N째20 - ottobre 2014
TENNIS WORLD IL TENNIS SVIZZERO. UN MIRACOLO NATO NEGLI ANNI '90
Andy Murray E' stato un 2014 difficilissimo quello di Andy Murray, ma sembra finito
Mats Wilander Vivere con la peggior malattia mai sentita.
Training Autogeno Uno degli strumenti mentali adottato dai giocatori per il controllo dell'ansia.
Murray sulla retta via di Marco Di Nardo
E' stato un 2014 difficilissimo quello di Andy Murray.
E' stato un 2014 difficilissimo quello di Andy Murray. L'operazione alla spalla che lo aveva costretto a saltare l'ultima parte della scorsa stagione, ha avuto ripercussioni molto più negative del previsto sulle sue prestazioni in questa annata tennistica, e così lo scozzese ha avuto bisogno di molto tempo per riprendersi fisicamente e mentalmente dallo stop forzato. Arrivati a ottobre la situazione non è certamente delle migliori, e pur essendo riuscito a ritrovare un po' di fiducia e risultati, siamo ancora lontani dal miglior Andy Murray. Il tennista britannico, ex numero 2 al mondo e vincitore di due prove del Grande Slam, è
ancora fuori dai primi otto giocatori della Race to London, stando all'aggiornamento della classifica del 6 ottobre 2014, e quindi non si qualificherebbe per le Atp World Tour Finals di novembre. Ovviamente per lui le speranze di andare a Londra sono ancora intatte. Il suo miglior tennis in questa parte della stagione gli permetterebbe di arrivarci senza nemmeno troppi problemi. Le difficoltà incontrate da Andy sono state davvero tante in questi mesi, e forse nessuno si sarebbe aspettato di non vederlo mai in finale per quasi nove mesi, che aggiunti ai cinque sei del 2013 diventano ben quindici mesi senza
Tra la fine di settembre e l'inizio di ottobre sono arrivati due importanti risultati e sette partite vinte consecutivamente. giocare una finale. Il miglior risultato di Murray, fino alla fine di settembre, era stata la semifinale del Roland Garros. Per il resto solo delusioni, con tre sconfitte nei quarti di finale nei tre Slam in cui lo scozzese giocava per vincere, ovvero Australian Open, Wimbledon e US Open. Fortunatamente, tra la fine di settembre e l'inizio di ottobre sono arrivati due importanti risultati per lo scozzese, che ha vinto l'Atp 250 di Shenzhen, e ha raggiunto la semifinale all'Atp 500 di Pechino. Sette partite vinte consecutivamente, serie che per l'ultima volta Andy avevo messo a segno a Wimbledon 2013, vincendo il torneo. Poi è arrivata la sconfitta con Novak Djokovic, ma Murray ha sorpreso per la facilità con cui ha dominato (6-1 6-4 senza mai
perdere il servizio) nei quarti il croato Marin Cilic, fresco vincitore degli US Open e in serie positiva da ben dieci partite. Se il miglior tennis non è ancora stato ritrovato, il britannico è sulla buona strada, e ha ritrovato un po' di continuità, come ha lui stesso affermato: "All'inizio dell'anno avevo molti alti e bassi, e mancavo di costanza. Adesso sto finalmente riconquistando questa costanza. Ciò significa ottenere buoni successi contro avversari solidi". Di certo non bastano due buoni tornei a uno come Andy Murray per essere felice del suo gioco. Lo scozzese deve tornare a vincere anche nei Masters 1000, qualificarsi alla Atp Finals, e magari con un colpo di coda riuscire a vincere
Le possibilitĂ , per un giocatore del suo talento, ci sono tutte, ma il fattore mentale nel tennis fa spesso la differenza il torneo di fine anno, risultato che lo farebbe tornare sui suoi livelli, vicinissimo alle prime posizioni del Ranking. Le possibilitĂ , per un giocatore del suo talento, ci sono tutte, ma il fattore mentale nel tennis fa spesso la differenza, e se non riuscirĂ ad autoconvincersi delle sue potenzialitĂ , nemmeno un grande talento come il suo potrebbe aiutarlo. Non ci resta altro da fare che aspettare il suo ritorno definitivo, sperando che possa concretizzarsi nel minor tempo possibile.
Intervista a Grigor Dimitrov di David Cox
La lotta per essere grandi
La sconfitta fa ancora male,” riflette mestamente Grigor Dimitrov, mentre ricorda la sua titanica semifinale di quest’anno a Wimbledon contro Novak Djokovic. Gareggiando tra gli ultimi quattro in un major per la prima volta, Dimitrov è andato in punta di piedi con il numero uno del mondo per quasi quattro ore, ma Djokovic era una belva feroce sui prati dell’All England Club quest’anno, a caccia del suo primo Grande Slam dopo diciotto mesi. Il duraturo successo di Djokovic, Rafael Nadal, Roger Federer e in misura minore Andy Murray, ha allungato il percorso verso il successo di Dimitrov, ma negli ultimi dodici mesi il 23enne è maturato in
qualcosa di più di una semplice presenza fissa come nei montaggi dei momenti migliori dei tornei. Una sconfitta come quella punge ed è bene che lo faccia,” continua Dimitrov. “Bisogna sentirsi così per volere di più da se stessi e lavorare più duramente. Quella è stata una sconfitta che ho dovuto accettare, ma devo mettermi a testa bassa e riuscire a darmi un motivo per essere più preparato la prossima volta che mi trovo nella stessa posizione.” Ora Dimitrov è nei primi 10 del ranking e ha una possibilità di qualificarsi per le World Tour Finals per la prima volta nella sua carriera, con lo sprint finale nelle prossime
“Sì sono molto migliorato rispetto a questo stesso periodo l’anno scorso” settimane. Dopo una stagione che l’ha visto vincere tre titoli e raggiungere le semifinali di diversi Master 1000, è chiaro che ora appartiene ai vertici del gioco. “Sì sono molto migliorato rispetto a questo stesso periodo l’anno scorso,” dice. “Mi sento più forte, ho passato più ore in palestra, aumentando la resistenza sul campo, per cui ora mi sento bene. Sento che c’è ancora molto spazio per migliorare e come ho detto, c’è molto duro lavoro da fare. Sono molto emozionato per come funziona il mio rapporto col coach, stiamo davvero lottando per essere grandi.” Buona parte della trasformazione di Dimitrov è dovuta all’influenza di Roger Rasheed – l’allenatore che ha portato a Lleyton Hewitt
due finali di Grande Slam dieci anni fa. Rasheed è conosciuto come uno dei più duri capisquadra del gioco, ma è stata la sua abilità nel rafforzare la risolutezza di Dimitrov nei match più importanti, come anche il rafforzare il suo fisico, che ha fatto la differenza nel 2014. In particolare il suo quarto di finale con cui ha demolito Murray a Wimbledon è stato un modello di compostezza davanti al pubblico di parte del campo centrale. “Avevo già giocato una partita sul centrale per cui ero abituato alla sensazione di essere là,” dice Dimitrov. “E ho giocato semplicemente del buon tennis. Non ho lasciato che qualcosa mi infastidisse e ho cercato di essere competitivo contro di lui e il pubblico perché sapevo che
tifavano per lui, avevo quindi bisogno di essere il più composto possibile e alla fine tutto ha girato dalla mia parte.” È questo freddo distacco dal calore dell’evento che è cruciale per superare i nomi più grandi agli ultimi stadi del Grande Slam e Dimitrov affina costantemente i propri nervi, ispirato dal successo di Stanislas Wawrinka e Marin Cilic quest’anno, che si sono fatti varco nel dominio costante dei cosiddetti “Big Four”. Dimitrov ha messo a segno vittorie su Djokovic e Murray negli ultimi due anni. C’è quasi riuscito contro Nadal agli Australian Open in gennaio, ma per lui, una vittoria contro Federer sarebbe la soddisfazione più grande di tutte.
Si sono incontrati per la prima volta agli indoor di Svizzera a Basilea dodici mesi fa, con lo svizzero che ha vinto in tre set. “Il pubblico era numerosissimo e sfortunatamente io ho avuto pochi set point e break point ma non ho saputo trasformarli,” ricorda Dimitrov. “Battere Roger è assolutamente qualcosa cui miro. Lo rispetto ma quando siamo faccia a faccia voglio vincere. Certo è stato il mio idolo per anni e ho visto molti dei suoi match ma poi è arrivato il momento in cui mi sono reso conto che potevo giocare un tennis altrettanto buono. Mi sento sicuro e mi piacerebbe tanto un incontro come quello, ogni volta che è possibile.” Quest’anno per Dimitrov è stato un tale successo che è facile dimenticare come, dopo gli US Open del 2013, c’erano stati notevoli dubbi sul fatto che potesse mai avere il coraggio necessario per andare a fondo in uno slam. Ora dice di non aver mai dato ascolto a chi dubitava. “Con i social media eccetera, tutto è là fuori,” dice. “Tutti sanno tutto, tutti sanno quello che dovresti fare ma allo stesso tempo, io so cosa voglio, so dove sto andando. Sono abbastanza contento di questa situazione e mi concentro sulle cose importanti per me.” Il suo coach precedente, Patrick Mouratoglou, dice che la gente si sbagliava anche solo a mettere in dubbio la sua capacità di sfondare.
Grigor piace al pubblico in modo naturale
“Grigor piace al pubblico in modo naturale,” spiega. “Ama giocare colpi potenti ma la gente non nota sempre che sa anche vincere partite importanti. Ha capacità fisiche naturali e, ancora di più, oserei dire che il tennis scorre nelle sue vene. Vive, mangia, ama e sente il tennis. Credo che possa vincere dei Grande Slam, ha solo bisogno di tempo.”
Kei Nishikori, un samurai a New York di Alessandro Varassi
Il giapponese diventa a Flushing Meadows il primo giocatore asiatico a giocare una finale dello Slam
La finale più sorprendente degli ultimi anni (forse decenni) a livello di Grand Slam ha di nuovo lanciato sotto le luci di riflettori, insieme al vincitore, Marin Cilic, uno di quelli che era considerato un predestinato nel mondo del tennis. Kei Nishikori si è “autosmentito”, ed è arrivato ad un passo dal conquistare il primo Major in carriera; solo alla vigilia del torneo, infatti, il nipponico si dichiarava scettico riguardo le proprie condizioni di salute, e si sarebbe “accontentato” di vincere anche solo una partita. Ne sono state sei, con scalpi prestigiosi (agli ottavi il numero 6, Milos Raonic, nei quarti il numero 4, Stan Wawrinka) fino al culmine della semifinale, leggasi knock out al numero 1 del mondo in carica, Novak Djokovic. Un giocatore offensivo, che predilige il tennis da fondo campo, che fa della velocità una delle sue armi migliori. Colpo preferito di Nishikori: senza dubbio il dritto, letale da ogni parte del campo, e capace di aprirglielo spesso e volentieri, con
puntuali chiusure in lungolinea. Classe 1989 (ma davvero per poco, essendo nato il 29 Dicembre), cresciuto alla corte di Nick Bollettieri, si rivela già nel 2007, a 16 anni, quando batte a Indianapolis Alejandro Falla. Ma l’attenzione del pubblico lo investe definitivamente nel 2008, a Delray Beach, quando da numero 244 del mondo si qualifica per il main draw e batte nell’ordine Florian Mayer, Amer Delic, Bobby Reynolds, Sam Querrey e nella finale James Blake, numero 1 del seeding. Nello stesso anno, la prima vittoria contro un top 10, David Ferrer, a New York. Buone prestazioni accanto a periodi meno positivi, legati soprattutto a infortuni di varia natura, si susseguono nel corso degli anni, ma il ranking sale sempre di più, così come i traguardi di prestigio (nel 2012 a Melbourne diventa il primo giapponese dopo 80 anni a conquistare i quarti), ma è a Madrid nel 2014 che lo ritroviamo ad altissimi livelli. In un torneo strano, con tante defezioni, Nishikori mette in mostra un gioco incredibilmente efficace sulla terra in altura della capitale spagnola: nonostante un problema alla schiena, riesce a conquistare la prima finale in
Notevole la semifinale, vinta contro David Ferrer in un match thriller, risolto al terzo set
carriera a livello di Masters 1000, curiosamente su quella che è la superficie più indigesta per lui, cresciuto sul cemento. Notevole la semifinale, vinta contro David Ferrer in un match thriller, risolto al terzo set dopo aver sciupato nove set point e con un dolore alla schiena lancinante, che gli fa dichiarare in sala stampa tutti i suoi dubbi sul fatto di riuscire a scendere in campo il giorno dopo per giocarsi il torneo. Lo farà, e sarà per lunghi tratti una prestazione eccezionale: in una Caja Magica piena, pronta a sostenere l’idolo di casa e numero 1 del mondo Rafael Nadal, Nishikori sfoggia un gioco entusiasmante, fatto di servizi vincenti e accelerazioni. Rafa è frastornato, si ritrova sotto per 2-6 2-4, ma qui succede quello che nessuno si augurava: la malandata schiena del nipponico, usurata soprattutto dalla semifinale, fa crack, e la partita, che fin lì non c’era stata in un verso, non ci sarà più in un altro. Kei non vince più un game, e il terzo set, appena accennato, è solo una presenza scenica: dopo appena 3 giochi, praticamente immobile, Nishikori si ritira. Nadal esulta, ma sottolinea i meriti del giapponese, come fa lo stesso Toni Nadal, ed anche Manolo Santana, monumentale campione spagnolo, che si sbilancia e indica nel Nishikori visto quella sera uno dei migliori tennisti di ogni era. Servirà ancora qualche mese, e qualche altro infortunio da superare, prima di rivederlo ai massimi livelli, a New York. Dove la favola è ripartita, ma senza lieto fine.
Senza i ricorrenti infortuni, il giapponese possa trovare una certa continuità, e diventare uno dei contendenti alla corona ATP Il tempo è dalla sua parte, e la sensazione è che senza i ricorrenti infortuni, il giapponese possa trovare una certa continuità, e diventare uno dei contendenti alla corona ATP, specie quando gli attuali dovranno fare i conti con l’età che avanza. Intanto, lo Us Open è valso l’approdo nella top 10, e con i tornei di fine anno indoor i risultati potranno essere ancora migliori. Salute permettendo, chiaro.
Il grande rientro di Troicki di Marco Di Nardo
Tornare più forti di prima non è mai semplice.
Tornare più forti di prima non è mai semplice. Se Viktor Troicki, dopo essere stato fermo per un anno a causa della discussa squalifica per doping, sia tornato più competitivo di prima, è ancora presto per dirlo, ma sicuramente i risultati del serbo dal suo rientro sono stati molto positivi. Della squalifica si è già parlato molto, forse anche troppo, e in tanti si sono schierati dalla parte di Viktor, ritenendo che la sospensione fosse ingiusta. Ora però il tennista serbo è tornato, e non c'è più tempo per le chiacchiere, sono i risultati a parlare. Viktor ha fatto la cosa giusta, scegliendo proprio la linea del silenzio e dei risultati. Troicki si è quindi lasciato alle spalle le polemiche, ed ha inanellato una serie di vittorie che gli hanno
permesso di tornare già vicino alla Top-100 del ranking Atp. Il primo torneo giocato dal serbo in questo 2014 è stato l'Atp 250 di Gstaad, dove Troicki ha immediatamente messo a segno due vittorie di prestigio: all'esordio ha infatti superato Dominic Thiem, che una settimana dopo avrebbe raggiunto la finale a Kitzbuhel, mentre agli ottavi ha battuto Andrey Golubev, tennista sempre pericoloso sulla terra rossa. Poi ai quarti la sconfitta in tre set contro Fernando Verdasco, prima di raggiungere la semifinale al Challenger di Cortina partendo dalle qualificazioni. La settimana dopo l'ex numero 12 del mondo si è spostato a San Marino, per il suo secondo Challenger italiano dell'estate, e si è fermato ai quarti di finale, battuto da Antonio Veic. Così il suo primo successo nel circuito minore dal rientro è arrivato a Como, partendo ancora dalle qualificazioni. Viktor ha messo in fila otto vittorie consecutive, e nella finalissima si è imposto su Louk Sorensen per 6-3 6-2, convertendo il 100% delle palle-break avute, e salvando il 100% di quelle concesse: raramente
Dopo una serie di cinque tornei Challenger, Troicki è quindi tornato a giocare nel circuito maggiore all'Atp si vedono percentuali di questo tipo in una finale. La settimana dopo è invece arrivata la dolorosa sconfitta a Genova nei quarti di finale contro Mate Delic, nonostante 16 punti in più del rivale conquistati nel match. Il serbo ci ha comunque messo poco a dimenticare la delusione, perché a Banja Luka è arrivato il suo secondo successo stagionale, superando nell'atto finale Albert Ramos. Dopo una serie di cinque tornei Challenger, Troicki è quindi tornato a giocare nel circuito maggiore all'Atp 250 di Shenzen, e ha continuato a stupire. Dopo aver superato le qualificazioni, ha infatti superato Martin Klizan al primo turno, e addirittura il numero 1 del seeding e quinto giocatore del mondo David Ferrer negli ottavi
di finale. E' stato poi Santiago Giraldo a fermarlo nei quarti. La settimana successiva, nell'Atp 500 di Pechino, il serbo si è anche tolto la soddisfazione di battere Mikhail Youzhny all'esordio, prima di perdere contro Tomas Berdych. Una regolarità davvero sorprendente quella avuta da Troicki dal suo rientro, con 30 partite vinte e appena 6 perse. E' quindi difficile dire se le prestazioni di Troicki siano migliorate dopo la squalifica. Ciò che il serbo ha dimostrato, è di non avere nessuna voglia di pensare a quello che ha passato, ma di voler sfruttare al meglio tutte le sue possibilità da adesso in avanti. Nella prima parte del 2013 Viktor aveva infatti conquistato appena 19 vittorie su 38 incontri
Anche prendendo in considerazione solo i risultati ottenuti a livello Atp dal rientro, la sua percentuale di successo è aumentata disputati, pur giocando sempre nel circuito maggiore. Anche prendendo in considerazione solo i risultati ottenuti a livello Atp dal rientro, la sua percentuale di successo è aumentata, visto che in 8 partite sono arrivate 5 vittorie, percentuale che sale addirittura all'83% prendendo in considerazione tutti gli incontri di questo 2014. Certo, non va dimenticato il fantastico 2011 che aveva portato Viktor fino al numero 12 del ranking mondiale, con 40 vittorie e 26 sconfitte in totale, ma il serbo ha comunque dimostrato che da una situazione difficile si possono prendere spunti positivi, e tornare a vincere come se nulla fosse successo. Bravo Viktor!
La storia di Mats Wilander di David Cox
Vivere con la peggior malattia mai sentita
“Quando stava sdraiato iniziavano a venirgli queste vesciche sulle mani e sul corpo. Poi, quando ha iniziato a muoversi, le vesciche si sono sviluppate sulle ginocchia. Abbiamo capito che c’era qualcosa di abbastanza strano e abbiamo scoperto di che cosa si trattava.” A Erik è stato subito diagnosticato l’incurabile malattia genetica detta Epidermolisi Bollosa o EB. Le persone affette da questa malattia sono a rischio di lacerazioni cutanee o vesciche anche in seguito a piccoli traumi o frizioni, il che significa che anche un abbraccio da un genitore può generare ferite aperte. Nella sua forma peggiore, l’EB può generare danni letali agli
La malattia è poco conosciuta perché è molto rara,” dice Wilander. “Mi sembra che in America ci siano 50,000 persone che ne sono affette. È una malattia genetica, per cui si manifesta solo quando due persone che hanno lo stesso gene difettoso s’incontrano e hanno dei figli. Ci sono alcuni casi nella famiglia di mia moglie, dove alcune sue nipoti e sorelle hanno una leggera variazione del disturbo, cioè hanno una pelle molto molto sensibile. Ha origine da lì ma anche io devo avere un gene difettoso da qualche parte dentro di me, dalla parte della mia famiglia, per cui è stata proprio sfortuna.”
Per molte famiglie e persone affette dal disturbo, avere a che fare giorno per giorno con l’EB può essere molto traumatico e Wilander crede che sia parte del fatto che così poche persone ne sono a conoscenza. La ricerca su questa malattia va avanti da diverso tempo alla Stanford University ma ad oggi non è stata scoperta alcuna cura. Solo un’organizzazione benefica – la DEBRA iniziata nel 1980 – esiste per supportare e consigliare le famiglie su come aiutare al meglio i propri figli a far fronte a questa condizione, prevenire le infezioni e avere a che fare con possibili complicazioni.
I ragazzini vengono chiamati ‘bambini farfalla’ perché sono tanto fragili,” dice. “Ma quando qualcosa è così raro, spesso la gente non vuol sapere. Non è un disturbo ‘sexy’, per via del suo aspetto. Le ferite sembrano eczemi molto brutti e spesso i ragazzini sono avvolti nei bendaggi. Fondamentalmente sembrano mummificati tranne la faccia. Per cui la gente pensa, ‘Posso toccare questa persona senza prendermi la stessa cosa? È contagioso?’” Wilander raccoglie fondi per l’EB da quasi due decenni e lo scorso anno ha dato il via alla sua fondazione per cercare di aiutare le famiglie. Dopo la diagnosi di Erik, Wilander si è trasferito con la famiglia nella remota Sun Valley nello stato dell’Idaho, dove la bassa umidità e l’altitudine fanno si che le vesciche della pelle si manifestino con difficoltà, ma si rende conto che non tutti hanno le risorse finanziarie adeguate. Le assicurazioni sanitarie americane sono buone quando si tratta di pagare per interventi chirurgici ma per cose come questa non sono di grande aiuto al momento,” dice. Per Erik, ora 16enne, convivere con questa condizione significa dover vivere alla giornata. “Sta gestendo la situazione come farei io o voi in una situazione impegnativa,” dice Wilander. “Sai, è come avere una gamba rotta, si trova il modo di conviverci.
Ma ogni giorno è completamente diverso e le sfide sono diverse secondo il tempo caldo o freddo o se sta lavorando e deve spostarsi molto. A volte sta bene e può uscire a fare cose che altrimenti non potrebbe fare. Ma poi, dato che sta bene, fa più di quello che dovrebbe e ne paga le conseguenze. Credo sia un modo semplice di capire che qualunque cosa si faccia nella vita, ci sono conseguenze e per lui queste conseguenze sono più che altro fisiche.” Erik è in grado di lavorare 3-4 giorni a settimana al tennis club locale e la sua condizione non è così grave da impedirgli di giocare saltuariamente in una squadra locale di hockey o di sciare ogni due settimane ma non può mai buttarsi in attività fisiche con lo stesso slancio di suo padre un tempo. E questo per Wilander pone le cose in una chiara prospettiva. Ti rendi conto di essere incredibilmente fortunato,” dice. “Questa è la parte positiva dello stare vicino a qualcuno che sia nato con un qualche difetto.
Sì tratta di un controllo della realtà per te e per tutti attorno a quella persona. La salute è ovviamente la componente principale di una vita armoniosa – salute fisica e mentale. Lo dimentichiamo in fretta e troppo spesso, lui me lo ricorda ogni giorno e a lui viene ricordato ogni secondo della sua vita.” Wilander dice che anche la sua figlia 21enne soffre di una forma molto lieve di EB ma si manifesta solo se si spinge troppo oltre i limiti – giocare a football per quattro ore o fare escursionismo per tre giorni. A Erik può capitare anche dopo solo venti minuti d’attività. “Non essere in grado di inseguire la propria passione sportiva al 100%, non riesco nemmeno ad
immaginarlo,” dice Wilander. “Mi spezza il cuore ma allo stesso tempo lui è fortunato perché avrebbe anche potuto andare peggio. Poteva andare davvero molto, molto male e poteva anche morire. Ma è vivo e può continuare a vivere la sua vita e dobbiamo essere grati per questo.” La Settimana Nazionale di Conoscenza della Epidermolisi Bollosa si terrà quest’anno dal 25 al 31 ottobre.
Francia - Svizzera in numeri di Alex Bisi La Francia, come paese ospitante della finale di Coppa Davis 2014 ha sciolto i dubbi sulla scelta del terreno su cui disputare la finale con la Svizzera
La Francia, come paese ospitante della finale di Coppa Davis 2014 ha sciolto i dubbi sulla scelta del terreno su cui disputare la finale con la Svizzera, optando per la terra. Una scelta sicuramente dettata dal tentativo di mettere in difficoltà Roger Federer, visto che è la superficie su cui il fenomeno di Basilea gioca “peggio”,nonostante Gasquet eTsonga non siano proprio due terraioli,vediamo se i numeri degli scontri diretti danno ragione alla decisione francese. Mettendo a confronto i partecipanti alla finale, analizzando i singolaristi, la sfida TsongaFederer vede in vantaggio lo svizzero per 11 vittorie a 5 e i match sulla terra, che li hanno visti opposti son stati solamente 3. L’unica vittoria francese è del Roland Garros 2013, dove, nonostante la grande prestazione di Jo, lo svizzero attraversava un periodo di forma decisamente negativo.
Diversa invece l’analisi statistica nel confronto Tsonga-Wawrinka, dove il francese è in vantaggio per 3 a 2 con 4 scontri sulla terra, con sostanziale equilibrio con due vittorie per parte, e stesso risultato per l’head-to-head GasquetFederer con i giocatori in pareggio, con due vittorie per parte, nonostante lo svizzero guidi il totale per 12 a 2. Gasquet ha poi incrociato la racchetta con Wawrinka solo due volte, perdendo però il confronto giocato sulla terra. Monfils attualmente out dai tornei per un infortunio, e ancora in forte dubbio per la finale, sarebbe assegnato eventualmente al doppio, considerandolo anche come papabile in un incontro di singolare, ha una statistica negativa di quattro match contro Federer mentre non ha mai giocato contro Wawrinka. Guardando solo ai numeri il risultato dice quindi che la coppia svizzera è in vantaggio, almeno numeri alla mano, anche se di solo due lunghezze considerando i 4 singolaristi principali, mentre la forbice si apre ulteriormente se inseriamo nel computo anche Monfils. Se si analizzano gli scontri sul cemento il confronto vede l’ago della bilancia pendere
Si sa comunque che la Davis è una competizione a sé, dove il pubblico può avere molto peso nell’esito dell’incontro notevolmente dalla parte svizzera con 16 vittorie a 6 escludendo Monfils, 22 a 10 con Gael incluso nel conteggio. Guardando solo i numeri, la squadra francese si direbbe aver fatto la scelta giusta, o sicuramente quella meno rischiosa e penalizzante per i suoi portacolori. Si sa comunque che la Davis è una competizione a sé, dove il pubblico può avere molto peso nell’esito dell’incontro, e il fatto di giocare per la tua nazione può dare o togliere quella spinta in più per la vittoria, vediamo se la Francia riuscirà nell’impresa di vincere una Davis che ha visto nella squadra svizzera la grande favorita dell’anno.
Tennis Svizzero di Marco Avena
Un miracolo degli anni '90
Provate a fermare per strada qualsiasi persona che sia minimamente appassionata di sport e chiedetele di nominare una disciplina che meglio rappresenti la Svizzera. Probabilmente il 90% degli intervistati risponderà dicendo “sci”. Eppure da qualche anno a questa parte c'è uno sport che ha rubato il cuore degli elvetici: il tennis. In una piccola terra circondata da montagne, che ha dato i natali a gente del calibro di Pirmin Zurbriggen, Maria Walliser, Vreni Schneider e Michael Von Grunigen nello sci alpino o a Dario Cologna in quello nordico, solo per citarne alcuni, c'è quello che in molti hanno già celebrato come il tennista più forte di tutti i
tempi: Roger Federer da Basilea, il re dei 17 slam e degli 80 titoli vinti (al momento in cui scriviamo, ndr), il tennista che ad ogni partita incanta le platee con la sua classe regale e con giocate di un tennis che non c'è più. Quel Roger Federer che in tanti vorrebbero non smettesse mai di giocare e che è simbolo di un paese dove il senso civile e la cultura sportiva sono di gran lunga superiori a quello in cui viviamo. Ma la Svizzera tennistica è un fenomeno che meriterebbe di essere studiato a lungo e più a fondo. Federer, il suo “allievo” Wawrinka e i loro compagni meno conosciuti hanno appena conquistato la seconda finale di Coppa Davis
della storia della Svizzera battendo in semifinale l'Italia, e a novembre andranno a caccia di uno dei pochi trofei che ancora manca nella bacheca di Federer Il Grande. Per primi, ad alzare l'insalatiera, ci provarono Jakob Hlasek e Marc Rosset nel 1992, ma dovettero arrendersi agli Stati Uniti di tre tipi poco raccomandabili: Andre Agassi, Pete Sampras e Jim Courier. Se oggi però ammiriamo Federer e Wawrinka, abbiamo ammirato in singolare Martina Hingis (che continua a giocare in doppio) e con ogni probabilità presto applaudiremo Belinda Bencic lo dobbiamo proprio a Hlasek, Rosset e mettiamoci dentro anche il ticinese Claudio Mezzadri.
La storia della svizzera tennistica di un certo spessore parte proprio da lì, tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90. Hlasek nacque a Praga, in pieno regime comunista sotto la bandiera cecoslovacca, naturalizzato svizzero – come in seguito accadde alle stesse Hingins e Bencic – ottenne la sua vittoria più importante conquistando il titolo del doppio al Roland Garros insieme a Rosset nel 1992 e in singolare salì fino alla posizione numero 7 del ranking ATP. A livello di singolare non fece meglio di lui il già citato Rosset, il quale giunse solamente fino al numero 9 delle classifiche mondiali, ma sicuramente “Pippo” (questo il suo soprannome per una corporatura longilinea che lo faceva assomigliare al celebre personaggio di Walt Disney, ndr) è ricordato negli annali per l'impresa a cinque cerchi ottenuta a Barcellona nel 1992: nel torneo olimpico sconfisse avversari molto quotati, tra cui Jim Courier, Goran Ivanisevic, Wayne Ferreira ed Emilio Sánchez. In finale affrontò poi lo spagnolo e idolo di casa Jordi Arrese vincendo un match emozionante dopo una maratona di cinque lunghissimi set con il punteggio di 7-6, 6-4, 3-6, 4-6, 8-6. Di fatto fu questa prima generazione di tennisti (prima ci furono altri discreti giocatori elvetici) a lanciare la Svizzera nel gotha del tennis Mondiale.
Il resto è qualcosa che verrà in seguito con la Bencic e con altri giovani Il resto è storia recente, di Federer e della Hingis si sa praticamente tutto, di Wawrinka si conoscono la potenza e i colpi che in questa stagione gli hanno permesso di conquistare Australian Open e Monte-Carlo. Il resto è qualcosa che verrà in seguito con la Bencic e con altri giovani che negli anni si affacceranno al tennis proprio grazie a Re Roger. In un virtuale passaggio di consegne, la Svizzera sembra per ora essere riuscita dove in tanti avevano fallito. Insomma, la Svizzera è diventata un esempio da seguire, a tutti gli effetti un eldorado nel mondo del tennis. Ben vengano sci alpino, sci nordico e tutto il resto, ma se pensate alla Svizzera sportiva non dimenticatevi che da quelle parti nascono anche i campioni di tennis!
Belinda Bencis di Marco Avena
Non chiamatela la nuova martina Hingis
È nata una stella? No, forse per il momento sarebbe meglio dire che è nata una stellina. Qualche settimana fa (e anche prima a dir la verità, ndr) si erano sprecati facili paragoni quando Belinda Bencic raggiunse i quarti di finale degli US Open. Su uno dei pennoni dell'Arthur Ashe Stadium sventolava alta la bandiera rossocrociata della Svizzera e a qualcuno venne facile accostare la tennista di Flawil alla grande e regale Martina Hingis. In quei giorni la stessa Martina era lì, impegnata a duellare sui campi del torneo di doppio con la compagna di 'team' Flavia Pennetta e probabilmente anche lei deve aver storto
il naso quando qualcuno le ha citato l'azzardato paragone, seppur la Hingis non abbia mai fatto mancare l'affetto e il tifo alla più giovane connazionale. Ex numero 1 del Mondo e vincitrice di 5 Slam, la Hingis è stata di certo un bell'esempio per la Bencic che aveva poco meno di 4 mesi quando la più illustre collega trionfava a 16 anni sui campi dell'All England Law Tennis and Croquet Club di Wimbledon. Quegli stessi campi che 16 anni dopo avrebbero incoronato la stessa Bencic, seppur nel torneo juniores. Di origine cecoslovacca come la Hingins (per la precisione la Hingis è di origine slovacca e la
Il risultato ottenuto lo scorso settembre ha fatto di lei la più giovane giocatrice fra le migliori otto del major statunitense dal 1997 Bencic di origine ceca, ndr), la Bencic è cresciuta molto negli ultimi tempi, tecnicamente, tatticamente e atleticamente, e proprio a New York ha messo per la prima volta il suo nasino tra le otto migliori giocatrici in uno Slam. Già quei quarti che aveva raggiunto anche l'anno prima, seppur solo a livello juniores. Altro tennis, verrebbe da dire. Il risultato ottenuto lo scorso settembre ha fatto di lei la più giovane giocatrice fra le migliori otto del major statunitense dal 1997, anno in cui la sua connazionale Martina Hingis (ancora lei) vinse addirittura il torneo a soli 16 anni. “Non lo sapevo, è incredibile. Sono molto orgogliosa di questo”, ha commentato sorridendo quasi incredula, dopo essere stata informata dell'illustre precedente in conferenza stampa. Si diceva della Hingis tifosa a Flushing Meadows spesso presente all'angolo della Bencic: “Mi ha dato qualche consiglio perché anche lei ci ha giocato contro e la conosce bene. Mi ha detto di comandare gli scambi e di essere aggressiva”, aveva raccontato a New York subito dopo il successo su Jelena Jankovic. Due vite intrecciate, dunque, quelle di Martina e di Belinda anche se, a dirla tutta, non ci sono solo un età prematura nel raggiungere certi risultati, una bandiera e origini analoghe ad accomunarle perché, guarda caso, Belinda Bencic è allenata da una certa Melanie Molitor.
Oggi Belinda sta compiendo un'impresa dietro l'altra Per i meno informati, trattasi di mamma-Hingis, colei che proiettò Martina nel gotha del tennis e che ha 'addomesticato' Belinda, la quale oggi la segue in tutto e per tutto con risultati che hanno dell'incredibile. Proprio come faceva Martina. Un anno fa di questi tempi o poco più era stata eliminata ai quarti degli Us Open juniores e oggi Belinda sta compiendo un'impresa dietro l'altra, sta facendo passi da gigante, anche se al momento è troppo presto per poter dire dove potrà arrivare: “Gli ultimi 12 mesi - ha raccontato ancora - sono stati veramente fantastici per me. Ho migliorato la mia classifica sempre, lentamente, passo dopo passo.
Anche a Charleston avevo fatto un grande torneo (era arrivata in semifinale partendo dalle qualificazioni, ndr). Ho appena iniziato a credere in me stessa e adesso... beh, adesso non lo so”. Già, nessuno lo sa. Neppure coloro che si sono lanciati in paragoni azzardati. Si sa solo che la ragazza ha talento, ha voglia di fare ed è una gran lottatrice. Tanto basta per non perderla di vista. Solo una cosa, però, non chiamatela la nuova Martina Hingis...
Flavia Pennetta di Laura Saggio
Il 2014, un anno tra alti e bassi per la nostra brindisina, tra rinascite e cadute e una 'nuova' compagna di doppio
Attuale numero 16 del mondo, classe 1982, carattere e determinazione, infortuni ripetuti, sconfitte deludenti, vittorie entusiasmanti. Questa è Flavia Pennetta. L'azzurra che ci ha dato l'emozione più grande nel 2009 (la prima tennista italiana di sempre ad entrare nella top10 del ranking WTA), che ci ha regalato 10 titoli in singolare e 16 in doppio (l'ultimo alquanto straordinario in coppia con la rientrante Martina Hinghis) e le 4 Fed Cup in squadra con le altre nostre fortissime azzurre. Una carriera di tutto rispetto, che forse avrebbe potuto essere ancora più brillante se non fosse stata tempestata di fastidi fisici e infortuni che le hanno più volte richiesto grandi energie mentali per ricominciare, come accadde quando l'infortunio al polso destro la costrinse a ritirarsi per lunghi mesi con conseguente crollo della classifica. Ma Flavia è sempre ripartita, e nel 2013 ha raggiunto il suo miglior risultato di sempre negli Slam (semifinale agli US Open),
continuando con un ottimo quarto di finale agli Australian Open all'inizio di quest'anno. Ma a Doha esce al primo turno mentre a Dubai conquista i quarti di finale. Ha entusiasmato tutti vincendo Indian Wells (battendo in finale Agnieszka Radwańska con il punteggio di 6-2 61 e ottenendo così il 10º titolo in carriera) a cui ha fatto seguito però una scarsa prestazione a Miami. Gli ottavi a Roma, due secondi turni al Roland Garros e a Wimbledon e poi l'infortunio al piede. La fase centrale della stagione è stata segnata da un calo importate fino al recupero con uno sprint che le ha permesso di giocare i quarti di finale agli US Open (per la quinta volta in carriera). A Wuhan esce in singolo al primo turno malamente, ma stravince il 'singolare' doppio in coppia con la Martina d'altri tempi. Flavia è così. Un'araba fenice che muore e risorge dalle proprie ceneri. Questa è una virtù, certamente, ma per un'atleta la costanza di risultati è l'obiettivo da centrare se si vuole rimanere sulla vetta a dare battaglia alle Top del mondo. Certo in campo non si gioca a battimuro, ci sono le avversarie e tutte hanno fame di vittoria e le chiacchiere è facile scriverle.
La nuova vita di Caroline di Alex Bisi Correva l’anno 2010 quando l’allora ventenne tennista danese raggiungeva, con la vittoria su Petra Kvitova al torneo di Pechino, la vetta della classifica Wta
Correva l’anno 2010 quando l’allora ventenne tennista danese raggiungeva, con la vittoria su Petra Kvitova al torneo di Pechino, la vetta della classifica Wta, la bella Caroline era in ascesa da un paio d’anni, e complice l’assenza di Serena Williams dal circuito riusciva a far suo il trono di regina, con diverse vittorie, e buoni piazzamenti negli Slam. Nel 2011, passa da Babolat a Yonex, vince diversi tornei, perde la testa della classifica ma torna al numero uno alla fine dell’anno, con gli addetti ai lavori che storcono un po’ il naso vedendo in vetta una giocatrice che non ha ancora vinto uno slam, e soprattutto frutto di un gioco molto difensivista. Nel 2012 la stagione è avara di successi, solo due all’attivo,con la conseguente uscita dalla top 5 arrivando con prospettive poco rosee al 2013, dove la crisi di risultati sembra una costante per la danese, collezionando una brutta serie di uscite ai primi turni in svariati tornei.
In tanti sono convinti che il grosso problema di Caroline sia il padre-allenatore, piovono consigli di cambiamento, ma entrambi più volte ribadiscono di avere un ottimo rapporto. Intanto però la Wozniacki finisce sui giornali più per il gossip che per meriti tennistici, vista la sua relazione con il campione di golf Rory Mcillroy. Sul fronte tennistico, sconfitte a parte,muove qualcosa quando in estate, ritorna a giocare con una Babolat, dopo che Yonex annulla il contratto in seguito ad alcune foto circolate in rete con la danese intenta ad allenarsi con la concorrenza. Inizia il 2014 ufficializzando le nozze con il fidanzato, mai risultati tardano ancora ad arrivare, e a maggio sembra ricevere la definitiva botta morale con la cancellazione delle nozze da parte di McIllroy che si tira indietro ad inviti già consegnati. Proprio dopo questa brutta notizia, la danese imprime una svolta alla sua stagione, iniziando a giocare un ottimo tennis, più offensivo rispetto a quanto messo in mostra negli ultimi anni ,arrivando agli ottavi a Wimbledon e vincendo a Istanbul il primo torneo stagionale.
Da lì in poi gioca sempre meglio, mettendo anche in difficoltà l’amica Serena Williams e arrivando in gran forma agli Us Open, dove mostra un gran gioco eliminando, Sharapova, Errani e Peng arrivando nuovamente contro Serena Williams in finale. Non c’è partita ma la rinascita di Caroline sembra ormai un dato di fatto, dopo diverse sconfitte , sul piano sportivo e soprattutto morale, è letteralmente risorta dalle proprie ceneri. Questa rinascita va forse ricercata nella grande amicizia con la Williams,che si schierò pubblicamente in difesa della Wozniacki subito dopo la notizia della fuga di McIllroy, e le ha probabilmente dato stabilità morale rinnovata sicurezza. Le due, contrariamente a quanto si vede solitamente nel circuito, sia maschile che femminile, sono amiche vere. Svariate foto assieme sui social network le ritraggono in vacanza e in costante compagnia al di fuori
dei tornei, tanto da uscire a festeggiare assieme dopo la finale dello slam Newyorkese. Ora che anche la statunitense è single, le due si scatenano per locali appena ne hanno l’occasione. La rinascita di Caroline non può che far bene al movimento femminile, considerando lo strapotere della Williams , visti i diversi acciacchi della Azarenka, il recente ritiro di Li Na, la scarsa continuità della Sharapova, le avversarie che si possono considerare tali per l’americana si contano sulla punta delle dita.
A soli 24 anni ,Caroline Wozniacki sta attraversando una seconda giovinezza, che vista l’età sembra un’esagerazione, ma in effetti sembra proprio così visto lo stile di gioco molto differente rispetto a prima e tanti brutti avvenimenti lasciati ormai alle spalle, l’atleta attuale risulta molto diversa rispetto a quella che si vedeva sui campi fino all’anno scorso,e da sportivi non possiamo che augurarle che duri il più possibile.
Le "9 Wilson-Slam" di Federer di Laura Saggio
Lo svizzero più forte al mondo ha un 'vizio' o un 'vezzo', a svelarcelo i suoi incordatori di fiducia
Roman Ferguson 41 anni e Ron Yu 54, i 'cari' (in tutti i sensi) incordatori di Roger Federer, in una recente intervista al "New Yorker" raccontano al mondo un curioso segreto del talento svizzero: “prima di ogni partita Slam si fa preparare 9 racchette”. L'incordatore per un tennista è sicuramente una figura molto importante a metà tra il confidente e il prestigiatore. Fiducia e stima reciproca sono componenti imprescindibili per lavorare insieme. La corda giusta, l'esatta tensione, la customizzazione, sono tutti aspetti che fanno la differenza, 'performizzano' l'attrezzo al massimo rendendolo esatto per il tal braccio e tipo di gioco a cui è destinato. E se il proprietario del “tal” braccio è Roger Federer, la cura di ogni piccolo dettaglio diventa indispensabile. Gli incordatori sono sempre presenti, degli angeli custodi che seguono i campioni garantendo precisione e massima efficienza.
Roman e Yu lavorano per la Priority One (P1), l'azienda che collabora con (oltre a Roger) Djokovic e Murray. Roman, ormai affermato specialista della racchetta, è stato per anni il fedele e paziente incordatore di un altro “tal” maiuscolo, Pete Sampras, noto per la sua attenzione maniacale al dettaglio. “Pete era in grado di capire se il manico di una delle sue Pro Staff era di un millimetro superiore alle altre - interviene Yu sono molto contento di non aver lavorato per lui”. Confidenti e prestigiatori, appunto. E forse anche un po' psicologi come afferma Roman dicendo che loro lavorano per “mantenere serena la testa dei campioni”. Sì, perché rispettare puntualmente le richieste maniacali dei Top Player è il lavoro oltre il lavoro, e forse anche l'aspetto più duro e stressante. I due Top Incordatori prima degli Slam incordano senza sosta utilizzando le 4 storiche macchine (del 1998) Babolat Four Stars, che continuano a preferire alle nuove perché, come dice Ferguson: “sono più precise e maneggevoli. Quando si romperanno ci ritireremo!”.
Tornando a Federer, i due raccontano che per una partita dello Slam lo svizzero chiede che gli vengano incordati 9 telai. Generalmente per il match d'esordio Roger vuole che tre racchette siano tirate a 26 kg, cinque a 26,5 e l'ultima a 27 kg. Inoltre, dettaglio nel dettaglio, Federer monta le 16 corde in budello e le 19 in poliestere. Una volta terminato il certosino lavoro di incordatura, Roman e Yu corrono a consegnare le 'Wilson-Slam' presso l'hotel dove alloggia il campione, ricevendo in dono un pezzo di cioccolato svizzero. La loro prima collaborazione-prova con Federer risale al maggio del 2004 durante gli internazionali di Roma.
Dopo aver vinto il successivo torneo di Wimbledon, Roger si è recato presso di loro confermandogli l'onorato incarico. Onorato per Roman e Yu, ovviamente, e oneroso per il Campione, che deve sborsare un forfait annuo di 40.000 dollari per un servizio personalizzato negli Slam e nei nove Masters 1000. La P1 è una società florida, oltre ai Top Player già citati, ha nel suo palmares altri 12 giocatori di alto livello, tra i quali Baghdatis e Gulbis, quest'ultimo la bestia nera dei due incordatori, perché, come afferma Ferguson: “Il problema di Ernests è che le racchette le rompe, non una, ma almeno due o tre alla volta”. Tra questo gruppo di campioni a cui la società offre il suo caro e prezioso servizio, non compare il nome di nessuna donna, nemmeno tra le Top. L'unica ad essersi interessata negli anni passati è stata Serena Williams, alla quale è scemato immediatamente l'interesse una volta appreso il costo del lavoro. D'altronde le donne ancora oggi hanno dei prize money molto inferiori rispetto ai loro colleghi maschietti. Oltre alle donne la P1 non è mai riuscita a catturare lo spagnolo numero 1 al mondo, che ha sempre preferito non affidarsi ad altre mani e fare 'da solo'. Rafa rappresenta per la società da 40.000 dollari una scommessa persa, come mestamente dichiara Yu: “con i risultati che ha avuto, forse ha ragione lui”.
Corde, personalizzazione dei telai, grip millimetrici...alla fine hanno ragione tutti e nessuno Corde, personalizzazione dei telai, grip millimetrici...alla fine hanno ragione tutti e nessuno, perché è il talento che per fortuna ancora oggi decide le partite. Ha ragione Federer, così come aveva ragione Sampras e hanno ragione Nadal e Serena, che pure giocano con corde e racchette personalizzate. Il tennis non è più quello di una volta, i materiali sono cambiati, la tecnologia è entrata di diritto in tutti gli sport e il tennis ha seguito i tempi. Per i nostalgici del bel tocco e del serve and volley non c'è più tanto spazio, ma nonostante tutto, questo tennis moderno ci ha regalato un campione di pura classe dal tocco sopraffino che è fuori da ogni tempo e che forse vincerebbe Wimbledon anche con una racchetta sola.
L'antidoping nel tennis...cosa non va di Adriano S. "Non mi avrebbero mai trovato dopato. Il sistema era conservativo, per nulla rischioso e matematico" Lance Armstrong
Il caso di doping più eclatante della storia dello sport non ha detto altro che la verità, seppur un po' troppo in ritardo...Il doping non è sempre davanti all'antidoping, a meno che il secondo non sia così pigro da non voler correre. Parafrasando un altro ciclista, per fortuna pulito: 'Nel 2011 solo 21 controlli sono stati fatti a sorpresa nel tennis, contro i 4613 del ciclismo'. Mark Cavendish Leggendo queste frasi, un appassionato del mondo del tennis potrebbe rovinarsi la giornata. E in effetti, ragionandoci un po' su, possiamo renderci conto di non essere in una botte di ferro...
E' possibile accumulare fino a tre test saltati prima di ricevere una squalifica. Oltre a questo triplo bonus, le finestre orarie rendono possibile il tentativo di frode (chiamiamolo per quello che effettivamente è). Un margine troppo permissivo, reso possibile soprattutto a causa di una scarsa organizzazione fra Federazioni e Wada. Ci sono poche risorse, si è detto. Ma Roger Federer ha subito meno test nel 2004 che nel 2013, non venendo addirittura mai controllato dopo gli Australian Open dello scorso anno. Eppure la popolarità del tennis è decisamente aumentata negli ultimi dieci anni, garantendo ottimo ritorno economico.
Tutti gli Slam hanno aumentato il proprio montepremi, giungendo a somme astronomiche. 36 milioni il prossimo degli Australian Open, ne basterebbe un decimo per migliorare le cose. E i medici? Recita il Codice Deontologico: "Il medico non deve consigliare, prescrivere o somministrare trattamenti farmacologici o di altra natura diretti ad alterare le prestazioni di un atleta, in particolare qualora tali trattamenti agiscano direttamente o indirettamente, modificando il naturale equilibrio psicofisico del soggetto". La legge recita: "Costituiscono doping la somministrazione o l'assunzione di farmaci o sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l'adozione o la sottoposizione a
pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti", giustamente appellando certi 'aiutini' come "sostanze che possono risultare nocive per la salute". Appare chiaro che non rispettare quanto riportato contrasti e non poco col Giuramento di Ippocrate, eppure è permesso a certi 'dottori' di avvicinare gli atleti. Sarebbe utile un organo di controllo, o quantomeno un programma di educazione per i giovanissimi. Se infatti la parola doping è altisonante e ricercata nell'ambito dei professionisti più affermati, è in realtà da sottolineare come il problema sia presente e in maniera certamente maggiore a bassi livelli. L'altro inghippo è la tendenza omertosa dell'Atp. Non è stato bello sapere dell'occultamento del caso Agassi, seppur si trattasse di droga e non di doping, nè sapere solo grazie ai media croati del silent ban a Marin Cilic. Inutile poi accanirsi per dare in pasto ai media un boccone che sa di placebo. Va bene colpirne uno per educarne mille, hanno sbagliato e non importa se indirettamente, dovevano in qualche modo pagare, ma Cilic e soprattutto Troicki sono sembrati meri capri espiatori.
La speranza: il passaporto biologico
Bello sarebbe invece rendere i risultati dei test antidoping pubblici. Le chiacchiere andrebbero a zero, rassenerando anche i fans più maliziosi degli sconfitti. E non dovremmo forse più assistere a velate lamentele sui social network per alzatacce all'alba a causa di una puntura in più. La speranza: il passaporto biologico, accreditato ormai universalmente come unica arma in grado di tenere a bada i tentativi di doping ancora 'invisibili' ai laboratori d'analisi. E'stato introdotto nel tennis da marzo 2014, ma secondo i vertici Wada potrà dare le prime indicazioni solo a fine 2015. Bisognerà però capire il metro di valutazione riguardante l'entità e l'equità delle eventuali sanzioni. Vedremo.
La tecnologia a portata di manica di Laura Saggio
Compression Technology: questo è il nome della manica che indossa Milos Raonic, un indumento che fa la differenza
Ormai ci siamo abituati tutti, all'inizio ci ha colto di sorpresa, poi lo stupore ha lasciato il posto alla curiosità mista a scetticismo: una manica lunga colorata? Le prime risposte: sarà una nuova moda, si sa gli sortivi sono vanitosi; forse tiene caldi i muscoli del braccio; oppure risolverà qualche piccolo dolore e infiammazione. No. La 'famosa' manica indossata da Raonic ha un nome e un cognome e svolge un'attività precisa: Compression Technology registra dati ed informazioni in tempo reale relativi alla risposta del fisico ai vari stimoli. Oggi si sa, nello sport professionistico si è continuamente alla ricerca di soluzioni
all'avanguardia che fungano da complemento e supporto al 'classico' allenamento tecnico-fisico dell'atleta, e che sappiano inoltre gestire le componenti metaboliche individuali dello stesso. Per la realizzazione di tali obiettivi sta diventando sempre più indispensabile il supporto della scienza e medicina applicata alla tecnologia. Quando questi due mondi si incontrano e lavorano in sinergia, i risultati sono notevoli e di grande aiuto per l'atleta. Oggi, infatti, Biomeccanica e Medicina dello Sport hanno favorito la nascita di soluzioni, i cosiddetti “compression garments”, dalle notevoli prestazioni funzionali.
Raonic è solo uno degli atleti che ha scelto di usare questa tecnologia, già presente infatti in altri sport quali, basket, vela, atletica leggera. I suoi benefici sembrano essere molti e molto apprezzati dagli sportivi che la indossano. Inoltre può essere utilizzata sia sotto sforzo durante la gara o l'allenamento che a riposo, infatti molti atleti che di giorno stressano eccessivamente i propri arti inferiori, di notte dormono con i compression tights, una specie di tuta molto aderente, che svolge un'azione rigenerante permettendo un recupero muscolare più rapido. Vediamo nello specifico i principali risultati di questa tecnologia compressiva: 1-l'effetto della compressione sulla forza dell'atleta: che garantisce una maggiore e migliorata funzionalità biomeccanica delle articolazioni e delle inserzioni muscolari. 2-l'effetto della compressione sui meccanismi di gestione della fatica: che diminuisce la produzione dell'acido lattico durante l'attività
3-la relazione tra compressione e funzione muscolare: che migliora sia la risposta muscolare alle contrazioni, che la risposta dei neurotrasmettitori. Inoltre, la compressione, riducendo le vibrazioni dirette alle fibre muscolari, previene le sollecitazioni, spesso causa di processi infiammatori. Tutte queste caratteristiche favoriscono ovviamente una performance più elevata, obiettivo ultimo per ogni atleta. Concludiamo accennando il percorso storico che ha interessato questo tipo di tecnologia. Forse pochi lo sanno, ma già negli anni '50 questi indumenti venivano usati per trattare improvvisi
cali di pressione da sforzo-movimento repentino, e successivamente vennero impiegati per favorire una migliore circolazione sanguigna degli arti inferiori. Solo all'inizio degli anni '80, grazie ad ulteriori studi su materiali e sull'ergonomia dei tessuti, si iniziò a pensare che questa tecnologia potesse essere utilizzata in campo agonistico. Era inevitabile che questo percorso portasse alla realizzazione (negli ultimi trenta anni) di risultati così importanti, specialmente in ambito sportivo dove l'esigenza di una performance ottimale sta diventando sempre più indispensabile, e forse estrema.
L'8° Master Series: gioie e dolori di Roberto Marchesani
Il Masters Series numero 8 della stagione è stato quello più soggetto a cambiamenti
Il Masters Series numero 8 della stagione – per intenderci il primo autunnale, dopo la chiusura degli US Open – è stato quello più soggetto a cambiamenti nella storia di questa categoria dei tornei. Nati nel 1990, dopo la rivoluzione dell’Association Tennis Player, i Masters Series (ora chiamati Masters 1000) rappresentavano il concetto di una magnifica serie di grandi tornei in tal modo da diventare delle classiche di riferimento, di importanza inferiore solo ai 4 del Grande Slam. In linea generale, le classiche che si sono appropriate di diritto lo slot del 1990 sono rimaste saldamente in sella : Indian Wells e Miami in primavera, Parigi-Bercy come ultimo appuntamento della stagione indoor, il double estivo Canadian Open – Cincinnati e il trittico sulla terra rossa con Montecarlo, Roma e Amburgo (dal 2009 rimpiazzato dalla Caja Magica di Madrid).
L’unica grande eccezione resta lo slot n°8 della serie, quello che in pratica sarebbe il primo Masters Series indoor, ma che dal 2009 è diventato outdoor rappresentando il culmine della stagione asiatica. Una storia che ha visto lo slot issarsi in 5 sedi diverse, 4 nazioni e 2 continenti, tra cui Svezia, Germania, Spagna e Cina. Un Masters 1000 itinerante che ha suscitato più di una polemica tra addetti ai lavori e non, molti interessi economici. come è giusto che accada quando si deve impostare un evento e soprattutto sussisterle e un discreto successo. Nonostante ora si vedano spesso le tribune semi-vuote in quel di Shanghai, il torneo dispone di un bellissimo impianto, all’avanguardia, di una notevole ricchezza ed è super apprezzato da tutti : dai giornalisti ai giocatori. E’ da vedere se i cinesi riusciranno a tenersi stretto il posto a lungo, visto che il record di appartenenza allo slot n°8 è del torneo di Madrid, che ospitò un massimo di 7 edizioni. Poi c’è quello di Stoccarda (che è resistito 6 edizioni) e Stoccolma (che ha toccato quota 5). Il Rolex Masters di Shanghai quest’anno aprirà i battenti per la 6° volta.
La prima sede è quella svedese, Stoccolma
A meno di cataclismi dovrebbe diventare la miglior classica di questo slot. Ma diamo un occhiata a come si è arrivati in Cina. Stoccolma (1990-’94) La prima sede è quella svedese, Stoccolma, prosecuzione di uno dei più prestigiosi tornei indoor del mondo – il più vecchio della storia dell’atp, va sottolineato. Ma chi ha buona memoria ricorderà che all’epoca dei Super9 non si giocava nella mitica Kungliga tennishalle (dove la Svezia ha vinto la sua unica Coppa Davis nel 1975, e che sempre in quell’anno ospitò addirittura il Masters – con successo di Nastase su Borg) ma nella nuova Ericsson Globe Arena,
più grande e più consona nell’ospitare un torneo di certe dimensioni. L’inaugurazione nel nuovo stadio avvenne nel 1989, ma dal 1990 è ufficialmente parte dei Nine, anno in cui Stefan Edberg conquistò lo scettro mondiale. Ora penserete, beh dai, Stefanello un titolo lo vinse, all’apice della carriera, in casa, indoor, condizioni ideali… vuoi che Edberg non l’abbia vinto? E invece no. Non l’ha vinto. In quelle 5 edizioni Edberg non riusci’ a suggellare il 1000 svedese : giocò 2 finali – nelle prime due edizioni, 1990 e 1991, ma fu sconfitto sempre da Boris Becker. Il tedesco ha avuto la meglio nei confronti diretti (25-10) nonostante Edberg si presentò in quelle due finali forte della prima posizione mondiale. 6-4 6-0 6-3 nel 1990 (un massacro) e 3-6 6-4 1-6 6-2 6-2 nel 1991.
Poco male comunque, Edberg aveva già iscritto il proprio nome nell’albo d’oro della Kungliga tennishalle nel biennio 1986-’87. Passiamo all’anno dopo : 1992. E’ l’anno del primo Masters Series di Goran Ivanisevic che annulla parzialmente la delusione di Wimbledon (brucia ancora la finale persa con Agassi) mettendo in bacheca un titolo di assoluta importanza con un percorso davvero esaltante. Fa fuori sia Becker (nei quarti, 7-5 6-4) sia Edberg (in semifinale, 64 7-6) per poi accaparrarsi due fondamentali tiebreak, decisivi per il titolo, con Forget (7-6 4-6 76 6-2), il quale nel frattempo aveva estromesso un certo Pete Sampras (7-6 7-6) che di li a qualche mese avrebbe iniziato a fare sfracelli.
Quegli stessi tie-break che lo avevano portato a vincere nel 1992, lo porteranno a perdere nel 1993, in finale Ivanisevic cede il passo a Michael Stich (4-6 7-6 7-6 6-2) che firma il suo 2° alloro nella categoria. L’ultima edizione svedese (1994) vede due ritorni : quello di Ivanisevic (di nuovo in finale, per la terza volta, e ancora perdente) e quello di Becker che conquista Stoccolma tre anni dopo l’ultima volta. I nomi battuti corrispondono a Stich, Sampras (il Sampras del 1994, per chi non lo sa si andasse a vedere come giocava quel ragazzo in quegli anni) e Goran, che perde il terzo tie-break di fila nelle ultime due finali in Svezia. Notevolissimo successo per il tedesco. Essen (1995) I soldi di Stoccarda vinsero su Stoccolma. E cosi la Svezia fu retrocessa e la Germania divenne il paese di riferimento del movimento atp – forte dei suoi campioni da Becker e la Graf – si accaparrò anche il Masters di fine anno. A sostituire Stoccolma fu prima Essen – sede provvisoria del torneo tedesco – e poi Stoccarda. Nel 1995 è addirittura Thomas Muster a vincere il suo unico 1000 indoor della carriera, nell’anno in cui si impose anche al Roland Garros. E’ un anno magico per l’austriaco. Notevoli le sue vittorie con Medvedev e Bruguera, ma fin qui tutto regolare.
La prima edizione a Stoccarda si apre con il botto, una splendida finale tra Becker e Sampras La ciliegina è la partita con Sampras, n°1 del mondo alla fine dell’anno, in semifinale (7-6 6-2) mentre la finale è quasi scontata con MaliVai Washington : grandi problemi nei primi due set, poi l’austriaco spezza l’equilibrio e stacca l’assegno del vincitore. Washington aveva preso lo scalpo illustre del n°1 del mondo in carica, Andre Agassi, 4-6 6-1 6-1. Stoccarda (1996-’01) La prima edizione a Stoccarda si apre con il botto, una splendida finale tra Becker e Sampras con vittoria del tedesco in 5 set (3-6 6-3 3-6 6-3 6-4) che replicheranno sempre in Germania un mese dopo, ad Hannover, nella finale del Masters, in una delle più grandi partite di tutti i tempi (ma questa volta vince l’americano).
Sampras cadrà l’anno dopo a Stoccarda con Kraijcek, ma a spuntarla sarà Petr Korda sull’olandese. Nel 1998 Kraijcek si prende tutto con gli interessi, battendo Agassi che era appena rientrato nel grande giro, Ivanisevic, ancora Sampras in un tie-break thrilling nel terzo set e poi Kafelnikov in straights set. L’anno dopo è il grande talento di Thomas Enqvist a venire premiato sempre con l’olandese Kraijcek presente nelle foto ricordo (perdente per la seconda volta, nella terza finale consecutiva). Enqvist presenta nel suo cammino verso la coppa il notevole scalpo di Agassi, tornato n°1 del mondo dopo il crollo del 1997 e che due settimane dopo vincerà a Parigi-Bercy. Il 2000 è l’anno di Wayne Ferreira a Stoccarda, che aveva vinto il suo primo Masters Series in Canada 4 anni prima. Il sudafricano approfitta di un tabellone favorevole, di un ritiro, ma si presenta in finale con un gran tennis che sorprende il giovane rampante Lleyton Hewitt.
Il 19enne australiano sperava di portare a casa il primo Masters Series della sua carriera (ne vincerà poi due, a Indian Wells) ma perse una sfida di 5 set e 3 tie-break. E si arriva all’ultima edizione in terra tedesca, 2001, che pochi forse ricordano ma vide la prima e finora unica affermazione di Tommy Haas – grandissimo talento di casa, di Amburgo. Lo dico perché spesso molti si dimenticano che Haas un Masters Series l’ha vinto. 13 anni fa, ma l’ha vinto. Fu un torneo molto aperto, pieno di upsets che portarono all’ultimo atto Haas e Mirniy. Vinse Tommy facile (triplo 6-2).
Madrid (2002-’08) Si lascia la Germania e si vola in Spagna, per la prima volta. Non c’è posto per il più consono torneo sulla terra rossa, superficie rispecchiante la filosofia plurima del tennis spagnolo, ma Madrid si deve “accontentare” di un torneo indoor (tra l’altro in un impianto niente male, la Telefonica Arena) e su una superficie dura. L’evento parte in sordina, ma poi si dimostra come uno dei più gradevoli tornei di quella parte di stagione, forse con più appeal di Parigi-Bercy che dovrebbe avere più fascino ma è troppo a ridosso del Masters, e i top-player sono sempre (o quasi) con le pile scariche.
Spesso è avvenuto, soprattutto tra il 2002 e il 2008 che il Masters Series più competitivo prima delle Finals fosse il torneo madrileno, ma andiamo con ordine. 2002 : edizione un po’ sfortunata. Il 21enne Federer si fa battere da Santoro nei QF mentre la finale non c’è. Jiri Novak deve dare forfait all’ultimo e Agassi vince il titolo senza nemmeno scendere in campo. L’anno dopo è un giocatore di casa, Juan Carlos Ferrero, a chiudere il torneo. Nel suo anno d’oro, nel quale vince il Roland Garros, fa finale agli US Open e sale sul tetto mondiale, batte Federer in una semifinale che sa di finale anticipata. Massu è quasi una formalità.
Il 2004 è l’autunno d’oro di Safin che vince back-to-back sia a Madrid che a Bercy. Nel 2005 si impone la stella di Rafael Nadal, in un anno travolgente : dopo aver vinto di tutto in primavera oltre a un Masters Series in estate (Montreal) Nadal – appena 19 anni – sbanca anche il torneo di casa (tutt’ora il suo unico successo in un campo duro indoor) al termine di una finale leggendaria con Ivan Ljubicic – giocatore durissimo da battere in quelle condizioni e in quel periodo. Il croato era avanti due set a zero, ma finisce col perdere 7-6 al quinto in un atmosfera caldissima, ai limiti della sportività. Finale davvero memorabile. L’anno dopo è Federer a conquistare il trono di Spagna nel suo anno più prolifico in termini di risultati, con una cavalcata regale dal primo all’ultimo turno (Gonzalez è quello che perde in finale). Il 2007 è anno di Nalbandian, del folgorante autunno di David, che batte chiunque ma nonostante questo non riesce a qualificarsi per il Masters. Djokovic, Nadal e Federer – i primi tre giocatori del mondo – si inchinano alle geometrie ispiratissime dell’argentino. 2008 è l’ultima edizione madrilena dove si celebra il Nadal n°1 del mondo, che però perde in una drammatica, lunghissima semifinale con Gilles Simon e vede imporsi Andy Murray, che aveva battuto Federer in SF, in una sorta di
rivincita degli US Open. Poi l’atp impone un'altra mini-rivoluzione. Madrid passa sul rosso e Shanghai è la new-entry nello slot 8. Shanghai (2009-oggi) E siamo arrivati in Cina. Partiamo col dire, impianto bellissimo, centrale con tetto a forma di magnolia retrattile. Federer non battezza l’evento nel 2009 perché con due figli appena nati e un estate straordinaria, da record, preferisce ricaricare le pile in vista dell’indoor. C’è Nadal, non al meglio, ma che arriva comunque in finale. Perderà da play-station Davydenko che forse vive il suo periodo migliore : aveva battuto anche Djokovic in SF e vincerà un mesetto dopo il Masters a Londra. Parte l’anno successivo, 2010, sculacciando ancora Federer e Nadal a Doha, ma poi si inceppa sul più bello in Australia quando dopo aver sculacciato ancora Federer per un ora nei QF, si scioglie in vantaggio di un set e un break. Crollo di Davydenko, che non si riprenderà più.
Torniamo alla magnolia. La seconda edizione è vinta da Andy Murray su un buon Federer, che però in finale non azzecca mezza palla-break e deve lasciare il passo a uno dei migliori Murray di sempre. Il 2011 non vede Djokovic, lievemente infortunato e anche scarico dopo 9 mesi clamorosi, e neanche Federer, che riposato poi stravincerà tutto in autunno. C’è Nadal che fa una figura magra con Mayer. Vince Murray, su Ferrer. Lo scozzese starebbe per vincere anche l’edizione successiva quando con 5 match point a favore si fa rimontare da un Nole di ferro, in una finale maratona.
E’ il primo successo per Djokovic a Shanghai, che vincerà anche nel 2013 dopo un'altra stupenda finale con Del Potro, vinta 7-6 al terzo.
Il rituale di Alex Bisi
Domenica d’agosto che caldo fa, la spiaggia è un girarrosto, non servirà , bere una bibita… Così cantava qualche anno fa Bobby Solo, in uno sei suoi storici tormentoni,di certo questa canzone poco si addice all’estate appena trascorsa, molto piovosa e che ha rovinato le vacanze ad un sacco di italiani, così come tanti, in un giorno qualunque delle tue vacanze, ti trovi a dover star chiuso in casa perché il tempo fuori è pessimo. Prima delle agognate ferie, magari avevi fatto progetti di andar a correre per smaltire qualche chilo di troppo, o semplicemente per esser più competitivo nella tua settimanale ora di tennis (magari le due cose sono correlate tra loro…) ,senza far i conti però con il buon, si fa per dire, Giove Pluvio che ha dimenticato di chiudere i rubinetti ai piani alti.
Tutti i tuoi buoni propositi vanno alle ortiche,per non dire altro, e così birra in una mano e telecomando nell’altra, poggi il tuo posteriore sul divano, proprio nel punto dove c’è il calco frutto di ozi invernali,e sfrutti l’abbonamento alla pay tv, facendoti, per la gioia di tua moglie, una bella scorpacciata di tennis. Ahimè però nemmeno qui sei molto fortunato, i tornei non son un granché , in più sono persino i primi turni per cui il livello non è dei più alti, per cui tra un sorso di birra e l’altro , saltando tra i canali,la tua attenzione viene attirata dal rituale di servizio che ogni tennista possiede. Si sa,in qualsiasi sport, la ripetizione del movimento, porta l’atleta a far in modo che diventi naturale, e quindi più efficace, ma in particolare modo i servizi di buona parte dei tennisti, hanno un rituale che si ripete costantemente che va oltre la semplice tecnica. Ripetere gli stessi movimenti infonde tranquillità e concentrazione a chi si appresta ad eseguire un colpo che spesso può portargli un 15 senza troppo sforzo, se n’è parlato proprio su queste pagine dell’importanza della visualizzazione del colpo.
I mental coach consigliano prima del servizio, o anche prima dei match, di visualizzare il colpo o addirittura come si intende affrontare una partita, nella propria mente, per acquisire sicurezza e raccogliere energie positive utili alla concentrazione. John Isner da buon statunitense, si passa la palla in mezzo le gambe come il crossover dei giocatori di pallacanestro. Il suo connazionale Querrey invece, si ispira sempre al mondo della palla a spicchi, ma con un mezzo palleggio incrociato frontale, con l’ausilio della racchetta. Nonostante venga da una patria che ha prodotto grandi tennisti, ma che ha nel rugby lo sport nazionale, l’istrionico Kyrgios ricorre al palleggio
sotto le gambe come Isner. Gulbis, fa saltare la pallina sui polpastrelli delle mani prima di servire. Djokovic invece fa rimbalzare la pallina con la racchetta per due volte e alla terza la colpisce con la parte opposta della stessa, mentre Federer la colpisce con il telaio prima di farla rimbalzare con la mano. Anche le donne però hanno le loro “fisse”. Serena Williams ad esempio non ha mai una pallina e se la fa sempre dare da un raccattapalle. Vika Azarenka prima di servire,con un colpo sinuoso si fa passare la treccia da una parte all’altra del collo. Mentre Ivanovic , Bouchard e Wozniacki saltellano sul posto prima di iniziare il movimento. Se ogni atleta ha il suo rituale per accumulare concentrazione in vista di questo fondamentale del tennis, i sovrani indiscussi sono sicuramente Rafa Nadal e Maria Sharapova. La siberiana, fa qualche passo verso le tribune alle sue spalle, sistema le corde, poi si avvicina alla riga. Palleggio lento e prolungato della palla e finalmente servizio. Del fenomeno di Maiorca, penso sia inutile parlarne, tanto tutti conosciamo il rituale orecchie-mutande del mancino di Manacor.
Le dicipline Bio-naturali nello sport di Amanda Gesualdi
Non esiste l’Atleta, senza l’Essere Umano, e l’Uomo non è vivo senza la sua Anima!
Le DBN ricoprono un campo vastissimo di attività e pratiche che hanno come scopo comune il raggiungimento di uno stato globale di Benessere. Le DBN vedono l'essere umano come un insieme di corpo-emozioni-mentespirito-energia-divinità, ed il loro scopo è portare Armonia, Equilibrio, Coerenza, tra i vari corpi. Il Sistema Anima-Corpo è indivisibile e va considerato nella sua globalità e completezza. La nostra Scuola di DBN si occupa in particolar modo di: Alimentazione Macrobiotica e Vegana, Sport & Life Coaching, Floriterapia e Acque Spirituali, Suonoterapia, Meditazione, Reiki, Kinesiologia & Cyberkinetics.
Fanno da contorno materie come: Archetipi Eroici, Antroposofia, Psicosintesi, Psicologia Transpersonale, Medicina Tradizionale Cinese, Religioni e Filosofie, Arteterapia, Cucina Consapevole, Laboratori Creativi, Mitologia e Psiche, Sub-Personalità, Olismo. Le Discipline Bio Naturali hanno la finalità di favorire la piena e consapevole assunzione di Responsabilità di ciascun individuo in relazione al proprio stile di vita. Tutto ciò che siamo e rischiamo di diventare, scaturisce dal nostro modo di vivere, dalle nostre scelte consce ed inconsce, dal modo in cui ci cibiamo, dai ritmi di vita, dalle più profonde emozioni, ecc.
Essere Responsabili vuol dire prendere consapevolezza, nel profondo, dei nostri bisogni e conseguenti azioni! La salute e il benessere sono nelle nostre mani, e demandare tutto questo ad un farmaco o ad una operazione chirurgica, non migliorerà la relazione con la nostra Anima. È importante, dunque, ritrovare il dialogo con la nostra essenza, imparare nuovamente a conoscerci, lavorare sul mondo interiore allo scopo di elaborare ed evolvere. Se nello Sport siamo arrivati all'uso del Doping sempre più frequente e sempre più a bassi livelli, è perché stiamo perdendo di vista la nostra umanità e soprattutto spiritualità. La meta non è "vincere", ma "star bene", e vincere sarà la normale conseguenza di un buon lavoro e di uno stato di benessere profondo. Appoggio in pieno il Progetto Homo Pacificus, del famoso Nutrizionista Martin Halsey, dove stile di vita (Discipline Bio Naturali) e alimentazione (Macrobiotica, Vegana, Biologica) possono condurre alla Guarigione (Benessere, Gioia,
Serenità, Compimento, Consapevolezza, ecc.) dell'Essere Umano! Quanto detto fino ad ora può suonare come un bel discorso, ma che manca di concretezza. Tutto questo prende forma nel momento stesso in cui cominciamo a comprendere come funziona il nostro cervello. Il cervello umano si divide in due emisferi che hanno competenze differenti. L’emisfero destro governa la parte sinistra del corpo e quello sinistro la parte destra. Hanno compiti tra loro opposti e per conseguenza complementari. Il Sistema, intendendo l’Educazione, l’Istruzione, la Religione, la Politica, ecc. ci ha portato sempre più ad utilizzare l’emisfero sinistro, facendoci
inconsciamente rinunciare ai talenti che sono propri della nostra natura umana e divina. Quanto spazio diamo all’Intuizione? Ci permettiamo di liberare i Sentimenti e le Emozioni? Ci sentiamo Spontanei? Viviamo pienamente le Esperienze? Viviamo il Presente o siamo continuamente orientati al Futuro? Quando faccio sport, gioco a Tennis, sono concentrato sulla Tecnica esecutiva o mi lascio Fluire liberamento nel gesto atletico? Nelle loro diverse peculiarità, l’Emisfero Logico pianifica e si proietta al futuro, quello Olistico vive il presente, qui ed ora. La pianificazione e la programmazione è molto importante perché
traccia la strada da seguire, gli obiettivi da raggiungere ecc., ma una delle più grandi difficoltà che hanno gli atleti è vivere l’evento sportivo con massima concentrazione, presenza mentale, motivazione. La tendenza è quella di distrarsi, immaginare di perdere l’incontro solo perché si è partiti un po’ male, perdere fiducia nel futuro perché magari si è perso qualche incontro. L’unica cosa veramente reale è il Presente e spesso ci sfugge per la nostra incapacità a fermarci e semplicemente stare! In questo senso le DBN portano un grande contributo e mettono a disposizione dell’atleta svariati strumenti per aiutarlo nel migliorare la sua performance. La Meditazione, ad esempio, è per eccellenza l’attività che ci conduce ad un incremento di concentrazione, presenza di spirito, motivazione, senso di appagamento a prescindere dal risultato, fiducia, maggior feeling con l’allenatore e il team, ecc.
Scopriamo che la Tecnica (posizionamento mano, piede, occhio, ecc.) è competenza dell’Emisfero Logico, ed in contrapposizione, l’Emisfero Olistico, collabora al fine di rendere fluido e naturale il movimento. Se il nostro insegnamento è rigidamente connesso alla tecnica e solo alla tecnica, il rischio è di avere Atleti che non interiorizzano i passaggi di un nuovo movimento e quindi non esprimono il loro sentire; il rischio è anche quello di renderli troppo rigidi, insicuri e più vicini alla possibilità di infortunarsi. Da sempre la Tecnica nasce dallo studio di Campioni che hanno trovato il modo di ottenere la massima prestazione con il minor dispendio di energia.
Quindi il passaggio più importante per un Coach è quello di osservare il proprio Atleta ed aiutarlo a trovare autonomamente la miglior soluzione ad un problema tecnico-tattico. Senza imposizioni! La Tecnica nasce in relazione ad una problematica Tattica, la tecnica di per sé non esiste se non in funzione della tattica. Questa ultima affermazione è determinante per comprendere la sostanziale differenza tra un ottimo colpitore di palla (solo tecnica) ed un giocatore (ottimo colpitore di palla che si adatta agli avversari che cambiano). Il Coach ha una grande responsabilità nei confronti del proprio Atleta!
Conoscere le potenzialità del cervello umano è uno dei suoi compiti, come anche fare un continuo lavoro introspettivo per poter essere strumento pulito al servizio della persona. Il compito del Coach non è costruire ma creare! Eccoci ad una delle differenze più significative delle caratteristiche degli Emisferi Cerebrali. Quello Logico si occupa del Conscio e quello Analogico dell’Inconscio. Il Conscio è tutto ciò che è alla nostra consapevolezza, ma come possiamo definire l’Inconscio? L’Inconscio è l’Archivio per eccellenza in cui troviamo: tutte le nostre esperienze (passate – presenti – future); l’eredità che deriva dall’Albero Genealogico (la storia della propria famiglia e antenati);
l’Inconscio Collettivo (la storia dell’umanità). Quando si dice che utilizziamo solo il 10% del cervello, vuol dire che rinunciamo al restante 90% appartenente all’Emisfero Olistico ovvero all’Inconscio. Ma l’accesso a tale archivio richiede grande Coraggio, Volontà, Fede! Questo vuol dire Evolvere, e liberare Energia. Ringrazio per il contributo cinematografico, Luc Besson, che con il film “Lucy” traduce il viaggio del potenziale umano nel momento in cui accede realmente alla vita inconscia. Il film si basa su ciò che gli stessi scienziati hanno scoperto attraverso la Fisica Quantistica. Fritjof Capra, scrittore di “Il Tao della Fisica”, descrive come la Fisica Quantistica, quindi la Scienza, e le Filosofie Orientali come il Tao o lo Zen, arrivino alle medesime considerazioni e descrizioni dell’Universo. La Spiritualità è l’altro aspetto trascurato nella vita. Dov’è oggi la nostra Spiritualità? In che modo le diamo luce o la contattiamo? Perché dovremmo temere qualcosa che ci appartiene? Come recita una famosa citazione: “siamo esseri spirituali che vivono un’esperienza umana”! Le DBN non dimenticano chi siamo, e ci permettono un percorso profondo, inconscio, spirituale. Il corpo, la materia, cosa sarebbe senza la vibrazione che lo anima? Einstein ci ricorda che la materia è energia, e la diversa
L’Oriente, più Yin e Spirituale, l’Occidente, Yang e Materiale. vibrazione della materia ci permette di vedere o di non vedere un dato oggetto. Il cervello, gli emisferi, proiettati nella dimensione del Macro Cosmo, manifestano le differenze che ci sono tra le culture orientali e occidentali. L’Oriente, più Yin e Spirituale, l’Occidente, Yang e Materiale. Il compito dell’uomo è unire gli opposti, utilizzare il grande tesoro che è in ognuno di noi, fare una Sintesi. Staccarsi dalle idee di massa e dagli stereotipi, debellare il cancro alimentato dai mezzi di comunicazione di massa, dall’abuso di farmaci, da un sistema educativo prevaricante e limitante, coltivare sani principi ed un’alimentazione in linea con la natura.
Concludendo non esiste l’Atleta, senza l’Essere Umano, e l’Uomo non è vivo senza la sua Anima!
Il training autogeno di Laura Saggio
Uno degli strumenti mentali più efficaci adottato dai giocatori professionisti per il controllo dell'ansia
Partiamo dallo spiegare brevemente in cosa consiste l'ansia. L'ansia è un'attivazione dell'organismo che produce pensieri e stati d'animo negativi o di allarme a fronte di stimoli esterni percepiti come minacciosi anche se non lo sono. L'ansia si divide in ansia di stato o di tratto. L'ansia di stato è uno stato emotivo transitorio che si manifesta solo in determinate situazioni ed è caratterizzata da apprensione e tensione generale. L'ansia di tratto è una predisposizione non transitoria e soggettiva di recepire certi stimoli come potenzialmente molto pericolosi, ed è caratterizzata da una risposta emotiva più importante. Le manifestazioni dell'ansia possono essere sia somatiche (l'ansia è caratterizzata da sintomi legati all'attivazione dell'organismo quali: tachicardia, rigidità muscolare, aumento pressorio ecc.) che psichiche (poca fiducia in se stessi, pensieri distorti, disturbi del sonno ecc).
Da questa breve descrizione è facile capire quanto sia importante per un atleta riuscire ad attivare delle risposte mentali tali da contrastare o, meglio, gestire gli stati emotivi di ansia. Per farlo è fondamentale apprendere alcune tecniche di profondo rilassamento e controllo del proprio organismo, come per esempio il traning autogeno. La tecnica del training autogeno, messa a punto dallo psichiatra tedesco Schults nel 1923, mira mediante degli esercizi (training) ad ottenere il rilassamento attraverso la concentrazione mentale, in piena autonomia (autogeno). Il training autogeno agisce come strumento di cambiamento a tre livelli: Livello fisiologico: riequilibrando il Sistema Nervoso Vegetativo ed Endocrino, strettamente collegati agli aspetti emotivi. Livello fisico: favorendo uno stato di benessere generale. Livello psichico: aiutando l'atleta nella ristrutturazioni delle proprie reazioni ad emozioni e pensieri negativi.
Durante gli esercizi il carico di tensioni fisiche e psicologiche accumulate viene scaricato attraverso le “scariche autogene”: quei fenomeni transitori somatici (spasmi muscolari, ronzii uditivi, vertigini) o psichici (emozioni negative o positive) che tendono a manifestarsi all'inizio dell'esercizio, fino a sparire totalmente nel corso dell'allenamento autogeno. Esercizi del training autogeno: “Esercizio della calma”: è la fase propedeutica a tutti i successivi esercizi, nel quale si devono mettere da parte pensieri e preoccupazioni. "Esercizio della pesantezza”: consente il rilassamento muscolare attraverso una piena coscienza del proprio corpo accompagnata da
uno stato di abbandono. Questo esercizio risulta utile per l'attenuazione di cefalee muscolotensive, crampi, vertigini. “Esercizio del calore”: consente di ottenere significativi cambiamenti di circolazione nei vari distretti muscolari favorendo, oltre che una migliore circolazione, anche il riscaldamento muscolare utile prima di una performance. “Esercizio del cuore”: questo esercizio, più impegnativo, riguarda la sfera emotivo-affettiva. Ascoltando attentamente i propri battiti si cerca di controllare la tachicardia e dunque lo stato emotivo d'ansia e addirittura di panico. “Esercizio del respiro”: respirando regolarmente avviene una piena ossigenazione e si ottiene un rilassamento emotivo e psicologico profondo. “Esercizio del plesso solare”: è un esercizio che interessa diversi organi interni quali, intestino, fegato, pancreas, milza, rene, che convogliano tutti verso il medesimo punto nervoso che media il loro funzionamento. Si esegue premendo delicatamente una mano sul ventre fino allo sterno. E' molto utile per calmare le tensioni psicologiche. “Esercizio nella fronte fresca” : completa il rilassamento generale attraverso benefiche sensazioni di sollievo dal “calore mentale”, riconosciuto come sintomo di sovraccarico psicologico.