Tennis World (Italia) - numero 17

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N° 17 - giugno 2014

TENNIS WORLD Si allena felice come un bambino, Roger.

MONFILS Si è sentito tradito da chi ama profondamente: il tennis.

MUGURUZA Prendere la giusta decisione sarà fondamentale per il mio futuro

SHARAPOVA L’ultimo Roland Garros è stato assai eloquente


Wimbledon di Roberto Marchesani

Ripercorriamo insieme le 5 finali maschili più belle

Wimbledon, il torneo più prestigioso al mondo e la storia del tennis ha vissuto molte delle pagine più belle della sua avventura sui prati londinesi. Ripercorriamo insieme le 5 finali maschili più belle che siano mai state giocate nella sua storia. Ashe-Connors 1975 La finale del 1975 rimarrà ineguagliabile per il suo significato e per la sorpresa, che probabilmente resta ancora oggi tra le più grandi della storia del torneo. Ashe e Connors, il buono e il cattivo. I due sono da tempo contro anche in tribunale,

causa contrasti nel governo del gioco, con Ashe principale referente dell’Atp e Connors che invece si distaccava sempre, da tutto e da tutti. La resa dei conti, la sfida più importante, la si gioca sul Centre Court, il 5 luglio di quell’anno. Pochi giocatori – a parte Tilden e forse Borg sul rosso – hanno raggiunto un aura di imbattibilità cosi lucente come quella di Jimmy Connors a Wimbledon 1975. Aveva dominato la stagione precedente ed era approdato in finale in modo favoloso, senza cedere un set. Nell’ultimo anno e mezzo in 133 partite ne aveva perse soltanto 5. Aveva distrutto Ashe nei 3 precedenti. Insomma era una finale scontata, che doveva incoronare il


E’ un capolavoro paragonabile al Rumble in the Jungle di pochi mesi prima, che riportò Muhammad Ali’ sul tetto mondiale dei massimi. giovane nuovo fenomeno del tennis mondiale (solo 23 anni) e respingere il vecchio campione, che avrebbe compiuto 32 anni a breve. Ma il match è un capolavoro di tattica e di intelligenza di Mr. Ashe. Incredibile ma vero, la finale dura appena 125 minuti. Incredibile, ma vero, la vince lui. O meglio, l’altro, quello buono. Ashe divenne il primo nero a vincere Wimbledon rifilando una lezione severissima al n°1 del mondo, 6-1 6-1 5-7 6-4. E’ un capolavoro paragonabile al Rumble in the Jungle di pochi mesi prima, che riportò Muhammad Ali’ sul tetto mondiale dei massimi. Ashe ebbe l’astuzia di neutralizzare l’imbattibile gioco fatto di fendenti da fondocampo di Connors e sfruttò la disabitudine dell’americano

di colpire palle senza peso, “soft”. Colpendo sul dritto di Connors e alternando palle morbide a improvvisi cambi di ritmo, Ashe quasi umiliò il suo avversario. Lo stupore del campo centrale dopo i primi due set è stato un qualcosa di memorabile. Quella partita segnò un punto di svolta per Connors, dividendo quello che era stato prima da quello che sarebbe stato dopo. Borg-McEnroe 1980 Due mondi contro, che più diversi uno dall’altro non si poteva. Il fuoco e il ghiaccio. Erano l’opposto in tutto e per tutto, McEnroe e Borg, ma quel pomeriggio – sempre 5 luglio, ma di 5 anni dopo, 1980 – giocarono una tra le più emozionanti partite di tennis mai disputate.


Uno monomane, l’altro bimane. Uno irascibile all’ennesima potenza, l’altro impassibile all’ennesima potenza. Il tie-break del 4° set è un pezzo di leggenda sportiva. 34 punti indimenticabili, ciliegina della torta di un match grandioso, teso e incerto fino all’ultimo punto. McEnroe – campione degli US Open, 21 anni – lo sfidante contro il Re, 4 volte campione a Wimbledon, imbattuto dal ’76 a Church Road e incontrastato n°1 del tennis mondiale. Uno mancino, l’altro destro. Uno monomane, l’altro bimane. Uno irascibile all’ennesima potenza, l’altro impassibile all’ennesima potenza. Uno poliedrico in tutte le sue espressioni, l’altro una sfinge senza emozioni. Uno geniale, attaccante, adattissimo a vincere sui prati (lo sfidante), l’altro robotico, difensore, un muro invalicabile vincente sui prati (il campione). Era uno spettacolo nello spettacolo. Chi c’era quel pomeriggio lo sa bene. McEnroe parte in modo divino, non facendola vedere all’avversario, 6-1 in 20 minuti, e per larghi tratti comanda il gioco anche nel secondo set, che forse avrebbe meritato di vincere, perdendolo sul filo 7-5. Borg chiude il terzo e si arriva nel 4° set dove la partita esplode. Quando Borg è al servizio sul 5-4 40-15 con due championship point nessuno può immaginare che la partita vivrà i 40 minuti più straordinari della storia di Wimbledon. McEnroe con 3 vincenti si riporta sotto e trascina tutto in un tie-break che non ha bisogno di aggettivi. The Genius annulla altri 5 match-point (tre in modo clamoroso, uno con un nastro


beffardo) e chiude 18-16 !!! Sembra il sorpasso per l’americano, ma Borg non cede di testa e firma l’apoteosi 8-6 al quinto con un leggendario passante incrociato di rovescio. Forse la fotografia di una carriera. E’ il 5° titolo consecutivo – l’ultimo di Borg. Edberg-Becker 1988 Forse questa, tra le cinque, è quella meno “meritevole”. O meglio ce ne sarebbero diverse che potrebbero rivendicare di esserle migliore, nel complesso, considerando peso storico, pathos, equilibrio ecc..ecc.. Penso al FedererNadal 2007 (una delle migliori sotto il punto di vista squisitamente tecnico), o al Connors-

McEnroe 1982 piuttosto che a diverse finali di Sampras, ma premiamo la prima delle tre finali Edberg-Becker esclusivamente o quasi alla qualità della sfida. Se la terza finale tra i due – quella del 1990 – fini’ al quinto set e fu la vera resa dei conti, la prima sfida rimane la più bella, tra l’altro conclusa in due giorni causa pioggia. Edberg vinse il primo dei suoi 2 Wimbledon battendo Becker 4-6 7-6 6-4 6-2 in 2h50m di gioco. Due angeli biondi – uno svedese, l’altro tedesco – che incarnarono in maniera perfetta l’originale spirito del torneo e della sua superficie. Una spettacolare dimostrazione di attacco, imprevedibilità, istinto e cuore. Un match che si può dire ormai di altri tempi, visto che gli attrezzi di oggi hanno rivoluzionato il modo di giocare, ma riguardarli, anche a oltre 20 anni di distanza è sempre un piacere. “I match con Cash e Lendl mi hanno stancato mentalmente” disse Boris “ero un po’ lento, lui ha giocato meglio. La delusione è stato più forte l’anno scorso, non sono deluso”. Becker era il favorito, ma a posteriori Edberg era sul suo stesso livello. Lo svedese vinse Wimbledon dopo averlo vinto da junior nel 1983. Rivincerà anche due anni dopo contro lo stesso avversario.


Ivanisevic-Rafter 2001 Anche questa si fa fatica a non descriverla come la finale più emozionante di sempre a Wimbledon. Un epilogo mai più ripetuto, nell’atmosfera sugli spalti (sembrava uno stadio di calcio, colorato con bandiere croate e australiane), finita anche questa di lunedi, ma soprattutto nelle emozioni dell’ultimo set e nella storia del protagonista. Ivanisevic, che inseguiva il torneo da una vita, che aveva perso 3 finali – due da Sampras e una da Agassi – ormai a quasi 30 anni forse non ci credeva nemmeno più. Era uscito dai primi 100 giocatori del mondo, entrato nel torneo solo grazie ad una wild-card, trionfando dopo una sfida al cardiopalmo con un altro meraviglioso interprete di quella superficie, Patrick Rafter. 6-3 3-6 6-3 2-6 9-7 il risultato finale. Una vittoria del destino, che ha premiato Ivanisevic e tolto un titolo che avrebbe strameritato anche Rafter, e che purtroppo non vincerà mai nella sua carriera. L’australiano perse 2 finali (dopo

quella del 2000, con Sampras, anche li “sfiorando” il successo nel secondo set…) ma quella di Ivanisevic è davvero una delle più belle favole non solo nel tennis, ma di tutta la storia dello sport. Nadal-Federer 2008 Partita che non è stata il massimo dal punto di vista qualitativo (primi due set abbastanza mediocri, con un buonissimo Nadal ma un Federer piuttosto falloso, qualità a sprazzi anche nei restanti 3 set) che però entra di diritto tra le finali più belle della storia di Wimbledon per pathos, equilibrio, significato storico, evoluzione e anche per qualità che, seppur non

al massimo, c’è stata. Per tutte queste ragioni, solo la finale del 1980 gli è superiore. Match epico concluso oltre le 21 ora locale, nella penombra, dopo 3 interruzioni per pioggia, una sul 2-2 del quinto set e dopo una rimonta di Federer che, se completata, avrebbe avuto del leggendario. Partito in sordina, ma con un Nadal carico a mille, Federer perse i primi due set 6-4 6-4 – nel secondo dopo esser stato 4-1, cedendo 5 game consecutivi – probabilmente tramortito ancor più che nelle gambe, nella testa vista la scoppola di Parigi di quattro settimane prima. Salvatosi sul 3-3 0-40 del terzo set, la pioggia provvidenziale gli da una mano. Al rientro, Roger è trasformato. Vince il terzo set al tie-break, e con le unghie e con i denti si aggrappa disperatamente a Nadal nel quarto set,


Lo spagnolo vince 6-4 6-4 6-7 6-7 9-7 e porta a casa il suo primo Wimbledon, interrompendo il regno di Re Roger. sempre rincorrendo nel punteggio. Si salva nel decimo e nel dodicesimo gioco, sempre in bilico sul filo, poi vince un altro tie-break, stavolta in circostanze nettamente più drammatiche. Sotto 2-5 – e servizio Nadal – rimonta grazie anche ad un insolito doppio fallo dello spagnolo. Dopo aver sprecato un set-point, Roger annulla due match-point, il secondo in maniera epica con un favoloso passante di rovescio ( il colpo non certo più sicuro del suo arsenale…) su un drittone d’attacco molto incisivo di Nadal. Al momento dell’attacco, credo che molti, come me, pensassero che la partita fosse finita. Nel quinto set è Federer ad avere le prime chance di vincere il match, ma Nadal gioca da campione sia la palla-break, letale se trasformata, sul 3-4

30-40 – che avrebbe mandato Federer a servire per il suo 6° titolo consecutivo, sia sul 4-5 40-40 con Roger a due punti dal successo. A quel punto, il match cambia ed è Federer a salvarsi stoicamente, salvando a ripetizione palle-break prima di cedere però sul 7-7. Con Nadal al servizio per chiudere, è ormai inutile un misterioso per quanto straordinario tracciante in risposta di rovescio ad annullare un altro matchpoint. Lo spagnolo vince 6-4 6-4 6-7 6-7 9-7 e porta a casa il suo primo Wimbledon, interrompendo il regno di Re Roger.



Rosol o Darcis, chi ha compiuto l'impresa? di Marco Di Nardo Nelle due passate stagioni Rafa Nadal era stato eliminato prematuramente ai Championships, prima sconfitto al secondo turno da Rosol (2012), poi al primo round da Darcis (2013). Ma chi ha compiuto l'impresa più grande?

Quando ti chiami Rafael Nadal, una qualsiasi sconfitta, anche in un torneo di relativa importanza, diventa un vero e proprio caso di croaca tennistica. Se poi la sconfitta arriva nel torneo di tennis più importante al mondo, perlopiù nei primissimi turni, allora se ne parla per mesi. E' quello che è successo nelle due precedenti stagioni, quando lo spagnolo è stato sconfitto a Wimbledon al secondo turno nel 2012 contro Lukas Rosol, e addirittura all'esordio nel 2013 contro Steve Darcis. Due partite che hanno fatto storia, nonostante i due autori delle imprese siano poi stati eliminati nella prima settimana dei Championships. Nel 2012 Rafa Nadal stava giocando un tennis stratosferico. Persa a gennaio la finale dell'Australian Open dopo una lotta di quasi sei ore contro Novak Djokovic, terminata per 7-5 al quinto set in favore del serbo, il maiorchino aveva letteralmente dominato la stagione sulla terra rossa, vincendo il Masters 1000 di

Monte-Carlo, l'Atp 500 di Barcellona, il Masters 1000 di Roma e il Roland Garros, conquistando 52 dei 53 set giocati in questi quattro tornei, con l'eccezione del terzo set della finale dell'Open di Francia contro il solito Djokovic. Sull'erba era invece stato eliminato nei quarti di finale del torneo di Halle contro Philipp Kohlschreiber, ma allo spagnolo era già successo in passato di perdere nei tornei di preparazione ai Championships per poi dare il meglio nello Slam londinese. Quindi dopo l'affermazione in tre set su Thomaz Bellucci nel primo turno, Nadal sembrava già avviato verso la settima finale consecutiva a Wimbledon (vincitore nel 2008 e 2010, finalista nel 2006, 2007 e 2011, forfait per infortunio nel 2009). Evidentemente non aveva fatto i conti con il ceco Lukas Rosol, numero 100 al mondo ma capace di giocare un tennis molto efficace sull'erba. In realtà in match sembrava essersi messo in discesa per lo spagnolo, dopo il primo parziale vinto per 11-9 al tie-break annullando alcuni set-point. Invece dalla seconda frazione era proprio il ceco a prendere in mano la situazione, grazie ad un servizio molto continuo e un dritto micidiale.


Il suo avversario al primo turno è Steve Darcis, numero 135 Atp e una sola partita vinta in carriera nel terzo Slam del calendario tennistico Doppo 6-4 per Rosol che lo portava avanti per due set a uno. Nel quarto set era nuovamente Nadal ad avere la meglio, con un 6-2 che faceva pensare ad una facile conclusione in suo favore nel quinto set. Inaspettato invece l'epilogo, con il ceco che trovava ancora il break e chiudeva al decimo gioco con tre aces e un dritto vincente. Un'impresa davvero incredibile. Nel 2013 la situazione era diversa. Dopo la sconfitta con Rosol a Wimbledon, Nadal non aveva più giocato alcun incontro nel 2012 per i problemi alle ginocchia ed era rientrato solo a febbraio dell'anno successivo dopo aver disertato l'Australian Open. Eppure era stato capace di vincere ben sette tornei dal rientro fino ai Championships (San Paolo, Acapulco, Indian

Wells, Barcellona, Madrid, Roma e Roland Garros), perdendo appena due partite, nelle finali di Vina del Mar e Monte-Carlo. In pratica lo spagnolo non aveva mai perso prima della finale, e dopo la sconfitta del 2012 nessuno si sarebbe aspettato una nuova sconfitta prematura a Wimbledon. Il suo avversario al primo turno è Steve Darcis, numero 135 Atp e una sola partita vinta in carriera nel terzo Slam del calendario tennistico, ottenuta nel 2009. Eppure il belga è nella giornata più importante della sua vita sportiva, gioca un tennis d'attacco senza concedere la possibilità di scambiare da fondo campo al rivale, e dopo aver vinto i primi due set al tie-break, non trema nel terzo e chiude per 6-4 dopo meno di tre ore di gioco.


Per Nadal è la prima sconfitta in carriera nel primo turno di un Major. Per Nadal è la prima sconfitta in carriera nel primo turno di un Major. Due sconfitte storiche per Nadal, che finalmente in questo 2014 è riuscito a tornare grande anche sull'erba dei Championships. Ma quale delle due imprese può essere considerata la più grande? La vittoria di Rosol nel 2012 è certamente stata più inaspettata da un certo punto di vista, perché Rafa aveva sempre conquistato la finale nelle ultime cinque edizioni a cui aveva preso parte. Non che la sconfitta con Darcis fosse stata pronosticata da molti, però nel 2013 Nadal rientrava dopo un lungo periodo di stop, e ci si chiedeva come sarebbe stato il suo ritorno sull'erba. Da un punto di vista statistico è stata però la vittoria del belga la più sorprendente.

Nadal veniva infatti da 22 partite vinte prima di quell'incontro, e soprattutto aveva sempre conquistato almeno la finale nei nove tornei disputati in stagione. Dato ancora più incredibile, lo spagnolo non aveva mai perso al primo turno di uno Slam con un record di 34 secondi turni nei Major su 34 disputati. Difficile quindi dire quale sia stata la vera impresa tra le due, ognuno può scegliere liberamente quella che preferisce. Una cosa è certa, entrambi i match resteranno nella storia di Wimbledon come tra le più grandi sorprese del più antico torneo di tennis al mondo.



Federer e l'arte del dramma di Roassana Bianco

Si allena felice come un bambino, Roger. Richiamando i vecchi tempi, si raccoglie i capelli in un codino.

Si allena felice come un bambino, Roger. Richiamando i vecchi tempi, si raccoglie i capelli in un codino e, seguendo Edberg, ogni tanto ansima. Per divertirsi, più che per fatica. Lo stima tanto, il suo idolo, lo venera quasi; poi appena Stefan, serio e rilassato, si muove per andare a cercare una pallina sperduta dietro qualche telone parigino, lo imita. Lo svedese aveva appena cerchiato una zona di campo dove muoversi con quei precisi passi per trovarsi a rete perfettamente dopo una risposta in top; Federer discute, dice che perde il passo per la coordinazione in questo modo: Edberg annuisce e cerca un altra maniera.

Si confrontano, studiano. Per qualcos’altro oltre Parigi, sebbene non così distante. L’attenzione, la motivazione, la concentrazione stanno altrove, con tutto il rispetto per la terra, nella quale si allenano. Il giorno dopo, Federer perde in cinque set da Gulbis. Agli ottavi di finale; dopo non aver chiuso uno smash che lo avrebbe portato avanti di due set e quasi certamente alla vittoria. I due eventi, i due momenti non sono necessariamente consequenziali: sono certamente però collegati fra di loro. Si sprecano già molte parole su un drammatico e struggente tramonto; Federer nel 2014 fin qui ha raccolto


ottimi risultati e questa di Parigi è la sconfitta peggiore. Ha avuto costanza, occasioni di brillantezza, fisicamente è in forma e soprattutto chiedere ad un numero quattro del mondo (a 33 anni) di ritirarsi è quantomeno azzardato. Il buon Roger però ha giocato male a Bois de Boulogne: il rovescio soprattutto è parso falloso e mai veramente efficace; già contro Tursunov aveva patito da quel punto di vista, ma più di tutto ha patito la mancanza di cattiveria. Con il russo al terzo turno ha convertito quattro palle break su ventidue (aveva fatto peggio solo a Parigi in finale nel 2007 contro Nadal, 2/21); contro il lettone è andata anche peggio. Due match di inerzia, senza cinismo, senza

concentrazione continua. Senza volere troppo. Già, perché come Paul Annacone -che Federer lo conosce bene- ha affermato non molto tempo fa: «C’è una linea sottile tra il volere qualcosa e il volerla troppo per poi ottenerla». E’ come se Roger, non ancora perfettamente a suo agio con il suo tennis, non abbia sentito quella freschezza mentale e quella voglia feroce per vincerlo, quel match, per andare avanti al Roland Garros. Quando l’ha sentita era troppo tardi, svegliatosi con le sberle in faccia a suon di rovesci incrociati di Gulbis. L’ha sentita dopo aver perso, tra le facce interrogative dei giornalisti in conferenza che volevano sapere, sapere, scorgere, domandare, indovinare, creare drammi quasi quanto lui. Lui che in campo crea arte e paranoia, due facce della stessa medaglia: l’estro e la complicazione, la creatività e la confusione. Difficile trovare un equilibrio: Federer lo ha fatto grazie alla metodicità e ad un’ambizione e un professionismo invidiabili. Il suo miracolo è soprattutto questo, prima di tutti i risultati conseguenti. Quando racconta di aver immaginato una coppa che gli viene strappata dalle mani da un Murray che in corsa raccoglie una palla corta non troppo corta su un match point a Melbourne, ti chiedi come sia possibile un successo del genere, malgrado il fenomeno.


Se la voglia e la concentrazione non sono feroci, Roger si perde tra le paranoie e la confusione del suo immenso repertorio, tra sua fantasia così umana, troppo umana. Considerato quanto accaduto negli ultimi tempi nella sua vita, felice ma affollata e piena di emozioni, non c’è da stupirsi troppo dell’ultimo mese dello svizzero, voglioso ma appannato e talvolta addirittura spento. Se la voglia e la concentrazione non sono feroci, Roger si perde tra le paranoie e la confusione del suo immenso repertorio, tra sua fantasia così umana, troppo umana. Drammaticamente comune. A noi che i drammi piacciono tanto, come Federer aspettiamo Wimbledon per una risposta che ci piace pensare come al giudizio universale definitivo. Troppo o non abbastanza? Federer ce lo dirà presto.


Intervista alla Muguruza di Francesca Cicchitti

"Garbine Muguruza Blanco, non è un uno sciogli lingua e nemmeno una formula magica Garbine Muguruza Blanco Nata a Caracas l'8 ottobre 1993 E' una tennista spagnola. Inizia a giocare all'età di 5 anni. Dopo una breve carriera nel circuito ITF dove riesce a conquistare sei titoli in singolare e uno nel doppio fa il suo esordio nel circuito WTA. Altezza 182 cm Peso 73 kg

"Garbine Muguruza Blanco, non è un uno sciogli lingua e nemmeno una formula magica. Si tratta di un nome e cognome, di origine ispanica che, sembra, dovremo imparare a pronunciare con disinvoltura”. Questo è ciò che si leggeva in un articolo di due anni fa che parlava del grande successo ottenuto da Garbine (con la tilde, e dunque Garbigne per quanto riguarda la pronuncia) al suo esordio in un torneo Premier, quello di Miami. Già due anni fa, dunque, non esistevano grandi dubbi sul fatto che la ragazza avesse un grande talento, forse è per questo che quest’anno, al Roland Garros, non ci ha affatto sorpresi, seppure l’exploit sia stato davvero grande: ha eliminato al secondo turno la numero uno del mondo Serena Williams, ed è giunta nei quarti di finale contro la vincitrice del torneo Maria Sharapova, contro la quale ha vinto il primo set (6-1), ha giocato con caparbietà ma perdendo il secondo (5-7), infine ha ceduto al terzo (1-6)

alla grande esperienza della tennista russa. La Muguruza nel 2012 a Miami, arrivò in ottavi di finale battendo tutte giocatrici con una classifica migliore della sua, allora era n. 208 del ranking, oggi invece, dopo il Roland Garros è n. 27, un bel salto in avanti che di certo non sarà l’ultimo. Hai fatto un grande torneo. Che emoziona è stata battere Serena Williams? «Un’emozione che mi ha fatto tremare le gambe, letteralmente. Mi sembrava una cosa così impossibile e lontana da realizzare e invece…


In più è stato bello sentirmi dire da Serena a fine partita: “Continua a giocare così, se continui così, vinci il torneo”. Le ho risposto che ci avrei provato, che avrei fatto del mio meglio». Quand’è che hai realizzato che avresti potuto vincere? «Alla fine, negli ultimi games della partita, avevo vinto il primo e se non sbaglio ero 4-1. Ero nervosa, ma ho realizzato che solo se avessi mantenuto la calma avrei potuto vincere una partita così importante. Anche lei era molto nervosa».

È vero che Serena Williams è sempre stata la tua giocatrice preferita, sin da quando eri bambina? Com’è stato preparasi a giocare contro la tua giocatrice-idolo? «È stato difficilissimo», ride, «perché sin da piccola quando accendevo la televisione la vedevo giocare. L’ammiravo, ho più di 100 video di Serena, l’ho studiata: come fa il servizio, come gioca il rovescio… Ma è stato difficile restare calma, ho fatto finta che non fosse lei quella che avevo di fronte, ma un’altra giocatrice. Forse grazie a questo, sono riuscita vincere e a giocare così bene». Ci sono altre giocatrici alle quali ti sei ispirata oltre a Serena? «Sì, c’è Martina Hingis, ho sempre desiderato riuscire ad arrivare ai suoi livelli. Poi mi piaceva molto il gioco di Pete Sampras, erano dei grandi e da bambina guardavo sempre le loro partite». Contro Maria Sharapova, ci è sembrato che ce la potessi fare, c’eri vicina. In alcuni momenti sembravi controllare il match. Poi, che cosa è accaduto? «È vero, c’ero così vicina… Ora è duro ammetterlo, ma ho avuto davvero l’opportunità di vincere la partita. Quello che penso, è che ho


bisogno di maggiore esperienza per poter affrontare e vincere di seguito partite del genere, contro avversarie così forti. Penso di aver giocato molto bene, in tutti e tre i set, ma nei momenti importanti è stata la concentrazione che mi è mancata, la testa non è stata all’altezza della situazione. È duro ammetterlo. Dovrò migliorare in questo». Sembra quasi che per te sia stato più difficile giocare contro la Sharapova che contro la Williams. Prima di giocare con Serena hai spiegato che non avevi nulla da perdere, che era la n.1 e dunque il match aveva una favorita certa. Ritieni che averla battuta ti abbia alla fine caricato di troppe responsabilità? «No, guardate, penso davvero di aver perso per la disabitudine a giocare di seguito tanti match così importanti. Maria gioca con grande intensità ma non mi ha dato fastidio il suo gioco, la conosco e so bene com’è il suo stile.

Eppoi, anche con lei non avevo nulla da perdere... È una tennista di così alto livello, e non è un caso che abbia rivinto il Roland Garros. Ho fatto tutto quello che potevo fare, ho cercato di concentrarmi sul mio gioco, ma non sono riuscita a crescere nei momenti importanti del match». Masha ti ha gratificato di molte belle parole. Ha detto, per esempio, di essere convinta che questo French Open rappresenterà per te una svolta nella carriera. E tu, che conclusioni ne hai tratto? «Adesso sono più fiduciosa, poco ma sicuro.

Credo di più in me stessa. Tutte le partite che ho giocato, non solo quelle con la Williams e la Sharapova, sono state delle esperienze che mi hanno fatto crescere. Non so se questa maggiore sicrezza rappresenterà una svolta nella mia carriera. Lo vedremo a breve. Al momento sono contenta di aver raggiunto un buon livello di gioco. Poi, è vero... Migliorare è sempre possibile (ride)». Come ti sei trovata sulla terra battuta? Sappiamo che tu preferisci le superfici veloci, vero? «Sì è vero, però mi piace giocare anche sulla


terra, mi sono allenata per tutta la vita in Spagna, e lì. lo sapete, non ci sono molte alternative alla terra rossa. Ma la cosa importante era che io mi senta concentrata sulle partite che devo giocare. La superficie conta e non conta, e se poi ti manca la concentrazione, allora conta ancora meno». È vero che è l’erba la superficie che preferisci più di tutte? Wimbledon è alle porte, per te è una opportunità di ottenere un altro risultato importante, no? «Non vedo l’ora. Anche perché i tornei sull’erba ci sono solo per tre settimane l’anno, davvero

troppo poco. L’idea di tornare per qualche settimana a “pascolare” sui prati inglesi mi fa sentire bene. Un risultato pari a quello del Roland Garros sarebbe un bel modo per chiudere la stagione europea. Ci spero tanto». Sappiamo che sei per metà spagnola e per metà venezuelana ma ancora devi decidere per quale delle due nazioni vorrai giocare in futuro. Da cosa dipenderà la tua scelta? «Sono nata in Venezuela, a Caracas, mia madre è venezuelana mentre mio padre è spagnolo. Poi, lui si è trasferito in Venezuela per lavoro, mentre mia madre è venuta in Spagna. Ho vissuto in Venezuela fino a sei anni e lì ho iniziato a giocare a tennis, insieme ai miei fratelli, poi ci siamo trasferiti a Barcellona. Per quanto riguarda il mio futuro, è vero, ci sto ancora pensando, non è una decisione facile e i soldi non c’entrano. Il punto è che ho una grande famiglia, una parte in sud America e un’altra in Spagna, e devo decidere in quale paese voglio trascorrere la maggior parte del mio tempo. È un po’ come chiedere a un bimbo se vuole più bene a mamma o a papà. E poi, questo è un momento importante della mia carriera, sto imparando molte cose, sto migliorando».


Il personaggio Gulbis di Diego Barbiani

«Da piccolo mi chiedevo il perché di fatica e allenamenti..."

«Da piccolo mi chiedevo il perché di fatica e allenamenti. Ora ho capito perché, ora sono io a volerlo, sono io che voglio vincere». Habemus Ernests Gulbis, finalmente. Dopo sei anni e mille peripezie il lettone sembra aver trovato la sua strada e pare una persona matura, che ragiona come un adulto. Bene o male, be’, giudicate voi... Il cambiamento è evidente «Me la sono fatta addosso», disse quattro anni fa Roma quando battè Roger Federer. Al Roland Garros è accaduto di nuovo ma il suo cambiamento è stato evidente e il suo percorso è stato una delle note più liete del torneo parigino a cui aveva fatto da overture il successo nel torneo di Nizza. Di sicuro, il tennis ha bisogno di un personaggio come lui: per anni così “out” dall'immagine del figlio preferito di ogni madre che è impossibile non apprezzarlo, quantomeno conoscere un'idea diversa rispetto all'omologazione che oltre alle

superfici si sta riscontrando anche nelle dichiarazioni dei giocatori, da lui stesso definiti «noiosi». Ascolta le opere di Giuseppe Verdi, si immerge nei libri di Dostoevsky e se gli chiedete con chi vorrebbe passare quindici minuti risponde: «Con Albert Einstein, anche se non credo che uno così avrebbe avuto voglia di perder tempo con uno stupido atleta». Vorrebbe che le proprie sorelle minori non continuassero con il tennis perché «per le donne è una scelta difficile, devono godersi di più la vita e pensare poi a metter su famiglia, ma come possono fare se hanno il tennis in testa?». Secca la risposta di Maria Sharapova: «È un comico. Un grande comico... Quando sono di cattivo umore leggo le sue dichiarazioni per farmi due risate». Ma è stato solo l’inizio... Perché Ernesto non ha mollato la presa, e quando gli hanno chiesto un commento alla scelta di Murray, di avere come coach Amelie Mauresmo, ha subito tirato in ballo la bella siberiana. «Allora anch’io posso scegliere, per esempio fra la Ivanovic e la Sharapova». Stavolta gli ha risposto Ana, sarcastica... «Potrei negoziare? Mi sembra una così bella sfida, con Maria. Non penso ad altro».


Una storia diversa Lui fa spallucce, con il sorriso spavaldo di chi si fa scivolare tutto di dosso. Dopo sei anni dalla sua prima affermazione importante (sempre al Roland Garros, nel 2008 i quarti e quest anno la semifinale) ha riacceso la voglia di chi non vede l'ora di trovare un volto nuovo, una storia diversa da raccontare. In questo lungo periodo ha fatto a cazzotti con il tennis, preferendogli mille e diversi divertimenti, che gli sono costati pure una notte in carcere. A Stoccolma nel 2009 fu beccato con una prostituta, lui commentò in seguito che «quando esco con una ragazza non le chiedo che lavoro fa, e se lei lo chiede a me io le dico che faccio il musicista o attività simili».

Non ha smesso. Appena lasciato il Roland Garros, ha raccontato, se n’è andato in Lettonia e ha perso tutta la vincita parigina al casinò, insieme con il cugino. Come dire che, se è cambiato, e pare proprio lo sia, per sua fortuna, Ernest ha mutato atteggiamento solo in campo. E negli allenamenti, nei quali quelli del suo staff assicurano sia diventato addirittura uno “sgobbone”. È cresciuto in Baviera nella scuola tennis di Nikki Pilic, che allora si divideva fra gli impegni della sua Academy e la Davis croata, che guidava da capitano. Fu la madre, attrice, a contattare il vecchio maestro dopo aver trovato il suo numero sull’elenco telefonico. Anzi, lo convocò a Riga, potendoselo permettere. Nikki lo prese con sé, ma il suo giudizio non fu lusinghiero... «È troppo ricco per diventare forte a tennis». Il figlio del gasdotto Il padre di Ernests, Airnas, spesso presente nel suo box, è proprietario di uno dei più importanti gasdotti della Lettonia e assieme alla madre non ha mai fatto mancare qualcosa al figlio. Eppure Gulbis era bravo nella scuola come negli sport. Il suo coach attuale, Gunther Bresnik, è il vero artefice del mutamento sportivo. «È il miglior allievo che abbia avuto. Sa far tutto, fisicamente adesso è preparatissimo, ma non è stato difficile


«È vero, ho passato degli anni nei quali non volevo giocare, scappavo in Lettonia e passavo anche dieci giorni senza far nulla». rimetterlo in sesto, perché fin da piccolo ha sempre avuto ritmi di vita elevati: praticava più di uno sport e gli effetti ora sono evidenti. È armonioso nei movimenti, nella corsa». A questo si aggiunge il suo nuovo status. Questo totalmente a suo carico, e a suo merito. «È vero, ho passato degli anni nei quali non volevo giocare, scappavo in Lettonia e passavo anche dieci giorni senza far nulla. Quando però ho conosciuto Gunther ho capito che sarebbe andata diversamente. Lui non mi ha detto di non far tardi la sera o di non divertirmi, mi ha solo imposto di essere pronto alle dieci del mattino seguente per gli allenamenti, lasciando che fossi io a gestirmi». I risultati? «Da quando mi alleno a Vienna solo una volta non sono

riuscito a presentarmi in orario, chiedetelo a Gun se non mi credete». Djokovic, con cui Gulbis si è trovato a condividere del tempo quando anche lui si allenava da Pilic, ha detto: «È uno a cui piace scherzare. Giocavamo spesso a carte, ci piaceva ridere insieme, ancora adesso ci ritroviamo volentieri. È sempre stato un amante della vita... A tutto tondo». Musica e birra Niente di più esatto per uno che rivela: «Mi piace l’Opera, adoro la musica di Philip Glass, Pierre Boulez e Irmin Schimdt. E mi piace la birra. Se esco la sera e inizio a bere, lo faccio per tutta la notte. Mi piace l’Olanda, lì la marijuana è legale. Noi tennisti non possiamo fumarla, ma l’idea mi piace».


«Contano soltanto il duro lavoro e la dedizione»

«Capitavano le volte», dice ancora Djokovic, «in cui voleva allenarsi, altre in cui era Pilic a doverlo costringere, questo perché andava d'accordo solo con le persone che gli piacevano. Eppure già a 14-15 anni si vedeva il suo potenziale: giocava in maniera sciolta, senza preoccuparsi, e distruggeva gli altri ragazzi». Ora ha modificato il suo modo di essere giocatore, il suo rapporto con il tennis. Forse non raccoglierà quanto si prevedeva, ma «oggi entro in campo con la voglia di vincere, prima l'adrenalina giusta mi saliva solo se giocavo con i più forti. È una questione di volontà: non te la dà nessuno, devi dartela da solo». Top Ten, la prima volta Si è fatto attendere. L'entrata in top-10 (esattamente alla decima posizione) non deve essere che il primo gradino di una nuova scalata. A febbraio, dopo tanti risultati negativi, la madre gli disse di lasciar perdere, lui le rispose in modo da costringerla a stupirsi... «Contano soltanto il duro lavoro e la dedizione». Adesso ha l'occasione per riprendersi parte di quello che un talento puro e grezzo come il suo poteva già avergli regalato. Ma il tempo, per lui che è classe 1988, è gentile e una porta è rimasta aperta.


Intervista alla Mauresmo di Daniele Azzolini C’è un titolo non compreso fra quelli del bouquet tennistico femminile, che la Francia, nei giorni finali della disfida ha festeggiato come fosse un trofeo

C’è un titolo non compreso fra quelli del bouquet tennistico femminile, che la Francia, nei giorni finali della disfida ha festeggiato come fosse un trofeo. È il titolo per il coach più sorprendente e inatteso. Lo ha vinto Amelie Mauresmo, notre douce coquelouche, la chiamavano i francesi, quando giocava e vinceva, la nostra dolce cocca. Andy Murray l’ha chiamata e sarà lei ad allenarlo nei prossimi mesi. Li abbiamo già visti assieme al Queen’s (non andato benissimo), li rivedremo a Wimbledon. Amelie, hai conquistato il tuo unico Slam a Wimbledon, e senza giocare a rete.

Forse è questo ad aver incoraggiato Murray? «La sua scelta ha sorpreso anche me. Ne abbiamo parlato a lungo, nelle scorse settimane, dopo la sua prima telefonata. E poco a poco la decisione ha preso forma. Non sta a me svelarvi tutti i dettagli. Se vuole, potrà farlo Andy. Ma è un compito che ritengo alla mia portata. L’ho visto spesso giocare, e ho alcune idee da portare avanti». Prima di Andy, avevi fatto apprendistato con Michael Llodra, portandolo a vincere due tornei, gli unici.


«Andy mi ha proposto una sfida, e io non mi metto certo da parte quando le scelte sono difficili» Un buon risultato ma l’incarico non è durato a lungo. Quali sono oggi le tue ansie, rispetto all’incarico cui sei chiamata? «Andy mi ha proposto una sfida, e io non mi metto certo da parte quando le scelte sono difficili. Credo che il suo addio a Lendl sia dovuto al fatto che Ivan non poteva assicurargli una presenza costante. Su questo punto io gli ho dato piena assicurazione. Il resto, si vedrà. Affronteremo assieme la stagione sull’erba e lì capiremo se ci troviamo bene oppure no». Sei la prima coach scelta da un Top Ten. «Noi ragazze siamo preparate. Io, come altre. Non sono la sola a lavorare come coach, lo

stesso Andy ha avuto a lungo al fianco la madre, Judy, che è un ottimo tecnico e ora è anche capitana di Fed Cup. Poi c'è una grande campionessa come Martina Hingis. Non sono la prima, insomma, ma spero ugualmente di fare da apripista verso mete sempre più importanti. È indispensabile che anche le donne siano riconosciute e apprezzate in questo tipo di lavori, che in passato si sono caratterizzati per una forte presenza maschile. Noi abbiamo un modo diverso di approcciarci, questo è vero, ma credo sia interessante anche questo aspetto, abbiamo qualcosa di diverso e di più da offrire sul mercato».


Quel strano tennista di Monfils di Gianluca Maestri

Dramma, esplosività, reazione, esaltazione, incapacità a reggere la tensione nel momento chiave

«Come ha fatto a rimontare da due set sotto a due pari?». «Perché è Monfils» «Come ha fatto a perdere a zero il quinto set e la partita?» «Perché è Monfils» Ha ragione Patrice Dominguez. Nella sconfitta contro Andy Murray nei quarti di finale del Roland Garros c’è l’intera vita tennistica di Gael Sebastien Monfils, parigino di nascita e di cuore. Dramma, esplosività, reazione, esaltazione, incapacità a reggere la tensione nel momento chiave. Nella sera che si avviava a diventare notte tutta la città si era stretta attorno al suo campione. Le urla che arrivavano dagli spalti erano il motore di un aereo che provava a spingere al massimo, a far volare sino alla vittoria il proprio eroe.

La realtà è stata diversa. E alla fine il torneo ha lasciato Gael colmo di tristezza. Con tanti rimpianti e la consapevolezza di avere fallito un altro appuntamento con la svolta della carriera. Ancora una volta il giovanotto si è sentito tradito da chi ama profondamente: il tennis. Lui in fondo è uno che adora tutto lo sport. Da bambino si divertiva su un campo da basket: due contro due, tre contro tre. Tutto il giorno a inseguire una palla e a centrare un canestro. Ha addirittura giocato in una Lega minore a Ginevra. Ogni giovedì veniva schierato da pivot. Ha praticato atletica leggera, dicono fosse un talento prima sui 100 metri, poi sui 400 (parola di Marc Raquil, campione del mondo 2003 con la 4x400). Ha fatto judo e ciclismo. Fisico da predestinato (1.98 per 80 chili), muscolatura elastica, struttura resistente, buona reattività, ha scelto il tennis. Ottimo colpitore da fondo, prestanza atletica, buona copertura del campo, specialista nei colpi tagliati, servizio potente. Estroverso sino ai limiti estremi, è stato spesso criticato per i suoi atteggiamenti extra sport.


«Non ha una profonda fiducia in se stesso, per questo scappa dalla realtà imbarcandosi in tutte le follie che riesce a mettere assieme». «Non ha una profonda fiducia in se stesso, per questo scappa dalla realtà imbarcandosi in tutte le follie che riesce a mettere assieme». È approdato al Roland Garros avendo nelle gambe pochi tornei, soprattutto sulla terra rossa: Bucarest e Montecarlo. Stop, tutto qui per la miseria di cinque partite. Un infortunio alla caviglia destra l’ha tenuto fermo su questa superficie nel cuore della stagione. Altre volte in passato aveva avuto la carriera tormentata da problemi a ginocchio, schiena, caviglia, polso. Ogni volta subiva la sfortuna come se fosse un fatto personale e la malasorte si accanisse sempre e solo contro di lui. Le motivazioni se ne andavano, la voglia di lottare scompariva e immancabilmente doveva

ricominciare daccapo. Difficile stare dietro a un tipo così. Non a caso ha cambiato allenatori come le dive cambiano vestiti: Richard Warmoes, Thierry Champion, Tarik Benhabiles, Roger Rasheed, Patrick Chamagne, Eric Winogradsky. E da un anno si allena da solo. È sbarcato sui campi rossi parigini senza tecnico al seguito e ha raccontato di essersi preparato con un duro lavoro di sei ore al giorno. Ha anche aggiunto che erano equamente divise tra tennis, basket e breakdance… Anche durante il torneo non è riuscito a stare lontano dalle stravaganze. Una sera ha rinviato l’appuntamento con il massaggiatore perché doveva andare a cercare un posto dove


mangiare un ottimo kebab. Conclusione: la sessione di massaggi ha avuto inizio soltanto all’1:30 di notte. Un solo uomo riesce a fare sentire la sua voce al giovane Gael. Si chiama Rufin Monfils. «Quando è stata l’ultima volta che hai incontrato il tuo idolo dell’infanzia?». «Lo incontro ogni giorno. È mio padre». Ex giocatore di calcio, oggi agente della Telecom France, il signor Rufin viene dalla Guadalupe. Sylvette, sua moglie che lavora come infermiera, arriva dalla Martinica. Papà Monfils è stato il primo allenatore del figlio, anche se il piccolo Gael riusciva a batterlo già a 12 anni.

La famiglia è il rifugio dove andare quando le cose si fanno difficili. È stata la famiglia ad aiutarlo anche recentemente quando nel giro di un anno e mezzo è precipitato dal numero 7 al 108 del mondo. Qui a Parigi sembrava avere trovato il palcoscenico giusto per tornare protagonista. Fermo da fine aprile, si era ripresentato senza farsi accompagnare da tante aspettative. Match dopo match la Francia ha riscoperto un eroe da amare: Hanescu, Struff (memorabile un tuffo del parigino per recuperare una palla impossibile, tentativo sfortunato ma spettacolare), Fognini, Garcia-Lopez si sono dovuti tutti arrendere al nuovo Monfils. Poi, alle 21:40 di un mercoledì umido e ventoso, l’avventura è stata interrotta da Andy Murray, scozzese che non si è fatto né impietosire né influenzare dalle urla di una folla in delirio per il suo campione. Era sera, c’era poca luce. Venticinque minuti prima l’arbitro Stefan Fransson aveva chiamato i due per comunicargli che ci sarebbe stato davvero poco altro tempo prima che il gioco fosse interrotto. Sotto pressione, convinto di essere favorito dal prolungamento della sfida, ingolosito dalla vittoria dei due ultimi set, Gael Monfils aveva preso la decisione peggiore.


Ancora una volta sentiva di aver recitato il ruolo dell’incompiuto Aveva pensato che la chiave per raggiungere la vittoria fosse nascosta nella capacità di accellerare i tempi. E per lui era arrivato il buio più profondo. I giochi erano finiti. «No. Non penso sia stato un grande torneo per me. Capitemi, sono triste. Devo lavorare più duramente, questo match era la chiave per diventare un campione». Ancora una volta sentiva di aver recitato il ruolo dell’incompiuto. Voleva dimostrare al mondo, ma soprattutto ai francesi, anzi: ai parigini, che lui poteva fare tutto da solo. Non aveva bisogno di un allenatore che gli dicesse come, quando e quanto allenarsi. E non aveva bisogno di dure sedute di atletica o su un campo da tennis. Poteva andare bene anche un court di pallacanestro o un parquet per la breakdance. Non erano follie quelle del giovanotto che viene dal West Side di Parigi. Lui avrebbe fatto vedere a tutti che era tornato uomo da Top Ten, l’unico che poteva infrangere un digiuno che al Roland Garros durava dal 1983, anno in cui Yannick Noah aveva alzato il trofeo. So benissimo come ci si senta a tifare per il passato. Nicola Pietrangeli prima e Adriano Panatta poi sono stati gli unici tennisti a farci sorridere dagli spalti dello stadio nel cuore di Porte d’Auteuil. E sono ormai passati trentotto anni. Gael Monfils ci ha provato. Ma la notte ha inghiottito il suo tentativo.


La nuova vita di David Nalbandian di Alessandro Varassi L’ex numero 3 del mondo, appesa la racchetta al chiodo, si dedica a tempo pieno ad una delle sue grandi passioni: il rally!

L’avevamo lasciato in una serata di fine Novembre nella sua Cordoba, battere il numero 1 del mondo in esibizione nella sua ultima partita. David Nalbandian, ex numero 3 del mondo, è da meno di un anno un tennista in pensione: colpa dei tanti problemi fisici, e forse anche di una motivazione al sacrificio, leggi continui viaggi e allenamenti. La nascita della prima figlia, Sossie, ha spinto l’argentino a dire basta, come annunciato in una conferenza stampa lo scorso 1 Ottobre 2013. Ma lo sport ce l’ha nel sangue, la Nalba, che ha deciso di cambiare strumento: dalla racchetta al volante. Nalbandian infatti sta partecipando al campionato nazionale argentino

di Rally, partito il 22 Marzo e che conta 10 tappe; a bordo di una Chevrolet Agile Mr, l’ex tennista fa parte del Tango Team Rally, insieme a Marcos Ligato, pilota professionista, e all’ex calciatore Claudio Lopez, un passato anche nella Lazio. Il debutto è avvenuto a Villa Carlos Paz, vicino Cordoba, il 22 e 23 Marzo scorsi, Nalbandian è giunto 15esimo, in coppia con il connazionale Daniel Stillo; la Chevrolet Agila numero 131 è stata senza dubbio la più seguita dal pubblico, ma le cose non sono andate molto bene: “Siamo usciti due volte di strada, e abbiamo perso almeno 15’’. Nella seconda sessione, siamo stati


Nalbandian e il rally, un amore che non nasce certo negli ultimi mesi, ma che va avanti da tanto, così come la pesca rallentati da un concorrente che s’è ribaltato proprio davanti a noi!”. Lo sapeva alla vigilia: “Non lotterò certo per la vittoria, è una sorta di apprendistato; devo fare meno errori possibili, e guadagnare esperienza. La macchina è fantastica, completamente diversa dalle precedenti, e con una frenata impressionante” diceva Nalbandian durante la conferenza stampa di presentazione del team. Probabilmente, la Nalba non disputerà tutte le prove del campionato nazionale quest’anno, ma non esclude di prendere parte addirittura ad una prova del campionato mondiale: “Preferisco procedere per tappe”, ha liquidato la questione così. I risultati iniziano a migliorare, e nell’ultima prova, disputata a Catamarca, la coppia Nalbandian-Claudio Lopez ha chiuso al quinto posto. Nalbandian e il rally, un amore che non nasce certo negli ultimi mesi, ma che va avanti da tanto, così come la pesca; leggenda metropolitana vuole che nel 2005 l’argentino stesse proprio pescando, quando gli venne comunicato che aveva diritto a partecipare alla Masters Cup di Shanghai nel 2005 dopo una serie di rinunce. Fu l’incipit di una delle migliori storie della carriera tennistica di David, capace di arrivare in finale e rimontare 2 set a Roger Federer, laureandosi Maestro. Ma è a fine 2007, con l’accoppiata Madrid-Parigi Bercy, che forse si vede il miglior Nalbandian di sempre, ingiocabile per chiunque, e capace di mettere in riga più


La Coppa Davis il vero cruccio della carriera di Nalbandian volte i top player (Nadal, Federer, Djokovic). Sarà l’apice di una carriera che prometteva tantissimo, grazie ad un rovescio bimane spettacolare che ben celava una forma fisica sempre ai limiti (un’altra grande passione dell’argentino è la cucina, ed è proprietario di un bar nel quartiere dove è nato). La finale a Wimbledon del 2002, le semifinali in tutti gli slam (inclusa quella storica agli Us Open contro Roddick, con polemiche annesse per una chiamata pro americano che poteva dare altro esito al match, e al torneo tutto), fanno da controaltare ad alcuni episodi controversi, come le polemiche con Juan Martin Del Potro, legate alla finale di Coppa Davis 2008, il vero cruccio della carriera di Nalbandian.


Tigre da combattimento di Brent Kruger

Maria Sharapova

Quando, appena diciassettenne, conquistò a Wimbledon il suo primo major in carriera battendo in finale la favoritissima Serena Williams, nessuno poteva nemmeno lontanamente immaginare che Maria Sharapova sarebbe diventata una specialista della terra battuta. Peraltro, lei stessa non aveva esitato qualche anno fa a definirsi come una “mucca sul ghiaccio” quando si trattava di calpestare la polvere di mattone. Tuttavia, considerati i risultati ottenuti sulla suddetta superficie nella prima parte della sua carriera, il senso critico della siberiana pareva quantomeno eccessivo. Dal 2003, quando disputò il primo match ufficiale sul rosso in un tabellone principale perdendo a Parigi con un doppio 6-3 contro la

spagnola Magui Serna, e fino a tutto il 2010, Masha aveva infatti un bilancio di 40 vittorie e 13 sconfitte con un solo titolo all’attivo, quello ottenuto proprio nel 2010 a Strasburgo, e una percentuale più che accettabile del 75% di successi. La trasformazione è avvenuta però nelle ultime quattro stagioni, in cui la Sharapova ha vinto 66 delle 72 partite disputate e ha messo in bacheca ben otto titoli (tre a Stoccarda, due a Roma e Parigi, uno a Madrid). Nessun’altra, nel circuito, ha saputo fare meglio di lei in questo lasso di tempo. Si è spesso detto che il gioco monocorde della russa non prevede un piano “B”, allorquando le cose in campo si mettono male; sia Hogstedt, l’ex-coach, che Groneveld, quello attuale, non pare si siano concentrati in maniera particolare sugli aspetti tattici del tennis espresso da Maria. Piuttosto, hanno entrambi lavorato ulteriormente sulla concentrazione e sulla determinazione, qualità che la bionda di Nyagan si porta dentro dalla nascita. Poi, certo, qualcosa è cambiato sul piano tecnico.


La Sharapova attuale, pur mantenendo intatta la volontà di aggredire e spingere appena è possibile, ha più pazienza e, soprattutto, si difende decisamente meglio rispetto a qualche anno fa. Per il resto, risolti i problemi alla spalla operata, il servizio continua ad essere croce e delizia del suo gioco, trattandosi di un colpo con il quale la russa è in grado di complicarsi la vita così come di togliere le classiche castagne dal fuoco nei momenti delicati. C’è stata una certa evoluzione anche nel dritto, con cui talvolta la Sharapova trova ottime soluzioni affidandosi al cross stretto, mentre il rovescio rimane storicamente il suo fondamentale migliore.

Ma torniamo adesso sull’aspetto mentale, ovvero l’arma in più che ha permesso alla siberiana di alzare per la seconda volta al cielo di Parigi la coppa intitolata alla leggendaria Suzanne Lenglen. Per arrivare ad inginocchiarsi sul centrale della capitale francese, felice e commossa come pochissime altre volte in carriera, Masha ha dovuto aggiudicarsi sette incontri di cui gli ultimi quattro al set decisivo. Prima di lei, nella storia dei tornei dello slam, solo Conchita Martinez aveva compiuto un’impresa analoga quando si affermò a Wimbledon nel 1994; quella volta la spagnola mise in fila Radford, Davenport, McNeil e, in finale, la favorita Martina Navratilova, alla vana ricerca del decimo titolo londinese. Altre cinque giocatrici, però, sono state costrette per ben quattro volte a disputare (e vincere) il terzo set per aggiudicarsi un major: Nancy Richey (1968), Sue Barker (1976) e Iva Majoli (1997) sempre al Roland Garros; Martina Navratilova (1978) a Wimbledon e Serena Williams (1999) agli US Open. Il percorso della Sharapova è stato però particolarmente accidentato. Negli ottavi, la russa si è trovata sotto 3-4 nel secondo set contro la Stosur, prima di infilare nove giochi consecutivi e chiudere 6-0 al terzo.


Da tre anni e mezzo a questa parte, chi va al terzo set con Masha sa di avere meno di 15 probabilità su 100 di spuntarla Poi, nei quarti, la giovane spagnola Garbine Muguruza l’ha costretta a servire per rimanere nel torneo sul 5-4 del secondo parziale; anche in quell’occasione Maria se l’è cavata alla grande, tenendo la battuta e mettendo a segno il break subito dopo. Da quel momento è stato quasi un monologo siberiano. In semifinale, altra giovane rampante (la canadese Bouchard) e altra gara in salita per Masha che si è vista annullare tre set-point sul 5-4 del secondo dopo che aveva perso il primo; ancora una volta però la freddezza e la grinta della tigre hanno avuto la meglio e, subìto il break, la Sharapova ha tolto di nuovo la battuta a Eugenie e chiuso il parziale 7-5. Inevitabile il crollo della Bouchard nel terzo segmento, finito

6-2. Infine, nella ripetizione della finale di Madrid, Simona Halep ha provato ad emulare la sua manager e connazionale Virginia Ruzici (che trionfò al Roland Garrosnel 1978, unica rumena nella storia) interpretando un match straordinario per intensità e lucidità e provandole veramente tutte per mettere i bastoni tra le ruote all’avversaria. La Sharapova avrebbe potuto vincere in due set ma, avanti 5-3 nel tie-break del secondo set, ha finito per cedere quattro punti consecutivi. All’inizio del set conclusivo, Maria ha annullato una palla-break dell’1-3 e, pur rimontata da 4-2 a 4-4, ha chiuso la contesa con otto punti di fila.


Nel biennio 2011-2012 Maria ha vinto 26 partite al terzo, perdendone appena due , mentre nel 2014 il suo record attuale è 13-3 Si è trattato del successo al set decisivo numero 132 in carriera (nei tabelloni principali del circuito WTA) per la Sharapova, contro 41 sconfitte. Anche in questa speciale classifica, le ultime quattro stagioni sono state particolarmente significative per l’attuale numero 5 del mondo: nel biennio 2011-2012 Maria ha vinto 26 partite al terzo, perdendone appena due (entrambi agli US Open, contro Pennetta e Azarenka), mentre nel 2014 il suo record attuale è 13-3. Insomma, da tre anni e mezzo a questa parte, chi va al terzo set con Masha sa di avere meno di 15 probabilità su 100 di spuntarla. E questo fa tutta la differenza del mondo, soprattutto per la fiducia che la russa riesce ad avere in se stessa anche quando gli incontri iniziano nel verso sbagliato. In questo senso, l’ultimo Roland Garros è stato assai eloquente. In un momento in cui pare di assistere a una sorta di cambio generazionale nel tennis femminile, con l’avvento di tante giovani particolarmente agguerrite e interessanti, i nervi saldi e la convinzione nei propri mezzi potrebbero regalare alla Sharapova (che, ricordiamolo, ha appena 27 anni) altre stagioni di gloria e, perché no?, l’opportunità di tornare a indossare la corona riservata alla numero 1 del mondo.


Grasso è bello, ce lo dicono le tenniste di Marco Avena

Quando si pensa a certi sport e si guardano determinate fotografie ci si immagina gli atleti come Bronzi di Riace scolpiti nella pietra

Quando si pensa a certi sport e si guardano determinate fotografie ci si immagina gli atleti come Bronzi di Riace scolpiti nella pietra. Spesso è così, ma non sempre gli stereotipi corrispondono a verità. Lasciamo stare per un attimo sport dove la linea può essere lasciata da parte per dar sfogo alla potenza – basti pensare a sport di contatto o a determinate specialità dell'atletica come lancio del martello o del peso – ma se dici tennis femminile pensi subito a Maria Sharapova o a Daniela Hantuchova o magari alla nostra Flavia Pennetta, ragazze che curano con meticolosità il loro corpo e la condizione atletica a tal punto da fare invidia anche ad alcune gettonate modelle. Ma il tennis, in questo senso, è uno degli sport più democratici che esistano.

Puoi vincere sia se superi i due metri di altezza sia se sei sotto l'1,70. E puoi importi sia se sei un fisico asciutto come la bella Masha appena citata sia se sei, per così dire, in carne. Così, su due piedi, vengono in mente la francese Marion Bartoli, la scorsa estate un po' a sorpresa trionfatrice a Wimbledon, o ancora Dominika Cibulkova, non proprio una silhouette, tennista che paga dazio anche in termini di altezza e in grado di centrare la finale all'Australian Open del gennaio scorso. O sfogliando gli annali come non pensare a Brenda Schultz e Marianne de Swaardt? E che dire ancora di Serena Williams o di Vika Azarenka? L'americana e la bielorussa hanno da sempre un peso forma non certo invidiabile, a causa di una corporatura decisamente robusta e qualche strato di 'pannipolo adiposo eccedente' che ogni tanto si palesa sotto le loro mise attillate e di marca, ma sono là in cima tra le più grandi di questo sport. L'ultima in ordine di tempo ad essere balzata agli onori delle cronache a causa di un fisico più da modella di Botero che da atleta professionista è stata l'americana Taylor


“Non bisogna essere stuzzicadenti per diventare delle star” Townsend, una signorina di 18 anni che all'ultima pesata ha toccato quota 80 chilogrammi e che avevamo già notato ad Indian Wells quando al secondo turno si era arresa alla nostra Pennetta poi vincitrice del torneo. Per la verità la Townsend fece parlare di sé già nel 2012 quando fu esclusa dagli US Open perché un po' troppo 'cicciottella'. La Townsend è una tennista oversize che al Roland Garros ha scatenato la fantasia dei cronisti, specialmente quando al secondo turno ha superato la beniamina di casa Alize Cornet: qualcuno si è addirittura lasciato andare alla fatidica frase “se l'è mangiata”, battutaccia che chissà quante volte ancora la talentuosa Taylor si sentirà ripetere.

Eppure la Townsend ha qualcosa che altre sue colleghe non hanno: ha dimostrato che nel tennis dei pro ci può stare anche lei e che con una dieta accurata non potrà far altro che migliorare la propria condizione atletica e, di conseguenza, gioco e classifica. Ne hanno tessuto le lodi anche Andy Murray e Andrea Petkovic. La tedesca ha candidamente ammesso: “Taylor è il mio idolo”, e non l'ha detto certo con tono ironico. Lei va avanti per la sua strada, sa che in uno sport di abilità come il tennis tutti possono avere una chance. “Non bisogna essere stuzzicadenti per diventare delle star”, ama spesso ripetere. E lo sa bene anche la già citata Marion Bartoli.


Il futuro? È roba da ragazze di Gianluca Atlante

È cominciato il ricambio generazionale nel tennis femminile. E quello maschile, quanto dovrà aspettare?

La terra rossa del Bois de Boulogne è crudele. Colpa della Manica a due passi, forse, di quei cambi repentini di temperatura che gli inglesi chiamano showers, scrosci d'acqua che allentano la rincorsa alla gloria. Ma questa terra, quella del Roland Garros, insegna che oggi, nel tennis, non c'è assolutamente nulla di scontato. Fra le donne, principalmente. Lì dove i muscoli fanno la differenza e la classe è un qualcosa in più, un orpello invece che un approdo. Tra gli uomini, la sensazione è che il “nuovo” che avanza sia frenato nell'approccio e nella conduzione del match, più che nell’eseguire i colpi in un certo modo. Per carità, Milos Raonic e Grigor Dimitrov, hanno da tempo bussato alla porta, ma i tempi di entrata sembrano un tantino più lunghi. Da parte nostra, c’era la voglia di capire, e dare corpo alle voci di chi ne capisce di più. Di chi vive di tennis ventiquattro ore su ventiquattro, trovando modo e tempo per volare di fiore in

fiore. Abbiamo raccolto pareri, analizzato attentamente la situazione, monitorato il tutto. Finendo con il trovare nei numeri di questa edizione dell'Open di Francia – ché son quelli alla fine che fanno la differenza – qualcosa che potesse indirizzarci verso quel cambiamento che in molti auspicano. E allora, in un pomeriggio uggioso, siamo riusciti a trovare terreno fertile… A cominciare da Josè Luis Clerc, ex giocatore argentino numero quattro del mondo, che qui al Roland Garros fece semifinale nel 1981 e '82 e che oggi è commentatore Espn per il Sudamerica. «Oggi ci sono Nadal, Djokovic, Federer e Murray, domani ci saranno Raonic, Dimitrov e Nishikori. Le rivalità nel tennis non sono mai mancate e, quando abbiamo iniziato a preoccuparci, sono spuntate fuori. Credo nel ricambio generazionale, ma tutte le cose hanno un tempo e sino a quando quelli lassù, almeno in campo maschile, avranno fame, per gli altri non sarà facile provare a sedere al loro tavolo, fermo restando che i tre che ho nominato, Raonic, Dimitrov e Nishikori, hanno le credenziali giuste per scrivere nuove pagine di questo sport.


«Oggi il tennis femminile», ha continuato Clerc, «sembra avere più ricambi, è molto più livellato. Nel maschile, la rincorsa del “nuovo” è partita, ma la strada da percorrere mi sembra decisamente più lunga». Diverso il discorso in campo femminile», ha spiegato lo stesso Clerc, «Il processo di cambiamento, e lo si è visto proprio qui al Roland Garros, è già iniziato. Serena Williams ha perso al secondo turno dalla Muguruza, giocatrice molto interessante e la Na Li dalla Mladenovic. In campo maschile, soprattutto in uno Slam, è assai improbabile che le teste di serie numero 1 e 2, vadano fuori al primo e secondo turno. Nel femminile è successo e succederà ancora, perché oggi sono i muscoli a fare la differenza e non il talento. Di quello credo che ce ne sia poco, anche se ci sono giocatrici come la Muguruza, la stessa Mladenovic e la canadese Bouchard, per non parlare della Halep, che sembrano avere qualcosa di più delle altre e avvicinarsi di molto alle prime».

«Oggi il tennis femminile», ha continuato Clerc, «sembra avere più ricambi, è molto più livellato. Nel maschile, la rincorsa del “nuovo” è partita, ma la strada da percorrere mi sembra decisamente più lunga. O almeno lo sarà, fino a quando quelli lì davanti avranno fame». Proseguiamo nel nostro percorso, aiutati da quella pioggerellina fastidiosa che tutto rende più faticoso. Al riparo nella Players Lounge troviamo Riccardo Piatti, l'uomo che, unitamente a Ivan Ljubicic, sta portando il canadese, Milos Raonic, a livelli altissimi. Riccardo risponde al nostro invito e il dialogo finisce per scorrere veloce, a patto che non si parli di tennis in “gonnella”: «Ammiro molto i


coach che lavorano con le donne, credo che ci voglia molta più pazienza rispetto agli uomini. Non ho esperienza al riguardo, quindi non mi sembra giusto parlarne, salvo per ribadire che, nell’ottica di questo Slam su terra rossa, il cambiamento è sembrato impetuoso». E Raonic? «È molto vicino ai più grandi, molto più di quanto si possa immaginare», ci confida Piatti. «Credo che il gap sia minimo, per lui come per Dimitrov e Nishikori, i giocatori che al momento rappresentano quello che voi amate definire il nuovo che avanza. Io, per carità, sono parte in causa, ma Milos sta facendo grandi progessi. Dal punto di vista tecnico, ma anche sotto quello puramente psicologico e per questo intendo

l'approccio al match, e come gestirlo, soprattutto nei momenti di difficoltà. Pensa da grande, insomma, e si vede. Credo che la distanza sia minima e che i tempi per un ricambio, si siano notevolmente accorciati». Da Piatti a Cinà, coach della Vinci e profondo conoscitore del tennis femminile, anche se i suoi inizi furono con gli uomini. Francesco va controcorrente. O meglio, ritiene che quanto accaduto in questa edizione del Roland Garros, resti un fatto importante, ma forse isolato. «Non lo so questo, ma dico che se le giocatrici di vertice, e parlo di Serena Williams, Li Na, Sharapova, la stessa Sara (Errani, ndr), hanno un rendimento costante, per le altre diventa difficile. Halep, Muguruza e Bouchard, sono giocatrici che stanno venendo fuori alla grande. Sono giovani e, sicuramente, hanno grossi margini di miglioramento, ma le prime, se vogliono, dettano legge. Certo, analizzando attentamente i numeri, c’è più ricambio rispetto ai maschi, ma resto dell’avviso che ci vorrà ancora un po’ per un cambiamento totale della situazione, per scoprire pagine nuove di questo mondo». Il ricambio, nelle donne, è già iniziato. Negli uomini, un po’ meno. Il nostro Giorgio Di Palermo, membro del board dell’Atp, fa


Non è un caso, invece, che tra le donne, Bouchard, Halep e Petkovic, si siano ritagliate il loro spazio di meritata gloria. un’analisi precisa. «Nadal, Djokovic, Federer, Murray, hanno ancora qualcosa in più. Hanno le qualità per gestire il match a loro piacimento. Sanno cosa voglia dire iniziare uno Slam e arrivare sino in fondo. Poi, per carità, succede che possano inciampare, ma se analizziamo i numeri degli ultimi Major, ci accorgiamo che sono ancora loro a dettare legge, sempre e comunque. Sanno come gestire la tensione di un match importante, come addomesticare una partita importante, come approcciarla e condurla in porto. La differenza sta in questo. Raonic, Dimitrov e Nishikori, i tre che bussano alla porta dei grandi, hanno qualità da vendere, ma non al punto, a mio avviso, dal scalfire il predominio dei più grandi. In campo femminile, la situazione è diversa», spiega ancora Di Palermo, «anche perché sono le qualità fisiche a fare la differenza. E allora può capitare che, se Serena non sta bene o, magari, non ha voglia, le altre possono approfittarne. Qui al Roland Garros, è successo di tutto. Serena e Na Li sono uscite subito di scena e, in entrambe le metà del tabellone, sono venute fuori giocatrici come Halep, Bouchard e Muguruza, che hanno qualità fisiche notevoli e le hanno fatte pesare, confermando come tra le donne, ci sia più livellamento». In effetti, senza lo scivolone di Federer contro Gulbis, il singolare maschile avrebbe presentato in semifinale i quattro storici Fab Four.



La più bella partita mai giocata di Princy Jones La finale di Wimbledon 2008 tra Federer e Nadal è considerata dagli esperti una delle migliori partite mai giocate

Qualche decade fa, gli appassionati di calcio erano soliti parlare di quanto fossero fortunati ad aver vissuto in un’era che è stata testimone del talento fenomenale di Diego Maradona. Noi possiamo dire lo stesso di Roger Federer e Rafael Nadal e della loro affascinante rivalità che ha portato i fans all’euforia. Infatti, siamo fortunati a guardare due degli scontri tra i migliori rivali e combattuti l’uno contro l’altro, soprattutto nei tornei del Grande Slam. Roger e Rafa, con i loro stili contrastanti, fanno del tennis una gradevole esperienza per gli spettatori. Entrambi sono stati decisivi per tirare fuori il meglio l’uno dell’altro, anche se una volta Nadal ha scherzato dicendo

che era stato sfortunato a dover giocare nella stessa epoca del “miglior giocatore della storia, Roger Federer”. La finale di Wimbledon 2008 tra Federer e Nadal è considerata dagli esperti una delle migliori partite mai giocate. Tutti quelli che hanno guardato la finale dal Campo Centrale e dalla televisione seduti a casa concordano con quanto detto. In un incontro interrotto dalla pioggia che è durato 4 ore e 48 minuti, il 22enne Nadal è emerso come campione, battendo Federer, che stava puntando il suo sesto titolo consecutivo a Wimbledon, 6-4 6-4 6-7(5) 6-7(8) 9-7.


Quella sera, le probabilità erano in favore di Federer, nonostante Nadal fosse in vantaggio sui testa a testa per 11-6 sul maestro svizzero. È stato un finale da mangiarsi le unghie quella domenica sera, e chiunque di loro avrebbe potuto diventare campione; non c’è stato un perdente. Nadal ha vinto 209 punti contro i 204 di Federer. Era anche la loro terza finale consecutiva a Wimbledon, e anche la prima ed unica vittoria di Nadal contro Federer a Wimbledon. Nel 2006, Federer batté Nadal in quattro set, 6-0, 7-6(5), 6-7(2), 6-3; nel 2007, Nadal ha mostrato un tennis brillante, ma Federer dimostrò ancora una volta di essere troppo bravo per lui, abbattendo il suo giovane opponente, 7-6(7), 4-6, 7-6(3), 2-6, 6-2. Quella sera, le probabilità erano in favore di Federer, nonostante Nadal fosse in vantaggio sui testa a testa per 11-6 sul maestro svizzero. Dopotutto, si trattava di Wimbledon, non del Roland Garros; battere il “Re dell’Erba” sulla sua superficie preferita era una grande impresa. Ma Nadal era in forma incredibile, inoltre, era molto in fiducia dopo una vittoria di grande misura per 6-1, 6-3, 6-0 su Federer agli Open francesi il mese precedente. Nadal ha fatto suo il primo set per 6-4, brekkando Federer nel terzo game. Nel secondo set, Federer ha brekkato Nadal nel secondo game lui stesso, e ha preso il comando per 1-4. Lo spagnolo ha poi fatto un’incredibile rimonta vincendo i 5 game successivi per condurre di due set.


E' stata una finale che ha simbolizzato il trionfo della volontà. In un terzo set interrotto dalla pioggia, Federer è tornato alla ribalta sigillando il suo primo set con il tie-break. Federer che aveva finalmente ritrovato il suo ritmo, ha negato a Nadal una vittoria facile. Poi Nadal ha iniziato a mostrare segni di cedimento di nervi quando era sul punto di vincere. Sembrava avesse fretta di chiudere il lavoro. Mentre Nadal serviva per il match sul 8-7 del tie-break, Federer che aveva percepito l’ansia del suo avversario, ha colto l’opportunità di rispondere con un incredibile vincente di rovescio. Uno scoraggiato Nadal guardò incredulo Federer fare suo il set per un punteggio di 10-8 nel tie-break. Al termine di quattro set, entrambi i giocatori avevano fatto esattamente lo stesso numero di

– 151! Mentre il duo si stava avviando al quinto set, la folla era presa dall’eccitazione. Ancora una volta la pioggia giocò il ruolo di guastafeste con il punteggio fermo sul 2-2 nel quinto ed ultimo set. Nonostante avessero le possibilità di brekkare il servizio del loro avversario, entrambi i giocatori sono arrivati sul punteggio di 7-7. Per allora, era già buio, e le persone iniziavano a chiedersi se la partita sarebbe stata spostata al giorno successivo. Ma un errore di dritto di Federer ha aiutato Nadal a brekkare finalmente il servizio del suo avversario e a condurre sul punteggio di 8-7. Durante il match-point, il dritto di risposta di Federer atterrò sulla rete, ed un esausto Nadal cadde per terra. Finalmente era successo – Nadal era diventato il campione


di Wimbledon – mettendo fine alla mezza decade di dominio su erba di Federer. Quando il campione 22enne è salito sugli spalti per celebrare la sua vittoria storica con la sua famiglia e con i membri della famiglia reale spagnola, Roger Federer stata seduto sulla sua sedia cercando di tornare alla realtà. Era la prima volta di sempre che doveva accontentarsi del trofeo del secondo classificato a Wimbledon, la sua superficie preferita. Quella finale ha completamente cambiato l’equazione della rivalità Federer-Nadal. Ha annunciato l’inizio dell’era Nadal nel tennis. Dopo quella sconfitta, Federer non è più stato

capace di battere Nadal in un evento Grande Slam. Nei quindici incontri che sono seguiti, è stato capace di battere Nadal solo quattro volte. L’età ha infine pagato pegno sul gioco di Nadal. Il suo rovescio impeccabile, che era la miglior arma del suo arsenale, ha iniziato a perdere di precisione ed è diventata ora il suo tallone d’Achille, per il piacere di Nadal. Ora, la strategia cardine dello spagnolo contro Federer è di sparare ripetutamente i suoi colpi contro il rovescio di Federer, costringendolo infine a commettere un errore. Sia Nadal che Federer hanno aggiunto altri due titoli di Wimbledon sotto il loro nome dopo l’epico incontro del 2008, ma non si sono più dovuti scontrare l’uno contro l’altro. Federer ora ha 32 anni; Nadal 28. Se si incontrassero ancora in una finale di Wimbledon, non sarebbe tanto emozionante quanto lo è stato quando i due giocatori hanno debuttato. Siamo stati fortunati ad essere testimoni di una finale così storica tra due dei migliori giocatori – giocatore da serve and volley e giocatore da fondo – che hanno mostrato le loro migliori prestazioni nella caccia del posto più alto. È stata una finale che ha ispirato un libro – “Strokes of Genius”, di Jon Wertheim; è stata una finale che ha simbolizzato il trionfo della volontà.


Taylor Townsend. Fame di successo. Purtroppo non solo di quello… di Fabrizio Fidecaro «Fat, lazy pigs». Per tradurla in maniera edulcorata, «grasse, pigre “maialine”». Così nel 1992 Richard Krajicek definì «l’80 per cento» delle colleghe del circuito Wta. Taylor Townsend Nata a Chicago, 16 aprile 1996. Il suo fisico possente rappresenta un'eccezione nel panorama tennistico femminile: ha infatti una statura di 168 cm e un peso di 80 chili. Fa il suo esordio negli Slam in singolare a Parigi 2014 dove raggiunge il terzo turno eliminando la connazionale Vania King e la tennista di casa Alizé Cornet

«Fat, lazy pigs». Per tradurla in maniera edulcorata, «grasse, pigre “maialine”». Così nel 1992 Richard Krajicek definì «l’80 per cento» delle colleghe del circuito Wta. Si scatenarono polemiche a non finire e, giorni dopo, il futuro campione di Wimbledon si corresse, ammettendo di aver esagerato e precisando con sarcasmo che intendeva riferirsi solo al «75 per cento». Vedendo all’opera Taylor Townsend non possono non tornare alla mente le beffarde parole dell’olandese. La giovanissima coloured americana, diciotto anni compiuti ad aprile, incanta con il suo potente e ispirato tennis mancino, ma è inevitabile che la prima cosa che salta all’occhio sia la sua possente stazza fisica. Alta un metro e 68, ha un peso dichiarato di 80 chilogrammi, fra l’altro dopo essersi sottoposta a una rigida dieta curata dai medici dell’Usta che sembra le abbia fatto perdere parecchi chili.

Numero uno a dieta Una storia, quella del sovrappeso, che la portò alla ribalta già un paio d’anni fa. Nell’aprile del 2012, dopo aver vinto gli Australian Open junior, Taylor era diventata numero uno del mondo under 18. Ebbene, la federazione statunitense decise comunque di non pagarle le spese di viaggio e iscrizione ai successivi US Open, una sorta di “punizione” per non essersi messa d’impegno al fine di recuperare un’accettabile forma fisica. Alla fine fu la madre Sheila a occuparsi delle spese per far partecipare la figlia all’evento newyorkese, dove, però, Taylor, si fermò nei quarti.


«La nostra prima preoccupazione è la sua salute, e il suo sviluppo a lungo termine come giocatrice» «La nostra prima preoccupazione è la sua salute, e il suo sviluppo a lungo termine come giocatrice», spiegò Patrick McEnroe, presidente dell’Usta. «In testa abbiamo un obiettivo: farla giocare nell’Arthur Ashe Stadium da protagonista nel tabellone principale e, quando sarà il momento, vederla lottare per i titoli più importanti. Nessun torneo vale più della carriera di un giocatore, specie quando questi ha solo sedici anni». Le spiegazioni vennero tutt’altro che gradite dalla Townsend. «Fu scioccante», disse poi. «Ero molto delusa, piansi. Avevo lavorato sodo e non ero certo diventata n.1 per miracolo». Taylor, a ogni modo, è passata professionista nel novembre successivo, cominciando ad

affacciarsi nel circuito delle “grandi”. Qui i risultati hanno stentato ad arrivare, e il 2013, al di là di un’affermazione a Indian Wells sulla ceca Hradecka, si è rivelato più ostico delle gloriose aspettative. L’Usta ha comunque seguitato a riservarle wild card per gli eventi di rilievo, ed è così che nel 2014 Taylor si è tolta nuovamente la soddisfazione di passare un turno nel Premier Mandatory californiano, ai danni dell’azzurra Karin Knapp, strappando poi un set alla futura vincitrice Flavia Pennetta. Ad aprile sono giunti due centri di fila in prove Itf da 50.000 dollari sulla terra, prima a Charlottesville e poi a Indian Harbour Beach.


Il viatico ideale per affacciarsi all’ombra della Tour Eiffel, dov’è stata ammessa al main draw grazie a un nuovo invito degli organizzatori. S’è mangiata la Cornet Ebbene, Taylor si è meritata in pieno il favore, approdando al terzo round dopo aver superato la connazionale Vania King e, soprattutto, la beniamina di casa Alize Cornet, ventesima del seeding. È stato in quest’ultimo incontro che la ragazzona di Chicago ha impressionato pubblico e addetti ai lavori, mettendo alle corde la francesina e trovando la forza d’animo per chiudere la pratica in un delicatissimo terzo set.

Contro il pregevole rovescio della Suarez Navarro c’è stato poco da fare, ma la Townsend, arrivata a Parigi da numero 205 Wta, ne è ripartita da n. 150, e con la “benedizione” di Andy Murray, che le ha rivolto pubblici complimenti su Twitter dopo il successo sulla Cornet. Soddisfazioni che per lei rappresentano nulla più che un punto di partenza. Attualmente la Townsend continua a non essere in rapporti troppo amichevoli con la sua federazione ed è solita allenarsi tra Chicago e Washington sotto la guida del tecnico Kamau Murray, che la conosce da quando aveva sei anni, e della finalista di Wimbledon 1990 Zina Garrison. È ben consapevole del suo talento, della capacità innata di trovare angoli imprevedibili utilizzando il campo al tempo stesso con fantasia e precisione geometrica, potendo contare in ogni scambio su diverse possibili soluzioni. «Avere così tanta scelta sul da farsi è un dono e al tempo stesso una maledizione, il rischio è ritrovarsi molto confusi», ha ammesso Taylor. Di questo passo l’attenzione generale non potrà che spostarsi sulle sue qualità tennistiche, ed è giusto così. Restano gli innegabili problemi di peso, che le provocano affaticamenti alle ginocchia


Attualmente la Townsend continua a non essere in rapporti troppo amichevoli con la sua federazione americana limitandola negli spostamenti, anche se meno di quanto si potrebbe immaginare. Una che sa divertire Non si tratta di essere longilinea o di fare sciocchi paragoni con altre giocatrici dalla corporatura diversa, ma semplicemente di acquisire una condizione fisica degna di un’atleta professionista, che le permetta di rendere al meglio con continuità negli impegni del Tour. Se Taylor ci riuscirà almeno in parte, ecco che il tennis mondiale avrà trovato una brillante top player in grado di vincere e divertire.


Il toro e il matador di Alex Bisi Il torero ripone le sue spade nei foderi della sua borsa, la tensione sale mentre si avvicina il momento di entrare nell’arena.

Il torero ripone le sue spade nei foderi della sua borsa, la tensione sale mentre si avvicina il momento di entrare nell’arena. Nella mente ripete i movimenti cardini della sua professione,gli stessi movimenti ripetuti milioni di volte in allenamento. Sa cosa deve fare, o per lo meno ne è convinto, deve entrare e prendere il toro per le corna, non deve lasciarlo respirare, deve anticipare le sue mosse, evitare ogni sua carica altrimenti ne uscirà sconfitto. Mentre perfeziona il suo abbigliamento, sente la folla che si scalda, che lo attende ma cheallo stesso tempo scalpita anche per il suo avversario, sa che oggi è più importante delle altre volte in cui lo ha incontrato, oggi vale di più c’è in palio un pizzico di gloria in più in questa calda domenica. Il sole è alto nel cielo e la temperatura è rovente, mentre i suoi piedi toccano la rossa terra dell’arena, il suo nemico è già dentro il campo, lo aspetta, e scalpita, voglioso di dominare.

La partenza è tutta per il torero, lo attacca, non lascia respirare il suo avversario, evita ogni sua carica con maestria e sembra poter dominare lo scontro. Ma quando affronti un toro non puoi mai esser tranquillo, non sai mai quando lui si infurierà, ed è proprio quando credi di esser tu a comandare la battaglia che lui rialza la testa. Le sue cariche si fanno più poderose, la sua corsa più efficace, il torero lo schiva, non molla, ma è solo questione di tempo, il tracollo è vicino, il toro riporta in parità il duello, e fa pendere dalla sua parte l’ago della bilancia di questa battaglia. Il matador è in affanno, tutti i suoi piani sembrano esser andati in fumo, la sua spada non fa più male, si sposta barcolla ma tiene duro, non vuole mollare, ha lavorato troppo per lasciarsi sfuggire questa occasione. Il caldo lo sta sfiancando, e anche il pubblico a questo punto è tutto per il suo nemico, e mentre sente le forze andarsene, il toro sembra esser fresco come all’inizio della loro battaglia, e come capita a volte in questi scontri è il toro ad avere la meglio. Il torero deve arrendersi, ancora una volta è Rafa Nadal il vincitore del Roland Garros.


Cosa serve per vincere uno Slam? Riposo ed alimentazione sono indispensabili! di Alessandro Varassi

La CNN ha provato ad analizzare quali sono i fattori chiave per trionfare in un torneo che si gioca su 2 settimane, ed al meglio dei 5 set

Il Roland Garros 2014 è andato in archivio con l'ennesimo successo del re della terra rossa, Rafael Nadal. Niente per un tennista vale come vincere una prova dello slam, ma qual è il segreto per vincere? Come ogni torneo, è richiesta una pianificazione meticolosa, preparazione, supporto del proprio team e, quando riesci a trovarla, anche la routine nel fare tutto questo, con ritmi uguali nei diversi giorni. La cosa più difficile negli Slam è sicuramente quella di giocare alcuni, teoricamente potrebbe capitare anche in tutti, incontri sulla distanza dei 5 set, almeno nel singolare maschile. Di base, c'è un giorno di riposo tra un match e l'altro, ma pioggia e rinvii per oscurità possono far saltare i piani.

Si potrebbero affrontare 5 set in più incontri di fila, un avversario molto difficile per chiunque, più di qualsiasi top player, per il dispendio fisico e psicologico che questo comporta. Bisogna poi sapersi adattare alla superficie; prendiamo per esempio il French Open: sulla terra gli scambi tendono ad essere più lunghi rispetto all'erba o al cemento. Queste ultime due superfici sono più dure, in termini di sforzo delle articolazioni, ma non richiedono di scivolare, come il clay. I muscoli hanno così bisogno di riposare più velocemente: come spiegano molti che bazzicano le locker room, non è raro vedere i giocatori, dopo 5 set, fare della cyclette per tirare fuori gli eccessi di acido lattico.


Ecco quindi che vengono fuori i frullati di proteine e calorie. Non sempre, ovviamente, è questa la soluzione migliore, dipende da come va il proprio incontro precedente: se Nadal, tanto per fare un esempio, vince in 3 comodi set, in 1 ora e mezzo di gioco, dopo avrà probabilmente un pasto light, senza rischiare di giocare con lo stomaco pesante il giorno seguente. Un perfetto recupero è indispensabile, ma non sempre garantito. E' difficile conoscere la propria programmazione giornaliera, non solo in campo: se il match finisce tardi, per esempio, probabilmente il tennista andrà a letto dopo, e il suo sonno ne risentirà, compromettendo il recupero fisico almeno parzialmente.

Giocare sulla distanza di 5 set di solito si fa sentire a partire dalla seconda settimana; è difficile sopravvivere a più di 2 match consecutivi così lunghi. Gustavo Kuerten, per esempio, riuscì nell'impresa di vincerne 3, nel trionfale Roland Garros 1997. Uno dei segreti del dominio di Roger Federer e degli altri big è probabilmente quello di sistemare la pratica velocemente nella prima settimana dei tornei dello Slam. Non basta quindi essere un grande giocatore per trionfare: a fare la differenza in tornei così dispendiosi sono tutti questi particolari, riposo ed alimentazione su tutti. E ciò non fa che confermare la straordinaria forza di giocatori come Rafael Nadal, Roger Federer e Novak Djokovic, non a caso diventato numero 1 del mondo nel 2011, dopo aver modificato la propria alimentazione e curato meticolosamente tutti questi particolari, non certo secondari per poter alzare il trofeo a Melbourne, Parigi, Wimbledon o New York.


Non è uno sport per giovani di Brent Kruger

Generazione perduta

Aggiudicandosi per la nona volta il singolare maschile agli Internazionali di Francia, lo spagnolo Rafael Nadal ha rimesso la locomotiva sui binari, dopo che la stessa aveva leggermente sbandato in quel di Melbourne. Agli Australian Open infatti, avevamo assistito all’inedita incoronazione dello svizzero Stanislas Wawrinka, giunto al miglior risultato della sua carriera alla soglia dei 29 anni. Dei quaranta major disputati nel decennio 2004-2013, ben trentacinque sono finiti nelle mani del “triumvirato” composto da Federer (16), Nadal (13) e Djokovic (6) mentre solo altri quattro tennisti hanno avuto il piacere di

emularli: Gaudio, Safin, Del Potro e Murray (due volte). Roger aveva quasi 22 anni quando vinse, nel 2003, il suo primo slam a Wimbledon; Rafa era diciannovenne da qualche giorno quando trionfò al Roland Garros nel 2005 mentre Nole si impose a Melbourne nel 2008 a 20 anni e otto mesi. Nell’attuale classifica ATP, nessun giocatore tra i primi 100 può emulare il serbo e lo spagnolo mentre, in via del tutto teorica, solo in 4 potrebbero tagliare il prestigioso traguardo prima dell’elvetico: si tratta di Dominic Thiem, Jiri Vesely, Jack Sock e Bernard Tomic.


Su Krygios e sul connazionale Kokkinakis, sono riposte le speranze di rilancio del tennis “down under” mentre l’Italia guarda con fiducia ai progressi di Gianluigi Quinzi, campione juniores a Wimbledon un anno fa e spesso a segno nei Futures a cui partecipa. Di questi, lo statunitense Sock ha trionfato nella prova juniores degli US Open 2010, il ceco Vesely si è aggiudicato il boys singles agli Australian Open 2011 mentre l’australiano Tomic ha alzato il trofeo a Melbourne nel 2008 e a New York l’anno successivo. Che valore possono avere dunque le prove riservate agli under 18 in uno sport, come il tennis, che, per diverse ragioni, ha alzato considerevolmente l’età media dei suoi principali protagonisti? E, soprattutto, che fine hanno fatto i vincitori dei 40 tornei juniores nello stesso arco temporale? Ebbene, dei 33 vincitori dell’ultimo decennio, solo il britannico Andy Murray (che si aggiudicò gli US Open 2004) ha saputo ripetersi tra i professionisti mentre nessun altro è riuscito a giungere nemmeno in finale. Alcuni di loro (Gael Monfils, Marin Cilic) si sono costruiti una discreta carriera con tanto di ingresso nella Top-10 e semifinale slam; Bernard Tomic, classe 1992, ha raggiunto i quarti di finale a Wimbledon quando era ancora diciottenne mentre Jeremy Chardy ha ottenuto lo stesso risultato (quarti agli Australian Open 2013) ma con qualche anno di ritardo. E poi c’è Grigor Dimitrov, il predestinato, campione juniores a Wimbledon e New York nel 2008 e attualmente numero 13 del mondo, già vincitore di quattro prove ATP (su tre diverse superfici) ma sempre piuttosto deludente nei major, eccezion


fatta per i quarti di finale conquistati nell’ultima edizione degli Australian Open. Fin qui quelli che ce l’hanno fatta. E gli altri? Tra le tante promesse mancate, un posto di rilievo lo occupa lo statunitense Donald Young. Il colored di Chicago pareva avviato a una carriera brillante dopo aver conquistato a soli 15 anni il titolo juniores a Melbourne ma l’eccesso di aspettative ha finito per danneggiarlo e tuttora, dopo essere stato n°38 del ranking ATP nel febbraio del 2012, si barcamena tra challenger e qualificazioni nei tornei principali senza averne mai vinto uno.

Sempre scorrendo l’elenco troviamo lo slovacco Martin Klizan, che vinse a Parigi nel 2006 ed è stato numero 26 ATP con due tornei all’attivo, e l’americano delle Bahamas Ryan Sweeting, campione juniores agli US Open nel 2005 e vincitore a Houston nel 2011. Alcuni vincitori di slam juniores non sono mai entrati tra i primi 100 giocatori della classifica mondiale pur essendo nati prima del 1990. Stiamo parlando del francese Alexandre Sidorenko (best ranking al n°145), dell’australiano Brydan Klein (174), del bielorusso Uladzimir Ignatik (137), dello statunitense di origine ucraina Alex Kuznetsov (120) e del ceco Dusan Lojda (161). Non ci resta dunque che sperare sui giovanissimi, tra i quali l’australiano Nick Kyrgios (classe 1995) sembra decisamente il più promettente. Il ragazzo di Canberra ha appena vinto il challenger di Nottingham partendo dalle qualificazioni e aggiudicandosi ben 8 incontri consecutivi; in primavera si era imposto sulla terra americana di Sarasota e Savannah dopo aver superato un turno nel tabellone principale degli Australian Open e aver destato ottima impressione in Coppa Davis contro la Francia.


Statistiche tennistiche di Roberto Marchesani

1 - I titoli vinti sull’erba da Grigor Dimitrov. Il bulgaro ha battezzato anche questa superficie, dopo aver trionato indoor (a Stoccolma nel 2013), sul cemento (ad Acalpulco) e sulla terra rossa (a Bucarest). E’ il Queen’s Club di Londra a consegnargli la prima gioia erbivora, battendo Feliciano Lopez in tre tie-break (6-7 7-6 7-6) salvando un match-point nel secondo set. - la sconfitta – l’unica ancora oggi – di tutta la carriera di Rafael Nadal, patita al Roland Garros. Rimane Robin Soderling il fautore dell’impresa, quando correva il giorno 31 maggio 2009. Nadal ha chiuso ancora una volta imbattuto la sua ennesima campagna parigina : 66-1 il bilancio.

- gli Slam vinti da Novak Djokovic negli ultimi 9. Il successo degli Australian Open 2013 è l’unico trionfo a fronte di 8 fallimenti, incluse 5 finali (Roland Garros e US Open 2012, Wimbledon e US Open 2013, Roland Garros 2014). 2 - i quarti di finale giocati da Ernests Gulbis nei tornei dello Slam. A quello del Roland Garros 2014 va aggiunto quello giocato al Roland Garros nel 2008. Il lettone si spingerà oltre, andando in semifinale per la prima volta, perdendo da Novak Djokovic. 3 - i futures vinti da Gianluigi Quinzi nell’ultimo mese, in 3 settimane consecutive. Il marchigiano ha conquistato in serie Galati (Romania), Sofi e Casablanca (Marocco). - le sconfitte consecutive sull’erba per Rafael Nadal. Dopo quelle con Rosol e Darcis nelle ultime due edizioni di Wimbledon, arriva la terza battuta d’arresto contro Dustin Brown ad Halle.


- le finali Slam perse in successione da Novak Djokovic. Quella del Roland Garros 2014 si aggiunge alle finali di Wimbledon 2013 e US Open 2013. 4 - i mesi passati da Jerzy Janowicz senza vincere una partita. Il polacco rompe l’incantesimo negativo al Roland Garros, vincendo il suo match di 1° turno. Era da febbraio che perdeva ogni partita sul tour. E’ arrivato a collezionare 9 sconfitte consecutive. 5 - i titoli vinti da Philipp Kohlschreiber nella sua

carriera. Il tedesco taglia questo traguardo a Dusseldorf, nel suo paese, battendo Ivo Karlovic - le finali perse da Ivo Karlovic in carriera, con la sconfitta a Dusseldorf contro Philipp Kohlschreiber. - i trionfi consecutivi di Rafael Nadal al Roland Garros (2010,’11,’12,’13,’14). E’ il primo uomo della storia a vincere 5 Roland Garros consecutivi, battendo il record (fissato a 4) di Borg. 6 - i titoli vinti da Ernest Gulbis in carriera, con l’ultimo ottenuto a Nizza, in Francia, sul rosso. Il lettone ha la particolare caratteristica di un perfetto score di realizzazione nelle finali, pari al 100%. 6 finali giocate, 6 finali vinte. - le sconfitte al 1° turno del Roland Garros per Julien Benneteau, la prima subita dal 2009. 7 - le sconfitte in carriera di Grigor Dimitrov nel 1° turno di un Grand Slam, con la sconfitta di Parigi contro Ivo Karlovic. - i titoli di Roger Federer ad Halle (2003,’04,’05,’06,’08,’13,’14), l’ultimo battendo Falla per la settima volta su 7 confronti diretti con un doppio tie-break 7-6 7-6. Nel segno del 7.


8 - i match giocati da Stanislas Wawrinka dopo il suo successo a Montecarlo. Il desolante bilancio per lo svizzero, campione in carica dell’Open d’Australia, è di 4 vittorie e 4 sconfitte. 9 - le partite giocate – e vinte – da Novak Djokovic contro Marin Cilic. Il suo perfetto record continua con il successo al Roland Garros, nel 3° turno. Stessi risultati – 9 su 9 – anche contro Chardy, battuto nel turno precedente sul rosso di Parigi. - i Roland Garros vinti da Rafael Nadal – un record mostruoso. L’ultimo va ad aggiungersi a quelli conquistati nel 2005,’06,’07,’08,’10,’11,’12 e’13

12 - le sconfitte consecutive di Marinko Matosevic in un 1° turno Slam, prima di ottenere la sua prima vittoria in un main draw al Roland Garros, battendo Dustin Brown. - gli ottavi di finale raggiunti da Federer al Roland Garros, nuovo record all-time per il torneo, battendo il precedente primato di Guillermo Vilas, fermo a 11 partecipazioni nei last 16. 16 - gli anni passati dall’ultima volta (era il 1998) che il campione maschile dell’Australian Open usciva al 1° turno dello Slam successivo, il

10 - i quarti di finale consecutivi per David Ferrer nei tornei del Grande Slam, raggiunti al Roland Garros 2014 battendo Kevin Anderson.

Roland Garros. Wawrinka eguaglia Korda perdendo mestamente da Guillermo GarciaLopez all’esordio del torneo di Parigi. 17 - le sconfitte consecutive di Filippo Volandri in un torneo dello Slam. A Parigi è stato Sam Querrey a prolungare questa serie negativa. 39 - le partecipazioni Slam necessarie a Guillermo Garcia-Lopez per accedere per la prima volta nella seconda settimana di un Major. Traguardo ottenuto al Roland Garros 2014.



Smart Court, Training Technology di Laura Saggio

Una sorta di Big Brother intelligente

Una sorta di Big Brother intelligente. O ancora, un preparatore tecnologico. E anche, un coach multi-tasking e interattivo. E' il neonato Smart Court, innovativo sistema di raccolta dati, originariamente concepito per il training dei piloti di caccia. Il software altamente sofisticato, ideato dalla società statunitense Play Sight, mediante cinque telecamere HD posizionate in modo strategico su vari lati del campo, raccoglie e organizza le informazioni di gioco (velocità, profondità e rotazione dei colpi, percentuali errori, passi, gocce di sudore, calorie bruciate, metri percorsi) per poi fornire analisi specifiche di un match o di una semplice sessione di allenamento, senza l'ausilio di alcun sensore. Smart Court è dunque una speciale macchina statistica capace di mostrare ogni dettaglio di un match in tempo reale, attraverso un hardware posto sul campo. Una delle caratteristiche di questo sistema che più convince, è la sua funzione di training.

Infatti, Smart Court permette di analizzare puntualmente (anche alla fine del match) tattica, visione del proprio gioco, l'esatta altezza della pallina sopra la rete, selezionando i vari aspetti tecnici di ogni colpo. Inoltre, a conferma della tesi che la tecnologia ha senso solo se condivisa, Smart Court invia con un click gli allenamenti a PC, smartphone e agli amici in rete. Certamente Smart Court fa notizia da solo. Non solamente per la tecnologia all'avanguardia sviluppata, ma anche per come e quanto riuscirà a rivoluzionare i piani di allenamento pre e post match. Ma a fare ancora più notizia, sembra impossibile, ma è vero, è l'aspetto riguardante i finanziamenti che la Società americana ha ricevuto per l'espansione globale del progetto. Ben 3 milioni e mezzo di dollari provenienti da nomi eccellenti, quali, su tutti, il numero due al mondo Novak Djokovic. E, ancora, la sei volte vincitrice di Grand Slam, Billie Jean King; Bill Ackman (fondatore di Pershing Capital Managment LLC); Mark Ein (membro della International Tennis Hall of Fame); e Jim Loehr (co-fondatore di Human Performance Istitute e coach di Jim Courier e Monica Seles).


la tecnologia di Shachar è molto potente, è un grande strumento a disposizione dell'allenatore e del giocatore

Cen Shachar, CEO di Play Sight, ha dichiarato che avere un gruppo di investitori così importanti e noti che condivide le potenzialità del progetto, è motivo di grande orgoglio per la società: “Noi miriamo a una diffusione globale di Smart Court, per mettere la nostra tecnologia a servizio sia dei Top Player che dei club. Questa tecnologia cambierà per sempre il modo di giocare a tennis”. Attualmente la diffusione degli Smart Court è di 35 impianti a livello internazionale, 19 nei soli Stati Uniti. La Play Sight si è però prefissata l'obiettivo di installare 100 dispositivi Smart Court entro la fine del 2014 nell'area tra New York, Florida e California. Certamente l'ambiziosa e rivoluzionaria sfida, da sempre molto contrastata, di 'tecnologizzare' il tennis, con Smart Court è iniziata definitivamente. Siamo certi che, visto anche il peso dei supporters, questo sistema troverà spazio in numerosi campi, anche di prestigio. D'altronde ha già iniziato a mettere i suoi 'occhi intelligenti' al Roland Garros, al Court Sense Tennis Training Center in New Jersey, al Quees Club in Londra, alla Stefan Edberg's Academy in Svezia, alla Holland's Laurense Tennis Academy, e infine, al Ramat Hasharon Tennis Center in Israele. E, anche se i romantici puristi di un tennis d'altri tempi storceranno la bocca, il futuro passerà da qui.


Lo Slam che non ha mai amato Pete Sampras di Princy Jones

Pete Sampras è una leggenda, senza dubbio, ma gli è sempre mancata una cosa....

Pete Sampras è una leggenda, senza dubbio; vincitore di 14 titoli del Grande Slam, il suo record di numero 1 del ranking per il maggior numero di anni, anche consecutivi (1993-1998), rimane ancora ineguagliato. Tuttavia, questa icona del tennis, in tutta la sua gloria, non è mai riuscito a sollevare il trofeo del Roland Garros. In 14 anni di carriera, la sua miglior prestazione a Parigi è stata raggiungere le semifinali nel 1996. È una leggenda, senza dubbio, ma la sfortuna degli Open di Francia getterà sempre un’ombra sulla magnificenza della sua carriera. Di tutti i quattro Grandi Slam, l’Open di Francia è il più duro e anche il più “fazioso” – la terra rossa ha i suoi preferiti e ci vuole di più del solo talento per conquistare questa superficie.

Lo Slam è famoso per far crollare le teste di serie, di conseguenza rende vana ogni previsione; nonostante ci siano delle eccezioni come Bjorn Borg e Rafael Nadal. Storicamente però, il Roland Garros ha voltato le spalle a molti giocatori famosi – Boris Becker, Stefan Edberg, John McEnroe, Jimmy Connors, ecc., per menzionarne alcuni. Su un campo dove potenza e velocità significano poco, questi giocatori sono inciampati durante il loro percorso nonostante i ripetuti tentativi. Il nome più significativo è probabilmente quello di Pete Sampras, tenendo a mente i suoi tanti record. Agli Open di Francia, Sampras ha perso otto volte sia nel primo sia nel secondo turno; ha raggiunto i quarti di finale almeno tre volte e la semifinale una volta durante la sua carriera. Nel 1994 si avvicinò al completamento del Career Grand Slam dopo aver vinto Wimbledon, Open degli Stati Uniti e Open d’Australia consecutivamente ma è stato poi facilmente smontato da Jim Courier, giocatore che aveva precedentemente sconfitto nella finale di Wimbledon.


L’anno successivo, subì una vergognosa uscita al primo turno per mano di un relativamente sconosciuto Gilbert Schaller dall’Austria. Battendo il numero uno al mondo e seconda testa di serie, Schaller dimostrò che Sampras non era formidabile ma piuttosto un giocatore vulnerabile sulla terra. Nel 1996 però, con la sorpresa di tutti, Sampras, testa di serie numero 1, raggiunse le semifinali del torneo, sconfiggendo lungo il percorso grandi favoriti come Sergi Bruguera e Jim Courier. Quell’anno fu il suo miglior tentativo di vincere il torneo sulla terra ma Yevgeny Kafelnikov si dimostrò troppo bravo per lui. La sesta testa di serie sconfisse Pete Sampras in tre

set netti 7-6, 6-0, 6-2; in seguito il russo vinse il torneo quell’anno. Più tardi Sampras dovette pagare il prezzo della sua durata maggiore agli Open di Francia subendo una prematura sconfitta a Wimbledon il mese successivo. Nessuno aveva previsto la sua sconfitta contro Richard Krajicek ai quarti di finale e fisicamente prosciugato Sampras si arrese facilmente all’avversario olandese, che era testa di serie numero 17. Il 1996 fu il suo miglior anno di sempre al Roland Garros ma fu anche il suo peggiore a Wimbledon. Non è giusto trarre conclusioni ma Sampras non andò mai oltre il terzo turno agli Open di Francia dopo quella volta. Tra l’altro, per i quattro anni seguenti, vinse quattro titoli consecutivi a Wimbledon. È chiaro che lo stile di gioco di Sampras non è mai stato adatto ai rimbalzi alti e lenti dei campi in terra. I suoi servizi penetranti e le volée affilate diventavano inerti sulla terra. A differenza dell’erba, non è mai riuscito a tirar fuori quella magia sulla terra – il campo era così inadatto al suo gioco che faceva impazzire il campione solitamente molto composto! Sampras è conosciuto per il suo atteggiamento freddo ma agli Open di Francia era un uomo diverso, specialmente quando commetteva errori. Calciava la terra, sbatteva la racchetta e d’un


Sfortunatamente, il suo fallimento nel completare il Career Grand Slam gli ha impedito d’essere premiato come G.O.A.T. tratto, gettava l’asciugamano e faceva schizzare la pallina sugli spalti. Una volta ricevette persino un warning dall’arbitro per abuso di palla. Dopo la sua uscita al secondo turno nel 1999, il campione devastato disse alla stampa: “Ero molto frustrato. Volevo darmi un contegno. Sono ancora noioso, non dimentichiamolo. Ma ero sul punto di rompere qualche manico.” “Su tutte le superfici si tratta d’istinto naturale. A volte sulla terra il mio istinto non è la scelta giusta,” aggiunse. Sampras arrivò persino ad assumere l’esperto di terra Jose Higueras come allenatore in un disperato tentativo di vincere a Parigi.

Nemmeno la magia di Jose fece granché per aiutare l’americano. Nonostante fosse il numero 1 al mondo e più volte vincitore di Grandi Slam, Sampras fu il meno temuto sulla terra. Come dice Andre Agassi, “Pete era ovviamente impareggiabile sui campi più veloci ma durante la stagione della terra, i tennisti volevano giocare contro di lui. Era l’occasione per ottenere una vittoria contro di lui, era l’opportunità di batterlo.” Agassi aveva ragione – gli Open di Francia è l’unico torneo dove giocatori di bassa classifica potevano far cadere Sampras. Era al livello di qualunque altro principiante al Roland Garros. La terra per Pete Sampras era come l’erba per Ivan Lendl.



Poveri Futures....e se lo dice Andy Murray di Laura Saggio Durante una recente intervista alla Bbc, Andy Murray, afferma convito che il futuro del tennis passi attraverso un adeguamento del prize-money dei tornei minori

“Molto spesso nei tornei Futures, non si riescono a coprire le spese del viaggio e dell'alloggio settimanale, nonostante la vittoria del torneo. E' un gioco a perdere”. Queste le parole del campione scozzese alla Bbc, che ha posto l'attenzione su una questione cruciale: il passaggio dal tennis dilettantistico a quello professionistico. Il vincitore di Wimbledon (guadagno netto di 1,7 milioni di sterline) ha ricordato che il montepremi del circuito Future Itf è rimasto invariato dal lontano 1998, nonostante il 'rincaro' del 53% del costo della vita. I numeri in denaro dei Futures parlano da soli (specialmente se paragonati agli Slam), al vincitore vanno 850 sterline, mentre chi si ferma ai quarti di finale guadagna solo 175 sterline.

“Vogliamo rendere il tennis uno sport migliore, permettendo a un maggior numero di giocatori di riuscire a vivere di questo sport. In tanti devono smettere a ventuno o ventidue anni perché i loro guadagni non sono sufficienti. I tornei dello Slam ovviamente consentono di incassare molti soldi, e con essi i migliori del mondo potrebbero certamente essere d'aiuto ai più giovani”. Così Murray incalza e lancia una sorta di appello ai suoi colleghi Top Player. Sembra incredibile, ma l'obiettivo minimo per un tennista che decida di intraprendere la strada del professionismo è entrare nella top 100. Oltre è off-limits. Un altro pianeta. Un altro sport. Oltre servono investimenti, molti. E non tutte le Federazioni hanno il coraggio di puntare su un giovane talento. Il paradosso ce lo spiega il caso Liam Broady, talento britannico di 20 anni, attuale numero 390 ATP. Broady, finalista a Wimbledon e agli US Open juniores e vincitore di un Australian Open e di un'edizione di Wimbledon juniores nel torneo di doppio, la scorsa annata ha chiuso la


La strada è ancora lunga e in gioco c'è sicuramente il bene e il futuro del tennis, che, si sa, parte dai talenti in erba. sua stagione portando a casa appena 1.830 sterline. In suo favore è intervenuta la Lawn Tennis Association, la federazione britannica, che grazie al supporto economico che gli ha fornito, ha permesso al giovane tennista di tentare la scalata alla top 100 ATP. Queste le parole del britannico:“mi è stato detto che nel circuito maschile bisogna essere almeno nella top 160 per riuscire a guadagnare. Io conosco giocatori di talento che non sono riusciti a raggiungere tale posizione perché non avevano i soldi per andare avanti. Tra l'altro, è difficilissimo arrivare nella top 100, ma è altrettanto complicato uscirne e questo penalizza chi sta fuori dai primi 100”. Certamente questa questione riguardante i montepremi dei tornei minori e maggiori, è controversa e datata. In campo, a giocare la partita sono in molti, compresi i Top (Politycal) Players del tennis internazionale, che ovviamente puntano tutto, o quasi, sullo spettacolo garantito. Ad ogni modo, sembra che la Itf stia cercando di incrementare i guadagni dei giovani tennisti. I tornei si sono moltiplicati ed è in discussione una riforma del circuito, in collaborazione con la WTA e l'ATP. E, recentemente, anche i comitati organizzatori dei quattro Slam hanno dibattuto in favore di un accordo riguardante l'aumento dei premi in denaro per i tennisti eliminati ai primi turni. Vedremo.



Travaglia la rivincita e il sogno di Laura Saggio

Stefano Travaglia, attuale n. 258 al mondo, è entrato nel tennis internazionale dopo l'eroico primo turno giocato, e lottato, sulla terra rossa di Roma

Stefano Travaglia, classe 1991, segni particolari: volontà, determinazione, coraggio e cuore. Dentro, ma sopratutto fuori, il campo. La sua storia personale: il suo punto vincente. A Roma, durante le pre-qualifaczioni degli Internazionali, si è presentato silenziosamente al grande pubblico, che ha applaudito le sue vittorie accompagnandolo a quel 'miracoloso' primo turno del tabellone principale (perso poi di misura contro l'azzurro Bolelli). “E' un sogno”, questo è stato per Stefano quel traguardo, quel posto tra i grandissimi, quella rivincita che vale quanto una finale in uno Slam. E' così, senza esagerazioni. Il ventiduenne di Ascoli, allenato dall'argentino Sebastian Vasquez, con il suo primo passo

nell'ATP, ci racconta una storia che vale la pena riportare. Tre anni fa, Stefano, infortunatosi gravemente a causa di un incidente domestico, era sul punto di smettere la sua promettente carriera tennistica. Scivolato sulle scale di casa si era procurato, finendo contro il vetro della finestra, diverse lesioni ai tendini e ai muscoli del braccio destro tagliandosi dal polso fino al gomito. Dopo tre settimane in ospedale, due operazioni e oltre un anno e mezzo di fisioterapia, Stefano è ripartito.“Quando ho ripreso a giocare è stato un vero incubo, non avevo la sensibilità alle prime quattro dita della mano destra”. Queste le parole dell'azzurro che a Roma, sorridendo, ha dichiarato anche:“Sto vivendo un sogno, sto giocando bene”. Il suo sogno se l'è guadagnato, sul campo, costruendolo punto dopo punto. Prima di Roma Travaglia ha giocato quasi esclusivamente ai Futures (il livello più basso dei tornei ATP) vincendone tre: due sulla terra rossa in Egitto e uno in Sardegna.


Figli di un tennis maggiore di Sara Di Paolo Essere campioni e genitori ha le sue peculiarità. Accanto alla felicità e ai timori di ogni coppia, vi sono incombenze e interrogativi che vengono dal mestiere.

«Sono felice, è il massimo... Non vedo l’ora di vivere le situazioni da padre. La vedo in positivo. Ti stanchi un pò ma un figlio ti dà nuova energia. Cercherò di vincere tutti i tornei ma con l’arrivo del bambino, il tennis non sarà più la priorità». Segue la firma di Novak Djokovic, prossimo padre (e prossimo marito, la data è il 9 luglio, subito dopo Wimbledon). L’annuncio che Jelena Ristic, la fidanzata, è incinta è solo di pochi settimane fa. Ma alla firma di Nole, potrebbero aggiungersi di seguito molte altre. Quella di Federer, di nuovo padre, e di nuovo alle prese con una coppia di gemelli, Leo e Lenny. E quelle di Haas, di Hewitt, di Bob Bryan, di Agassi, e delle non poche mamme che hanno tenuto alto il vessillo della maternità in un circuito che sembrava creato solo per ragazze disposte a qualsiasi rinuncia pur di vincere, e che invece dall’esempio di Kim Clijsters, di Lindsay Davenport e di Sybille Bammer hanno potuto trarre insegnamenti e nuovi indirizzi.

Perché al contrario di quanto sostiene Serena Williams («Sarebbe bello fare un figlio, ma c'è sempre qualcosa a cui si deve rinunciare in cambio del successo. Tutto ahimè ha un prezzo», disse a Roma, l’anno scorso) essere genitori e campioni è possibile. Impegnativo, certo, e per le ragazze molto di più, ma possibile. Tanto più oggi, con questo tennis anni Duemila che spinge le carriere dei nostri professionisti molto più avanti nell’età, costringendoli inevitabilmente ad affrontare problematiche che un tempo avrebbero preso in considerazione solo più in là, al termine della loro stagione agonistica. Il primo cinguettio Se tutte le coppie del mondo possono convenire sul fatto che essere genitori sia da sempre il mestiere più difficile, e condividere fra loro innumerevoli aspetti quotidiani, dai mille timori legati al cambiamento della vita, alle ripercussioni sul proprio lavoro e sulle dinamiche personali e sociali della coppia, non v’è dubbio che essere campioni e figli di campioni ha le sue peculiarità. Persino banali,


certe volte, dato che un campione ha l’obbligo di annunciare al mondo il lieto evento, e non solo a familiari e amici. In che modo procedere dunque, per dare la notizia e al tempo stesso difendere con le unghie e con i denti la propria privacy familiare? Come per tutti i personaggi noti, anche per i frequentatori del circuito ATP e WTA, è ormai buona abitudine annunciare l’allargamento della propria dinastia attraverso dei post in rete e su Twitter. Ognuno a modo suo… Kim Clijsters (prima mamma numero uno del ranking), annunciò così la nascita del secondogenito: “Ciao a tutti, ho una news molto eccitante da comunicarvi, Jada sta per diventare la sorella

maggiore”. E qualche mese dopo… «È nato Jack Leon. Stiamo entrambi bene… Sua sorella, io e il papà siamo davvero felici”. La vecchia fiamma di Kim, Lleyton Hewitt (con cui finì a un passo dall’altare), postò invece: “Bec, Mia, Cruz e io diamo il benvenuto a una bellissima bambina. La mamma e la neonata stanno benissimo, il papà e i fratellini sono raggianti”. E chi altro? La polacca Klaudia Jans-Ignacik (28ma posizione in doppio nel 2012), in un’intervista molto approfondita raccontò: «La mia gravidanza è andata molto bene, non ho avuto alcun problema. Ho addirittura giocato un po' a tennis fino al settimo mese e ho fatto un sacco di yoga, mi sono preparata in modo di tornare molto più velocemente dopo il parto. Tre mesi dopo la nascita di mia figlia, ho ripreso ad allenarmi e fare tutta la preparazione fisica. È stata dura e sapevo che sarebbe stata un po' più difficile del solito, ma volevo tornare ed essere nuovamente in forma». Mantenersi in allenamento nonostante il pancione quindi; è forse questo il vero segreto? Stando ad alcune testimonianze, sì. Ed ecco che i casi della Davenport o della Bammer, ne divengono in tal modo la prova palese. Il breve lasso di tempo che separò la maternità della statunitense, dalla vittoria dei tornei di Bali e Quebec City; o la foto che ritrasse l’austriaca


mentre sollevava la coppa vinta a Pattaya insieme alla sua bambina, non lasciano dubbi. Anche se sulla questione “maternità”, come si è visto, non tutte le giocatrici la vedono a quanto pare alla stessa maniera… Ma “lo scotto da pagare”, indicato da Serena Williams, riguarda solo le tenniste, o ha ragione Djokovic nel dire che la nascita di un figlio strappa al tennis qualsiasi priorità, e dunque può incidere anche nella carriera di un uomo? Certo molto meno, e le esperienze di Agassi, dei gemelli Brian, o di Haas, ne sono la conferma. Il motivo? Per prima cosa, l’uomo è molto meno coinvolto fisicamente; per non parlare inoltre del numero di fatiche quotidiane a cui viene per natura e cultura sottratto (l’allattamento, la cura dei figli). Lo sanno bene Roger Federer e sua moglie Mirka, che il 6 maggio scorso ha dato alla luce altri due gemelli. Dopo Charlene Riva e Myla Rose, ecco Leo e Lenny, maschietti. Il padre ha rinunciato al torneo di Madrid, poi è venuto in

fretta e furia a Roma, perdendo subito da Chardy. «Finora tutto procede bene e speriamo che rimanga così. Quattro anni fa, quando abbiamo saputo che aspettava due bambine, ci spaventammo. Ma poi invece tutto è andato nel migliore dei modi e ora sembra tutto più facile; soprattutto perché Myla e Charlene stanno ormai crescendo. Ho molta meno paura rispetto a quando seppi di loro. Certo altri due gemelli... È un grande impegno...». Ma non tutti i genitori hanno lasciato che vi fosse un’intercapedine fra lavoro e famiglia, fra lo sport e il cuore. Anzi… Quante testimonianze abbiamo, di tennisti finiti nei guai per colpa di

parenti incapaci di dispensare amore e scinderlo dagli allenamenti o dai match? Normalmente i “genitori ingombranti” non sono quelli che hanno vissuto una dimensione sportiva da campioni, loro, anzi, hanno capito (magari a loro spese) che lasciare liberi i pargoli di compiere le loro scelte è la strada migliore per crescerli felici. Ma la strada dello sport è tappezzata di storie di inenarrabili forzature ai danni di figli destinati allo sport. Capriati, Sharapova, Dokic… Tutti uniti da un unico destino, quello di esser stati partoriti già in forma di campioni, senza infanzia apparente.


"Se si decide di allenare il proprio figlio, diventa difficile separare il ruolo di genitore da quello di coach" Genitori ingombranti “A casa mia mi hanno rovinata; grazie ai miei ho enormi debiti con il Paese. Quando ero una giocatrice, mia madre decideva tutto: la mia acconciatura, i miei vestiti, le mie scarpe”. Questo è quanto si legge all’interno dell’autobiografia firmata Arantxa Sanchez del 2012. E ancora… “Se si decide di allenare il proprio figlio, diventa difficile separare il ruolo di genitore da quello di coach. È impossibile riuscire a parlare di qualcosa che non sia tennis ed è facile che un giovane tennista possa pensare: ok, lasciami vivere un po' la mia vita. Non voglio che influenzi ogni parte di essa.... Vivere i propri sogni attraverso i ragazzi è sbagliato e controproducente".

Ben altra esperienza ha vissuto Ana Ivanovic: «I miei genitori non mi hanno mai messo pressione, mi dicevano solo quanto fosse importante essere felici e di comportarmi bene sul campo. Quella era la cosa più importante per loro. Guardandomi indietro penso a come sia stato bello averli al mio fianco». È questa la strada? Se si deve arrivare ad assumere delle guardie del corpo, per porre fine agli inseguimenti di un proprio caro (come avvenne a Mary Pierce), la risposta appare assolutamente scontata. Altro è chiedersi quanto sia giusto tagliare fuori gli affetti più stretti, nei periodi più bui di una carriera... La verità, è che basterebbe sapersi attenere al proprio ruolo. Anche con un po’ di testa… Tutto qui.


n째 p


Come girano....le palle di Andrea Guarracino

Senam in vivasdam Natum is es Marem escessi licaventis. Ahabesin dem es ce tam

Il conseguimento della massima potenza controllata è indispensabile per raggiungere le vette del tennis professionistico moderno. A tal fine la conoscenza e il corretto utilizzo delle rotazioni che è possibile imprimere alla palla è assolutamente fondamentale. La palla può essere fatta ruotare su assi paralleli, perpendicolari o obliqui al terreno. In questa prima parte ci soffermeremo sulle rotazioni che si sviluppano su un asse parallelo al terreno di gioco. Se la palla ruota dall’alto verso il basso nel suo senso di direzione avremo ottenuto una rotazione in topspin, viceversa se essa ruoterà dal basso verso l’alto avremo conseguito una

rotazione in backspin. Soffermiamoci ora soprattutto sulla rotazione in topspin fondamentale nel gioco moderno. Essa è ottenibile sia di diritto che di rovescio spazzolando la palla dal basso verso l’alto, attaccandola da un piano inferiore a quello d’impatto. Imprimendo alla palla la rotazione in topspin è possibile ottenere i seguenti vantaggi fondamentali : 1- ridurre drasticamente gli errori di rete, in quanto la traiettoria arcuata tipica del colpo consente alla palla di passare ben alta sopra la rete. Pensate che i colpi di Nadal passano mediamente circa 1 metro sopra il net.


2 - ottenere più facilmente profondità nei colpi, in quanto dopo il rimbalzo nel campo avversario la palla tenderà ad aver comunque un rimbalzo più alto e lungo rispetto a un colpo piatto, mantenendo quindi il nostro avversario più lontano dalla rete e quindi meno pericoloso. 3- Possibilità di sfruttare angolazioni strette irraggiungibili con un colpo piatto, che ci consentiranno di ottenere fondamentali aperture di campo laterali. 4- Conseguimento di una maggiore complessità di palla. La palla di un buon professionista gira in avanti sul proprio asse orizzontale più di

duemila giri al minuto. Quella di Nadal è stata misurata fino a cinquemila giri al minuto: una palla che gira così tanto è molto difficile da controllare. 5- Possibilità di variare la velocità della palla, miscelando a piacimento la spinta sull’asse orizzontale e quella sull’asse verticale, modificando quindi il tempo tecnico a disposizione dell’avversario, infastidendo quindi il suo timing. 6- Destabilizzazione dei punti di impatto dell’avversario, con la possibilità di farlo giocare a varie altezze. Nadal sulla terra battuta con il suo diritto mancino incrociato in super topspin fa impazzire anche un grande campione come Roger Federer, costringendolo a giocare costantemente il suo rovescio a una mano sopra il piano delle spalle. 7- Drastica diminuzione anche degli errori di lunghezza grazie all’effetto Magnus : la palla nel suo ruotare in avanti sul proprio asse orizzontale tende a perdere velocità nella sua parte superiore che ruota contro la resistenza dell’aria e invece tende ad acquisire velocità nella sua parte inferiore che invece la asseconda. Di conseguenza nella parte superiore della palla la


pressione esercitata su di essa tenderà ad aumentare, mentre nella parte inferiore a diminuire. Questo effetto fisico porta la palla, attirata ovviamente anche dalla gravità terrestre, a cercare prima il campo di gioco. 8- Possibilità di diversificare poco la velocità di esecuzione dei colpi per ottenere profondità ed altezze diverse: basterà miscelare sapientemente spinta orizzontale e spinta verticale del colpo e questo facilita soprattutto i giocatori non dotati di una grande sensibilità. 9- Miglioramento della sensibilità del giocatore in quanto la palla resterà più a lungo sulle corde, arricchendo notevolmente le memorie motorie del tennista e la sua capacità di sentire meglio i colpi , in una sorta di “ spelling” tennistico.

precedentemente elencati acquisirà sempre maggiore confidenza nel proprio gioco. Nei colpi in topspin l’angolo di rimbalzo al suolo sarà sempre inferiore all’angolo di incidenza e questo a causa della rotazione. L’ampiezza dell’angolo di rimbalzo dipenderà dalle caratteristiche della superficie di gioco. Ogni terreno di gioco ha un attrito e una restituzione che ne determinano la velocità. L’attrito del terreno di gioco influisce sulla spinta orizzontale della palla e la restituzione su quella verticale. La terra battuta, ad esempio, ha una restituzione sulla palla medio-bassa, ma un attrito alto ed è per questo che la palla tende a frenare al

10- Grande aumento dell’autostima e della fiducia nei propri mezzi del giocatore, che accortosi di aver acquisito tutti i vantaggi

rimbalzo e ad alzarsi molto rispetto alle altre superfici. E’ questo il principale motivo delle numerose sconfitte di Federer con Nadal sui campi in terra rossa, come ho già spiegato in precedenza. Un colpo può definirsi in topspin quando la sua componente di spinta orizzontale risulta minore o uguale a quella verticale, mentre lo definiremo lift nel caso della prevalenza dell’azione verso l’alto, come ad esempio nel caso di un pallonetto con rotazione ( lob ). In conclusione, imparare a far girare… le palle nel tennis, al contrario di quanto accade nella vita normale, è di grande e fondamentale aiuto per conseguire l’unico vero obiettivo di ogni tennista che si rispetti : vincere.


Aspetti psicologici nel tennis di Laura Saggio

La Capacità Attentiva

L'idea di una rubrica incentrata sui principali aspetti psicologici legati al tennis, professionistico e non solo, nasce dall'intento di analizzare da vicino uno dei fattori più importanti che caratterizzano la performance agonistica: la mente e le sue capacità cognitive. Oggi, a differenza di alcuni decenni fa, si è consolidata la conoscenza che doti fisiche e tecniche da sole, se non supportate da solide caratteristiche mentali, non bastano ad un atleta che vuole raggiungere risultati e obiettivi elevati. Perché alcuni atleti durante il match hanno ripetuti cali di attenzione, con conseguenziale calo del gioco espresso, mentre altri riescono a mantenere uno standard di concentrazione più costante?

L'attenzione è una delle principali varianti che influenzano l'andamento di un incontro e può essere determinante ai fini del risultato. Per questo la psicologia dello sport è parte integrante della preparazione di un atleta, supportandolo sia nella gestione e nel superamento di problematiche che impediscono l'ottimizzazione del suo lavoro, che nel miglioramento della prestazione agonistica attraverso specifiche tecniche di allenamento mentale (capaci di incrementare notevolmente la sensibilità psico-fisica dell'atleta). Riassumendo possiamo dire che la prestazione di un giocatore è condizionata prevalentemente da quattro requisiti fortemente collegati tra loro: 1.requisiti tecnico-tattici 2. requisiti coordinativi 3. requisiti condizionali (resistenza, forza, velocità) 4. requisiti psicologici (capacità attentive, cognitive, psicomotorie e controllo delle emozioni)


Iniziamo dunque a vedere più da vicino la capacità attentiva nel tennis, provando a rispondere alla domanda che ci siamo posti poco sopra. L'attenzione in medicina viene definita come il processo che consente di indirizzare e concentrare l'attività psichica su un determinato oggetto, di ordine sia sensoriale che rappresentativo. Chi pratica uno sport di situazione, come il tennis, deve sviluppare e allenare una caratteristica specifica dell'attenzione che è la 'selettività': l'atleta, non potendo elaborare contemporaneamente tutti gli stimoli che gli arrivano, deve selezionare e dividere quelli

rilevanti da quelli irrilevanti, che possono essere quindi tralasciati. La risposta di questa azione selettiva porta ad ottenere un sistema attentivo ampio o ristretto e interno o esterno. Per il tennista il focus attentivo dovrebbe essere circoscritto all'interno del campo da gioco e la sua attenzione rivolta a stimoli specifici (quali il posizionamento dei piedi dell'avversario, i movimenti attuati per colpire la palla e il tipo di rotazione scelta); e a stimoli generali (la lettura rapida del gioco dell'avversario, la visione completa del campo per decidere dove e come indirizzare i propri colpi). Ovviamente più il livello del tennista è alto, più il gesto tecnico diventa automatico e l'attenzione rivolta all'aspetto tecnico e motorio si indirizza verso l'aspetto tattico/strategico. Veniamo ora all'attenzione durante il match. Come abbiamo precedentemente detto, i problemi di concentrazione durante una partita possono essere diversi e frequenti e spesso rappresentano l'ago della bilancia che proietta un incontro verso la vittoria o la sconfitta. La partita, essendo il momento di verifica di tutto il lavoro svolto e tavolo di confronto tra potenzialità, capacità e personalità tra i due avversari, crea inevitabilmente uno stato emotivo alterato, a volte causa di 'disattenzione'.


Per evitare problemi attentivi, gli atleti entrano in campo in piena “trance” agonistica Per evitare problemi attentivi, gli atleti entrano in campo in piena “trance” agonistica grazie all'ausilio di alcuni modelli di preparazione che portano alla giusta concentrazione e attenzione da gara (quali la pratica del Mental Traning-che analizzeremo successivamente-, il riscaldamento, la ripetizione di rituali). Solitamente i giocatori che evidenziano maggiori problemi attentivi sono quelli che praticano un gioco assoggettato a una continua analisi di situazione e adattamento delle scelte tattiche. Mentre i giocatori mono-tattici come, i serve and volley puri alla Edberg, o i maratoneti alla Muster, riescono a mantenere alta l'attenzione per tutta la durata del match, forti (in questo caso) delle poche scelte da compiere.

In sostanza, per i giocatori più completi sia tatticamente che tecnicamente, avendo a disposizione un ventaglio ampio di colpi, il lavoro attentivo dovrà essere ancora più curato e rafforzato, per ridurre al minimo scelte sbagliate e dunque errori. L'avere un maggior numero di soluzioni però spesso gioca anche a favore, infatti il tennista pluri-tattico riesce a trovare più facilmente vie d'uscita durante la partita, consapevole di avere più mezzi per riaddrizzare un match che si sta mettendo male. Questo il primo quadro generale su un fattore cognitivo determinante di prestazione, quale appunto la capacità attentiva.




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