GLI ANNI ’60 e ‘70_CRISI DEL MOVIMENTO MODERNO

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GLI ANNI ’60 e ‘70_ CRISI DEL MOVIMENTO MODERNO_ 3 DIVERSI CASI DI INTERPRETAZIONE DELLA SOCIETA’ CONSUMISTICA E CAPITALISTA: INTERNAZIONALE SITUAZIONISTA, ROBERT VENTURI, ARCHIGRAM Gli anni a cavallo del 1960, e sino alla prima metà del decennio, sono caratterizzati da una ripresa dei motivi ideali delle avanguardie: l’idea di progetto e di interpretazione nuova del mondo si svela nei concetti e nelle realizzazioni delle cosiddette “neoavanguardie”. Durante i decenni precedenti, a partire approssimativamente dal 1930 e fino agli anni Cinquanta, nell’ambito dell’architettura internazionale, si erano sviluppate parallelamente due correnti, delle quali una rappresenta la continuità rispetto alle proposte del movimento moderno e l’altra è caratterizzata dal sorgere di nuove revisioni a livello locale o di proposte individuali di architetti che si allontanano dall’ortodossia o che più semplicemente si ispirano a quanto proposto dalle correnti più marginali degli anni Venti come l’organicismo, l’espressionismo, il classicismo e l’empirismo. Negli anni Cinquanta si inizia a prendere coscienza di una nuova situazione di rottura nei confronti del Movimento Moderno e si assiste ad una vera e propria fioritura di nuove proposte formali che, determinerà negli anni Sessanta una crisi profonda della Tradizione Moderna. Si crea, in quegli anni, una nuova generazione di architetti , dalle idee diverse. Il panorama internazionale perde la speranza di una visione continua, tanto ricercata dalle avanguardie di inizio secolo, e si entra in una sfera caratterizzata dal pluralismo e dalla discontinuità. Questa situazione di rottura nei confronti del periodo precedente, di innovazione e di diversità, si paleserà in cambiamenti formali dell’architettura ormai radicali, ben lontani dalle concezioni del Movimento Moderno. Il Movimento Moderno negli anni sessanta è ufficialmente in crisi, e una nuova generazione è già pronta a superarlo.

Il 1965 è stata identificata come la data che determina la rottura definitiva col Movimento Moderno, muoiono i grandi maestri e emergono giovani architetti. Cambiano i concetti di tipologia, di struttura della città, del linguaggio come strumento di comunicazione simbolica.

Se pochi anni prima Ernesto Nathan Rogers (1909-1969) nei suoi scritti nella rivista “Casabella-Continuità” dichiarava fedelmente la sua volontà di continuare le idee sostenute dal Movimento Moderno, attualizzandole e contestualizzandole, imparando soprattutto dai grandi maestri moderni l’insegnamento metodologico e morale, nel corso degli anni sessanta si sperimentano nuove metodologie operative. Grande valore in questo senso hanno avuto le proposte del l’Internazionale Situazionista, dell’Archigram in Gran Bretagna, della critica tipologica presente nelle idee di Aldo Rossi o dell’architettura comunicativa vernacolare proposte da Robert Venturi in Nord America.


Il sorgere di nuove metodologie architettoniche è in stretto rapporto con la fioritura di metodologie innovative in campo tecnologico, ma anche con lo sviluppo delle scienze sociali. Sono anni caratterizzati da rivoluzioni sociali, politiche e culturali, decenni caratterizzati dalla guerra in Vietnam alla contestazione che culmina nel maggio ’68, e l’eco che ne deriva negli altri paesi, dalla primavera di Praga al movimento per i diritti civili, alla rivoluzione sessuale. Eventi straordinari con i quali questi modi di intendere l’arte e l’architettura vanno di pari passo.

CONTESTAZIONI OPERAIE_ITALIA_1968

OLIMPIADI 1968_ CITTA’ DEL MESSICO

PRIMAVERA DI PRAGA 1968

GUERRA IN VIETNAM_1962-1975

CONTESTAZIONI STUDENTESCHE_PARIGI_1968


Il ventennio che va dagli ’50 ai ’70 vede il proliferare di movimenti, tendenze,gruppi fortemente diversificati e spesso in conflitto tra di loro. I protagonisti di questo periodo riflettono sul passato in maniera non proprio positiva, hanno sviluppato una coscienza maggiore sulla propria situazione. Se lo spirito di rinnovamento degli inizi del XX secolo poteva ipotizzare una rivoluzione anche sociale, guidata da intellettuali, poeti, artisti, architetti, l’esperienza maturata nei successivi cinquant’anni avrebbe reso più cauto anche il più utopista degli artisti. I nuovi gruppi degli anni sessanta e settanta sono molto più consapevoli delle loro potenzialità e anche dei loro limiti, dunque, rispetto alle prime avanguardie. Non c’è più la speranza di cambiare il mondo, però esiste la possibilità di indicare un linguaggio nuovo per la definizione di esso, più adeguato alle rivoluzioni che si andavano prospettando nei mezzi di comunicazione e comunque estremamente critico nei confronti dell’esistente. Una delle caratteristiche delle neoavanguardie di questo periodo è la costituzione di gruppi d’artisti che arrivano talvolta a rinunciare alle singole individualità a favore del lavoro collettivo: è un’accentuazione estrema del concetto di “gruppo” che, anche quando non arriva a predicare l’anonimato delle opere, è comunque in deciso contrasto con l’individualismo esistenziale delle generazioni appena precedenti. La questione è sempre la stessa posta alle avanguardie storiche: qual’ è il ruolo sociale dell’artista e dell’ arte? L’osservazione della società esistente, porta a un duplice risultato: la consacrazione definitiva dell’arte industriale, o dell’industrial

Gruppo T_Milano 1959. L’interesse di questi artisti si rivolgeva nella variabilità dell’ oggetto e gli effetti della partecipazione diretta dello spettatore.

design, che negli anni ’50 e ’60 vede i suoi massimi fasti e che si ripercuote anche sulle nuove forme di città (manifesti per le città del gruppo Archigram), e il ruolo del’artista come operatore estetico, strettamente legato ai modi della produzione di massa. In questi anni, nell’arte come nell’architettura, la figura dell’artista e l’azione artistica diventano importanti quanto l’opera. Il contesto comprende il fruitore dell’opera, che come per i situazionisti deve entrare a far parte dell’opera stessa: ecco ancora gli “happening” e tutti quegli atteggiamenti che privilegiano l’azione, l’accadimento , l’evento, guidato o meno dall’artista. In questo contesto i confini tra discipline come il teatro, la danza, la musica e l’arte vengono meno. Corollario importante è l’attenzione per i mezzi di comunicazione e di informazione e quindi il concetto di “massa”, che percorre ideologicamente tutto il secolo, ma che per l’architettura ricompare solo ora dopo la parentesi delle avanguardie storiche. Il nuovo concetto è legato all’evidenza e alla coscienza della rete immateriale di informazioni e di sensazioni sempre più vasta che stava andando ad interessare capillarmente tutta la società. Il movimento che, per le sue profonde implicazioni politiche e sociali, ha senz’altro avuto più influenza nel proporre un nuovo linguaggio architettonico e culturale è stato senz’altro l’internazionale situazionista. Movimento che ha posto, per primo l’”evento” al centro della riflessione architettonica. Fondata nel 1957 riunendo gruppi artistici e politico-filosofici e scioltasi nel ’72, l’internazionale situazionista ha svolto un ruolo di primo piano nella sinistra libertaria e, soprattutto, nei fatti rivoluzionari del 1968, estendendo la sua influenza anche su fenomeni più recenti, come il punk o alcune tesi del pensiero postmoderno.

I fondatori dell’ Internazionale situazionista.


Città e architettura sono da subito teatro della riflessione e dell’azione situazionista. Già negli anni ’50 erano state proposte vie di tendenza libertaria, nelle quali si cerca di impostare l’idea di un architettura di partecipazione che mettesse al centro del suo studio l’uomo reale, con i suoi limiti e i suoi difetti. I situazionisti difenderanno l’idea di un’”architettura senza architetti”, proponendo un ambiente urbano come opera d’arte collettiva, sintesi creativa di tutte le attività umane. Come i costrutturisti, i situazionisti non vogliono costruire singoli edifici, ma intere città in cui sperimentare un nuovo modo di vivere, una nuova idea di felicità. Essi si oppongono radicalmente all’idea di un’urbanistica ossessionata dell’incremento della mobilità meccanica e dalla separazione funzionale dello zoning, dove lo spazio per qualsiasi attività non programmata viene progressivamente eliminato, conducendo alla proposta dell’”urbanesimo unitario”, oggetto dell’ omonimo saggio di Leonardo Lippolis, utopia di una città priva di alienazione, animata giocosamente dai diversi desideri in competizione tra loro. L’Internazionale Situazionista nasce il 28 luglio del 1957 a Cosio di Arroscia, in provincia d’Imperia, dalla fusione di alcuni componenti dell’Internazionale Lettrista, del Movimento Internazionale per una Bauhaus Immaginista, MIBI, del Movimento CO.BR.A. e del Comitato Psicogeografico di Londra. L’ Internazionale Lettrista era nata nel 1952, quando Guy Debord, Gil Wolman e altri due dissidenti erano usciti dal Lettrismo di Isou. Essi erano convinti che la società che nasceva dalla rivoluzione neocapitalista di quegli anni andasse radicalmente contestata nelle forme di vita prima che in quelle artistiche. Questa critica alla vita quotidiana trova il suo più ampio campo d’indagine nell’ evoluzione della forma della città. IL progetto di vita del collettivo dei grand ensembles è il principale capo d’accusa dei lettristi. La loro critica si concretizza con la deriva, un’esplorazione degli spazi urbani priva di scopi utilitari e la psicogeografia, lo studio degli effetti dell’ambiente urbano sulle emozioni dell’uomo.

Questi due concetti, spiegati nell’”Introduzione a una critica della geografia urbana” (1955), e i “Teoria della deriva”(1956) ad opera di Guy Debord, sono fondamentali per capire le future proposte del Movimento situazionista. Gli altri componenti dell’ Internazionale Situazionista provenivano dall’esperienza del Movimento Internazionale per una Bauhaus Immaginista fondato da Asger Jorn, che insieme a Dotremont e Costant, era stato il principale teorico dell’ appena disciolto gruppo CoBrA (1948-1951), gruppo che andava ben oltre la definizione di un gruppo di pittura informale, era davvero un esperimento rivoluzionario. Rifiutata la sua collaborazione da Max Bill per creare un’istituzione che avrebbe dovuto raccogliere l’eredità del Bauhaus a Wiemar, Jorn fonda il MIBI che si propone di contraltare l’attività dell’ industrial designer fondata sul funzionalismo e la logica capitalista, ritornando all’utopia architettonica-rivoluzionaria espressionista della scuola Bauhaus di Dessau. La fusione del MIBI di Jorn e Costant con l’Internazionale Lettrista di Debord avviene nel settembre 1956, al Primo Congresso Mondiale degli Artisti Liberi, che Jorn organizza ad Alba sul tema le arti libere e le attività industriali. Il concetto di “urbanesimo unitario” prende forma proprio nel congresso sell’ Internazionale Situazionista di Alba, dall’ intervento di Wolman che introduce il concetto per indicare il progetto di una <sintesi mirante a una costruzione integrale di un’atmosfera, di uno stile di vita […] che sarà dominato principalmente, al contrario dello stile di vita attuale, dalla libertà e dall’agio>. L’urbanesimo unitario progetta una realtà in cui i materiali inediti dell’epoca possano essere messi al servizio dei desideri e delle passioni dell’uomo, invece che dei bisogni fittizi imposti dal sistema economico e capitalistico. Di fronte ad una società che, a causa dell’automazione negava all’uomo l’unica attività fondamentale ovvero il lavoro, i situazionisti lanciano un sfida già elaborata da Constant: ricreare quelle attività superiori cui l’uomo potesse dedicare le energie liberate dal lavoro.


Si propongono di costruire una città in cui la vita quotidiana diventa appassionante, sperimentando uno stile di vita collettivo opposto a quello offerto dal capitalismo dei consumi. Abolizione del lavoro e sostituzione con attività ludiche, il tempo libero che svincolato dalle logiche del consumo si sarebbe aperto alla creatività, la circolazione non più regolata da leggi utilitarie,ma piuttosto dallo spaesamento ludico della deriva e della psicogeografia. Sull’ipotesi della fine del lavoro per cui tutte le mansioni ripetitive possono e devono essere espletate dalle macchine e ciò che resta è pensiero e azione creativa si era fonda il progetto di Constant per una città ideale, New Babylon (1959), che si presenta come una enorme e ramificata infrastruttura sospesa sopra il territorio. A differenza di alcuni precedenti, come il Plan Obus di Le Corbusier, dove la libertà di costruire la propria casa su terreni artificialmente moltiplicati costituiva una sorta di intensificazione di meccanismi economici e sociali esistenti, New Babylon presuppone una totale liberazione dai vincoli residenziali della produzione e della famiglia. Nel 1958 l’intesa tra Costant e Debord sull’ urbanismo unitario costituisce l’asse del gruppo e viene suggellata dalla dichiarazione di Amsterdam. Tuttavia, mentre Costant continuava a progettare in dettagli sempre più tecnici, venivano messe in discussioni altre possibili strategie per cambiare il mondo. Il movimento si sciolse nel 1972, Costant smise di progettare la sua New Babylon e Jorn fu colpito da un male incurabile, costretto ad interrompere il suo progetto della casa-giardino sulle alture di Albisola, costruzione che insieme ai disegni di Costant, rappresenta la migliore interpretazione all’architettura situazionista. Il nomadismo che deriva dai disegni di Costant e dalle tesi promosse dagli esponenti situazionisti, la disponibilità ad accogliere e stimolare il verificarsi di eventi imprevedibili e la libertà di ricreare, in ogni momento l’ambiente adatto per le attività ludico-creative è alla base di una configurazione a rete virtualmente infinita, priva di gerarchia e di costanti geometriche riconoscibili, che rappresenta forse il primo esempio di “utopia aperta” nel vasto elenco di proposte di città ideali.


La nozione di evento, col suo carattere aleatorio e mutevole sarà espressa nel testo pubblicato nel1994 anche da Bernard Tschumi in Architecture and Disjunction, in cui l’architetto franco-svizzero propone una “nuova triade virtruviana” costituita da spazio, evento e movimento. E’ un approccio che amplia la capacità dell’architetto di rispondere a situazioni che sfuggono alle sue capacità di comprensione e di intervento, che risulta tanto stabilizzante quanto aperto a nuovi sviluppi. Tschumi sperimentando nei suoi progetti l’ampliamento del campo del possibile e dell’inaspettato è arrivato alla pubblicazione della terza raccolta di progetti, volumi molto consistenti e ricchi di immagini intitolata Event Cities. Nelle intenzioni iniziali dei situazionisti, scrive Lippolis in urbanesimo unitario le <città ideali sarebbero state una sorta di grandi luna park, cittadelle del gioco simili a Las Vegas, ma con una differenza sostanziale: esse non avrebbero organizzato lo svago o i consumi della popolazione, bensì avrebbero affinato quelle doti di creatività, passionalità, intelligenza emotiva che avrebbero rovesciato l’idea borghese di felicità.> La città di Las Vegas, simbolo della società consumistica esagerata, ma ormai ampiamente riconosciuta, è l’oggetto della teoria architettonica di Robert Venturi. Come i situazionisti, Robert Venturi si oppone agli scopi dell’ architettura moderna che preferisce cambiare l’ambiente già esistente e gli utenti invece di provare a interpretare la complessità e le contraddizioni che sono inerenti ad ogni tipo di opera d’arte e di esperienza. Nel 1966 Robert Venturi, pubblica il suo testo fondamentale “Complexity and Contraddiction in Architecture” e nel 1972 un altro testo profetico: “Learning from Las Vegas” . Enormemente interessato ai movimenti Pop Art in Inghilterra e negli Stati Uniti e alla sensibilità popolare, Venturi si sofferma sulla ricerca del carattere delle città americane e sul riconoscimento di simboli universalmente accettate dai cittadini.


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