolire o dissimulare gli elementi banali o per escluderli dal vocabolario delle nuove immagini urbane. Ma essi sbagliano di molto sia nel tentativo di migliorare che nel ricercare un sostituto per la scena attuale perchè tentano l’ impossibile. Perseguendo obiettivi troppo grandi, dimostrano la loro impotenza compromettendo la loro influenza quali supposti esperti. L’architetto e l’urbanista non potrebbero indurre effetti significativi tramite lievi modifiche degli elementi convenzionali del paesaggio urbano esistenti o proposti? Modificando o sommando elementi convenzionali ad altri elementi convenzionali, spostandoli dal contesto, si può ottenere un massimo risultato con un minimo sforzo: si possono dimostrare le stesse cose in maniera differente>. Robert Venturi, Complessità e contraddizione in architettura, 1966.

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“We recommend taking a non-judgmental approach to taste and accommodating to pluralism and relativity.� - Iconography and Electronics

Sign of fun...Learning to love what we love to hate... Steve Izenour

Claes Oldenburg

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LEARNIG FROM DENIS SCOTT BROWN E ROBERT VENTURI

Learning from Las Vegas generò un acceso dibattito quando fu pubblicato nel 1972. rappresentò un manifesto per gli architetti, richiamandoli a riflettere maggiormente circa i gusti, le esigenze e i valori della gente “comune” e meno inclini alla creazione di monumenti auto gratificanti. In aperta disputa con le regole dell’ International Style In Learning from Las Vegas, Robert Venturi e Denis Scott Brown e Stefan Izenour specificano l’alterazione e l’ evoluzione del linguaggio della Pop art in architettura. Viene coniato il motto “Less is a bore” “Meno è una noia”, polemicamente ripreso dal celebre detto di Ludwing Mies van der Rohe “Less is more” “Meno è più”. Learning from Las Vegas si inserisce in quel filone di pensiero nato durante gli anni ‘70 che ha cercato di smantellare quella concezione totalizzante dell’ architettura, riportandola dal perseguimento dell’ utopia alla vita di ogni giorno. E Las Vegas, non pianificata e non progettata dagli architetti rappresenta agli occhi dei tre autori ciò che contraddice quel razionalismo alla base dello sviluppo di molte città americane. 49


INTERVISTA A DENIS SCOTT BROWN E ROBERT VENTURI

Learning fron the existing landscape is a way of being revolutionary fora n architect. Learning from Las vegas, 1972 UN INTERVISTA CON DENIS SCOTT BROWN E ROBERT VENTURI HANS ULRICH OBRIST E REM KOOLHAAS, Ginevra, agosto 200

REM KOOLHAAS_Scoprii Learning from Las Vegas nel 1972 da uno student di Cornell. Per me ,il libro fu allo stesso tempo un’ ispirazione e una minaccia; il vostro lavoro costituì un manifesto per l’ inversione di marcia dalla sostanza all’ immagine precisamente nel momento in cui stavo iniziando a decifrare l ‘impatto della sotanza sulla cultura, da cui Delirious New York. Paradossalmente, io avverti nel vostro libro un paio di architetti che, a dipetto del loro amore per l’architettura, erano orribilmente affascinati dal suo opposto- mi stavo iniziando ad affascianare all’ architettura partendo dal suo opposto. HANS ULRICH OBRIST_ Su questa nota,io mi chiedo come sia molto difficile trovare un manifesto sul’ architettura dopo il vostro testo Complexity and Contradiction in Architetture. Rem stava notando come dopo di esso, molti manifesti trattarono della città. RK: IL punto non è che ci sono manifesti che trattano la città, ma che non ci sono manifesti, ma libri sulle città che si servono di manifesti. Così dopo Complexity, Contradiction in Architetture, Learning from Las Vegas fu il primo della serie: dopo il vostro libro ce ne sono stati altri su New York, Los Angeles, Singapore, noi ne stiamo facendo uno attualmente su Lagos in 50

Nigeria, ma niente che tratti più direttamente l’architettura. Come vedete questa cosa? Come voi, autori dell’ ultimo testo di architettura avete operato nell’ intervallo dei trent’anni trascorsi dopo la sua pubblicazione? ROBERT VENTURI_ Il nostro approccio, attualemente, è collegato a ciò di cui abbiamo parlato per lungo tempo, ma si esprime in maniera differente. L’ elemento essenziale dell’architettura del nostro tempo, non sono spazi sempre più grandi, non sono forme astratte sempre sempre più grandi sulla scia di quelle industriali, ma l’elemento essenziale dell’architettura è l’ ICONOGRAFIA. Ma la gente oggi non sa ancora cosa significhi iconografia. Io scrissi un libro sull’ iconografia e ,in America, ha ricevuto una recensione una sola volta, da Martin Filler, nel New York Review of Books. Essenzialmente ciò che io dico è che è tempo di imparare dall’architettura dell’ astrazione estetica che ha guidato il ventesimo secolo. La settimana scorsa, abbiamo fatto un viaggio alla Villa Savoye; io l’adoro, ma non è abbastanza rilevante per me per la sua astrazione ( credo più per la sua disposizione spaziale). Noi stiamo approfondendo sempre di più la tradizione iconografica: i geroglifici egiziani su

ralicci sono come delle pubblicità; le prime basiliche cristiane o bizantine, come quelle a Ravenna, hanno degli interni che abbondano di segni, noi la definiamo arte alta, ma in realtà è un’ arte pubblicitaria che insegna alla popolazione analfabeta la teoria del Cristianesimo; i grandi murales del periodo barocco sono essenzialmente delle pubblicità della Controriforma da parteda parte della chiesa Cattolica di Roma e così via. Certamente , un altro grande esempio dell’ architettura iconografica di oggi è l’attività commerciale vernacolare in America che è stata tanto rilevante nei primo ventennio del secolo quanto l’ architettura industriale vernacola lo è stata per il ventesimo secolo. Le Corbusier fu ispirato dai silos di grano del Midwestern dell’ America,; Mis van der Rohe costruì degli edifici che erano essenzialmente dei loft industriali reinterpretando il loro vocabolario e il loro sistema spaziale. L’ispirazione prima proveniva dall’ architettura vernacolare industriale americana, poi cedette il posto a quella commerciale. E , inoltre, i simboli sono molto importanti: sono esattamente l’equivalente sei segni per i Bizantini e per le chiese della controriforma. Questo è ciò che è rilevante.


Differentemente da ciò, l’architettura per me è morta. Il postmodernismo è stato pessimo, ma il post-postmodernismo di oggi, che rivisita il percorso del lessico industriale, fa quello che fece lo stile che rivisitava il Rinascimento a suo tempo, perché la Rivoluzione Industrilae è tanto storica quanto il Rinascimento. Chiunque sa che viviamo nell’ era postindustriale, nell’ era dell’ informazione_ nell’ era in cui l’architettura può rifiutare le forme astratte e promuovere l’ iconografia elettronica! IL frontone dei tempi Grechi possiede una statua, che è sia bella sia istruttiva. Si può andare avanti con questo tipo di esempi; è solo nel ventesimo secolo che si sono liberati della comunicazione iconografica che possedevano al tempo. Io sto dicendo che l’architettura è davvero scadente in questo momento e ne abbiamo le dimostrazioni! RK_C’è una questione interessante qui: nel nome di ciò che sta accadendo e sulle cose che sono rilevanti. Tu stai proclamando la morte dell’ architettura: il cambio di rotta dalla e verso l’iconografia di cui tu parli è totalmente riconoscibile. Ma come tu tieni conto di questo enorme fascino popolare di creare una forma, di architetti che mettono intere città sulla mappa facendo delle sculture? RV_ Noi non stiamo proclamando la morte dell’ architettura,ma la sua rinascita: proclamiamo la morte della scultura quale architettura. Inoltre diciamo : non dimentichiamo che l’architettura, fondamentalmente, è un ricovero, non una scultura. L’espressionismo astratto della metà del secolo scorso è stato un ‘invenzione fantastica e vitale, ma pensiamo che non è rilevante e significativa adesso specialmen-

te se pensata come un’architettura. RK_ Ma non viviamo in un periodo in cui il numero degli approcci che erano morti sembrano avere una vita posteriore molto forte soprendentemente? RV_ Si,ma dimentichiamo che negli anni ’20, la scuola di Beaux Arts di architettura e di stile deco fu molto popolare. Al tempo di Villa Savoye, al tempo in cui lavoravano Aalto, Gropius etc, c’erano molti architetti che stavano facendo ciò che molte scuole in America stavano insegnando: l’architettura della scuola di Beaux ArtsQuello che c’è da vedere sui giornali oggi è vigoroso come le oper della scuola di Beaux Arts. L’ironia è fantastica. E la scuola di Beaux

Arts rappresenta la fine di quel periodo. Io dico questo in maniera abbastanza forte, ma penso di aver ragione.

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2 RK_ Recentemente abbiamo messo a confronto la Las Vegas del 1972 con quella del 2000, per dare un responso di entrambi i metodi e la conclusione del vostro libro. Quando si guarda alla differenza di grandezza della città tra queste due date, non solo in termini di area,ma anche rispetto ad altre categorie tipo popolazione, nascite, matrimoni, impiegati, stanza dagli alberghi etc. la crescita è incredibile: l’archetipo dell’ irrealtà- la città del miraggio di cui parlavate in Learning from Las Vegas, ha attraverso la massa ingente, è diventata una città reale. Così Las Vegas sembra essere una delle poche città a diventare paradigmatica due volte in trent’ anni:

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dalla città al punto di diventare virtuale nel 1972 ad una condizione pressocchè irrevocabilmente sostanziale nel 2000. DANIS SCOTT BROWN_ Tre volte se inizi e parlando di quarant’ anni del deserto. Molte città cambiano i loro connotati; pensa solo a molte città europee che iniziarono con l’essere campi romani, poi divennero fortezze medioevali e alla fine sono diventate città moderne. RV_ Si, ma è stato nel corso dei secoli, non nel corso di un decennio. Ma quando noi eravamo interessati a Las Vegas, venticinque anni fa, quando rappresentava uno sviluppo iconografico incontrollato, il nostro interesse era chiaramente audace.

Era difficle pensare all’ oggi, poiché Las Vegas è diventata scenografica al pari di Dineyland. RK_ Ma non è ancora audace? Uno dei paradossi di Las Vegas è , a dispetto dei suoi trent’ anni, è che non viene ancora presa seriamente. HUO_ E’ ancora un taboo prendere Las Vegas seriamente? DSB_ I critici sembrano considerare Las Vegas molto più seriamente di quanto facessero negli anni ’60. HUO_ Cosa avete imparato da Las Vegas nel vostro lavoro?


DSB_Tutto il nostro lavoro ne è influenzato: se intraprendiamo il progetto di un cottage coperto sulla spiaggia Nantucket, sarà un insegnamento di Las Vegas. In un complesso di scienze naturali che stiamo progettando proprio adesso, abbiamo chiamato il luogo dopo si incontrano tre edifici “il ritrovo delle menti”. Pensando a Las Vegas, abbiamo proposto un cerchio pieno di luci brillanti in quel luogo e se tu facevi luce, le parti di questa costruzione si illuminano di una luce brillante attirando l’ attenzione dei passanti. RK_ Ma quanto siete stati in grado di seguire direttamente le condizioni commerciali che avevate descritto su Las Vegas? Siete interessati a progetti commerciali, nel lavorare con i promotori immobiliari?

RV_ E’ stato detto che siamo stati raramente capaci di intraprendere progetti commerciali, anche se siamo stati interessati ad essi e li abbiamo rispettati per lungo tempo. Noi siamo considerati affiliati, avendo lavorato alla Harvard, allo Yale, al Princeton e per il governo dell’Inghilterra, Giappone e Francia. Questa è una motivazione ironica al fatto di essere esclusi. RK_ Pensi che avendo formulato il manifesto per Las Vegas siate stati esclusi dalla partecipazione alla sua elaborazione? DSB_ Io penso ci siano degli aspetti interessanti nella psicologia dei promotori immobiliari da capire. Principalmente, io credo che molti di loro costruiscano per la gloria di Dio. Hanno qualcosa da raggiungere che sta dietro le motivazioni economiche. Questo li rende non sempre razionali. E’ difficile lavorare con un cliente se non vuoi sapere dove giace la loro logica, ed è doppiamente difficile se le loro intense passioni e il proprio committente si propongono come progettisti- se vogliono costruire il più bell’ edificio nel mondo, essi vorranno probabilmente essere essi stessi degli architetti e realmente non vogliono te. RK_ Pensi che questa sia vera motivazione? DSB_ Io penso, per alcuni promotori, che questo è il problema. Altri sono timorosi poiché, siccome siamo dei professori e abbiamo scritto dei libri, non possiamo trovarci sul budget. Un terzo tipo di promotori teme di essere più brillante di noi. D’altronde, lavorare con un promotore illuminato può essere molto divertente; nel confrontarsi con le istituzioni pubbliche e i governi, sono avventurosi e audaci. RK_ Ricordo una conferenza molto ironica a Parigi più di

dieci anni fa, dove stavamo presentando degli alberghi per l’ Euro Disney. Ci fu incredibilmente un momento doloroso: avevano invitato un gruppo di architetti a tornare dalle loro vacanze alla velocità di rotta di collo e li hanno messi tutti in un ‘unica stanza Ghery, Portzamparc, Nouvel, tu, io. 53


Lì abbiamo realizzato che certi posti hanno due progetti architettonici: chiunque venga per primo poteva mettere il suo modello in quello complessivo, mentre chiunque arrivasse più tardi avrebbe dovuto trovare qualche altro posto per i propri modelli, a volte venivano messi sulla cime di altri, altri al fianco. Tu presentavi un albergo che era completamente diverso dal nostro progetto, ma entrambi venimmo immediatamente squalificati. Ma pensai anche che in quella stanza eravamo probabilmente gli unici ad aver capito il vero significato di Disney, cosa fosse un parco a tema, le uniche persone che hanno effettivamente guardato a Disney e alle sue reali implicazioni. Ma istintivamente per i promotori, e per Eisner (che era poi supportato da Micheal Graves), noi eravamo fuori, la prima sentenza dopo la presentazione fu una frase storica di Bob Stern: “Penso che gli europei stiano mettendo in pericolo l’ idea stessa di Disney” e questa non era soltanto per una questione di autorità, ma delle nostre architetture: a questo punto essi potevano soltanto guardare il nostro lavoro come un esibizione di modernismo, e così poco spettacolare che non poteva funzionare, a differenza dell’ esibizione della forma di Ghery. Tu eri molto severo riguardo le regole provenienti da Las Vegas: un casino è un enorme muro con articolazioni molto piccole eccetto alla base e alla sommità. Per me quello rappresentò un momento molto interessante, da allora la tua posizione fu schiacciata da un lato dalla dimostrazione del modernismo e dall’ altro dalla dimostrazione del postmodernismo.

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DSB_ Alcune architetture sono facili da apprezzare,le nostre spaventano alcune persone. RV_ Possiamo citare un saggio che abbiamo scritto recentemente, chiamato “Las Vegas after Its Classic Age” che è nato da quando la BBC fece un programma su Las Vegas e invitò me e Denise ad essere intervistati. Era un’ analisi di Las Vegas di questi giorni, la scenografica Disneyland Las Vegas di oggi messa a confronto con la via commerciale di Las Vegas di un tempo. L’analisi comparativa di ciò che era allora e di ciò che adesso è molto affascinante, l’evoluzione è molto significativa. RK_ Ancora studi i fenomeni commerciali nel tuo lavoro? DSB_ Possiamo fare dei nostri lavori una documentazione molto valida, ma è soprattutto relativa alla ricerca per i progetti. Bob e io abbiamo sempre fatto delle ricerche basilari viaggiando molto, guardando e imparando. E, sicuramente, i nostri studi sono le nostre ricerche. Ora che faccio gran parte dei miei acquisti tramite ordinazioni via e-mail, faccio un’analisi “del contenuto” di cataloghi, e vedo che siamo considerati degli antropologi, osservati per capire quali sono le tendenze. Io compro come se fossi in una via pedonale di Main Street,in Manayunk come a Ginevra, o altrimenti non compro affatto. Un interessante recente sviluppo molto interessanti sono i negozi negli aereoporti. Sono molto divertita da come coloro che pianificavano gli aereoporti li considerino come i luoghi migliori per le vendite, luoghi in cui la gente aspetta per prendere un aereo , non dove si aspetta per fare il biglietto,ma lungo il viale, aspettando il momento dell’ imbarcazione, possono

fare dello shopping. Quando non sono interessati gli architetti sembra che la creatività impieghi molto tempo a fiorire. L’ idea di shopping, mentre si aspetta per qualcos’altro, si è sviluppata molto rapidamente ultimamente. Vengono anche chiamati “centri del profitto”. Per esempio, le stanze d’ albergo oggi sono piene di cose che tu paghi extra: dal cibo nel frigo, alle telefonate, ei fax..Si tratta di una grande quantità di prodotti da comprare nella propria stanza d’albergo: la merce ti segue nel bagno e nel letto. E’ un altro aspetto dell’ integrazione dello shopping nella vita, anche fuori dagli spazi dedicati prettamente al commercio. RK_ Hai detto qualcosa di molto interessante: se gli architetti non sono coinvolti, la creatività impiega molto tempo a crescere. Questa è una posizione ben definita. Io vorrei sapere cosa c’è all’ opposto: che l’ evoluzione richieda molto tempo se sono coinvolti gli architetti o che invece non possa mai accadere se gli architetti sono coinvolti.


DSB:_ Io sono molto critica con gli architetti che non pensano in senso abbastanza ampio a progettare bene i propri edifici, è una critica molto forte, dall’ altro lato consideriamo un semaforo: quanto tempo intercorre prima che qualcuno si accorga che potevi andare al di la’ dell’ evidente rosso, giallo e verde, che nella luce rossa potevi colpire il bersaglio, e perciò non ti serviva anche la luce gialla? Credo che siano trascorsi circa cinquant’ anni dall’invenzione del semaforo quando si sono iniziate ad usare differenti forme di comunicazione attraverso le luci. Sospetto che nel principale problema dell’ oggetto di progetto o dell’ organizzazione dello spazio, gli architetti siano spianti all’ essere creativi, a pensare al di la’ della scatola. Tuttavia, non sono educati a fare queste considerazioni circa gli spazi dedicati al commercio; è un lavoro da economisti. Nelle pianificazioni urbane spesso gli architetti conducono il team perché il loro allenamento li rende bravi coordinatori dei problemi e delle soluzioni. Ma la loro mancanza di conoscenza e la loro propensione verso la fisica li conduce ad applicare idee inappropriate o coordinare cose sbagliate. 3 HUO_ Sia Learning fram Las vegas che Harvard design School Project on the City insegnano l’unità come laboratorio. RK_ Sei un esperto di computer? RV_ Io sono veramente analfabeta. IL nostro ufficio è veramente sofisticato, e c’è qualcuno che si occupa di questo, ma io devo essere lì a fianco al computer o al computer da disegno.HUO: Ha il computer cambiato il tuo modo di lavorare?

RV_ Si ,molto. Ora io disegno molto di meno, ma la produzione ad opera del computer genera disegni su disegni su uno solo. HUO_ E tu, Rem, puoi spiegarci come iniziò il progetto sulla città? RK_ Questa può essere la fondamentale differenza tra adesso e quando iniziasti: la mia osservazione quando arrivai ad Harvard nel 1995 fu che gli insegnanti insegnavano ancora come riabilitare l’area di porto dismessa di Boston Harbor a studenti che potevano essere i pianificatori di Singapore. In altre parole assistevo ad un cambio di rotta. RV_ Di nuovo, questo può essere collegato ad una forma di universalità. Il movimento moderno si propose di essere universale. Confondere con il contesto e con il multiculturale. RK_ Così io ho cambiato idea e ho trattato gli studenti come potenziali esperti, e la cosa più bella è che ogni anno io potevo scegliere un gruppo di sessanta persone e potevo caratterizzare il tema delle materie da trattare. Io guardavo alla Cina, e c’erano persone esperte di cinese. Questa è la nuova condizione, penso, nella quale c’è una generale mancanza di naiveté.

HUO_ Come ha reagito Harvard nel tuo caso? RK_ Harvard è un istituzione fantastica dove è possibile pensare in maniera molto diretta e sincera sui propri interessi , è segretamente sempre più immischiata col potere e quindi molto apprezzata. 4 RK_ Attraverso i vostri lavori su Las Vegas così come in Complexity e Contradiction in Architecture, avete creato uno spazio concettuale dove l’architettura è “possibile”: dopo questi due libri, questo spazio in cui può essere fatta architettura, è cambiato. Come pensate che questa idea di spazio possa essere portata a compimento? DSB_ Ciò che abbiamo fatto ha permesso a molte persone di pensare in maniera differente. Più e più volte, le persone ci hanno confidato che hanno potuto finalmente essere se stessi. RK_ O che potessero essere voi stessi. DSB_ Si, ma la cosa migliore è pensare che gli è permesso essere essi stessi. E, di sicuro, questo ha aperto numerose porte anche a noi, e a molti architetti che hanno scoperto dove risiedevano alcuni propri interessi. Per esempio, il nostro amore per la Pop Art. A prima vista Las Vegas Strip ci suscitò un brivido intenso, che fosse odio o amore non so, ma fu molto esscitante e immediato. HUO_ Quale interesse viene prima, Pop Art o Las Vegas? RV_ Pop Art; fu Denise a portarmi a Las Vegas, ma il mio lavoro precedente era già innamorato del contemporaneo, dell’architettura vernacolare, dei somboli.

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DSB_ Quando io e Bob insegnavamo insieme nei primi anni ’60, io ero molto occupata a fotografare le vie commerciali pedonali di Philadelphia. Nel 1965 e nel 1966 avevo fatto centinaia di foto su Los Angeles e Las Vegas scattate dai margini delle strade. Ma il mio interesse per la cultura popolare e l’architettura quotidiana può essere ricondotto a molti anni prima. Io ne ero interessata gia’ negli anni ’40 in Africa e negli anni ’50 in Inghilterra, prima dell’avvento della Pop Art. HUO_ Ed eri già conscia negli anni ’50 di ciò che persone come Richard Hamilton stavano facendo? DSB_ Si, io le conoscevo quando ero all’ A.A. e facevo parte di un piccolo gruppo di studenti che si interrogavano sull’ architettura degli anni ’50 e si dirigevano verso delle idee che furono più tardi definite come New Brutalism. In America, quando il fenomeno della Pop Art prese piede, Bob erano in contatto con degli artisti che erano decisamente avanti rispetto agli architetti, ma per me, avendo dei punti di riferimento soprattutto inglesi e europei, il brutalismo, l’ Indipendent Group, e più tardi Team 10 e poi la fine dei congressi CIAM, gli architetti erano i personaggi d’avanguardia. HUO_ Conoscevi Lawrence Alloway? DSB_ No,ma conoscevo Smithson. Il mio interesse nei loro confronti derivava in parte dall’ esperienza che avevo fatto in Africa, dove la cultura dominante, proveniva da differenti paesi, addirittura da altri pianeti. Nella conformazione delle nostre realtà urbane e nei ruoli che rivestiamo c’è molto che proviene dall’ altra parte dell’ oceano. Avevo un’insegnante di arte Tedesca 56

Claes Oldenburg

Roy Lichtenstein

Tom Wesselman

Andy Warhol Ebrea rifugiata a Johannesburg che ci diceva sempre: non potrete mai essere creativi se non iniziate col disegnare ciò che vi circonda, intendeva la vita degli africani nelle strade di Johannesburg. Così nel mio background, fin dall’ infanzia, c’è che la creatività dipende molto dall’ osservazione di ciò che ci circonda. RK_ Cosa che è stata applicata a Las Vegas. DSB_Assolutamente! La mia visione di Las vegas è africana. RV_ Io ho l’ impressione di essere stato suggestionato da Denise Scott Brown! Tutto è iniziato quando ho conosciuto Denise. DSB_ In Inghilterra nei primi anni ’50. Gli Smithson e altri membri del gruppo indipendentista dicevano le stesse cose: guardate la vita della strada degli East End di Londra. Si riferivano a degli studi di sociologia fatti alla fine della seconda guerra mondiale. In America nel 1958,

James Rosenquist studiavo sociologia urbana con Herbert Gans, egli aveva fatto un sondaggio al quartiere West End di Boston e si era spostato a Levittown, e aveva ascoltato gli studi fatti su East End di Londra. Le nostre opinioni sull’ architettura derivano molto da questi studi sociologici e il loro sviluppo durante i movimenti degli anni ’60, da cui derive anche la Pop Art. RV_ E io fui molto influenzato da mia madre che era socialista, e i socialisti erano pochi in America a quei tempi. Mio padre era un immigrato che, lessi poi da libri di storia dell’ architettura, all’età di ventotto anni commissionò il progetto di un magazzino della frutta al più riconosciuto architetto di Philadelphia del tempo, e più tardi ebbe un progetto da un famoso architetto per il suo magazzino. Mio padre conobbe molti architetti di Philadelphia, ma non finì mai la scuola superiore, e diventò molto povero.


Neanche mia madre finì la scuola perché la sua famiglia era povera, ma ebbe dei lavori da specialista presso Bernard Shaw e i sociologi Fabian. Io non frequentai mai la scuola pubblica perché bisognava giurare fedeltà alla bandiera americana e mia madre era pacifista. Così io ho avuto un’ infanzia molto interessante, allo stesso tempo intellettuale e ideologica, nel senso buono delle parole. DSB: Io ero cosiente che le arti popolari africane contrastavano con quelle tradizionali durante la mia infanzia; per esempio il metodo tradizionale di coprire la pianta di zucca con delle perline i cui colori e disegni trasmettevano dei messaggi fu utilizzato alla stessa maniera per rivestire le bottiglie di cocacola. RK_ Probabilmente senza gli insegnamenti provenienti dall’Africa e dal socialismo non avreste mai rivolto la vostra attenzione a Las Vegas! E siete stati influenzati o avete conosciuto personalmente persone come Warhol? RV_ No, noi l’abbiamo incontrato parecchie volte, ma non abbiamo mai conosciuto personalmente ne’ lui né le persone che lo circondavano.. Ma abbiamo amato la sua arte, Warhol, Ruscha…

HUO_ Questo è interessante, provenendo da un contesto prettamente artistico, scoprii Learning from Las Vegas da Dan Graham. E ho notato un legame con i libri dell’artista Ruscha, i benzinai, le strade… DSB_ Hai ragione- infatti, noi incontrammo Ruscha quando stavamo studiando Las Vegas. Invitò i suoi studenti nel suo studio di Los Angeles. Facemmo dei film e delle fotografie di Las Vegas che si basavano sull’ immagine impassibile dell’ architettura e dell’ urbanizzazione di Los Angeles. Io inserii anche i parcheggi in un articolo sulla Pop Art e la teoria sulla pianificazione che fu pubblicata nel 1969. RV_ Noi abbiamo un dipinto di Ruscha su uno dei nostri edifici in California, il museo a La Jolla. E’ fantastico, è un paesaggio di mare con dei galeoni e su di esso disse, Coraggiosi uomini corrono dalle loro famiglie! HUO_ Certamente i lavori di Ruscha rappresentano i primi tabelloni pubblicitari. RV_ Come quelli di Warhol.

Edward Ruscha_artsita legato ai movimenti della Pop Art. Si è espresso nel campo della pittura, nei collages e nella fotografia. Il lavoro di Ruscha ha contribuito a creare lo stereotipo di un nuovo paesaggio urbano americano puntando l’attenzione su luoghi apparentemente banali come strade, autostrade, parcheggi, pompe di benzina, palme, piscine o quartieri residenziali, introducendo nell’ambito dell’arte.

5 HUO_ Ci potete dire di più sul progetto per la mostra Sign of Life, Symbols in the American City? Sembra essere legato alle prime esposizioni Pop come this Is Tomorrow, che prese parte all’ ICA nel 1956 a Londra. Segnò l’inizio della Pop Art: Richard Hamilton presentò il suo “collage Just what is that makes today’s homes so different, so appealing?“ che, secondo Hamilton derive da un elenco ufficiale di interesse: l’ uomo, la donna, la società, la storia, il cibo, I giornali, il cinema, la TV, il telefono, i fumetti, le parole, le registrazioni su cassette, le automobili, gli elettrodomestici, lo spazio. DSB_ Si, c’è un legame. La sensibilità della prima Pop Art era inserita nella mente del gruppo dei giovani ribelli AA, ed io li ho collegati. Ho trovato questo molto intrigante, pensando al mio background africano. L’ho portato con me in America e fu uno dei temi architettonici di Bob, li ho condivisi con lui quando ci conoscemmo. Sign of Life, che fu inaugurata nel 1976 al Smithsonian Institution, fu un’ istallazione evoluta di Las Vegas e degli studi su Levittown. In essa c’erano tre stanze: “The City”, “The Strip”, e “The suburb”. The City presagiva il postmodernismo. Trattava il simbolismo della città, fu ignorata dai critici, tranne da uno che disse di non aver capito cosa volesse esprimere. Se la riesaminiamo ora, vediamo che era un’ idea prematura di ciò che sarebbe passato sotto il nome di modernismo.. Esaminava il simbolismo della città tradizionale, in modo particolare il simbolismo legato ai luoghi e il simbolismo della e dalla strada, e considerava questi in relazione ai segni. 57


L’ istallazione era molto dettagliata. Era allestita tipo un giornale, con dei titoli grandi e brillanti e dei testi più piccoli come le colonne di un quotidiano e una serie di iluustrazioni, alcune molto grandi. HUO_ Conteneva quindi molte informazioni. DSB_ Si, molte persone leggevano soltanto i titoli, uno di quelli che lesse tutte fu Philip Johnson. Io penso che quello che facemmo, fornì una base al postmodernismo. 6 RK_ Torniamo alla questione dello spazio concettuale: come l’avete adoperato nei vostri lavori? RV_ Io non sono sicuro su cosa intendo per spazio concettuale. DSB_ Io penso che tu intendi un territorio metaforico, nel nostro caso, un territorio allargato, in cui il pensiero e alla fine il progetto potesse essere realizzato. Io penso che le nostre interpretazioni abbiano aperto una strada per pensare in maniera differente.

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Gli architetti non erano più costretti a guardare al modernismo. Una volta aperta la via- nota che la mia metafora contiene il movimento dove sarebbero andati gli architetti? Alcuni usavano lo spazio concettuale imitandoci, o peggio, imitando ciò che invece fraintendevano del nostro lavoro. Come la usammo? RV_ Bene, noi la usammo per riconoscere l’ architettura come un rifugio, per riconoscere la validità dei loft generici, e il nostro credo che nella forma dell’architettura non serva seguire la funzione, ma la funzione deve essere inserita: molti edifici non dovrebbero essere disegnati come un guantone che si adatta perfettamente a tutte le dita della mano, ma come una manopola che permette dei movimenti continui delle camere, flessibilità. Noi parliamo dei loft generici, parliamo dell’ iconografia, dell’ applicazione degli ornamenti, parliamo dell’ architettura americana vernacolare come ispirazione da cui possiamo apprendere, così come dai Bizantini, dagli Egiziani, e altre architetture tradizionali.


E sopra tutto, siccome noi siamo artisti, impariamo da ciò che ci piace, ciò in cui troviamo piacere, dove l’ espressione ci guida e ci spinge. Molti architetti hanno paura di riconoscere ciò che gli piace, a loro piace ciò che credono possa andargli bene. A noi piace analizzare ciò che ci fa iniziare, perché noi siamo sensibili ai nostri tempi, è questo che sarà significativo per noi. Il nostro approccio non vuole essere eroico, non vuole essere necessariamente rivoluzionario. Poteva essere eroico e rivoluzionario durante i primi anni del movimento moderno, ma ci sono dei periodi in cui sono i cambiamenti evolutivi a dare un senso. Per questo adoriamo iniziare da ciò che già c’è, dall’ architettura commerciale vernacolare delle autostrade d’ America e anche dall’ ordinario e dal convenzionale che può essere altrettanto rilevante. Ci sono momenti per essere rivoluzionari e altri per essere evolutivi. In questo caso, Le Corbusier sbagliava- ringraziamo che non sia successo- quando propose e fece dei disegni per il rifacimento di tutta Parigi, eccetto per Ile de la Citè e per Ile Saint Louis. Così noi siamo dal lato del non eroico, dell’ evoluzione, perché a noi piace amare le cose. Io ho questo credo che inizia con “Noi amiamo” ed elenca cinquecento cose: Beethoven, ketchuo, Michelangelo, bungalows, manifesti pubblicitari, arte artigiana..amare una grande quantità di cose è una cosa che molti architetti di oggi non fanno. Viva la tolleranza che abbraccia multi culture e molteplici gusti! Viva il pragmatismo! Abbasso l’Utopia! RK_ Nella vostra vocazione della architettura commerciale vernacolare, come riuscite a riconoscervi dal semplice trionfalismo americano?

Tu sei un emigrante e figlio di emigranti che erano socialisti e politicamente di parte, e ancora il tuo discorso- o almeno ciò che sembra-è che tutti possono essere ispirati dal consumismo americano. Cosa possono i poveri Europei rispetto al consumismo americano? O c’è una stessa fonte d’ ispirazione? Per esempio, l’architettura stanilista, che io trovo molto affascinante, la metro di Mosca che è per me un assoluto paradigma degli spazi pubblici. DSB_ Noi siamo affascinati dall’ architettura stalinista anche per le affinità che ha con alcune parti di Miami Beach. Ma non credo che il consumismo sia solo americano. L’aggregazione degli edifici nei pressi dei luoghi del commercio è tipica nelle città medioevali come nelle città americane. Gli spazi disponibili sono strettamente vicini alle chiese europee e ai municipi. Alcune delle più belle città , Venezia per esempio, erano, prima di tutto, mercantili. Come per il trionfalismo americano , non ha ogni nazione una propria forma di trionfalismo? Come mai molte nazioni credono di avere inventato per primi la democrazia? Ma tuttavia, noi non abbiamo un così forte legame con il consumismo trionfale americano. Molte multinazionali ci sorpassano, ma esse non sono l’ oggetto delle nostre riflessioni, noi ci riferiamo al paesaggio commerciale comune. Gli architetti europei pensano che Levvittown fa parte della grande azienda americana, ma Levitt fu più un mercante costruttore che un gigante globale. Eccetto per la stazione di benzina o per i manifesti pubblicitari, abbiamo studiato il fenomeno urbano e non era un’ azienda. La Las Vegas di cui siamo rimasti affascinati era più locale che globale.

RK_ Ma la questione principale è che i vostri libri adesso decantano quell’ iconografia che è di origine specificatamente americana. In assenza di quella fonte, cosa sarebbe l’ispirazione? RV_ Noi rifiutiamo il metodo non il contenuto. Forse non è materia dell’ architetto designare le specifiche del contenuto dell ‘architettura: quello forse è dettato dalla cultura della società in generale. L’ architetto del Pantheon non compose l’iscrizione presente sul frontone, gli architetti-costruttori dei piloni egiziani non si occupavano di specificare il significato dei geroglifici, etc. Attraverso la storia sappiamo che, il significato conoscitivo e decorativo che domina sulla forma e sullo spazio e che costituisce l’ espressione architettonica non deriva dagli architetti. Questo significa che anche l’iconografia elettronica dei nostri tempi non è permanente,ma è flessibile, può cambiare: gli architetti decidono la composizione, le forme, le misure e i segni che costituiscono l’architettura, ma il significato è scelto da altri. E anche, quando cerchi di fare delle analogia, ci sono inevitabili contraddizioni: molti architetti europei del movimento moderno che vennero in America:

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Gripuis, Le Corbesier, Breuer, Mies an der Rohe, si servirono del lessico industriale americano che derivava dall’ orientamento capitalista dell’ industria, mentre molti di questi architetti erano politicamente orientati, se non socialisti, nel loro approccio all’architettura. RK_ Non sono queste le contraddizioni a cui mi riferisco. Io mi chiedo come devono fare gli europei che fanno vostre le vostre teorie. DSB_ Molte cose: per primo imparare da ciò che insegna il nostro ambiente. Noi abbiamo imparato da ciò che c’è in America, io ho imparato dall ‘Africa e l’ho apllicato in America. Poi, siccome molte cose sono globalizzate e dobbiamo confrontarci con gli stessi problemi, bisogna sentire alcuni fenomeni americani che precorrono cose che accadono anche in Europa e altrove: bisogna imparare a fare ancora meglio, non fare gli stessi nostri errori. Per altre fonti di conoscenza, bisogna rivolgersi al Giappone, all ‘antico Egitto, e da tutta la storia europea- ricordi “from rome to Las Vegas”? Noi crediamo fondamentalmente che si può apprendere da tutto. RV_ I vorrei dire che la nostra influenza non è stata in generale positiva a causa delle incomprensioni dei nostri scritti, specialmente in Complexity and Contraddiction in Architetture. Mi riferisco alla storia usata come elemento di analisi comparativa: non significa progettare come Borromini, ma imparare da Borromini attraverso il metodo dell ‘analisi comparativa. Il libro non evoca il rivisita mento storico, ma questo è quello che il postmodernismo ha capito. Non voglio sembrare pretenzioso, ma non cito Freud per essere froidiano, o Marx 60

per definirmi marxista, noi non apparteniamo al postmodernismo. Non ci siamo mai definiti postmoderni, o usato questo termine nei nostri lavori. Noi amiamo la modernità. La nostra influenza, ironicamente, può essere negativa, può creare incomprensioni e applicazioni sbagliate. Ma molto spesso,quando la gente ha buone idee, esse sono subdole e complesse, e facilmente fraintese. Il contesto è una di queste. Le idee postmoderne sul contesto causano molti progetti di rivisitazione, insistono che i nuovi edifici debbano assomigliare a quelli vecchi che gli sono vicini, come in Piazza San Marco è in armonia col tutto il resto, sebbene coesistano e si susseguano edifici bizantini, gotici e rinascimentali. Sicuramente il suo contesto non è universale come L’ International Style che si proponeva di essere lo stesso in Cina, come in Svizzera. L’ architettura iconografica può essere universale e “contestuale”, riguardo sia la tecnologia che il contenuto dei marchi. DSB_ E’ interessante notare come gli annunci Mc Donald’s sono diversi in europa. Usano degli archi grandi e gialli, ma li inseriscono in una piazza romana. Sono molto più divertenti e sofisticati di quelli americani. 7 RK_ Carico la vostra posizione, dicendo che i marchi sono più importanti della sostanza. RV_ Piuttosto, i marchi sono più rilavanti, più significativi degli edifici. RK_ Potremmo dire inoltre: i marchi sono più importanti della “massa”? Da Learning from Las Vegas, la città è diventata più sostanziale e meno massiva: è più costruita

adesso di quanto lo fosse prima. Pensi che la lezione del marchio sui manufatti possa essere ancora applicata? RV_ Si: il marchio è più importante della massa. O ponendola diversamente- come qualcuno ha scritto recentemente sul nostro approccio: l’ edificio, il marchio, l’arte- sono un tutt’ uno. E’ per questa ragione che pensiamo che l’ attuale Las Vegas sia, ironicamente, meno rilavante di quanto lo fosse la vecchia Las Vegas.E’ andata dalla fascia commerciale alla Disneyland. In “Las Vegas after Its Classic Age” abbiamo descritto le conseguenze che ne sono seguite: dalla fascia commerciale al viale, dallo “sprawl” urbano alla densità, dai piani asfaltati al giardino Romantico, dall’ elettrico all’ elettronico, dall’ iconografico allo scenografico, da Vaughan Cannon a Walt Disney, dalla cultura popolare a quella nobiliare, dal sapore popolare a quello di alta classe,


dalla percezione come automobilista a quella del pedone, dalla fascia commerciale al centro commerciale al margine della città, dal volgare al “drammatico”. Per semplificare, la cosa più importante è che è andata dall’archetipo dello “strip” e dello “sprawl” al tipo scenografico di Disneyland. La scenografia non è necessariamente negativa- la Place des Vosges è scenografica e l’architettura, in un certo senso, si sviluppa creando delle scene. Il pericolo è che diventi un teatro esotico piuttosto che un posto reale. RK_ Tutte le caratteristiche di cui hai parlato fanno parte di un processo relativamente dinamico, come mai hai conculo con la parola negativa “drammatico”? RV_ Non è necessariamente una fine drammatica e , come ho detto, molte buone architetture contengono elementi scenografici. La sfida oggi è di farle bene, autentiche. RK_ ma come è possibile per un dichiarato populista definire alla stessa maniera un fenomeno di eccellente populismo in autentico? DSB_ Non è facile dichiararci populisti, noi siamo un misto, siamo di elite’ come populisti.

RK_ State scrivendo adesso? RV_ Oh, non volevo portarle in questa direzione! Noi lavoriamo sempre, sette giorni alla settimana, tranne nella settimana di Natale in cui lavoriamo sei gioni e mezzo. RK_ C’è un’ ironia interessante nel fatto che sostenete le applicazioni del commercio e della vitalità americani, mentre, proprio adesso, l’ America è il peggior paese ad applicarlo, a causa delle nevrosi circa il contesto, le buone maniere, la nostalgia.. RV_ Si, l’America non si vergogna poi così tanto di essere consumista! 8 RK_ Finore, abbiamo discusso la vostra carriera in termini di continuità e in termini di sviluppo dei temi presenti fin dall’ inizio. Ci sono anche degli elementi di discontinuità, di radicale cambiamento? RV_ In gran parte si sono evoluti. DSB_ Siamo stati abbastanza fortunati ad avere poche buone idee, probabilmente una sola, nelle nostre carriere. Dopo abbiamo creato un tema centrale, l’abbiamo diversificato e rafforzato, attraverso la nostra personale esperienza professionale.

“L’ architettura dovrebbe accordarsi con allusioni e simbolismi ed i suoi riferimenti dovrebbero derivare da relazioni con il contesto sociale e storico degli edifici (...) io amo la complessità e la contradizione in architettura”. Robert Venturi, Complexity and Contradiction in Architecture, 1966.

Ogni dieci anni circa c’è stato un cambiamento del nostro lavoro dovuto a differenti progetti con cui siamo evoluti. Abbiamo cessato la pratica della pianificazione urbana negli anni ’80 perché non potevo permettere che la mia azienda perdesse di nuovo tanti soldi come successe per i progetti di pianificazione durante il governo Nixon e Reagan. Dal 1980 abbiamo costruito una serie di edifici scolastici e complessi dalle classi ai residences, laboratori, librerie e campus. Il nostro lavoro universitario guidava quello istituzionale e civico, soprattutto musei e i nostri progetti per i governi giapponese e francese. I nostri lavori di laboratorio degli anni’80 ci hanno spinto verso il progetto di un centro medico negli anni’90. Insomma c’è stato un cambio nei temi, ma comunque c’è sempre stata continuità nella filosofia. I nostri progetti ci hanno sempre mantenuti informati. RK_ E non ci sono dei pensieri del pasato che adesso rifiutate? RV_ No, penso di no. Ci sono tue cambiamenti importanti di tipo filosofico. Una è a riguardo di Complexity and Contradiction in Architetture: quando il mio vecchio e fantastico insegnante del Princeton, Donald Drew Egbert lo lesse disse che si sarebbe dovuto intitolare Complexity and Contraddiction in Architectural Form, perché trattava essenzialmente della forma. Poi, Las Vegas, si basò essenzialmente sul simbolismo, c’è insomma questo movimento dalla forma al simbolismo. Siamo molto di più nel simbolismo adesso. Viva la firma!

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“It was beautiful while it lasted. For a brief period, the span of about fifteen years following the end of World War II, America seemed to embrace modern architecture. It was not, as with the International Style exhibition of 1932 at the Museum of Modern Art, the importation of some European ideas repackaged as a style. It was the development of a whole new mode of operation, one that fascinated Europe in the same way that European models had once fascinated the United States. Indeed, it would seem that the Europeans were more fascinated by the new American models than Americans themselves were. As Alison and Peter Smithson put it: “There has been much reflection in England on the Eames House. For the Eames House was a cultural gift parcel received here at a particularly useful time. The bright wrapper has made most people-especially Americans-throw the content away as not sustaining. But we have been brooding on it-working on it-feeding on it.” British architects were absorbing American architecture through the pages of architectural magazines, in the same way that they were absorbing other products of postwar America through advertisements in popular journals. Modern architecture was part of a general fascination, as attractive and colorful as the other products of the Good Life: the cars, the appliances, the food, the toys, the furniture, the dresses, and the lawns. It was yet another well-packaged, consumable object-a desirable image, good enough to eat”.

Beatriz Colomina, Privacy and Publicity, Modern Architecture as mass media, Mit Press,1994.

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PUBBLICITA’ <...La città è un efficacissimo strumento pubblicitario. Non è un caso che nelle grandi città dove le telecomunicazioni dominano, cme Tokyo e Hong Kong, ogni strada e ogni edificio sono trasformati in enormi oggetti pubblicitari; per non parlare delle strutture installate in cima agli stessi grattacieli. Lo stesso vale per Times Square, altro centro nevralgico mondiale di telecomunicazioni. La pubblicità non è semplicemente appesa agli edifici: sono gli edifici stessi a divenire pubblicità... Quante sedi di banche, compagnie di assicurazioni e simili sono al centro della città “perchè ci devono stare”, e quante invece sono lì perchè la gente le veda? L’aggressività della publicità urbana è resa inesorabile dal fatto che chi si muove in città deve senza scampo,continuamente e leggere i messaggi scritti che affollano il panorama. Ne va della sua sopravvivenza e,nel caso di un automobilista, ne va della sopravvivenza dei pedoni...Anche le telecomunicazioni sono un potente mezzo pubblicitario,ma la televisione si riesce a spegnere almeno di tanto in tanto con un tocco dell’interruttore. Indagini molto serie dimostrano che un gran numero non solo di salde amicizie e di incontri fruttuosi,ma moltissime innovazioni, iniziative economiche, alleanze d’affari o semplicemente buone idee trovano origine “per caso” in questo”brodo di cultura” dell’informazione casuale di cui la città, e soprattutto un’area centrale metropolitana, costituisce il contenitore per eccellenza.

Un esempio interessante e paradossale dell’efficacia di questo “brodo di culura dell’informazione casuale”è quella specie di Silicon Valley in California. Centinaia di tecnici e imprenditori del settore elettronico più avanzato sono qui riuniti per profittare dell’enorme flusso e riflusso di informazioni che incessantemente irriga questa moderna valle dei miracoli. Orbene,se ci sono persone al mondo che non dovrebbero aver bisogno di contatti fisici diretti per scambiarsi notizie, questi sono appunto gli straordinari abitanti di Silicon Valley. Invece, eccoli tutti lì, a contatto di gomito nei loro uffici, laboratori, residenze e ritrovi sociali, nonostante che alcuni svantaggi dell’agglomerazione si siano cominciati a manifestare (prezzi dei terreni, inquinamento della falda acquifera). Questi moderni esorcisti della concentrazione geografica hanno bisogno della concentrazione come l’aria che respirano. Non c’è gadget che possa sostituirla.> Gabriele Scimemi, Telematica e avvenire della città, in Studi in onore di Giuseppe Samonà, a cura di Marina Montuori, Officina, Roma 1988, Vol I, tomo II, pp.377-379.

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FLYERS D’ARCHITETTURA L’importanza della grafica e della pubblicità nella progettazione urbana, nonchè di centri commerciali spinge alla ricerca di forme di rappresentazioni anche dell’ architettura quanto più suggestive possibili. La ricerca di immediatezza nella comunicazione, la fascinazione grafica, l’ironia sono gli ingredienti usati da Benoit Faure e Jean-Charles Liddell, giovani architetti franco-canadesi che hanno trovato nel flyer un personalissimo ed efficace mezzo espressivo. Se il flyer è divenuto un popolare strumento di comunicazione urbana istantanea, e di qui il perfetto adattamento al formato del web, potrebbe sembrare paradossale utilizzare questo tipo di medium per avviare una discussione sull’architettura; oppure non considerarlo altro che la manifestazione di uno stile. Tuttavia, i flyers riflettono la nostra situazione architettonica e sono all’origine una ricerca di applicazione piuttosto particolare. Se i flyers sono un’auto parodia dell’architettura (in divenire), essi sottolineano l’attuale crisi della professione (il costruito sfugge sempre più agli architetti, disinteressa le persone… ecc.) ma anche il fatto, esagerando un po’, che viviamo in un mondo pubblicitario, in effetti i nostri rapporti con “l’altro” tendono sempre più all’ordine del consumo. “Le nuove tecnologie, il virtuale…” Forse gli architetti dovranno riconvertirsi nella pubblicità al fine di modellare il nostro ambiente? Come per i flyers, lo slittamento è alla base del 64

Bertrandnet2.

Campustage 99, a Summer assemble exposition-

Musicnet. “La funzione prima diviene funzione seconda, e questo permette all’oggetto di riconnotare, ironicamente, il suo stesso precedente uso” (Umberto Eco). La cultura Pop è il nostro principale referente. Si può parlare in questo caso di “parassitismo” o di “riciclaggio”, ma l’essenziale è nutrirsi del nostro ambiente quotidiano, considerandolo non come un pretesto o come un alibi più o meno rassicurante )

per giustificare, osservare o vendere un intervento) ma come circostanze aleatorie, divergenti, che alimentano i nostri progetti. L’obiettivo è creare delle occasioni tra l’architettura, il design e l’immagine per prospettare altre scale, altre sensazioni; niente di nuovo, in effetti.


L’ ARCHITETTURA DEI VIDEOGAME Nel rapporto tra l’architettura e lo strumento della grafica al fine della progettazione, è interessante riflettere su quanto accadendo nel mondo dell’intrattenimento digitale nei confronti dell’architettura. La costruzione architettonica serve, nel videogame, a contenere le azioni del personaggio che è il sostituto del giocatore fino al raggiungimento del suo obiettivo. L’architettura svolge un ruolo importante perché, a differenza del film, nel videogame è il giocatore che decide cosa fare, come muoversi. Si mettono in moto reazioni molto simili a quelle che possono avvenire nella realtà di tutti i giorni.L’aspetto della singolarità dell’esperienza percettiva è evidente in tanti videogiochi e il concetto stesso di corpo, in quanto sistema percettivo, è messo ogni giorno in discussione dai media.In molti casi, nel gioco, il punto di vista è quello dove l’alter ego/personaggio rimane al centro dello schermo mentre tutto il resto si muove attorno a lui.Lo spazio diventa fluido e si modifica attorno al soggetto, è frammentato ed esiste solo quello che si percepisce in quel momento. E’ la informatizzazione dello Spazio Emozionale. Lo spazio diventa più fluido, perdendo i suoi canoni tradizionali, andando alla ricerca di regole che non siano quelle dettate dalla forza di gravità o da necessità fisiche. Questo è uno dei punti più interessanti, il videogame ha un’architettura di tipo emozionale. I collegamenti tra gli spazi sono spesso liberi da impedimenti strutturali e lontani da una definizione dentro la logica architettonica classica. 65


servatore, ovvero la sensazione PERCEZIONE DEL TEMPO E I ricordi sono confusi, innudi velocità e di prograssione merevoli, ma delocalizzati. VELOCITA’ nello spazio di cui il fruitore è La percezione è sospesa e le soggetto. Nella stessa logica dello spazio immagini frammentate. L’ effetto in questione, ampiaI grandi magazzini risultano, emozionale ricreato nei videoancora una volta, COMUNICA- mente studiato nell’ ambito game si sviluppa il concetto di del cinema di animazione, ha TORI COMMERCIALI. movimento nei centri commerstimolato anche nello spazio ciali. Il consumatore è direurbano, e soprattutto degli zionato, sotto molteplici forze shopping mall, alcune sperid’attrazione, nel suo percorso. mentazioni dirette a ottenere IL CONTRIBUTO DEL DIBATEgli si ritiene completamente immagini che si animassero appagato nel vivere il suo tem- TITO ARCHITETTONICO SUI sfruttando il movimento dello MOTI APPARENTI O RELATIVI po in quei luoghi. spettatore, ad esempio a scopi È dedicato agli acquisti, alle relazioni familiari e di gruppo, al Il dibattito architettonico dei pri- pubblicitari, contando sulla mi anni sessanta ha contribuito capacità delle immagini in mogioco, alla cura del corpo, etc. vimento non solo di attrarre lo Non c’è pedonalizzazione, ma a codificare i caratteri specifici sguardo, ma anche di direziodegli spazi del moto, alla ricerpercorsi obbligati spesso innarlo nella direzione voluta. comprensibili e destabilizzanti. ca di trovare nuove forme di Questi studi hanno contribuiPuò rimanere dieci minuti come rappresentazione e analisi. to a definire gli spazi degli l’intera giornata completamente L’ interesse è giunto fino alla shopping mall, alla ricerca di considerazione del fenomeno appagato, sedato, narcotizzapercorsi guidati ed immagini complesso dei moti apparenti to. Le tasche un po’ meno! “ipnotiche” utili a catturare Le attrazioni sono numerose e il o relativi, messi in gioco dalla l’attenzione del consumatore e tempo ha avuto uno stile libero. rapidità di movimento dell’osguidarlo negli acquisti. Le panchine, numerose, gli hanno permesso di guardare ciò che l’architetto ha creato e ciò che dagli scaffali ha attirato la sua attenzione, desideri e capricci. Per valorizzare il tempo vissuto in quegli spazi, deve armarsi di pazienza e assoggettarsi a condizioni esagerate e imposte. L’obiettivo è quello di fare acquisti mirati, dettati da bisogni reali. La misura del tempo, segmentata al massimo nella società contemporanea, è sospesa, annullata nel centro commerciale, ma comunque carica di stimoli e contenuti, tali da stancare. IL TEMPO_ La velocità sta nella trasmissioCentro commerciale “Vulcano Buono” Nola, Napoli ne degli stimoli che vengono assimilati in un atteggiamento di percezione distratta. Tutto appare frammentato nel centro commerciale, schegge che si ricompongono solo in pochi attimi nell’ occhio disorientato del consumatore di passaggio. 66


DIAGRAMMI: GOVERNARE LA COMPLESSITA’ DI UN CENTRO COMMERCIALE “E’... significativo che Freemont street sia più fotogienica della Strip, e una sola cartolina può offrire una veduta del Golden Horse-Shoe, del Mint Hotel, del Golden Nugget e del Lucky Casino. Una sola foto della Strip è meno spettacolare; i suoi spazi enormi devono essere visti come sequenze in movimento”. Robert Venturi, Denis Scott Brown, Learning from Las Vegas,1972.

Robert Venturi e Denis Scott Brown esprimevano così la loro linea programmatica: <Descriveremo come siamo giunti a considerare l’architettura commerciale dello sprawl urbano, tutta in funzione dell’ automobile, quale nostra fonte d’ispirazione per un’architettura di significato, civica e residenziale, oggi vitale, come il vocabolario industriale al volgere del secolo lo era per l’architettua moderna delo spazio e della tecnologia industriale di 40 anni fa>.

Gli shopping malls sono uno dei tipi maggiormente legati alle dinamiche relative alla città dell’automobile. Le relazioni tra la condizione della mobilità veloce e la dilatazione dello spazio urbano, hanno prodotto numerose nuove considerazioni sull’adozione di strumenti progettuali più idonei alla nuova realtà. Gli strumenti tradizionali della composizione architettonica, formulati nel corso dei secoli si sono dimostrati scarsamenti operativi per il controllo di sistemi complessi. Essi non risultano adatti al controllo degli spazi della velocità e dei mutamenti repentini dovuti all’epoca della meccanizzazione. La ricerca di nuove tecniche di rappresentazione in grado di descrivere scientificamente la complessità delle relazioni spazio temporali, serve ad ampliare le capacità di intervento e a determinare configurazioni che tengono conto delle più diverse situazioni funzionali, contestuali e dimensionali. I centri commerciali rientrano nella categoria di edifici che necessita una rappresentazione chiara e immediata. Il fatto che sorgano in prossimità di infrastrutture di traffico rappresenta un fattore strategico,ma allo stesso tempo difficile da governare. La necessità di una comunicazione sintetica ed efficace, chiaramente riconoscibile dall’ autostrada che li fiancheggia rappresenta un nodo chiave nella progettazione dei grandi spazi commerciali. I fenomeni della percezione della velocità introducono un’analisi diversa, regolata da altre leggi rispetto a quelle riconducibili

all’approccio disciplinare. Ciò che sembra di chiara lettura andando a piedi può risultare illegibile se si è in automobile e allo stesso modo ciò che si percepisce in automobile, riconpattato in pochi secondi, può essere di difficile lettura e coerenza andando a piedi. Gli studi americani sui caratteri degli spazi della velocità avvenuti negli anni settanta costituiscono ancora oggi un valido supporto per la progettazione. Essi sono orientati prevalemtemente alla rappresentazione di infrastrutture. La velocità rappresenta un parametro essenziale nella determinazione di un progetto. Alla guida di un’automobile la percezione visiva diventa una sorta di narrativa della successione degli oggetti che scorrono nel campo visivo e induce alla visione di distorsioni dovuta soprattutto alla rapidità di movimento. Uno dei più importanti approcci all’analisi diagrammatica degli spazi fu fornito nel 1960 da Kevin Lynch con il saggio “Image of the City” in cui rappresenta gli elementi della struttura urbana secondo diversi livelli di importanza in forma diagrammatica. Lynch si propone così di codificare un metodo analitico, scientificamente affidabile e universalmente valido.

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Il saggio “The view from the road” di Donald Appleyard e John Myer e Kevin Lynch del 1965 completa maggiormente il quadro analitico fornendo maggiori dettagli sulla rappresentazione dei caratteri specifici della percezione veloce. Di questo testo esiste una parziale traduzione italiana di Alessandro Rocca e Pierluigi Niccolin apparsa in un articolo su “Lotus Navigator” nel 2003. Gli studi portati avanti negli anni sessanta sono stati molto importanti poichè hanno contribuito a migliorare la conoscenza delle relazioni spazio-temporali. Contributi più recenti legati all’ intenzione di un’innovazione nelle tecniche rappresentative, sono quelli Di Rem Koolhaas per Lilla e Vittorio De Feo per il progetto vincitore per una stazione di servizio Esso. E’ interessante notare come l’efficacia delle loro rappresentazioni sia data da una grafica in stile fumetto, una forma comunicativa sperimentata nella comunicazione di massa, unita al montaggio cinematografico e le avanguardie artistiche, prima fra tutte la Pop Art.

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Kevin Lynch_ Piano per Boston

Rem Koolhaas progetto per Lille

Nel 1994 viene pubblicato Architecture and Disjunction ad opera di Bernard Tschumi. Il testo risulta molto importante per capire come la componente temporale sia diventato un parametro fondamentale nella progettazione di spazi pubblici. Secondo l’architetto franco-svizzero, Spazio, evento e movimen

to, costituirebbero gli elemnti base per una nuova architettura. La componente temporale, dinamica della proposta di Tschumi si distacca notevolmente dalla concezione più tradizionale del progetto architettonico, e dall’approccio del movimento moderno. La nozione di funzione trasla dalla concezione di programmazione a quella di evento.


L’ evento, “con il suo carattere mutevole e aleatorio, mette in crisi ogni idea di forma espressa attraverso assetti definitivi spostando l’attenzione su quello che accade e, soprattutto, su quello che può accadere in un qualsiasi spazio, anche al di la’ delle previsioni. E’ evidente, in questo sforzo di trasformazione della disciplina, non solo il tentativo di mantenersi in contatto con una realtà in costante e accellerata mutazione evolutiva, ma anche di ampliare la capacità dell’ architetto di rispondere a situazioni che sfuggono alle sue capacità di comprensione e di intervento. Si tratta di un approccio che, rispetto al sistema di sicurezze che regge la pratica del progetto architettonico, risulta tanto destabilizzante quanto aperto a nuovi sviluppi: all’ attenzione di suddividere e confinare si sostituisce la ricerca e l’ amplificazione del possibile e dell’ inaspettato.”

“Più in dettaglio, il progettista dovrebbe evitare piccole discese o cunette, brevi curve con raccordi che vanno quasi nella stessa direzione, curve rientranti curve che cambiano direzione alla sommità, ponti piatti o rettilinei in una strada curvilinea e così via: nella vista in prospettiva della strada apparirebbero come irregolarità accidentali. In generale questo approccio è corretto, perchè fa si che, se realizzata con perizia e ben inserita nel paesaggio, la strada di comunicazione sia piacevole da percorrere e abbia un’apparenza armoniosa: se la strada si dipana senza sforzo da un punto all’altro di un paesaggio naturale gradevole e piuttosto aperto, offre lo stesso senso di ritmo e di movimento vitale della traccia di uno sciatore. Rappresenta, in effetti, uno stile artistico ben sviluppato” Donald Appleyard, Kevin Lynch, John R. Myer, The view from the road, trad. it. in Pierluigi Niccolin, Alessandro Rocca, The view from the road. 1964-2003, “Lotus Navigator”, 7, Il paesaggio delle freeway, gennaio 2003, p. 14.

Giovanni Corbellini,2007.

“Sono molto interessato al caos perchè è l’esito ultimo di tutta una serie di volontà di immaginare un ordine che, generalmente, si sfalda all’ultimo momento. L’architetto non può contribuire al caos perchè il senso ultimo, la definizione stessa della sua professione consistono nel fondare un ordine; tuttavia si sa che il proprio sforzo è condannato al fallimento. E’ a causa del fallimento che si contribuisce al caos, e non è un argomento interessante per un architetto.” Rem Koolhaas, Atlanta, Parigi, Singapore, in La Ville: sei interviste, a cura di Odile Fillon, in “Lotus”n.84,1995. 69


Nel concorso per il parco della Villette a Parigi, è stata sperimentato questo approccio sia da Bernard Tschumi che da Rem Koolhaas seppur in maniera differente. La proposta di Tschumi,meno radicale rispetto a quella di Rem Koolhaas, è stata quella vincitrice e, quindi, è stata realizzata. Tschumi propose una griglia, mentre Rem Koolhaas una distribuzione a fasce e una localizzazione puntuale delle funzioni. Entrambe, tuttavia, hanno cercato una sistematizzazione secondo elementi generici. L’ obiettivo era quello, in entrambi i casi di creare dei luoghi che potessero produrre esperienze diversificate, frutto del caos. Gli eventi così trovano”una loro rappresentazione architettonica nel casuale sovrapporsi e incontrarsi dei diversi layer programmatici”(Giovanni Corbellini, 2007).

Genesi formale del progetto di Bernard Tschumi per il Parc de la Villette di Parigi: frammentazione e ricomposizione.

Sovrapposizione dei tre sistemi: punti linee e superfici del progetto di Tschumi per il Parc de la Villette di Parigi.

Planimetria del progetto presentato da Bernard Tschumi per il concorso per il Parc de la Villette di Parigi (progetto vincitore).

Planimetria generale del progetto di Rem Koolhaas per il concorso per il Parc de la Villette di Parigi. 70


Genesi formale del progetto di Rem Koolhaas per il Parc de la Villette di Parigi, comprendente lo schema di partenza, la suddivisione in fasce, la suddivisione in griglie puntiformi e il tracciato dei percorsi.

Stadio ďŹ nale del progetto di Rem Koolhaas comprendente: connesioni e sovrapposizioni dei vari strati.

Visione planimetrica con distribuzione del verde nel progetto di Rem Koolhaas.

Veduta di un particolare del plastico del progetto di Rem Koolhaas. 71


Analisi di Denise Scott Brown per un percorso su più livelli ad Austin. Il diagramma, è entrato così a far parte del linguaggio architettonico contemporaneo, rivestendo un’importanza centrale nella produzione architettonica più avanzata. In “The Portfolio and the diagram: Architecture, Discourse and Modernuty in America”, Pai Hyungmin ripercorre l’evoluzione della tecnica diagrammatica nell’ambito americano, rilevando l’attuale inefficacia degli strumenti derivanti dalla disciplina classica di tradizione beaux-art, incapaci di mettere in relazione in maniera sintetica gli aspetti compositivi con quelli funzionali, simbolici, concettuali, temporali, cinematici. I centri commerciali sono uno dei tipi che maggiormente necessita di una sistematizzazione sintetica e modificabile nel tempo dei suoi spazi. Gli spazi commerciali, volumi di grandissime dimensioni sono, infatti segnati dal continuo e mutevole dispiegarsi di informazioni ed eventi, che possono essre più o meno governati dalla tecnica del diagramma con il suo carattere di interdisciplinarità. 72

Forma nodale, lineare e diffusa degli shopping center. Gli store raggruppati equivalgono ai negozi intorno ad una piazza; distesi sono come i negozi lungo Main Street.

“The only legitimate relationship that architects can have with the subject of caos is to take their rightful place in the army of those devoted to resist it.,and fail.If there is to be a “new urbanism”it will not be based on the twin fantasies of order and omnipotence;it will be the staging of uncertainty;it will no longer be concerned with the arrangement of more or less permanent objects but with the irrigation of territory with potential;it will no longer aim for stable configurations but for the creation of enabling fields that accomodate processes that refuse to be crystallised into definitive form;it will no longer be about meticolous definition, the imposition of limits, but about discovering unnameable hybrids; it will no longer be obsessed with the city but with manipulation of infrastructure for endless intensifications and diversifications, shortcuts andredistributions- the reinventation of psychological space” Rem Koolhaas, What Ever Happened to Urbanism?, in Rem Koolhaas and Bruce Mau, S,M,L,XL, 0120 Publisher,1995, p.96.


“Una tale mutazione del nostro rapporto con lo spazio è tanto più necessaria in quanto i nostri problemi della città che si sta costruendo sotto i nostri occhi non sono più quelli dei centri, ma quelli delle zone, delle appendici dei margini e delle enclaves coestensivi a questa “città”, cioè in ciò che chiamiamo periferia... L’ estetica dell’ armonia che informava finora tutte queste politiche d’ intervento urbano e di cui lo spazio assoluto era il modello ideale, non permette di afferrare la natura di questa periferia e quindi non può far altro che commettere errori nei suoi confronti, cioè condannarla. In compenso, con una sensibilità realmente post-cubista, addestrata topologicamente e formatasi nel contatto con l’arte contemporanea, da Pollack a Beuys e a Turrel, gli attori del nuovo spazio saranno assai meglio equipaggiati per capire il preteso disordine della periferia, che tratteranno senza dubbio come un “ordine da indovinare”8Edmond Gilliard). Non dimentichiamo che probabilmente era altrettanto difficile per un mercante fiorentino del 1450 “leggere”la prospettiva centrale quanto per un borghese francese del 1930 decifrare una tela cubista. Certo, perchè una sensibilità topologica si imponga ci vorrà tempo. Ragione di più per lavorarci senza altri ritardi.” André Corboz, Avete detto spazio?, in “Casabella, n.597\598, gennaio/febbraio 1993, p.23

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I DIAGRAMMI DI GRUEN PER KALMAZOO CENTER

Victor Gruen, schema per Fresno, California

Kalamazoo Center

Kalamazoo Center atrium.

Gruen’s recommendations were beyond the capabilities of a town of eighty-five thousand. The purchase and clearing of land for parking lots, the transformation of city streets into pleasant malls, and the construction of a circumferential roadway would cost too much, even if they were politically feasible, which they probably were not. The Gruen plan gave Kalamazoo an impossible, unbuildable vision of the future. Although studies like Gruen’s can have positive effects, arousing public interest and changing perceptions, they can also be dangerous. Because total redevelopment is seldom economically feasible, piecemeal redevelopment is sometimes attempted. But in a scheme like Gruen’s each part depends upon the others; it is unlikely that any one element can succeed on its own. Isolated restructurings, left uncoordinated, can devastate and rend a city. Furthermore, impossible visions can engender cynicism; people who recognize that the vision proposed is impossible conclude that nothing can be doneIn Kalamazoo the Gruen vision was not rejected, nor was it built. Instead it prepared an attitudinal base from which more modest and appropriate urban design action could grow. Grandiose visions like Gruen’s that arouse interest and change attitudes should not be built; it takes more than an efficient (functionalist/systemic) traffic scheme to revitalize and reaffirm a city center. Kalamazoo Mall (1959) The first reaction to the stimulus of Gruen’s plan was a three-part program: 1. To recast the congested main shopping street as the first permanent (if modest) pedestrian mall in the United States. This change was accompanied by facelifts of and improvements to the stores and office buildings along the new mall. 2. To streamline the downtown traffic system. Instead of constructing a new high-speed ring road, the city converted existing streets to one-way, multi-laned arterials. 3. To form a nonprofit development corporation empowered to buy, sell, and manage property,especially near the mall. It is worth noting that Gruen disapproved of this approach. From his point of view, the pedestrianmall could succeed only when the traffic problem was solved in a comprehensive and up-to-date way: The creation of pedestrian areas downtown can be successful only if it is accomplished as an integral part of an overall plan. In fact it is probably one of the last measures for implementation within a carefully scheduled revitalization plan, and it just cannot be the beginning. Only after proper access from suburban areas toward the central business district has been achieved for private as well as public transportation, only after a belt road system around the downtown core together with directly adjoining terminal facilities for public transportation and storage facilities for private cars has been constructed, only after a system for servicing downtown buildings has been implemented, can the creation of pedestrian districts be accomplished. 74


LA” PROMENADE ARCHITECTURALE” L’ESEMPIO DI LE CORBUSIER A CHARDIGARH la questione relativa agli spazi del moto è stata abilmente adoperata da Le Corbusier a Chardigarh. Attraverso un grande controllo della composizione architettonica le Corbusier ha dato a Chardigarh una sostanza narrativa, come un operazione di montaggio, riuscendo a conferire nel percorso che la attraversa la “tensione dell’attesa”, come nota Charles Corea descrivendo l’arrivo nella capitale del Pujab, <incomincia appena ci si avvicina a Chardigarh. Si attraversa la città in auto, fra le case sparse in mezzo alla polvere, file interminabili di stupidi bidoni. Poi, d’improvviso, in lontananza, come una portaerei che naviga fra i relitti galleggianti di una qualche città portuale, compare il segretariato. Lo si vede alla distanza di parecchi chilometri, bianco nel sole, correre insieme all’automobile, incombente sulle file di case che costituiscono il primo piano del quadro. Gradualmente la scena si fa più chiara, compaiono gli altri due attori del melodramma il parlamento e l’alta corte di giustizia...>

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Regno a venire

Il futuro consumato secondo J.G. Ballard Il titolo del romanzo di Ballard “Regno a venire,” in origine “Kingdom Come” deriva molto probabilmente dalla versione britannica del paternoster. “Venga il regno”, invece di “Venga il (tuo) regno”. Sì, ma di quale regno si tratta? Se il titolo è un presagio del futuro, il punto di partenza è una realtà concreta, attuale, innegabile. Sorge ai margini di un’autostrada, nei pressi dell’aeroporto di Heathrow. Consiste in un enorme centro commerciale e nelle case sorte attorno. L’unica passione condivisa dagli abitanti di questo posto, è il tifo calcistico: vivono per quello. Quanto al centro in sé, somiglia a una basilica. E lo diviene effettivamente, sotto la pressione popolare. La comunità si rende autonoma, recide i legami col resto del Paese. Crea una propria, abnorme, identità spirituale di taglio consumistico. Perché la consacrazione sia effettiva, serve un Messia. E’ da qui che Ballard fa iniziare il suo romanzo.Richard Pearson è un tipo abbastanza ordinario, in apparenza. Non lo sono le sue motivazioni. E’ giunto nel suburbio londinese - denominato Brooklands, ma potrebbe avere qualsiasi altro nome (incluso Shepparton, dove abita Ballard) per indagare sulla morte del padre, pilota d’aereo, all’interno del centro commerciale, il Metro-Center. Ciò che scopre è sorprendente. Lo sterminato supermarket ha usurpato le funzioni che un tempo aveva la chiesa. Elettrodomestici, computer e televisori sono oggetti di culto. Nelle strade marciano, razzisti e volgari, i tifosi avvolti nell’Union Jack. 76

In Regno a venire, per quanto e messo sotto una lente d’ingradimento si ritrova tutto quello che agita i sonni benestanti e annoiati: squadre di tifosi inferociti, ronde paramilitari, teppismo bello e buono, scontri razziali o, andando a sintetizzare, un’endemica guerra civile. In alternativa, e insieme, a quello che si nasconde nelle periferie e che infine Regno a venire svela:

“E’ un nuovo tipo di democrazia, si vota alla cassa invece che alle urne. Il consumismo è lo strumento migliore mai inventato per controllare le persone. Nuove fantasie, nuovi sogni, nuove antipatie, nuove anime da salvare. Per qualche strana ragione chiamano tutto questo shopping. Ma in realtà è la forma più pura di politica”. Entrando poi nelle pieghe del Regno a venire, si scopre che l’esiziale trama, persino banale nel suo girare attorno all’omicidio del padre e al figlio che cerca un suo posto nel mondo, serve a Ballard (che è geniale nel ribaltare e “consumare” i luoghi comuni) per illuminare di una luce astratta quella “geografia di deprivazione sensoriale” rappresentata dalla vita in periferia e che si trasforma, esattamente come è stato trasformato in territorio, in noia, decadenza, paralisi, follia e caos primordiale. Da cui può nascere tutto, anche quell’ipotesi, piuttosto inquietante,

che sta nel nocciolo di Regno a venire, ovvero che nel futuro del consumismo si profili una forma di fascismo, nemmeno tanto latente. Non sono molti gli elementi che nelle “periferie di nessun luogo”, possono cambiare il monotono tran tran delle giornate, senza un brivido, una scossa o un momento di puro piacere. Al Metro-Center, così come in ogni supermarket del mondo, si trova di tutto, ma non la scintilla e allora, ammette Ballard con un’amara onestà servono “Il pericolo, sì. Il dolore, la paura della morte. E la follia bella e buona”.


“Facciamo ricorso alla ragione solo quando ci fa comodo. Molta gente oggi vive una vita confortevole, e dobbiamo risparmiare un po’ di tempo per essere ragionevoli, se proprio vogliamo esserlo. Siamo come bambini viziati. Siamo in vacanza per troppo tempo, ci hanno fatto troppi regali. Ballard è considerato esponente Chiunque abbia figli della letteratura senza etichette sa che il pericolo più e un acutissimo commentatore. grande è la noia”.

“Il tardocapitalismo si gratta le emorroidi e sta cercando di capire quale sia la prossima merda che può produrre. Tutte le porte d’accesso sono chiuse, tranne una. Comprare una lavatrice è un atto politico, l’unica vera forma di politica che ci rimane al giorno d’oggi.” 77


Estratto_ cap. 5 IL METRO-CENTRE

Tom Corradine, il responsabile per le relazioni con il pubblicoche si era presentato tutto Come tutti i grandi centri sorridente al funerale,mi aveva commerciali, il Metro-centre datoappuntamento al banco delsoffocava l’ inquietudine, neule informazioni. tralizzava la minaccia che esso Coordinava la squadra che offristesso rappresentava e aveva va assistenza alle persone ferite un effetto calmante sulle persone e ai parenti di coloro che erano sospettose. morti nell’ attentato. Tramite Stavo sotto il sole, e una cincorriere mi era stata recapitata quantina di metri dall’ ingresso un’elegante cartellina contesud, e guardavo i clienti che nente un programma stampato attraversavano l’ampio slargo che sembrava un prospetto di che circondava l’ edificio, una emissione di obbligazioni in cui vasta piazza a forma di anello. erano elencati tutti sconti e le riStavano per entrare in un posto duzioni di cui potevo godere nei la cui luce li avrebbe avvolti in vari negozi del Metro-Centre, un calore ancora più saòutare in ordine decrescente di entità. di quello del sole. Entrando in Tutto sembrava voler comunicare quegli enormi luoghi di culto, che morire in un attacco terroritornavamo indietro nel tempo, stico fosse la cosa più remuneradiventavamo come bambini che tiva del mondo.(..).” vanno per la prima volta a casa di un nuovo compagno di scuo- Estratto_ cap. 12 pag. 91 la, una casa che inizialmente sembrava proibita. Ben presto, (...)Ci incamminammo lungo il però, avremmo visto una macorridoio e il corpo enorme di dre sconosciuta ma sorridente Sangster riempiva quasi tutto che avrebbe messo a suo agio l’angusto spazio. Si era notevolanche il bambino più nervoso, mente rilassato, e ora mi dava con la promessa di dolci e cara- delle pacche sulle spalle, come melle elargiti nel corso di tutta la se fossi uno degli allievi della sua visita. sua scuola che avesse mostrato In modo molto sottile, tutti i un’improvvisa propensione per il centri commerciali ci rendono calcolo differenziale. Chiuse la bambini,ma il Metro-Centre sem- porta del suo ufficio, lasciando brava incoraggiarci ad crescere fuori la segretaria incuriosita, un po’. All’ ingresso c’erano prese due bicchieri e una botagenti in divisa che controllatiglia di sherry dal tavolino e si vano borse e borsellini, come mise a sedere dietro la scrivareazione alla tragedia nella nia. Indossava ancora il sopraquale aveva perso la vita mio bito. Rimase seduto a guardarmi padre. Un’ anziana coppia di mentre scolavo quel liquido asiatici si avvicinò all’ entrata e dolciastro. Ora le sue labbra fu subito circondata da volontari infantili imitavano le mie. con le magliette con la croce di “Sherry dei genitori,” disse. San Giorgio. “Mi aiuta ad accorciare le Nessuno diceva nulla i due, ma giornate. In un certo senso si la gente li guardava e li prende- può considerare un aiuto profesva a spallate, tanto che dovette sionale.” intervenire un uomo della sicurezza del Metro-Centre. 78

“E perché no? Io non la invidio, sa? Cercare di insegnare qualcosa a seicento ragazzini davanti a un circo.” Indicai il centro commerciale che si vedeva dalla finestra. “Ci sono tante di quelle grotte di Aladino, centinaia di palazzi di luci pieni di tesori.” “Le uniche cose reali sono i miraggi. Quelli li sappiamo gestire. Eppure mi creda, so come si sente, Richard. Un uomo anziano che viene ucciso senza motivo. Il minimo comune denominatore è il Metro-Centre. In qualche modo questo spiega ogni cosa.” “Mio padre e l’incubo consumistico? Credo che ci sia un legame. Un sacco di gente sta impazzendo senza rendersene conto.” “Quindi essere moderni al giorno d’oggi significa essere passivi?” “Tutti questi centri commerciali, la cultura degli aeroporti e delle autostrade. È una nuova forma di inferno...” Sangster si alzò e si portò le manone alle guance, come se cercasse di sgonfiarsele. “Questa è la prospettiva di Hampstead, il punto di vista dalla Tavistock Clinic. L’ombra della statua di Freud che si staglia sulla terra e funge da Agente arancio dell’anima. Mi creda, qui le cose sono diverse. Dobbiamo preparare i nostri ragazzi a un nuovo tipo di società. Non ha senso parlare loro della democrazia parlamentare, della chiesa e della monarchia. I vecchi ideali di educazione civica che erano alla base della nostra istruzione sono concetti alquanto egoistici. Tutta quell’enfasi sui diritti dell’individuo, sull’ habeas corpus, sulla libertà del singolo contrapposto alla massa...”


“E la libertà di parola, il diritto alla privacy?” “Che senso ha avere libertà di parola se non si ha nulla da dire?Ammettiamolo: la maggior parte delle persone non ha proprio nulla da dire, e lo sanno anche loro. E la privacy che senso ha se è soltanto una prigione personalizzata? Il consumismo è un’impresa collettiva. Le persone hanno voglia di condividere, di celebrare, vogliono sentirsi unite. Quando andiamo a fare shopping partecipiamo a una cerimonia collettiva di affermazione.” Sangster diede una manata sulla scrivania, facendo cadere il portapenne. Si sporse verso di me, e l’enorme soprabito lo avvolse in tutta la sua grandezza. “Lasci stare la modernità. Si rassegni, Richard. La missione a favore della modernità è sempre stata profondamente controversa. I fautori della modernità ci hanno insegnato a non fidarci di noi stessi e a non amarci. Tutte quelle storie sulla coscienza individuale, sul dolore solitario. La modernità si basava sulla nevrosi e sull’alienazione. Basta guardare l’arte, l’architettura che hanno espresso. Hanno qualcosa di molto freddo.” “E il consumismo, invece?” “Celebra la possibilità di consumare insieme. I sogni e i valori sono condivisi, come le speranze e i piaceri. Il consumismo è un atteggiamento ottimista e lungimirante. Naturalmente ci chiede di imparare a rispettare la regola del più forte. Il consumismo è una nuova forma di politica di massa. È qualcosa di molto teatrale, ma in fondo ci piace. È spinto dalle emozioni, ma le sue promesse sono raggiungibili, e non si tratta solo di ampollosa retorica. Una macchina nuova, un nuovo lettore cd.” “E la razionalità?

Non c’è posto per la razionalità, immagino.” “La ragione, be’...” Sangster tornò dietro la scrivania, portandosi sulle labbra le dita con le unghie rosicchiate. “È parente stretta della matematica. E la maggior parte delle persone se la cava male in aritmetica e, comunque, in generale il mio consiglio è quello di stare alla larga dalla razionalità.Il consumismo celebra il lato positivo dell’equazione. Quando compriamo qualcosa inconsciamente crediamo che ci sia stato fatto un regalo.” “E la politica richiede che ci sia un costante flusso di regali? Un altro ospedale, un’altra scuola, un’autostrada?...” “Proprio così. E sappiamo cosa succede ai bambini che non ricevono mai giocattoli. Oggi siamo tutti come bambini. Che ci piaccia o no, soltanto il consumismo può tenere unita la società moderna perché muove le giuste corde emotive.” “Ma allora... il liberalismo, la libertà, la ragione?” “Hanno fallito! La gente non vuole più che le si parli in nome della razionalità.” Sangster si piegò in avanti e fece scivolare il bicchiere di sherry sulla scrivania, come se si aspettasse che si potesse alzare da solo. “Il liberalismo e l’umanitarismo sono dei grossi freni per la società. Fanno leva sul senso di colpa e sulla paura. Le società sono più felici quando la gente può spendere e non risparmiare. Adesso abbiamo bisogno di un consumismo delirante, quel genere di comportamento che si vede in occasione dei motorshow. Spettacoli visivamente entusiasmanti, una specie di eterna campagna elettorale. Il consumismo riempie quel vuoto che è alla base delle società secolari.

La gente ha un enorme bisogno di autorità che soltanto il consumismo può soddisfare.” “Compra un nuovo profumo, un nuovo paio di scarpe e sarai una persona migliore, più felice? E come riesce a comunicare tutto questo ai suoi adolescenti:”” “Non ce n’è bisogno. È nell’aria che respirano. Non lo dimentichi mai, Richard: il consumismo è un’ideologia di redenzione. Quando funziona cerca di estetizzare la violenza, anche se spesso non ci riesce...” Sangster si alzò sorridendo fra sé, con un’espressione che esprimeva quasi serenità. Si guardò le grosse mani, felice di accettarle come avamposti militari di sé. Ci salutammo sui gradini davanti all’ingresso. Quell’uomo mi stava simpatico, anche se avevo la sensazione che nel momento stesso in cui gli avrei dato le spalle si sarebbe dimenticato di me. Mi allontanai, facendomi largo tra gli incarti di barrette di cioccolata, le lattine di Coca-Cola, i pacchetti di sigarette e le confezioni di preservativi sparsi sul vialetto.

Il nuovo regno è già qui

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<Interruzione, incoerenza, sorpresa,sono le normali condizioni della nosra vita. Sono diventate finanche bisogni reali per tante persone le cui menti non sono più nutrite (...) da nient’altro che mutamenti repentini e sempre nuovi stimoli(...). Non riusciamo più a sopportare nella che duri. Non sappiamo più come mettere a frutto la noia. (...) L’ intera questione si riduce dunque a questo: può la mente umana dominare ciò che ha creato?> Paul Valéry

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LA SOCIETÀ SOTTO ASSEDIO_Zygmunt Bauman Nella “Società sotto assedio” Zygmunt Bauman, tratta il fenomeno della globalizzazione elencando le conseguenze, altamente negative che ha comportato. La globalizzazione, spiega, è un processo legato alle forze di mercato che ha ripercussioni su molti altri settori della vita; tanto in quella delle istituzioni, quanto in quella dei singoli individui. Le forze economiche, infatti, trascesa la dimensione nazionale, hanno perso ogni legame col territorio che le genera, anzi, con lo spazio in generale. L’economia odierna, scappata dalle mani della società e fuori controllo, detta legge e non si prefigura più come sistema produttivo dell’uomo per l’uomo, ma come sistema auto-referenziale, fine a sé stesso. Secondo Bauman, le forze economiche generate dalle grandi multinazionali, muovono in uno spazio extraterritoriale,scavalca ndo i confini nazionali. In questo modo è stato delegittimato il controllo politico e sociale nazionale. Il fenomeno della globalizzazione calpesta le identità locali, le differenze economiche, etniche, culturali, religiose e si impone in qualsiasi luogo con i suoi caratteri immediatamente riconoscibili.. Il potere,quindi, risiede nelle mani di pochi e non è regolamentato da nessuna legge. La politica risulta incapace di dare risposte ai problemi globali, e lascia che i processi sovranazionali stabiliscano tutti gli aspetti della vita sociale, da quelli economici, a quelli politici. Questo fenomeno ha dei risvolti pratici nella vita di ogni cittadino. Infatti, quella che ci viene offerta è un’illusione di liobertà.

In realtà la nostra libertà riesiede solo nel fatto di scegliere una o l’altra marca, uno o l’altro prodotto. Sedotto dalla pubblicità e da potenti modelli televisivi, l’individuo è solo di fronte al mondo globale. In teoria può collegarsi sempre e dovunque con tutti. In pratica, i suoi contatti sono momentanei, sempre reversibili e mai duraturi.Bauman sottolinea come la condizione dell’uomo contemporaneo è l’estrema solitudine. Il potere, secondo Bauman,<è il potere senza volto e senza luogo della globalizzazione economica, che annulla ogni fermo punto di riferimento, introduce la flessibilità come dogma e preannuncia l’incertezza nelle nostre esistenze, vissute nell’affannosa rincorsa per rimanere nella società dei consumi.> Le autorità non hanno più alcuna ambizione e lasciano i cittadini in balia delle incertezze.I giovani non hanno più l’ opportunità di pensare ad un futuro sicuro, ad un lavoro e ad una famiglia.

“Nella fase liquida dell’era moderna, la mobilità, o piuttosto la capacità di restare in movimento, è l’elemento base sul quale viene costruita una nuova gerarchia di potere, il principale fattore stratificante; mentre velocità ed accelerazione sono le principali strategie finalizzate a volgere quell’elemento a proprio favore.” La società sotto assedio, Laterza, Roma-Bari, 2003.

La società sotto assedio, Laterza, Roma-Bari, 2003 81


“La modernità non fu forse fin dall’ inizio un processo di <liquefazione>?” “(...)<Modernità> significa molte cose(...). C’è tuttavia un tratto della vita moderna e della sua organizzazione che forse si distingue come la <differenza che fa la differenza>, l’attributo cruciale dal quale tutti gli altri seguono. Tale attributo è il mutato rapporto tra spazio e tempo.” Modernità Liquinda,Laterza, 2002.

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Costant, (Constant Niewenhuis). New Babylon, 1957

L’obiettivo di questo lavoro è quello di analizzare l’architettura commerciale dal punto di vista storico e basandomi su una raccolta bibliografica. Non ho trattato gli aspetti meramente economici che guidano la realizzazione di un centro commerciale, ma mi sono concentrata sulle dinamiche sociospazio-temporali. Sono consapevole di aver trattato questioni di spessore, ampiamente dibattute e, per molti aspetti irrisolte. Il lavoro vuole stuzzicare la riflessione, incentivare il lettore a collegamenti tra diversi campi del sapere.

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SULLA GRANDE DIMENSIONE: Koolhaas, Rem, Delirous New York, Thames & Hudson, 1978,ed.it. Delirous New York. Un manifesto retroattivo per Manhattan, Electa, 2001. Koolhaas, Rem, Junkspace, Quodlibet,2006. Koolhaas, Rem, Jeffrey Inaba e Sze Tsung Leong, The Harvard Design School Guide to Shopping, a cura di Chuihua Judy Chung, 2002. Koolhaas, Rem, Bigness ovvero il problema della grande dimensione, in “Domus”, n. 764, 1994. Koolhaas, Rem, Bigness & Velocity, in Oma@work, “A+U”, 2000. Corbellini, Giovanni, Grande e veloce. Strumenti compositivi nei contesti contemporanei, Officina, 2000. Corbellini, Giovanni, Ex Libris.16 parole chiave dell’architettura contemporanea, 22 Publishing,2007. Corbellini, Giovanni, Uniformità e variazione. Lo spazio urbano nei quartieri contemporanei, Cluva,1990. Banham, Reyner, Megastructure. Urban Futures of the Recent Past, Thames and Hudson, 1976, ed. It. Le tentazioni dell’ architettura. Megastrutture, Laterza, 1980. SULL’ EVOLUZIONE DEI CENTRI COMMERCIALI: Hardwick, M.Jeffrey, Mall Market: Victor Gruen, Architect o fan American dream, University of Pennsylvania Press,2003. Bottini, Fabrizio, I territori del commercio,Edilstampa, 2005. SULL’ ICONOGRAFIA: Venturi, Robert, Denise Scott-Brown e Steven Izenour, Learning from Las Vegas, Mit Press, 1972,ed.it. Imparando da Las Vegas, Cluva, 1985. Hess, Alan, Robert Venturi, Denis Scott Brown e Steven Izenour (introduzione), Viva Las Vegas. After Hours Architecture, Chronicle Books Press, San Francisco, 1993. Venturi, Robert, Complexity and Contradiction in Architecture, Mit Press, 1966, ed. It. Complessità e contraddizione in architettura, Dedalo, 1984. Colomina, Beatriz, Privacy and Publicity. Modern Architecture as Mass Media, Mit Press, 1994. Koolhaas, Rem, Jeffrey Inaba e Sze Tsung Leong, The Harvard Design School Guide to Shopping, a cura di Chuihua Judy Chung, 2002. Venturi, Robert, Iconography and electronics upon a generic architecture. A view from the drafting room, Mit Press, Cambridge(mass) 1996. Scimemi, Gabriele, Telematica e avvenire della città, in Studi in onore di Giuseppe Samonà, a cura di Marina Montuori, Officina, Roma 1988, vol I, tomo II.,pp.377-379. 84

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SULLA DISSOLUZIONE DELLA CITTA’: Koolhaas, Rem, Junkspace, Quodlibet,2006. Koolhaas, Rem, The Generic City, 1994, in id., Oma, Bruce Mau, S M L XL, a cura di Jennifer Sigler, 010 Publisher, 1995. Secchi, Bernardo, La città del ventesimo secolo, Laterza, Roma, 2005. Le Corbusier, Manière de penser l’ urbanisme, Editions de l’ Architecture d’ Aujourd’hui, 1946-63 trad. It. Maniera di pensare l’urbanistica, Laterza, Roma-Bari, 1965. Crawford, Margaret , Lo Shopping Mall e lo Strip: da tipologia edilizia a forma urbana, in “Urbanistica”, n.83, maggio 1986,pp.34-41 Cenzatti,Marco, Spazi pubblici e mondi paralleli, in “Casabella”, numero monografico Il disegno degli spazi aperti, n.597/598,1993,p.35. Jacobs, Jane, The death and life of great american cities, 1961,ed.it.Vita e morte delle grandi città. Saggio sulla metropoli americana, Einaudi, 1969.


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Ringrazio il Professor Alessandro Rocca per aver sempre dimostrato sostegno e fiducia, mi ha aiutato in questo lavoro fornendomi numerosi spunti di riflessione, Dedico questa tesi a Mitia, che stimo e adoro e che mi è stato vicino in questi mesi, e la laurea ai miei genitori, che sono i miei maestri. al mio papà che ha reso sempre solida la possibilità di frequentare l’università e mi ha dato sempre fiducia e affetto, a Donna Ro’_perchè è un vulcano in continua eruzione, ai miei fratelli, che fanno sempre polemica e che mi vogliono tanto bene, a Sara che è il cuore e a Mauro che è la mente, A tutti i miei amici di Potenza che mi sono vicini con il cuore e a quelli di Milano con cui ho condiviso gioie e dolori durante questi anni.

e... PER TUTTI GLI ALTRI...

PREPARATE I BRINDISI!


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