Marzo - numro 24
TENNIS WORLD La rinascita e la salute del tennis Americano
Federer - Dubai Riflessioni di inizio anno Nishikori - intervista Il talento può diventare un problema Nick Kyrgios La generazione di mezzo
Le riflessioni di inizio anno by Chiara Gambuzza Quando si conclude un torneo, soprattutto quando a concludersi è il primo Slam dell'anno, tante sono le riflessioni che si fanno.
Quando si conclude un torneo, soprattutto quando a concludersi è il primo Slam dell'anno, tante sono le riflessioni che si fanno. Le analisi riguardano soprattutto i giocatori più forti ma non solo e ci si chiede se quanto visto in Australia può essere una fedele proiezione di quanto accadrà nel corso della stagione 2015. Prevedere cosa accadrà nell'arco di 10 mesi è sempre molto difficile ma certamente gli "spunti" australiani sono stati molteplici. Il trionfatore a Melbourne è stato Novak Djokovic e il serbo si trova in cima al ranking mondiale meritatamente. Numeri alla mano e basandoci sul livello di gioco da lui espresso, è probabile che abbia consolidato la sua posizione in classifica già nel primo mese dell'anno.
E' un giocatore che si adatta a tutte le superfici e il Roland Garros è l'unico Slam che manca al suo palmares. Lui stesso ha ammesso che è il grande obiettivo del 2015 e combatterà per far sì che il suo nome venga scritto nell'albo d'oro del torneo paragino. Solido e determinato sono gli aggettivi che possiamo utilizzare per descrivere questo avvio di stagione. Da alcuni anni a questa parte la solidità è invece una caratteristica che non appartiene a Roger Federer. Il suo 2014 sarà ricordato come un anno fantastico, segnato dal trionfo in Coppa Davis e dalla vittoria di tanti tornei. L'amaro in bocca, dal suo punto di vista,lo ha lasciato la finale di Wimbledon in cui non è riuscito a portare a termine la rimonta.
Le considerazioni, di solito, vengono fatte alle fine di un percorso ma quanto accaduto a Melbourne può rivelarsi un presagio, uno specchio fedele di questa annata. Ha giocato gli ultimi 20 Slam vincendone "soltanto" uno. La stanchezza accumulata alla fine del 2014, si è fatta sentire non solo durante il match con Seppi ma anche nei turni precedenti. Un Federer ad intermittenza che però è sempre pronto a stupire e a lasciare il segno quando conta. A detta di molti, le sue chance di vincere ancora un Major sono legate al torneo di Wimbledon, ma nulla è impossibile soprattutto per un campione del suo calibro. Tanti punti interrogativi incombono nella testa di Rafael Nadal. Lo spagnolo si è presentato a Melbourne in condizioni fisiche incerte ed è apparso vulnerabile rispetto al passato tanto da perdere seccamente da un avversario che lo aveva battuto circa 9 anni fa. Il cemento, soprattutto quello di Melbourne, non gli è mai stato amico se escludiamo il 2009, e
appare molto chiaro che Rafa vede ROSSO. In tutti i sensi. Riuscire a vincere "La Decima" a Parigi avrebbe dell'eccezionale e dell’incredibile allo stesso tempo, ma deve fare attenzione a non scendere troppo in classifica in questi primi mesi del 2015. Il ristretto cerchio dei Fab4 si conclude con Andy Murray. Lo scozzese ha raggiunto la finale a Melbourne Park ma, ancora una volta, non ha convinto. Si trovava ad affrontare un avversario oggettivamente più forte di lui ma le occasioni non sfruttate sono state parecchie. I passi avanti da lui compiuti sono tanti ma ci si aspetta sempre di più. Amelie Mauresmo è stata scelta proprio per questo. Le considerazioni, di solito, vengono fatte alle fine di un percorso ma quanto accaduto a Melbourne può rivelarsi un presagio, uno specchio fedele di questa annata.
Australian Open: le piccole sorprese del tabellone maschile by Giorgio Giannaccini
Possiamo dirci soddisfatti per le rinascite di vari giocatori
Tralasciando per un momento le imprese dei maggiori giocatori del nostro circuito e le fasi ultime degli Australian Open che hanno visto, come al solito, in finale un monologo tra due Fab Four, possiamo dirci soddisfatti per le rinascite di vari giocatori che sono tornati presenti addirittura in un palcoscenico importante dopo diverse annate non proprie positive. Oltre a due nostri connazionali che hanno figurato bene, cioè Paolo Lorenzi e Andreas Seppi. Il primo è finalmente riuscito a sfatare il tabù del primo turno in un torneo dello Slam, andando a sconfiggere un acciaccato Dolgopolov - partita comunque non semplice, vista la grande differenza fra i due in fatto di tennis giocato e classifica. Al toscano rimane - sebbene questa evoluzione qualche rimpianto per l'epilogo nella partita persa al secondo turno contro il canadese Pospisil, dove ha perso con l'onorevole punteggio di 6-7(3) 7-6(4) 6-3 6-4 contro uno dei migliori giovani adesso in circolazione.
Venendo invece ad Andreas Seppi, ha fatto sicuramente clamore in tutto il mondo la sua vittoria contro il re del tennis moderno, Roger Federer, vittoria ottenuta per 6-4 7-6(5) 4-6 7-6(5), grazie ad una prestazione molto solida, non straordinaria ma di alto livello, conclusa con un match point pazzesco. Sicuramente sono più i demeriti di Federer ad aver contribuito a questo incredibile risultato, difatti l'elvetico non è sembrato in condizione fisica ottimale, molto scarico e poco reattivo sulle gambe. La sconfitta invece rimediata nel turno successivo da Andreas contro l'australiano Kyrgios, non credo che sia un passo indietro, anzi. A parer mio, Seppi ha giocato nettamente meglio del match contro Federer, trovando semplicemente un avversario più forte di quello che era stato lo svizzero nella giornata precedente, e la qualità del tennis è stata nettamente maggiore e più piacevole agli occhi. C'è da dire che quasi certamente Kyrgios diventerà un grande giocatore, ha mostrato di avere tecnicamente tutti i colpi, di avere fisico, e di avere anche una dote molta rara oggi: estro e fantasia (si vedano le sue discese a rete e le sue palle corte, unite con la potenza di ambedue i colpi da fondo campo).
E anche di avere testa, ha lottato punto su punto contro un giocatore di grande esperienza come Seppi, annullando un match point e imponendosi con un tiratissimo 5-7 4-6 6-3 7-6(5) 8-6, davvero una grande impresa. Rimane buona l'avventura di Andreas in Australia. Parlando invece di giocatori stranieri, mi hanno ben impressionato i vari Gilles Muller, il ritorno a buoni livelli di Marcos Baghdatis, e la crescita miracolosa compiuta da Donald Young. Andando con ordine e parlando del lussemburghese Gilles Muller, dobbiamo dire che in realtà non è neanche una sorpresa così assoluta: l'ex numero 1 al mondo nella categoria Juniores aveva già ben figurato negli Slam, ottenendo un quarto di finale
agli Us Open nel 2008 e due terzi turno a Wimbledon nel 2005 e nel 2011, in più il suo bel gioco, fatto di serve and volley e chip and charge, si dimostra molto adatto per le superfici veloci, sia in erba che cemento. Inoltre è apparso più solido dalla parte del rovescio dove, oltre a giocare il suo classico back radente, ha migliorato il suo rovescio bimane in top, conferendo al suo gioco una migliore solidità difensiva da fondo campo. I risultati parlano chiaro visto che ha raggiunto il quarto turno degli Australian Open, battendo forti giocatori come Roberto Bautista Agut e John Isner, dovendosi arrendere solo al numero 1 al mondo, Novak Djokovic, peraltro in 3 tiratissimi set per 6-4 7-5 7-5. Ritorno, invece, improvviso quello di Marcos Baghdatis, che da mesi sembrava essersi persa ogni possibile traccia di quel giocatore che nel lontano 2006 aveva centrato la finale degli Australian Open e la semifinale nei Championships di Wibledon. Australian Open molto intenso e spettacolare per il cipriota che nel match d'esordio ha estromesso dal tabellone il potentissimo russo Teymuraz Gabashvili in un lungo e lottato match per 6-2 6-7 3-6 6-4 6-4, poi nel secondo match ha sconfitto il giovane e talentoso belga David Goffin in 4 set (6-1 6-4 4-6 60), per poi cedere al terzo turno contro il colui che potrebbe diventare il nuovo Federer per stile di gioco: Grigor Dimitrov. Il bulgaro ha avuto grandi difficoltà contro il cipriota, solo un calo fisico avvenuto al quarto set ha permesso al bulgaro di aggiudicarsi la partita
contro il più anziano rivale per 4-6 6-3 3-6 6-3 6-3. Baghdatis ha comunque dimostrato di essere tornato al top della forma come gioco espresso e di essere ancora un giocatore temibile per tutti i giocatori del ranking mondiale. Finiamo la nostra rassegna con colui che forse è stata la maggiore sorpresa in fatto di crescita tennistica di questi Australian Open: Donald Young. Questo ragazzo afroamericano, sebbene la giovane età, non era affatto sconosciuto nel mondo del tennis: eterna promessa incompiuta degli Stati Uniti, nonché pupillo di John McEnroe che aveva asserito che tale ragazzo fosse più talentoso addirittura di lui stesso, aveva fino a qui deluso per anni. Sembrava totalmente privo di requisiti tecnici superiori agli altri. Quello visto quest'anno agli Australian Open è sembrato tutt'altro giocatore. Nonostante abbia perso appena al secondo turno, e tra l'altro non contro un giocatore qualsiasi, ma contro Milos Raonic, numero 8 del mondo, per 6-4 7-6(3) 6-3, ha mostrato notevolissimi cambiamenti tecnici.
La prima di servizio che un tempo viaggiava a velocità soporifere si è trasformata in un'ottima prima che garantisce buona spinta e un discreto numero di servizi vincenti, il dritto non è più solo anticipo ma anche potenza che consente di comandare lo scambio e fare anche diversi vincenti, in più il rovescio piatto, usato quasi sempre per il palleggio da fondo campo, appare ottimo a livello di timing, pulito nell'impatto, e davvero molto solido negli scambi. Se uniamo a queste doti tecniche anche una buona intelligenza tattica dimostrata negli attacchi contro tempo a rete che assicurano punti facili vinti a rete, e un uso giusto e mai fuori luogo del back di rovescio – insieme ad un rafforzamento fisico del ragazzo stesso piuttosto evidente nei recuperi e
nella potenza dei colpi – allora ci troviamo di fronte a un potenziale top 30, se continuerà su questa strada. I presupposti ci sono e i risultati stanno venendo, infatti, dopo l'Australia, Young ha collezionato una semifinale a Memphis e una finale a Delray Beach. Forse sarà davvero il momento buono? Staremo a vedere...
Australian Open la rinascita a stelle e strisce by Marco Avena
Gli Stati Uniti sono più vivi che mai nel mondo del tennis, per lo meno al femminile
Una rinascita a stelle e strisce. Gli Stati Uniti sono più vivi che mai nel mondo del tennis, per lo meno al femminile perché se in campo maschile agli ultimi Australian Open il meglio l'hanno saputo ottenere John Isner e Steve Johnson arrivando fino al terzo turno, tra le donne è stato un autentico tripudio che fa ben sperare, la USTA, la federazione americana della racchetta in molti altri anni di dominio, anche quando le sorelle Williams decideranno di smettere. L'inossidabile 'Serenona' Williams si è aggiudicata il torneo – il 19° Slam in carriera – e Madison Keys si è fermata in semifinale proprio contro la connazionale che insieme alla sorella Venus ne ispirò la carriera.
Ai quarti e agli ottavi erano stata invece, rispettivamente, la già citata Venus e Madison Brengle ad arrendersi proprio contro la Keys. Tutto qua? Niente affatto perché fino al terzo turno ci erano arrivate anche Coco Vandeweghe, Varvara Lepchenko e Bethanie Mattek-Sand. Un risultato di tutto rispetto visto che nessun altro paese è stato capace di fare meglio al Melbourne Park, a conferma di un movimento che vive di una sua linfa vitale proprio grazie a quanto sono state capaci di fare le sorelle Williams negli ultimi anni e di un sistema tennis che, seppur in tono minore rispetto al passato, ancora funziona. La stessa Venus è tornata a giocare un quarto di finale a distanza di cinque anni dall'ultima volta,
In un tennis sempre più globalizzato, quello ottenuto agli Australian Open 2015 è un risultato di altissima qualità
confermando ancora determinazione e voglia di lottare sul campo. In un tennis sempre più globalizzato, quello ottenuto agli Australian Open 2015 è un risultato di altissima qualità, una parziale risposta anche al guru Nick Bollettieri che neanche qualche mese fa, agli US Open, lamentava la presenza di una sola giocatrice – Serena Williams – e di nessun giocatore agli ottavi di finale del torneo newyorkese e sentenziava la morte del tennis americano. Forse il tempo darà ragione al buon Nick, ma di fatto quanto fatto vedere quest'anno in Australia ha sentenziato che il tennis 'Made in USA' in rosa è più vivo che mai, la conferma che Williams e socie possono portare nuovo grande lustro a un paese che fino a un paio di decenni fa era considerato il 'non plus ultra' del tennis mondiale anche grazie al suo sistema universitario. Già, proprio quei campionati NCAA che erano il bacino di utenza da cui attingere per lanciare i migliori tennisti nei circuiti pro e che oggi invece sono snobbati dalla maggior parte dei migliori. Oggi, – ma già ieri, basti ricordare il talento in erba di Jennifer Capriati, passata professionista a 13 anni e 11 mesi – la situazione è radicalmente cambiata e le esigenze di uno sport che ti porta a crescere il prima possibile fanno virare le famiglie su altre soluzioni.
Keys - Difficile dire quando entrerà nelle top 5: di sicuro, con lei in campo il tennis americano potrà stare tranquillo ancora per un bel pezzo. Basti pensare che la stessa Madison Keys, colei su cui la leggendaria Chris Evert si è sbilanciata dicendo che “può diventare la numero 1”, mise piede in campo la prima volta da pro a 14 anni e 84 giorni. Proprio Madison ha tutte le carte in regola per prendere in mano il testimone che prima o poi le lasceranno le sorelle Williams e dalle quali ha appreso il mestiere del tennis: potenza, timing e velocità di palla sono le caratteristiche che meglio la contraddistinguono. Difficile dire quando entrerà nelle top 5 o, come spera e afferma la Evert, potrà diventare numero 1. Di sicuro, con lei in campo il tennis americano potrà stare tranquillo ancora per un bel pezzo.
La realtà che inganna by Giovanni Larosa
Un'analisi sul tennis americano femminile degli ultimi dieci anni
Febbraio 2005. Lindsay Davenport è numero uno del ranking mondiale, seguita da Amelie Mauresmo e da Serena Williams. Il tennis americano vive un periodo di ottima salute, con Venus Williams e Jennifer Capriati in top ten. Dodici titoli WTA portati a casa nella stagione precedente, il quartetto americano è, di gran lunga, il più forte sulla scena mondiale, con la sola Russia di Myskina, Dementieva e delle giovani Sharapova e Kuznetsova a tenere testa. Febbraio 2015. A dieci anni di distanza la situazione del tennis statunitense è decisamente diversa. L'unico punto in comune è rappresentato dalla leadership nel ranking WTA, saldamente ancorata nelle mani di una Serena Williams che, nonostante il passare degli anni, è ancora capace di avere una marcia in più rispetto alle rivali.
Dietro di lei, però, non ci sono altre americane nella top ten. La sola Venus, che sembra essersi ritrovata in questi ultimi mesi risalendo all'11esimo posto del ranking, continua però a vivere di alti e bassi. Si tratta, tuttavia, di due tenniste rispettivamente classe '81 e '80 e quindi, ipoteticamente, sul viale del tramonto. Dati alla mano le prospettive sembrerebbero, quindi, tutt'altro che rosee per il tennis in gonnella americano. Un po' come è accaduto agli uomini di casa USA si potrebbe quasi naturalmente concordare sul fatto che dieci anni fa gli States stavano molto meglio e che adesso si ritrovano ad andare avanti aggrappandosi disperatamente a due istituzioni come le sorelle Williams. Beh, niente di più sbagliato. Perché? Basta scorrere la classifica un po' più in giù per rendersi infatti conto di quanto le cose siano ben diverse rispetto a come appaiono. Sì, perché è vero che il tennis americano di dieci anni fa portava con sé quattro grandissime campionesse, delle certezze a livello mondiale. È altrettanto vero, però, che di queste quattro tenniste due erano ormai prossime ai trent'anni (e, infatti, non avrebbero più vinto altri titoli dello Slam).
Serena e Venus, che all'epoca avevano rispettivamente 24 e 25 anni, rappresentavano invece il vero motore trainante del tennis americano. Dietro di loro, infatti, non vi era nessuna capace di lasciar intravedere anche la minima speranza di gloria per l'USTA. In quelle che potevano essere considerate le seconde linee americane, ossia tutte le giocatrici dalla top 20 a scendere, di potenziale ce n'era, infatti, ben poco. E, peggio ancora, di giovani interessanti quasi neanche l'ombra. La top 100 americana conteneva una lista di giocatrici sì valide, ma quasi tutte in fase di pre-pensionamento: dall'indimenticabile Amy Frazier alla futura “sol doppista” Lisa Raymond, da Jill Craybas a Mashona Washington. I più rilevanti prodigi del tennis americano di quegli anni rispondevano ai nomi di Shenay Perry, Jamea Jackson e Ashley Harkleroad. Un po' poco insomma. Oggi, invece, sebbene non ci siano quattro americane nella top ten, ciò che non manca è la presenza di tante giovani di belle speranze nella top 100.
I dati statistici a riguardo la dicono lunga sulla salute del movimento. Ad oggi, con la sola eccezione di Varvara Lepchenko, classe '86 (e, ovviamente, delle due Williams che fanno corsa a parte) nella top 100 risultano esserci altre 10 tenniste americane, tutte sotto i 24 anni. Il dato si allarga a macchia d'olio e sale a ben 18 se si considera la top 200. Numeri decisamente impressionanti, sintomatici di una grossa crescita del movimento statunitense. Numeri che diventano quasi imbarazzanti se si pensa che dieci anni fa, di questi tempi, vi erano solo 3 top 100 sotto i 24 anni (Spears '81, Gould '80 e Perry '84) e tutte e tre posizionate comunque dalla 70esima posizione a scendere.
L'aspetto più interessante non è però rappresentato dal solo dato quantitativo, ma dalla qualità delle giovani emergenti del tennis americano. Di Madison Keys, attuale numero 20 del mondo e fresca semifinalista agli Australian Open, si è già detto molto. La neo-ventenne di Rock Island rappresenta soltanto la punta di un movimento in costante crescita. Giocatrice dal potenziale pazzesco, la Keys ha in sé tutte le qualità per andare a porsi come la naturale erede di Serena Williams e diventare la numero uno del tennis in gonnella a stelle e strisce. Le manca ancora un po' di continuità ma il lavoro che con lei sta portando avanti Lindsay Davenport è, sicuramente, degno di nota ed è preventivabile
che la giovane Madison riesca a raggiungere, anche solo nei prossimi dodici mesi, risultati di assoluto valore. Cosa dire però di Sloane Stephens? Una che a 21 anni (si, 21!) sembra già essere una veterana del circuito. Una facilità di gioco più che rara e la sensazione di avere un prodotto di assoluta qualità, la semifinalista degli Aus Open 2013 sta vivendo adesso un periodo particolarmente negativo. Scivolata fuori dalla top 40, Sloane ha però tutti i mezzi (e anche il tempo) necessari per poter ritrovare se stessa, avendo già chiaramente dimostrato come, nel suo caso, il problema principale sia una forte mancanza di continuità e di fiducia in se stessa. Il suo ritmo di gioco incessante e il bagaglio tecnico lasciano pensare che, se inserita nei binari giusti, la ragazza possa arrivare ad essere devastante. E se forse tra le altre top 100 americane manca la potenziale numero 1 mondiale (ma avercele, ad oggi, due giocatrici del valore di Keys e Stephens), la salute dell'intero movimento è rappresentata anche da quelle giocatrici che, invece, con una certa consistenza sono riuscite a costruirsi un
ranking di buon livello: da Alison Riske a Christina McHale, da Lauren Davis alla spesso bistrattata Coco Vandeweghe. Tutte ragazze che, tra l'altro, hanno ancora molti anni di tennis a buon livello davanti a loro. Teniamo, per ultime, quelle che potrebbero essere due grosse stelle del futuro per il tennis americano: Taylor Townsend e Catherine Bellis. Della prima si è discusso molto in passato, purtroppo più per le sue forme “non convenzionali” e per il famoso caso che la coinvolse nel 2012 (quando la USTA si rifiutò di pagarle le spese per gli Us Open juniores semplicemente perché in sovrappeso, nonostante fosse comunque la numero 1 mondiale di categoria) che per le qualità tennistiche. Qualità che, invece, sono chiaramente evidenti anche agli occhi dei non addetti ai lavori.
Un tennis bello, vario, completo cui la ragazza affianca una personalità da vincente. Taylor possiede the “whole package” come direbbero negli States e sì, lei ha davvero tutte le carte in regola per arrivare in cima. Di CiCi Bellis, invece, si è parlato soltanto negli ultimi mesi, quando l'allora 15enne americana superò al primo turno degli Us Open Dominika Cibulkova. Che dire? A neanche 16 anni l'americana si ritrova tra le prime 250 del ranking WTA. Un prospetto più che interessante, non solo per il buon bagaglio tecnico (sul quale, ovviamente, c'è ancora da lavorare) ma anche e soprattutto per la grande attitudine e il carattere che porta con sé quando scende in campo.
Madison Brengle by Marco Avena
La felicità dopo il tumore In piena 'trance agonistica', la Brengle si è presentata agli Australian Open con grande determinazione e dopo aver superato al primo turno la testa di serie numero 13, la tedesca Andrea Petkovic, ha fatto fuori nell'ordine le connazionali Falconi e Vandeweghe prima di arrendersi ad un'altra Madison, che di cognome fa Keys, agli ottavi di finale, ottenendo così il suo miglior risultato in uno Slam.
Una delle più belle immagini che ci ha colpito in questo primo breve ma già intenso scorcio di stagione tennistica è stato il viso pulito di Madison Brengle. Un viso che avevamo già notato in passato ma sul quale mai come in questo momento ci eravamo soffermati a guardare, anzi ad ammirare. Già, perché Madison da Dover, nel Delaware, appena qualche mese fa – precisamente a settembre – si era sottoposta a un controllo clinico a causa di una strana macchia su una gamba. Risultato? Un cancro alla pelle che aveva richiesto un rapido intervento. Rimosso il tumore cutaneo, fortunatamente rivelatosi allo stadio iniziale, la 24enne americana aveva dovuto attendere solamente cinque settimane prima di tornare ad allenarsi. Sarà stato un caso, o forse no, ma sta di fatto che da quel momento in poi, la crescita di Madison è stata esponenziale: l'inizio 2015 è stato in assoluto il migliore della sua carriera, perché dopo aver superato le qualificazioni e i primi due turni nel tabellone principale a Brisbane, la tennista 'a stelle e strisce' ha sfiorato l'impresa nel successivo appuntamento a Hobart, sconfitta in finale solamente dalla britannica Heather Watson.
Ma chi è Madison Brengle? È una ragazza americana come tante, vi dirà qualcuno, cresciuta in una delle molte accademie di tennis che negli Stati Uniti negli anni sono sorte come funghi. Una figlia d'arte, perché è la mamma (e maestra) Gaby ad averla allevata a pane e tennis insieme al fratello David. È cresciuta con i libri in una mano (le è sempre piaciuto studiare finché ha dovuto rinunciare all'università per motivi sportivi, ndr) e con pallina e racchetta nell'altra, prima per gioco e poi sempre più seriamente, percorrendo per filo e per segno tutte le tappe che questo sport richiede: dopo aver giocato nei tornei giovanili americani, ha iniziato a mettere piede sui campi dei tornei ITF e nel 2005, a Baltimora, quando aveva appena 15 anni, si è aggiudicata il primo torneo da pro.
Dopo aver superato la paura di un tumore, una partita di tennis contro una delle migliori può sembrare veramente una passeggiata.... Un primo passo importante verso una carriera che nel 2007 le ha regalato la finale agli Australian Open juniores, sconfitta da Anastasia Pavlyuchenkova, e nello stesso anno la prima vittoria nel circuito maggiore, per 6-1 6-3 ai danni di Flavia Pennetta a Los Angeles. Da allora è stato un crescendo di risultati, altri 6 successi ITF, una prima finale WTA di cui sopra e al momento in cui scriviamo (18 febbraio), una classifica che la pone alla 45ª posizione nel ranking mondiale di singolare, miglior risultato di sempre di una carriera che potrà riservarle ancora molte grandissime soddisfazioni perché, dopo aver superato la paura di un tumore, una partita di tennis contro una delle migliori può sembrare veramente una passeggiata....
Venus Williams riparte col botto by Alessandro Varassi Il 2015 parte con la rinascita della più grande delle sorelle Williams, che sembra almeno al momento essersi messa da parte i tanti problemi degli ultimi anni.
Parlare di rinascita alle soglie dei 35 anni fa sempre impressione, ma il mondo del tennis, specie in ATP, sta registrando sempre più la presenza di top player dall’età avanzata. Anche il mondo WTA non sembra da meno, a giudicare da quello a cui stiamo assistendo in questi primi mesi del 2015. Venus Williams, classe 1980, ha stupito tutti quelli che la davano ormai per finita, vincendo 11 delle 12 partite disputate in questa stagione finora. Un titolo vinto ad Auckland, il numero 46 della sua bacheca, ed un quarto di finale Slam quasi vinta, a Melbourne contro Lauren Davis, come a voler dire: scusate, ci sono ancora.
Venere ne ha passate di ogni tipo negli ultimi anni, dal 2010, quando le viene diagnostica la Sindrome di Sjogren, malattia che porta ad una atrofizzazione dei muscoli e alla secchezza di occhi e labbra. Non il massimo per una sportiva come lei, capace di arrivare ad essere la numero 1 del mondo e di mettere in bacheca 7 titoli dello Slam in singolare e 13 in doppio (più altri 2 titoli in doppio misto, tanto per gradire), e 4 ori olimpici (1 in singolare e 3 in doppio). Le sue apparizioni in campo negli ultimi anni sono state sporadiche e non certo continue, dovute a sopra citato problema fisico che appare e scompare ad intermittenza.
Fisico longilineo, potenza fuori dal comune, Venus si caratterizza anche per gli interessi fuori dal campo, in particolare per la moda. Fisico longilineo, potenza fuori dal comune, Venus si caratterizza anche per gli interessi fuori dal campo, in particolare per la moda: i completini che indossa sono infatti disegnati da lei stessa, e fanno spesso discutere per scelte non convenzionali per tipologie e colori. Dopo un 2014 dove ha brillato il solo titolo vinto a Dubai, nel 2015 il risultato di Melbourne è il migliore a livello Slam dagli Us Open 2010. Intervistata sulle sue intenzioni, Venus è sempre stata sfuggente, ma non nasconde di voler continuare a giocare, e a raccogliere altre soddisfazioni. Con la sorella minore Serena che continua ad essere la dominatrice indiscussa del circuito, Venus, se continuerà su questi livelli, potrebbe essere un’avversaria temibile per la numero 1 del mondo.
Non ce ne vogliano Sharapova, Halep e le altre, ma la peggiore avversaria per Serenona potrebbe essere proprio la sua sorella maggiore: proprio per questo, la clamorosa sconfitta (per come è arrivata) contro la connazionale Lauren Davis agli ultimi Australian Open ha privato il pubblico di una semifinale tutta in famiglia che incuriosiva non poco appassionati e addetti ai lavori. La speranza è che a breve ci siano altre occasioni, specie sui palcoscenici maggiori.
La generazione di mezzo by Adriano S
Esistono nel tennis e più in generale nel mondo dello sport delle finestre temporali di 'stanca'.
Esistono nel tennis e più in generale nel mondo dello sport delle finestre temporali di 'stanca'. Dopo grandi ere generazionali il ricambio è sempre difficoltoso ed è lì che si sono inserite le cosiddette generazioni di mezzo. A fine anni '90 terminò il dominio di Pete Sampras e anche i grandissimi di quel decennio segnavano ormai il passo, col solo Agassi in grado di competere ad alti livelli. Nei primi anni del nuovo millennio è toccato così agli Hewitt, ai Moya, ai Ferrero spartirsi i grandi trofei internazionali. Epoca comunque impreziosita dalla presenza dei Kuerten, Roddick, Safin. Insomma parliamo dei nati fra la seconda metà degli anni '70 e i primissimi '80: loro che hanno rappresentato a detta di molti la generazione meno forte della storia Atp.
A testimoniarlo, le numerose critiche al record di 17 Slam di Roger Federer, raggiunto secondo i più maligni solo per la 'debolezza' dei competitor dei primi anni 2000. Alla longevità dello svizzero, alla comunque ancor giovane età di Nadal si sono aggiunte anche le esplosioni di Djokovic e Murray, andando a creare una delle epoche più importanti della storia del tennis, non a caso appellata come Golden Era. E' dunque mancata quella finestra temporale sfruttata da altri in passato. I pochissimi passi falsi dei big 4 sono stati trasformati in oro dalle storiche seconde linee: Davydenko, Soderling, Del Potro, Wawrinka, Ferrer, Tsonga, lo stesso Cilic, persino Berdych, hanno saputo cogliere le poche occasioni concesse dai cannibali del tennis moderno. La nuova generazione, dai classe '89 ai classe '92, quella dei Dimitrov, dei Nishikori, dei Raonic, Janowicz &co, non sembra nemmeno al loro livello. C'è bisogno di tempo, certo, prima di trarre conclusioni definitive, ma è a 23-25 anni che solitamente escono fuori i campioni veri, che arrivano i primi grandi trofei, e i problemi non finiscono qua: Djokovic, Murray e Del Potro hanno 27 anni, ergo se li porteranno dietro fino al termine delle loro carriere.
Il secondo punto è rappresentato dalla vera new generation in arrivo, quella di Kyrgios, Coric e Zverev Il secondo punto è rappresentato dalla vera new generation in arrivo, quella di Kyrgios, Coric e Zverev: giocatori che tecnicamente ed agonisticamente sembrano avere un potenziale ben superiore a quello degli '89-'91, enormemente superiore a quello dei '92-'94 come Tomic o Sock, col solo Thiem come speranza. C'è quindi il rischio che una volta liberati dai fab4 arrivi una nuova tempesta. 4 finali Masters 1000, 1 finale Slam, 4 semifinali Slam sono finora il magro bottino della generazione di mezzo, con Nishikori a tirare la carretta. Fisiologicamente qualche grande trofeo dovrà pur arrivare, ma la tanto discussa generazione '75-'81 sarà ancora considerata la più scarsa fra le vincenti dell'era Open?
Intervista a Nick Kyrgios by David Cox (traduzione di Katherina Savino)
“Posso giocare con i migliori del mondo”
“I ragazzi ai vertici sono atleti incredibili,” Nick Kyrgios si stupisce mentre riflette su una campagna degli Australian Open che l’ha visto scatenare quel tipo di frenesia che non si sentiva da quando Lleyton Hewitt riuscì ad arrivare in finale a Melbourne nel 2005. “Sono fisicamente a un altro livello. Questo è quello che più viene fuori.” La corsa di Kyrgios è terminata ai quarti di finale il mese scorso perdendo tre set di fila contro il finalista Andy Murray, ma il teenager di Camberra ha mostrato a tutti che ha il gioco per andare sicuramente più lontano, e nell’arco di un paio di anni, potrebbe persino contendersi il titolo. Comparato a Andy Murray, egli stesso un junior prodigio che vinse il titolo juniores degli Australian Open nel 2004, alla stessa età Kyrgios è già un paio di passi avanti. Murray non è riuscito a raggiungere i quarti di finale di un Grande Slam fino ai 21 anni. Kyrgios ce l’ha fatta due volte prima del suo 20esimo compleanno, e una vittoria contro il 14 volte campione Rafael Nadal.
Ma come Murray ha detto alla folla della Rod Laver Arena durante un’intervista post-partita, Kyrgios ha bisogno di tempo e c’è ancora un po’ di strada da fare prima che si possa muovere nel territorio dei contendenti di un Grande Slam. Per quel che riguarda l’uomo in sé, la vita sembra ancora un po’ un turbine, sono passati solo due anni da quando ha conquistato il titolo junior degli Australian Open con la vittoria a scapito dell’amico Thanasi Kokkinakis. “E’ successo tutto così velocemente da allora,” dice. “Non sembra essere passato tanto tempo da quella partita. Sembra sia stato giusto un paio di settimane fa che giocavo nel tabellone degli Australian Open per la prima volta. Io e Thanasi non riusciamo a credere a cosa sia successo da allora.” Negli ultimi dodici mesi, Kyrgios è passato dal numero 162 del mondo a 35 ed è diventato uno dei volti più conosciuti dello sport australiano, l’uomo in testa a una schiera di junior estremamente talentuosi che molti sperano faranno rivivere i tempi d’oro del tennis australiano. Solo alcune settimane prima che battesse Nadal al Central Court di Wimbledon, ha giocato alcuni challenger di basso livello di fronte ad appena una manciata di spettatori.
Sentendo alcune fitte allo stomaco mentre si accingeva a giocare a Wimbledon, per un momento ha persino pensato di ritirarsi. “Alcune settimane prima, pensavo di andare a casa,” rivela. “Ho avuto un incontro con i miei allenatori. È stato deciso che la cosa migliore per me era rimanere e giocare la settimana di qualificazione per questo challenger di Nottingham. Ho finito per vincere quel torneo e ho passato alcune delle settimane più belle della mia vita.” Questi sbalzi alla fine hanno caratterizzato il 2014 di Kyrgios. Un momento fuoriclasse, il momento dopo steso per terra in preda a spasmi alla schiena, i suoi sforzi hanno pagato pegno su un corpo ancora fragile. “E’ stato un anno divertente,” dice. “Molti alti e bassi. Come le montagne russe.”
1,93 m di altezza, con un uno dei servizi più potenti del circuito maschile, Kyrgios a primo sguardo appare un campione fisicamente imponente. La sua costituzione naturalmente muscolosa ha fatto sì che la sua transizione da junior a senior fosse apparentemente facile, ad un’età in cui molti dei suoi colleghi faticano ad orientarsi contro professionisti stagionati che possono avere anche dieci anni di più. Comunque il livello di fisicità richiesto dal circuito ATP è diverso da quello juniores e persino dai Challenger. Questo è un mondo in cui regna la scienza dello sport e i migliori passano ore a rafforzarsi, recuperare, migliorare flessibilità e potenza per guadagnare ogni margine possibile sui loro avversari. Mentre il tennis di Kyrgios può essere buono abbastanza per confrontarsi con alcuni dei migliori giocatori, ma sa che ha molta strada da fare fuori dal campo. “La fisicità è ovviamente una parte importantissima del mio gioco che ho bisogno di migliorare,” dice. “A Wimbledon ho giocato una partita ai cinque set e ho faticato molto al quinto. Ma in Australia ho giocato due partite ai cinque set e me la sono cavata bene in entrambe le occasioni ed esserci riuscito a 19 anni mi da molta fiducia. E queste partite erano su campi in sintetico quindi c’erano più scambi. C’è molto di positivo che posso prendere. Sto ancora crescendo nel mio corpo. Ho ancora tempo dalla mia parte.”
Kurgios ha osservato attentamente i top ten al lavoro in palestra e in allenamento in campo. “Semplicemente osservando giocatori come Tomas Berdych, vedere quello che fanno fuori dal campo, in palestra, ho imparato molto da loro. Non stavo attingendo dalle loro menti. Stavo osservando quello che facevano prima e dopo le partite. Fanno un sacco di lavoro. Fino a due sessione di palestra al giorno, più lavoro in campo. E quando gioco contro Murray, è incredibile quante palle rimetta in gioco. Ci sono stati punti che avrei vinto più di cinque volte, in cui mi faceva giocare una palla extra.” Ma come direbbero Murray e molti altri a Kyrgios, con l’aumento di popolarità, arriva anche l’aumento di critiche. Durante gli Australian Open, il 19 enne si è ritrovato di fronte a molte critiche provenienti da molte parti per le sue buffonate estroverse in campo e gli occasionali sbotti verbali. Pat Rafter ha affermato che Kyrgios può essere troppo emotivo ma l’uomo in sé afferma che è parte della natura della sua personalità.
“Ovviamente non sarò quel tipo di persona che si comporta come un automa, che non mostra nessuna emozione,” ha detto. “Ma credo che più crescerò, più diventerò maturo. Scoprirò cosa mi aiuta di più in campo. Credo che giocherò il mio tennis migliore quando troverò il giusto equilibrio tra l’essere veramente positivo e lo stare calmo. Ho un buon team con me che mi aiuta in tutte queste cose. Sto ancora crescendo, quindi non penso di sapere davvero quale sia la cosa migliore da fare.” Per quel che riguarda i suoi obiettivi per il resto del 2015, insiste sul fatto che non sarà trascinato via.
“Il mio obiettivo è rimanere in salute, rimanere in campo e competere. Penso che il mio livello vada decisamente bene. Posso giocare con alcuni dei migliori. Penso di essere sicuramente in grado di entrare nella top 30.” La top 30, potrebbe essere una minimizzazione.
Lo strano caso di Nick Kyrgios by Valerio Carriero L’australiano sta scalando rapidamente il ranking, tuttavia per ora vive di rendita solamente grazie agli exploit negli Slam. Ma non è l’unico
Sacrifici, viaggi in posti improbabili per prize money irrisori, situazioni scomode. Tutto per inseguire un solo sogno: scalare il ranking per giocarsela con i migliori sui palcoscenici più importanti del circuito. E’ quanto capitato a Nick Kyrgios, che dall’alto dei suoi 193 cm ha preferito questo magnifico sport al basket. Una rapidissima ascesa, considerando che la sua carriera è iniziata solamente verso i 14 anni. Un concentrato di furore agonistico e arroganza, un mix che gli ha permesso e gli permette di strappar consensi e infiammare il pubblico delle piazze più prestigiose: gli Slam. E’ questo, fino ad ora, il terreno di caccia preferito del giovane Nick. Il formato 3 su 5 gli consente di sopperire agli inevitabili blackout dovuti alla poca esperienza e caratteristiche di gioco ultra offensive.
Avvisaglie del potenziale del giovane “aussie” erano visibili già al Roland Garros del 2013, prima apparizione assoluta in un Major. Risultato: 3 set a 0 ad un veterano quale Radek Stepanek. Poi nel 2014 il secondo turno raggiunto a Melbourne, prima dell’esplosione definitiva: i tre challenger vinti in primavera gli valgono una Wild Card per Wimbledon e il resto è storia Ad appena 19 anni, Kyrgios raggiunge i quarti superando tra gli altri Richard Gasquet, annullando 9 match point, ma soprattutto Rafael Nadal. Una personalità inaudita dimostrata dai 37 ace e nessun segno di timore reverenziale, stesso carattere palesato pochi mesi più tardi a New York, torneo che lo vide protagonista sino al terzo turno. Ma è nel 2015 che Nick compie una piccola grande impresa, conquistando un secondo quarto di finale Slam da “teenager”, nella sua terra, purtroppo a scapito del nostro Andreas Seppi. Exploit importanti che lo hanno proiettato sino alla top40. Classifica meritatissima e in costante ascesa, ma frutto di un dato abbastanza singolare: al di fuori di Major e Davis, Kyrgios ha vinto solamente una partita, nel Master di Toronto contro Giraldo.
Quello dell’australiano, però, non è un caso isolato. Nella WTA è stata Sloane Stephens a stupire tutti nel 2013, piazzando una semifinale ed un quarto a Melbourne e Wimbledon, e raggiungendo la seconda settimana anche a Parigi e Flushing Meadows. Ma l’americana ha deluso le aspettative nei tornei “minori”: solo 20 le partite vinte in tutta la stagione al di fuori dei Major. La sua ottima striscia è proseguita poi nel 2014 con altri ottavi di finale a Melbourne e Roland Garros, tuttavia le tantissime difficoltà nel far punti in Premier e International hanno provocato uno scivolone sino alle porte della top50. Chi invece sembra aver bruciato definitivamente le tappe è Eugenie Bouchard, autrice nel 2014 di una cavalcata da sogno nei tornei dello Slam:
due semifinali, una finale ed un ottavo il suo bottino, piazzamenti che le hanno permesso di centrare la qualificazione a Singapore. Anche la canadese, però, non ha brillato particolarmente in altri eventi del circuito: dopo Melbourne, Genie ha vinto solamente 9 partite sino a maggio, quando conquistò il suo primo titolo Wta a Norimberga. Dopo la finale di Wimbledon, poi, bruttissima trasferta americana con un solo successo (su tre tornei disputati) in preparazione agli Us Open. Per la Bouchard il 2015 si presenta come l’anno della conferma: per evitare il crollo della Stephens e difendere le importantissime cambiali dei Major avrà sicuramente bisogno di tenere alto il livello per gran parte della stagione. Giovani ambiziosi dalle altissime aspettative. I tornei dello Slam rappresentano il palcoscenico ideale per dare il meglio di sé, per mettere in mostra il loro enorme potenziale e la freschezza di un fisico non ancora provato da anni di battaglie sul circuito. Il futuro appartiene a loro ma per compiere il definitivo salto di qualità ed entrare nel gotha di questo meraviglioso sport, quattro exploit all’anno certamente non bastano.
Djokovic come Laver? by Adriano s
Fare il Grande Slam è il sogno dei grandi campioni Atp.
Fare il Grande Slam è il sogno dei grandi campioni Atp. L'unico in grado di completarlo nell'arco della stessa stagione è stato il leggendario Rod Laver. Più volte vi sono andati vicini supercampioni come Federer o Nadal, ma mai è realmente apparsa possibile l'impresa, vuoi per le difficoltà di Roger a Parigi, vuoi per gli infortuni e le difficoltà sul veloce di inizio carriera per Rafa. Tocca adesso a Novak Djokovic tentare l'impresa, e a mio avviso con più possibilità rispetto a quante non ne abbiano avute Federer e Nadal nei loro anni migliori. Con l'ottavo Slam in bacheca Nole ha raggiunto Andre Agassi, Ivan Lendl, Fred Perry e Jimmy
Connors nel conto degli Slam vinti in carriera e sono soltanto 7 i tennisti che ne hanno vinti di più. Un conto che molto probabilmente è destinato a rimpinguarsi. Difficile infatti immaginare il serbo senza almeno un titolo al Roland Garros a fine carriera. Djokovic sembra quindi destinato ad aggiungersi a Laver, Emerson, Perry, Agassi, Nadal e Federer nell'esclusiva lista di campioni in grado di completare il Grande Slam nel corso degli anni. Ma come detto la sfida, fattibile, è farlo nello stesso anno. Il dominio di Djokovic è a tratti eclatante ed è soprattutto la sua continuità a fare la differenza.
Novak non ha avversari del suo livello su cemento, con la nuova generazione che è ancora distante anni luce e un Murray poco solido.. Novak sembra più competitivo su tutte le superfici rispetto a quanto lo siano stati Nadal e Federer negli anni scorsi. Sarà il favorito a New York, come a Wimbledon e come anche al Roland Garros, dopo aver vinto ovviamente da favorito a Melbourne. Oltre alla forza di Djokovic bisogna infatti tener conto degli avversari; Federer ha dovuto subire lo strapotere Nadal su terra rossa, Rafa quello di Federer sull'erba, prima che l'esplosione di Djokovic ne incrinasse le sicurezze anche su cemento. Novak non ha avversari del suo livello su cemento, con la nuova generazione che è ancora distante anni luce e un Murray poco solido, ne ha pochi a Wimbledon, con un Federer prossimo al canto del cigno, e ne ha in pratica solo uno al Roland Garros, un Nadal in perenne sofferenza fisica.
Tutto ciò senza dimenticare che ad agosto si gioca anche Cincinnati, l'unico Masters 1000 che manca alla sua collezione. Nel 2015 il discorso GOAT potrebbe quindi clamorosamente riaprirsi, con Djokovic prepotente candidato e anzi, perchè no a sorpresa chiudersi dopo Flushing Meadows, in barba all'atavica questione.
Record Slam : Djokovic può ambire al trono? by Roberto Marchesani
Novak Djokovic ha vinto in Australia il suo 8° trofeo del Grande Slam.
Novak Djokovic ha vinto in Australia il suo 8° trofeo del Grande Slam. La carta d’identità del serbo recita 22 maggio 1987, quindi quest’anno deve compiere 28 anni. Oggi Nole è sulla carta nettamente il più forte in circolazione, specialmente sulla lunga distanza del 3 set su 5. Può il serbo sperare di ambire al record dei 17 Slam di Roger Federer? E’ una domanda forse inutile ma che può iniziare a costituire un tema di dibattito. Fino ad oggi si è sempre parlato più di Nadal come possibile candidato a superare quota 17 ma mai del serbo. Ci sono ovvi motivi, naturalmente. In primis il semplice fatto che Nadal è sempre stato molto più avanti come numero di Major al serbo. Nadal ha 14 Slam. Federer dista solamente 3 titoli. Può essere poco come può essere tantissimo.
Lo spagnolo resta in assoluto colui che ha maggiori possibilità, è di fatto quello più vicino. Ma inevitabilmente un logorio fisico c’è stato, ed un calo dopo il super 2013 è stato evidente. L’anno scorso la strepitosa vittoria a Parigi l’ha poi pagata con altri 5 mesi di assenza, tra infortuni, fasi di scarico e via dicendo e ancora adesso la condizione non è delle migliori. Al Roland Garros sarà sempre il favorito se la condizione lo sorregge, ma quanto durerà? Può durare? Vincere 3 Slam è poco o tanto? Ecco allora che spunta Novak Djokovic. Il n.1 del mondo con la sua 5° vittoria a Melbourne ha raggiunto per la prima volta una cifra lodevole di attenzione. A quota 8 ha raggiunto mostri sacri come Rosewall, Agassi, Connors e Lendl. Può anche partire una disperata caccia al primo posto. E come in tutte le operazioni ci sono motivi di buon auspicio e altri meno. Pro : la forza del campione e la sua duttilità Djokovic ha una continuità devastante. Negli Slam arriva praticamente sempre in semifinale dal 2011 ad oggi. Ha fallito solo agli Australian Open 2014 dove è stato battuto da Stan Wawrinka nei quarti – solo 9-7 al quinto – che poi andrà a conquistare il titolo.
Per il resto solo semifinali come minimo risultato. Questo vuol dire straordinaria capacità di essere al top della forma in ogni momento dell’anno e su tutte le superfici. Djokovic può vincere ovunque : agli Australian Open ha vinto 4 delle ultime 5 edizioni ed è in generale il suo miglior Slam (per me batterà il record di Emerson, ne deve vincere altri 2). Il Roland Garros è ancora una chimera ma anche in questo torneo parte sempre con reali possibilità di vittoria ed il problema in realtà è solo uno : si chiama Rafael Nadal. Tolto lui sarebbe strafavorito anche a Parigi. Il torneo di Wimbledon è quello in teoria meno adatto alle sue caratteristiche, ma è solo una teoria, perché a conti fatti si nota che ha vinto 2 titoli, disputato un’altra finale (persa contro un ottimo Murray) e altre 2 semifinali.
L’erba non dovrebbe essere così speciale per il suo gioco eppure si muove benissimo sui prati e in queste condizioni di palle/attrezzi/campi il suo gioco è estremamente redditizio. Quindi anche all’All England Club parte sempre in prima fila. US Open : in teoria (ma anche in questo caso è solo una teoria) dovrebbe/potrebbe essere il suo Slam per campi (cemento, adattissimo a lui) e per l’ambiente, che fa al caso di Nole. Eppure ha vinto solamente una volta. Stranissimo. Ci sono però anche altre 4 finali (tutte perse) che rafforzano il pensiero : forse un Open degli Stati Uniti è un po’ stretto come risultato. In fondo a New York parte da favorito ogni volta dal 2011 ad oggi. Pro : chi all’orizzonte? Poi c’è il capitolo avversari. Nole può davvero sbranare la concorrenza. Nadal e Federer non possono essere quelli di una volta. Roger gioca ancora divinamente ma sulla lunga distanza non può che pagare dazio a 33 anni che diventeranno 34 il prossimo agosto. Nadal è quasi un coetaneo di Djokovic… ma solo sulla carta. Lo spagnolo è esploso tennisticamente prima del serbo, a 18 anni già recitava un ruolo da protagonista macinando decisamente più chilometri. Il suo stress fisico e mentale non è paragonabile a quello di Djokovic. La differenza di un solo anno sulla carta d’identità è molto più ampia. Poi c’è Murray. Un grande ma non un fuoriclasse di quel calibro e soprattutto non con quella tenuta.
A Melbourne ha dato il massimo eppure si è squagliato nell’ultima ora del match. Wawrinka, Cilic, Del Potro, Tsonga sono pericolosissimi ma alterni e forse già in fase calante. I nuovi sono Nishikori (bel talento) e Raonic. Con quest’ultimo Djokovic va a nozze e il giapponese non si sa ancora se è davvero in grado di promuovere il suo status, da giocatore pericoloso a serio e costante contender. Ferrer non ha le caratteristiche giuste, oltretutto ha quasi 33 anni. Berdych gran giocatore ma Nole sembra il perfetto prototipo per disinnescarlo. I giovani latitano. Dimitrov è tutto da verificare, i Coric e i Kyrgios sono buoni ma non sembrano di quella pasta. Djokovic avrebbe tutto per fare incetta. Contro : tenuta mentale Nonostante sia uno dei tennisti più forti mentalmente, in alcuni frangenti proprio la testa ha tradito Novak Djokovic. I suoi sbalzi umorali sono frequenti e nei momenti decisivi a larghi tratti gli son costati molto.
US Open 2013, tanto per fare un esempio. Nel terzo set è nettamente il giocatore migliore in campo, tecnicamente superiore all’avversario. Poi è bastato un grande Nadal a metterlo ko prima che nel gioco proprio nella psiche. Non puoi mollare cosi solo perché l’altro ha fatto un numero pazzesco per riequlibrare le sorti di un singolo set. E’ comprensibile ma non accettabile, considerata anche la superiorità tecnica mostrata fino ad allora. Quello può rientrare nella serie degli Slam possibili e non conquistati. Il dubbio è proprio questo : in futuro riuscirà a limarli o come possibile saranno più o meno frequenti come sempre accaduto nelle stagioni passate?
Contro : viaggiare a ritmi mai avuti Descritta così sembra che Nole debba solo continuare a fare quello che ha fatto in passato. O che in passato abbia già fatto quello che si chiede o si propone di fare in futuro al campione serbo. Ma non è cosi. Negli ultimi 3 anni (2012, 2013 e 2014) la situazione era più o meno identica. Djokovic era sempre il miglior giocatore in circolazione, Nadal e Federer ci sono stati ma solo a sprazzi o grandi sprazzi. Murray ha sempre avuto alti e bassi. Outsider sempre altalenanti. Eppure il serbo ha vinto la “miseria” di 1 Slam all’anno. Troppo poco per uno che è realmente definito da tutti come il migliore sulla piazza. Uno Slam all’anno per 3 anni vuol dire semplicemente 3 Slam in 12 tentativi.
Troppo poco. E questo nel periodo idealmente migliore della sua carriera, dai 25 ai 27 anni. E’ comprensibile chi non crede ad un suo miglioramento nella resa dai 28 ai 30 anni, età storicamente critica per ogni campione della storia di questo sport. Non è mai avvenuto che un giocatore vincesse più Slam dai 28 in su di quanto non ne abbia fatto dai 20 ai 28. Poi qualcuno potrà anche dire “come ne ha persi molti per un filo, ne può vincere tanti di un filo da ora in poi”. Tutto è possibile. Contro : il nuovo elemento Se è vero che le aspettative non sono delle più rosee nel panorama giovanile, è anche vero che il “nuovo elemento” può sempre esplodere. Pensate a Cilic.
Qualcuno davvero pensava che poteva vincere uno Slam in quel modo lì? Certamente non ci si inventa campioni, ma era difficile poter pensare che un Cilic standardizzato in una tale maniera per un quadriennio potesse poi esplodere con tale splendore. Stesso discorso può esser fatto per Wawrinka, vincitore dello Slam a 28 anni, non proprio giovanissimo. Anche se non confermate, restano mine vaganti letali. Ciclicamente è sempre successo che un nome nuovo sia spuntato fuori anche nei periodi meno indicati, per certi versi all’improvviso. Una situazione che potrebbe benissimo verificarsi nel prossimo triennio, anche se per me è poco probabile. Contro : motivazioni Djokovic è ancora da testare sotto questo punto di vista. E’ un giocatore che da sempre ha fatto dell’ambizione un suo personale cavallo di battaglia. Conciliato con un talento innato gli ha permesso di arrivare sulla cima. A detta sua, il tennis non è un sacrificio perché ama il gioco, ama fare il tennista professionista. Ma sarà lo stesso a 30/31 anni? Il fisico di Djokovic è straordinario, non ha mai avuto particolari infortuni dimostrando una tenuta totale sui 12 mesi che da anni ormai è la migliore del mondo. E’ integro, anche fresco. Ma il suo tennis, come del resto un po’ quello di tutti i tennisti odierni, non può fare a meno di quella freschezza. Per tenere il passo bisogna conservare un’applicazione mentale estrema.
Quando Nole arriverà ai 30 anni e magari perderà un pizzico di brillantezza fisica sarà pronto a riadattare il suo gioco? oppure la testa non avrà più la forza di rigenerare quelle motivazioni? Con un figlio e una bacheca già stracolma di trofei potrebbe anche dire basta. E questo l’ha detto 3 anni fa. “Se vincessi quello che ha vinto Borg potrei anche smettere”, scherzava? Il tempo lo dirà.
Ferrer, cosa possiamo ancora aspettarci? by Marco Di Nardo
Un fantastico avvio di 2015 ha permesso a David Ferrer di rialzare le proprie quotazioni
Un fantastico avvio di 2015 ha permesso a David Ferrer di rialzare le proprie quotazioni, dopo un 2014 che aveva fatto pensare ad un declino definitivo. I primi mesi della nuova stagione, hanno invece messo in risalto le qualità e la longevità del giocatore di Javea, capace a quasi 33 anni di essere ancora competitivo ad altissimi livelli.
Avvio di stagione da record. L'ultimo ad avere un rendimento così alto nei primi mesi della stagione, prima di Ferrer, era stato Novak Djokovic, che nel 2011 aveva vinto le prime 41 partite giocate, e nel 2013 le prime 17.
David in questo momento ha un record stagionale di 18 vittorie ed una sola sconfitta, quella subita contro Kei Nishikori negli ottavi di finale dell'Australian Open. Per il resto sono arrivati, come abbiamo detto, solo vittorie, quelle che gli anno permesso di trionfare nei tornei Atp di Doha (250), Rio de Janeiro (500) e Acapulco (500). Nessuno ha vinto quanto lui nel 2015, sia in termini di partite, che di trofei. Le due vittorie di Rio e Acapulco gli hanno inoltre permesso di eguagliare un record che durava addirittura dal 1985, quando Ivan Lendl riuscì a vincere in due settimane consecutive due tornei su due superfici differenti.
Inoltre Ferrer è riuscito per la terza volta in carriera a vincere due Atp 500 nella stessa stagione su diverse superfici, impresa che non è riuscita ad alcun altro giocatore nemmeno in una circostanza. David aveva già vinto Acapulco e Valencia sia nel 2010 che nel 2012, quando il torneo messicano si disputava sulla terra rossa. Ora cosa possiamo aspettarci? Dopo una partenza di questo livello, sarebbe impossibile non parlare delle possibilità future del tennista spagnolo. Guardando la Race to London, ovvero la classifica che prende in considerazione solo i punti conquistati nella stagione in corso, Ferrer è numero 4 (stando all'aggiornamento del 9 marzo 2015), dietro a Djokovic, Wawrinka e Murray, a meno di 1000 punti dal serbo, che comanda la Race. Ora arrivano i Masters 1000 sul cemento americano, dove in passato 'Ferru' ha dimostrato di poter essere competitivo, come nel 2013 quando a Miami arrivò al match-point per conquistare il titolo contro Murray, prima di arrendersi al tie-break decisivo.
Poi arriverà la stagione sulla terra rossa, il Roland Garros e Wimbledon, prima del ritorno sul cemento nordamericano nel mese di agosto, con i Masters 1000 di Canada e Cincinnati. Ed è proprio il torneo che si disputa nell'Ohio la prima grande cambiale di Ferrer, che lo scorso anno si fermò in finale. Questo significa che per molti mesi Ferrer avrà la possibilità di conquistare tanti punti, a partire da Indian Wells dove nella scorsa annata non partecipò. Dove potrà arrivare David è davvero difficile da prevedere, ma se una serie di circostanze lo aiutassero, e se lo spagnolo dovesse continuare su questa strada, vincendo tanto e perdendo poco, sognare diventerebbe possibile.
Il numero 1 forse è davvero troppo per un giocatore che si è sempre definito inferiore alla sua classifica, ma se Djokovic dovesse steccare qualche torneo come successe lo scorso anno in estate, anche questo obiettivo potrebbe diventare più di un semplice sogno, anche se in questo momento appare molto lontano. Avversari avvisati. Fino a qualche mese fa, nessuno avrebbe scommesso su Ferrer per un ritorno ad altissimi livelli, ma gli attuali risultati non possono passare inosservati, nemmeno per i migliori.
Quand'è che il talento diventa un problema? by Giovanni Larosa
Il tennis, si sa, è uno sport imprevedibile.
Il tennis, si sa, è uno sport imprevedibile. Tante sono le componenti che agiscono nel determinare la creazione di un campione. Non basta, infatti, avere un ottimo bagaglio tecnico per poter arrivare a vincere un titolo dello Slam, conquistare la vetta del ranking ATP o, ancor di più, entrare nel gotha di questo sport. A giocare un ruolo chiave è anche e soprattutto l'aspetto psicologico. La pressione può, infatti, diventare un peso difficile da gestire ed è soltanto con una grossa solidità mentale che si possono raggiungere risultati importanti, che si può passare dall'essere un predestinato al diventare un campione. Tuttavia, sono pochi i tennisti capaci di gestire le aspettative nel migliore dei modi e, anzi, capita spesso di vedere giocatori estremamente talentuosi finire divorati dalla pressione e dalle paure.
Perché essere privi di talento può essere frustrante, ma essere pieni di talento e non riuscire a concretizzare tutto ciò che per natura si ha può diventare davvero mortificare. Quand'è, quindi, che il talento diventa un problema? La storia ci insegna che, nella maggior parte dei casi, sono le donne ad avere i più grossi problemi di gestione delle pressioni psicologiche, interne ed esterne. Tuttavia, anche il circuito ATP non è esente da casi gravi di eterni incompiuti, giocatori dotati di un talento sopra la media e incapaci di utilizzare appieno ciò che il destino gli ha fornito in dote, soggetti degni di analisi tali da scomodare i più talentuosi terapisti. Pensando al concetto di talento, il primo nome che viene automaticamente associato a questa innata qualità è quello di Roger Federer. Nel mio caso, oltre all'elvetico (sul quale si potrebbe scrivere di tutto e di più ma che, francamente, in questo articolo non ha senso neanche esser menzionato), il primo nome che balza alla mente è quello di Richard Gasquet. Richard rappresenta l'ideale protagonista di questo articolo.
L'Enfant prodige che non si è mai riuscito a trasformare in un campione vero, cavallo di razza incapace di dominare come dovrebbe, il transalpino fa sicuramente parte della lista dei casi più complessi all'interno del circuito ATP. Capire il perché del suo “fallimento”, se così si può definire la carriera di un ragazzo che ha vinto 11 titoli del circuito maggiore e vanta un best ranking di numero 7 al mondo, è cosa ardua. Anche perché Gasquet è cresciuto circondato dalle luci della ribalta, visto come la più granda speranza del tennis francese, il futuro Noah, colui sul quale erano riposte le attese di un'intera Nazione. L'Equipe lo sbatteva sul proprio giornale a poco più di dieci anni e il fenomeno mediatico che si era costruito intorno a lui è paragonabile a quello che si sta avendo in questi anni in Italia con Quinzi.
Richard era un predestinato. E, in effetti, i risultati di inizio carriera lasciavano presagire un futuro ad altissimi livelli. Quel torneo di Montecarlo 2005 col successo su Federer ha rappresentato il virtuale ingresso nell'élite del tennis mondiale. E in seguito? L'incapacità di tenere testa alle attese non soltanto di una nazione ma anche di un contesto nel quale Gasquet era visto come il futuro del tennis. Un potenziale crack finito vittima di scandali e periodi decisamente bui (basti ripensare al famoso bacio alla cocaina), che l'hanno visto piombare in uno stato di sostanziale mediocrità, alternato a qualche sporadico picco. La sensazione è che, nel suo caso, i problemi più grossi siano derivati dalla mancanza di una vera e propria personalità in campo, dell'incapacità di riuscire a gestire con la testa i momenti importanti di una carriera. Perché fondamentalmente a Gasquet è mancata la grinta, la tenacia, la fame di successo e resta il rimpianto dell'”avrei potuto ma non ci son riuscito”. Discorso decisamente diverso, ma non per questo meno complicato, quello di Ernests Gulbis. Servirebbe anche in questo caso un trattato per cercare di capire il perché un giocatore così talentuoso e versatile, divertente da veder giocare e con una personalità fuori da ogni tipo di schema, non sia riuscito a sfondare. Entrare nei meandri della psiche del lettone sarebbe, però, impresa probabilmente molto ardua anche per lo stesso Freud.
Genio e sregolatezza nella maniera più assoluta, Gulbis ha, forse, peccato nell'aver condotto uno stile di vita poco morigerato, nel non aver rispettato quel rigido percorso che gli sportivi portano avanti quotidianamente. La voglia di agire al di fuori da ogni norma preconfezionata lo ha portato a raccogliere ben poco rispetto al suo talento e a farsi conoscere soprattutto per le sue uscite extrasportive e i suoi commenti senza filtro, in un percorso che ricorda vagamente quello di Marat Safin (altro cavallo pazzo che, comunque, riuscì a portare a casa due titoli dello Slam). Proprio da un suo irriverente commento sul livello del circuito maschile (“In top 100 ci sono tennisti di cui non ho mai sentito parlare. Alcuni non sanno neanche giocare a tennis”) è partita una sorta di redenzione. Il vedere tennisti meno dotati di lui dal punto di vista tecnico e della sensibilità è stato motore trainante per una rinascita sportiva che lo ha condotto tra i primi 20 del ranking. Il problema resta, nel suo caso, nonostante i tanti progressi, una vera assenza di dedizione alla causa e una capacità di spegnere e accendere l'interruttore della mente con una facilità disarmante.
Lo 0-5 con il quale ha aperto la stagione 2015 rappresenta, peraltro, un campanello d'allarme piuttosto preoccupante. E cosa dire, invece, di Alexandr Dolgopolov? Tennista che se in giornata sa esprimere un gioco meraviglioso, fatto di cambi di ritmo, drop-shots, accelerazioni improvvise e variazioni a tutto spiano. Il problema resta però sempre uno: la continuità. Perché l'ucraino dal braccio fantastico e dal timing eccezionale, ha fatto dell'incostanza una costante della sua carriera, riuscendo a mancare svariate opportunità. Il prodotto è di assoluta qualità ma, anche in questo caso, vi è una vera e propria assenza di motivazione tale da non riuscire a condurlo ai livelli che merita. Perché due titoli ATP e un best ranking di numero 13 al mondo per un giocatore così dotato sono davvero nulla.
Chiudiamo la magica quadratura di questo cerchio in terra italiana, spendendo due parole su quello che ormai è diventato quasi un caso mediatico: Fabio Fognini. Sul numero uno azzurro si è detto e scritto ormai di tutto e, in effetti, lo stesso Fabio ha dato spesso alla stampa materiale succulento per poter trattare diverse storie sul filo del gossip. Speculazioni a parte, la situazione del ligure pare davvero chiara. Talento allo stato puro, gioco vario e completo, Fognini non ha, dal punto di vista tecnico, un punto debole. La vera debolezza sta, semmai, nella sua psiche contorta. Perché Fabio è semplicemente un ragazzo da on/off.
Tecnica e psiche rappresentano due facce della stessa medaglia e, come tali, sono indispensabili l'una all'altra. Se l'interruttore è acceso può battere praticamente chiunque (basti pensare al match con Murray in Coppa Davis o al recente successo con Nadal a Rio) ma se, per caso, l'interruttore è spento può anche perdere contro chiunque, rendendosi spesso protagonista di situazioni poco piacevoli. Perché sul fatto che il ligure, giunto lo scorso anno ad un passo dalla top ten, possa raccogliere risultati prestigiosi nessuno osa metter bocca. Vedere però un atteggiamento così deleterio e autolesionista in campo, tale da inficiarne non solo la performance stessa ma da renderlo quasi estraneo al match, è un approccio che, purtroppo, a questo livello non può andare. Ed è un peccato perché i margini per poter ambire a traguardi importanti ci sono tutti. Ed è questo l'aspetto chiave su cui l'azzurro dovrà lavorare, in quanto non si può pensare di attraversare periodi di buio lunghi tre mesi nei quali non si riesce a vincere una partita. La sfida di Fabio sta proprio nel riuscire ad accettare le proprie debolezze e lavorarci su, con la calma e la consapevolezza che ci vorrà del tempo per risolvere il problema ma che ci si potrà riuscire. Gasquet, Gulbis, Dolgopolov e Fognini. Quattro tennisti molto diversi tra di loro ma tutti accomunati da un talento sopra le righe e dall'incapacità di riuscire a sfruttarlo nella propria interezza. A prescindere dalla tipologia di limite che ne ferma la crescita, sia esso un blocco psicologico interiore, un'assenza di motivazione o l'impossibilità di gestire le proprie emozioni, il percorso da intraprendere resta lo stesso: lavorare su se stessi.
Kei Nishikori by David Cox (traduzione by Katherina Savino)
Uno degli aspetti più affascinanti dello sport è la finestra che ci offre sulla psiche umana.
Il tennis, con la sua natura intensa e combattiva non ha uguali nella sua capacità di sezionare il carattere di una persona nel corso di un evento. I giocatori ai massimi livelli non solo hanno debolezze nella tecnica di, ma anche nella personalità, punti deboli nascosti in profondità che emergono solamente al quinto set o sul 5-5 durante il tie-break. E per raggiungere il top, spesso è necessario reinventarsi, provare a rendere quel punto debole un po’ più difficile da trovare. Kei Nishikori capisce tutto per quel che riguarda il reinventarsi. Mentre discutiamo il suo percorso per diventare il primo tennista giapponese di sempre a raggiungere una finale di un Grande Slam, spiega che è stata una questione di cambiare il modo in cui vedeva se stesso.
“Quando ero un junior giocavo e basta. Non pensavo troppo, quindi potevo giocare un buon tennis con chiunque. Una volta diventato professionista avevo troppo rispetto per tutti, specialmente per i top players. Era un grosso problema. Bisogna essere veramente forti mentalmente contro di loro e la prima volta che ho giocato contro Roger (Federer), riuscivo a malapena a giocare perché lo rispettavo troppo. Non cercavo neanche la vittoria, stavo solo giocando contro il mio idolo. Da 20enne introverso e timido, semplicemente felice di essere nel circuito, Nishikori ha scoperto di pavoneggiarsi un po’, a 25 anni e con l’ambizione di emulare Li Na, la prima campionessa asiatica di un doppio Grande Slam.
Il mio corpo si sta rinforzando molto
Il linguaggio del corpo in campo ha un’importanza sorprendente, specialmente contro Novak Djokovic e Rafael Nadal, giocatori che si attaccano al più piccolo indizio di incertezza. “Ora in campo cammina come dovrebbe”, dice Dante Bottini, allenatore di Nishikori per molto tempo. “Sì sta dando un tono. Tutto questo arriva con la sicurezza e con l’essere ai vertici.” Arriva anche dallo stare relativamente senza infortuni, un’esperienza rara per Nishikori, il cui fisico magro, quasi fragile si è regolarmente piegato di fronte al rigore del circuito. Ai suoi occhi è semplicemente questione di lavorare più duramente. “E’ il tempo che ho passato in palestra, a recuperare, ad allenarmi, tutte le piccole cose,” dice. “Persino quando gioco nei tornei continuo a lavorare in palestra. Forse questo aiuta. Ho comunque subito un altro paio di infortuni che mi sono costati alcune partite importanti, ma agli US Open ho giocato sette partite e in diverse sono arrivato al quinto set . Il mio corpo si sta rinforzando molto.” La visione leggermente più accorta di Bottini è che Nishikori sta imparando a conoscere i limiti del suo corpo, quello che può permettersi e quello che non può permettersi. Nella sua testa non ha più paura di infortunarsi e quindi si sta sforzando di più. Parte di ciò deriva dalle sagge parole di Michael Chang, l’ex campione del Roland Garros che ha aggiunto un tocco da maestro Zen a Nishikori.
“Adoro il suo modo di pensare,” dice con entusiasmo Nishikori. “Quando ci parliamo provo ad entrare nella sua mentalità. Sa come dovrei giocare. Abbiamo un fisico molto simile. Ora sono un po’ più aggressivo di prima, più solido dalla linea di fondo. Sento che tutto quello che colpisco sarà un vincente, dritto e rovescio. Prima di infortunarmi ero molto contento del modo in cui stavo giocando sulla terra rossa. E mi concentro meglio. Michael mi aiuta a rimanere concentrato e a non essere troppo frustrato.” Come Chang, i polsi fini e i riflessi veloci l’aiutano più di quanto non si pensi contro il gioco di molti grandi campioni. Anche i suoi oppositori rispettano la potenza letale che può generare. “Mi è sempre piaciuto il suo rovescio perché lo colpisce così facilmente e in maniera così liscia, ma il dritto è sempre stata la sua arma,” dice Bottini. “Questo era il colpo con cui ha sempre finito il punto o ha provato a mettere l’avversario in difficoltà, sin da quando ha iniziato. E quest’anno sta colpendo davvero molto molto bene.” Chang ha apportato alcuni aggiustamenti tecnici, in particolar modo al servizio che è passato
dall’essere semplicemente un modo per iniziare il punto, a una vera e propria arma; portare Nishikori tra i top five è stata più una questione di aumentare la fiducia in se stesso che di migliorare il suo gioco. Bottini individua un paio di momenti nel 2014 in cui ha veramente notato un improvviso cambiamento nella mentalità di Nishikori, la sconfitta contro Rafael Nadal al quarto turno degli Australian Open (ovviamente era arrabbiato per aver perso ma credeva assolutamente che avrebbe potuto batterlo. Ci è andato molto molto vicino in tutti i set.) e la semifinale a Miami in cui ha battuto Grigor Dimitrov, David Ferrer e Roger Federer lungo la strada. Curiosamente né Bottini né Nishikori menzionano lo US Open (dove ha battuto Milos Raonic, Stanislas Wawrinka e Novak Djokovic per
raggiungere la finale). Può essere stato un traguardo importantissimo ma non ha sentito di aver giocato il suo miglior tennis, neanche quando ha sconfitto Djokovic in cinque set. “Faccio più caso alla sua mentalità e determinazione nella partita che alla qualità del suo gioco,” Dice Bottini. Nishikori rivela che addirittura prima degli US Open, aveva perso la paura che una volta sentiva quando doveva affrontare le icone del tennis su palcoscenici importanti. “Un volta avevo paura, sicuramente un paio di anni fa e persino nel 2013, ma ora non più. Ci sono da molto tempo, facendo molte cose meglio del resto di altri tennisti. Ma le cose stanno cambiando. Non devo più rispettarli così tanto.”
I Top8 momenti di Federer a Dubai by Roberto Marchesani La storia di Federer a Dubai è particolarmente interessante vista la stratosferica cifra di 7 titoli conquistati in 9 finali conseguite su 12 partecipazioni totali.
La storia di Federer a Dubai è particolarmente interessante vista la stratosferica cifra di 7 titoli conquistati in 9 finali conseguite su 12 partecipazioni totali. Quando lo svizzero ha deciso di approdare negli Emirati ha fallito l’accesso alla finale solo in 3 occasioni : nella prima visita, 2002, quando fu bruciato all’esordio, nel 2008 quando un sorteggio decisamente sfortunato lo ha messo di fronte Andy Murray nel 1° turno della competizione e poi nel 2013 quando ha avuto 3 match point per rigiocarsi la finale ma si è dovuto fermare in semi causa rimonta di Tomas Berdych. I top8 moments del 17 volte campione dello Slam nel “500” che da ormai un decennio è considerato piuttosto unanimemente come quello più prestigioso (e ricco, conti alla mano) del circuito.
8. Lob tweener spalle alla rete (2014, round 1 contro Benjamin Becker) E’ l’inizio della terza, quarta, quinta (!?) rinascita di Roger? La storia dice che Federer viene da un 2013 pessimo con una schiena tormentata da mesi, risultati scarsi e de profundis a 32 anni. Lo svizzero ha appena disputato un buon Australian Open (semifinali, battuto da Nadal) e dalla freschissima collaborazione con Stefan Edberg, pare dunque esserci un buon presupposto per ripartire. La nuova racchetta, ormai definitivamente focalizzata, sembra dargli un notevole vantaggio soprattutto dalla parte sinistra. Dubai 2014 è il torneo che segna la rinascita e già nel primo turno Roger fa mirabilie. Contro Benjamin Becker, nel 6° game del secondo set, il fuoriclasse elvetico si inventa un lob tweener (!) che disorienta il povero Becker e procura poi il punto con una semplice volee a campo aperto. Di tweener spalle alla rete se ne erano visti tanti, anche di passanti, ma addirittura un millimetrico lob… semplicemente spettacoloso. 7. Altro strepitoso tweener… stavolta di passante (2007, round 2 contro Daniele Bracciali)
Balzo indietro di 7 anni e troviamo il Federer nel suo massimo prime agonistico, dominatore assoluto del circuito, n.1 del mondo incontrastato, che arriva a Dubai nel mese di febbraio 2007 in striscia positiva da 36 incontri (tradotto, non perde un match dall’estate dell’anno precedente). Nel 2° turno trova il nostro Daniele Bracciali che fa una gran bella partita, cede il primo set solo 7-5 e onorevolmente tiene il campo fino alla fine del match. Il golden moment arriva sul 7-5 4-2 40-0 quando Federer si inventa un altro momento di pura “erezione artistica”. Dopo un attacco in slice di rovescio, Roger è costretto a correre all’indietro per un perfetto lob di Daniele che lo ricaccia a fondocampo. Il punto non può che essere finito, pensano in molti, nessuno può vincerlo in quella posizione del campo e spalle alla rete. Federer con una nonchalance imbarazzante da sotto le gambe spara un proiettile di passante nei pressi della riga. Anche questo è talmente bello da lustrarsi gli occhi ancora oggi. 6. Murray a lezione dal maestro (2012, finale) Il 31enne Federer in finale contro il 25enne Murray. Sarà ormai vecchio lo svizzero. Poi però c’è la finale che si può reperire su you tube o in un semplice dvd. Per chi non ricordasse se la riguardi. Lezione di tennis, con l’ovale 90 Federer pennella ancora che è una bellezza e disarciona lo scozzese con delle fucilate di dritto impressionanti (tali da ricordare vagamente il Federer 2004/05 che sulla vigoria fisica ha ancora qualcosa di sovrannaturale) alternate alla solita grazia tecnica che comprende qualsiasi tipo di soluzione.
Andy ci prova, è un buon Murray quello in campo a Dubai ma non può che perdere 7-5 6-4. Il bello (o il brutto) è che la delusione è niente in confronto a quella che dovrà subire 4 mesi più tardi sul centrale di Wimbledon. 5. Rimonta da 0-5 nel tie-break e successo su Del Potro (2012, semifinale) Nel turno precedente, in semifinale, Federer deve superarsi per battere un gran Del Potro, dopo una lotta punto a punto, 7-6 7-6 che poteva anche essere ben diverso. Il thriller si consuma nel secondo tie-break quando Roger va sotto 5-0 e la prospettiva di giocare un terzo set non è delle più rosee, anche in previsione della finale del giorno dopo.
Federer vince 2 punti ma non il terzo, per cui il punteggio recita 2-6 e ci sono 4 set point consecutivi da annullare. Ma non si scompone, al servizio mette due prime, una vincente e l’altra propedeutica al dritto successivo, in campo. Un paio di scambi lavorati e rimonta fino al 6-6. Il 13° punto è da fiato sospeso : 28 colpi. Lo vince Federer. Match point e altro scambio duro, vinto. Del Potro perde gli ultimi 6 punti del match. Piccola rivincita per l’Open degli Stati Uniti? Non avrà mai quel peso specifico, è evidente. Ma è un match di fondamentale importanza per la rincorsa che porterà Roger di nuovo sul trono del tennis mondiale l’8 luglio di quell’anno. 4. Magic shot contro Agassi (semifinale, 2005) Sono passati esattamente 10 anni da quel memorabile punto, secondo me tra i più straordinari colpi di Roger. Era il 2005 quando in semifinale Federer e Agassi dividono il campo, i due che pochi giorni prima avevano fatto quel futuristico scambio sul campo da tennis in cima al grattacielo dominante di Dubai sulle acque degli Emirati. Tutto molto bello, ma quel punto ancor di più. Ma non tanto il punto, forse occorre specificare e sottolineare che la straordinarietà dell’evento sta nel singolo colpo, più che il punto. Federer sta dominando la partita, sopra 6-3 2-0 e fronteggia una palla break per ammazzare la partita. E la ammazza.
Dopo un batti e ribatti con entrambi nei pressi della rete, Agassi appoggia la palla in campo aperto con Roger ancora piazzato in avanti. Anche questo sembra punto fatto, per Agassi. Federer con un movimento felino spizzica la palla e disegna un lob pe-r-f-e-t-t-o che cala beffardamente sulla riga del lato di campo opposto. Agassi la prende malissimo, come dargli torto. Colpo misterioso. 3. Serie di 20 punti consecutivi contro Verdasco (2° turno, 2015) Roba recente ma non meno straordinaria. Un super Verdasco vola 4-1 nel primo set, in pista per fare partita pari con il fenomeno. Poi anche in questo caso, misteriosamente, il fenomeno non gli fa fare più un punto vincendo i successivi 20 del parziale, chiudendo con l’ace il 20° punto (a 0) del primo set. Tra i 20 punti di fila vinti anche uno stepitoso in recupero. Non male.
contro Novak Djokovic che recita di 2 palle-break sfruttate su 2 conseguite e di 7 annullate su 7 concesse. Un 100% pieno e rotondissimo. Ma i veri momenti da consegnare ai posteri sono i due recuperi nel secondo set dal 3-4 15-40 e poi 4-5 1540 per salvare il game. Nel primo caso : 4 servizi vincenti (di cui 2 ace). Nel secondo caso : volee da fantascienza sulla riga, seguita da una prima vincente e poi due ace consecutivi. Lo straordinario che diventa ordinario? 1. Il match perfetto contro Nole (semifinale 2014) Il match perfetto, tra i più belli del 2014, va in scena in semifinale sempre tra Federer e Djokovic. Un match breve ma di una qualità unica.
2. Cecchino contro il n.1 (finale 2015, avversario Novak Djokovic) Ancora materiale di qualche giorno fa. Impressionante ruolino di marcia a 33 anni suonati
I due sono centratissimi e quando sono in queste condizioni non può che uscirne un capolavoro. Il primo set è un saggio straordinario delle qualità del serbo, che domina il suo avversario nonostante Roger ci sia. Poi il maestro si inventa due set sensazionali dove sembra quasi camminare sulle acque (esagerazione, ma neanche tanto). Il punteggio, 3-6 6-3 6-2, non da il giusto peso alla qualità della partita. Da rivedere, ne vale la pena.
Il Tennis: sport globale e gender-friendly by Nicolò Inches Il tennis rappresenta, forse, la principale cartina di tornasole della liberalizzazione dei costumi nel mondo dello sport
Il tennis rappresenta, forse, la principale cartina di tornasole della liberalizzazione dei costumi nel mondo dello sport. Anche (e soprattutto) sessuali. Non si può dire certamente lo stesso con riferimento alle discipline di squadra, in cui dominano cameratismo e tabù sugli orientamenti diversi dall'eterosessualità: per quanto nemmeno i tennisti, nel complesso, vengano elevati al rango di intellettuali, la celebre boutade sui “Froci” dell'allora attaccante della Nazionale italiana di calcio Antonio Cassano non sarebbe mai uscita dalla conferenza stampa di un qualsivoglia torneo Atp. Tennis e football sono infatti agli antipodi per quanto riguarda la loro filosofia di base: il primo rappresenta fin dal principio un agonismo in cui dominano non solo eleganza e lealtà sportiva, ma anche una marcata preminenza dell'individuo; nel secondo, al contrario, è il fattore collettivo (lo “spogliatoio”), nella maggior parte dei casi, a determinare i destini di una squadra. Il tennis si differenzia anche da altri sport individuali (vedi l'atletica leggera), nei quali la presenza della Federazione nazionale e il controllo dei gruppi
sportivi di riferimento – perlopiù facenti capo a corpi ed organismi dello Stato – rappresentano una variabile significativa per la vita degli atleti. All'interno del nostro amato sport con racchetta, la vicenda dell'ormai ex giocatrice Wta Na Li è emblematica: la campionessa di Roland Garros e Australian Open riuscì a imprimere una svolta alla sua carriera solo dopo aver reciso i legami con una federazione cinese “da regime”. Un altro fattore rende il tennis un universo a parte: il suo dinamismo globe-trotter. Dai Fab Four al n.800 delle classifiche, tutti i professionisti sono costretti a girare il mondo per ottenere gloria e denaro (nella peggiore delle ipotesi, tirare a campare). “È la Globalizzazione, bellezza”: i giocatori si spostano 11 mesi all'anno da un angolo all'altro del pianeta, quasi delle multinazionali di se stessi. Il risultato è il prevalere del cosmopolitismo sul senso di appartenenza comunitario, il quale riaffiora solo nel corso di pochi fine settimana – precisamente al momento delle convocazioni per Davis e Fed Cup. Ci sono eccezioni di rilievo, in primis quella del numero uno del mondo Novak Djokovic e il suo sconfinato orgoglio serbo, oppure quella (più discussa) del tunisino Jaiziri e dei ritiri contro giocatori israeliani, sospettati di essere “manovrati” da una Federazione anti-sionista; in generale, però, il tennis è la disciplina che più si confà ad un certo
relativismo culturale. Inevitabilmente, la sessualità è uno degli ambiti sui cui ci sono state le maggiori ricadute dopo l'ondata libertaria e individualistica che si è sviluppata tra il XX e il XXI secolo. Ciò ha coinvolto anche il mondo dello sport e il tennis in particolare, il quale può vantare il più nutrito numero di campioni protagonisti di coming-out o battaglie legate al riconoscimento dei diritti civili per l'universo LGBT, se si esclude il nuoto di Ian Thorpe e Tom Daley (nel calcio, come nel rugby e nel football americano, le “mosche bianche” si rivelano in maniera traumatica e quasi sempre a carriera ormai finita). Il dato straordinario è che si tratta di tre donne – a fronte di 0 casi accertati tra i maschietti - e che tutte hanno raggiunto il numero uno del ranking mondiale nel corso della loro carriera.
In principio fu l'americana Billie Jean King, vincitrice di 12 titoli del Grande Slam a cavallo tra gli anni '60 e '70, la quale fu indotta ad ammettere una relazione omosessuale ed extra-coniugale con la sua segretaria nell'ambito di una causa legale. Da allora divenne un punto di riferimento per il mondo gay e transgender, tanto da essere nominata rappresentante USA alla cerimonia di apertura delle ultime Olimpiadi invernali di Sochi: una scelta più politica che sportiva, dettata dalla contrarietà dell'opinione pubblica statunitense nei confronti delle leggi liberticide e omofobe varate dalla Russia di Vladimir Putin. Martina Navratilova, altra leggenda da 18 major e 167 trofei di singolare in bacheca, fu invece la prima sportiva donna a dichiarare apertamente la propria omosessualità nel 1981, dopo aver assunto la cittadinanza americana (natìa dell'allora filosovietica Cecoslovacchia). Una svolta che le costò la fuga (momentanea) di tutti gli sponsor, pur rendendola al tempo stesso una vera icona di libertà. A fine 2014 Martina si è sposata con la sua compagna degli ultimi anni Julia Lemigova e attualmente è coach della top10 polacca Agnieszka Radwanska. La curiosità è che quest'ultima, cattolica praticante, fu espulsa dal movimento “Crociata dei Giovani” nel 2013 per aver posato nuda sul magazine ESPN “Body Issue”. Chissà cosa devono aver pensato i suoi correligionari, alla notizia del sodalizio con una paladina gay come Martina Navratilova...
Anche nel pur liberal tennis, insomma, c'è ancora molto da rivedere sul tema della tolleranza e dei pregiudizi. La più “precoce” nel coming-out è stata però una giocatrice del Vecchio Continente, precisamente dalla Francia che ha legalizzato le nozze omosessuali nel 2013. Si tratta della “Maga” Amélie Mauresmo, che non ancora 20enne svelò al grande pubblico di essere lesbica: “Non ho nulla da recriminare sul mio coming-out, anche se forse avrei dovuto farlo in maniera meno brutale”, avrebbe poi dichiarato Amélie al quotidiano L'Equipe anni dopo. Il contesto nel quale venne rilasciata la “confessione”, infatti, non fu dei più rosei: la Mauresmo conquistò la finale degli Australian Open 1999, battendo la n.1 del momento Lindsay Davenport e fermata solo da un'altra campionessa di precocità come Martina Hingis, che fomentò una mezza rissa verbale con l'attuale coach di Andy Murray definendola “Mezzo uomo”.
Anche nel pur liberal tennis, insomma, c'è ancora molto da rivedere sul tema della tolleranza e dei pregiudizi. Lo sa bene il capitano della squadra di Coppa Davis spagnola Gala Leon, ex n.27 Wta, la cui nomina (al posto dell'ex campione di Parigi e Roma Carlos Moya) ha suscitato un vespaio di polemiche di stampo sessista nel clan iberico, per non parlare dell'“editto” pronunciato da Toni Nadal: “Non mi sembra appropriato che ci sia una donna negli spogliatoi”. Quando ci si sposta sul piano collettivo, si sa, gli approcci gender-friendly faticano ad attecchire...
Le statistiche del World Group di Coppa Davis by Marco Di Nardo Le statistiche rappresentano uno dei metodi attraverso cui si cerca di capire quali siano stati i migliori tennisti di sempre
Quanto sia importante nel tennis stilare delle graduatorie statistiche per tracciare un quadro generale delle diverse competizioni, è ormai riconosciuto da tutti i giornalisti e gli addetti ai lavori. Le statistiche rappresentano infatti uno dei metodi attraverso cui si cerca di capire quali siano stati i migliori tennisti di sempre, e anche quali siano i favoriti alla vigilia di un torneo importante come può essere uno Slam o un Masters 1000. Anche quando si parla di Davis Cup, è impossibile non ricordare record importanti, come le 120 partite vinte da Nicola Pietrangeli tra singolare e doppio, ancora oggi un un primato imbattuto e nemmeno avvicinato dagli attuali top players.
Tuttavia nella più importante competizione di tennis a squadre, non ci si è mai preoccupati di fare delle differenze tra le diverse categorie che compongono la stessa competizione. Siamo infatti tutti a conoscenza del fatto che dal 1981 la Davis ha subito un importantissimo cambiamento, con l'introduzione del World Group e delle altre divisioni che fanno parte di questa competizione. Può essere quindi interessante stilare delle graduatorie statistiche che prendano in considerazione solo i risultati ottenuti nel World Group (play-offs inclusi), dove il livello di tennis è chiaramente molto più alto rispetto ai vari Group I, II, III o IV. Questo permette di avere dei dati che non sono influenzati dai diversi livelli a cui si gioca
I tennisti che hanno giocato almeno 20 incontri di singolare nel WG della Davis Cup, sono in totale 88 la stessa competizione, potendo quindi disporre di statistiche più "realistiche". Questo ovviamente non serve a sminuire le 120 partite vinte da Pietrangeli, quando ancora non era stato introdotto il format moderno. L'obiettivo è semplicemente quello di avere dei dati sulla Coppa Davis dal 1981 a oggi, prendendo in considerazione solo le partite giocate nel gruppo più importante che fa parte di questa competizione, ovvero il World Group. Giocatori con almeno 20 partite giocate in singolare nel World Group. I tennisti che hanno giocato almeno 20 incontri di singolare nel WG della Davis Cup, sono in totale 88. Sarebbe inutile elencarne tutti i nomi, ma è importante sapere che sono proprio questi 88 giocatori quelli che abbiamo preso in considerazione per stilare le graduatorie che andremo a mostrare in seguito.
Abbiamo infatti deciso di limitarci solo agli incontri di singolare. Partite giocate. Per quanto riguarda il numero di partite giocate in singolare nel WG, abbiamo preso in considerazione sia quelle giocate sulla distanza dei 3 set su 5, che quelle disputate sulla corta distanza (2 set su 3), ovvero quelle che vengono giocate a punteggio acquisito (quando una delle due squadre ha già portato a casa la vittoria finale). A primeggiare in questa classifica è Mats Wilander, con 52 incontri disputati. 1. Mats Wilander 52 2. Stefan Edberg 50 3. Evgeny Kafelnikov 47 4. Lleyton Hewitt 46 5. Roger Federer 45 5. Andy Roddick 45
Partite vinte. Anche per quanto riguarda il numero di vittorie in singolare nel WG, vengono considerati sia i match 3 set su 5 che quelli 2 su 3. Il più vincente in assoluto è Boris Becker. 1. Boris Becker 38 2. Roger Federer 37 3. Mats Wilander 36 4. Stefan Edberg 35 5. Lleyton Hewitt 33 5. Andy Roddick 33 % vittoria. Passiamo quindi alla percentuale di successo sul totale delle partite disputate. In questo caso è Rafael Nadal il migliore, con un impressionante 95.45% di partite vinte, frutto di 21 vittorie e una sola sconfitta. 1. Rafael Nadal 95.45% (21-1) 2. Boris Becker 92.68% (38-3) 3. Thomas Muster 86.36 (19-3) 4. John McEnroe 85.29% (29-5) 5. David Ferrer 85.18% (23-4) Vittorie consecutive. Per quanto riguarda le serie più lunghe di vittorie, sono Boris Becker (22), e Rafa Nadal (21), ad aver messo a segno le strisce più importanti. Lo spagnolo ha però ancora la possibilità di allungare la sua serie, che è ancora aperta. 1. Boris Becker 22 2. Rafael Nadal 21 (serie aperta)
Vittorie in 5 set. Sono Jonas Bjorkman e Tomas Berdych ad aver vinto il maggior numero di partite in 5 set nel World Group della Coppa Davis. 1. Jonas Bjorkman 7 1. Tomas Berdcyh 7 3. Boris Becker 6 4. Sebastien Grosjean 5 4. Ramesh Krishnan 5 4. Jim Courier 5 4. Evgeny Kafelnikov 5 4. Gustavo Kuerten 5 4. Dominik Hrbaty 5 4. Lleyton Hewitt 5 % vittorie in 5 set. La prossima classifica riguarda la percentuale di vittorie ottenute al quinto parziale. Vengono presi in considerazione solo i giocatori che sono approdati al set decisivo almeno in cinque occasioni. 1. Jonas Bjorkman 100% (7-0) 2. Boris Becker 100% (6-0) 3. Sebastien Grosjean 83.33% (5-1) 3. Ramesh Krishnan 83.33% (5-1)
5. Stefan Edberg 80% (4-1) 5. Mikhail Youzhny 80% (4-1) Maggior numero di rimonte da 0-2 nel conteggio dei set. E' Andrei Chesnokov il giocatore ad aver rimontato piĂš volte uno svantaggio di 2 set a 0 in singolare nel WG. 1. Andrei Chesnokov 3 2. Boris Becker 2 2. Tomas Berdych 2 2. Viktor Troicki 2 2. Sebastien Grosjean 2 2. Karol Kucera 2 2. Andrei Pavel 2 2. Gustavo Kuerten 2 2. Patrick Rafter 2
% rimonte da 0-2. Nella prossima graduatoria si prendono in esame tutte le volte in cui determinati tennisti si sono trovati indietro per 2 set a 0, mettendo in evidenza quelli che sono riusciti in piÚ occasioni (a livello percentuale) a rimontare e quindi vincere l'incontro. Incredibile il dato relativo a Boris Becker, che si è trovato solo due volte indietro per 2-0, ed in entrambe le circostanze ha ottenuto la vittoria finale. Nelle tre partite perse in carriera nel WG, infatti, il tedesco ha sempre vinto uno dei primi due set. Rientrano nella graduatoria solo i giocatori che hanno messo a segno almeno due rimonte. 1. Boris Becker 100% (2-0) 2. Andrei Chesnokov 60% (3-2)
3. Viktor Troicki 50% (2-2) 3. Patrick Rafter 50% (2-2) 5. Carl-Uwe Steeb 40% (2-3) Maggior numero di games vinti in pi첫 del rivale in un match perso. Appartiene ad Andy Roddick il record di games vinti in pi첫 rispetto al rivale nonostante la sconfitta nel match stesso. Lo statunitense, nell'incontro perso in semifinale nel 2008 contro David Ferrer, vinse in totale ben quattro games in pi첫 dello spagnolo. 1. Andy Roddick 4 (D. Ferrer-A. Roddick 7-6 2-6 1-6 6-4 8-6, games 24-28)
Quando lo sport divide by Federico Mariani
Lo sport è una delle più alte e pure manifestazioni dell’animo umano.
Lo sport è una delle più alte e pure manifestazioni dell’animo umano. Lo sport nel corso della storia, molto prima della politica, è stato in grado di abbattere barriere razziali e culturali, è stato in grado di unire dove c’era separazione, di amare dove c’era odio, di portare pace dove c’era guerra. Lo sport ha portato spesso una pacata ribellione. Non sempre, tuttavia, lo sport riesce a sconfiggere la diversità, l’ignoranza, l’intolleranza. A volte, anche lo sport aiuta la divisione. E’ questo il caso di Malek Jaziri, tennista tunisino abbondantemente tra i primi 100 giocatori del mondo, e del suo reiterato rifiuto a scendere in campo contro giocatori israeliani. Il fatto risale al torneo 250 di Montpellier dove Jaziri, impegnato nel primo turno contro Istomin, si ritira alla fine del primo set ufficialmente per un fastidio all’avanbraccio, set peraltro vinto agevolmente dal tunisino per 6-3. Tuttavia, è piuttosto facile comprendere chi e cosa ha spinto Jaziri al forfait. In caso di vittoria, infatti, il tennista di Biserta avrebbe dovuto fronteggiare al secondo turno Dudi Sela, giocatore israeliano. Uno scontro, anche se sportivo, non contemplato dalla federazione tunisina.
La Tunisia, infatti, sposa ed è solidale alla causa palestinese e perciò non riconosce lo stato d’Israele in tutte le sue forme, manifestazioni sportive naturalmente incluse. Non è la prima volta che Jaziri finisce nell’occhio del ciclone per episodi analoghi. Nel 2013, infatti, durante il challenger di Tashkent in Uzbekistan Jaziri decise di non scendere in campo contro Amir Weintraub, altro tennista ovviamente israeliano. In quel frangente si scoprì che furono sia la FFT (federazione tunisina) che addirittura il ministro dello sport tunisino a fare pressioni più o meno esplicite per cancellare, di fatto, l’incontro. Nella circostanza, l’ITF aprì un fascicolo che portò ad una squalifica di un anno per la Tunisia da Fed Cup e Coppa Davis. Il nuovo caso di Montpellier non è chiaramente passato inosservato, come era inevitabile del resto, ma in quest’occasione Jaziri e la Tunisia sono riusciti a salvarsi da squalifiche e multe in quanto il giocatore è riuscito a dimostrare in qualche modo l’esistenza del presunto infortunio, anche se la settimana successiva Jaziri si è regolarmente presentato al torneo di Memphis. L’episodio di Montpellier ha sollevato polemiche provocando piogge di critiche nei confronti di Jaziri. C’è chi pretende squalifiche, chi addirittura chiede la radiazione del giocatore.
A Montpellier lo scorso mese lo sport, anziché unire, ha diviso. A Montpellier lo scorso mese lo sport ha perso. Ma è davvero giusto scagliarsi contro il giocatore? L’ipotesi che dietro i forfait di Jaziri ci sia la volontà della politica interna di un paese intero è decisamente verosimile. Ed è difficile, se non impossibile, giudicare negativamente la condotta del giocatore in un contesto simile. Anzi, è forse intellettualmente onesto cercare di giustificare e comprendere Malek che, per colpe non sue, ha rinunciato per la seconda volta ad una vittoria che avrebbe portato guadagni in termini sia economici che di ranking. In realtà delicate come quelle osservate in questo caso, spesso e volentieri viene meno il libero arbitrio, anche se si è uno sportivo riconosciuto ed affermato come Jaziri che, in patria, è considerato alla stregua di un eroe nazionale. Il tennis, così come tantissime altre discipline, è stato in grado in passato di trasmettere unione e pace spezzando le barriere culturali e razziali.
Molti sono gli esempi positivi, dallo scambio di maglia a fine match tra il serbo Djokovic ed il croato Ljubicic, all’intera carriera dell’Indo-Pak Express, la coppia di doppio formata da Bopanna (indiano) e Qureshi (pakistano). Per quanto riguarda, invece, la questione TunisiaIsraele ancora non è stato così, ancora Jaziri deve sperare di non trovarsi un tennista israeliano vicino a lui in tabellone perché in questo caso il torneo per lui sarebbe finito prima di iniziare. E’ un’ingiustizia tremenda che va fermata. Lo sport può e deve superare la politica. Lo sport, a differenza della politica, è puro e giusto e tutti devono poter avere le stesse possibilità di battersi, perché per un tennista battersi vuol dire lavorare e nessuno può avere il diritto di impedire ciò.
Il Carneade Italiano by Giorgio Giannaccini Le gesta compiute nella settimana di San Paolo rimarranno sicuramente a lungo nella memoria di Luca Vanni
Le gesta compiute nella settimana di San Paolo rimarranno sicuramente a lungo nella memoria di Luca Vanni, ragazzotto aretino, non più giovanissimo, che ci ha stupito alla soglia dei trent'anni. Sebbene sia mancata la ciliegina sulla torte – difatti la finale del torneo è andata a Cuevas al tie break del terzo set - nonostante il toscano avesse servito sul 5-4 per il match – Vanni ha fatto comunque qualcosa di pazzesco, inesprimibile nel suo piccolo. Questo ragazzone di un metro e novantotto centimetri, prima del torneo di San Paolo non aveva mai vinto un match a livello ATP, ma anzi vantava solo vittorie nel circuito dei Futures e una finale – peraltro ottenuta lo scorso anno - a livello di Challenger, e nulla lasciava presagire che potesse essere in qualche modo protagonista nel suddetto torneo. Vanni, che non è mai stato fortunato sportivamente parlando, visto che a nemmeno vent'anni, durante il primo anno da pro, si spaccò entrambe le ginocchia, la fortuna se l'è costruita da solo e ha fatto – ripeto - qualcosa di impensabile. È incredibile pensare che un anno fa esatto egli non fosse nemmeno fra i primi 800 giocatori al mondo.
Tutto quello che è successo questa settimana è incredibile. Basti pensare alla semifinale contro l'idolo di casa Souza: il pubblico prima dà prova di inciviltà tennistica con schiamazzi ininterrotti durante il game di servizio che vedeva l'aretino servire per il match, poi esulta ad ogni errore gratuito dell'avversario, a mo' calcistico, come se avesse appena segnato il Brasile dentro al Maracanà. Souza, dal canto suo, mostra la propria indole da perdente: non tanto nella conduzione del match, anche giusta, che lo vedeva caricarsi e prendere fiducia anche grazie al pubblico, ma nell'esultare platealmente, scorrettamente e in faccia all'italiano, non appena esso sbagliava un colpo o faceva un doppio fallo, preso dai propri psicodrammi tennistici. Ricorrere a queste becere strategie psicologiche, con tanto di pugnetto mostrato sotto il naso all'avversario, è sinonimo di non grande qualità tennistica, e alla fine il match l'ha dimostrato, vedendo come vincitore non lui ma il nostro Vanni. Il toscano è stato superbo, sembrava spacciato: prima annullava tre palle break sull'1-1 del terzo set, poi ne annullava una quarta sul 2-2 e poi al settimo game ecco cedere il break come sembrava ormai ovvio. Nel momento dove sembrava lampante il tracollo definitivo di Vanni, ha pensato bene di smentirci: sul 4-3 40-15 ecco il ribaltone di Luca, che prima va in parità e poi controbrekka lo
La vittoria di Vanni può e deve rappresentare molto: deve farci capire come un ragazzo solo con la testardaggine sia riuscito a realizzare un sogno credendoci scorretto brasiliana e impatta sul 4-4. Vola senza difficoltà sul 5-4, e l'ormai stordito Souza, dopo aver mancato una chance per il 5 pari, cede il game, set e match. Il pubblico è attonito, forse lo è anche Luca, noi a casa più di loro. La vittoria di Vanni può e deve rappresentare molto: deve farci capire come un ragazzo solo con la testardaggine sia riuscito a realizzare un sogno credendoci nonostante dieci anni di calvario, che non è mai finita fino alla stretta di mano, che se il pubblico ti fischia, fregatene, sarà più bello farli rimanere di sasso non appena avrai battuto il loro bamboccio. E cosa più importante, come sia possibile la sportività anche in un'epoca come quella attuale: d'altri tempi sono stati i suoi complimenti sinceri, durante i match, per un bel punto dell'avversario; da signore sono stati i complimenti a fine match verso Souza – che forse meritava solo uno dei più malvagi turpiloqui mai pensati – e verso il pubblico – scorretto, di parte, antisportivo. L'entusiasmo di Vanni e quel suo accento toscano devono rimanerci bene in mente: come si possono scordare durante la cerimonia di premiazione della finale - parole così commoventi, così cariche di entusiasmo puerile, solo per una partita di tennis, tra l'altro persa? E dirò anche questo: il signor Luca Vanni mi ha sinceramente commosso nell'arco di questa settimana. Non mi ha commosso tanto il suo modo di giocare: reputo che tiri ben pochi vincenti col dritto e col rovescio rispetto alla stazza fisica che possiede - dovrebbe anzi essere avvantaggiato da questo punto di vista! -, fin troppo scolastico e poco naturale mi pare il suo back di rovescio, in più sfrutta poco la sua apertura
Mi ha commosso quella sua determinazione, il coraggio sfrontato, l'estrema correttezza alare a rete, troppo attendista e troppo fondista sembra il suo gioco, giusto la battuta – anche grazie ai suoi quasi due metri – è un colpo ineccepibile. Piuttosto mi ha commosso quella sua determinazione, il coraggio sfrontato, l'estrema correttezza di questo ragazzo qualunque, di questo carneade del tennis italiano. C'è chi vince gli Slam, chi Roma, chi San Paolo, e chi non vince nulla come il nostro Vanni, ma questo non significa non aver fatto qualcosa di grande. Puoi anche non vincere a trent'anni suonati, come fece invece James J. Braddock nei pesi massimi - tanto da essere soprannominato “Cinderella Man”- ma rimane comunque una piccola impresa, una piccola grande impresa di un ragazzo qualsiasi. E sebbene il buon Luca non diventerà mai un Sampras, a noi va bene così. Grazie di tutto.