tema
QUASI LEGALE
nurture STORIE DI PICCOLE REALTÀ ALTERNATIVE
nr.
01 il controllo 40121 BOLOGNA_Km 0 fuori dal mercato 40132 BORGO PANIGALE_Km 7 senza regolarità 38900 ROCCAMALATINA_Km 51 comunitario della montagna 41046 MONCHIO_Km 87
nurture
come nutrimento, cibo ma anche educazione, allevamento, cura. Una parola con varie sfaccettature di significato che sono alla base di quello che si vuole raccontare, coltivare e promuovere.
tema
QUASI LEGALE questo numero parla di sovranità alimentare e mercati autogestiti. Tutto quello che sta dietro alla produzione di cibo: salute, gusto, lavoro, autoproduzione e fare comune. Racconti, storie e un resoconto fotografico tra le colline resilienti di chi fa filiera corta e autoproduzione; applica pratiche sostenibili legate alla trasformazione dei cibi e garanzia partecipata.
nurture STORIE DI PICCOLE REALTÀ ALTERNATIVE
storia di copertina La città di Bologna già dagli anni ottanta inizia un percorso fatto di insediamenti urbani a uso comunitario e agricolo. Inizialmente nasceva come attività dedicata agli anziani per il tempo libero, ad oggi è una delle città in Italia con maggior numero di orti urbani utilizzati a equità intragenerazionale. Attualmente le aree ortive di proprietà comunale sono 20, per un totale di oltre 2.700 orti. La crescente domanda di cibo genuino e biologico fa si che la risposta non si limiti agli orti comunitari, ma si stia
allargando ad altre iniziative come i GAS, in continua espansione e i mercati contadini settimanali di produttori locali che negli ultimi anni sono diventati 6, coprendo così la presenza in città per l’intera settimana lavorativa. Tutto questo è possibile anche grazie alla costruzione di reti solidali che coniugano il “ritorno alla terra” dei nuovi contadini con l’obbiettivo della “sovranità alimentare”. Si contano 100 aziende legali e non che da tutta la regione Emilia Romagna si sono
costituiti sotto un manifesto e una carta dei principi per poter lottare per l’autodeterminazione alimentare. Con questo numero “QUASI LEGALE” si vuole raccontare di chi ha il bisogno di difendere la piccola agricoltura contadina nelle campagne sperimentando nuovi modelli di economia a volte discapito della legalità. Un viaggio fatto di relazioni sociali partendo dalla città e allargandosi alle valli limitrofe. orti urbani: (http://www. comune.bologna.it/ambiente/ servizi/6:3241/6097/)
MODENA
461
Formigine
A1
San Cesario sul Panaro
Fiornano Modenese
SASSUOLO
Spilamberto
Maranello
623
S.Michele d.Mucchietti
459
Castelfranco Emilia
Torre Maina
12
Castelvetro di Modena
Bazzano
Prignano sul Secchia
569
Savignano sul Panaro
Viglola
Marano sul Panaro
416
Crespellano
Zo Pr
23 19 Monte S. Giulia
Capitaletto 4 10
30 10
935 Monte S. Martino
Monchio
Guiglia
Monte S.Pietro
Castello di Serravalle
Parco Regionale dei Sassi di Roccamalatina
Savigno 531 764
1053
Pavullo nel Frignano
24
Montefiorino
Lama Mocogno 1231
Marzabo
Zocca
Vedegheto 623
12 S.Giacomo Maggiore
TolĂŠ
Pian di Venola
Castel Maggiore
Calderara di Reno
Anzola d’Emilia
Granarolo dell’Emilia
10 20
Budrio
BOLOGNA
Borgo Panigale
Castenaso 15 10
ola redesa
253
Medicina
CASALECCHIO DI RENO
S.LAZZARO DI SAVENA
65
355
Sasso Marconi
Ozzano d. Emilia
15 il controllo 40121 BOLOGNA_Km 0 20
Pianoro
fuori dal mercato 40132 BORGO PANIGALE_Km 7
64
4
otto
senza regolarità 38900 ROCCAMALATINA_Km 51
655
A1 826
30 comunitario della montagna 41046 MONCHIO_Km 87
610
marzo - giugno 2016, numero 01
sommario degli articoli Emilia Romagna , QUASI LEGALE
30 comunitario della montagna 41046 MONCHIO_Km 87 beni comuni
mappa
20 fuori dal mercato 40132 BORGO PANIGALE_Km 7 C.S.A. ecomomie solidali
15 il controllo 40121 BOLOGNA_Km 0 mercati autogestiti nome filiera corta
4 senza regolarità 38900 ROCCAMALATINA_Km 51 garanziapartecipata
nurture è un progetto di approfondimento che si pone come obbiettivo la sensibilizzazione e la promozione di un discorso sul tema dei cambiamenti sociali, culturali e ambientali.
nurture è ricerca sulle nuove forme alternative che si stanno sviluppando in italia e quali sono le storie e le pratiche di riflessione sul cambiamento.
nurture è una forma di sensibilizzazione
alle conoscenze trovate, un modo per creare discussione raccontando storie, una lettura dei territori a carattere antropologico.
nurture è storie di resistenza quotidiana, storie individuali che lavorano per la collettività.
nurture è un invito a tutte quelle persone
che hanno la sensibilità di avvicinarsi a realtà marginali per conoscerene gli aneddoti, le storie, i gesti e le scelte, a volte coraggiose, e tentare una riflessione sui rapporti tra produzione e consumo.
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rallentare, per evitare che tutto si fermi
senza regolarità Anna sogna di fare la fornaia, si è trasferita nelle colline emiliane da 7 anni e da 5 fa il pane clandestinamente.
“Al liceo classico, usavo la testa e non le mani, ho iniziato a mettermi in gioco a partire dall’orto, poi è arrivato il cibo, fare da mangiare mi piaceva da sempre e anche il pane l’ho sempre fatto. Quando mi sono trasferita qui ho iniziato a frequentare i mercatini locali e nei centri sociali, ho deciso di ristrutturare la stalla, e sono entrata in Campi Aperti”.
completamente illegali (con vari livelli di rischio a seconda di cosa si produce/trasforma: il rischio va da una multa fino ad essere perseguiti penalmente), ad aziende che tendenzialmente sono agricole a norma e producono verdure, cereali e altre coltivazioni, ma hanno la parte di trasformazione che non lo è, con laboratori non regolari.
La conversazione continua passeggiando all’interno di un parco naturale, siamo a Roccamalatina, dove ai boschi si alternano rocce imponenti. Comprendo nel discorso che l’ aspetto fondamentale della rete Campi Aperti è dare la possibilità di provare, sperimentare, produrre con altri sistemi. Le norme igenico sanitarie e la burocrazia sono troppo complesse per una persona o una piccola impresa che vuole iniziare, ma sopratutto si basano su canoni industriali, per cui la produzione è pensata per automatismi e migliaia di pezzi.
“Sono tanti, tutti i trasformatori, ma anche chi ha un azienda agricola troppo piccola per cui non è emerso e fiscalmente non è in regola. Insomma ci sono varie tipologie ma
siamo in tanti così.
“Io lo faccio da 5 anni, all’inizio era veramente un esperimento: era più capire come andava. Nel momento in cui anno dopo anno funzionava, era sempre meglio e i mercati andavano bene ho iniziato a pormi la domanda se e per quanto mi volevo nascondere.”
Io ci convivo male, non c’è la faccio quindi per me ad un certo punto non c’erano più possibilità. A stare in questa illegalità, mi limitava giornalmente con il rapporto con gli altri, chi mi veniva a trovare in casa, con mia figlia e chiunque. Per una ragione o per l’altra dovevo nascondergli che nella vecchia stalla rinnovata c’è il mio laboratorio. Io non posso dire cosa faccio, o meglio solo in determinati contesti, solo con alcune persone. È difficile fare tutto di nascosto: essere illegali funziona fino ad un certo punto.”
Non tutti quelli della rete hanno una partita iva. In linea di massima possono andare da aziende
Anna mi racconta della difficoltà di fare operazioni molto semplici come consegnare ai
12 GAS i popri prodotti, del limite di sentirsi protetta solo in alcuni mercati e allo stesso tempo capire che non tutti possono avere la prospettiva di potersi mettere in regola, perché costa troppo, perché le regole sanitarie impongono qualcosa fuori dalle possibilità economiche o perché semplicemente non si è proprietario del campo o del laboratorio.
“Per legge sono obbligata a separare produzione da vendita. Dove sono ora... non me lo passeranno mai.”
www.campiaperti.org
La strada per mettersi in regola è lunga ed ha molti impedimenti, alla fine si inizia sempre con i prestiti, debiti, ci si incastra per anni con rischi grossi. In ogni caso la mia linea di pensiero non cambia: sostenere la rete Campi Aperti, aiutare a fare le certificazioni e poi avrò il valore aggiunto di inserirmi in un paese, di entrare in relazione con le persone che abitano la mia zona. Questo mi stimola molto: pensare di essere quella che porta un pò di novità nel paese, una che dalla città è salita sul’ appennino per aprire di nuovo un forno con prodotti sani dopo che la gente per gli ultimi trent’anni ha comprato il pane al supermercato adesso può ritornare da me perché ritrova il pane che mangiava da piccolo.” Inserirsi all’interno di un contesto, portare una visione nuova dei prodotti all’interno di un paese, avvicinare le persone ad un modo di pensare il pane, il grano, i valori del cibo. Questi sono i punti fondamentali per Anna, il valore aggunto del percoso che inizierà ad affrontare. “Un forno da queste parti è un forno è basta, un luogo in cui si vende il pane e non si dice nulla di come è fatto e con cosa è fatto e quindi è una cosa sicuramente nuova. Portare la politica del movimento all’interno del forno in cui sono sicura che la gente non se lo aspetta.”
Campi Aperti è un associazione di contadini e cittadini che sostiene il diritto delle comunità a decidere intorno al cibo, che organizza mercati autogestiti grazie alla collaborazione e una rete con i centri sociali o associazioni. CampiAperti nasce alla fine dei ’90 negli spazi del centro sociale XM24. Con gli anni cresce il successo dell’iniziativa e l’interesse per le idee che la sostengono, e all’interno del tessuto cittadino nascono altri mercati; ad oggi sono 6 in varie parti per la città.
La nostra passeggiata ci ha condotto in un piccolo borgo, proprio sotto ai “sassi”, una realtà piccola dove Anna iniziera la sua sfida lavorativa affiancata alle esperienza dei mercati. Anna ha deciso di essere lì, a Roccamalatina o Rocca Malatina, come si chiamava un tempo in un luogo dove si arriva solo a piedi arrivando da un piccolo paese di poche anime; una frazione del comune di Guiglia che si trova a 15 km da Vignola lungo la Strada statale 623 del Passo Brasa nell’Appennino modenese. Già solo la presenza, anche senza una regolarità, determina
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la voglia e le difficoltà di produrre in modo sano e continuare al farlo. Davanti ad una tazza di tè scopro che Anna era ammalata come molte delle persone che vanno a comprare il pane da lei. La celiachia sta aumentando sempre di più, ormai è un costo sanitario per lo Stato e un nuovo business per le aziende.
“Una volta lo Stato ti passava le medicine, ora te le passa in forma di cibo” Molte persone come lei sono ammalate e ricevono buoni mensili da consumare nelle aziende specializzate “glutin free”. “Molti non se ne rendono conto; basterebbe riabituare il corpo a certi alimenti, è un processo molto lungo, bisogna farlo in modo graduale, con prodotti che usano i grani antichi che hanno tutto il nutrimento che serve al corpo. Mangiare i prodotti “glutin free” a lungo termine ti fa ammalare di diabete: tutti i prodotti per celliaci sono fatti con farine bianche e pieni di zucchero. Basta vedere le etichette del pane, è il prodotto a cui servono meno ingredienti: acqua, lievito, farina. Invece trovi delle liste lunghissime, ovvio bisogna compensare. Alcune farine non sono fatte per tutti i prodotti, non per niente prima non erano mai state usate. Il pane di oggi è fatto per durare un giorno, una volta il pane veniva fatto settimanalmente. C’era un modo e un motivo perchè veniva fatto così: veniva fatto grande e lievitato lentamente. Quando veniva cotto “il pulcino” all’interno rimaneva non cotto del tutto e per tutto il tempo continuava a fermentare e rilasciare enzimi che nutrivano e tenevano morbido il pane. Oggi si usano gli agenti lievitanti e il pane è monodose e le pizze non ammuffiscono mai.” L’idea di negozio non sarà come lo intendiamo
in modo classico, Anna non riuscirà a vendere sempre e in qualsiasi momento. Non sempre avrà le cose fatte già pronte perchè non rinuncerà ad andare ai mercati e la produzione è fatta quando è giorno di mercato. Avere qualcuno che la aiuterà lo ha messo in conto e un po’ lo spera anche, perché altrimenti sarebbe toppo lavoro, ma sicuramente non bisognerà aspettarsi degli orari di apertura come un negozio. “Cambio le regole: il pane si compra fresco, quando è appena fatto 3 volte a settimana… diventa e ritorna ad essere una ritualità! Non voglio vivere per lavorare, per rinunciare ad andare al cinema, stare con mia figlia, leggere un libro. Secondo me è anche bello abituare la gente a non avere tutto subito: la grande distribuzione ci ha abituato che puoi comprare in qualsiasi momento ed è sempre li! Non aprirò tutti i giorni; magari faccio la giornata dell’infornata per il paese, ma poi aprirò quando ci sono e se capita che qualcuno vuole una pagnotta gliela vendo
15 volentieri. Lo faccio anche ai mercati, se qualcuno arriva all’ultimo e mi chiede disperatamente del pane alla fine finisco per dargli quello che avevo tenuto per la mia famiglia. Non c’è la faccio, è più forte di me. ”
Fare visita al Senatore Cappelli “Quando ho chiesto di partecipare a Campi Aperti sono venuti a visitare l’azienda, mi hanno chiesto se prima o poi io produrrò il mio grano. Io ho capito che non volevo fare la contadina, sostengo lo stesso comprando il grano dalla rete. Per quello è interessante per me andare a fare le visite nelle altre aziende.” 37
Le visite sono un metodo in cui si svolge la garanzia pertecipata all’interno della rete per poter garantire il modo di produzione, la genuinità del prodotto e l’etica del produttore. Non è facile costuire nuove forme di controllo che non creino gerarchia, ma che tutelino il produttore e il consumatore e creino la fiducia che si instaura poi ai banchi dei mercati. Parto da casa di Anna, facciamo qualche km tra le colline e ci infiliamo in un paesino disperso a 20 minuti di macchina da casa sua. Alla visita ci raggiungono altre due donne che costituiranno tutte insieme l’organo informale di controllo. Una è una produttrice agricola l’altra è la rappresentante di un GAS e Anna è alla ricerca di nuovi produttori di grani. La casa di Stefania - la produttrice - dove siamo in vistita ha attivato una coltura biologica in un podere di famiglia che per anni è stato coltivato in modo convenzionale. Ora invece produce secondo il metodo biologico,
“anzi meglio, non uso nulla di nulla” dichiara lei, perchè non usa nemmeno i trattamenti concessi dal biologico. È da sola, non ha macchinari, alcune cose le fa fare a terzi. Alcuni anni fa ha deciso di non rinnovare più il suo contratto di lavoro e provare a produrre pasta e officinali da vendere nei mercatini locali. Per la zona le sue sono colture sperimentali, nessuno coltiva il grano Senatore Cappelli. “Ha un ottima resa, non perde le proprietà nutritive ed è sano. Con questo riesci a fare una
pasta integrale che è difficile trovare altrimenti”. La chiaccherata continua informalmente parlando di quantità e tecniche fino al mulino per la trasformazione. Si susseguono una serie di consigli incrociati, tra nomi ed sperienze la linea comune al tavolo è quella di seguire tutto il processo di produzione ma anche la lavorazione fino alla macinazione in mulino.
“Cosa sai di Genuino Clandestino?” Questa ovviamente è la domanda lecita che si possa fare alla vistia mentre viene consegnata la carte dei principi dei mercati e il manifesto di Genuino Clandestino. Chi si avvicina a Campi Aperti ovviamente ha bisogno di lavorare, ma questo non significa che tutti condividano l’etica e la politica del movimento; tanto meno che siano disposti a fare mercati in un centro sociale occupato. Questo è il punto di discussione e scambio di opinioni che viene affrontato in auto una volta lasciata la casa di Stefania. È importante che il lavoro di creazione di reti e fiducia venga compreso, perchè è proprio lì la forza promotrice. Grazie a questa rete, in Italia nasce il movimento Genuino Clandestino che sta avendo da qualche anno un ruolo molto importante nel unificare a livello nazionale quei produttori che altrimenti da soli sarebbero schiacciati dalle leggi. Genuino Clandestino nasce nel 2010 come una campagna di comunicazione di Campi Aperti per denunciare un insieme di norme ingiuste che, equiparando i cibi contadini trasformati a quelli delle grandi industrie alimentari, li ha resi fuorilegge. Il laboratorio di Anna e di conseguenza il suo pane, ad oggi lo sono. Le normative igienico-sanitarie attualmente in vigore infatti impongono a chiunque si occupi della trasformazione di prodotti alimentari, indipendentemente dall’entità della produzione e dal tipo di lavorazione, di dotarsi di laboratori specializzati che rispettino determinati standard di dimensioni e attrezzature. Per assurdo quello di Anna dovrà avere due lavandini a distanza di soli tre metri l’uno dall’altro. Queste leggi sono state pensate per regolamentare l’attività delle grandi industrie agroalimentari che lavorano con grandi quantità di prodotto e di manodopera, ma ignorano le piccole realtà, caratterizzate da produzioni piccole in cui la manodopera consiste, il più delle volte, nel solo produttore, la qualità
18 del prodotto nel metodo di lavorazione e le attrezzature alle volte non sono convenzionali. Arrivate a casa entro con trepida attesa nel laboratorio, la luce filtra dalle finestre e sulle mensole l’impasto sta lievitando. Uno spazio non troppo grande, ma organizzato e tenuto con cura, nulla da fare invidia ad una cucina professionale ma niente che possa essere considerato tale. Chiedo quante cose cambieranno nel nuovo locale, Anna mi risponde molte a partire dal piano di lavoro. “Il bancone da 1 x 1,5m su cui io impasto il pane è la tomba di mia nonna…è colei che mi ha insegnato e avvicinato alle torte, ai biscotti, che mi ha passato tutte le ricette e io sono molto fiera di lavorare su quel granito! Non potevo desiderare materiale migliore” Nel suo nuovo laboratorio il pianale da lavoro di Anna sarà di aluminio. http://genuinoclandestino.it
Genuino Clandestino è un movimento con un’identità volutamente indefinita. Al suo interno convivono singoli e comunità in costruzione. Costruire un’alleanza fra movimenti urbani, singoli cittadini e movimenti rurali, che sappia riconnettere città e campagna superando le categorie di produttore e consumatore. Un’alleanza finalizzata a riconvertire l’uso degli spazi urbani e rurali sulla base di pratiche quali: l’autorganizzazione, la solidarietà, la cooperazione e la cura del territorio; sostenere le comunità locali in lotta contro la distruzione del loro ambiente di vita.
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autogestione per riprendersi
il controllo 9.000 mq al centro di una città, occupati e restituiti alla collettività.
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Sono arrivata ad uno dei mercati autogestiti di cui tanto mi hanno parlato, ho attraversato Bologna in bici. Il quartiere mi sembra tranquillo, studentesco, sono a pochi metri dai Giardini Margherita. Sono le 4/5 del pomeriggio ed è relativamente silenzioso. Sulle finestre una bandiera palestinese e qualche segno di lotta antifascista. Arrivo in fondo alla via, una grande casa colorata circondata da mura (rosa) attira la mia attenzione: è qui. L’ex Caserma Masini ora Làbas occupato. Ora capisco perchè Anna ci tenne a specifcare:
“I luoghi scelti per i mercati hanno tutti una connotazione politica.” La caserma è il posto ideale per il mercato, riproduce perfettamente la piazza: in centro tavoli allestiti da festa campestre, su tutti i lati in cerchio i produttori con i loro banchetti, semplici, con gazebo antipioggia. Al lato sinistro una falegnameria, qualche gioco per bambini e pargoli che corrono avanti indietro tra gente e banchi di frutta. La gente arriva già da subito, dopo neanche mezz’ora dall’apertura il numero di attesa hai banchi era già al 48. Mi stupisco dell’affluenza e sopratutto della vaietà delle persone che vengono ad acquistare. Mi metto in fila ad un banco delle erbe aromatiche, la gente è incuriosita, a fare quello che fa lei sono in pochi, mi dice una signora sulla cinquantina in fila alla mia destra, e poi cambiando l’espressione in volto
21
22 commenta:
“faccio tutt’altro nella vita ma sai che vorrei farlo anche io!” Arriva il mio turno, riapro la conversazione, lei mi confessa “paradossalmente in città le persone si stanno riavvicinando alla natura” in valle dove lei stà nota che per le persone dopo anni di isolamento poter scendere in auto e arrivare al primo centro commerciale vicino è segno di progresso e qui c’è gente che la invidia. Giro ancora un po’ e il tema centro commerciale ritorna, incontro un ragazzo che poco prima ha comprato la verdura nel banchetto affianco al mio: “hai visto la ragazza coreana tra di noi? stava chiedendo che sapore ha la cicoria, te la immagini al supermercato…a chi chiede? Da quando ci sono le casse automatiche puoi fare il giro al supermercato senza neanche aprire bocca”.
https://labasoccupato.com
Forse sta proprio qui la differenza, e quel pizzico di invidia della signora di prima, il sapore! Lo si respira in tutta la piazza, profumi colori, negli entusiasmi dei contadini, dai loro scarponi con ancora le zolle attaccate alle suole. Nel tempo che la gente si prende per fare la spesa e per chiaccherare, chiedere consigli, fare conoscenza diretta. Questa viene chiamata filiera corta, dove il sapore non si perde in km di autostrade, in celle frigo transoceaniche, perchè tra gli intermediari ci sei solo tu e il produttore! 37
Làbas è il collettivo politico che il 13 novembre 2012 ha occupato l’ex Caserma Masini in via Orfeo n° 46. Làbas ha così sottratto all’abbandono, al degrado e alla speculazione immobiliare un’ area che si estende per circa 9.000 mq nel cuore di Bologna, restituendola al quartiere, alla città, alla collettività.
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diventare contadini per essere
fuori dal mercato Arvaia è una cooperativa composta da cittadini che si producono il proprio cibo. Ad oggi conta 324 soci.
“Siamo completamente fuori dalla logica di mercato sta lì la differenza tra la cooperativa sociale e la nostra la prima infatti è completamente inserita all’interno di mercato economico cerca di vendere prodotti noi siamo un gruppo di persone che si auto producono il cibo.Noi non cerchiamo chi compra piuttosto ma soci sostenitori!” Così inizia la conversazione al tavolo con uno dei fondatori di arvaria, siamo in mezzo ai campi, nella periferia bolognese a Borgo Panigale è una giornata uggiosa e io sono appena stata accolta con una tazza di caffè nello spazio considerato comune. Una baracca, l’unico spazio coperto dove chi lavora ai campi ha la possibilità di cambiarsi e cucinarsi il pranzo e dove i soci hanno le bilance e le casse per poter smistare il raccolto. “Non facciamo cassette, lasciamo le casse del prodotto direttamente sullo scaffale e su questo bancone c’è uno schema di composizione coi pesi. Il foglio descrive quale e che quantitativo di verdura spetta a persona.” Mentre inizio comprendere come funziona il funzionamento della distribuzione all’interno della cooperativa ci alziamo e andiamo nello spazio accanto dove c’è un tavolo con una bilancia e Alberto tira fuori un quaderno con una lista di nomi tra cui patate, melanzane, zucchine,
carote e vicino una lista di quantità. “il socio arriva, si pesa il prodotto che gli spetta e se lo porta via. Se non vuole qualcosa, perchè magari è allergico o perchè questa settimana non cucinerà molto, lo lascia nella cassetta di scambio così un socio che questa settimana ha bisogno di un qualcosa in più, le può prendere da quella cassetta. In quella cassetta sta la mediazione tra di noi.” Ovviamente le varietà e sopratutto le quantità dipendono dalla stagione quando c’è abbondanza di raccolto la distribuzione del raccolto sarà abbondante; in altre stagioni come dice Alberto:
“ci si accontenta” Guardano le persone intorno a me come si prodigano a impiantare, seminare, curare, non metto in dubbio neanche per un attimo che fanno del loro meglio per riuscire ad avere una produzione che copra tutto l’anno e per riuscire ad alimentare tutti i soci. Ma i rischi ci sono, in quel caso vengono condivisi come fanno con i benefici tra tutti. La conversazione viene interrotta da una signora ti chiede delucidazioni sull’ultimo raccolto,da li apprendo che i singoli soci ricevono una mail con
27 un calendario di tutte le scadenze e le raccolte settimanali che di solito sono martedì. “Le quantità ovviamente sono in base al raccolto suddiviso per i soci la distribuzione è 3 giorni alla settimana, qui e in diversi punti in giro per la città di Bologna.” Questo è uno dei motivi per cui qui ad Arvaia la distanza tra produttore e consumatore Non c’è, ma non vale solo per la distribuzione, la distanza si accorcia perche i soci partecipano attivamente alle attività della coperativa. “Fare parte della cooperativa vuol dire anche venire qui e lavorare. Venire qui, quando si ha tempo. I soci vengono inquadrati in un percorso formativo, noi siamo una fattoria didattica quindi abbiamo avviato un percorso in cui i soci imparano che cos’è l’attività agricola.” Effettivamene questo era il cartello che ho visto all’entrata, proprio sotto al nome della coperativa. Pensavo si riferisse alle scuole, ma invece è un percorso per i soci,
quasi nessuno arriva da esperienze contadine “c’è tanto entusiasmo, c’è chi è laureato in filosofia, chi in pedagogia, chi in economia, e chi invece non è laureato. Insomma, siamo persone di tutti i tipi con un estremo bisogno di tornare ad una vita in armonia con la natura e con le mani nella terra.” Molte persone dedicando tutto il tempo libero che hanno per dare una mano, c’è chi si prende ferie ogni tanto per venire qui, tutti soci, tranne quattro, fanno tutt’altro e regolarmente e vanno ad aiutare. È difficile avere esperienza nel settore articolo, ovvero, se hai una azienda di famiglia lo continui a fare in famiglia, se si ha lavorato in un’azienda hai solo lavorato non hai idea di che cosa ci sia dietro, ti manca il concetto di pianificazione e poi qui essendo distaccati dal mercato è un’altra cosa, ci sono esigenze produttive diverse. “Non c’è nessuna azienda che faccia tutte le culture come facciamo noi perché di solito bene o male ci si specializza, sulla base di come è fatto il terreno”
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Ovviamente le aziende si specializzano, perchè devono massimizzare i profitti, ma questo non vale per una C.S.A. (community supported agricolture) che lo scopo è il benessere sociale e ambientale. Una forma legale, che in Italia, come forma di cooperativa non è prevista nell’ordinamento legale, e che per poterla attuare hanno dovuto trasformare in una cooperativa di produzione di lavoro. Alcuni tornano dai campi, tra una cosa e l’altra si è fatto mezzogiorno, rimaniamo in 3, gli altri tornano a casa per pranzo, a me offrono la pasta fatta in casa della nonna. Si tira su una padella di sugo su una cucina da campeggio, ci si sente in famiglia subito, tutti contribuiscono alla convivialità. Alberto torna giusto per il caffè dopopranzo e mi racconta come si finanziano grazie al metodo del prefinanziamento annuo. 730€ annuali circa a testa dove l’anno viene calcolato da aprile a marzo dell’anno successivo sulla base delle semine. A febbraio si costituisce l’assemblea annuale dove si stabilisce la quota dei soci, si fa un bilancio preventivo si programma la produzione per l’anno e a seconda di quanti aderiscono si divide per la media per avere la quota annuale. E qui la cosa interessante, il socio non è obbligato a mettere la cifra stabilità, più mettere di meno o di più a seconda delle esigenze del nucleo familiare; perchè vegetariani, perchè in tanti, ad esempio. Ognuno può mettere di più o di meno della quota piena a seconda delle sue possibilità completamente in maniera libera e autonoma a livello decisionale, lo segna su un foglio e alla fine si fa anche un’asta, mi racconta Alberto, per fare un minimo di Wellfer tra tutti; l’importante che a chiusura dell’assemblea si arrivi a 100% del budget stabilito. Quindi è così che funziona, penso, mentre il caffè ormai è finito, iniziano l’anno con un bilancio già chiuso con le quote che le persone si sono impegnate a versare, non necessariamente subito e tutto all’inizio. Per fortuna, a mio parere perchè la cifra mi sembra una cosa mastodontica, ma subito chiusa questa conversazione prima di alzarci per fare un giro nei campi preno la calcolatrice alla mano e faccio un breve calcolo quest’anno ogni scocio ha pagato
2€ al giorno!
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È una questione di responsabilità
portare nuovi consigli, nuove visioni, risoluzione di vecchi problemi, proprio perchè distaccati e freschi vengono visti come una risorsa.
Mi soffermo proprio a parlare della assemblee e al loro ruolo decisionale, anche quitrovo differenze con altre coperative, esiste un Cda ovvero l’organo di gestione tecnica e amministrativa perché a livello legale ci deve essere, però in questo caso il Cda suddivide e ridistribuisce la responsabilità a un coordinamento, che è formato da almeno un rappresentante di ogni gruppo di lavoro.
“Stiamo cercando di usare il metodo del consenso anche se non è facile, le persone sono abituate a votare a maggioranza e quindi non è facile la mediazione per arrivare che tutti danno il consenso, quindi vuol dire che se c’è maggioranza si ascolta si cerca di ascoltare sempre la minoranza e che se la decisione non è urgente si cerca di continuare la discussione altrimenti si finisce a maggioranza.”
“È diventato più che un consiglio di amministrazione, un coordinamento in cui i vari gruppi riportano settimanalmente lo stato delle loro attività, illustrano gli eventuali progetti che hanno e quindi le decisioni vengono prese all’unanimità.” Dividere i compiti per gruppi di lavoro, facilita i soci che non sono impegnati come contadini fissi, a poter partecipare alle attività collaterali come la comunicazione, la gestione delle aree che servono per il mantenimento e svolgimento della cooperativa. I contadini sul campo infatti sono solo 4 tutti gli altri hanno i lavori più svariati al di fuori della coperativa e dedicano qualche ora alla settimana all’interno di uno dei gruppi. “Alla fine il concetto della C.S.A. è proprio quello che se soci contribuiscono al funzionamento dell’attività agricola una volta che hai il bilancio coperto non hai eccedenze. Poi ovvio ci sono i tempi tecnici, la gente lavora, fa un altro lavoro, non ci si incontra sempre, insomma non funziona così alla lettera, però funziona. C’è un grande lavoro di volontariato qui siamo in quattro stipendiati agricoli c’è un forfait annuo per tre persone che si occupano di comunicazione e amministrazione, noi contadini siamo pagati 60 - 75% di uno stipendio normale, almeno il 30% nostro tempo è fatto volontariamente qui senza essere retribuiti.” Descritti in questo mofdo sembra un gruppo chiuso, già formato e non in espansione, ma mi viene spiegato che non c’è nessun problema all’apertura di nuovi soci, anzi, li stanno cercando, e vengono visti come una risorsa, chi entra come nuovo socio allo stesso diritto degli altri di parola e di decisione all’interno delle riunioni e vengono ascoltati volentieri sopratutto perché nuovi, la loro filosofia è che possono
“il Parco Citta’ Campagna” sono 50 ettari coperativi Di posto ce n’è per tutti, forse me ne accorgo tardi, ma sta arrivando un temporale e chiedo ad Alberto di poter fotografare le aree che non ho ancora visitato; a questa domanda mi viene fatto notare che sono 50 ettari! Il territorio che vedo di fronte a me, la pianura situata tra il fiume Reno e il torrente Samoggia sono Arvaia. È un contratto di affitto nato grazie ad un bando ci concorso vinto con il Comune di Bologna per la valorizzare dei paesaggi e delle aree ad elevato valore ecologico-ambientale. “Noi avremmo il compito e il piacere di ripristinare, di rinaturalizzare l’area con siepi e filari di alberi com’era una volta. La configurazione sarà a campi di 2.000 mq, (una centuria romana), più tutti i percorsi, perché comunque ci saranno i percorsi pedonali da mantenere.” Ormai la pioggia si è fatta fitta e noi abbiamo fatto giusto in tempo a tornare, dove cartina alla mano mi viene fatto vederetutte le zone già in uso e i progetti di utilizzo futuri per quelle ancora non attivate. “ovvio da quando adesso abbiamo vinto il concorso abbiamo tutti questi ettari o decidiamo di non produrre e produrre il minimo indispensabile oppure allarghiamo il pensiero e produciamo quello che ci serve oltre gli ortaggi tipo i cereali per fare le farine, e quindi instauriamo collaborazione col territorio.” Questo tipo di attività di trasformazione hanno bisogno di un economia in scala minima che non
32 è possibile che diventi aziendale e quindi diventa difficile la commercializzazione, instaurando economie solidali si riesce a sostenere delle piccole realtà e produttori; quindi creare filiere relative alla trasformazione. 36
“Quello che non usi glielo lasci, siamo collegati con il frantoio altre associazioni piccoli negozi, abbiamo smesso di andare mercati ci servivano all’inizio ma toglievano troppo tempo per i nostri soci e poi è sempre un’incognita.”
“andare al mercato è un’altra cosa che essere sul mercato.” Loro sono riusciti a non fare nessuna delle due cose, tenendo i prezzi inferiori a quelli del biologico della grande distribuzione, eliminando il rischio della mancata clientela e rafforzando economia locale. D’altronde chi gli darebbe torto, le aziende agricole convenzionali hanno gravi difficoltà economiche, enormi rischi e un peso
ambientale notevole. Qui oltre che l’azzeramento dei rischi economici con la rinaturalizzazione del territorio si riesce ad avere un buon rapporto con l’ambiente e il peso ambientale di questo tipo di agricoltura è minimo, anche perchè il mercato è prettamente locale, saltando tutti gli intermediari si eliminano costi ambientale e di distribuzione.” L’instaurazione di un’economia locale, la valorizzazione delle aree periurbane, la proposta di un’educazione alimentare e agricola sono solo alcuni dei molti benefici di cui a livello sociale si può godere grazie alla presenza di una forma di C.S.A. nelle vicinanze. Ad oggi Arvaia è la più grande C.S.A. in Italia.
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un orto di nome “cuccagna”
comunitario della montagna Un fulcro di idee, conversazioni e progetti che vanno oltre lo scopo del produrre ortaggi.
Se non si ha un occhio vigile, attento non ci si fa proprio caso, il terreno è situato sotto la strada comunale di Lama di Monchio, tra il bar e la casa popolare e di fronte a un vecchio lavatoiofontana. Parcheggiamo la macchina proprio di fronte al lavatoio-fontana la cui ristrutturazione è stato il primo progetto comunitario che ha coinvolto gli abitanti dei paesini linitrofi: artigiani, contadini e volontari hanno contribiuto alla preservazione e la valorizzazione del lavatoio, lavorando per giorni, conoscendosi reciprocamente e attivando un processo di comunità spontaneo. Grazie alla riattivazione della fontana, si è pototo avere acqua per irrigare i campi sottostanti e da li è nato l’orto. L’orto ad oggi, si avvale della partecipazione in forme e intensità diverse di circa trenta persone. Scendiamo per un ripido prato siddiviso in aiuole variopinte, c’è chi sta falciando l’erba e chi sistema la baracca degli atrezzi. Non ci sono cancelli tra le aiuole e la baracca contiene gli atrezzi di tutti, 3 grandi contenitori posti a monte raccolgono l’acqua della fontana e la distribuiscono equamente nei canali i irrigazione che passano per tutte le aiuole. A parte questa evidenza mi chiedo come questo luogo può essere diverso da un qualsiasi orto privato, ma il cartello, fabbricato in modo casalingo con assi e
legname di recupero indica su una scritta poco leggibile “comunitario d..l. montagna”. Se guardo la definizione di orto comunitario più o meno trovero che è’ bene specificare che a differenza dell’orto sociale, dove degli appezzamenti di terra sono dati in gestione a individui generalmente da un’amministrazione pubblica, l’orto comunitario è in primo luogo un orto collettivo, non un insieme di orti privati e gestiti individualmente. Ma questo non risolve il mio dubbio, quindi mi rivolgo a Dagmar attivatrice dell’iniziativa e inizio chidendolole quello che forse è la base:
Cos’è un orto comunitario? “Non si tratta solo di autoprodursi il cibo, ma di farlo in modo partecipativo e di coinvolgere gli altri nello scambio della conoscenze. L’orto infatti diventa un’occasione di condivisione dei saperi nel tentativo di rispondere a problemi pratici di gestione e della coltivazione, fino alla condivisione di metodi antichi.” Quindi oltre che essere un mezzo per produrre buoni ortaggi, nel rispetto del territorio e per mezzo di metodi biologici l’orto, in questa formula, ha qualcosa in più, perche è un’attività
35 aperta alla comunità, alla quale molti possono partecipare sia saltuariamente che in forma regolare, e apportando contributi diversi, diventa un’occasione di incontro comunicativo con, e tra residenti e passanti. valorizzando le culture sul territorio e apportando un grosso contributo sociale e ambientale, e in generale una pratica del vivere bene.
tutti sulla panchina e guardando l’orizzonte oltre Montefiorino si valutano le possibilità.
“Non si tratta di avere qualcuno che innaffi per te quando non hai tempo, ma è uno scambio continuo e non solo sul livello pratico. ”
“ È un laboratorio di democrazia partecipativa. Una delle finalità è quello di imparare a prendere decisioni insieme e ad affrontare i problemi uno alla volta, quando sorgono, con spirito conviviale a comunitario. Il progetto è quindi un laboratorio e scuola di democrazia partecipativa, di sensibilità alle relazioni e alle differenze, senza per questo rinunciare alla volontà di ottenere benefici in termini di prodotti.”
Dopo il primo giro di introduzione ad alcune varietà di ortaggi ci avviciniamo ad una struttura in metallo che ricalca la forma di una casa. Era la vecchia tenda utilizzata per le feste campestri, il telo è inesistente è stato strappato dal vento e questo, in previsione di fine stagione, è il tema che bisogna affrontare. La conversazione parte da un punto impreciso, come se non fosse stata la prima volta ad essere affrontata; ogni uno ha una visione diversa e molte soluzioni. C’è chi prende misure, chi propone materiali di riutilizzo e chi assiste in silenzio; poi ci si siede
Sviluppare la sensibilità verso il territorio, quello che ci circonda, creare progettualità partecipata attivando gruppi informali; questo è quello che a primo impatto non si vede ma si percepisce, dedicandoci del tempo nel orto. Bisogna starci, un pomeriggio, una settimana, una stagione; sono processi lunghi, che per me che sono di passaggio posso solo immaginare. Torniamo verso casa dove alcuni risultati di questi processi li vedo in forma di documentazione; eventi, feste del raccolto, spettacoli teatrali, un lavoro di anni di presenza e costanza sul territorio.
38 Atraverso le attività culturali dell’associazione ARCIMontagna Viva del quale fa parte, l’orto contribuisce a promuovere sul territorio un dibattito sulla problematica di uno sviluppo alternativo in questa fase di crisi economica, sociale e ambientale. In particolare, la sola presenza di un seppur piccolo esperimento come questo mette in rilievo la possibilità che le terre agricole, i beni comuni come sole, vento, boschi ed acqua, siano usate a fini eco-solidali limitandone l’abbandono o l’impiego al sol fine di far foraggio per le mucche. 36
“Promuovere sul territorio una cultura della coltura. Così come i nostri padri e le nostre madri trovavano forme di espressione culturale nelle celebrazioni collettive dopo un raccolto o una trebbiatura, noi ci proponiamo oggi in forme nuove di promuovere attività culturali, ricreative, conviviali e celebrative da associare alle fasi di raccolto o di lavorazione collettiva.”
https://montagnaviva.wordpress.com
La cuccagna é uniniziativa dell’associazione ARCI-Montagna Viva, aperta a tutti. Si tratta di un orto comunitario, dove gli aderenti coltivano insieme verdure, massimizzando la qualità (cioè senza concimi o pesticidi chimici) e minimizzando il lavoro individuale, attraverso l’uso di tecnologie appropriate e di condivisione comunitaria del lavoro.
BENI COMUNI I beni comuni possono essere definiti come l’insieme dei principi, delle istituzioni, delle risorse, dei mezzi e delle pratiche che permettono a un gruppo di individui di costituire una comunità umana capace di assicurare il diritto ad una vita degna a tutti, tenendo conto delle generazioni future e avendo cura della sostenibilità globale del pianeta.
30 fuori dal mercato_ 40132 BORGO PANIGALE_Km 7
C.S.A. C.S.A. ovvero COMMUNITY SUPPORTED AGRICOLTURE: Si tratta di gestione collettiva di un bene comune a fini di sussistenza, che ha tra le sue finalità l’occupazione, la crescita della partecipazione sociale, il monitoraggio e la difesa del territorio, la diffusione dell’agricoltura biologica/biodinamica, il recupero delle colture tradizionali, il ridimensionamento del mercato e degli scambi monetari, l’utilizzo dell’autocertificazione partecipata sui prodotti e lo sviluppo di una rete di relazioni con enti, associazioni e soggetti in Italia e all’estero, animati dai medesimi obbiettivi.
23 comunitario della montagna 41046 MONCHIO_Km 87
ECONOMIE SOLIDALI L’economia di relazione a differenza all’economia di mercato consente di stabilire forme di solidarietà concreta tra consumatori e produttori, accomunati dal perseguimento di obiettivi comuni, quali la salute, l’ambiente e la dignità del lavoro. Relazioni tra produttori e consumatori favorisce il rafforzamento delle Reti di Economia Solidale al fine di stimolare la realizzazione di un vero e proprio Distretto di Economia Solidale.
28 fuori dal mercato 40132 BORGO PANIGALE_Km 7
sommario dei termini
FILIERA CORTA La filiera corta è una scelta strategica per favorire l’economia locale, preservare colture e culture locali, stimolando la produzione di alimenti di qualità. La vendita diretta valorizza il ruolo di presidio ambientale del territorio dei produttori locali, consente il contenimento dei prezzi dei prodotti alimentari, nonché il controllo e la conoscenza tra consumatori e produttori.
18 il controllo 40121 BOLGNA_Km 0
GARANZIA PARTECIPATA Il Sistema della Garanzia Partecipata è un metodo che permette il coinvolgimento di tutti, produttori e consumatori, nella selezione e controllo dei soci. Un percorso in qualche modo autogestito. Si tratta di visite ai produttori che fanno richiesta di entrare nel mercato di CA o di produttori che già ne fanno parte. La visita ai nuovi produttori che chiedono di far parte dell’associazione e la vendita nei mercati di CA, ed anche eventuali controlli ad aziende già presenti, sono svolti da un gruppo, aperto a tutti i soci, in cui è presente almeno un produttore della stesse tipologia di produzione dell’azienda da visitare. Durante la visita viene approfondita la conoscenza delle tecniche produttive, le competenze personali.
4 senza regolarità 38900 ROCCAMALATINA_Km 51
MERCATI AUTOGESTITI La sperimentazione di un modello di economia che impegna reciprocamente produttori, artigiani e consumatori per sovvertire le catene di distribuzione, ridurre la distanza alimentare, valorizzare le relazioni sociali, sensoriali e gustative. Persequire la sovranità alimentare nelle città significa difendere la piccola agricoltura contadina nelle campagne creando una relazione diretta tra chi produce e chi consuma. I mercati hanno un’assemblea di gestione che è composta dai produttori presenti al mercato e dai consumatori interessati e vigila in maniera diretta, o tramite un suo delegato, sull’applicazione del presente regolamento, anche con l’effettuazione di controlli presso le aziende. Le decisioni assembleari sono adottate con il metodo del consenso o, in mancanza di accordo, a maggioranza dei presenti.
15 il controllo 40121 BOLGNA_Km 0
grazie a:
Alberto Cecilia Roberto Stefano Fabio Anna stefania Michela Dagmar Massimo
questo numero parla di sovranitĂ alimentare e mercati autogestiti. Tutto quello che sta dietro alla produzione di cibo: salute, gusto, lavoro, autoproduzione e fare comune. Racconti, storie e un resoconto fotografico tra le colline resilienti di chi fa filiera corta e autoproduzione; applica pratiche sostenibili legate alla trasformazione dei cibi e garanzia partecipata.
marzo - giugno 2016 Emilia Romagna.
I materiali contenuti in questa pubblicazione sono il risultato di conversazioni, scambi di opinioni, pratiche e dibattiti rivolti alla creazione una visione alternativa. Tutto quello che leggerete è stato raccolto e vissuto durante un viaggio, grazie alle persone che hanno offerto ospitalità, cibo e cure. Questa pubblicazione espolora senza una regolarità temporale nuovi paesaggi sociali, andando di volta in volta in zone conosciute ma sopratutto remote dell’Italia a cercare quelle pratiche del buon fare che nascono dalle riflessioni di persone che vivono il cambiamento nella loro quotidianità. Ogni uscita è dedicata ad un tema, ogni tema è raccontato da un territorio.
si consiglia e si consente la riproduzione parziale o totale e sopratutto la sua diffusione, purché non a scopi commerciali.
nurture, numero 00,