Casa del Girasole

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1 Università IUAV Venezia Dipartimento di Architettura, Costruzione, Conservazione Corso di Storia dell’architettura 3 Prof. Marco Pogacnik Anno Accademico 2015-2016

Casa “il Girasole”, Luigi Moretti Margherita Antolini – 279895


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INDICE Stato degli studi

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Biografia

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Storia e descrizione del progetto

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Interpretazione critica

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Bibliografia

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STATO DEGLI STUDI La difficoltà di inquadrare Luigi Moretti nell’architettura del Novecento, già segnalata negli anni Cinquanta da Agnoldomenico Pica, sembra tuttora resistere, nonostante la mole davvero cospicua di studi a lui dedicati prima e dopo quella data. In questa sede si cercherà di rendere conto delle valutazioni critiche sul suo lavoro, in alcuni casi capaci di comprenderne e segnalarne il valore, ma anche responsabili di trascurarne i significati fino a un misconoscimento. Si segnaleranno solo alcuni temi chiave che dispiegano un’ampia gamma d’interpretazioni, che rendono l’opera di Moretti un patrimonio di grande attualità. Luigi Moretti ha avuto fin da subito un rapporto contrastante con la critica nazionale per via del proprio schieramento politico: nel 1942 Figini e Pollini non lo nominano affatto nel loro articolo riguardo l’architettura italiana su L’Architecture d’Aujourd’Hui, così come Pica relega la Casa delle Armi a poche foto tagliate nel suo libro Nuove Architetture Italiane. La verità è che già con le opere giovanili Moretti si è posto in un “altro” rispetto agli stili dilaganti, per cui molti hanno preferito rimuoverne la presenza. In più momenti critica e storia hanno preso strade opposte: se Renato Bonelli stigmatizza i suoi esperimenti come modo di dare libero sfogo al proprio esibizionismo, alla voglia di stupire, di meravigliare, di sfidare i limiti della credibilità della forma e della congruenza storica, Cecilia Rostagni mette in evidenza, dopo una lettura attenta delle relazioni allegate a quei progetti, come Moretti abbia in questi casi impiegato concetti analoghi e quasi la stessa terminologia usata per le opere precedenti, ribadendo il suo interesse per le leggi e la struttura ideale dell’architettura. Rispetto all’architettura Razionale italiana (Terragni, Albini, Figini e Pollini, Libera) e a Ponti si può dire che Moretti abbia giocato un controcanto quasi esoterico con i suoi continui riferimenti materiali e ideologici al mondo romano. Lo scenario della critica architettonica del secondo dopoguerra è molto diverso ma non riesce a scavalcare queste difficoltà, nonostante l’auto-presentazione nella rivista Spazio alla quale egli affida le coordinate culturali e teoriche del proprio pensiero architettonico all’inizio degli anni Cinquanta, in piena divergenza con le tendenze dominanti. L’opera di Moretti, seppur insignita di diversi premi e presente su molte riviste,è ancora in quegli anni quasi del tutto assente dai libri degli storici dell’architettura proprio per la percezione di un suo progressivo allontanamento dal dibattito sui contenuti che appassionavano politici, sociologi e architetti: l’urbanistica, la questione della casa,i servizio sociali, relegano ai margini le questioni linguistiche nelle quali Moretti primeggiava. Nel 1950 viene pubblicata la Storia dell’Architettura moderna di Bruno Zevi, che considera la Casa delle Armi un capolavoro, ma è l’unica opera di Moretti inserita nel volume, come nella ristampa del 1977 e nel libro postumo dedicato ai capolavori del XX secolo del 2000: nelle sue cronache per l’Espresso Zevi spiegherà questa scelta in prima istanza per la speculazione edilizia in cui Moretti è coinvolto. Manfredo Tafuri è ancora più drastico nelle sue critiche, non dimostrando l’umana volontà di comprensione di Zevi. Definisce infatti cinica e reazionaria la ricerca linguistica dell’architetto romano e alcuni suoi colleghi, sbrigando la faccenda con una valutazione esclusivamente moralistica, e definendo la casa del Girasole una <<trappola di esperimenti compositivi intesi come grafie fini a sé stesse.>> Restano estimatori di Moretti Pica, che continua a scriverne su Domus, e Portoghesi che nell’articolo che dedica nel 1961 alla Scuola Romana, lo definisce uno dei pochi che possano vantare una coerenza espressiva. La difficoltà ideologica viene superata dagli studi inglesi e americani, a cominciare dal saggio di Reyner Banham sulla casa del Girasole del 1953, in cui osserva quasi come uno scienziato l’inedito edificio, me-


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ravigliandosi che il dibattito italiano sia ostinatamente incentrato nell’opposizione tra razionalisti e organici. Dopo una descrizione puntigliosa finisce per decidere che la palazzina è da iscrivere nell’eclettismo internazionale, forse per l’articolo di apertura di Moretti su Spazio dal titolo Eclettismo e unità di linguaggio, anche se in realtà Moretti negli anni Cinquanta tenta di superare l’Eclettismo e raggiungere l’unità. Con Banham si apre una strada di ricerca che incuriosisce i giovani studiosi americani, tra cui Peter Eisenman, la cui tesi di Dottorato ha analizzato con strumenti teorici e grafici un ragionamento sulla relazione fra forma e superficie riferendosi ai piani additivi della casa del Girasole. Robert Venturi nel 1966 punta la propria lente sulla casa del Girasole, scelta come manifesto delle relazioni ambigue e della dual nature of planning, chiedendosi se siano due edifici accostati o uno solo. Sia Venturi che per Eisenman, che da poco è tornato sul proprio lavoro sul Girasole, sottolineano la molteplicità di verità che costringe all’incertezza delle decisioni e all’impossibilità di decidere cosa rappresentare. All’inizio degli anni Settanta, però, dopo la morte di Moretti,in Italia si registra una svolta. L’interesse per il suo lavoro è ricondotto ad analisi più sistematiche e meno polemiche con un atteggiamento in cui prevale l’esigenza di una rivalutazione critica. Si apre così un ampissimo ventagli di studi iniziate da Bonelli nel 1975 e tuttora in atto. Ben diverso dallo studio di Bonelli, che sottolinea le interpretazioni edonistiche e l’artificiosità nelle opere morettiane, c’è il libro di Salvatore Santuccio, più equilibrato e senza venature polemiche, che lo inserisce tra i protagonisti dell’architettura italiana, chiarendo l’influenza dell’ideologia politica nel lavoro dell’architetto. Con gli studi più recenti, a partire dalle letture di Bucci, Mulazzani, Finelli, Carrano, Remiddi e Montevecchi, si giunge ad ulteriori analisi che hanno messo in luce il lavoro teorico di Moretti, Spazio e alcuni suoi capolavori. Il libro della Rostagni, infine, è una prima vera monografia,in cui l’autrice si assume la responsabilità di valutare l’intera opera dell’architetto romano, dopo un’attenta analisi dei documenti dell’archivio Moretti-Magnifico. Si ricordano inoltre due mostre: una all’Accademia di San Luca e l’altra al MAXXI. La prima espone disegni, scritti e plastici originali e in gran parte inediti provenienti dall’Archivio Moretti-Magnifico, aprendo importanti questioni per la comprensione della formazione giovanile e del rapporto con gli artisti; l’altra, curata da Bruno Reichlin e Maristella Casciato col titolo “Luigi Moretti Architetto. Dal razionalismo all’informale” è inserita nel contesto delle ricerche internazionali ed è fiancheggiata dal volume di Reichlin con Letizia Tedeschi che ripropone il gioco delle doppie antinomie di atteggiamento e d’ispirazione dell’architetto romano, segno che si è di fronte ad un magma ribollente che richiede ulteriori ricognizioni.


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BIOGRAFIA Luigi Walter Moretti nasce sull’Equilino, a Roma, il 2 gennaio 1907, in “un’atmosfera di secolari complicità, dove cresce l’uomo di spregiudicata avanguardia eppure di antica sostanza, uomo apertamente universale, ma puntigliosamente romano”, come ricorda Agnoldomenico Pica. Dal padre, Luigi Rolland, architetto di origine belga morto nel 1921, Moretti non potè prendere il cognome, ma riceve i primi insegnamenti e soprattutto una fitta rete di rapporti professionali che lo aiuteranno appena uscito dalla scuola. Compie gli studi all’istituto De Merode e dal 1925 al 1930 frequenta la Regia Scuola di Architettura di Roma, laureandosi con lode e vincendo il premio Valadier per la migliore tesi. Inizialmente è più vicino al mondo del restauro, anche se ancora studente apre uno studio con alcuni colleghi, in cui si occupano di progettazione ambientale, grafica pubblicitaria e allestimenti. Sin dagli anni dell’anteguerra non si riconosce in alcuna scuola, tantomento quella razionalista, ma guarda piuttosto alla storia e agli “uomini artisti” più che agli “uomini architetti”, indagando il legame tra arte e architettura in ambito teorico e anche professionale, iniziando da subito ad intrecciare il proprio lavoro con altri giovani artisti. Non sono chiare le circostanze che lo portarono all’Opera Nazionale Balilla (ONB): probabilmente fu introdotto dall’amica di infanzia e vertice dei fasci femminili Felicia Abruzzese, fatto sta che all’interno dell’organizzazione fascista produrrà alcune delle sue opere maggiori, oltre ad essere responsabile della revisione e approvazione dei progetti delle case del Balilla in tutta Italia. Tra il 1942 e il 1945 scompare dalla scena pubblica e professionale in circostanze sconosciute e poco chiare: si parla di ferite di guerra e di semplici incidenti stradali. Dopo la liberazione viene arrestato per aver tentato di fondare un partito politico neo fascista insieme al filosofo Edmondo Clone; in carcere conosce il conte Adolfo Fossataro con il quale nel 1945 fonda la Cofimprese, che riuscirà ad inserirsi nel progetto di ricostruzione di Milano. Ristabilitosi definitivamente a Roma negli anni ’50 inizia a collaborare con la Società Generale Immobiliare come consulente esterno, fino a diventarne il maggiore architetto. Seguono interventi di pianificazione urbanistica in rappresentanza del Ministero dei Lavori Pubblici finchè alla fine degli anni ’60 il suo interesse non si sposta verso i paesi arabi. In tutto il percorso professionale non perde mai l’interesse per l’arte antica e contemporanea, conducendo ricerche che pubblica nella rivista Spazio, da lui stesso fondata e diretta, dal 1950 al 1953, e studiando le relazioni tra matematica e architettura nell’IRMOU (Istituto Nazionale per la Ricerca Matematica e Operativa per l’Urbanistica). Nonostante i numerosi premi e riconoscimenti internazionali, Moretti non riuscì mai ad avere il consenso della parte impegnata della cultura architettonica italiana, primo tra tutti il suo “miglior nemico” Bruno Zevi, di cui cercherà sempre la stima ma soprattutto il riconoscimento artistico. Luigi Moretti morì di infarto il 14 luglio 1973 sulla sua barca al largo dell’isola di Capraia.


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STORIA E DESCRIZIONE DEL PROGETTO

Dopo la guerra a Roma, come a Milano, sorge il problema della casa, in cui l’edilizia pubblica inizia ad avere un ruolo importante contro le speculazioni a partire del 1948 con il piano Fanfani Ina-Casa. In entrambe le città Moretti riesce a inserirsi grazie alla collaborazione con il conte Adolfo Fossataro e la sua impresa Cofimprese. La casa Girasole segna il ritorno di Moretti a Roma, con una commissione del 1949 di una palazzina il cui attico destinato ad abitazione del conte stesso. L’edificio sorge su un appezzamento non regolare, ma approssimativamente riconducibile a un rettangolo con il lato maggiore pari a circa una volta e mezza il minore, rivolto sulla strada. La composizione è tutta rivolta verso il Sud, su Viale Bruno Buozzi, verso il quale i volumi a sbalzo sono protratti alla ricerca della migliore esposizione. Non solo i volumi laterali, il cui angolo a sbalzo è incrementato progressivamente di quattro gradi, ma anche il prospetto principale viene spinto a sbalzo verso il Sud per 1,40 metri, massimo consentito per il regolamento edilizio per gli sbalzi su strade con larghezza non inferiore a 16 metri. Ciò avviene per tutto il fronte dell’edificio e non per metà, come prevederebbe lo stesso regolamento edilizio. Arrivando dalla strada la casa può essere letta per elementi architettonici: il volume basamentale, il corpo dell’edificio, il volume di copertura, la facciata spinta in avanti, i volumi estroflessi a sbalzo del prospetto laterale. L’immagine complessiva è quella di un edificio razionalista nel quale la ricerca morfologica ha trovato un livello espressivo eclettico. Si può qui parlare di una ricerca della forma architettonica che esprime attraverso i materiali e la composizione dei volumi la presenza di un livello concettuale che la precede. Questo livello appartiene alla fisica e alle sue leggi: gravità e compressione, magnetismo e repulsione, luce e ombra, apertura e chiusura; e alla metafisica: razionale e irrazionale, creazione, ascensione, metafora. La parte basamentale ha una conformazione terrena, ruvida, legata alla vita e alla natura, mentre il volume che vi si appoggia è di più ampia sagoma ed è liscio e geometrico. L’edificio è organizzato su 8 piani, di cui sette fuori terra e uno interrato, che ospita garage, cantine, la centrale termica, un ambiente di stoccaggio di combustibile e un corpo scale .


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La dislocazione ad elle del piano interrato nasce dalla volontà progettuale di occupare solo i due lati dell’edificio che fronteggiano le strade secondarie, con coperture di intercapedini sui marciapiedi, lasciando in ostruiti i lati dell’ingresso su Viale Buozzi e della stradina privata. L’accesso al piano interrato avviene da via Atto Tigri, mentre l’ingresso pedonale al piano terra avviene da Viale Buozzi, da cui si accede a un atrio a doppia altezza che rimarca la fascia basamentale in travertino fortemente bugnata in modo naturalistico e geometrico. Una composizione di rocce e piante rampicanti caratterizza l’ingresso a questo ninfeo/caverna dal quale si proietta una rampa di scale leggermente obliqua e a sbalzo. Dall’atrio hanno accesso i due appartamenti al piano terra ed il terzo appartamento su due livelli. Tramite la rampa di scale si accede al quarto appartamento, mentre per accedere agli altri si può fare uso dell’ascensore principale. Discendendo di 1,70 metri dalla quota dell’atrio si accede ad un chiostrino interno su un margine del quale è piantato un grosso pilastro rastremato che, come il fusto di un albero, sorregge una chioma costituita dalle rampe della scala principale. Nel piano rialzato si è nel secondo livello basamentale, ancora sotto gli sbalzi, e qui l’appartamento n.3 si avvale della grande terrazza di copertura dei box, mentre gli appartamenti del piano non sono raggiungibili utilizzando l’ascensore padronale, ma quello di servizio, che serve tutti gli appartamenti tranne il n.2 al piano terra. Già in questo piano si può intuire il valore compositivo del corpo scala, giustapposto ad interruzione della continuità fra il dentro e il fuori, fra la strada principale e il chiostro. I tre piani superiori sono uguali tra loro, per questo si parlerà di “piano tipo” per i livelli dal 1 al 3. Tali piani sono costituiti ciascuno da due appartamenti, ognuno inscrivibile in un rettangolo delle dimensioni di 33x13 metri. Al piano si accede dall’ascensore o dalla scala, nel gruppo di percorrenza verticale planimetricamente caratterizzato da una forma a mano che penetra nella fessura e si addentra nel ventre dell’edificio. Sia gli appartamenti che il corpo scala prendono luce da una finestra a nastro aperta nella parte più interna della fessura centrale. Questa zona finestrata è coperta dalla proiezione del volume del piano superattico. Gli sbalzi, che iniziano a questo piano, fuoriescono dall’edificio nei quattro punti cardinali in un rapporto organico tra i vani letto e gli sbalzi, alternati a vani bagno di dimensioni più contenute; in questo senso si capisce come la struttura sia stata progettata sull’alternanza fra i vani letto e i bagni.


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Sopra questi tre piani si trova il piano attico, costituito da un unico appartamento, occupato dal conte Alfonso Fossataro. Il volume che lo caratterizza mantiene lo sbalzo solamente nel prospetto Sud, utilizzando la copertura di quello Nord come terrazzo. Parte del fronte Ovest, verso Nord, viene arretrato permettendo la creazione di un’ampia terrazza e di una veranda. La zona letto è interamente disposta ad Est, sul lato della stradina privata e meno rumorosa, mentre i servizi sono a Nord. Si può osservare che il rigoroso rapporto fra struttura e vani esistente nel piano tipo è abbandonato in questo piano, dove la divisione delle camere avviene liberamente, così come la bucatura delle facciate. Anche il piano superattico, ricavato in un volume esposto a Sud e che copre in parte la fessura del prospetto principale non si avvale di corpi in aggetto. Il versante Nord del volume è occupato al centro dal corpo scala/ascensore ed ai lati dai serbatoi dell’acqua. Due passaggi conducono alle terrazze Nord che circondano il vuoto del chiostro fino a trovare l’interruzione costituita dal volume della scala e ascensore di servizio. L’appartamento qui ricavato è di due camere e soggiorno che aprono sui due grandi terrazzi a Sud. Questi ultimi, a differenza di quelli a Nord, vogliono essere dei veri e propri tetti giardino, esposti ottimamente per la coltivazione delle essenze. Da qui si può ammirare, in direzione Ovest, la cupola di San Pietro. Le soluzioni di copertura della palazzina sono molto diversificate e complesse. Partendo dai volumi più alti troviamo: 1)copertura del corpo scala/ascensore sorretta dal pilastro rastremato e dalla gabbia ascensore 2) copertura della scala/ascensore di servizio 3) copertura del superattico 4) terrazze praticabili del superattico 5) coperture non praticabili dell’attico 6) copertura in vetro della veranda del piano attico 7) le coperture non praticabili degli sbalzi est/ovest 8) terrazze praticabili del piano attico a nord 9) terrazze praticabili dei piani tipo nord/est nord/ovest 10) terrazza praticabile del piano attico a ovest 11) terrazza di copertura dei box 12) terrazzino nord/ovest del piano terra 13) copertura della scala dell’appartamento 3 nel chiostro.


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Il prospetto principale dell’edificio riflette l’impostazione progettuale che tende ad utilizzare gli sbalzi consentiti. La parte basamentale, fortemente bugnata, ha un’altezza di due piani che supera i 4,50 metri richiesti dal regolamento all’intradosso dello sbalzo. Il basamento, continuo sui quattro lati, crea una forte sensazione di compressione, a lungo ricercata da Moretti in molte delle sue opere. Il fronte è costituito da una superficie con ampie finestre a nastro che fuoriesce lateralmente dal volume dell’edificio, configurandosi come vera e propria lama. Questa è coronata da un timpano irregolare e tutto è interrotto dalla fessura centrale di raccordo con il diaframma interno, costituito dall’”albero” della scala. Questa fessura nasce dall’atrio sottostante e dividendo la massa in due volumi individua l’ingresso all’edificio. L’irregolare conformazione del timpano, allo stesso tempo classico e anticlassico, riequilibria i diversi pesi e le diverse altezze delle due metà basamentali. Nella situazione orografica non pianeggiante nella quale si colloca la casa la base bugnata è progettata in maniera da riequilibrare le diverse altezze. Le linee inclinate di giunto fra le lastre sull’angolo con Viale Bruno Buozzi enfatizzano lo schiacciamento subito da questa parte dell’edificio. Lo stesso avviene nella parte alta del prospetto. Elementi volumetrici bugnati sporgono sul marciapiede ed hanno il doppio compito di proteggere le finestre più basse e di enfatizzare le aperture, quasi per un avvenuto spellamento con accorpamento della superficie rimossa. Il disegno derivante dall’astrattismo geometrico rivela da una parte l’accostamento alle avanguardie non figurative e dall’altra la vicinanza alle istanze borrominiane. Su via Tigri la fascia basamentale diventa muro i testata e di ingresso ai volumi accessori, bilanciando ancora una volta le quantità rispetto alle altezze. Il prospetto Ovest è caratterizzato dai tre volumi triangolari che fuoriescono a sbalzo dalla sagoma dell’edificio. Gli sbalzi sono crescenti dai volumi più a Sud, verso Nord con un aumento dell’angolo di due incrementi di quatto gradi. Moretti paragona l’andamento crescente di questi sbalzi a quello dei rami di un abete: più corti verso la luce e più lunghi alla base dell’albero. L’insolazione del prospetto è così amplificata grazie a questi volumi che vanno alla ricerca della maggiore esposizione ai raggi solari. Per questa ragione l’edificio è stato soprannominato Girasole. Come sugli altri lati, il basamento è composto


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da lastre di travertino rettangolari e romboidali con finitura liscia ed a scorza, alcune delle quali fortemente sporgenti. Le nette ombre ne mettono in evidenza la composizione formale. Il prospetto Est si differenzia da quello Ovest per quattro ragioni: in primo luogo l’assenza del basamento bugnato in travertino, che deriva dalla condizione di ambito privato che caratterizza lo spazio sul quale si affaccia questo prospetto, tale da escludere formalismi ed austerità eccessivi. Inoltre c’è diretta comunicazione con l’atrio di ingresso, e con il gioco volumetrico dell’alloggio del portiere Moretti si esprime con gli elementi di un purismo quasi totalmente scevro di accenti formalistici. In terzo luogo, la presenza dei vani accessori qui funge da terrazzo dell’appartamento Ovest del primo piano e, infine, in questo prospetto l’asola superiore corrisponde per intero a vani e non a vani e terrazzo. Il prospetto Nord è il più semplice sia per il minor numero delle bucature presenti che per la voluta configurazione architettonica di retro di un edificio tutto rivolto a Sud. Il volume “portato” dal basamento termina con una lama come sul prospetto frontale, che fuoriesce dal volume con ali laterali nelle quali sono contenute le logge e le aperture dei vani d’angolo. Questo volume è coronato dalla finestra a nastro del piano attico che ne sfrutta parte della copertura, quale terrazzo. Lateralmente, su ambo i lati, due pareti rettangolari cieche sono i terminali dei volumi che fuoriescono a sbalzo nei prospetti Est ed Ovest. La parte basamentale presenta caratteristiche simili alle altre ma contiene i tre ingressi ai box. Osservando la sezione longitudinale si mette in evidenza il diaframma esistente costituito dalla scala e dagli accessi agli appartamenti. Da questo volume centrale superiormente sfugge in avanti il corpo che costituisce l’appartamento attico. Come si può notare la scala è concepita intorno ad un pilastro gentilmente rastremato che termina, in alto, con una pensilina di copertura. Questo pilastro è uno degli elementi simbolici principali del progetto: un fusto di un albero, forse una palma, i cui rami sono le rampe della scala, cresce protetto dentro all’edificio e ne satura parte dello spazio interno con le sue fronde. Per salirvi è necessario percorrere una rampa di scale a sbalzo che nasce da terra e che interrompendosi al primo


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pianerottolo sembra potersi ritrarre per controllare l’accesso all’edificio. Si può notare invece dalla sezione trasversale che a causa della sua maggior larghezza l’edificio, dal secondo piano in su, rivela lo scorporamento della struttura dal muro perimetrale. Questo sapiente gioco di spessori trova in Moretti un maestro in grado di dosare a perfezione le profondità e le quantità, in accordo con un preciso programma formale, teso al raggiungimento di un progetto nel quale venga evidenziata una composizione “per parti”. La sezione evidenzia anche come il volume superiore sia appoggiato sul corpo basamentale e come quest’ultimo sia aperto verso il passo carrabile privato.


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INTERPRETAZIONE CRITICA “La fenditura centrale sezione al vivo l’intero edificio e, con una prospettiva tagliente ed istantanea, rivela e penetra integralmente la profondità degli spazi che entrano nella composizione. Il grande atrio aperto sotto la fenditura e la casa determina e sottolinea gli spazi in latitudine e dichiara il peso, la densità, gli sforzi e la figura dell’intera macchina costruttiva. Questi due temi della fenditura e dell’atrio esprimono ance in termini di chiaroscuro il loro penetrare gli spazi, con ombre intense e misteriose… il basamento a rustico in contrappunto al mosaico di vetro, bianco e luminoso, dei piani superiori a sbalzo. La partizione palladiana in basamento e colonnato sembra qui trasposta in superfici grezze e in superfici splendenti di mosaico. Le strutture in calcestruzzo armato sono lasciate in vista all’interno e all’esterno come forma all’esterno anche come materia… Un’altra modalità fondamentale di composizione si rivela ancora nell’edificio: strutture o materiali diversi non sono mai sposati; sono sempre invece ben staccati in modo da evitare angoli incerti di forma e di materia, che turbano il nitore formale dei particolari. Legno, mosaico, pietra e stucco hanno sempre confini propri e precisi e rigirano su sé stessi i loro profili terminali. L’interno della casa è tutto in stucco romano, la qual cosa dona agli spazi interni un valore tattile e una possibilità con comune di forma. Si notino ad esempio gli spigoli dei pilastri tutti trattati secondo certi profili varianti, uno a uno secondo la provenienza della luce.” -dattiloscritto di Luigi Moretti “La casa detta Il Girasole Risulta difficile arrischiarsi in un’interpretazione critica alla luce della descrizione chiara e accurata che ne da l’architetto stesso, tuttavia si ritiene necessario approfondire alcuni aspetti dell’opera. In primo luogo si individuano quattro elementi compositivi tipici delle opere morettiane degli anni ’50 presenti in questa opera: il taglio verticale (già presente nella casa albergo in via Corridoni a Milano), i volumi a sbalzo che alludono a elementi naturalistici e organi zoomorfi, gli sbalzi laterali (simili alla matrice progettuale della palazzina Astrea) e la fascia basamentale in travertino bugnato. Tali segni linguistici sono fonte di interpretazione nella loro singolarità e nei significati complessi delle relazioni. Nelle architetture di Luigi Moretti non è impossibile separare il fatto materico dall’idea, proprio perché tra le convinzioni morettiane più forti si trova il desiderio di riaffermare l’unità dell’architettura che a sua volta sia arricchita da un voler andare oltre, sconfinare nella scultura, nella pittura, e nella cultura in generale. E’ importante sottolineare il rapporto con la città: le architetture di Moretti sono la rappresentazione di un’idea di Roma, una Roma analoga nel senso di Aldo Rossi, se accoppiate alle architetture della città: romane, rinascimentali, barocche, perenni e variopinte fonti di insegnamento non accademico né tantomeno contemplativo, ma di energia per affrontare il presente accettando il cambiamento senza variare quel quid che rende riconoscibile, anche nell’uso di stilemi diversi, il proprio linguaggio. In questo senso si può dire che Moretti più di ogni altro architetto romano ha legato la propria esperienza a Roma, rimanendo sempre esemplare nei riferimenti antichi filtrati dalla cultura razionalista, anche negli interventi in centro città, insegnando agli architetti delle generazioni successive come intervenire nel tessuto storico senza pregiudizi né storicisti né antistorici. Si può infatti vedere la genesi dell’opera nella traslazione poetica del tema beniniano della transizione tra natura e architettura. Allo stesso modo della Fontana dei quattro fiumi, il basamento di travertino nella forma di una montagna si oppone a quel che rimane della


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silhouette di un obelisco in un perenne contrasto tra forme e informe che dà vita a un’immagine dinamica. La differenza tra barocco e non-barocco (e quindi classico) risiede nella differenza tra i procedimenti della composizione e percezione. L’insieme non-barocco si apprende chiaramente nella sua globalità in un tempo di lettura breve per via della coincidenza tra immagine totale e somma delle parti, mentre negli insiemi barocchi l’apprendimento è mediato dalla memoria. L’opera barocca, come intesa da Michelangelo, infatti, poggia su un certo numero di fuochi compositivi ch generano episodi governati ognuno da una regola propria interna e tenuti insieme da relazioni di diverso tipo. Da un oggetto frammentato discende una percezione frammentata, e quindi un tempo di lettura lungo. L’edificio del Girasole partecipa della vicenda della palazzina romana, e segna una svolta nella sperimentazione in chiave moderna della tipologia, rappresentando una notevole eccezione. La palazzina, come afferma Portoghesi, era diventata come un sonetto: una definizione canonica bloccata in un’unità volumetrica che poteva inverarsi in una pluralità infinita di soluzioni e interpretazioni; per Moretti diventa una tela su cui trascrivere in modo complesso e critico tracce delle stratificazioni culturali contemporanee e del locus. Dal rifiuto della tipologia a corte nasce la fessura che spacca in due l’edificio e ospita il corpo scale, che diventa diaframma di collegamento distributivo e lo configura come un corpo a U. Con questa configurazione Moretti riesce anche a nobilitare lo spazio tipo logicamente essenziale nella configurazione distributiva della palazzina del chiostro, normalmente trattata come spazio di risulta, recuperando uno degli elementi caratteristici dei palazzi antichi. In numerosi scritti di Moretti si evidenzia la spazialità come protagonista del fatto architettonico, messo in luce dalla concatenazione di spazi in continuità che costituiscono un percorso che si snoda lungo tutto l’edificio. Nel caso del Girasole questa concezione è evidente nella sequenzialità degli ambienti mai chiaramente divisi ma sempre differenti. Robert Venturi la cita come esempio di architettura ambigua: la scansione classica in basamento, fusto e coronamento trova un’applicazione disinvolta e sperimentale. Il coronamento stesso, organizzato su un timpano asimmetrico è nello stesso momento classico e anticlassico, denunciando da subito la caratteristica che definisce l’edificio in tutte le sue dimensioni, ovvero l’apparente simmetria rotta sempre da piccole distorsioni. Il gioco di simmetrie e asimmetrie si esprime nella dialettica tra negativo e positivo e tra materiale e immateriale che definisce la generale ambiguità del volume unitario tagliato in due. Sia in alzato che in pianta la luce è il principio ordinatore della composizione: è la guida del consumo temporale dell’opera, e si esplica nel vuoto del taglio centrale che dà indizi del funzionamento dell’oggetto e illumina i protagonisti dell’opera.


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BIBLIOGRAFIA Manuali • C. Pagani, Architettura italiana oggi,Milano, Hoepli, 1955 • N. Pevsner, Storia dell’architettura europea, Roma, Laterza, 1992 • R. Sherwood, Modern Housing Prototypes, Londra, Harvard University Press, 1978 Monografie sull’architetto • R. Bonelli, Moretti, Roma, Edizioni d’Italia, 1975 • C. Bozzoni, D. Fonti, A. Muntoni (a cura di), Luigi Moretti, architetto del Novecento, Roma, Gangemi Editore, 2009 • F. Bucci, M. Mulazzani (a cura di), Luigi Moretti, opere e scritti, Milano, Electa, 2000 • F. Garofalo, Lo spazio dell’architettura, in “Domus”, 734 gen. 1992 • A. Greco, G. Remiddi, Luigi Moretti, guida alle opere romane, Roma, Palombi editore, 2006 • L. Finelli, Luigi Moretti, la promessa e il debito: Architetture 1926-1973, Roma, Officina, 2005 • L.Montevecchi, Moretti visto da Moretti , Roma, Palombi editore, 2007 • R. Moore, Luigi Moretti: from Rationalism to Informalism, Rome, Italy, in “The Architectural Review”, 27 lug. 2010 •

B. Reichlin, L. Tedeschi (a cura di), Luigi Moretti; razionalimo e trasgressività tra barocco e informale, Milano, Electa, 2010

• •

C. Rostagni, Luigi Moretti 1907-1973, Milano, Electa, 2008 Luigi Moretti, un movimento erompente dall’interno all’esterno, in “Domus” 428, 1965

Monografie sull’edificio • AD Classics: Casa “Il Girasole”/Luigi Moretti, in Archdaily • R. Banham, Casa del Girasole, in “The Architectural Review”, n.113 feb.1953 • R. Lenci, L’enigma del Girasole: lettura critica di un’opera di architettura di Luigi Moretti, Roma, Gangemi, 2012


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