n° 15 - Aprile
TENNIS WORLD Edizione Aprile 2014 - numero 15
FLAVIA PENNETTA Quella di Flavia basterebbe scriverla in forma di cronaca minuta
ANDRE AGASSI L’otto volte campione di Grande Slam ha condiviso i suoi pensieri con Tennis World
LE PERLE MANCANTI Quali sono i grandi tornei che mancano nelle prestigiose collezioni private dei campioni e delle campionesse
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Flavia, una vita da best seller Li chiamano romanzi di formazione, Bildungsroman, se vi va di fare i saputi. La vita tennistica di Flavia Pennetta ne ricorda le cadenze, le trame, ne espone e cataloga gli stupori e le fragilità, enunciate come fossero appunti su un’agenda di cose da fare, cui mettere riparo. Condivide con i lettori le discese e le risalite, che tutti noi sappiamo essere ardite, da Lucio Battisti in poi. Narrano, quei romanzi, l’evoluzione di un giovane dal tempo dei rossori fino all’età adulta, e si attribuiscono il compito di mettere in guardia, perché la vita non è esattamente facile come vorremmo che fosse, né mai troppo spensierata. Quella di Flavia, dai primi dritti alla vittoria di Indian Wells, basterebbe scriverla in forma di cronaca minuta, senza 3
Da Brindisi a Roma, a Milano, alla Spagna, tradita dal fisico...
indulgenza alcuna al genere avventuroso. Niente è cambiato, eppure tutto esiste in altra maniera… Se Flavia desidera un buon inizio per la sua opera prima, Jean Paul Sartre potrebbe darle una mano. Da Brindisi a Roma, a Milano, alla Spagna, tradita dal fisico già al primo impatto con il suo “dolce mestiere”, ché così lei chiama il tennis. Debilitata da un brutto virus, a intendere che il seguito sarà una continua ribellione a tutto ciò che si frapporrà fra lei e la meta ultima: diventare tennista, atleta, e donna. Così gli amori, il più grande con Carlos Moya, quando lui era uno dei numeri uno del nostro sport, distruttivi al punto da ridurla un cencio, smagrita e senza forze. Capita, a un passo dal matrimonio, se lui decide di sposare un’altra… Così gli approdi, che sono stati alti mentre altre ottenevano più di lei. Così i ritorni, ostinati quanto la sua lealtà nei confronti di se stessa e degli altri, culminata in una conferenza stampa nella quale, con coraggio e senza lacrime, dichiarò di essere pronta a farsi da parte, «perché già molto ho avuto da questo sport, e voglio continuare a frequentarlo solo se sarò in grado di onorarlo». Si era a Wimbledon, un anno fa. E Flavia era caduta al numero 166 della classifica, lei che tre anni prima era stata la prima italiana nella Top Ten, al decimo posto, e
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addirittura la numero uno in doppio. Sul più bello il polso destro aveva ceduto. «Sarà banale, ma nel tennis avere un polso guasto è come per un violinista una ferita sui polpastrelli». Tre mesi di ferma obbligata, un’operazione chirurgica delicata, la riabilitazione, altre settimane perse nel nulla, poi il ritorno fra l’incertezza di non essere più in grado di dare forma geometrica ai suoi pensieri tennistici e la paura di farsi male di nuovo. Fasciature, impacchi, montagne di ghiaccio avvolto nelle buste di cellofan legate al braccio con il nastro adesivo dei muratori. L’improvviso addio al coach che l’aveva guidata sin dalla gioventù, Gabriel Urpi, Gaby, un fratello più che un padre, da lei stessa sospinto verso nuovi incarichi, perché in quelle condizioni «continuare con me poteva significare una perdita di tempo e di soldi», e tutti, si sa, tengono famiglia. Persino il matrimonio della sua migliore amica, Gisela Dulko, doppista con Flavia in campo e nel girovagare per il circuito.
Sposa di Gago, il calciatore che a Roma non riuscì a far parlare di sé, ma al Boca ha riconquistato la nazionale argentina. Una felicità, quella di Flavia per l’amica, mitigata da un pensiero che a 31 anni (ora sono 32) può far male… «Sono rimasta davvero sola». Ma da quel Wimbledon, e da quelle parole, si sono determinate le condizioni della ripartenza. Quasi Flavia avesse giocato in contropiede con se stessa. Ottavi sull’erba, semifinale (la prima) a suon di derby conquistata agli Us Open, quarti di finale agli Open d’Australia. Ora la vittoria a Indian Wells, il torneo da un milione di dollari, sui campi costruiti nel deserto dal miliardario Larry Ellison, titolare di Oracle
(l’azienda di database) e di Oracle (l’imbarcazione che ha vinto l’America’s Cup). Non solo… C’è un numero dodici in classifica, a due passi dal traguardo toccato il 17 agosto del 2009, quando gli anni da portare in campo erano solo 27. E c’è una nuova storia che piace molto agli italiani, che la vede legata a Fabio Fognini, il più forte fra i tennisti azzurri. Amore? «Ci supportiamo». Oggi si dice così. Il romanzo finisce qui. Più o meno. «Cercavo me stessa», dice Flavia, «e l’ho trovata. Mi è costata fatica, ma è bellissimo 5
Tornerà fra le prime dieci, batterà il suo record, e sarà ancora più felice di come l’abbiamo vista sul campo di Indian Wells. esservi riuscita». Non finisce qui il tennis… Flavia potrà addirittura migliorare, perché nei punteggi che vanno e vengono lei non ha niente da scartare fino al prossimo Wimbledon, dunque potrà solo crescere. Tornerà fra le prime dieci, batterà il suo record, e sarà ancora più felice di come l’abbiamo vista sul campo di Indian Wells. «Mi viene da ridere e non smetterei di farlo». Sapete, i romanzi di formazione terminano spesso con una riscossa personale. Ma se a essa si unisce un sorriso, valgono un best sellers. a cura di Daniele Azzolini
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Lei e Fognini EnneEmmeEmme, , NMM, scritto in maiuscolo sotto la firma di Flavia Pennetta, sullo specchietto dei vincitori che la telecamera mostra a fine match, sta per Non Mollare Mai. Testo di Fabio Fognini, con tanto di ciondolo porta fortuna da lisciare fra le dita tra un servizio e l’altro. Flavia ne ha fatto l’acronimo simbolo della sua rinascita. Fabio, che lo teneva per sé, di tanto in tanto marinando il robusto portato di quelle tre parole, glielo ha donato. I due se la intendono, pare. E siccome non sta a noi giudicare come e perché, e nemmeno quante volte al dì, diremo soltanto che ci sembra molto bello che due ragazzi come loro, sani e sportivi, se la intendano a più non posso.
In amicizia, perché a questo si attengono le versioni ufficiali («Ci conosciamo da una vita, e in questo momento ci supportiamo a vicenda», dice la Penna), o in amore, come è dato supporre dai twitter che circolano e da una foto che proprio i due hanno postato, ciancicati su un lettone con le dita spianate a simboleggiare una vittoria. O una conquista. O altro… È che voi siete maliziosi (noi no, invece) e pensate sempre a quella cosa lì. NMM, No Maliziosi Morbosetti, dice l’acronimo rivisto e corretto. Perché, vedete, questo inciucio ha molti lati buoni, ed è per questo che lo sosteniamo a spada tratta. Il primo è davanti agli occhi di tutti, se avete la pazienza di dare un’occhiata alle classifiche.
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Evert e Connors, la coppia degli anni Settanta. Serenona e Mouratoglou, la coppia “coach to coach”. Sharapova e Dimitrov, la coppia più “in”. Almeno fino alla fondazione della nuova équipe azzurra, Pennetta/Fognini. Classifiche alla mano, avanti Masha, di poco (lei 7, lui 16). Ma sul podio del doppio misto, perdinci, ora c’è anche l’Italia. Nelle quali Flavia rimonta fin quasi a toccare i suoi tempi più belli (è dodicesima, fu decima) e Fabio preme verso l’alto dalla sua quattordicesima piazza, a due passi dalla dodicesima che fu di Bertolucci, tanti ma tanti anni fa. Lei ha la maturità dei trentadue anni, lui le voglie di chi ancora non sa dove potrà arrivare. Lei sa combattere, e può insegnarglielo, lui è un tipo divertente, di quelli che con una battuta la tranquillizzano. Lei è transitata fra mille gorghi, e sa come cavarsi d’impaccio. Lui, invece, i gorghi se li è spesso creati da solo. Fabio, a torso nudo nella foto “tweetterata”, è stato nominato (e ringraziato) da Flavia come “assistent coach of the week”. È caduto negli ottavi, per mano e racchetta di Dolgopolov, uno che è più incasinato di lui, ma è rimasto di guardia al torneo della Penna. Aveva fatto lo stesso a Melbourne, dove di sera Flavia si trasformava in perfetta padrona di casa e cucinava per la truppa. Aveva una relazione con Svetlana Simeonova, modella, stessa età della Penna, 32. Si vede che a Fabio, quasi 27, piacciono così. Lei invece se ne andava gironzolando con Andrea Preti, modello (anche lui), 26 anni, ma è durata poco e Flavia non ha mai smesso di ripetere, alla coorte dei giornalisti del tennis, che di tanto in tanto è costretta a sprofondare nel gossip, o nel “tessip” fate voi, che «quello giusto è ancora di là da venire».
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Lei una bella randellata se l’è già presa, ai tempi di Moya, ovvio che non abbia intenzione di prendersi la seconda. Con Carlos si parlava apertamente di matrimonio, finché lui si sposò con un’altra Del resto, lei una bella randellata se l’è già presa, ai tempi di Moya, ovvio che non abbia intenzione di prendersi la seconda. Con Carlos si parlava apertamente di matrimonio, finché lui si sposò con un’altra, Carolina Cerezuela, presentatrice in tivvù. Pianse a lungo, la Penna, smagrì, e perse l’allegria che è la parte migliore di sé. Ma anche lì si riprese e ricominciò da capo. Nel tennis, rapidamente. Con gli uomini, forse meno. Dicono si consolò con Potito Starace, amico d’infanzia. Ma nemmeno lui era l’uomo giusto. E poi, lo sapete, il tennis favorisce gli incroci pericolosi. Lo faceva prima, quando uomini e donne pascolavano gli stessi campi solo quattro o
cinque volte l’anno, figuratevi adesso che è tutto un “combined” (sta per torneo con tabelloni maschile e femminile, ma se preferite usarlo come sinonimo di inciucio amoroso, fate pure). Evert e Connors, la coppia degli anni Settanta. Serenona e Mouratoglou, la coppia “coach to coach”. Sharapova e Dimitrov, la coppia più “in”. Almeno fino alla fondazione della nuova équipe azzurra, Pennetta/Fognini. Classifiche alla mano, avanti Masha, di poco (lei 7, lui 16). Ma sul podio del doppio misto, perdinci, ora c’è anche l’Italia. a cura di Daniele Azzolini
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Ora, in Italia comanda lei Flavia Pennetta guarda avanti.
Fotogrammi di una vita che corre veloce lungo il rettangolo di un campo da tennis
Flavia Pennetta guarda avanti. A maggior ragione dopo il primo Slam della stagione, che, quattro mesi dopo la semifinale all'Open degli Stati Uniti, ha ribadito come lei, oggi, sia la nuova regina di un tennis italiano che in questi anni ha saputo dare il meglio di sé, e solo poco settimane a ridosso della vittoria di Indian Wells, la più importante conquistata da Flavia, seconda in chiave nazionale solo a quella ottenuta dalla Schiavone al Roland Garros nel 2010, che è appena ieri ma sembra lontano un'infinità. E allora, cara Flavia, da dove vogliamo ripartire? «Dalle istantanee della mia vita recente, che ne dite? Penso a Wimbledon, al desiderio di dire basta, per poi accorgermi di essere ancora molto competitiva. Merito, forse, di Salvador Navarro, il mio coach, con il quale ci siamo messi reciprocamente a disposizione. Poi l'Open degli Stati Uniti, la foto più bella. Una semifinale conquistata a suon di vittorie importanti. E questi Australian Open, dulcis in fundo, che hanno ribadito come, forse, posso ancora dare tanto a me stessa e al mondo del tennis. Per ricevere altrettanto, è ovvio». Parla lontano da microfoni più o meno indiscreti, Flavia.
A Indian Wells ha capito, semmai ce ne fosse stato bisogno, che la maturità raggiunta è un bene prezioso. Condividendo ogni singolo momento, bello e brutto che sia. Tanto oggi, quei benedetti numeri, sono tornati a essere un più sulla sua tabella di marcia. Da New York a Melbourne e poi in California, correndo lungo le righe di un campo da tennis che, oggi, le appartiene di nuovo, a tutti gli effetti. «Mi sono trovata con le spalle al muro, con la testa piena di pensieri. Ho dovuto fare una scelta, ponderata non una, ma mille volte. Sì, è vero, avevo pensato di smettere, ma ho fatto bene a continuare. E oggi sono felice, perché sono rimasta me stessa, perché sono cresciuta dentro e fuori dal campo, perché ogni partita è un qualcosa di bello, di molto bello, da scoprire». Dopo A Wimbledon dello scorso anno, simpaticamente, le avevamo dato della bugiarda. «Potete stare tranquilli, ma la Pennetta di un tempo, non la rivredete mai più». Di difficile interpretazione le parole di Flavia nella sala 2 dell'All England Club. Anche perché, e lo diciamo al di là di cifre che, qualcuno ce lo insegna, vanno comunque interpretate nella maniera migliore, la Pennetta di oggi è davvero un'altra cosa, ma in positivo. Va in campo con il sorriso sulle labbra, esce ancor più contenta.
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«A Indian Wells non facevo che ridere. Mi veniva così. Ero ebbra di felicità, e non potevo fermarmi». Scoperta, questa, che assolutamente rivendichiamo. Fine agosto scorso, giardini della players lounge di Flushing Meadows. L'incontro con la famiglia Pennetta, Flavia in testa. Come stai? «Molto bene, grazie. Non mi vedete, sono felice e non vedo l'ora di giocare». Papà Oronzo e mamma Concita a fare da cornice a un quadro dai colori squillanti. Ricordiamo quel giorno, come fosse oggi. E quelle parole come se fossero il comun denominatore di una nuova vita, tennistica e non, di una giocatrice che è glamour al solo pronunciare il suo nome. Glamour tennistico, dentro un campo che, da New York a Melbourne, da Flushing Meadows alla Rod Laver Arena, ci ha riconsegnato, infiochettata, una giocatrice integra, matura, capace di ogni cosa. Anche... «di tornare tra le prime dieci, perché no? No, tranquilli, scherzo, non ho nessuna intenzione di farlo». Ora però è la numero dodici, e chissà se alla Top Ten non ha ripreso a pensarci sul serio. Secondo noi, sì. Da Navarro alla California. Prendendosi a cazzotti, litigando con il proprio io, sfiorando
l'inferno con in tasca, però, il biglietto di ritorno nel Paradiso. Tennistico, come la sua anima, non più ribelle, ma combattiva. Forzando, come vuole il suo coach, ogni palla. Rischiando la prima di servizio, il diritto, quel rovescio meraviglioso, tornato a risplendere d luce propria, come i suoi occhi, fedeli a un copione scritto di getto e interpretato, finalmente, a suo piacimento. «È la mia filosofia, è il mio credo», dice Navarro, il coach «Flavia deve spingere sempre. Tra di noi c'è dialogo e disponibilità, anche perché lei sa benissimo che per me contano i colori forti, le sfumature le lascio agli altri». Tanto per gradire e per far capire, a chi legge, cosa si celi dietro quello che per molti è un miracolo tennistico di una donna di 32 anni, già formata e
vincente. E questo segreto è racchiuso in quel prendersi a schiaffi, a brutto muso. «Vuoi tornare a vincere? Allora devi provarci, altrimenti finiamola qui». Da aprile 2013 a marzo 2014. Da nulla a tutto. Dalla voglia di dire basta, a un ottavo a Wimbledon, a una semifinale agli Us Open, dal quarto di finale a Melbourne alla vittoria a Indian Wells sulla Radwanska. Davvero, non è poco... di Gianluca Atlante
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Cina, la cassaforte del tennis Bisogna seguire il fiume dei soldi per capire cosa stia accadendo al tennis asiatico La Cina ha la più grande economia di mercato esistente al mondo. È una delle protagoniste del XXI secolo, i suoi prodotti hanno invaso ogni continente
Qualche osservatore si è meravigliato che agli ultimi Australian Open alcune pubblicità fossero scritte con gli ideogrammi cinesi. A me è sembrato nel naturale sviluppo delle cose che la ANZ, New Zeland Banking Group, li avesse comprati per tutte le partite di Na Li. Oppure che la Jacob’s Creek, industria vinicola di alto livello, avesse fatto lo stesso. Erano rivolti a quel pubblico, che rappresentava solo il 15% del totale spettatori negli impianti, ma che valeva milioni di spettatori davanti alla tv nelle loro case. L’economia cinese cresce più in fretta di quella australiana. È il momento di investire.
Bisogna seguire il fiume dei soldi per capire cosa stia accadendo al tennis asiatico. La Cina ha la più grande economia di mercato esistente al mondo. È una delle protagoniste del XXI secolo, i suoi prodotti hanno invaso ogni continente. Anche nel settore tecnologico, computer e telefonini su tutto. È la Banca degli Stati Uniti. Pechino finanzia i debiti dei consumatori americani e del governo di Washington. Ha un ruolo di primo piano nell’intera Asia, nel mondo arabo, in Africa e nell’America Latina. Insomma, denaro. Tanto denaro. 13
Il flusso di denaro in uscita è notevole, poi gran parte di quel denaro torna indietro. Ecco dunque la necessità che la tua banca arrivi prima delle altre. Così la ANZ ha aperto 28 filiali in Asia, cinque delle quali in Cina. Il mercato da quelle parti vale 73 miliardi di dollari, i profitti nel 2012 sono stati di 6.3 miliardi. Niente male. E il tennis come veicolo promozionale è l’ideale all’interno di un mercato che lo considera un prodotto nuovo, un testimonial che piace a giovani e consolida la sicurezza degli anziani. La donna, il secondo elemento Il secondo elemento da non perdere d’occhio in questa storia è la donna. La Cina attorno al
2000 aveva stilato un programma, a cui solo qualche stagione fa ne ha fatto seguito un altro. Vado con ordine. Dopo essersi isolata per trent’anni Pechino è rientrata pesantemente nel mondo dello sport ai Giochi di Los Angeles 1984. Fino ad allora il bottino olimpico era stato di zero medaglie d’oro. Dalla California sono tornati con 15 ori, 8 argenti, 9 bronzi. Un venditore di prodotti chimici, Xu Haipeng, aveva aperto la raccolta con il successo nella pistola. Erano ancora i tempi in cui gli atleti guadagnavano poco, non avevano sponsor e non potevano fare pubblicità. Versavano al Governo il 65% dei premi e ricevevano vitto, alloggio, istruzione. In cambio lo Stato diventava proprietario delle loro vite di campioni. Fino ad allora ping pong, badminton, ginnastica e tuffi erano stati i terreni di conquista. Poi erano arrivati nuoto, atletica leggera, pattinaggio su ghiaccio, scherma. Erano soprattutto (se non solo) le donne a raccogliere successi. I dirigenti politici dopo avere analizzato il mondo del tennis e avere capito che il settore femminile era quello che offriva maggiori possibilità, erano così entrati nell’ottica di una programmazione che prevedeva due traguardi che indico in ordine di tempo: a) numero 1 in
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L’Asia è un mercato in continua espansione. E adesso che il tennis è passato dalle quattro partite a stagione di trent’anni fa, le finali degli Slam, alle oltre mille ore di programmazione televisiva annuale doppio, b) numero 1 in singolare. Solo a quel punto sarebbe partita la campagna per lanciare anche gli uomini alla conquista del mondo.
Il tennis femminile cinese è in continua espansione e si tira dietro l’intero movimento asiatico. Uomini d’affari hanno speso un miliardo per la costruzione del Singapore Sports Hub’s che da quest’anno al 2018 ospiterà il Masters femminile. La Wta ha creato delle filiali in Asia e ha aumentato il numero di tornei in quel continente. Oggi sono sedici, la metà dei quali in Cina. L’Asia è un mercato in continua espansione. E adesso che il tennis è passato dalle quattro partite a stagione di trent’anni fa, le finali degli Slam, alle oltre mille ore di programmazione televisiva annuale i clienti potenziali crescono senza freni. La finale del doppio ai Giochi di Atene 2004 era stata seguita in Cina da 80
In due sul podio Il piano è vicino alla sua realizzazione per quanto riguarda i primi due punti. Shuai Peng è leader del doppio, Na Li è numero 2 nel singolare dietro Serena Williams. Sono state investite montagne di dollari per il progetto. Un milione a stagione per far allenare le ragazze all’Accademia di Delray Beach in Florida. È stato tirato su lo stadio Qixhoug. È stato creato il China National Tennis Center. Undici campi, uno stadio da 15.000 spettatori, tetto retrattile sul Centrale, occhio di falco, alta tecnologia. 15
milioni di telespettatori, per la finale del Roland Garros 2011 tra Na Li e Francesca Schiavone l’audience (mai ufficializzata) sembra sia stata attorno ai 400 milioni. Particolare curioso e significativo della popolarità della protagonista, per tutta la durata della trasmissione la CCTV ha fatto scorrere un banner con la stessa scritta: “Na Li ti amiamo”. Con 1,4 miliardi di abitanti tutto è possibile.
dollari in cassa. Il solo mercato della vendita di racchette è salito del 41% in un anno. I cinesi sono passati dai 10.000 praticanti del 1980 ai trenta milioni di oggi. La svolta decisiva nel 2011, l’Anno del Coniglio nel calendario cinese. Finale a Melbourne e vittoria a Parigi per la Ribelle. E soprattutto la conquista dell’indipendenza agonistica, avvenuta progressivamente nel tempo e culminata in quella stagione. Na Li è gestita dalla IMG, al suo Paese versa solo il 12% dei premi e finora ha portato a casa quasi sedici milioni di dollari, sponsor esclusi. Anche le altre si battono per diventare padrone di se stesse.
Il tennis non è più borghese La Cina non considera più il tennis uno sport borghese. Anche se il valore del denaro, in una nazione in cui un lavoratore delle zone rurali guadagna 755 dollari l’anno, è qualcosa da gestire con estrema cura. Così non mi sono stupito quando i cinesi hanno accusato di sperpero di soldi pubblici il Governo della provincia di Hubei che ha dato 800.000 yuan (96.000 dollari) a Na Li per avere raggiunto la finale agli ultimi Australian Open. I successi della ragazza portano comunque
“Vola da sola” è lo slogan che le unisce. Forse aveva ragione Na Li quando diceva (dopo il successo al Roland Garros): «Lo sport può cambiare tutto». Lo pensava anche Nelson Mandela. Quello della Ribelle è stato un autentico schiaffo a una nazione maschilista che ha della donna un’idea antica, retrograda. Ma ora, raggiunto l’obiettivo nel femminile, il discorso passa all’altra metà della Luna. I maschietti sono in clamoroso ritardo. Le ragazze inserite nelle Top 300 sono nove, tre delle quali tra le Top 50. Gli uomini ne hanno solo due tra i primi trecento: Di Wu che è 212 e Ze Zhong che occupa la posizione numero 229. 16
E adesso è partito il secondo progetto. Quello della conquista degli spazi. In contemporanea allo sviluppo del settore maschile, la Cina sta spingendo per realizzare un colpo storico. Ospitare il quinto Slam
Hanno però tre dei cinque tornei Atp ospitati dall’Asia. E sono l’unico Paese, assieme agli Stati Uniti, ad avere una manifestazione in ogni fascia: Shenzen (250), Pechino (500), Shanghai (1000). Una scuola per 16 milioni L’assalto è partito. Nei programmi scolastici ci sono sedici milioni di bambini che fanno tennis. La Federazione ha cominciato a fare seguire i migliori prospetti da maestri stranieri, saranno intensificati gli stage all’estero. E adesso è partito il secondo progetto. Quello della conquista degli spazi. In contemporanea allo sviluppo del settore maschile, la Cina sta spingendo per realizzare un colpo storico. Ospitare il quinto Slam. Pechino e Shanghai si sono proposte come sedi. Dicono che gli Australian Open non possono rappresentare da soli l’area asiatica e quella del Pacifico. Sono pronti a impegnare ingenti capitali per dimostrare quanto la cosa sia fattibile. Un appoggio importante è arrivato proprio da un fuoriclasse australiano, John Newcombe. «La Cina versi un miliardo di dollari agli altri Slam che se li divideranno in parti uguali. I quattro potranno consolidare la loro posizione e la Cina avrà il suo Slam. Lo merita». È stata fatta anche un’ipotesi di data: tra fine febbraio e inizio di marzo, poco prima di Indian Wells.
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Avere dietro una forza economica da leader nel mondo della finanza e la possibilità di creare mega impianti, comprare grandi tornei o imporre lo “studio” del tennis anche a scuola aiuta. Ora non resta che aspettare. Impossibile? Qualche anno fa avreste mai pensato a una cinese numero 2 del mondo? A chiusura di questo articolo vorrei chiarire un concetto. Un campione non si trova programmandolo. Rios è stato numero 1 del mondo in un Cile senza Federazione; Federer e Wawrinka nascono in Svizzera, nazione che non ha progetti di alto livello che vengano in aiuto dei giovani tennisti. Guga Kuerten arrivava dal Brasile, stesso discorso. Insomma i geni diventano fenomeni perché sono tali grazie a Madre Natura che li ha dotati di un incredibile talento.
Ma avere a disposizione un potenziale di 1,4 miliardi di persone. Avere dietro una forza economica da leader nel mondo della finanza e la possibilità di creare mega impianti, comprare grandi tornei o imporre lo “studio” del tennis anche a scuola, credetemi, aiuta. a cura di Dario Torromeo
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Peng, la prima cinese Per l’oroscopo cinese il 2014 è l’anno del Cavallo
Promette grande fortuna: affari, lavoro, amore, tutto... Ai cinesi, ovviamente, a noi italiani chissà, vedremo. (tra cui Wimbledon e il Wta Championship) e in un'altra classifica importante per il portafoglio, quella dei guadagni di doppio, ha messo in tasca circa 750.000 dollari. Meglio di lei solo la sua compagna di doppio per una manciata di dollari. «Diventare numero uno era il mio obiettivo per questo anno. Lo scorso anno eravamo arrivate molto vicine a Errani e Vinci. In Australia avevamo una grossa chance, ma non ce l’abbiamo fatta. Ora sono contenta di esserci riuscita a Doha». E chi se ne frega della politica La Peng gioca a fondo campo, Hsieh invece a rete, perché per sua stessa ammissione non è di grande aiuto da fondo campo. Meglio, dunque, stare avanti. Non hanno molto tempo per allenarsi insieme «Ogni match per noi è come un allenamento». Insomma, come a dire... La migliore strategia? Non avere strategia. Un doppio fra una cinese e una taiwanese che se ne infischiano della politica e dei rapporti assai poco amichevoli fra i loro Paesi, fa già simpatia. Inoltre, la nuova numero uno ha uno stile di gioco molto particolare.
L’inizio dell’anno tennistico sembra allineato con le più favorevoli previsioni, e già risulta storico per la Cina: a gennaio Li Na ha vinto il suo secondo titolo dello Slam e ha raggiunto il n.2 del ranking. Mai una cinese era arrivata così in alto. Ma a febbraio c’è chi ha fatto meglio: Peng Shuai si è arrampicata più su, fino a toccare la vetta della classifica di doppio, scalzando le italiane Errani e Vinci e diventando la prima tennista cinese (uomo o donna, singolo o doppio) a diventare la n.1. «No, non lo sapevo! Dopo il match il mio coach è venuto da me e mi ha detto: “Congratulazioni! Sei la n. 1!”. E io ho risposto... Ma sei sicuro?». Peng Shuai fra tutte le giocatrici in attività è quella che ha giocato più tornei di singolo (180) senza vincere un solo titolo. Ma lo scorso con accanto il nuovo coach, il francese Guillaume Peyre, in coppia con la taiwanese (formosa, se preferite) Hsieh Su-Wei ha vinto 5 titoli
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Peng è una bimane sia di dritto sia di rovescio, colpisce piatto senza paura. E non solo le palline. Peng è una bimane sia di dritto sia di rovescio, colpisce piatto senza paura. E non solo le palline. Questa ragazza di ventisette anni, che solo gli “hard fan” della Wta conoscevano fino a pochi giorni fa, è stata, come la più famosa collega Li Na, una tennista che ha voluto fare le sue scelte non accettando i metodi e le decisioni della federtennis cinese. Noi proviamo a raccontarvi la sua storia.
spalla destra, alla mano sinistra, alla caviglia sinistra, al gomito destro... E in mezzo, l’appendicite e di nuovo un problema al cuore risolto con un’angiografia coronarica. Il fisico non è fragile ma la testa è decisamente dura. I problemi con i notabili della CTA, la Federazione Tennis Cina sono nati presto. Motivo principale: pretendere la libertà (quasi un parolaccia) di scegliersi il coach. Peng ne voleva uno che conoscesse bene il mondo del tennis, per questo si affidava spesso ad allenatori occidentali. «Ho bisogno di un coach per la parte tecnica, uno per la parte fisica e di un hitting partner». Si sa, una tennista professionista si deve circondare di professionisti bravi e questo è costoso.
Un’operazione dietro l’altra Ha iniziato a giocare a otto anni grazie allo zio coach, e ha avuto una serie di problemi fisici lunga quanto le Grande Muraglia: operata al cuore quando era ancora bambina, poi alla
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«E comunque sembro più grassa in tivvù, lo schermo mi aggiunge almeno cinque chili. In tv la mia faccia sembra grossa come un lavandino!
I rubinetti federali erano chiusi ma gli aiuti finanziari, soprattutto a inizio carriera, le sono giunti dal Tianjing Tennis Center. «Credo che l’aiuto di un coach non sia una questione superficiale. Oltre alla parte tecnica è anche un aiuto psicologico. Non mi deve far sentire pressione addosso così posso allenarmi in tranquillità». Tranquillità non facile da trovare quando fra le varie critiche, ti dicono anche che devi perdere peso per diventare più veloce. Lei rispondeva ricordando che nel tennis c’erano anche tenniste capaci di un gioco potente e non erano certamente magre, come Davenport e Kuznetsova... «E comunque sembro più grassa in tivvù, lo schermo mi aggiunge almeno cinque chili. In tv la mia faccia sembra grossa come un lavandino! Questo dà alle persone un’impressione sbagliata». La regola: pane al pane... Una ragazza sorridente ma senza paura nel dire quello che pensa, come quando a un torneo nazionale, Peng Shuai non si presentò per giocare la semifinale, semplicemente perché non aveva ricevuto comunicazione del cambio dell’ordine di gioco da parte degli ufficiali di gara. A quell’ora lei si trovava a Shanghai per fare il visto, dato che la CTA non le forniva aiuto nemmeno per i problemi burocratici.
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Oltre al danno, la sua avversaria in finale, la beffa: Shuai ricevette un richiamo ufficiale della federazione. La diciottenne Peng, caratterino furente, non poteva accettarlo. Convocò una conferenza stampa per raccontare la sua versione, e parlò di cospirazione contro di lei. Altro episodio... Quando il capitano di Fed Cup Jiang Hong-Wei si lamentò perché la Peng non gli aveva ancora sottoposto l’elenco dei tornei a cui avrebbe partecipato, come era tenuta a fare da precisi accordi con la federazione, la Peng rispose così: «L’elenco dei mie tornei è pubblico e può essere trovato sul sito della Wta. Queste non sono cose di cui mi occupo,
quello che mi interessa è giocare bene e migliorare la mia classifica». È una ragazza che ha vissuto fra molti dubbi e incertezze. «Ho cominciato a giocare da bambina, ho avuto un operazione al cuore a 12 anni. Qualche volta mi sento fortunata e qualche volte sfortunata. Come junior ho giocato bene, poi non è stato facile. Quando avevo 18 anni ho anche pensato di smettere». Ma nel 2005 è improvvisamente entrata nelle top 30 e da quel momento le aspettative diventano alte: «Il tennis era originariamente uno sport della nobiltà», disse allora la Peng, «e io ho bisogno di giocare con più grazia, meno avventatezza, più pazienza. Ho bisogno di fare questo in giovane età così posso fiorire quando sarò più grande». L’anno “no” L’anno successivo invece è un disastro fra infortuni, risultati scadenti e la solita tensione con la federtennis. Così, il torneo di Pechino del 2007 diventa centrale per la ragazza. Fare bene significa moltissimo per lei. Di ritorno dall’ennesimo problema fisico, Peng vince il match di primo turno e festeggia come se avesse vinto il torneo, ringraziando, salutando e mandando baci al pubblico in perfetto stile Agassi e in modo assolutamente poco, ma molto poco cinese.
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Sentirsi incompresa «Era la prima volta che lo facevo», racconta quasi a volersi scusare. «Volevo solo ringraziare tutti quelli che mi avevano sostenuto. Quel giorno ho ringraziato tanta gente, i miei genitori, i fans». Ma non la CTA. «Potevo includere anche loro? Be’, i miei ringraziamenti non erano diretti solo da una parte. Anche voi della stampa eravate inclusi, perché mi siete stati vicini quando ho vissuto il momento di più grande difficoltà. A essere sincera, in genere mi piace vedere le mie foto, leggere di tennis e gli articoli su di me. Ma in quel periodo non avevo il coraggio di andare online. Mi sentivo orribile, svuotata. C’era stata su di me una pressione oltre il descrivibile». La parte più difficile non era la classifica che precipitava, ma non essere capita dalla gente, perché il suo scontro con i funzionari della federazione, per avere il controllo su come e con chi allenarsi e quali tornei giocare, in Cina aveva causato grande clamore.
Dopo Li Na, la nuova dissidente era diventata la Peng. «Adesso mi sento molto meglio. Ho capito che non c’è un modo per farsi capire da tutti, ma è abbastanza se almeno qualcuno ti capisce. Crescendo ho imparato ad affrontare i problemi in modo indipendente». Un’anima poetica C’è un altro caratteristica che accomuna Li Na e Peng Shuai, nessuna delle due dà risposte banali o standard o troppo brevi. Anzi parlare e scrivere piace a entrambe. Cosí Peng descrive vita di una tennista: «Volare nel cielo, correre sulla terra e finalmente tornare a casa. Una carriera da nomade».
Parole ben assemblate, quasi con un tocco di poesia. Peng Shuai è così. Racconta anche delle lunghe telefonate con gli amici e con la mamma, fino a che il telefono diventa bollente e allora capisce che è il momento di attaccare. Sorride con affetto dei consigli della mamma di riposare bene e di mangiare di più. «Sembra proprio che non importa dove vado, non importa quanti anni ho, nel suo cuore io sarò sempre la sua bambina». Per un po’ tempo ha anche scritto un blog per un sito cinese. Una esperienza che le è piaciuta non solo per il contatto con i fan ma anche per una specie di auto-analisi. 24
Quattordici anni dopo... Nel 2000, Peng Shuai ha 14 anni, gioca il suo primo torneo ITF e raggiunge la semifinale sconfitta da Li Na. Tredici anni dopo sono sempre loro le due ribelli, le due donne che hanno voluto fare le proprie scelte in modo indipendente, che hanno scritto, anche per quella federazione ingessata, la storia del tennis cinese. «Secondo me è importante passare dieci minuti a scrivere quello che è successo durante il giorno e poi rifletterci sopra». Le polemiche le vuole gettare dietro le spalle. «Troppo parlare di quello che è giusto o sbagliato non serve a nulla. Alla fine solo i tuoi risultati parlano a voce alta… O forse è meglio dire che i risultati parlano per te». Come una Rossella O’hara d’oriente conclude con «Domani è un altro giorno». E in quel domani, subito dopo essere diventata la numero 1, c’è anche l’annuncio che si allenerà nell’Accademia di Mouratoglou a Parigi, la stessa Accademia dove si allena la numero 1 in singolare Serena Williams. a cura di Franca Angelini 25
Le "Cichis" nella storia “E' l'amicizia che ci dà forza” Sara Errani e Roberta Vinci, dopo l'ultimo splendido trionfo australiano, entrano di diritto tra le prime dieci coppie dell'Era Open Un traguardo importante questo sesto posto raggiunto dalle ragazze, sicuramente nuovo punto di partenza per altri ambiziosi obiettivi da centrare. Il primo potrebbe essere già il prossimo Roland Garros. Infatti, se Sara e Roberta riuscissero a conquistare un altro titolo, entrerebbero, affiancando la coppia Casals/ J.King (1968-74), al quinto posto di questa prestigiosa classifica. Ma l'obiettivo più importante è certamente la presa di Wimbledon, che consegnerebbe alle due italiane il Career Grand Slam: la vera scommessa della stagione. Titolo saldo, quest'ultimo (dal 1968 ad oggi) nelle mani di quattro coppie stellari quali: Martina Navratilova/ Pam Shriver; Gigi Fernandez/ Natasha Zvereva; Serena e Venus Williams; e infine Kathy Jordan/Anne Smith. Titolo saldo, quest'ultimo (dal 1968 ad oggi) nelle mani di quattro coppie stellari quali: Martina Navratilova/ Pam Shriver; Gigi Fernandez/ Natasha Zvereva; Serena e Venus Williams; e infine Kathy Jordan/Anne Smith. Vedremo quali altre emozioni ci riserverà il resto della stagione, certi che saranno molte e sempre dal carattere deciso e incisivo, come quello 'indivisibile' di Sara e Roberta.
Questo hanno sempre dichiarato a gran voce Sara e Roberta, la coppia di doppio numero 1 al mondo. L'amicizia sì, quella spinta in più che nei momenti difficili, fuori e dentro il campo, non ti fa mollare e ti motiva a dare sempre il massimo, per te e per la tua compagna di doppio. E poi c'è tutto il resto: cuore, talento, determinazione, obiettivi da raggiungere. Un mix vincente, perfezionato negli anni, che ha portato Sara e Roberta ad essere la coppia leader della classifica Wta di specialità. I quattro titoli vinti in uno Slam: Roland Garros e US Open nel 2012 e Australian Open nel 2013 e nel 2014, dimostrano e confermano la forza delle azzurre, entrate di diritto nella storia del tennis mondiale. Inoltre, dopo il bis australiano, le due italiane si sono assestate al sesto posto della top ten delle coppie più vincenti nei Major dell'Era Open, pari merito con coppie leggendarie quali: Margaret Court insieme a Judy Tegart Dalton nel 1969-70 e poi a Virginia Wade nel 1973-75. E ancora, Kathy Jordan/ Anne Smith (1980-81); Jana Novotna/ Helena Sukova (1989-90); Cara Black/ Liezel Huber (2005-08).
a cura di Laura Saggio
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Dopo i Giochi Olimpici Invernali, arriva Fed Cup Dopo i recenti Giochi Olimpici Invernali di Sochi, la città non si è per niente annoiata di altri eventi sportivi. La partita Play-Off di Federation Cup tra le squadre nazionali femminili di Russia e Argentina si terrà a all'Adler-Arena di Sochi. Questo sarà il terzo incontro tra le due squadre. In passato, la Russia è stata proclamata campionessa con una relativa facilità. Nel 2004, Gisela Dulko è riuscita a convincere i tifosi argentini a vincere la prima partita contro Svetlana Kuznetsova, ma la reazione della russa è stata immediata e hanno vinto 4-1. L'altro incontro, tenutosi in territorio neutro nel 2001, ha determinato in modo molto più netto, 3-0 risultato in favore della Russia. a cura di Stefania Grosheva 28
Finalmente Nole Novak Djokovic torna ai suoi livelli di gioco L’edizione maschile del torneo californiano, appena andata in archivio, è stata caratterizzata dalla mancato rispetto dei pronostici
Uno dei pochi ad esser rispettato è stato quello sulla coppia di giocatori che ha disputato la finale, Djokovic, nonostante non avesse brillato in termini di prestazioni in questo inizio stagione era accreditato come un papabile vincitore, e Federer visto l’ultima ottima prestazione fornita a Dubai era da tenersi in considerazione almeno come possibile finalista, nonostante avesse un tabellone più ostico da superare. Dalla sua, lo svizzero, parte avrebbe dovuto trovare Wawrinka ai quarti e uno tra Nadal e Murray in semifinale, ma come dicevamo prima
i pronostici in questo torneo non l’hanno fatta da padrone. Nadal, ancora con qualche problema alla schiena, dopo aver sofferto contro Stepanek è stato eliminato da Dolgopolov che è stato la rivelazione del torneo, Murray in netto ritardo di condizione è uscito contro Raonic agli ottavi, mentre il vincitore degli Australian Open, non al meglio fisicamente, veniva estromesso da Anderson, così un ottimo Federer aveva campo libero in semifinale e ha dominato l’ucraino che non è stato capace di trovare soluzioni ai colpi di King Roger.
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Dall’altra parte Djokovic arriva, non senza qualche patema in semifinale battendo senza esibire un gran gioco,Hanescu, Gonzalez, Cilic, Bennetau e Isner. Berdych si è fatto eliminare con una brutta prestazione al secondo turno da Bautista-Agut e DelPotro ha dato forfait per i soliti,purtroppo, problemi al polso. La finale è un bel match, Federer nel primo set porta letteralmente a scuola il serbo, che nel secondo parziale reagisce e pareggia i conti, prendendo in mano il match anche nel terzo, salvo rischiare di buttare via tutto sul 5-4 e servizio, ma gestendo alla grande il tie-break. Federer nonostante la sconfitta conferma il buon avvio di stagione ed una ritrovata condizione,e dimostra che il rapporto con Edberg sta dando buoni risultati.
Per lunghi tratti lo svizzero è stato veramente superbo, poi i nervi di Nole hanno fatto la differenza. Già..Nole…Il serbo, ha messo in bacheca il primo torneo stagionale, nel torneo in cui nel suo box c’era solo il buon vecchio Vajda, situazione che alimenta i sostenitori che Becker a Djokovic non serva a nulla. Nole non ha giocato bene nel torneo, ha preso sottogamba forse i primi due matches poi con Cilic, dopo un primo parziale disastroso ha giocato veramente da Nole. Il match con Bennetau è stato un allenamento, e con Isner si può dargli l’attenuante della giornata molto ventosa. In finale invece nel primo set non è stato in grado di trovare soluzioni allo svizzero, si è fatto breakkare subito, ma è bravo nel secondo a ritrovare le forze nervose per incanalare la partita dalla sua parte. Dal secondo parziale ha giocato bene,sbagliando poco, forse ha insistito troppo sul rovescio di Federer senza cercare il suo famoso rovescio lungolinea dopo che si era aperto il campo, ma i fatti gli hanno dato ragione. Sicuramente una vittoria più di nervi e voglia, che di gioco, ma che comunque serve a far morale e a continuare con uno spirito diverso i prossimi tornei. Il Master di Miami, sarò un torneo ricco di incognite, visto com’è andato Indian Wells. a cura di Alex Bisi
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Welcome to Miami Djokovic conquista la doppietta Indian Wells/Miami come precedentemente fatto nel 2011.
Bienvenidos a Miami..Sarà questa molto probabilmente la canzone che frullava nella testa di Novak Djokovic Nel secondo, dopo aver guadagnato un break ed essersi portato sul 3-2, subisce di nuovo il serbo non vincendo più un gioco. Prova comunque positiva dello scozzese, che ha dimostrato soprattutto contro Djokovic un buon gioco. Roger Federer dimostra di esser nuovamente in forma, mostrando pillole di gran tennis, ed arriva all’appuntamento quarti contro Nishikori con tutti i favori del pronostico, anche perché il giapponese è reduce da due dure battaglie con Dimitrov e Ferrer. Ed ecco invece il primo pronostico che viene sovvertito, dopo esser partito molto bene ed essersi aggiudicato il primo parziale King Roger subisce il gioco del nipponico ed è costretto a cedere il passo. Se Indian Wells, una settimana prima , è stato il torneo dove son stati sbugiardati quasi tutti i pronostici della vigilia, Miami non vuol esser da meno e regala un bel colpo di scena, Nishikori e Berdych devono abbandonare il torneo per problemi fisici spedendo in finale senza nemmeno giocare Rafa e Nole. In finale Nole gioca molto bene, scendendo anche a rete con una certa regolarità, attaccando costantemente Rafa che non riesce a trovare soluzioni al gioco del serbo. Il maiorchino sembra anche più piantato sulle gambe, ma Nole a differenza di Indian Wells si dimostra molto più in palla.
Il sorteggio mette Nadal dalla parte di Wawrinka e Berdych e Djokovic da quella di Murray e Federer. I primi due giocatori del seeding hanno un cammino agevole fino ai quarti,con Nadal che sembra aver ritrovato un buon stato di forma, dopo la prova deludente a Indian Wells e con il serbo che riposa addirittura un turno, usufruendo del ritiro di Mayer al terzo round . Nadal trova Raonic ai quarti di finale,concede un set ma vince, mentre Wawrinka dopo aver faticato il primo turno, conferma un brutto periodo di forma ed esce con uno dei tennisti più in forma del momento, ovvero Dolgopolov, che verrà eliminato a sua volta da Berdych. Djokovic trova ai quarti Murray che dimostra un discreto stato di forma dopo l’infortunio e arriva all’appuntamento con il serbo eliminando uno Tsonga sempre più in crisi di gioco. Il match trai due finalisti di Wimbledon è molto equilibrato, e secondo molti viene deciso dall’invasione di Nole nel primo set che destabilizza lo scozzese, che cede di schianto gli ultimi due giochi del primo parziale.
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La settimana prima il serbo aveva vinto più di nervi che di gioco,qua invece gioca una finale senza sbavature e il doppio 6-3 ne è la conferma. Particolarità, per gli appassionati di soap opera, anche questa vittoria di Nole arriva quando nel suo angolo c’è il solo Vajda, con Becker in ospedale per un operazione all’anca. Miami va in archivio con Murray che sembra,problema coach a parte, sulla via di un pieno recupero fisico, Federer invece abbastanza ridimensionato dalla sconfitta con Nishikori, per via dei tanti errori nei momenti clou dell’incontro. Berdych non giudicabile e Wawrinka che sembra essersi un po’ smarrito dopo lo slam australiano. Questa doppietta sicuramente infonde una buona dose di fiducia a Djokovic, in vista degli appuntamenti sul rosso, dove cercherà ancora l’impresa di espugnare il regno francese di Nadal e sferrare nuovamente l’attacco alla prima posizione in classifica. a cura di Alex Bisi
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Merce rara C’è fame di talenti nello sport, non solo nel tennis
Alexandr Dolgopolov è merce rara, va tutelato. E così a volte in onore del talento si perdona tutto Vive e gioca fuori dagli schemi, anche per questo Dolgopolov ha un’anima difficile da capire. Per un lasso di tempo non c’è riuscito neppure il papà, Olexandr. Lo portava in giro per i campi quando il piccoletto aveva solo tre anni e lo lasciava palleggiare con Medvedev, che il genitore allenava, con Becker o Agassi. «Sento dire in giro che Alexandr ha cominciato a giocare quando aveva tre anni, in realtà vive di tennis da quando stava nel passeggino. Non camminava e già si divertiva con racchetta e pallina», racconta la mamma. Vedeva quei campioni in continuazione. Avrà pensato che fosse quello l’unico modo di giocare a tennis. Non erano esempi da seguire, erano amici che rendevano felice un bambino scambiando con lui qualche colpo. Poi li rivedeva in campo per una partita vera e credeva che quello strano gioco con una racchetta e la pallina si potesse giocare soltanto così. In casa aveva due esempi che spingevano verso la concretezza estrema. La mamma Elena Devetyarova era stata una ginnasta di successo, per due volte sul podio agli Europei: oro e argento. E si sa quanta fatica, sudore e lacrime richieda quello sport.
« È un giocatore pazzesco, da lui puoi aspettarti di tutto. Può giocare molto aggressivo, può giocare molto veloce, ha un ottimo servizio e la palla a volte va via così veloce che quasi non la vedi. Può batterti e tu non puoi farci niente. È un giocatore speciale. Uno che può tirare un vincente da ogni parte del campo» (Rafael Nadal) C’è fame di talenti nello sport, non solo nel tennis. La noia è il nemico più grande da battere. C’è una caccia spietata a ogni atleta che sappia regalare emozioni. L’inseguimento al Pifferaio Magico capace di portarci nel parco incantato è aperta. In un tennis in cui quasi tutti giocano suonando lo stesso spartito, Alexandr Dolgopolov è merce rara, va tutelato. E così a volte in onore del talento si perdona tutto. Ma cosa volete che contino i cali di tensione, gli errori gratuiti, i periodi di buio totale davanti alla genialità dei suoi colpi? 34
Il bambino diventato ragazzo aveva imparato ad amare quel gioco. Ma era il tennis che aveva costruito nei suoi sogni. Il papà Olexandr era stato un discreto tennista e ora faceva il maestro. Il bambino diventato ragazzo aveva imparato ad amare quel gioco. Ma era il tennis che aveva costruito nei suoi sogni. Il padre ne era diventato il coach, un tecnico che pretendeva applicazione, allenamenti rigidi, rispetto assoluto della strategia tattica studiata a tavolino. Erano andati avanti così tra sorrisi e discussioni fino al 2008, quando era scoppiata l’ennesima lite. Per sei mesi non si erano parlati. Quando avevano ripreso a farlo, il distacco era diventato ufficiale. Il giovane Dolgopolov aveva già cambiato allenatore e nel tempo di un anno non era più neppure Junior. Aveva un altro nome, nato Olexandr era diventato Alexandr. 35
“È un freddo che non si entusiasma per un punto, ma quando lo porta a casa mostra al suo avversario quel sorriso da gatto che ha appena mangiato il canarino” Ma soprattutto aveva trovato un altro allenatore. A 22 anni senti di avere il mondo in mano, soprattutto se pensi di poterti guadagnare da vivere facendo il tennista di professione. Il ragazzo era anche convinto che il mondo andasse affrontato con la giusta filosofia. Niente pressione, rilassamento totale nei modi e nei gesti. Si era fatto crescere la coda di cavallo, aveva un atteggiamento quasi irriverente in campo. Il suo sorriso sfrontato dopo ogni punto conquistato aveva fatto scrivere a qualcuno (mi scuso, ma non mi ricordo dove l’ho letto): “È un freddo che non si entusiasma per un punto, ma quando lo porta a casa mostra al suo avversario quel sorriso da gatto che ha appena mangiato il canarino”.
Il nuovo tecnico veniva da Adelaide, era un australiano che i giornalisti avevano dipinto come uno che girava con stecche di sigarette e cassette di birra al seguito. Capelli lunghi, ricci e biondi e faccia tagliata dal sole. Uno che lo faceva allenare mettendolo su una tavola da surf, lo faceva preparare facendo arrampicate sulle rocce, nuoto, lo assecondava nelle follie preferite: dodici di ore al volante di una Subaru per andare da Kiev a Mosca dove si giocava un torneo. E sì perché le macchine sono la seconda grande passione di Dolgopolov. Se non avesse fatto il tennista, il sogno nel cassetto era quello di diventare pilota di rally. Tutto questo Jack Reader, nome che sembra finto tanto è simile a Jack Reacher, detective 36
senza paura dei romanzi di Lee Child, lo sapeva benissimo. Era il suo modo di concepire la vita. Si era affidato a un bohemian dopo essere stato gestito da un militare, deve essere stato più o meno questo il cambio nella testa del giovanotto. Reader aveva lasciato l’Australia e si era trasferito in Europa. Aveva giocato in Germania e in Italia. Gli amici lo descrivevano come uno che amava più vivere che giocare. «Sembrava che in campo fosse perennemente con una mano sulla racchetta e l’altra sulla schiena di una ragazza». Due gaudenti che avevano avuto la fortuna di incrociare le loro strade. Folli al punto da non porsi limiti.
Ha fatto il giro del mondo del tennis la storia del loro trasferimento da Nizza a Parigi, dove Dolgopolov avrebbe giocato il Roland Garros del 2011. La scena si svolge all’Aeroporto della Costa Azzurra, davanti al bancone di una compagnia aerea. Hostess di terra: «Avete delle prove che voi siete una coppia?» Jack: «Certamente» Aveva comprato su Internet un biglietto con il massimo dello sconto. Era un’offerta valida solo per coppie gay. Stranezze a parte, il talento di Alexandr era sbocciato e nel 2012 lo aveva portato alla sua migliore classifica: numero 13 dell’Atp. C’era un nuovo ragazzo in città, uno per cui valeva la pena tifare. Una straordinaria sensibilità di mano gli permette di cercare soluzioni che ad altri sembrano impossibili. Ha un gioco imprevedibile, dritto e rovescio di prima qualità, servizio di grande consistenza e soprattutto è uno dei pochi a possedere per intero la magia del drop shot, la smorzata. Scherzando, Jack Reader diceva che era indispensabile allenare anche le dita del suo allievo. Bisognava, insisteva, abituarlo a suonare tutte le note dello sport che pratica. Quasi tutti gli altri usano un solo tono.
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Ma anche il rapporto con questo signore nato in Inghilterra, emigrato in Australia, trasferitosi a vent’anni sul Lago di Garda e poi a Caldaro (ha un figlio nato a Rovereto) è finito. The Dog, Dolgo, Alexandr Dolgopolov, chiamatelo come volete, è ancora alla ricerca della terra promessa. È un luogo difficile da trovare. Lui ama giocare spensierato, ma per raccogliere risultati ha bisogno di una maggiore continuità. A volte sembra che l’estrosità gli si rivolti contro sino a sconfinare nella follia. Sembra che non sappia cosa stia facendo in campo, come se fosse posseduto da un demone maligno. Un talento ancora parzialmente espresso. E questo potrebbe essere un bene, se non si temesse che quello che si è visto finira non sia migliorabile. Per colpa di qualche cedimento fisico? Potrebbe essere, visto che il giovanotto soffre della sindrome di Gilbert: un malattia ereditaria del fegato che produce stanchezza, debolezza improvvisa e dolori addominali.
Ma anche a causa di una mancanza di continuità nel rendimento, anche all’interno della stessa partita. Ucraino di nascita, anche se da tempo ha la residenza a Montecarlo, non ha mai voluto commentare la difficile situazione del suo Paese. Ma nei giorni degli scontri di piazza, ha giocato con una coccarda nera per onorare la memoria delle decine di morti che avevano macchiato di sangue le strade della sua città. Poi è tornato a parlare di tennis. Lasciato Reader a fine 2012 è sembrato per un brevissimo periodo di tempo rivolgersi a Fabrice Santoro, The Magician, l’illusionista. È durata lo spazio di un torneo, quello di Doha
all’inizio di questa stagione. Poi è finito tutto. È stato a quel punto che è arrivato il colpo di scena. È tornato Olexandr, il papà. Forse proprio quello che ci voleva per dare un po’ d’ordine al talento. l grafico dei risultati è lì in attesa di capire dove possa arrivare il folletto di Kiev. Exploit nel 2011, migliore classifica nel 2012, calo nel 2013. Poi quest’anno finale a Rio de Janeiro dopo avere sconfitto Ferrer e semifinale a Indian Wells dove ha eliminato tre Top 15 (Nadal, Raonic e il nostro Fognini), nuovamente tra i Top 30. Non può essere certo un traguardo per lui.
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Berdych ad un passo dai migliori Tomas Berdych è uno di quei giocatori che fanno bene al tennis Rappresenta una variante ai primissimi giocatori della classifica, quelli che lottano per conquistare i titoli del Grande Slam e per terminare l'anno in vetta al ranking Atp
Il ceco è infatti il classico giocatore che fa fatica a mantenere un livello altissimo per tutta la stagione, ma che quando è in giornata può battere chiunque. Mai stato più in alto della quinta posizione della classifica, Berdych ha ottenuto quello che per il momento è il suo risultato più importante addirittura nel 2005, a soli 20 anni, vincendo il Masters Series di Parigi, superando in finale Ivan Ljubicic. Ottenuto quel successo, il ceco ha però fatto fatica a confermarsi nelle stagioni successive, restando tra la decima e la trentesima posizione della classifica, con qualche rara apparizione nella Top-10, fino al 2010.
Proprio il 2010 è stato l'anno del salto di qualità per Berdych. Dopo aver perso la finale del Masters 1000 di Miami contro Andy Roddick, Tomas è infatti andato a un passo dal conquistare la sua prima finale Slam al Roland Garros, cedendo al penultimo atto contro Robin Soderling, dopo essere stato avanti per due set a uno. Finale Major che è comunque arrivata circa un mese dopo a Wimbledon, grazie alla doppia impresa con i successi su Roger Federer ai quarti e su Novak Djokovic in semifinale, rispettivamente numero 2 e 3 della classifica mondiale, prima della sconfitta contro Rafa Nadal. 39
Negli Slam il suo miglior risultato è stato quello ottenuto agli US Open, con la semifinale raggiunta dopo aver battuto il numero 1 Roger Federer nei quarti Questi risultati hanno permesso al ceco di chiudere la stagione al numero 6 del ranking Atp. Il 2011 è stato addirittura migliore dell'anno precedente per Berdych, che per la prima volta ha raggiunto il traguardo delle cinquanta partite vinte (53). L'unico torneo vinto nell'anno è stato per lui quello di Beijing, ma la migliore prestazione è stata quella offerta alle Atp World Tour Finals, dove Tomas ha vinto il suo girone, in cui era presente anche il numero 1 del mondo Novak Djokovic, ottenendo due successi su tre incontri, prima di perdere in semifinale contro Jo-Wilfried Tsonga. Anche il 2012 è stato molto positivo per il giocatore residente a Monte-Carlo, che per la
prima volta in carriera è riuscito a conquistare due titoli, a Montpellier e a Stoccolma, e ha superato il numero di vittorie ottenuto nel 2011, fermandosi a quota 61. Negli Slam il suo miglior risultato è stato quello ottenuto agli US Open, con la semifinale raggiunta dopo aver battuto il numero 1 Roger Federer nei quarti. A livello di Masters 1000 ha invece conquistato la finale a Madrid e la semifinale a Monte-Carlo e Shanghai. Nel finale di stagione è poi arrivato anche il successo in Coppa Davis, grazie all'affermazione sulla Spagna sul cemento indoor di Praga.
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Nel Masters 1000 di Miami Tomas non ha potuto purtroppo giocare il suo match di semifinale contro Rafa Nadal, a causa di una gastroenterite, precludendosi la possibilità di ottenere un altro importantissimo risultato. Il ceco è comunque il numero 4 della race in questo momento, ed ha quindi la possibilità di migliorarsi ancora in questo 2014. Sognando il trionfo a Wimbledon... Lo scorso anno è arrivata poi la doppietta in Davis, con la vittoria questa volta ottenuta in trasferta in finale sulla Serbia. Berdych non è però riuscito a conquistare nessun successo individuale, fermandosi in finale a Montpellier, Dubai e Bangkok. L'ottima regolarità avuta nei Masters 1000, con ben quattro semifinali a Indian Wells, Madrid, Roma e Cincinnati, gli ha comunque permesso di raggiungere il suo best ranking di numero 5 nel mese di agosto. Memorabile la vittoria ottenuta a Roma ai danni del numero 1 al mondo Novak Djokovic, dopo essere stato indietro addirittura per 2-6 2-5. Berdych si è quindi presentato nelle migliori condizioni a questo avvio di stagione, ottenendo un'ottima semifinale all'Australian Open, prima di conquistare il titolo all'Atp 500 di Rotterdam e la finale a Dubai. a cura di Marco Di Nardo
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Non far crollare il tuo tennis! Magari non ci hai mai pensato, ma sai qual'è il colpo del tuo repertorio che può minare psicologicamente tutta la tua prestazione durante un match? far crollare tutta la tua fiducia in te stesso e destabilizzare il resto del tuo gioco. Ogni voltai che sbagli
questo colpo perdi un "15", ma anche un pezzetto della tua forza mentale se ne va con esso, perché in questa situazione non hai scuse, il tuo avversario non c'entra… fai tutto tu! LEGGI QUI
Kevin Anderson C'era una volta il grande tennis in Sudafrica e portava le firme di Kevin Curren e Wayne Ferreira giocatore di buon livello calcare i palcoscenici più importanti. Oggi un giocatore che sembra avere tutte le carte in regola per riuscirci è sicuramente Kevin Anderson. Anche lui di Johannesburg come Ferreira, ha iniziato a giocare a tennis quando aveva appena 6 anni, è cresciuto a pane e racchette fino ad approdare tra i campi dei college americani dell'NCAA ed è salito agli onori delle cronache nazionali e non solo lo scorso 3 marzo quando raggiunse la sua migliore posizione di sempre nel ranking ATP: la numero 18. Già ad agosto Anderson aveva assaporato il gusto di stare tra i migliori 20 del Mondo andando a ricalcare le orme dei già citati Curren e Ferreira, ma anche di gente del calibro di Johan Kriek, Cliff Drysdale e Christo van Rensburg, gli altri sudafricani che prima di lui avevano saggiato un ingresso nei Top 20. Punto d'arrivo? Per nulla perché Anderson è sempre stato chiaro in merito: “Il mio prossimo passo è quello di stare stabilmente nei top 16 e ce la potrei fare arrivando agli ottavi di finale in tutti i Master Series e nei tornei dello Slam”.
C'era una volta il grande tennis in Sudafrica e portava le firme di Kevin Curren e Wayne Ferreira. Sono stati loro, i migliori di sempre, anche se a dirla tutta Curren divenne cittadino americano nel 1985, poco prima di giocare la finale di Wimbledon persa contro Boris Becker e diventare successivamente numero 5 del Mondo. Chi invece non abbandonò mai i colori del suo paese fu Ferreira: negli anni 90, quando impazzavano le battaglie tra Edberg e Becker e poi ancora tra Agassi e Sampras, Ferreira seppe ritagliarsi un discreto spazio scalando la classifica fino al 6° posto, raggiunto l'8 maggio 1995. Al contrario di Curren, non arrivò mai ad una finale di uno slam ma chiuse la carriera con 15 titoli vinti in singolare e un bilancio di 512 successi a fronte di 330 sconfitte. Era il 4 agosto 2003 quando a Los Angeles vinse il suo ultimo titolo e da allora il Sudafrica avrebbe dovuto aspettare un bel po' prima di rivedere un
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“Lavoro sodo continuamente e cerco di migliorare giorno dopo giorno..." Anderson non sogna ad occhi aperti, non vuole fare il passo più lungo della gamba e, credeteci, il suo passo è veramente lungo essendo alto 2,03 metri, ma vuole arrivare all'obiettivo con regolarità e costanza: “Lavoro sodo continuamente e cerco di migliorare giorno dopo giorno. Sto cercando di giocare un maggior numero di tornei per cercare di sentirmi sempre più a mio agio anche con quei giocatori che mi precedono in classifica”. Proprio contro uno di questi giocatori Anderson ha giocato la sua più bella partita: “Battere Novak Djokovic nel 2008 a Miami fu memorabile. Fu la prima volta che sconfissi uno dei più grandi giocatori del Mondo. Non so se fu il mio miglior tennis, ma di sicuro è stata una partita che non dimenticherò”.
Oggi i risultati ci sono e si vedono: di recente Anderson è arrivato fino alla finale a Delray Beach e ad Acapulco, battuto rispettivamente dal croato Marin Cilic e dal bulgaro Grigor Dimitrov al termine di due autentiche battaglie. Giocatore molto in sintonia con i campi in cemento, superficie sulla quale finora ha ottenuto i suoi unici due successi nel circuito ATP (Johannesburg 2011 e Delray Beach 2012), Anderson non ha mai disdegnato di cimentarsi anche sulla terra rossa e oltre alla finale conquistata un anno fa a Casablanca, è nitido tra gli appassionati e tra i più informati il ricordo del successo ottenuto nell'ormai lontano 2009 sui campi della Sanremo Tennis Cup, challenger che lo fece conoscere anche in Italia. 44
Adora leggere, ascoltare Eminem, godersi le vacanze nell'isola caraibica di Santa Lucia
Sempre in viaggio con il suo allenatore, il suo fisioterapista e sua moglie Kelsey O'Neal, appena torna a casa o ne ha la possibilità anche in viaggio, Anderson si attacca alla tv per guardare il cricket e per tifare per i 'suoi' Proteas. Adora leggere, ascoltare Eminem, godersi le vacanze nell'isola caraibica di Santa Lucia e sogna che venga cambiata una regola del tennis: “Mi piacerebbe che venisse tolta la regola del tennis come quando giocavo al college. Pensavo che fosse una cosa grandiosa anche perché alle volte servi benissimo e basta che la palla tocchi leggermente la rete per dover ripetere il servizio. Ci abbiamo provato lo scorso anno (nei primi 3 mesi dei tornei del circuito Challenger, ndr), la cosa non ha funzionato, ma è una cosa che mi piacerebbe veramente vedere”. Il Sudafrica tennistico oggi è tutto per lui, nella speranza che presto possa arrivare lassù dove prima di lui osarono solo Kevin Curren e Wayne Ferreira.... a cura di Marco Avena
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Roger l'immortale Dopo un 2013 quasi disastroso, in pochi si aspettavano di rivedere un Federer competitivo in questo avvio di stagione. E invece lo svizzero ha sorpreso tutti per l'ennesima volta
Qualcuno lo dava già per finito nel finale del 2008, dopo una serie di sconfitte sul cemento estivo nordamericano. Poi nel 2009 arrivò la doppietta Roland Garros-Wimbledon e il ritorno al primo posto della classifica mondiale. In avvio di 2012 dopo la sconfitta in Coppa Davis in casa contro John Isner sulla terra rossa, si intravedeva il viale del tramonto, e invece nello stesso anno arrivò il settimo successo a Wimbledon e il nuovo ritorno in vetta al ranking Atp. Roger Federer era già riuscito a risorgere in più di una situazione dopo aver fatto pensare di non essere più in grado di competere ad altissimi livelli, ma probabilmente dopo il suo
difficilissimo 2013 nessuno avrebbe nuovamente puntato su di lui per un 2014 da protagonista. E invece anche questa volta Re Roger è tornato, e i risultati ottenuti in questo avvio di stagione fanno pensare che possa essere ancora uno dei favoriti nei prossimi tornei Major, e che forse quel numero 17, che rappresenta i successi Slam dello svizzero, possa essere ancora ritoccato. E' stata proprio la capacità di tornare in alto dopo aver sofferto molto a rendere incredibile la carriera di Roger Federer, anche più del fatto di aver dominato ininterrottamente per le quattro annate che vanno dal 2004 al 2007.
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Perché quando le cose vanno bene è relativamente facile riuscire a vincere, quando invece iniziano i problemi, riuscire a superarli è molto più difficile. Se la carriera dello svizzero fosse terminata nel 2007, infatti, Roger sarebbe stato comunque uno dei migliori giocatori della storia, visto che aveva già vinto 12 tornei del Grande Slam, e aveva chiuso quattro stagioni consecutive in vetta alla classifica mondiale. Ma sono stati i successi ottenuti dopo quella annata a renderlo davvero unico. A partire dalla vittoria agli US Open del 2008 arrivata dopo una stagione molto difficile, con tante sconfitte premature proprio nei tornei di preparazione all'Open degli Stati Uniti, come quelle subite
all'esordio contro Gilles Simon in Canada e contro Ivo Karlovic agli ottavi a Cincinnati. Impossibile poi non ricordare il fantastico successo al Roland Garros del 2009, dopo aver sofferto la superiorità di Nadal nei primi mesi di quella stagione, e gli ultimi due trionfi a Wimbledon, il primo proprio nel 2009, il secondo in quel fantastico 2012 che lo aveva riportato addirittura al numero 1 del mondo dopo un 2011 senza successi Slam. In questo inizio di 2014 Federer non è riuscito a tornare al successo a livello Major, ma dopo un 2013 con un solo torneo vinto (l'Atp 250 di Halle) e tanti problemi fisici, è stata davvero sorprendente la capacità dello svizzero di tornare a giocarsela contro tutti. Nella prima settimana dell'anno ha infatti raggiunto la finale nell'Atp 250 di Brisbane, fermandosi solo in finale contro l'eterno Lleyton Hewitt. All'Australian Open ha poi dato una lezione di tennis a Jo-Wilfried Tsonga agli ottavi di finale, e ha dominato Andy Murray ai quarti prima di essere sconfitto al penultimo atto da Rafa Nadal. Ma è all'Atp 500 di Dubai che Federer è tornato al successo, dimostrando di essere ancora uno dei migliori tennisti al mondo: superati senza grossi problemi Benjamin Becker, Radek Stepanek e Lukas Rosol, Roger ha compiuto la più grande impresa di questo inizio stagione, battendo in rimonta in semifinale Novak Djokovic, prima di completare l'opera con l'affermazione su Tomas Berdych in finale, ancora in rimonta. Conquistati i 500 punti in palio negli Emirati Arabi, Federer non si è fermato nemmeno nel Masters 1000 di Indian Wells, arrivando ancora in finale, e arrendendosi questa
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Federer ha quindi vinto 22 partite su 26 in questi primi mesi del 2014, conquistando un titolo, due finali, una semifinale e un quarto di finale volta a Djokovic, dopo una grande battaglia terminata al tie-break della frazione decisiva. A Miami lo svizzero ha poi compiuto la piccola impresa di raggiungere i quarti di finale perdendo appena 18 punti al servizio (3 contro Ivo Karlovic, 7 contro Thiemo De Bakker e 8 contro Richard Gasquet), anche se è stato sconfitto da Kei Nishikori a livelli di migliori otto. Compreso anche il match vinto in Coppa Davis contro Bozoljac, Federer ha quindi vinto 22 partite su 26 in questi primi mesi del 2014, conquistando un titolo, due finali, una semifinale e un quarto di finale. Rivedere un Roger cosÏ competitivo è un bene per il tennis, che continua quindi a non perdere uno dei migliori giocatori di sempre. a cura di Marco Di Nardo
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Federer-Wawrinka Davis Cup vincente Roger per questa stagione di Coppa Davis farà parte della squadra elvetica.
Fondamentale e prezioso sarà il suo contributo per tutto il Team e sopratutto per il più 'giovane' Stanislas
Che sia la volta buona? Roger Federer ha vinto tutto, o quasi. E in quel quasi c'è il trofeo della Davis Cup. Certo, nella sua affollata e prestigiosa bacheca (17 Grand Slams, 6 Masters Cup, un oro olimpico in doppio...) la Coppa Davis ci starebbe proprio bene. E forse potrebbe anche essere uno stimolo importante per un numero 1 senza pari che si avvicina alla fine della sua strabiliante carriera. Nel primo turno a Novi Sad contro la Serbia, Federer ha raggiunto in extremis il suo compagno di squadra, fresco vincitore degli Australian Open e attuale numero 3 al mondo, realizzando così il sogno di tutti i tifosi elvetici, e non solo, di vedere in campo il magico Dream Team dal talento indiscutibile.
Il passaggio del turno da parte della squadra svizzera si è risolto in due giornate, vista anche la pesante assenza di Djokovic. Rispettivamente Roger e Stan hanno battuto Bozoljac e Lajovic, mentre il resto del Team (Chiudinelli e Lammer) ha portato a casa l'ultimo punto utile nel doppio. Certamente per i due campioni elvetici, questo, per motivi diversi, è un momento straordinario della loro attività professionale. Roger sembra aver trovato una rinnovata linfa e nuovi obiettivi grazie all'aiuto fondamentale del suo 'fresco' Coach Stefan. Wawrinka, dal canto suo, che ha sorpreso tutto il mondo vincendo di slancio gli Australian Open, è carico di aspettative e voglia di far bene per tutta la stagione. Nei quarti di finale della Davis Cup, la Svizzera ospiterà il Kazakhistan che, grazie all'ottimo periodo di forma di Golubev, è riuscito a contenere la rimonta del Belgio al primo turno. Se è vero che i 'pronostici si fanno solo alla fine' possiamo azzardare un risultato a favore della squadra Roger-Stanislas senza troppi colpi di scena. Qualora la Svizzera dovesse passare il turno, incontrerà in semi-finale la squadra vincente tra Italia e Gran Bretagna. 49
Tre delle quattro squadre arrivate il semi-finale nel 2013 sono state eliminate al primo turno (Serbia, Argentina e Canada) Intanto, nella parte alta del tabellone, si è registrato il primo successo (dal 1981) nella massima serie del Giappone, grazie all'imprevedibile Kei Nishikori, che ha portato a casa ben tre punti. Vedremo se la squadra nipponica riuscirà a ripetersi contro la Repubblica Ceca, che contro l'Olanda non è sembrata al massimo della forma. In attesa di vedere come finirà questa edizione di Davis Cup, un dato statistico curioso: tre delle quattro squadre arrivate il semi-finale nel 2013 sono state eliminate al primo turno (Serbia, Argentina e Canada). Che questo sia l'ennesimo segnale di poco interesse dei grandi campioniassenti nei confronti di questa manifestazione, considerata spesso poco importante? Forse sì. 50
Sicuramente, se è vero che “gli assenti hanno sempre torto” è vero anche che chi sceglie di esserci si prende insieme agli oneri anche tutti gli onori. Chissà se la scelta di uno dei più forti campioni mai nati (a Basilea per esempio) nella storia del tennis di partecipare a questa competizione di secondo appeal, darà nuovo valore al torneo? Sicuramente, se è vero che “gli assenti hanno sempre torto” è vero anche che chi sceglie di esserci si prende insieme agli oneri anche tutti gli onori. E magari quest'anno sarà davvero la volta buona! a cura di Laura Saggio
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Una Davis per due Sono due uomini sull'orlo di una Coppa Davis, due campioni che possono aiutare la vecchia Zuppiera a ritrovare credibilità e insieme regalarsi una dimensione diversa lucidando l'argenteria buona del tennis. Quest'anno SuperRog ha capito che l'occasione per redimersi era ghiotta: l'assenza di Djokovic nella sfida di Novi Sad, un tabellone da leccarsi le orecchie, e soprattutto un Wawrinka in grandissimo spolvero, che vincendo in Australia si è guadagnato il timbrino di “slammer” e che può alimentare il sogno. A “faglie di de sì” è stato questo groviglio di concause, ma anche il lavorio ai fianchi dell'ambiente svizzero, da Severin Luthi a Claudio Mezzadri («Eh, ci stiamo provando tutti a convincerlo», mi aveva detto Claudio durante l'Australian Open). Per anni ai sussurri e alle grida di dolore di una nazione che sapeva di avere potenzialmente una squadra da titolo, Roger aveva fatto orecchie da mercante: un po' per non sporcare la sua rigorosissima programmazione, un po' perché – ma questa è una convinzione personale – sotto sotto pensava che sì, un giorno, quando avrebbe voluto, la coppa se la sarebbe comunque presa. Invece gli anni sono passati, Roger ha superato i 30 anni, anzi veleggia verso i 33, il brillio delle coppe che contano si fa ogni giorno più lontano. L'anno scorso ha capito che tornare numero uno sarà durissimo; ad agguantare l'ultimo Slam ancora ci pensa, ma improvvisamente il suo orologio
Da stelle solitarie a uomini squadra: in fondo, spesso è l'occasione che fa l'uomo davisman. Roger Federer e Andy Murray, perché è di loro che si parla, a questo punto delle loro carriere, hanno cose diverse da chiedere alla nazionale, ma per noi che la Coppa la amiamo l'importante è che abbiano qualcosa da dare. Roger dopo anni di tira e molla, di comparsate contrattualizzate per salvare la Svizzera dalla retrocessione, stavolta si è fatto convincere a giocare il primo turno, e dopo averlo vinto contro una Serbia lacera e dimessa, ha promesso che ci sarà anche in aprile per i quarti contro il Kazakistan di Golubev & Co. La rivincita, fra l'altro, del match che i kazaki (d'importazione) vinsero nel 2010 ad Astana, rifilando un 5-0 alla Svizzera di Wawrinka, Allegro, Chiudinelli e Lammer, orfana di un Federer che aveva opposto alle disperate richieste d'aiuto il solito niet.
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Se Federer e Wawrinka dovessero riuscire nell'impresa diventerebbero eroi a tutto tondo, nazional-cantonali, campioni del cuore oltre che del tennis. biologico ha iniziato a squillare. La Davis è l'ultimo trofeo “pesante” che gli manca: insieme all'oro olimpico in singolare, ma lì c'è quello vinto in doppio a Pechino, proprio con Wawrinka, a compensare lo spazio vuoto nella bacheca. Il 2014 potrebbe essere uno degli ultimi anni buoni per tentare il colpaccio, anche grazie alla penuria di grandissima concorrenza. Perché, deve aver pensato alla fine, lasciarsela scappare? La Svizzera del tennis, che ha prima mugugnato e poi apertamente protestato contro le sue ripetute diserzioni, la Coppa non l'ha mai vinta, ma solo sfiorata nel '92 nella finale contro gli Usa quando il numero 1 degli elvetici era Pippo Rosset. Se Federer e Wawrinka dovessero
riuscire nell'impresa diventerebbero eroi a tutto tondo, nazional-cantonali, campioni del cuore oltre che del tennis. Stan the Man la gara del resto l'ha sempre amata, e anche a Melbourne, appena dopo il trionfo nella Rod Laver Arena, lo ha ribadito: «Forse non lo sapete, ma per me la Davis è molto importante». Per questo, in passato, non aveva risparmiato frecciatine anche velenose all' Illustre Assente. Roger in Coppa ha giocato con convinzione quando era un ragazzino terribile con i capelli dipinti di verde (e l'Italia, che lo affrontò nel '99, ne sa qualcosa), e poi un giovane campione con lo chignon. Dopo le sue priorità sono cambiate, l'amore si è raffreddato. Adesso che Wawrinka è il n.1 di Svizzera, e nel ranking mondiale gli sta 53
avanti due posizioni (dopo la risalita di Roger vincitore a Dubai e finalista a Indian Wells), anche per il re spodestato la Davis può tornare a essere un obiettivo capace di segnare – o salvare, nella peggiore delle ipotesi – una stagione. L'ultima volta che una nazione ha buttato nella Coppa una squadra con due vincitori di Slam è stato nel 2005, e fu la Spagna di Nadal e Ferrero che però dopo aver perso al 1° turno con la Slovacchia – senza Ferrero – impiegò i suoi gioielli per salvarsi proprio contro l'Italia nello spareggio di Torre del Greco, dove peraltro Juan Carlos cedette a Seppi nella prima giornata. Ma se Federer-Wawrinka è oggi senza dubbio
la coppia più bella nel mondo della Davis, una “spalla” di qualità è proprio quello che manca ad Andy Murray, l'Uomo Che Deve Vincere Da Solo. Oddio, a dire il vero nel match di primo turno giocato a San Diego contro gli Usa a sparigliare il conto, battendo Sam Querrey nella prima giornata, è stato il 27enne Jeremy Ward, l'hombre del partido, che ha consentito agli inglesi di lasciare Murray in panca per il doppio contro i Bryans e risparmiarlo così per il singolare decisivo contro Querrey. Gli americani svalutati di questi tempi, privi anche di Isner, non erano però un ostacolo impossibile, ed è difficile pensare che Ward, numero 179 Atp in singolare, riesca a moltiplicare i miracoli. Daniel Evans (n.124) ha talento ma è anche bravissimo a sciuparlo, il resto – a partire dai doppisti di San Diego, Fleming e Inglot – sono briciole. Murray può provare a ispirarsi a Borg, che nel 1975 vinse quasi da solo la Coppa per una Svezia ancora non in boom tennistico, ma che poteva comunque appoggiarsi a un doppista di qualità come Ove Bengtson (5 titoli di specialità in carriera, e n.43 in singolare). Andy sa che difficilmente potrà puntare al titolo, e negli anni passati ha anche sbottato nei confronti della carestia di talenti che lo costringeva a fatiche di Sisifo per tentare di salvare i british dal baratro di indecorose retrocessioni, sapendo già che si trattava di sudore sprecato. 54
Nel 2010 e nel 2012 in Coppa non ha proprio giocato, ma quest'anno ha intravisto anche lui come Federer un possibile sentiero di gloria in un tabellone azzoppato dall'eliminazione di Serbia e Spagna (orbata di Nadal). La Gran Bretagna non vince la Zuppiera dal 1936, ovvero dai tempi di Fred Perry, l'antenato da incubo di Murray, che dopo averlo cacciato dalla porta a Wimbledon se lo vede rientrare dalla finestra in Davis. L' ultima semifinale i britannici la giocarono e la persero contro l'Argentina nel 1981, giusto pochi mesi prima che esplodesse la guerra delle Falkland-Malvinas. In quella stagione nei quarti superarono la Nuova Zelanda e al primo turno l'Italia sull'erba di Brighton, 3-2 con successo decisivo di Mottram su Barazzutti. Corsi e ricorsi, visto che nel '76 sul trionfale cammino per Santiago (del Cile) l'Italia nei quarti superò proprio i british a Wimbledon, grazie anche a un gran match di Tonino Zugarelli contro Roger Taylor – e che quest'anno nei quarti, dal 4 al 6 aprile a Napoli, si ripeterà la sfida fra noi e loro.
Murray intravede la chance di riaccendere l'orgoglio nazionale anche in Davis, ma sa benissimo che nella “urban casbah” partenopea – così hanno già iniziato a definirla i british... – sarà durissima. «Gli italiani sono tosti da affrontare sulla terra e sono molto più abituati di noi al rosso», ha messo le mani avanti. «Ho giocato varie volte contro tennisti italiani in Italia, so che il pubblico è molto caldo e appassionato. Fabio Fognini al momento è in grande forma, ha talento e può giocare su tutte le superfici. Lo conosco da quando aveva 12 anni, gli è sempre piaciuto fare un po' di show, ma ora ha capito mentalmente il livello a cui può arrivare, sa di essere un potenziale top-10.
Sarà una sfida tutt'altro che facile per noi». Ben detto. Murray e Federer, con motivazioni e obiettivi diversi, possono dare molto alla Coppa, colmando le assenze più o meno giustificate di Nadal e Djokovic e restituendole l'attenzione che merita, e noi auguriamo loro di riuscirci. a cura di Stefano Semeraro
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Dominic Thiem Il nuovo che avanza Si dice che il talento in un tennista si riconosca immediatamente Ci sono degli elementi talmente evidenti da far bastare giusto qualche scambio a un osservatore acuto per fargli capire se quello che ha davanti è una potenziale stella o un semplice comprimario
Il talento non si crea. Ci si può lavorare, modellarlo, ma soltanto a condizione che ci sia una base di partenza dalla quale partire, che la materia plasmabile sia di prima qualità. E, quando lo è, il risultato può essere stupefacente. È questo il caso di Dominic Thiem, uno dei talenti più interessanti del circuito ATP. Ventenne austriaco dal rovescio a una mano di quelli che potresti guardare per ore e con un gioco i cui margini di miglioramento sembrano esponenziali. Figlio di due maestri di tennis, il ventenne di Wiener Neustadt si è avvicinato al mondo della racchetta da bambino. Così, giusto per divertimento, senza grosse pretese e senza essere oppresso dalle grandi aspettative di quei genitori pseudo-ossessivi che vogliono
trasformare a tutti i costi il proprio figlio nel futuro Edberg o nel nuovo Sampras. E, forse, proprio questa serenità, questa voglia di non forzare il destino, ha rappresentato la chiave del successo di Thiem. Un successo arrivato quasi per coincidenza. Quella coincidenza che ha, però, in questo caso un nome ben preciso: Gunther Bresnik. Bresnik è un coach viennese, ex capitano di Davis, famoso ai più per le tante partnership con giocatori di livello del circuito: da Boris Becker a Patrick McEnroe, passando per Leconte e Mansdorf, sino ad arrivare ai più “recenti” Voltchkov e Koubek. Uno che di esperienza ne ha da vendere e che vanta in scuderia, insieme a Thiem, un tale Ernests Gulbis, altro talento purissimo, genio e sregolatezza del circuito ATP. Bresnik entra nella vita di Thiem quasi per caso, giusto per accontentare la richiesta di papà Wolfgang di dare un'occhiata all'allora undicenne Dominic, valutarlo un po', capire se via sia una base su cui poter lavorare. La base c'è ed è di ottima fattura, e Bresnik la nota sin da subito. Il problema è che, a volte, al talento 57
bisogna accompagnare la costruzione di un gioco, l'irrobustimento dei fondamentali e, in qualche altro caso, l'eliminazione di meccanismi di gioco che si possono rivelare deleteri più che produttivi. Bresnik capisce che questo è il caso di Thiem e che c'è bisogno di una trasformazione totale, quasi di una distruzione del gioco dell'austriaco, necessaria per poter concretizzare tutto quel potenziale presente nel giovane ragazzo. E a sottolinearlo è lo stesso Dominic: “Quando ho iniziato ad allenarmi con Gunther giocavo il rovescio bimane ed esprimevo un tipo di gioco puramente difensivo. Lui mi ha completamente trasformato, facendomi passare al rovescio a una mano e a
uno stile di gioco molto più votato all'attacco. All'inizio è stata dura, ma mi sono fidato di lui, sapevo che era un gran coach”. Assimilare gli automatismi, assorbire uno stile di gioco che non solo non è il tuo, ma è praticamente l'antitesi rispetto a ciò che sino a quel momento avevi praticato, è estremamente difficile. Il rischio e le possibilità di fallimento sono altissime. Però, secondo Bresnik, si tratta di un passaggio inevitabile. I primi anni dell'era Bresnik sono di assestamento. Thiem inizia ad acquisire i nuovi schemi impostigli dal coach, snaturando il suo stile di gioco e, almeno all'inizio, i risultati stentano ad arrivare. Le sconfitte piovono una dopo l'altra, senza però intaccare l'animo di Dominic, convinto del metodo adoattato da coach Gunther e sicuro che i successi sarebbero, prima o poi, giunti. La scossa arriva nel 2011, con la finale nel torneo juniores del Roland Garros. Thiem si arrende 86 al terzo di fronte all'americano Bjorn Fratangelo, un altro giovane di rilievo ad oggi ancora inesploso. È l'inizio di un vertiginoso percorso di crescita che lo porta a chiudere la carriera da junior con tre titoli post-Parigi e ad affacciarsi al mondo senior. Lo scontro con la realtà maggiore è, sorprendentemente, tutt'altro che
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Thiem decide di abbandonare definitivamente il circuito challenger, volendo concentrarsi esclusivamente sui tornei maggiori: “Forse otterrò meno successi, ma imparerò molto di più” destabilizzante: Thiem lotta alla pari con Nieminen (cederà 7-5 al terzo) a Bangkok e vince la sua prima partita in un torneo ATP, imponendosi in quel di Vienna su Thomas Muster, ormai in procinto di chiudere la sua seconda carriera da tennista, in quello che appare quasi un sintomatico passaggio di consegne generazionale. Da quel momento in poi, la strada è, paradossalmente, sempre più in discesa. Il biennio 2012-2013 lo vede scalare ben 500 posizioni in classifica, portandolo a chiudere la stagione 2013 al 139esimo posto del ranking mondiale. Tanti successi a livello challenger e non solo: a Kitzbuhel si concede l'onore di battere Jurgen Melzer, suo idolo assoluto,
mentre a Vienna tiene testa a Tsonga, arrendendosi soltanto al tie-break del terzo set. Il gioco diventa più solido e le aspettative inevitabilmente salgono e lo portano, in questo inizio di 2014, a vette mai raggiunte in precedenza. Thiem decide di abbandonare definitivamente il circuito challenger, volendo concentrarsi esclusivamente sui tornei maggiori: “Forse otterrò meno successi, ma imparerò molto di più”. L'ambizione e la consapevolezza che per ottenere grossi risultati bisogna pensare in grande. Nei primi cinque tornei dell'anno (Doha, Australian Open, Rotterdam, Acapulco e Indian Wells) parte dalle qualificazioni e per ben quattro volte centra il main draw. Vince il suo primo incontro in uno Slam contro Sousa, si 59
concede qualche scalpo importante come Nieminen e Simon e fa sudare, in quel di Rotterdam, il rientrante Andy Murray, mostrando qualità tennistiche di assoluto livello. Il recente terzo turno conquistato a Indian Wells lo ha condotto questa settimana al 86esimo posto nel ranking, suo best assoluto. Attualmente è il tennista più giovane tra i top 100. Un percorso che sembra non doversi fermare anche nei prossimi mesi e che lascia presagire l'ingresso dell'austriaco nel tennis che conta. I dati sembrano più che positivi. ebbene sia terraiolo di nascita e nonostante lui stesso abbia confermato di sentirsi più a suo agio sul rosso, pare abbastanza evidente come il suo tipo di gioco si possa adattare facilmente anche ai campi più veloci, cosa peraltro dimostrata anche in questo inizio di stagione. Lo stato di versatilità raggiunto, su cui è chiara la qualità del lavoro svolto da Bresnik, lo rende un elemento completo.
Sì, ci sono ancora alcuni aspetti su cui dover lavorare. Sul servizio e sulla mobilità in campo ci sono buoni margini di miglioramento. Lo stesso diritto, che a detta di Thiem rappresenta il suo miglior colpo, può essere perfezionato in termini di esecuzione. Tuttavia, basta andare a guardare qualche video degli anni scorsi per rendersi conto della maturazione tecnica subita dall'austriaco, soprattutto nel dritto che si è di fatto trasformato da colpo debole in vera e propria arma d'attacco. Se si riesce a lavorare su questi aspetti, si può davvero pensare in grande, avendo un giocatore
che a una notevole sensibilità affianca un rovescio di rara qualità. È difficile stabilire dove possa arrivare, anche perché il livello attuale del tennis maschile è estremamente alto, ma le potenzialità per un ingresso in top 20 ci sono tutte. a cura di Giovanni Larosa
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Luke Saville prova a diventare “grande” Due tornei Futures vinti di fila, e l’ex numero 1 juniores prova ad affermarsi anche tra i pro, come fatto tra i giovani.
L’Australia è una terra affamata di tennis, che tanto ha dato e tanto darà, sperano almeno in quelle latitudini così lontane da noi, a questo splendido sport. Mentre il vecchio leone Lleyton Hewitt spara le ultime cartucce, si affacciano giovani promesse targate Wallabies nel circuito ATP. Bernard Tomic può essere considerato un habitueè del World Tour, e i giovani Kokkinakis e Krygios puntano ad emularlo, se non addirittura a superarlo. Ma tra i talenti australiani non bisogna dimenticarsi di un classe 1994, numero 1 juniores e vincitore di Australian Open e Wimbledon di categoria, Luke Saville.
L’argomento, sebbene sembri banale, può essere un utile cartina tornasole per il dibattito sempre piu’ acceso in Italia su quello che sarà il destino di un altro ex numero 1 Juniores, il nostro Gianluigi Quinzi, alle prese con l’impatto nel mondo professionistico. Per Saville, Marzo 2014 è partito benone: 2 tornei Futures vinti di fila in patria, e la classifica che ora recita top 300 ATP. Se è vero che il livello di questi tornei non è proprio altissimo, avere continuità di risultati (ha vinto 14 delle 15 partite disputate a cavallo tra fine Febbraio e metà Marzo) è il miglior viatico possibile per 61
“Si faceva notare per la concentrazione, e per come era capace di cambiare gioco quando serviva; combattivo, non mollava mai” migliorare ranking e gioco, e poter così giocare su ben altri scenari, come la trafila giovanile suggerisce per lui. Nato a Berri il 1 Febbraio 1994, è una sorta di predestinato, con i primi incontri a livello Futures disputati nel 2009, ad appena 15 anni. Papà Mick lo avvia a racchetta e pallina quando ha solo 3 anni. Stile aggressivo, ritmo alto, paragonabile secondo alcuni ai connazionali Hewitt e Tomic, lontano dallo stile di Krygios e Kokkinakis. Famiglia di tennisti, è chiaro a tutti sin da piccolino che Luke ha qualcosa in più: “Si faceva notare per la concentrazione, e per come era capace di cambiare gioco quando serviva; combattivo, non mollava mai” dice al proposito l’ex coach Mike Horseman. Nel settembre 2009 arriva la prima vittoria, contro Steven Goh, numero 839 del mondo. Non mancano gli inviti per lo slam australiano, dove tenta le qualificazioni, senza fortuna, già nel 2010, racimolando appena 2 giochi contro Alexandre Sidorenko. Continua così in parallelo la carriera Juniores, con ottimi risultati, e quella tra i pro, senza acuti degni di nota. Nel maggio 2012, dopo i due trionfi di categoria a Wimbledon (2011) e Melbourne (2012) ecco però il primo successo a livello Futures, in Thailandia, che gli vale l’ingresso nei primi 800 giocatori del mondo. Prova ad alzare l’asticella, qualche qualificazione nei challenger senza gloria, nell’agosto dello stesso 2012 il secondo successo
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“Quando giocavo a livello junior sentivo di avere un gioco molto solido, a quel livello la cosa più importante è fare meno errori possibile, ma per il salto in avanti devi avere di più.." Futures, in Australia, e il ranking che migliora ancora. Saranno 6, inclusi gli ultimi recenti due a Port Pirie e Mildura, i tornei vinti dal giovane 1994 finora. Si affaccia anche nelle qualificazioni a livello ATP, ma non riesce ancora a giocare in un main draw del World Tour; il miglior risultato, se vogliamo, è quello a Brisbane nel 2012, quando supera il primo turno di qualificazioni contro Alex Bolt, prima di arrendersi nettamente a Tatsuma Ito. Capitolo a parte l’Australian Open, dove essendo uno dei pupilli della Federazione viene premiato nel 2013, complice il successo juniores dell’anno prima, con una Wild Card per il tabellone principale: ci penserà Go Soeda,
all’epoca numero 73 del mondo, a infrangere i suoi sogni dopo un bel primo set vinto al tie break. Quasi 2 anni di gavetta, durante i quali sinceramente affermava: “Quando giocavo a livello junior sentivo di avere un gioco molto solido, a quel livello la cosa più importante è fare meno errori possibile, ma per il salto in avanti devi avere di più. Hai bisogno di due armi in particolare in più: il servizio ed il dritto. Dunque ho bisogno di allenarmi e migliorare proprio questi colpi e sono sulla buona strada per portare a termine questi miglioramenti”. E il lavoro sembra finalmente funzionare: i risultati iniziano ad arrivare con continuità, come detto, seppure solo a livello Futures. 64
Basterà essere nato con la racchetta in mano, numero 1 juniores e vincitore di Slam per colmare il gap tra i giovani e i professionisti, e prendersi quello che si vuole anche tra i grandi? Basterà essere nato con la racchetta in mano, numero 1 juniores e vincitore di Slam per colmare il gap tra i giovani e i professionisti, e prendersi quello che si vuole anche tra i grandi? In fin dei conti l’età media dei top 100 si è alzata di molto, e anche Saville, che ha subito sicuramente l’impatto con i pro, può sperare di recitare ancora un ruolo da protagonista, se continuerà a lavorare duro. a cura di Alessandro Varassi
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K Factor Lleyton Hewitt non molla, instancabile
A trentadue anni e diverse operazioni, continua a lottare in campo con la stessa passione di un ragazzino, a costo di rimetterci altre articolazioni e di perdere contro giocatori battibili
Sono passati dodici anni da quel dorato trofeo, quel Wimbledon passato nelle mani dell’australiano un po’ per merito suo ma soprattutto a causa di una provvisoria poltrona vacante, il trono di cui “Satanetto” si appropriò il tempo necessario di vincere qualcosa di importante prima del dominio svizzero e poco dopo il tramonto di Pete Sampras. Da allora, una illustre nazione tennistica come quella australiana, le cui vecchie glorie sono raffigurate nelle statue all’entrata del complesso di Melbourne Park, tanto per ricordarti dove ti trovi e a chi apparteneva il tennis in un tempo ormai troppo lontano, non ha visto più la luce. Sprofondati in un buio profondo dal quale Tomic non è riuscito a portarli fuori, lo sguardo
di esperti e appassionati Down Under si è spostato su altri due giovani che fino allo scorso anno competevano nei tornei Juniores (salvo l’exploit di Kyrgios al Roland Garros, quando sconfisse Radek Stepanek piuttosto facilmente al primo turno) e oggi appaiono pronti a tuffarsi nel tennis professionistico. rrompono senza indugi, con la faccia tosta di chi ha deciso di farsi largo e le paranoie non sa nemmeno dove stanno di casa. Thanasi Kokkinakis e Nick Kyrgios sono figli dell’immigrazione massiccia di greci in Australia: diciassette e diciotto anni, rispettivamente di Adelaide e Canberra, sono più che pronti. Sembra siano nati pronti. Wild card prevedibili agli Australian Open 2014, si sono issati fino al secondo turno, con molti rimpianti per Kyrgios, avanti di due set contro Benoit Paire; prova di maturità fallita per il più promettente dei due australiani per esplosività e mentalità. Mentre Kokkinakis non ha potuto nulla contro Nadal ma ha mostrato qualità tennistiche di indubbio valore, il figlio di Canberra, il meno timido dei due, è parso il più adatto al tennis 66
Le spalle sono larghe e non crede che i suoi connazionali pretendano troppo: «Il pubblico vuole solo amarti, non è così faticoso giocare e farli felici, fare del tuo meglio perché avvenga». Un debole per il basket Nick gioca a tennis solo da quattro anni: prima per lui c’era soprattutto il basket e ancora oggi pare abbia qualcosa di più di un debole per i Boston Celtics. In così poco tempo è riuscito a raggiungere risultati impressionanti; si nota qua e là una tecnica non esattamente affinata, ma il ragazzone di un metro e novantuno colpisce forte, fortissimo e ha nel rovescio e nel servizio i suoi colpi da kappaò. Attorno a lui ci sono molte aspettative e naturalmente una pressione smisurata: quella dell’attesa, della pretesa che sia un fenomeno, della fretta che si è fatto troppo tardi e si deve correre, che quelli lì davanti sono degli autentici mostri e gli scalini da fare sono tanti e faticosi. Kyrgios ha un’ambizione illimitata, punta in alto, altissimo: «Amo stare là fuori e intrattenere gli spettatori. Non voglio solo giocare a tennis, voglio coinvolgere le persone. Credo di averlo fatto dall’inizio alla fine del mio match contro Paire, devi arrivare a quel punto in cui non riesci nemmeno a contenere l’emozione. Una volta arrivato a quel punto, credo arriveranno grandi cose». Le spalle sono larghe e non crede che i suoi connazionali pretendano troppo: «Il pubblico vuole solo amarti, non è così faticoso giocare e farli felici, fare del tuo meglio perché avvenga». Padre greco e madre malese, si sente più australiano che mai; al collo porta tre collane con tre diversi ciondoli: una croce, una racchetta (regalo di mamma) e una giada, donatagli dal suo papà come portafortuna. Attorno a lui si stanno muovendo anche diversi sponsor, ma quello a cui punta l’entourage di Kyrgios è creare, in un futuro prossimo ma non troppo, un marchio personalizzato, come nel caso di Federer, Nadal, Sharapova.
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«La Nike potrebbe essere interessata a questo, ma dobbiamo valutare bene», spiega il suo manager, John Morris. Kyrgios e Kokkinakis lo scorso anno hanno vinto il trofeo in doppio juniores a Wimbledon e sembrano essere molto amici: «Ci spingiamo l’un l’altro fino al limite e se continueremo a farlo e a fare bene nei tornei dello Slam, possiamo raggiungere qualcosa di importante». Kokkinakis ha la faccia di uno dei One Direction (boy band del momento, ndr), è meno espansivo e nella off-season si è preparato negli Stati Uniti insieme a Sam Querrey. È l’idolo delle ragazzine che si sprecano in collage con il suo ciuffo in
bella mostra sui social network e i cuoricini tipici da idolatria adolescenziale. Lui gioca a tennis dall’età di otto anni e il suo preferito è Monfils, «perché è divertente, il più divertente di tutti, ma sono cresciuto con il mito di Marat Safin e della sua potenza». Ammaliato da Nadal Contro Nadal ha mostrato un raro coraggio pur perdendo nettamente in tre set e ha ammesso: «È un atleta bestiale, so di avere ancora molta strada da fare per raggiungere quei livelli di atletismo e resistenza». Ma i chiari obiettivi del diciassettenne australiano ora non possono comprendere la presunzione di poter battere uno come Rafa; sono i Sijsling e i giocatori simili che vanno sconfitti per acquisire esperienza e guadagnare punti e posizioni in classifica; proprio questo gli si chiedeva e Thanasi non ha deluso, avanzando al secondo turno dello Slam di casa proprio grazie alla vittoria sull’olandese. È stato il fratello a condurlo al tennis, dopo averne osservato il talento durante casuali lezioni di tennis, loro così appassionati di basket e dei L.A. Clippers. Nemmeno lui è uno che nasconde le ambizioni: «Il mio obiettivo è diventare numero uno del mondo, vincere la Coppa Davis e gli Slam». Roba da poco, insomma... Uno che si accontenta.
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Un quotidiano australiano durante le due settimane degli Open affermava che “L’Australia ama i lottatori tanto quanto i vincitori”. Sia lui che l’amico Kyrgios sono due perfetti prototipi del tennista moderno; forti, alti, bimani e con un grande servizio: l’omologazione è servita? Non esattamente, ma certo dati i materiali e i ritmi di oggi, da queste caratteristiche non si può proprio prescindere e il fatto curioso ma positivo è che entrambi ne sono perfettamente consci, mostrando una maturità e una consapevolezza rare per essere due adolescenti. A differenza di Tomic, che presto dovrebbe pure essere operato all’anca sono circondati da entourage più seri e meno discussi di quello di Bernard e sebbene siano ancora ragazzini a cui piace la musica hip hop e una sana spensieratezza, conducono una vita da professionisti.
Il passaggio dal circuito juniores a quello maggiore, si sa, costituisce un momento decisivo per ogni tennista: molti, troppi si sono persi per strada e non è per nulla scontato che i due trovino invece facilmente il percorso giusto. Possono volerci mesi, anni, cambiamenti e accorgimenti e soprattutto non devono esserci gravi infortuni: la sensazione è che non sosteranno ancora per molto tra i coetanei, ma tennisti come Dimitrov e Raonic mostrano quanto la strada sia tortuosa e che lo step ultimo da fare richieda tantissimo tempo. Se Nicholas Hilmy Kyrgios e Thanasi Kokkinakis mostreranno di essere entrambe le cose, forse un giorno potranno sognare di essere ritratti lì, alla destra della Rod Laver Arena, tra Lew Hoad e Margaret Court. 69
Gli anni che hanno segnato la storia della ITF La " International Tennis Federation " è l' organismo di vertice dell'organizzazione e rappresentazione del tennis. Questo corpo è colui che ha fissato le regole e la struttura organizzativa del tennis per essere come lo conosciamo oggi. L'anno scorso ha festeggiato i 100 anni e oggi vi invito a rivivere i loro anni più importanti. 1924: L'ITF diventa l'organizzazione ufficialmente riconosciuta con l'autorità di controllare il tennis su l'erba in tutto il mondo . 1968: Dopo dieci anni di divisione e di lotta all'interno della ITF una riunione di emergenza è stata chiamata a Parigi il 30 marzo, quando 47 nazioni hanno concordato in linea di principio la questione del tennis "Open". Un circuito di tennis è stato organizzato chiamato World Championship Tennis (WCT). L'ITF ha ricevuto la sponsorizzazione di organizzare tornei Grand Prix permettendo ai giocatori di competere apertamente e legalmente per
permettendo ai giocatori di competere apertamente e legalmente per denaro 1972: Come copertura televisiva di eventi di tennis è cresciuto, l'uso di palline bianche è stato sostituito per quelle gialle. Così, si è permesso per una facile visualizzazione sullo schermo. 1979: Brad Parks e David Saltz hanno fondato la Fondazione Nazionale di Tennis in Sedia a Rotolle. Nel 1980, un circuito di dieci tornei è stato istituito negli Stati Uniti, e l'anno successivo l'Associazione di Giocatori di Tennis in Sedia a Rotolle (WTPA) è stata costituita per rappresentare i giocatori. 2002: BNP Paribas ha assunto come title sponsor della Coppa Davis. Nel 2005, aumenta la sua partnership con l' ITF, diventando anche il title sponsor della Fed Cup . a cura di Stefania Grosheva
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I numeri primi La disperata ricerca del famoso GOAT
Chi sono stati i più grandi dell’Era Open?
La disperata ricerca del famoso GOAT (acronimo che indica il migliore di tutti i tempi) nel tennis assomiglia sempre più alla ricerca del leggendario Sacro Graal. E, come quest’ultimo, nessuno sembra in grado di trovarlo. In effetti, espandere la ricerca agli oltre 130 anni di storia del nostro sport complica non poco le cose in quanto in questo ampio lasso di tempo sono cambiati troppi parametri di valutazione. Una mano consistente a uniformare i giudizi è arrivata senza dubbio nel 1968, con l’inizio della cosiddetta “Era Open”. Da quando la partecipazione ad ogni torneo è stata aperta (da qui il termine open) a chiunque, amatori o
professionisti che fossero, anche le statistiche hanno preso ad assumere una certa rilevanza e sono diventate pressoché ufficiali. In agosto del 1973 nel maschile e in novembre di due anni dopo nel femminile, sono state introdotte le classifiche stilate periodicamente dall’ATP e dalla WTA ed è stato così possibile stabilire, mediante un calcolo matematico, i numeri uno. Tuttavia, molti addetti ai lavori sono concordi nell’affermare che nulla, nel tennis, valga quanto la vittoria in un torneo dello slam. Spesso, chi ha vinto un major è stato anche numero uno o viceversa. Spesso, ma non sempre. 71
In campo maschile, solo il cileno Marcelo Rios (su un totale di 25 giocatori che hanno indossato la corona riservata al re) è stato in cima al ranking dell’ATP (peraltro per sole 6 settimane) senza essersi mai imposto in uno slam. Il fenomeno è più frequente nella WTA, dove ben tre giocatrici (su 21) sono state regine senza aver mai alzato uno dei quattro trofei più importanti: Caroline Wozniacki (per ben 67 settimane), Dinara Safina (27) e Jelena Jankovic (18). Dall’edizione 1968 del Roland Garros, ovvero il primo slam open, agli Australian Open 2014 ci sono stati 53 vincitori di major in campo maschile e più della metà (29, pari al 54%) non sono mai stati in cima al ranking.
Simile la situazione in campo femminile, dove le vincitrici sono state 42 e oltre il 57% di loro (24) non è mai stata, nemmeno per una settimana, la più bella del reame. Anche riconoscendo che alcuni tra costoro (Laver e Rosewall tra gli uomini, King e Court tra le donne) rientrano nella lista dei vincitori ma hanno vissuto l’epoca delle classifiche al computer quando ormai erano a fine carriera) sarebbero certamente stati re e regine se le graduatorie fossero partite pure loro nel ’68, è ragionevole affermare che vincere uno slam è più semplice che diventare numeri uno. E non potrebbe essere altrimenti: le classiche due settimane della vita le può trovare chiunque (o quasi) mentre per arrivare in vetta occorre continuità agli altissimi livelli. Infine, è corretto ammettere che non tutte le 184 prove dello slam disputate nel lasso temporale preso in considerazione hanno avuto la medesima importanza e, soprattutto, lo stesso campo di partecipazione; basti pensare agli anni bui degli Australian Open o ad alcune edizioni del Roland Garros, soprattutto nel femminile. Detto questo, abbiamo voluto affidarci alle statistiche per vedere, nelle speciali classifiche degli head-to-head tra vincitori di slam, chi fossero i migliori.
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È Bjorn Borg a detenere la miglior percentuale di vittorie nei confronti diretti totali con i colleghi del suo stesso rango MASCHILE – È Bjorn Borg a detenere la miglior percentuale di vittorie nei confronti diretti totali con i colleghi del suo stesso rango. Con 142 successi e 56 sconfitte, lo scandinavo fa registrare un 71,7% ed è tallonato da vicino da Rafael Nadal. Lo spagnolo, che essendo ancora in attività potrebbe migliorarsi, vanta il 69,5% positivo grazie al record di 116-51 e precede Roger Federer, terzo con il 65% (167-90). Dal quarto al sesto posto troviamo un terzetto separato da qualche decimale: Pete Sampras ha il 64,6% (168-92), Boris Becker il 64,5% (136-75) e Ivan Lendl il 64,2% (199-111). Per completare la topten troviamo poi Rod Laver (63,4%), Andre Agassi (59,4%), John McEnroe (59,2%) e Jimmy Connors (58,4%).
Questa classifica cambia parzialmente aspetto e valori se prendiamo in esame solo i confronti diretti giocati negli slam. Il capolista diventa, anche grazie alle poche partite disputate, Rod Laver con l’83,3% (10-2) mentre Borg passa al secondo posto con il 77,8% (35-10). La grossa sorpresa, qui, è l’inserimento del brasiliano Gustavo Kuerten addirittura nel gradino più basso del podio; Guga vanta un clamoroso 75% per effetto delle 15 vittorie e sole 5 sconfitte rimediate in carriera (due con Safin e una con Agassi, Alberto Costa e Kafelnikov). Scende al quarto posto Nadal con il 73,9% (3412) seguito da Federer con il 70,7% (53-22) e Sampras (69,8% con 44-19). Completano la topten John Newcombe (68,2%), Ivan Lendl (59%), 73
Jim Courier e Andre Agassi, questi ultimi divisi da un misero decimo (57,8% contro 57,7%). Insomma, guardando queste due graduatorie verrebbe da dire che Borg sia il migliore in assoluto ma che la sua leadership potrebbe essere intaccata nei prossimi anni da Nadal; molto più difficile che possa invece riuscirci Federer, forse troppo avanti negli anni per migliorare le sue percentuali.
Martina Navratilova (67,6%) e la, per certi versi, sorprendente Kim Clijsters. La belga ha un record di 116-64 e una percentuale del 64,4%, superiore a quella di Margaret Court (63%), Justine Henin (62,7%), Tracy Austin (61,7%), Martina Hingis (60,8%) e Venus Williams, decima con il 59,1%. Anche qui, la prospettiva cambia se prendiamo in esame solo le sfide disputate nei major. La migliore rimane la Graf (77,9% e un record di 6719) ma al secondo posto c’è Margaret Court con il 75% (21-7) e Serena Williams è molto distanziata. Per la statunitense infatti ci sono 58 vittorie e 24 sconfitte, pari al 70,7%, una percentuale che
FEMMINILE – Qui invece, almeno limitatamente agli scontri diretti complessivi, il verdetto attuale potrebbe cambiare nel prossimo futuro in quanto tra la leadership e chi la insegue la differenza è davvero minima. Al primo posto infatti troviamo Steffi Graf, che ha vinto 179 dei 239 head-to-head considerati ma il cui 74,9% è insidiato dal 73,3% di Serena Williams (162-59), ancora in attività e dunque in grado di migliorarsi. Ottima terza è Chris Evert (259-103 pari al 71,5%) mentre ai piedi del podio troviamo
difficilmente potrà migliorare di così tanti punti. Quarta e quinta le amiche-nemiche EvertNavratilova, divise da un’inezia (64,4% contro 64%) e ottima sesta di nuovo la Clijsters (63,3%) che fa meglio di Monica Seles (assente nella topten precedente e qui settima con il 61,8%) e Billie Jean King (61,5%). Chiudono la parte alta della graduatoria Justine Henin (60,7%) e Martina Hingis (59,3%). Rispetto ai colleghi maschi, qui è forse più semplice individuare in Steffi Graf la migliore dell’Era Open, con Serena Williams ancora in attesa di giudizio definitivo visti i risultati della passata stagione. 74
Nonostante il Grande Slam del 1970, Margaret Court non può essere considerata allo stesso livello soprattutto per lo scarso numero di incontri disputati. Un gradino sotto, penalizzate in parte dai tanti match
disputati, Evert e Navratilova con la piacevole sorpresa di Kim Clijsters, a cui queste statistiche conferiscono un rango superiore ad altre colleghe forse piĂš illustri come la connazionale Henin, Monica Seles e Martina Hingis.
Tennis Revolution Rischiavamo di stufarci.
Per una decade i nomi scritti negli albi d'oro sono stati sempre quelli Prima Dimitrov, poi Gulbis, poi Dolgopolov, uno dopo l'altro a prendersi la scena, a farci immaginare un futuro pieno di loro, a reclamare un posto fra i grandi già adesso. Janowicz, fra un infortunio e l'altro, ha dimostrato di che pasta è fatto in più occasioni; Raonic in top 10 ci è già entrato, la nuova tendenza offensiva lo rende più gradevole e competitivo; Tomic, limbo o paradiso, finirà comunque per far sempre notizia. Per non parlare della Wta, vera e propria girandola di emozioni, albi d'oro come terni al lotto e giovani fra cui sì, anche Camila Giorgi, che spuntano come funghi all'orizzonte. Djokovic, Murray, Nadal, non stanno attraversando un gran momento, per un motivo o per l'altro. Una finestra di vulnerabilità, seppur ancora molto stretta, si è creata. Roger Federer ne ha approfittato, lui che le generazioni le copre tutte in un'unica essenza e sembra aver ritrovato l'eternità anche in campo. E' tornato a prendersi la scena, a guidare le aspiranti 'matricole' nel cammino. 'Guardate come si fa, prima...'
I 'malati' di tennis, il tennis lo vedono sempre e comunque, gli 'aspiranti' appassionati no, i pessimisti men che meno. Un campionato con la prima squadra in classifica avanti 20 punti a metà stagione perde d'interesse. I record fanno notizia, creano interesse, fino a un certo punto. Ma nel tennis si è forse arrivati, per grazia divina o solo per inerzia, a un punto di rottura. Il circuito maschile ha trovato un nuovo inaspettato protagonista in Wawrinka, simbolo della rivoluzione. "Se ce l'ha fatta lui, perchè non posso farcela anch'io?" Una rivoluzione concettuale. Cambiata è l'attitudine degli outsider, ora più convinti delle proprie possibilità. Cambiata anche l'attitudine dei tornei, palesemente ravvivati con superfici più veloci. Ecco spiegato il posizionamento in rampa di lancio della nuova generazione tennistica: non è ancora BOOM, ma il countdown è partito. 76
Cambiata è l'attitudine degli outsider, ora più convinti delle proprie possibilità. Cambiata anche l'attitudine dei tornei, palesemente ravvivati con superfici più veloci. Un processo simile a quanto avvenuto nel circuito femminile, con le big afflitte da problemi di vario tipo, e una Na Li pronta a tracciare la strada... Nazionalisticamente parlando, è bello poter scrivere che a questa finestra, con bella vista, ci si siano affacciati anche gli azzurri. La coppia Fognini-Pennetta, amore o amicizia poco c'importa, fa sognare. Top ten, grandi successi, ruolo d'immagine per il tennis, in Italia, importantissimo. Accontentati i 'novelli', saziati i nazionalisti, affamati gli statistici, ricaricati gli appassionati, rigenerati i pessimisti: questo nuovo rivoluzionario tennis targato 2014 piace a tutti. a cura di Adriano S. 77
Stefan Edberg la personalità è anche stile Stefan Edberg è stato uno dei migliori giocatori di serve and volley di sempre
Bjorn Borg, Mats Wilander, Stefan Edberg, Magnus Norman, Thomas Enqvist, Thomas Johansson, Robin Soderling. I fan del tennis di tutto il mondo conoscono questi nomi – I nomi della gloria del tennis svedese. Sembra che la magia abbia funzionato Con 806 vittorie in carriera, 41 titoli in singolare inclusi 6 Slam, 18 titoli in doppio, #1 in classifica per 72 settimane, 4 volte vincitore in Coppa Davis, medaglia di bronzo alle Olimpiadi, “l’attaccante straordinariamente aggraziato” di Västervik ha terminato la sua avventura nel tennis professionale nel 1996. Nel settembre del ’96 , quando si è ritirato dal tennis, abbiamo potuto leggere - “Stefan Edberg mancherà al tennis. Se non per la sua arguzia silenziosa e per il sottile charm, per il suo tennis che non viene più giocato abbastanza” . E’ entrato nelle Hall of Fame del tennis nel 2004. “ L’89 è stato un anno duro per me, ho perso due finali Slam e altre cinque finali. Lo è stato finchè non ho vinto il Master, o quello che adesso è chiamato Finali ATP, poi le cose sono cambiate nuovamente. All’improvviso ho vinto sette tornei nel 1990 e sono diventato N.1.” disse a suo tempo Stefan. Cosa sarà il tennis senza Edberg? “Continuerà, con giocatori sempre più alti e forti, così com’è stato da 10 anni a questa parte. Quando ho iniziato ero una specie di mosca bianca, ora passo quasi inosservato!. Queste parole sono state dette 18 anni fa e sono ancora importanti.
Il 48enne svedese è di nuovo in gioco come allenatore di Roger Federer e la squadra si chiama “Fedberg”. Il suo impatto su Roger ha prodotto a Dubai il titolo #78 nella carriera di Roger. Quello prima è stato ad Halle lo scorso anno e la maggior parte degli osservatori si erano detti scettici per quel che riguarda i prossimi successi del Maestro svizzero, specialmente sul vincere uno Slam... e poi è arrivato Stefan! Uno dei punti in comune di questi due gentil uomini è lo stile di eleganza, così come il fair play dentro e fuori il campo. Roger è stato onorato molte volte con la vittoria dell’ ATP Stefan Edberg Sportsmanship Award, come l’anno scorso alla fine della stagione. Lo svizzero, dopo un paio di sessioni di allenamento con lo svedese, ha creduto in lui e nel fatto che avrebbe ricostruito il suo gioco, atteggiamento, motivazione e volontà di vincere le prossime partite. 78
Su stefantennis.free.fr – il sito di tennis dedicato a Edberg nel 90% dei casi, i votanti credono ancora che Roger possa vincere un altro Major con Stefan come allenatore. Stefan andava a rete, un bellissimo rovescio a una mano ed eleganza significavano che era uno dei virtuosi del tennis più osservati del mondo nei giorni della grande rivalità con Boris Becker e gli americani. “Se servi bene, le tue volèe saranno molto più semplice. Ha ovviamente a che fare con la sicurezza” – era solito dire l’idolo dell’infanzia di Roger. Lo svedese fin dall’inizio ha decretato che Roger dovrebbe attaccare di più a rete. “Stefan Iceberf”, “L’adone biondo”, “L’eleganza aggraziata” questi sono i soprannomi dello svedese durante il suo tempo in campo. È bello vederlo nel box di Roger. Il Re farà ritorno sul trono? a cura di Jan Stanski 79
Andre Agassi L’otto volte campione di Grande Slam ha condiviso i suoi pensieri con Tennis World
Pochi giocatori capiscono meglio di Agassi la complessa psiche di un giocatore di tennis, uno dei colpitori più talentuosi della sua generazione ma un individuo profondamente introspettivo che ha combattuto contro il dubbio durante l’intera sua carriera fino a trovare la pace interiore con l’aiuto della sua collega e moglie Steffi Graf. Molti credono che la profonda comprensione di Agassi dell’unicità delle sfide mentali poste dallo sport un giorno lo possa vedere come allenatore leggendario e lui crede che a un certo punto in futuro, potrebbe essere una prospettiva allettante, ma non è ancora pronto abbastanza
per fare compagnia nel circuito all’ex rivale Stefan Edberg, Boris Becker e Michael Chang. “Posso immaginarmi a farlo In un momento diverso della mia carriera perché fondamentalmente apprezzo il gioco, lo rispetto e mi piace,” ha detto. “ ma lo farò in un momento in cui non sarò soggetto al dramma di ciò che non sarò più. Amo l’interazione con i giocatori e il suo aspetto di problem solving, quindi riesco a capire che ci voglia l’ispirazione per farlo. Semplicemente per me non è questo il momento.” n molte maniere, la carriera di Agassi è stato un viaggio e ha cercato di sconfiggere i molti 80
“Allenare è anche imparare. Tutti sappiamo come si gioca, tutti sappiamo cosa serva alle persone per essere più efficaci ma la domanda è, “Perché la persona con cui stai lavorando, non sta facendo quello che sa che dovrebbe fare?” demoni nella sua testa. È convinto che essere un buon allenatore richieda un viaggio simile, per poter capire esattamente cosa renda il tuo protetto forte. “Allenare è anche imparare,” ha detto. “Tutti sappiamo come si gioca, tutti sappiamo cosa serva alle persone per essere più efficaci ma la domanda è, “Perché la persona con cui stai lavorando, non sta facendo quello che sa che dovrebbe fare?” Devi entrare nella testa di qualcuno per capure come portarlo dal punto A al punto B. Questa è la parte eccitante ma è ciò richiede anche tempo e dedizione. E in questo momento della mia carriera non ho questo lusso. Quando i bimbi se ne saranno andati e il nido sarò vuoto, quello sarà il momento in cui inizierò a considerarlo.”
Ma diversamente da Becker, Edberg e Ivan Lendl, non aspettatevi di vedere Agassi fare squadra con una delle star del gioco. Avrebbe più grande soddisfazione aiutando chi non ha ottenuto grandi risultati, ma è talentuoso, per dare una svolta alla sua carriera e ha accennato che potrebbe considerare di lavorare con qualche giocatore di punta americano. “Se fossi un allenatore, mi concentrerei su qualcuno che non sta massimizzando veramente il suo gioco”, ha spiegato. “Non sarebbe una questione di allenare il migliore del momento, ma sarebbe una questione di allenare chi è più lontano dal suo potenziale. Questa sarebbe la sfida più grande per me. Come fai arrivare qualcuno a pensare fuori dai parametri che stanno limitando il suo gioco. 81
“Finchè non iniziamo a insegnare ai bambini come giocare punti lunghi, faticosi e a giocare sulla terra rossa come fanno in Europa avremmo sempre uno svantaggio,” Quando ci penso, penso ai giocatori interessanti che hanno qualcosa che non è utilizzato a pieno – a John Isner, qualcuno che ha tanto da mettere sulla tavola – e aiutarli a coprire la distanza che hanno ancora da fare.” Isner attualmente è il portacolori del tennis maschile americano, ma la mancanza di giocatori capaci di ottenere grandi risultati ai major è impressionante e Agassi pensa che cambiamenti rilievo siano necessari alle radici per far sì che l’America acchiappi il contingente europeo che ha preso le distanze nella decade passata. “Finchè non iniziamo a insegnare ai bambini come giocare punti lunghi, faticosi e a giocare sulla terra rossa come fanno in Europa avremmo sempre uno svantaggio,” ha detto. “C’è molto da dire riguardo a quando bisogna subentrare in un punto, giocare il gioco di transizione e lasciare andare, e poi avere la volontà di iniziare quel punto da capo. C’è disciplina mentale e fisica che guadagni crescendo sui campi più lenti rispetto ai campi veloci o la terra verde americana dove ti basta fare un buon tiro e pensare che sei in una posizione piuttosto buona finchè decidi di andare a giocare come chiunque altro nel resto del mondo.” Al contrario le prospettive più luminose per la prossima generazione arrivano dalla Bulgaria e dalla Polonia al momento, nelle figure di Grigor Dimitrov e Jerzy Janowicz. Mentre quei due giocatori son capaci di svilupparsi in star
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“Se mi preoccupo se la prossima generazione sarà capace di prendere il posto dei ragazzi che sono al top ora?” No, penso che le cose verranno da sé." globali nella stessa maniera di come hanno fatto nell’ultima decade Roger Federer, Rafel Nadal e Novak Djokovic, ma Agassi non ha dubbi sul fatto che il tennis continuerà a sfornare nomi casalinghi in futuro. “Se mi preoccupo se la prossima generazione sarà capace di prendere il posto dei ragazzi che sono al top ora?” ha detto. “No, penso che le cose verranno da sé. Quella domanda in verità era in giro quando Pete (Sampras) ed io diventammo professionisti. Guardando a (Jimmy) Connors, (John) McEnroe, Lendl, tutti i ragazzi che hanno portato il tennis dov’era, e poi è ricaduto sulle nostre spalle per fare lo stesso, ma ce l’abbiamo fatta.” “E dopo di noi è arrivata quella che sarà considerata l’età dell’oro del tennis.
Se Djokovic vince a Parigi, puoi guardare comunque 3 ragazzi della stessa generazione che hanno vinto tutto e ci sono voluti 50 anni per cinque di noi per farcela. Ma quello che ciò mostra è il tennis come sport in evoluzione continua ed è facile chiedersi come si possa fare meglio. So che mi è stato chiesto ogni volta che giocavo contro Pete – è impossibile che qualcuno lo possa rifare di nuovo, questo tipo di tennis è senza precedenti. E poi lo vedi. È arrivato Fed a pensi che sia impossibile, e poi ha un record di sconfitte contro Rafa! E poi Djokovic, e poi Murray arriva nell’equazione. Quindi è un periodo piuttosto incredibile ed è molto facile chiedersi come possa migliorare ma scommetto sull’evoluzione e dirò che si migliorerà.” 83
Intervista con Younes El Nynaoui Ex tennista professionista del Marocco Cinque volte vincitore in singolare nel tour ATP. Ha raggiunto il suo best in carriera diventando n°14 nel Marzo 2003, all’età di 31 anni.
Parli 6 lingue. Arabo, inglese, francese, italiano, portoghese, spagnolo. Quando le hai imparate com’è possibile avere un talento così grande non solo nel tennis ma anche nelle lingue? La maggior parte le imparo viaggiando intorno al mondo. Nessuno parla arabo nel circuito, quindi per comunicare con i giocatori dovevo parlare altre lingue. Ho imparato lo spagnolo quando ho vissuto 8 anni in Spagna e ho avuto anche un allenatore argentino per qualche anno. Mia madre è francese, quindi è la mia seconda lingua. Ho imparato l’italiano parlando con le persone, anche se non conoscevo la lingua tanto bene, ci provavo.
Eri all’ Accademia di Nick Bollettieri per due anni (1990-1992). Abbiamo scoperto che lavoravi duramente per stare là. Hai guidato il bus, pulito la palestra, sei stato dietro ai bambini, incordato racchette, tirato palline in allenamento, aiutato a fare da baby sitter a giocatori più giovani. Cosa ci puoi dire di più riguardo a quel periodo della tua vita? Che ricordi hai? Magari qualche storia divertente di quel periodo in Florida? E’ stato bello e difficile allo stesso tempo. I mei genitori non si potevano permettere il mio soggiorno là, quindi ho dovuto lavorare molto, ma allo stesso tempo è stata una bellissima esperienza per me e ho incontrato alcune persone molto belle, che sono diventate miei buoni amici! Ho anche avuto la possibilità di conoscere ottimi giocatori. E ho imparato molto da quel periodo. Storie divertenti... quando ho guidato il bus degli studenti e non avevo la patente una volta Agassi aveva bisogno di un partner alle 22, così mi hanno chiamato durante l’allenamento e ho lasciato il campo sul 6-6... 85
"Ma la cosa più importante è imparare ad essere un buon padre per i miei bambini!"
Per favore raccontaci della tua fondazione. La mia fondazione sta sviluppando il tennis in Marocco. Vogliamo rendere il tennis accessibile a veramente chiunque in tutto il paese e renderlo più popolare. Aiutare i bambini a realizzare il loro sogno. Come sta andando il tennis in Marocco in questo momento? Qualche giocatore promettente? E’ di grande interesse in generale in Marocco, ma ancora non è molto accessibile, è più per un’elite di persone. Il paese ha molte aspettative da quando abbiamo avuto una squadra di Coppa Davis forte negli anni passati. Ora i giocatori marocchini che abbiamo, stanno provando di stabilirsi da qualche altra parte. Come Spagna, Francia, ecc... Qual è il futuro del tennis in Africa in generale? Qualche pronostico? Grande potenziale fisico, ma non abbastanza risorse per i giovani. Quali sono le tue attività? Collaboro con la federazione, lavoro per il Ministero dello sport come consigliere. Faccio anche da consigliere a un club a Erfurt in Germania, per cui ho giocato molti anni e il proprietario è un mio buon amico.
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Quando è finita esattamente la tua carriera nel tennis professionale? Nel 2007. ma l’ultima partita che ho giocato ufficialmente è stata nel 2010 a Doha, dove ho vinto una partita. Hai tre figli. Giocano a tennis? Sì, ci giocano un po’. Il più grande (Ewen) gioca a basket. Quello di mezzo (Neil) gioca a calcio e il piccolo (Noam) gioca a calcio e basket. Quale partita della tua carriera tennistica ricordi di più? Qual è stato il tuo più grande successo? I quarti di finale agli Australian Open contro Roddick.
Puoi raccontarci qualche storia divertente della tua carriera? Una volta, io e Goran (Ivanisevic) eravamo in Germania e stavamo in un hotel al 10mo piano. Abbiamo fatto una scommessa: che non avrei buttato le sue scarpe eleganti dal balcone, cosa che ho fatto quindi sono dovuto andare a raccogliere in giardino. Mentre le raccoglievo, Goran ha voluto farmi uno scherzo buttando una bottiglia vuota nel giardino dal balcone. E mi ha colpito dritto in testa! Così quando sono tornata in stanza, la mia testa stava sanguinando ovunque... Sei stato membro del Consiglio dei Giocatori ATP. Dicci qualcosa a riguardo. Sono stato membro per 10 anni. È stata una bellissima possibilità essere in prima linea per quel che accadeva ed essere parte dell’organizzazione. Penso comunque che sia una vergogna che il circuito sia regolato dai direttori dei tornei, non abbastanza giocatori fanno soldi. Solo 150 persone possono vivere di tennis, cosa che penso sia ridicola! Quale giocatore della tua carriera puoi descrivere come difficile da sfidare e perché? Federer. Abbiamo giocato 5 volte. Ho vinto una partita e ne ho perse 4. 87
è un grande giocatore. Ha un ottimo comportamento dentro e fuori dal campo. Ha una grande personalità e perfezionismo, cos’altro posso dire di lui
Il tuo film preferito? Mi piacciono i film di Al Pacino. Se potessi cambiare qualcosa della tua carriera tennistica in una prospettiva temporale quale sarebbe? Forse assumerei un allenatore fisico e di tennis un po’ prima nella mia carriera, se avessi potuto permettermelo prima.
Qual è la tua idea di vita? Né aggressività o ansia, passare il tempo con i tuoi cari e ringraziare il Signore per ogni singolo giorno che apro gli occhi. Una persona che ammiri di più. I miei genitori.
Quali sono le tue impressioni e pensieri sulla situazione attuale del mondo del tennis? E’ belo vedere più giocatori nuovi giocarsi le grandi finali e non solo finali Federer- Nadal.
Lo sportivo che più ammiri o hai ammirato? Ivan Lendl. I tuoi hobbys? Motocross, la moto in generale! Surf e giocare con i miei figli.
Il tennis è cambiato molto negli ultimi anni, è diventato più aggressivo, più potente. Meno tattico ma solo gioco più veloce e più veloce dell’avversario!! L’entourage è molto più grande. Vedi giocatori con 3 o 4 persone intorno, cosa che penso limiti le amicizie. Ai vecchi tempi molti ragazzi viaggiavano da soli. Perché il tennis? Dicci cos’è stato prima del tuo soggiorno in Florida a 18 anni. Io e mio fratello abbiamo iniziato a giocare insieme. Lui è 2 anni più grande di me, quindi giocava meglio di me e sono stato fortunato a giocare con lui all’epoca. 88
Un grande campione, il mio Prof Gentili e il fascino di un incruento duello: il tennis. Vorrei presentare un tipo che ho ammirato molto. Jaroslav Drobny, cekoslovacco di Praga, tennista e hockeysta. Il silenzio durante gli scambi era totale, ritmato solo dal suono della pallina da tennis contro suolo e racchette, e i giocatori, completamente vestiti di bianco, sembravano sacerdoti di Apollo e officiavano uno sport certamente imparentato con gli dèi dell’Olimpo. Il primo giorno finì con me che ormai adoravo Prof Gentili come il messia e Drobny era la mia nuova Divinità, con i suoi smash e il dritto mancino implacabile. Il giorno dopo ci fu lo scontro in finale fra Drobny e l’italiano Fausto Gardini, tipetto dal gioco strano e disarmonico ma efficace. Vinse Drobny, ma perse il primo set e fu una emozione magnifica che ancora mi agita quando ci penso ... Tutto nel più rigoroso silenzio durante lo scambio e le palline candide che bucavano l’aria come bianche colombe dando il tempo della partita di tennis ... Intanto, Prof Gentili si era preso la briga, vista la mia ricettività entusiasta, di fornirmi alcune informazioni preziose su questo tennista cecoslovacco che mi aveva profondamente impressionato. Da quel giorno poi seguii la carriera di Jaroslav Drobny, con molta attenzione, non mancando di aggiornarmi tutte le volte che incontravo Prof Gentili.
Lo vidi di persona che avevo 12 anni. Ero a Igea marina in colonia e il mio prof di EF che ci curava, disse, domani andiamo a vedere il torneo di Riccione. Un torneo internazionale! Finì che ci andammo in tre, lui e io, e anche la sua figliola Maurina, gli altri preferirono la spiaggia. Naturalmente, il prof cercò di introdurre questo personaggio di cui non avevo mai sentito parlare, ma in modo molto sintetico. “Voglio che tu ti faccia un’idea partendo da quello che vedrai. Ricordati che lui, Drobny, non lascia nulla al caso, sembra che si muova calcolando sempre dove andrà e da dove arriverà la palla”. Non mi disse altro. Rimasi subito conquistato sia dalla grande signorilità di questo giocatore robusto e autorevole, sia dalla voce sussurrante del mio prof Gentili (grazie mio Prof) che in tono ieratico descriveva le caratteristiche di questo fenomenale giocatore mancino al quale, fu la prima cosa che notai, due robuste gambe, elastiche come molle, garantivano uno smash favoloso, eseguito con racchetta di legno. Fui anche colpito dall’atmosfera dello stadio, stracolmo di appassionati, che seguivano il gioco con attenzione felici di godersi questi campioni.
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L’Hockey ad alto livello gli procurò una muscolatura compatta e elastica che lo aiutò moltissimo nel tennis, in modo particolare nello smash E invece nello sport ci era dentro fin da bambino. Nato a Praga il 12 ottobre 1921. Suo padre era il custode di un club dove, d’inverno, i campi da tennis venivano allagati per ricavarne altrettante piste da hockey su ghiaccio. Così Jaroslav, che nel circolo faceva il raccattapalle, divenne contemporaneamente tennista e anche un giocatore di hockey così forte da far parte della squadra nazionale ceca alle Olimpiadi bianche di St. Moritz nel 1948. Ma era soprattutto un tennista. Suo padre gli costruì la prima racchetta riciclando un fusto smesso da un socio, che lui stesso incordò. Jaroslav, troppo felice, la portava con sé anche a letto quando andava a dormire. Sui campi del club arrivavano spesso a allenarsi grandi campioni ai quali Yari cercava di rubare i segreti, persino il grande Bill Tilden. Racconta lo stesso Drobny che inseguendo con
insistenza Bill Tilden per avere un autografo riuscì a farsi regalare una racchetta. L’Hockey ad alto livello gli procurò una muscolatura compatta e elastica che lo aiutò moltissimo nel tennis, in modo particolare nello smash. Le gambe erano vere e proprie molle, cosicché, nonostante la statura non eccezionale, Drobny riusciva a schiacciare la palla con la violenza che scaturiva dai possenti dorsali. Anche la prima di servizio era ovviamente potentissima, mentre la seconda, molto lavorata dal suo braccio mancino era il frutto di un’altra delle doti peculiari di Drobny, cioè la sensibilità sulla palla. Un talento che gli consentiva, ad esempio, di interrompere un lungo scambio da fondo campo con una improvvisa smorzata: una carezza che mandava la pallina a coricarsi beffarda appena al di là della rete, imprendibile per l’avversario.
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Grande mobilità, nascosta dall’intuizione in anticipo della direzione che avrebbe preso la pallina, un diritto fortissimo e preciso e un’estrema correttezza completavano il bagaglio che il professore portava sul campo e che faceva, del campione ceco, un giocatore di grande personalità e carisma. Qualche problema gli arrivò dal mondo storicopolitico circostante, con il passaggio della Cekoslovacchia dal dominio tedesco a quello russo. In uno sport internazionale come il tennis questa situazione pesava e era quasi insopportabile psicologicamente per gli atleti. Al punto che Drobny che andava spesso in semifinale a finale nei tornei, nelle ultime e decisive battute delle competizioni finiva per deconcentrarsi e apparire in qualche modo fragile a causa di questa debolezza, che non
gli dava il senso della appartenenza. Drobny ebbe così a subire alcune pesanti sconfitte (nel 1946, in finale a Parigi e in semi a Wimbledon , nel 1947 in semi a New York, nei quarti a Londra, e la serie proseguì nel 1948 e 49). Quando infine perse da Schroder a Wimbledon (“Drobny deve sempre vincere con uno come Schroder”, mi disse Prof Gentili), Drobny si convinse a "togliersi" da questa subordinazione e decise di diventare apolide. Infatti, appena arrivati a Gstaad per gli internazionali di Svizzera, lui e il suo compagno di doppio Cernik, scelsero di non tornare in patria. Da quel momento fu un altro uomo e le finali che prima perdeva, cominciò a vincerle. Così, nel ’50 e ‘51 vinse Roma (che aveva riorganizzato il suo Torneo) battendo Tony Trabert (USA) e il nostro Gianni Cucelli, sempre nel 1951 vinse Roland Garros. “Era come liberato”, diceva Prof Gentili, riecheggiando le parole di Drobny, “sono un altro uomo”. Faiwza, la bellissima principessa di Egitto e Sudan, sorella di Re Faruk (e ex moglie dello Sha di Persia), gli aveva concesso il passaporto egiziano. Jaroslav non era più apolide. “A 29 anni comincio una nuova carriera, La mia posizione è regolarizzata in Egitto e io posso pensare soltanto al tennis”. Wimbledon però continuava a voltargli le spalle. Quell’anno infatti Tony Mottram lo escluse ancora una volta dal tabellone, battendolo al terzo turno. Epica, invece, la finale di Parigi del 1952, fra Drobny campione in carica e l’australiano Frank Sedgman.
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Cadeva una pioggerellina leggera, quel giorno, e il serve and volley di Sedgman era come “arrugginito”. Jaroslav, pur infastidito dalle lenti appannate, seppellì Frank sotto una serie di passing precisi e possenti. Ma l’australiano si vendicò subito a Wimbledon battendolo in finale. Un altro incontro significativo e memorabile fu il terzo turno di Wimbledon 1953 fra Drobny trentaduenne e Budge Patty, l’Americano dell’Arkansas, anche lui sulla trentina. Il 25 giugno entrarono in campo alle 16.30 e ne uscirono stremati dopo quasi cinque ore. Dopo tre ore Patty era in vantaggio due set a uno, ma nella 4a partita era 1 a 3 … Si ricordò allora di un famoso detto tennistico, “c’è molto spazio anche in alto su un campo da tennis!”, e cominciò a riempire Drobny di pallonetti. Non aveva calcolato la potenza dello smash di Drobny, che vinse il quarto 8 a 6. “Entrambi sapevamo che nel quinto poteva succedere di tutto”, disse Drobny. E di tutto successe. Attanagliati dai crampi, cominciarono entrambi a chiedere al giudice di sedia, il colonnello John Legg, la sospensione per l’oscurità, ma soltanto sul punteggio di 10-10 questi decise che si sarebbero giocati ancora due game.
A questo punto, il fragile Drobny si trasformò in un leone, raccolse le ultime forze e si aggiudicò i due giochi contro un ormai svuotato Patty che, trovò il modo di mangiarsi altri 3 match-point. L’eccezionalità dell’avvenimento indusse la duchessa di Kent a regalare ai due giocatori un portasigarette d’oro con inciso lo score dell’incontro: 8-6 16-18 3-6 8-6 12-10. L’impresa non bastò però a Drobny per vincere il torneo. Arrivato in semifinale stremato, si arrese allo sconosciuto danese Kurt Nielsen. Quell’anno giunse in finale a Parigi e, per la terza volta, si aggiudicò gli Internazionali d’Italia sconfiggendo il nuovo fenomeno australiano, il diciannovenne Lew Hoad, al quale concesse 5 giochi in tutto. Nel frattempo, in primavera, si era sposato a Londra con Rita Anderson, una dolce e graziosa tennista
inglese che gli avrebbe poi dato un figlio. Questo matrimonio accelerò le pratiche per la nazionalità inglese, che Drobny ottenne qualche anno dopo e che lo indusse a declinare l’offerta di 50 mila dollari che gli fece Jack Kramer per passare al professionismo. Una scelta di vita in linea con il suo stile di uomo tranquillo. A Wimbledon non aveva ancora trovato il modo di battere una specie di destino avverso che sembrava perseguitarlo. La sua prima partecipazione risaliva al 1938. Era arrivato una volta nei quarti, tre in semifinale e due in finale, ma non aveva mai vinto. Aveva 33 anni e nel 1954 gli organizzatori gli avevano dato la testa di serie numero 11. Malgrado ciò arrivò in finale. Boomaker e tecnici lo consideravano perdente.
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Ma Drobny sembrava in fiducia. Mentre si avviava verso gli spogliatoi per prepararsi alla finale, fu avvicinato da un bagarino che gli offrì un biglietto di tribuna per 30 sterline, “No, grazie - gli rispose Jaroslav - questa finale ho intenzione di vederla in piedi”. Il suo avversario era il diciannovenne australiano Ken Rosewall, la giovinezza e il futuro del tennis mondiale, insieme a Lew Hoad. Contro questo ragazzo dal servizio insaponato e dall’incredibile risposta giocò un tennis magistrale e trionfò in quattro set. Il pubblico del centrale di Wimbledon lo applaudì, in piedi, per cinque minuti anche come omaggio al passato. La duchessa di Kent, premiandolo, gli disse: “Ho pregato per lei, Mister Drobny; nessuno come Lei ha meritato questa vittoria di oggi, anche per quello che
ha fatto negli anni scorsi”. Il campione ceco confesserà, in seguito, che con quel successo a Wimbledon aveva spazzato via dal campo da tennis e dalla sua mente un’ultima ombra fastidiosa, cioè il suo atavico complesso d’inferiorità dovuto alle umili origini. Il sole di Londra aveva accompagnato il trionfo di Jaroslav Drobny sul giovane campione Rosewall e sul destino avverso che sembrava precludergli la strada verso il più grande successo per un tennista. Quell’anno, il 1954, raggiunse anche il primo posto della classifica mondiale. Ottenne in seguito altri successi ma, come lui stesso ebbe a dire: “Vincere a Wimbledon significa raggiungere il culmine di una carriera, qualunque cosa arrivi in seguito”.. Giocò e vinse ancora per molti anni, a testimonianza di una longevità agonistica fuori del comune. Fece la sua ultima apparizione a Roma nel 1963 dove, a 42 anni, al terzo turno battè il colombiano Pato Alvarez per poi arrendersi allo jugoslavo Jovanovic. Anche la Davis lo vide spesso protagonista, tra il 1946 e il 1949. Collezionò ben 37 vittorie, senza però mai vincere la Coppa. Ritiratosi dal tennis agonistico, si stabilì a Londra e ritornò qualche volta a Wimbledon per giocare il doppio veterani, più che altro come azione promozionale per il suo negozio di tennis che portava l’insegna “Old Drob”, l’affettuoso modo che avevano gli inglesi di chiamarlo, anche per via dell’assonanza con un suo colpo famoso, il drop shot, in suo onore “drob” shot .
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Fu poi consulente tecnico della squadra italiana che, con Pietrangeli e Sirola, giocò la finale Davis in Australia, poi delle équipe sudafricana e svedese. Ritiratosi definitivamente dall’ambiente, alla confusione dei campi da tennis, preferì la serenità e la tranquillità delle giornate di pesca nel Sussex. Morì a Londra il 13 settembre 2001, all’età di 80 anni. Rosewall divenne un campione assoluto, ma la lezione di Drobny doveva avere rotto qualcosa nel suo meccanismo psichico perché il grande Rosewall non riuscì mai a vincere Wimbledon. L'ultimo tentativo fu a 40 anni, quando arrivò in finale col giovanissimo Jimmy Connors. Poteva essere la replica della vittoria del “vecchio” Drobny sul campione nascente, ma probabilmente i 40 anni di Rosewall erano troppo pesanti per una simile impresa. Anche perché stava cambiando la struttura dei materiali del tennis e anche il tennis stesso. Così Jimmy Connors non si fece sfuggire l'occasione del prestigioso successo. L'era delle racchette di legno era ormai finita e la vittoria di Connors e della sua racchetta di metallo dava un segnale preciso.
Vidi giocare per due giorni di seguito questo grande campione che avevo 12 anni e ne rimasi incantato. Da allora il tennis non mi ha più abbandonato e ricordo sempre quei due giorni con il mio Prof Gentili e la sua figliola Maurina, con Jaroslav Drobny protagonista sulla terra rossa e nei nostri discorsi, come giorni felici, magici. Proprio in quei giorni cominciai a pormi alcune domande circa il misterioso rapporto che doveva per forza esserci fra l’uomo, la racchetta, l’abbigliamento, le dimensioni e proporzioni del campo, l’esoterico punteggio, l’arcano delle linee e della loro disposizione e il senso del vagabondare della regina di questo gioco, la bianca pallina. Una regina che tutti ambiscono strapazzare e/o accarezzare, un gioco che vede due uomini in
campo sfidarsi secondo regole ben delineate, uomini che lottano l’uno contro l’altro, e alla fine, uno muore e l’altro sopravvive, simbolicamente, sul diabolico tabellone, senza mai toccarsi. Smagliante metafora di un aspro duello. Magnifico. a cura di Roberto Tumminelli
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L’ Ice Borg che ha spezzato i nostri cuori The series, offre sguardi nostalgici nel passato, caratterizzati da leggende della terra dei tempi passati
Bjorn Borg – lo svedese dal sangue freddo è stato un’icona e un iconoclasta, entrambe, nella storia del tennis. È stato diverso da molti nel suo contegno e nel suo stile. Forse ha portato la sua idiosincrasia un po’ troppo in la quando ha deciso di appendere la sua racchetta al chiodo a soli 27 anni – al top della sua carriera quando aveva dalla sua 11 Grandi Slam – in un periodo di otto anni. Se avesse giocato un altro paio di anni, avrebbe potuto aumentare quel numero, ma Borg aveva perso la sua passione per il gioco. Quando Ice Borg se n’è andato con nonchalance , ha portato via qualcosa che apparteneva al tennis, lasciando un vuoto che ha tormentato i suoi fan per molto tempo. Quando il “Dio vichingo” si è evoluto da “Angelo adolescente ad “Assassino angelico” e finalmente a
“Marziano”, ha anche cambiato il modo in la gente percepiva il gioco negli anni ’70. allora, il tennis era una più una cosa da serve and volley offensivo, con l’eccezione di giocatori come Jimmy Connors. Lo svedese non convenzionale ha spesso giocato 10 piedi dietro la linea di fondo, rispondendo anche a colpi impossibili con la sua firma di rovescio bimane caricato con pesante topspin. Sul campo, non era uno stratega, ma compensava con i suoi colpi, il comando e il controllo della palla. Borg, il biondo enigmatico dalla lunga chioma, è stato un sex-symbol di quei giorni. Se gli anni ’60 sono stati “Beatlemania”, gli anni ’70 sono stati “Borgasm”! E’ sempre stato il favorito dalle ragazze inglesi da quando fece il suo debutto a Wimbledon da timido 17enne.
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È stato un inizio sensazione per il giovane svedese quando centinaia di fan femminili l’hanno attaccato e trascinato al suolo nella frenesia È stato un inizio sensazione per il giovane svedese quando centinaia di fan femminili l’hanno attaccato e trascinato al suolo nella frenesia. La sua presenza ha creato un tale furore in campo che le autorità erano costrette a chiedere alla scuole di tenere d’occhio le loro adolescenti che venivano a vedere giocare il giovane. Benedetto sia da talento che aspetto, sembrava che Bjorn Borg avesse tutto quello che un giocatore di tennis potesse sognare. Aveva un’aura di invincibilità intorno a lui quando sorprendeva gli spettatori con le sue incredibili rimonte dall’orlo della sconfitta. Borg aveva un ottimo gioco di piedi e scannava i suoi avversari con i suoi missili terra-aria così come il suo contegno imperturbabile. Come le sue mosse, era difficile comprendere i suoi umori, in gran parte dovuti alla frenesia dei suoi avversari, specialmente Jimmy Connors, il cui
principale stratagemma era provocare gli avversari. Borg ha vinto 5 Wimbledon consecutivi dal 1974 al 1980, un record che è rimasto imbattuto fin’ora, anche se Federer è riuscito ad eguagliare il numero. Ha vinto uno dietro l’altro l’Open francese e Wimbledon per tre anni consecutivi – un altro record che rimane tutt’ora imbattuto. Ha scelto di non giocare gli Australian Open, qualcosa per cui non ha mai provato rimorso in seguito, e per la quale ha avuto le sue ragioni. All’epoca l’Open australiano si giocava sull’erba e capitava inoltre alla fine della stagione. Quindi, Borg preferiva prendersi un ampio periodo di riposo per esaurirsi poi nell’estenuante calendario. Lo US Open è rimasta la sua superficie sfortunata, dove ha dovuto avere a che fare con il piatto del secondo classificato per quattro anni.
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Quando Borg si è avventurato nell’imprenditoria, ha pensato di poter duplicare il suo successo sul campo anche nel business. Con grande sgomento, l’imprenditoria è stato un enorme fallimento. Per molti di noi, il più grande match della storia del tennis è stata l’epica finale di Wimbledon 2008 tra Federer e Nadal; coloro i quali hanno testimoniato la finale del 1980 tra Borg e McEnroe nello stesso campo non sarebbero assolutamente d’accordo. Durante quella partita da far rizzare i capelli, Borg fece un’incredibile rimonta dopo aver perso il primo set 1-6. Il risultato finale recita 1-6, 7-5, 6-3, 6-7, 8-6. Durante il set decisivo, McEnroe non è stato capace di brekkare il servizio di Borg nemmeno una volta, e il secondo se n’è andato con la corona dopo aver vinto 5 game a 0 contro il suo rivale. McEnroe si è vendicò alla finale degli US Open che seguirono, e anche nella finale di Wimbledon dell’anno successivo. Lo stesso anno, fece cadere nuovamente Borg nella finale degli US Open, dopo la quale il secondo se n’è andato ritirandosi. Per allora, aveva dalla sua 11
Grandi Slam in 27 apparizioni e 62 titoli da 88 tornei. Quando Borg si è avventurato nell’imprenditoria, ha pensato di poter duplicare il suo successo sul campo anche nel business. Con grande sgomento, l’imprenditoria è stato un enorme fallimento. Nel 1989, Bjorn Borg Design – che produceva attrezzatura da tennis, vestiti e lozioni dopo barba è andata in bancarotta. Per peggiorare le cose, il governo svedese l’ha perseguitato per 40.000$ di tasse. Ha tentato un ritorno senza successo nel circuito nei primi anni ’90, ma non è riuscito a vincere neanche un solo set contro i suoi avversari. Quando ha abbandonato finalmente nel 1997, i creditori l’hanno inseguito per una circa di circa 1 milione di $. Poi un disperato Borg ha tentato di vendere i suoi cinque trofei di Wimbledon, insieme
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”Se vieni a casa mia, non vedresti niente di associato al tennis. Non sapresti che ho giocato a tennis. Non tengo cose, do via coppe e racchette per beneficienza.” alle racchette con cui ha vinto, inclusa quella con cui ha battuto McEnroe nella finale del 1980. in seguito a una protesta dei fan e di giocatori come McEnroe e Agassi, Borg ha fermato la sua mossa. Sfortunatamente dopo averli dati alla casa di aste, da cui ha dovuto ricomprarli. Così Borg, ha provato ancora una volta che non era bravo a prendere decisioni. Sul fronte personale, tre matrimoni, due divorzi, due figli e due figliastri, aggiunti alla divisione delle spese. Le decisioni di Borg hanno pagato solo in campo, non nella vita. In seguito, Borg è rinato dalle ceneri per fare un impressionante ritorno, traendo grande profitto dall’impresa Borg di intimo, scarpe e occhiali.
Una volta, in un’intervista al Boston Globe, Borg ha detto :”Se vieni a casa mia, non vedresti niente di associato al tennis. Non sapresti che ho giocato a tennis. Non tengo cose, do via coppe e racchette per beneficienza.” È difficile indovinare perché Borg voglia scappare da quello che è stata definita come la sua vita – il tennis. Il suo precoce ritiro e la decisione di vendere i suoi premi lasciano perplessi. È assurdo pensare che Borg abbia paura del successo, ma lui solo sa perché ha deciso di andarsene quando tutto sembrava bello. Per lui, il tennis è un passato lontano, ma per i suoi fan, è ancora il Re. Quei ricordi non saranno mai cancellati dai loro cuori. a cura di Princy Jones
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Bonzi Gaspare Gaspare Bonzi nacque a Genova il 21 Luglio del 1918, di origini piemontesi, trascorse la sua vita, sin dai primi anni dell’infanzia a Roma, dove i genitori si erano trasferiti per lavoro Gaspare, come giocatore non ebbe molta fortuna anche perché fu rapito dalla passione e dall’interesse per questo “Sport” legato soprattutto alle storie sportive del tennis, per cui egli anteponeva ai suoi impegni. Bonzi è stato anche un buon avvocato, professione che egli esercitava soprattutto per necessità economica ma ne avrebbe fatto sicuramente a meno, già perché tutte le sue prestigiose cariche non gli portarono soldi, ma a lui non interessavano più di tanto, egli viveva la vita con semplicità. Chi lo ricorda, come nel caso del dott. Francesconi, già Presidente del Circolo Tennis Roma, ci racconta del suo unico amore, il suo pensiero fisso, il gatto! Il suo amato gatto, che amava coccolare quando si ritirava tra le mura di casa sua in via San Giovanni in Laterano. Icona e socio quasi fondatore del circolo Tennis Roma, gli amici di squadra, Mogos, Giauna, Rampichini e Baruti, quella delle tante vittorie, l’hanno sempre ricordato per i punti preziosi che realizzava in campo. Con Sergio Baruti, noto agente di attrezzature per il tennis, intraprendeva vere battaglie tennistiche. Sicuramente, si potrebbe definire il Signor Baruti l’avversario storico di Gaspare Bonzi. L’avvocato Gaspare era anche l'amico che raccontava tante belle storie, spesso avente per argomento le sue passioni sentimentali per le
Alla giovane età di venti anni venne iscritto nei Guf di Roma per le sue eccellenti qualità tecniche come giocatore di tennis, proseguendo poi la carriera al Circolo Tennis Roma dove egli fu anche il primo Socio del circolo e Presidente (soprattutto per acclamazione) nel biennio 1977/78. A parte la passione per il tennis, nulla aveva in comune con il più noto omonimo Leonardo Bonzi, campione italiano di tennis, e non solo di questo sport ( www.leonardobonzi.it ), ma soprattutto viaggiatore con a seguito sempre la sua racchetta, documentarista ed eroico militare della seconda guerra mondiale. Di stirpe nobile, il Conte Leonardo Bonzi si affacciò al cinema sposando la bellissima attrice Clara Calamai, la prima donna del cinema italiano a mostrare il suo seno nudo in una pellicola (La cena delle beffe, 1934). Tornando al Bonzi romano, non da meno, Gaspare fu personaggio di spicco nell’ambito della Federazione Italiana Tennis; Presidente del Comitato Regionale Lazio e Giudice Arbitro Internazionale ai tempi di Gennaro Farina, icona tra i G.A. in Italia. Chissà se i due ebbero modo d’incontrarsi sui campi da tennis.
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donne, ma anche episodi di fatti realmente accaduti durante gli incontri da egli diretti a volte in compagnia anche del più noto collega Gennaro Farina. Gaspare Bonzi amava la gioventù, soprattutto voleva essere circondato da giovani perché a loro cercava di trasmettere i valori dello sport e dell’amicizia, di fatto tra questi fu molto amato, anche perché si poneva a loro con modi scherzosi facendo a gara a chi raccontava più barzellette, viceversa accadeva nei riguardi dei soci adulti, da loro pretendeva inizialmente rispetto, si poneva talvolta con modi scostanti ma non troppo, solo per far intendere a loro e ai presenti che davanti avevano comunque un uomo d’altri tempi abituato ad un altro tipo di contegno, autorevole e fiero di essere appartenuto al periodo monarchico dove con
il rigore e la disciplina si formavano gli studenti e gli atleti. Molti lo ricordano, dandone una immagine di lui come una persona sempre pronta alla battuta (aveva in serbo una barzelletta per ogni occasione). Un amico del Bonzi di vecchia data, Gerardo Bonardi, M° di tennis, ha detto di lui: “E’ stato molto attivo nel tennis, gli rimproveravo solo di fumare troppo”, terminando il commento commosso per via della morte che coinvolse l’amico, malinconico dramma per gli amici che restano, il Bonzi, avendo trascorso tutta la sua vita solo senza nessuna compagna, fu trovato infartuato in casa. Portato d’urgenza all’ospedale San Giovanni, morì dopo pochi giorni a causa di una crisi respiratoria dovuta alla paresi causata dall’infarto. Ripensando al personaggio gioviale qual’era, e sconcertante sapere oggi di un fatto così triste accaduto ad una persona tanto amata e piena di amici. L’Avvocato, come voleva che fosse chiamato, preferiva spostarsi a piedi, anche perché non aveva la patente, a volte nelle sue passeggiate lo accompagnava l’amico Francesconi, entrambi, spesso, cenavano assieme in una trattoria nei pressi dell’abitazione del Bonzi, lì l’Avvocato, inizializzò il suo amico al consumo di prelibate polpette che, sotto sua dettatura per quel che riguardavano gli ingredienti da adoperare, venivano confezionate con abile maestria dall’Oste sotto casa. Insomma il povero presidente si prestò anche a fargli da cavia ma in verità al dott. Francesconi a tutt’oggi gli è rimasto il sapore sotto il palato di quelle polpette mai più degustate.
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Gaspare Bonzi amava la gioventù, soprattutto voleva essere circondato da giovani perché a loro cercava di trasmettere i valori dello sport e dell’amicizia Uno dei giovani ragazzotti del Tennis Roma, già stimato direttore dell’Acquasanta, uno dei più bei circoli di Roma, ci racconta di un episodio accaduto al rientro di un importante incontro dove il Signor Bonzi era presente in qualità di capitano: “Tornavamo da Vigevano dove avevamo disputato e perso la finale del campionato italiano SERIE B (Coppa Croce) contro il T.C. Milano. Vista la nostra squadra composta oltre che dal sottoscritto, da Bonardi, Castelnuovo, Bon, Fanfani, Pellegrini e visto che quel traguardo l’avevamo conquistato comunque con grandi prestazioni, le nostre ambizioni di vittoria erano forti ed anche quelle del nostro capitano. Così, durante il volo di rientro a Roma, Gaspare se ne stava defilato non lontano dal gruppo, fino a quel momento non s’era mai visto così scuro in volto. Provai a sdrammatizzare su l’amara sconfitta cercando di avvalorare il fatto di
aver visto in campo complessivamente una squadra che non si era risparmiata. In men che non si dica fui destinatario di innumerevoli esclamazioni ed esternazioni di disappunto mai udite prima! Chi lo conosceva sapeva quanto gli fosse stata cara quella vittoria mancata - M. Cucchiaroni - ” (a proposito, mi chiedo come è che fu che non s’incontrarono i due Bonzi nemmeno in quest’occasione). a cura di Salvatore Sodano (pubblicato su Tennis Ticinese)
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Vita di Kamal Dedicato a Mansour Bahrami
Kamal (perfezione) era nato con il sorriso. I suoi occhi sprizzavano sempre un’incredibile positività e gioia per la vita.
I suoi occhi sprizzavano sempre un’incredibile positività e gioia per la vita. Eppure Kamal era nato poverissimo. Viveva, insieme ai suoi cinque fratelli, in uno sperduto villaggio di contadini, dove suo padre Hassan (buono) e sua madre Farah (gioia) li facevano crescere con tanto amore e poco, molto poco, pane. Kamal da piccolino trascorreva le sue giornate insieme al suo amico del cuore Iman (fedele) inventandosi continuamente dei giochi dal nulla. Un giorno Kamal passava di corsa insieme ad Iman davanti alla casa del “riccone” del paese, l’unico che addirittura possedeva un vecchissimo televisore in bianco e nero. I due amici furono incuriositi dalle grida e dagli applausi provenienti dall’interno della casa. Kamal costrinse Iman a portarlo sulle spalle e si aggrappò al davanzale della finestra per sbirciare all’interno della stanza e vide quattro uomini che
guardavano entusiasti in televisione un gioco dove due giocatori, vestiti rigorosamente di bianco, si scambiavano con maestria attraverso una rete una palla con una racchetta di legno. Kamal rimase per alcuni minuti a guardare quel gioco, ipnotizzato da quei due bravissimi giocatori, specialmente da quello mancino e rossiccio che capì solo che si chiamava Rod qualche cosa. Kamal sarebbe rimasto ore a guardare quel gioco, che in seguito scoprì chiamarsi tennis, ma venne richiamato all’ordine dai lamenti del suo povero amico che stava per svenire sotto il suo peso. Kamal spiegò al suo fedele amico ciò che aveva visto e i due amici decisero di praticare anche loro quel gioco. Si costruirono con dei vecchi stracci una palla di stoffa che, però, rimbalzava poco e male e utilizzarono come racchette due rudimentali tavole di legno trovate in un vecchio fienile e passarono i pomeriggi dei mesi successivi a cimentarsi nel loro nuovo gioco. Ma la sopravvivenza in quel lontano e sperduto villaggio dimenticato da Dio diventava ogni giorno più difficile. Così Hassan decise di trasferirsi con tutta la sua famiglia nella capitale del Paese per cercare un futuro migliore. E fu fortunato perché trovò quasi subito lavoro come giardiniere nell’unico circolo tennis della città.
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Kamal nei pomeriggi dopo la scuola andava sempre a trovare il padre al circolo e riusciva a ottenere qualche spicciolo di mancia facendo da raccattapalle agli aristocratici soci del club che avevano l’assoluto ed esclusivo utilizzo dei campi da tennis. Malgrado questo assurdo divieto, il ragazzo nelle caldissime ore intorno a mezzogiorno si intrufolava sui campi insieme ai suoi nuovi amici raccattapalle e giocava utilizzando qualche vecchia pallina sottratta ai soci e qualche pezzo di legno scovato nel ripostiglio del circolo. Kamal in quella specie di tennis era veramente un fenomeno e surclassava tutti i suoi compagni, ricordando con nostalgia le infinite ore passate al suo paese natio giocando con la palla di stoffa insieme al suo carissimo amico Iman, di cui aveva perso, con enorme rammarico, le tracce.
Un assolato e caldissimo pomeriggio estivo, mentre Kamal si allenava furtivamente con i suoi compagni al suo solito “quasi “ tennis, fu notato giocare da Habib (amico), uno dei pochi soci aristocratici di buon cuore del circolo. Habib rimase incredibilmente impressionato dall’ abilità di Kamal nel ribattere la pallina dall’altra parte della rete, malgrado utilizzasse uno strumento che lo costringeva a sfidare ogni volta le leggi della fisica e decise di regalargli una sua vecchissima racchetta di legno. Kamal lo ringraziò in ginocchio piangendo dalla felicità e dall’emozione e decise di provare subito la sua nuova “arma “. Naturalmente con il suo fenomenale “nuovissimo “ strumento al ragazzo riuscirono subito delle nuove e più incredibili giocate e Kamal stupito e meravigliato dall’istantaneo miglioramento del suo gioco, eccitatissimo, continuò a giocare senza accorgersi dell’arrivo dei custodi del campo che lo picchiarono a sangue per punire il suo comportamento incredibilmente arrogante e irrispettoso delle regole del circolo e gli spaccarono la racchetta i mille pezzi. Kamal scoprì quel giorno, una volta ancora di più, quanto può essere ingiusta e crudele la vita. Ma non perse il suo sorriso e il suo naturale ottimismo e continuò imperterrito i suoi allenamenti segreti a “ quasi “ tennis. Quando aveva ormai quasi sedici anni fu notato per caso allenarsi da un dirigente della federazione del suo Paese in visita al suo circolo, che decise immediatamente di parlare alla dirigenza del club perché a quel ragazzo, straordinariamente dotato e
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In poco più un anno raggiunse il livello dei più forti giocatori del suo Paese, tanto che la federazione decise di premiarlo iscrivendolo al torneo di Wimbledon juniores. sempre sorridente, doveva essere data la possibilità di allenarsi sul serio. Kamal ovviamente apprese la notizia con incredibile felicità e comincio finalmente ad allenarsi seriamente a tennis. In poco più un anno raggiunse il livello dei più forti giocatori del suo Paese, tanto che la federazione decise di premiarlo iscrivendolo al torneo di Wimbledon juniores. Kamal non stava nella pelle al pensiero di poter calcare i campi del tempio mondiale del tennis ed era incredulo alla notizia che la federazione gli avrebbe offerto gratuitamente il biglietto aereo e addirittura anche il soggiorno in albergo. Quando sbarcò, entusiasta, in terra inglese , si accorse, però, che c’era un piccolo problema: l’albergo era pagato, ma non erano compresi i pasti e lui non aveva praticamente soldi. Come se non bastasse il suo incontro era in programma tre giorni dopo. Kamal aveva un naturale e forte senso
della dignità e non disse niente a nessuno. Così si ritrovò in campo, tre giorni dopo, fisicamente completamente svuotato e non riuscì a vincere nemmeno un gioco. Ma neanche questa volta Kamal perse il suo ottimismo e il suo sorriso e tornato in patria continuò ad allenarsi sognando di poter un giorno tornare a calcare i campi di Wimbledon con maggior fortuna e magari nel torneo senior. Ma la malasorte non voleva proprio lasciarlo in pace e quando ormai aveva raggiunto il livello per giocare la coppa Davis per il suo Paese, scoppio la guerra civile e il potere fu assunto da forze governative assolutamente reazionarie e anti-occidentali che vietarono anche la pratica del tennis visto come sport consumistico e filo-americano. Per quasi altri tre anni Kamal non potè giocare a tennis, come se non fossero bastati tutti gli anni persi nella sua giovinezza…
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Ma anche questa volta non perse il suo ottimismo e il suo sorriso e continuò a sognare di poter fare nella vita quello per cui sentiva di aver talento e una smisurata passione: il tennista professionista. Così un giorno riuscì a racimolare ben… 200 dollari e un biglietto navale e partì per l’Europa in cerca di un nuovo inizio. Arrivò in Francia, a Nizza, e si accorse subito che con i suoi pochi spiccioli non avrebbe potuto sopravvivere che qualche giorno. Passeggiando spaesato per la città passò davanti al Casinò e in lui balenò l’idea di tentare la sorte per cercare di moltiplicare il suo misero bugdet … ma perse tutto ! Anche questa volta la vita sembrò voltargli le spalle e si ritrovò disperato, senza un soldo e senza cibo a dormire all’aperto. Questa volta Kamal sentiva di essere veramente in una situazione senza speranza e senza via d’uscita, solo, senza soldi, senza lavoro, senza visto di soggiorno in una nazione che non conosceva e senza la conoscenza della lingua locale Il giorno seguente Kamal camminava disorientato per le strade della città e incredibilmente si imbattè in Rashid (coraggioso) un suo vecchio amico che aveva conosciuto qualche anno prima nel suo Paese e che aveva trovato lavoro da poco in Francia.
Rashid prese a cuore le sorti di Kamal e lo presentò al presidente del circolo tennis locale proponendolo come maestro. Kamal riuscì così ad avere un permesso di soggiorno di altri sei mesi e cercò di sbarcare il lunario con le poche lezioni di tennis che riuscì a fare. Allo scadere dei sei mesi Kamal aveva una sola opportunità per cercare di prolungare il suo soggiorno in terra francese : dichiararsi esule politico. Ma a lui non era mai interessata la politica ed aveva troppa dignità per mentire. Così decise di scappare a Parigi per continuare a rincorrere il suo sogno tennistico. Nella capitale su un autobus incontrò Fariba (affascinante) una bellissima ragazza di origini iraniane che lavorava come segretaria in un ufficio poco distante. Kamal sentì di essersi innamorato all’istante e si avvicinò a lei con i suoi occhi
sorridenti che continuavano , malgrado tutto, ad esprimere gioia e rispetto per la vita e per gli altri. Fariba comprese immediatamente che quell’uomo era diverso da tutti gli altri che aveva conosciuto nella sua vita, meravigliosamente diverso… La vita di Kamal con l’amore cambiò in meglio e, anche se ormai alla soglia dei trent’anni, riuscì finalmente a coronare il suo sogno di diventare un tennista professionista. La sua storia, però, commosse tutti i suoi colleghi, che riconobbero tutti che Kamal, senza quella vita così difficile che aveva saputo con grande forza e dignità attraversare, sarebbe diventato un campione del loro sport.
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Ricorda sempre che la vita è un dono meraviglioso e non è importante se si vince o si perde , l’importante è continuare sempre e comunque a giocare e a sorridere … Per questo motivo a fine carriera Kamal fu invitato a giocare alla pari dei grandi campioni del passato nel senior tour e ancora oggi gira il mondo insieme alla sua famiglia soggiornando in alberghi a cinque stelle ( questa volta con vitto pagato ), dispensando giocate incredibili e il suo meraviglioso sorriso a tutti quelli che hanno la fortuna di vederlo giocare e a cui ricorda sempre che la vita è un dono meraviglioso e non è importante se si vince o si perde , l’importante è continuare sempre e comunque a giocare e a sorridere … Liberamente ispirato alla vita del mio tennista preferito: Mansour ( protetto da Dio) Bahrami a cura di Andrea Guarracino
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Le perle mancanti I tabù dei grandi campioni Nel corso degli anni, a volte per questioni finanziarie, altre per fattori legati all’esplosione o al declino di campioni nei diversi paesi, la geografia dei due circuiti a livello mondiale è cambiata parecchio e di conseguenza le perle mancanti hanno cambiato nome e luogo. In ogni caso, come vedremo, nessuno (o quasi) è riuscito a completare l’album delle figurine. Maestro senza laurea – Per uno che ha centrato non una bensì due volte il Grande Slam, parlare di lacune nella vetrinetta dei trofei è quantomeno azzardato. Eppure, al grandissimo Rod Laver sarà capitato diverse volte di ripensare alle due finali perse contro Ken Rosewall a Dallas, nel biennio 1971/72. In entrambe le occasioni erano in palio un bel gruzzolo di dollari e il titolo di maestro del circuito WCT, quello del petroliere Lamar Hunt, che all’epoca riuniva tutti i migliori giocatori in circolazione. Il “razzo” di Rockhampton ebbe poca fortuna anche con il Master del Grand Prix: in occasione della sua unica partecipazione, quella relativa alla prime edizione che si svolse al Metropolitan Gymnasium di Tokyo, l’australiano chiuse il round-robin con le stesse vittorie di Stan Smith (4) ma finì alle spalle dello statunitense in quanto perse proprio il confronto diretto.
Quali sono i grandi tornei che mancano nelle prestigiose collezioni private dei campioni e delle campionesse che hanno fatto la storia del tennis nell’Era Open? E, soprattutto, c’è qualcuno tra costoro che può legittimamente dichiarare: io ho vinto tutto? Prima di individuare e analizzare i tabù dei più grandi tennisti degli ultimi 45 anni, è opportuno precisare che non tutti i francobolli hanno lo stesso valore. Non ci sono dubbi, infatti, che al momento attuale i quattro slam siano in cima alla lista dei desideri di chiunque maneggi una racchetta con una certa ambizione mentre, tanto per fare un esempio, la Coppa Davis sembra aver perso buona parte del suo fascino e della sua importanza. Tuttavia, solo tre decenni fa il prestigio che un giocatore ricavava alzando l’insalatiera era assai superiore a quello che otteneva aggiudicandosi gli Australian Open, per lungo tempo definiti a giusta ragione “la gamba zoppa dello Slam”. La situazione è analoga se rapportata ai tornei di seconda fascia, quelli che adesso sono i Masters 1000 per l’ATP e i Premier Mandatory per la WTA.
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Jimmy Connors ha sempre mostrato scarsa dimestichezza quando si è trovato a calpestare la terra rossa. Il 1974 di Jimbo – Come molti suoi connazionali, anche Jimmy Connors ha sempre mostrato scarsa dimestichezza quando si è trovato a calpestare la terra rossa. Eppure ai French Open, su un totale di tredici partecipazioni, il mancino di Belleville ha raggiunto quattro volte le semifinali e altrettante i quarti, a dimostrazione di una certa competitività. Ecco perché nel 1974, la sua annata migliore quanto a prestazioni negli slam, avrebbe anche potuto fare meglio se l’ATP non gli avesse impedito di scendere in campo al Roland Garros in quanto iscritto al World Team Tennis, l’associazione “rivale”. In quella stagione Jimbo si aggiudicò Australian Open, Wimbledon e US Open e rimarrà sempre il dubbio di cosa sarebbe accaduto se gli avessero consentito di gareggiare anche a Parigi.
Dieci anni dopo invece… - …il teatro è lo stesso ma cambiano gli attori. A giocarsi la finale del Roland Garros sono infatti John McEnroe, guarda caso americano e mancino, e Ivan Lendl; il cecoslovacco dalle guancie scavate è alla quinta finale in uno slam e le quattro precedenti le ha perse, tanto da far dubitare sulla sua reale tenuta psicologica nei momenti importanti. McEnroe, già plurititolato a Wimbledon e Flushing Meadows, sta disputando di gran lunga la sua miglior stagione e sente di poter sfatare finalmente il tabù della terra europea e riportare negli States la coppa dei moschettieri quasi tre decenni dopo l’ultima volta, quando ci riuscì Tony Trabert. Johhny Mac domina i primi due set e sale 42 nel quarto (dopo aver ceduto il terzo) ma alla lunga la pazienza e la preparazione fisica di Lendl avranno la meglio e l’americano vedrà sfumare la possibilità di
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Proprio con la demolizione del sogno di McEnroe, Ivan lendl fece il suo ingresso trionfale nel tennis degli eletti
conquistare l’unico grande torneo che manca al suo ricco repertorio. È vero: McEnroe non ha mai vinto nemmeno a Melbourne ma nel suo tempo in Australia ci si andava alla fine della stagione e c’è da giurare che, in quell’orwelliano 1984 in cui dominò la scena, se John avesse avuto in tasca ¾ di Grande Slam sarebbe certamente andato a calpestare l’erba del Kooyong con ottime probabilità di suggellare la stagione perfetta. Chi la fa l’aspetti – Proprio con la demolizione del sogno di McEnroe, Ivan lendl fece il suo ingresso trionfale nel tennis degli eletti e alla fine della carriera arrivò a giocare 19 finali in un major, vincendone 8 che, sommati agli altri 86 tornei conquistati, ne fanno il secondo nella classifica all-time dei trofei alzati. Eppure, siamo quasi certi che Ivan avrebbe barattato diverse di queste coppe con l’unica che non ha mai potuto toccare: quella di Wimbledon. Nell’intenzione di adattare il suo gioco all’erba inglese, Lendl (che pure si impose due volte al Queen’s, nel biennio 1989/90) arrivò perfino a saltare due edizioni consecutive del Roland Garros (torneo in cui partiva sempre tra i grandi favoriti) per allungare il periodo di allenamento sui prati. Ma, forse anche perché le sue stagioni migliori erano ormai passate, il sacrificio si rivelò del tutto inutile: nel 1990 venne sconfitto in semifinale da Edberg mentre l’anno dopo si fece sorprendere addirittura al terzo turno da Wheaton. Così, per il futuro coach di Murray, i risultati migliori a Church Road rimangono le finali del 1986 e 1987, in cui però non raccolse nemmeno un set rispettivamente contro Becker e Cash.
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Terra bruciata – Come McEnroe, ecco altri due campioni a cui la terra rossa ha negato la gloria eterna. Per uno, Boris Becker, è stato proprio un tabù assoluto; per l’altro, Stefan Edberg, è stato invece la negazione del Career Grand Slam. Il tedesco, che a Parigi in nove partecipazioni ha raggiunto tre volte le semifinali, ha chiuso la carriera con 49 titoli in bacheca, nessuno dei quali però ottenuto sul mattone tritato, che l’ha respinto sei volte in finale. Di queste, tre particolarmente combattute a Montecarlo nel 1989 (7-5, 2-6, 7-6, 7-5 con Alberto Mancini), 1991 (5-7, 6-4, 7-6, 7-6 con Sergi Bruguera) e 1995 (4-6, 57, 6-1, 7-6, 6-0 con tanto di doppio fallo sul primo dei due match-ball avuti a disposizione e sprecati), mentre nel 1990 ad Amburgo e nel 1994 a Roma perse netto con Aguilera e Sampras. Boris fece un ultimo tentativo di
colmare la lacuna recandosi a Gstaad nel ’98, per la prima volta in carriera, ma anche lì, pur dopo aver sconfitto Mantilla e Rios, trovò uno specialista (Corretja) che gli sbarrò strada sul traguardo. Depositario di un gioco offensivo che ancora, negli anni a cavallo fra gli ‘80 e i ‘90, non doveva fare i conti con l’uniformità delle superfici di gioco e il progresso tecnologico di palline e racchette, Stefan Edberg riuscì a conquistare tre titoli sul rosso (Madrid, Amburgo e Gstaad) e chiudere la carriera con un più che dignitoso bilancio di 138 vittorie e 64 sconfitte su quella superficie. Tuttavia, per l’elegante scandinavo la più grande amarezza fu presumibilmente la sconfitta patita nella finale dei French Open 1989, quando si trovò avanti due set a uno ed ebbe dieci palle-break non sfruttate nel quarto contro Michael Chang. Alla fine perse 6-2 al quinto e, con i doppi successi rimediati agli Australian Open, Wimbledon e US Open, Parigi per lui rimase una chimera. Altri due svedesi – Oltre a “Stefanello”, la Svezia ha partorito altri due numeri uno del mondo: Borg e Wilander. Simili nel modo di intendere il tennis, Bjorn e Mats ebbero però due appuntamenti diversi che finirono per respingerli sempre. Borg, che trionfò sei volte al Roland Garros e cinque consecutive a Wimbledon, non ebbe praticamente mai la spinta per recarsi in Australia alla fine dell’anno in quanto New York gli fu sempre ostile. L’orso frequentò il major statunitense sia a Forest Hills che a Flushing Meadows e su tre diverse superfici ma dovette accontentarsi, si fa per dire, di
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quattro finali, tutte perse. La prima, sulla terra verde nel 1976, e la seconda, sul cemento nel ’78, per mano di Connors; la terza e la quarta invece (1980/81) lo videro sconfitto da McEnroe. Wilander invece ha distribuito i suoi sette titoli dello slam su tre diverse superfici ma, pur avendo vinto due volte a Melbourne quando ancora si giocava sull’erba (1983/84), a Wimbledon non è mai andato oltre i quarti di finale (conquistati in tre occasioni consecutive dal 1987 al 1989) in quello che resta l’unico major mancante nel suo palmares.
Assai più variegata è invece la collezione di Andre Agassi, capace di aggiudicarsi almeno uno dei suoi 60 titoli complessivi per ben 18 anni su 19 (dal 1987 al 2005 con la sola eccezione del 1997!): un record invidiabile, ancora più significativo se si considera che Agassi ha conquistato almeno una volta ciascun major, il Master (o ATP Finals che dir si voglia), la Davis e l’oro olimpico. Allora: è lui l’uomo senza macchia e senza paura? A una prima visione, sembrerebbe di sì anche perché scorrendo la lista dei trofei troviamo i quattro Masters 1000 sul cemento americano, i due indoor autunnali (Bercy e Madrid, che all’epoca non si era ancora trasferito alla Caja Magica) e perfino Roma. Dato però che ci siamo assunti il gravoso compito di fare le pulci ai campioni, rileviamo che i due
Terra bruciata (2) – Ci risiamo! Altri due grandissimi, guarda caso americani, che hanno chiuso le rispettive immense carriere con un neo “rosso”. Molto più evidente quello di Pete Sampras, padrone assoluto di erba e cemento, che ha provato inutilmente ad esorcizzare Parigi. C’era quasi riuscito nel 1996 quando in semifinale incappò nel russo Kafelnikov, un tipo che l’avrebbe battuto appena due volte in tredici confronti diretti ma una di quelle fu proprio quel giorno: 7-6, 6-0, 6-2 e per Pete il sogno del Roland Garros rimase tale.
(piccoli) nei del signor Graf sono Montecarlo e Amburgo, tornei ai quali Agassi ha preso parte saltuariamente e molto spesso con scarsa convinzione: mai oltre il terzo turno in quattro presenze nel Principato e un solo quarto di finale su cinque partecipazioni in Germania. Vedremo però che nessuno, nemmeno tra i fuoriclasse ancora in attività, può finora vantare un palmares così completo. Tra i due litiganti… - E siamo alla rivalità per antonomasia, quella tra Federer e Nadal (citati in questo ordine, alfabetico, per non urtare la suscettibilità dei tifosi dell’uno o dell’altro…). Pur essendo in lizza entrambi per aspirare al titolo di
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Aver interrotto giusto un anno fa il dominio di Nadal a Montecarlo può aver rinnovato la fiducia del serbo, che ha i numeri per fare il colpaccio. Oltre al Roland Garros, l’altro trofeo eccellente solo sfiorato da Djokovic è quello del Masters 1000 di Cincinnati; in Ohio quattro finali perse (due con Federer, altrettante con Murray) e tanta voglia di riscatto. “migliore dell’Era Open” e ancora in grado di colmare le rispettive lacune, Roger e Rafa al momento presentano ancora qualche fastidioso zero nelle colonne dei trofei che contano. Completato il poker dei major (a Parigi nel 2009 Federer, l’anno dopo a Flushing Meadows Nadal), i due si sono tolti a vicenda l’opportunità di riempire alcuni significativi spazi vuoti: l’iberico ha impedito allo svizzero di conquistare Montecarlo e Roma (battendolo cinque volte in finale) e viceversa se Nadal non ha ancora vinto il Master lo deve in buona parte ai tre ko patiti contro Federer (due semifinali e una finale). Oltre alle questioni interpersonali, ce ne sono altre che invece hanno cause diverse. Federer non ha mai vinto la Coppa Davis (anche se quest’anno sembra intenzionato ad andare fino in fondo) e l’oro alle olimpiadi: Nadal invece è ancora a secco nei
Masters 1000 di Miami e Shanghai (quattro finali complessive, di cui due perse con Davydenko). …il terzo gode – Il terzo non poteva essere che Novak Djokovic. L’obiettivo stagionale del serbo è chiaramente il Roland Garros, torneo che lo ha visto quattro volte semifinalista e una volta finalista. Da quando si è presentato la prima volta al Bois de Boulogne (era il 2005), Nadal ha lasciato agli altri una sola possibilità di alzare la coppa dei moschettieri; era il 2009, il campione in carica perse con Soderling e alla fine ad approfittarne fu Federer. Quell’anno Djokovic perse addirittura al terzo turno da Kohlschreiber ma in seguito il rendimento di Nole sulla terra parigina è lievitato e proprio nell’edizione 2013 Djokovic ha avuto parecchio da recriminare per la rocambolesca sconfitta al quinto set contro Rafa.
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La bellezza Moda nel tennis o tennis alla moda?
professione; e le sportive lo sanno bene. In particolar modo le tenniste. Le signore del tennis tuttavia, per anni si sono nascoste dietro look pratici e di impostazione decisamente maschile. Probabilmente troppi. Finché un giorno (per esattezza a partire dalla fine degli anni ’90), l’importanza estetica ha assunto un ruolo centrale, anche nelle realizzazioni di chi si prodigava per l’immagine delle paladine della racchetta (e pensare che neppure troppo tempo prima, l’avvenuta conquista dei pantaloncini legata all’altra metà del circuito, quella rosa, era stata “santificata” dalla Navratilova come un vero e proprio trionfo, un’acquisizione concreta di quello che veniva visto come una tassello aggiunto alla
I due mondi sono da sempre correlati. È possibile affermarlo perché, sin dagli inizi, non sono state di certo poche le occasioni che hanno confermato il loro reciproco influenzarsi. Basti pensare ai conosciutissimi gilet con lo “scollo a V” della Sergio Tacchini; o al tessuto Jersey Petit Piqué, ideato mirabilmente da René Lacoste per i suoi colleghi, negli anni ’30. Con il passare del tempo, per di più, tutti i brand sportivi hanno fatto a gara nel creare completi alla moda, capaci di valorizzare finemente i corpi statuari degli atleti. Quelli femminili soprattutto. Perché sentirsi belle, è un’acquisizione che va oltre la propria 116
Andando avanti con i cicli, i confini tra la “passerella” e le “linee del campo” sono andati sempre più assottigliandosi tanto inseguita “parità dei sessi”).
Parole d’amore le sue. Di attrazione e richiamo, verso uno stile che l’ha portato a trascinare all’interno del suo atelier nomi come quelli della Seles, della Vinci, o della Errani, con l’intento di mixare nei suoi seguitissimi eventi, il “far tendenza” in modo popolare, con il “movimento”. E che dire piuttosto della collezione creata dalla Hingis per l’azienda canadese Yonic Lifestyle Apparel? O della collaborazione di Stella McCartney con il marchio tedesco Adidas? «Volevo cambiare quello che vedevo», ebbe modo di spiegare la figlia del baronetto della pop music. «Le nuance erano troppo basic e non c’erano molte variazioni riguardo i temi toccati. Ho intravisto una reale opportunità di rimediare, mettendomi all’opera con tecnologie
I confini son saltati Cos’è cambiato allora in così poco tempo? Come siamo tornati alla “tennista-donna e con la gonna”? La verità è che andando avanti con i cicli, i confini tra la “passerella” e le “linee del campo” sono andati sempre più assottigliandosi; e l’hanno fatto fino al punto in cui i due entourage, sono poi divenuti l’uno il trampolino di lancio dell’altro. Sarà un caso? No di certo. E Giorgio Armani è tra coloro che si sono affannati per far sì che non lo fosse. «Fragilità, coraggio, grazia e forza bruta; tutte miscelate insieme. Questo è il modo in cui vedo questa disciplina». 117
C’è chi preferisce dedicare più tempo alla chioma, chi ai vestiti, chi al make up. Dal rimmel al lucidalabbra, il trucco è tangibile e complice amico.
Semplice rivendicazione delle proprie capacità di stilista, o nascita di un vero e proprio settore a se stante? Presumibilmente entrambi. Ma da quanto è facile intravedere, la prima delle due opzioni è quella che risulta potenzialmente più papabile (e lo è non tanto per puro narcisismo professionale, quanto per una sana e sentita appartenenza di genere, a cui il gentil sesso è ancorato sin dal principio). L’essere donne d’altra parte è un vero e proprio esercizio quotidiano: mantenersi gradevoli prima di tutto! E ognuna lo fa a modo suo. Con i propri segreti. C’è chi preferisce dedicare più tempo alla chioma, chi ai vestiti, chi al make up. Dal rimmel al lucidalabbra, il trucco è tangibile e complice amico. Trucco? Che sia waterproof L’unico consiglio? Che sia waterproof. Molte le società produttrici, madrine di prodotti mirati. Dalla Shiseido, alla Max Factor, passando per la Kiko e il suo caleidoscopio di tinte e guide piene di suggerimenti disponibili online. Per non parlare dell’infinità di creme e protezioni, praticamente indispensabili per chi (facendo parte del circuito), viene esposta ai raggi solari la bellezza di dieci se non undici mesi l’anno.
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Un eccesso invadere di creme e rimmel la sacralità dei minuti che precedono il match? Non si direbbe, e le mura degli spogliatoi WTA ne sanno qualcosa. A dimostrarlo, il numero sempre più crescente di “punti beauty” messi a disposizione delle atlete. Per alleviare lo stress pre e post partita difatti, ci sono diverse modalità: massaggi alla testa, al viso, shampoo, pettinature up to date… Squadre complete di “professionisti dell’avvenenza”, si prestano (oramai giornalmente), al soddisfacimento di ogni piccolo capriccio che passi per la testa delle campionesse in giro per il mondo. Presentarsi in campo con un aspetto
curatissimo difatti, sembra esser diventato oggi un vero e proprio must. Le acconciature all’ultimo grido (oltre che a rendere autentiche icone di bellezza), vengono sfoggiate più che volentieri durante gli incontri; oltre che per le loro qualità pratiche, anche per quelle valorizzanti e (perché no) confortevoli. «Mi gratifica avere i capelli lunghi fuori dal campo. Per questo quando gioco opto per un’annodatura multipla costruita su più basi. Divido i miei capelli in tre piccoli insiemi e poi li uso per farne una sola». Alla russa Maria Kirilenko, piace vedersi così. A lei, all’Azarenka, alla Wozniacki… Mentre quella più famosa, la trecciona della Kournikova? Insomma, alta, bassa, tenuta da fascetta o semplicemente abbozzata… tra colpi e contraccolpi, la treccia ha fatto il suo ingresso prepotente nel circuito. Ed è un’alleata. Soprattutto se paragonata, in quanto a innovazione, alla coda di cavallo in “stile country”, sfoggiata alla fine degli anni ’70 da Chris Evert (rimasta fra i più solidi evergreen dei giorni nostri). Sorella eccentricità Ma come valutare allora, chi il proprio outfit se lo disegna da sola? “EleVen”, è una marca di abbigliamento creata per la palestra e gli 119
sportivi nel 2007. Venus Williams ne è l’ideatrice. Tonalità fluorescenti, spacchi laterali e design rivoluzionario, la fanno da padrone. Al suo fianco (a spalleggiarla in tema di eccentricità), non poteva mancare ovviamente la complice sorella Serena. Anche lei palesemente patita di passerelle e originalità. A darne conferma, il suo varcare la soglia del rettangolo di gioco (tanto per fare un esempio), con i “Boots”. Una sorta di gambaletti rigidi, da mettere sopra le scarpe. Lucidi e di colore bianco e giallo, oppure nero. Indelebili tanto quanto l’impermeabile e la borsa da passeggio, con cui si è fatta poi vedere in occasione di Wimbledon 2008. Un po’ eccessivi? Forse troppo. Fino a che punto però è lecito spingersi? Insomma, qual è la soglia che porta a confondere il mostrare con l’osare? L’aggraziato con il trash? I buoni conservatori probabilmente, si sarebbero arrestati già sui colori. Tutti gli altri però? In fondo perché non sarebbe giusto guardare oltre?
Oltre la multa stanziata dall’organizzazione degli Open d’Australia nei confronti delle giocatrici che “osano troppo” (ne sa qualcosa l’americana Mattek); o anche oltre i commenti puritani della pluri trionfatrice di Slam Margaret Smith Court? Lei che qualche tempo fa, in un’intervista avrebbe appunto affermato: «Gli stadi di tennis non sono di certo i luoghi adatti per mostrarsi. Non siamo mica in spiaggia. Se si è brave, non c'è bisogno di essere persino appariscenti». L’Era di chi sa osare Ecco. Di ragioni per non scrutare troppo più in là, a quanto pare ce ne sarebbero. E pure tante. Prima tra tutte, il fatto che un campo da tennis
Pnon è un campo da Beach. Oppure che questo è uno sport ricco di fondamenta e (non ultimo) di charme allo stato puro. Solo che il progresso fa parte della nostra storia, del nostro sistema. Una società in cui l’osare è al centro delle dinamiche esistenziali, in cui tale “progresso” si materializza nelle mise incantevoli di Maria Sharapova (esaltate dagli orecchini fatti su misura per lei da Paloma Picasso), o nel sogno di Ana Ivanovic di creare una linea di cosmetici tutta sua; nelle copertine di riviste patinate che non si fanno pregare nel proporre tenniste, o in qualche ingenua sessione fotografica di nudo, alla quale non si è sottratta, 120
Margaret Smith Court: «Gli stadi di tennis non sono di certo i luoghi adatti per mostrarsi. Non siamo mica in spiaggia. Se si è brave, non c'è bisogno di essere persino appariscenti» prima fra tutte, la slovacca Daniela Hantuchova… In fondo, perché no? Che male c’è nell’assecondare i consigli originali, di coloro che si adoperano con tutti loro stessi per cercare di “dettar legge”? La vera femminilità d’altra parte, non si misura in termini di taglia, lineamenti oppure altezza. Una gonnellina o un top provocatori da indossare durante gli incontri, non rendono una donna meno degna di essere definita tale. Fanno solo marketing. E i cromosomi XX lo garantiscono… a cura di Sara Di Paolo
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Gli occhi di Alfonso Elogio dell'umiltà
dentro di me. La partita cambia e riesco a vincerla nettamente al terzo set. Dopo poche settimane Alfonso muore e io mi ritrovo una mattina al cimitero a piangere da solo sulla sua tomba. Gennaio 1998: Sono a Formia sui campi in veloce del Grand Hotel Fagiano dove ho organizzato dei corsi di tennis per ragazzi. Appena finita la lezione mi reco nella hall dell’albergo per prenotare i campi per la settimana successiva. Lì, seduto da solo in un angolo, c’è il grande Mario Belardinelli che sta leggendo il giornale e prendendo un caffè. Vorrei tanto andare a salutarlo ma la mia naturale timidezza e riservatezza mi frena per la paura di disturbarlo. Ho fatto tanti anni prima un provino con lui e penso tra me stesso: “ E’ impossibile che si ricordi di me“. I nostri sguardi s’incrociano per un attimo e il grande Maestro con la sua incredibile sensibilità ed umanità capisce tutto al volo, si alza di scatto e viene a salutarmi. Scopro con piacevole incredulità che si ricordava tutto di me e che seguiva anche la mia carriera di maestro. A quasi ottant’anni il nostro maestro dei maestri mi dà una lezione di umiltà, di umanità e di lucidità che mi lascia ancora oggi senza parole quando ci ripenso. Dopo pochi giorni Belardinelli vola via la notte del 19 gennaio, lasciando nel mio cuore un profondo dolore.
Luglio 1992: Sono al circolo e sto correndo lentamente cercando di riscaldarmi. Pochi minuti dopo sarò in campo per disputare la finale del torneo federale che il mio Club organizza ogni anno. Sono piuttosto teso e preoccupato e cerco di sciogliere la tensione facendo un po’ di ginnastica. Alfonso, l’anziano custode del circolo, una delle persone più umili e gentili che ho avuto l’onore di conoscere nella mia vita, si avvicina a me con il suo passo ormai lento e incerto. Alfonso ha un tumore terminale alla laringe, si ferma vicino a me , mi guarda con i suoi occhi gentili, pieni di sensibilità e di umanità e con l’ultimo filo di voce che gli è rimasto mi sussurra stentatamente: “Andrea, io tifo per te!“. Per l’emozione avverto un improvviso e fortissimo groppo alla gola e riesco a stento a rispondergli: “Grazie Alfonso“. Dopo poco sono in campo per la partita, ma sono ancora troppo teso e sto giocando veramente male. Perdo il primo set e sono indietro 4-1 anche nel secondo. Al cambio di campo seduto sulla sedia mi vengono improvvisamente in mente gli occhi di Alfonso e le sue parole e sento scattare qualcosa
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Novembre 2003: Sono a Cividino con un mio allievo per un raduno dei migliori under italiani. Il direttore tecnico è Renzo Furlan, ex numero 19 ATP, che non avevo avuto mai il piacere di conoscere di persona. Alla fine del raduno, io e il mio allievo stiamo per partire ed io volevo salutare Furlan con cui avevo avuto l’onore di fare alcune riunioni insieme ai maestri degli altri ragazzi convocati. Lo cerco e lo scorgo dalla vetrata del ristorante seduto a tavola di spalle a me intento a consumare il suo pranzo. Anche questa volta mi blocco fuori dall’entrata del ristorante per paura di disturbarlo. Furlan gira improvvisamente la testa all’indietro, quasi come se avesse avvertito la mia presenza alle sue spalle, legge nel mio volto la mia titubante volontà, si alza di scatto, mi viene incontro, mi porge la mano tesa e mi dice deciso: “Onorato di
averti conosciuto!“. Io, sorpreso da una così fulminea dimostrazione di sensibilità e di umiltà, riesco appena a rispondere: “Onorato io!“. Nel corso della mia carriera di insegnante di tennis ho sentito centinaia di maestri e giocatori formulare la propria teoria su quale sia la qualità determinante per diventare dei campioni del nostro sport. Alcuni si sono soffermati ad evidenziare gli aspetti tecnici, altri gli aspetti tattici, altri ancora quelli atletici o mentali. Ognuno di loro ha evidenziato, secondo me, solo una parte della verità. Per me la qualità fondamentale è possedere, e soprattutto riuscire a conservare, la necessaria dose di umiltà e di semplicità senza la quale si è destinati a perdersi durante la difficilissima scalata, vanificando tutte le doti che la natura o Dio, per chi è credente come me, ci ha regalato. Quell’umiltà e quella sensibilità che ho letto negli occhi di Alfonso, di Mario e di Renzo ( a cui auguro ovviamente una vita lunghissima), che ringrazio dal profondo del mio cuore per gli insegnamenti che mi hanno dato. a cura di Andrea Guarracino
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L’UMILTA’ E’ LA VIRTU’ CHE CI PERMETTE DI RAGGIUNGERE LA CONSAPEVOLEZZA DELLA NOSTRA VERA IDENTITA’ NESSUN’ALTRA VIRTU’,SE NON DI PURA APPARENZA. ALLO STESSO MODO,L’UMILTA’ E’ LA DISPOSIZIONE PIU’ PROPRIA PER RICEVERE TUTTI I DONI CELESTI. E’ TANTO NECESSARIA PER RAGGIUNGERE LA PERFEZIONE, E TRA TUTTE LE VIE PER ARRIVARE ALLA PERFEZIONE LA PRIMA E’ L’UMILTA’,LA SECONDA E’ L’UMILTA’, LA TERZA E’ L’UMILTA’.”
A MIO PADRE L’UMILTA’ E’ LA VIRTU’ CHE CI PERMETTE DI RAGGIUNGERE LA CONSAPEVOLEZZA DELLA NOSTRA VERA IDENTITA’, DEI NOSTRI LIMITI (INTESI COME I CONFINI OLTRE I QUALI C’E’ IL PROSSIMO E C’E’ DIO ) E DELLA NOSTRA FORZA ( INTESA COME I DONI E I CARISMI ATTRAVERSO CUI POSSIAMO METTERCI AL SERVIZIO DEL PROSSIMO E DEL DISEGNO DI DIO ). RICERCARE LA VERITA’ SENZA UMILTA’ CI CONDUCE A RAGGIUNGERE SOLO UNA TREMENDA CARICATURA DI ESSA. PER SANT’AGOSTINO “ L’UMILTA’ E’ IL FONDAMENTO DI TUTTE LE VIRTU’, E NELLE ANIME DOVE ESSA NON E’
DEDICATO A MIO PADRE MARIO SCOMPARSO IL 19 MARZO 2012 Andrea Guarracino
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Il tennis nel cuore Le idee più belle passano dagli occhi al cuore senza attraversare il cervello TENNIS CLUB SCAURI ALPHA VIENI AD EMOZIONARTI CON NOI ! Direttore Tecnico: Andrea Guarracino Tecnico Nazionale F.I.T. www.tcscaurialpha.it andreaguarracino@alice.it “CHI HA CUORE VA OLTRE” Pietro Mennea ( 1952-2013 ) 125
Una battuta vincente Con l'aiuto del Mental Coach Mauro Pepe
Come si allena la battuta? Come si rende una battuta efficace e vincente? Esistono molte tecniche di allenamento per la battuta, il mondo del tennis è pieno di allenatori particolarmente bravi e su questo sito trovi alcuni articoli che ne parlano. Ma esistono delle tecniche di allenamento mentale che aiutano a velocizzare il processo di apprendimento, e a rendere la battuta efficace e vincente. Come spiego anche nell'articolo sull'allenamento mentale per il tennista, la battuta è un momento molto delicato dell'incontro e bisogna battere in uno ststo d'animo produttivo per massimizzare il risultato Suddividiamo, dal punto di vista della preparazione mentale, in 3 passi l'azione della battuta: 1. I pensieri e stato emotivo prima di battere 2. La preparazione ( o rituale ) 3. Il gesto tecnico I tennisti professionisti hanno la capacità straordinaria di battere, forte, preciso e in maniera efficace, in qualsiasi momento. Se questo è vero allora perchè ci sono molti errori in una partita? Quale è la causa di poche 1° palle efficaci?
Quando ho iniziato a seguire il tennis ero affascinato dalla classe di Sampras, dalla tenacia di Chang, dalla forza possente di Muster, dalla volèe di rovescio di Edberg, ma io tifavo ( forse influenzato da un amico ) per Agassi, straordinario per le sue risposte "fulmianti". Poi c'erano dei tennisti che presentavano una peculiarità particolare, che gli permetteva di fare la differenza, gli "specialisti della battuta" come Ivanišević, Rusedski e Lendl. Molto bravi su terreni veloci e ai quali era davvero difficile fare un break. Il tennis di oggi è decisamente cambiato, sono cambiate le racchette e la preparazione. I tennisti sono sempre più veloci, resistenti e preparati fisicamente. Ma, il fattore determinante è che tutti, chi più chi meno, lavora sulla battuta per vincere e scalare il ranking.
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Esistono molteplici ragioni che portano all'errore e molto dipende dai pensieri prima di accingersi a servire! La risposta a queste domande sta nei pensieri e nello stato emozionale del tennista prima di battere. Esistono molteplici ragioni che portano all'errore, ad esempio: * Non riuscire a riazzerare dopo un colpo vinto o perso. E quindi trovare difficoltĂ a concentrarsi sul presente. * Pensare a quello che bisogna fare nei prossimi punti, o pensare a cosa potrebbe succedere se vince o perde. O anche preoccuparsi di cosa pensano gli altri di come sta giocando. *Paura di sbagliare * Preoccupazione di non riuscire a trovare soluzioni contro un avversario particolarmente in forma. * Calo di autostima
l secondo passo per una battuta vincente è avere un rituale ( o preparazione alla battuta ) che sia davvero efficace. Il rituale, deve avere le seguenti caratteristiche: * Deve permettere all'atleta di entrare in uno stato d'animo produttivo: forza, sicurezza, grande fiducia in se stesso, etc... * Deve presentare una sequenza di movimenti, semplici, ripetibili e che non durino troppo * Deve permettere di azzerare i pensieri e di fornire un semplice ed efficace comando positivo all'inconscio * Per alcuni tennisti può essere utile immaginare il risultato ( ovviamente positivo e vincente ) della battuta durante il rituale.
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Lo so cosa stai pensando. Bello interessante, ma come posso migliorare la mia battuta? Attraverso l'allenamento mentale. Un insieme di tecniche di visualizzazione, di ancoraggi, e di crescita personale per miglirare la tua autostima e la tua mentalità vincente. Per iniziare posso insegnarti una visualizzazione utile per prendere consapevolezza dei tuoi movimenti nella battuta e propedeutica per l'allenamento mentale.
testa, passando per quelli del busto, le braccia, poi il corpo, le gambe e i piedi. Ora sei pronta/o per effettuare la visualizzazione. Mantenendo gli occhi chiusi …
1° PASSO: RILASSAMENTO Chiudi gli occhi. Respira con il diaframma riempiendo bene i polmoni e in maniera naturale espira. Fallo per qualche volta e mentre respiri in questo modo, svuota la mente da tutti i pensieri e visualizza il tuo corpo che si rilassa, ad ogni respiro si rilassa maggiormente. Partendo dai muscoli della
2° PASSO: CONSAPEVOLEZZA (dissociata ) Continuando a respirare regolarmente e in maniera diaframmale, immagina di vederti proiettato sullo schermo visivo mentre compi il gesto della battuta dalla preparazione fino al colpo della racchetta sulla pallina. Suddividi i momenti: scelta della pallina, palleggio, lancio, corpo che si inarca, e colpo. Per ognuno dei momenti, immagina i muscoli del tuo corpo interessati che si illuminano. Mentre si illumanano, prova la sensazione che in quei muscoli fluisce la tua energia. 3° PASSO: CONSAPEVOLEZZA (associata) Continuando a respirare regolarmente e in maniera diaframmale, ora immagina di entrare nel tuo corpo e vivere in prima persona l'esperienza della battuta dalla preparazione fino al colpo della racchetta sulla pallina. In questa parte della visualizzazione, per ognuno dei momenti, immagina e prova fisicamente la sensazione che i muscoli del tuo corpo interessati nel movimento si illuminano. 129
Esistono delle tecniche di allenamento mentale che aiutano a velocizzare il processo di apprendimento, e a rendere la battuta efficace e vincente. Questo è il momento di concentrarti sulle tue emozioni, sulle sensazioni corporee, ecc... 4° PASSO: RITORNO ALLA REALTA’ Concentrati nuovamente sul respiro e sentiti sereno/a e rilassato/a. Quando ti senti pronto/a apri gli occhi, e complimentati con te stesso/a per il lavoro splendidamente eseguito. Questa visualizzazione è di preparazione per l'allenamento mentale. Infatti, ti aiuta a prendere consapevolezza del tuo corpo su movimento del gesto tecnico in questione. Per l'allenamento mentale vero e proprio, è necessario calibrarlo sulle caratteristiche specifiche dell'atleta e in base ai suoi obiettivi. Mauro Pepe - Mental Coach www.vinciconalmente.it 130
La Floriterapia La Floriterapia è uno strumento eccezionale che permette all’Atleta di trovare, e mantenere, l’Equilibrio psico-fisico, anche sotto forte stress. reazioni alla malattia e sugli stati d’animo della persona durante i processi che sta vivendo. I rimedi agiscono sugli stati d’animo. Le essenze ricavate da fiori e piante non hanno effetti collaterali e possono essere associate a qualsiasi altra terapia o medicina in uso. La Floriterapia è riconosciuta dall’OMS dal 1976. La Floriterapia nasce dallo studio della Psiche e si basa sulla creazione di rimedi vibrazionali che hanno la capacità di agire nel profondo, quel profondo che siamo in grado di iniziare ad elaborare. I rimedi floreali sono degli eccezionali integratori psico-fisici. Ciò che ci fa perdere forza, o energia, durante una prestazione è proprio il conflitto psichico che si riversa sul corpo. Andando ad equilibrare la “zona” di conflitto, il corpo risponderà in modo più proattivo, coordinato, energetico. I rimedi possono essere presi durante la giornata e/o durante la gara e/o allenamento, a seconda della necessità. Qui di seguito riportiamo le più frequenti paure e ansie che si verificano durante una competizione: paura di vincere, paura di perdere, paura del giudizio, ansia da prestazione, aggressività eccessiva, non presenza, disorientamento, confusione, scarsa fiducia, pessimismo, rassegnazione, intolleranza, impazienza, superficialità, indecisione, autolesionismo, bisogno di riconoscimento, insicurezza, controllo, paura di perdere il controllo.
Attraverso la Floriterapia è possibile risolvere problemi riguardanti la Psiche e stati d’animo che provocano squilibrio e disarmonia. Aiutano nell’integrazione del lavoro svolto sui vari corpi (fisico-emotivo-mentale), come anche durante la prestazione sportiva per poter competere in equilibrio psico-fisico. La base della Floriterapia di Bach è il principio secondo il quale nella cura di una persona, devono essere prese in considerazione principalmente la prevenzione e la conoscenza dei “disturbi” psicologici, i quali determinano i sintomi fisici (sintomi di qualunque tipo, dai crampi a strappi, ecc.). Il singolo fiore cura la tendenza psicologica che ha causato o può causare un certo malessere fisico. Quando si parla di disturbo psicologico non si intende qualcuno con patologie mentali, ma chiunque di noi; l’essere umano vive perennemente immerso in conflitti, traumi, ecc., che presto o tardi lo porteranno a sviluppare dei sintomi sul corpo fisico. La Floriterapia tiene conto dell’individuo nella sua globalità e unicità. L’efficacia della Floriterapia è data dal fatto che non interviene sulla “malattia” ma sulla persona ammalata, sulle sue
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La Floriterapia nasce dallo studio della Psiche e si basa sulla creazione di rimedi vibrazionali che hanno la capacità di agire nel profondo, quel profondo che siamo in grado di iniziare ad elaborare Grazie alla Kinesiologia è possibile testare, e trovare, il Fiore Integratore per ogni Atleta.
paura invalidante. Per soggetti ipersensibili, che tendono a sviluppare profezie negative che si autodeterminano (immaginare di giocare una partita catastrofica e realizzare tale scenario immaginario). Aiuta a trovare sicurezza e sviluppare consapevolezza. Ad un livello più alto aiuta ad avere fede.
PAURA MIMULUS, paura di vincere / paura di perdere / paura del giudizio Difficoltà ad entrare in gioco, in partita, in lotta. Agitazione nell’affrontare situazioni impegnative. Paura di viaggiare, dell’aereo, del futuro; tachicardia, nervosismo. Per chi si ritrae in difesa pur non essendo la sua naturale propensione tattica. Aiuta ad avere coraggio, ad affrontare le proprie paure, a prendersi la responsabilità della vittoria o della sconfitta entrando in lotta. Aiuta ad imparare ad amare e a dare valore alla propria sensibilità.
CHERRY PLUM, bisogno di riconoscimento / paura di perdere il controllo Per chi è rigido e tende a razionalizzare soffocando la parte intuitiva del gioco. Per chi tende ad avere scatti di ira e violenza improvvisa. Aiuta a lavorare sull’accettazione, sulla spontaneità e naturalezza, nell’utilizzare al meglio le proprie energie psico-fisiche.
ASPEN, ansia da prestazione / eccitazione / blocco / panico / trauma Per paure non definite; angoscia, paura della paura, del nuovo, del cambiamento,
ROCK ROSE, blocco / panico / trauma / disorientamento / confusione Situazioni d’emergenza che provocano panico e terrore ed
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Da prendere prima di andare a dormire in caso di sonni agitati, ad esempio la notte prima di una prestazione importante. Per chi prova c ostantemente paura prima di una gara.. hanno durata limitata. Da prendere prima di andare a dormire in caso di sonni agitati, ad esempio la notte prima di una prestazione importante. Per chi prova costantemente paura prima di una gara, che non gli impedisce di agire ma gli esaurisce molte energie. Aiuta a riattivare l’energia, a superare stati di panico che ci bloccano, a mobilitare un livello di forza molto alto. DEPRESSIONE WILD ROSE, non presenza / disorientamento / superficialità / indecisione Per chi soffre di apatia, rassegnazione senza lotta, mancanza di gioia. Per chi crede che sia tutto inutile. Infelicità, stanchezza. Non si lamenta del suo stato perché lo considera normale. Aiuta a ritrovare interesse e motivazione per il proprio sport. Aiuta a contattare la gioia data dal gioco, a trovare interesse e stimolo. SWEET CHESTNUT, paura di perdere / del giudizio / panico Per quegli atleti che credono di non poter più vincere. Soffrono di esaurimento, malinconia, senso di angoscia. Per chi sente di attraversare una crisi profonda, un tunnel senza uscita. Aiuta ad attraversare il dolore senza arrendersi. Aiuta a ritrovare la fiducia in se stessi; in fondo al tunnel si inizia a vedere la luce. QUI E ORA HONEYSUCKLE, non presenza / solitudine / disorientamento Per chi vive nel passato, per chi ricorda le vittorie passate e non le lascia andare; rimpianti e recriminazioni. Per chi ricorda solo le cose positive e che danno sicurezza. Per chi fatica a vivere il
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presente. Aiuta a stare nel “qui e ora”, a ricordare il passato come parte della propria esperienza senza però continuare a vivere nel passato. WHITE CHESTNUT, autolesionismo / durezza / ossessione Pensieri ossessivi, pensieri più importanti delle azioni, si fissa sui particolari perdendo la visione d’insieme (ad es. perdere un punto a causa di una contestazione e non riuscire più a “ritornare” in partita). Aiuta a ritrovare pace mentale e capacità di controllare i pensieri; aiuta a vivere nel presente.
distratto. “Se faccio errori attiro l’attenzione e sono visto”, “se non apprendo e non evolvo, non devo cambiare la mia vita col rischio di non essere accettato e visto”. Aiuta a sfruttare al meglio le situazioni di gioco, a vivere le esperienze come qualcosa di arricchente indipendentemente dal risultato, aiuta a far tesoro degli errori per poter evolvere il proprio gioco.
CHESTNUT BUD, ansia da prestazione / disorientamento / confusione / autolesionismo Non evolve gli errori commessi e tende a ripetere gli stessi schemi “perdenti”, poca umiltà, disattento e
STANCHEZZA OLIVE Questo rimedio è consigliato nelle forme di stanchezza psicofisica, dopo una malattia o in periodi di convalescenza. INCERTEZZA WILD OAT, non presenza / disorientamento / confusione Per chi si sente frustrato per ambizioni del passato non raggiunte, non realizzato e insoddisfatto, incerto sul da farsi, vive nel dubbio e nel conflitto. Ha talento, curiosità, molti interessi, ma è inconcludente ed un eterno adolescente. Aiuta a trovare la propria strada ed il proprio talento, a fare chiarezza. SENSI DI COLPA PINE, paura di vincere / paura del giudizio / paura di perdere il controllo / senso di colpa / autolesionismo Insoddisfazione peri risultati ottenuti, senso di inadeguatezza, autocritica, limitazione del proprio potere e della forza personale; per chi cade spesso in infortuni. Aiuta ad esprimere tutto il nostro potenziale, potere e forza. Libera energia.
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CRUB APPLE, senso di colpa / ossessione / blocco Ossessionato dalla perfezione (completino, racchetta, corda, ecc.) per nascondere un senso di colpa ed inadeguatezza. Tende a perdersi nel dettaglio non afferrando la visione d’insieme del match. Aiuta a vedere le cose nella giusta prospettiva e ad ampliare la visione di gioco, aiuta ad uscire dalle dipendenze e dall’ossessività.
che sulla prestazione (che è sotto il nostro governo); perfezionista segue rigide regole. Aiuta a contattare il piacere del “viaggio”, del match; porta ad essere più tolleranti con se stessi. IMPAZIENZA IMPATIENS, paura di perdere il controllo / aggressività eccessiva Adrenalinico, difficoltà a stare fermo, difficoltà a collaborare con gli altri (senso di squadra); per chi fatica a “vedere” la soluzione tattica di un match, impulsività. Aiuta a riacquistare il controllo di se stessi, a prendersi del tempo per riflettere, ad avere chiara visione. E’ utile per dolori muscolari, crampi, per una azione antiinfiammatoria.
POLARITA’ SCLERANTHUS, agitazione / eccitazione / indecisione Per chi ha mancanza di equilibrio e coordinazione psicomotoria; non sa mai decidersi tra due cose (ad es. se difendersi o aggredire durante un match); sbalzi d’umore; tende ad accusare ogni giorno un sintomo diverso; fragilità nervosa. Aiuta a trovare equilibrio e coordinazione; maggiore decisione tra le alternative. ROCK WATER, controllo / durezza / intolleranza Per chi è molto rigido e tende all’auto-repressione; mai soddisfatto ed intransigente; testardo, intollerante rispetto ai cambiamenti o alle aspettative (durante la gara); più orientato sul risultato (che è una conseguenza della prestazione)
EGOCENTRISMO
WATER VIOLET, solitudine / non presenza / blocco Solitudine volontariamente cercata ma poco costruttiva, senso di superiorità, orgoglio (difficoltà a lasciar entrare i consigli), distacco dagli elementi della squadra in quanto considerati inferiori; incapacità a confrontarsi, ad accettare lo scambio e la condivisione, mancanza di umiltà. Aiuta a demolire le barriere che tengono isolati, ad accogliere gli altri ed i suggerimenti, a lavorare sull’umiltà. Aiuta in caso di dolori ossei o muscolari. FRAGILITA’ AGRIMONY, paura di vincere o di perdere / paura di perdere il controllo / scarsa fiducia / ansia da prestazione Vuole che tutto scorra liscio e senza
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scosse, inquieto, fa di tutto per mascherare le paure, inquieto, dipendente, terrore di essere visto veramente, paura di mettersi in gioco. Aiuta a non perdere energia nel sostenere una “maschera” e a lasciar andare l’idea di chi dovrebbe essere, a prendersi la responsabilità di se stesso e della propria verità, a sdrammatizzare. CENTAURY, insicurezza / dipendenza / ansia da prestazione Volontà debole, influenzabile, chi non riesce a farsi valere (ad es. subisce il comportamento scorretto dell’avversario), subisce la personalità dell’avversario; umile ma non fa ciò che vuole. Aiuta ad imporre la propria volontà in campo prendendosi la responsabilità di giocare la partita al proprio meglio; aiuta a conquistare fermezza lasciando andare i giudizi degli altri.
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WALNUT, insicurezza / disorientamento Incostante, rinuncia alla lotta, ipersensibile, rifiuto, difficoltà ad adattarsi, bloccato dal passato. Sostiene i cambiamenti, a lasciar andare il passato e ciò che del passato non ci serve più, aiuta a risolvere i conflitti in campo, ad andare verso il proprio obiettivo senza farsi influenzare dall’opinione degli altri. RABBIA HOLLY, paura del giudizio / rabbia / odio / aggressività eccessiva / frustrazione / gelosia Pensa che gli altri siano migliori, sospetta che tutti complottino alle sue spalle, permaloso. In situazioni di gara tende ad essere rabbioso e poco lucido, pur temendo il giudizio altrui. Aiuta a fidarsi del prossimo (allenatore, compagni di squadra), aiuta a
lasciar andare la frustrazione conquistando maggior lucidità verso se stessi e gli altri. WILLOW, autocommiserazione / autolesionismo / frustrazione / paura del giudizio Si sente bersagliato dalla sfortuna, incolpa tutto e tutti, fatica ad assumersi le proprie responsabilità, non perdona, non lascia andare, trattiene e implode; ha una visione distorta della realtà, chiede molto senza dare, si lamenta. Aiuta a lavorare sul senso di responsabilità, ad avere una visione più chiara e realistica. Lavora sull’ottimismo ed aiuta ad analizzare le sconfitte in modo costruttivo. ASPETTATIVE DI FALLIMENTO LARCH, paura di vincere / paura di perdere / frustrazione / ansia da prestazione / non presenza / indecisione. Non si mette neanche in partita perché si aspetta il fallimento, rimane sulle esperienze negative vissute in passato e non pensa di poter migliorare, non si sente mai all’altezza, non si confronta. Aiuta a sviluppare capacità inutilizzate, a lasciare idee fisse limitanti. Aiuta ad affrontare la partita vivendola passo passo con una visione più ampia su come risolvere le difficoltà e i problemi man mano. PATOLOGIE DEL LEADER ELM, paura di vincere / Blocco / panico / paura di perdere il controllo Pensa di non farcela, sovraccarico, si sente crollare anche davanti ad impegni volontariamente presi per troppe responsabilità. Sensazione di non riuscire a
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concludere la partita o il torneo; non si sente all’altezza della prestazione. Persona coraggiosa ed efficiente che si sente crollare. Aiuta a rivedere le difficoltà e a comprendere che al momento giusto arriva sempre la soluzione. Dona fiducia e consapevolezza. Aiuta in casi di rigidità articolare.
Atteggiamento ipercritico,giudica l’avversario e vedendo solo i suoi errori, si sente migliore di lui, non si osserva e proietta sull’altro i suoi difetti, non volendo cambiare si irrigidisce e rifiuta. Aiuta ad essere più tolleranti nei confronti di se stessi o una parte che non piace, a lasciare andare il giudizio,la tensione e durezza, a mettersi nei panni degli altri. WINE, durezza / tensione / controllo. Atteggiamento inflessibile, pensa solo al raggiungimento del suo scopo, pensa di avere sempre ragione e non ascolta o accetta opinioni altrui. Crede di essere infallibile, grande forza di volontà che porta durezza ed egoismo. Aiuta ad avere sangue freddo, tenendo conto delle opinioni altrui, più comprensivi nei confronti degli altri, aiuta a raggiungere l’obbiettivo ad essere una buona guida per gli altri e non un
OAK, ossessione/ controllo. Non molla mai, non si lamenta perché non vuole dimostrarsi debole, vive un ostinato attaccamento. Aiuta ad accettare i passaggi, a sapersi fermare rilassare e vivere in modo meno ossessivo. VERVAIN, eccitazione / aggressività eccessiva / durezza / ossessione/ impazienza / tensione. Iperattivo, vive il mach in continua tensione e tende ad esagerare perdendo la giusta misura. Aiuta ad allentare la tensione per poter poi ascoltare anche la visione altrui, permettersi di riposare e rilassarsi. A livello fisico è antinfiammatorio e antidolorifico, anche con applicazioni locali per contratture muscolari. BEECH, giudizio / aggressività eccessiva / rabbia/ intolleranza / impazienza / durezza / tensione.
tiranno. RESCUE REMEDY, blocco / panico / trauma / non presenza / disorientamento / tensione / stress / ansia / paura di perdere il controllo. In caso di shock improvviso, di trauma, prima di sostenere qualcosa che crea paura o tensione, prima di qualcosa di imminente. Lavora sul piano fisico e psichico, fa retrocedere lo stato di pericolo, la crisi e le agitazioni psichiche, ha un’azione molto potente e rapida. Unione di 5 fiori che unendosi ne creano uno con caratteristiche proprie e non la semplice somma (Rock rose, Star of Bethlehem, Clematis, Impatiens, Cherry Plum). Da usare in casi di emergenza. a cura di Amanda Gesualdi
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La costante e le varianti nel doppio Tutti pensano che, salendo la qualità del livello di gioco, sia più difficile fare la scelta tattica giusta. Non è così!!
Come scritto qualche mese fa dal mio collega Tecnico Nazionale Paolo Spezzi il tennis percentuale è uno dei punti fondamentali, se non il più importante, del gioco del tennis. Su ogni palla che andiamo a colpire abbiamo la possibilità di scegliere tra varie soluzioni. Spesso il colpo che viene giocato non è quello corretto e non dal punto di vista tecnico ma da quello tattico. La scelta migliore è quella che in percentuale ci permetterà di acquisire il quindici. Quest’ultima viene definita dal sottoscritto: la costante. Tutto ciò che potrebbe essere fatto diversamente nella stessa situazione viene
definito: le varianti, si perché sono sempre più di una. La differenza tra un grande giocatore ed un giocatore di circolo gira intorno a queste protagoniste. Tutti pensano che, salendo la qualità del livello di gioco, sia più difficile fare la scelta tattica giusta. Non è così!! Avete immaginato se Nadal o i fratelli Bryan giocassero a tennis con i vostri concetti e le vostre idee? Non avrebbero mai potuto raggiungere i risultati che hanno raggiunto, anche con i loro mezzi tecnici. Quello che si sente commentare nei Club durante un qualunque doppio è sempre: “se mi
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Il tennista amatoriale vive sempre con i suoi “se” e i suoi “ma”….i grandi giocatori “mai” perché la loro scelta è sempre più semplice e consone alla situazione. fosse passata questa palla sarebbe stato un grande colpo, peccato”; oppure: “mi è andata fuori vicino l’angolo, ma che sfortuna…!!” Il tennista amatoriale vive sempre con i suoi “se” e i suoi “ma”….i grandi giocatori “mai” perché la loro scelta è sempre più semplice e consone alla situazione. Il professionista vive con i colpi di transizione e di costruzione, il dilettante con quello che spesso gli passa nella testa all’improvviso. Es. nella situazione di gioco dove troviamo contro 2 avversari a rete si può alzare il pallonetto, giocare basso in mezzo, tirare nei 2 corridoi, e tirare al corpo. I giocatori di club quando affrontano questa situazione cercano subito di tirare per non far prendere la palla all’avversario ed ovviamente
sbagliano perché l’obiettivo è troppo difficile; il professionista ti fa giocare 4, 5 ,6, 7 voleè (spesso in mezzo) in attesa che la situazione di gioco si evolva. I giocatori di club sbagliano spesso lateralmente perché cercano i corridoi, il giocatore di alto livello, lateralmente non sbaglia mai, o tira a rete o tira lungo. (questo vale anche per il singolare). Il giocatore di club che si trova a rete da solo, al quarto scambio dove non tocca la palla, prova ad intervenire altrimenti non si diverte ed ovviamente fa danni e poi quando dovrebbe intervenire non lo fa più perché ha paura di sbagliare di nuovo; il professionista aspetta finché la palla non gli consente di entrare.
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Fare la scelta giusta secondo la situazione rimane la difficoltà maggiore da apprendere a qualunque livello, anche per i grandi giocatori. Come ho sempre detto ci sono delle regole che, se rispettate, porteranno ottimi risultati ma la bravura è adattarsi alle debolezze degli avversari, non tanto come colpi, ma come posizioni errate nel campo durante lo scambio. Questo per me è denominato in modo scherzoso, tanto per rimanere nei tempi moderni: il mondo del 3D, la profondità dell’avversario. Quest’ultima è un altro degli aspetti che differenzia il tennista bravo da quello molto meno bravo. Tutti riescono a vedere la lateralità dell’avversario e quindi a trovare uno spazio maggiore dove tirare, ma per la profondità la storia è molto … diversa. Se imparerai a vedere sempre la profondità del tuo avversario nel suo campo ti si apriranno praterie dove poter tirare senza nessun rischio. Questo sembra molto difficile ma se farai attenzione, ti accorgerai che l’avversario lo vedrai senza guardarlo direttamente, provaci e scoprirai un mondo nuovo!! Quindi capire quale sia la costante dipende spesso dagli avversari. Si dice che non bisogna mai tirare da fondo campo su quello a rete ed è vero, ma se l’avversario staziona sulla riga di metà campo sarà corretto tirare, spesso o quasi sempre, su quest’ultimo e non fare mai il pallonetto passante. Con un avversario molto vicino alla rete ovviamente sarà il contrario. Fare la scelta giusta secondo la situazione rimane la difficoltà maggiore da apprendere a qualunque livello, anche per i grandi giocatori. L’importante è avvicinarsi il più possibile alla realtà e la realtà sono le percentuali…perché i numeri non mentono…mai!!!
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Club Med Il Club Med recluta Animatori Tennis per i suoi Villaggi in Italia o all´estero.
* Esperienza di insegnamento * Gradita la conoscenza del francese e/o inglese
La missione * Insegna in corsi collettivi a bambini e adulti, dal livello iniziale al perfezionamento * Partecipa all´organizzazione degli eventi legati al tennis * Promuove l´attività all´interno del villaggio
I punti di forza Professionale Responsabile Appassionato Disponibile Pedagogo
Il profilo * Disponibile e mobile geograficamente per un periodo da 3 a 8 mesi * Diploma di istruttore, maestro/allenatore FIT o classificato buon livello
Contratto stagionale. Vitto e alloggio all'interno del villaggio e altri vantaggi legati alle attività del gruppo Club Méditerranée. Candidarsi online sul sito www.clubmedjobs.it
Un pò di Tecnica Movimento di transizione a rete molto spesso attaccare viene interpretato come "correre il più velocemente possibile" nei pressi della rete. In realtà il movimento di transizione verso la rete è un qualcosa di più complesso perchè deve tenere conto anche di ciò che sta facendo l'avversario. Scopri come: clicca qui
Il pensiero dei campioni Oggi il grande Jimmy Connors ci spiega i segreti mentali che gli hanno permesso di essere uno dei più grandi Giocatori di tennis di tutti i tempi. leggi l'articolo
Sai quanto vali veramente? Ooggi cercheremo di trarre qualche insegnamento pratico da un evento tennistico molto importante accaduto poche settimane fa. Vuoi sapere di cosa sto parlando? Leggi l'articolo 140
Il diritto di Roger Federer
Fase 1: Preparazione Osservate come gli occhi di Roger giĂ fissano la pallina. Comincia il cosiddetto "swing" corto mentre la mano sinistra si sta separando dalla racchetta e le gambe rimangono completamente bloccate.
Fase 2: Coordinazione Ăˆ il momento che precede l'impatto. La testa della racchetta è in basso e in un rapido momento ruoterĂ per dare effetto alla pallina. Le spalle cominciano a girare e le gambe cercano di dare tutta la forza avanti, da destra a sinistra.
Fase 3: Impatto La pallina tocca sul centro della racchetta mentre l'elvetico si da forza con le gambe dal basso verso l'alto. La spalla destra si trova in posizione avanzata cercando di velocizzare il braccio, mentre quella sinistra comincia ad andare all'indietro. Una caratteristica tipica di Federer riguarda il movimento degli occhi che non si distaccano dalla pallina fino a quando il tennista non la colpisce. 145
Fase 4: Finale Il braccio destro termina l'accelerazione del colpo e il peso del corpo si sposta all'indietro. Grazie all'inerzia del colpo le spalle si muovono verso il lato opposto e la racchetta rimane all'indietro senza minimamente toccarla con la mano sinistra.
a cusa di Stefania Grosheva