Tennis World (Italia) - numero 16

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N°16 - 2014

Tennis World La rivista per chi ama il tennis

Rafael Nadal Dopo un 2013 da record, per Rafa Nadal la situazione inizia a diventare molto impegnativa

Ana Ivanovic Intervista in esclusiva alla bella del tennis.

Vuoi vincere? Non sarai felice perchĂŠ vincerai, ma vincerai perchĂŠ sarai felice


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Barcellona Open Per celebrare l'apertura della nuova sede del club a Pedralbes, nel 1953, Carlos Godo Valls (Conde de Godo), ha deciso di organizzare un torneo per raccogliere le ambizioni sportive della storia dell'istituzione. È giocato per prima volta nel 1953 e la storia del trofeo Conde de Godo è collegata al 'Real Club de Tenis Barcelona - 1899', proprietario e conduttore del torneo. Alla fine, il torneo rappresenta un emblema per la città di Barcellona ed è diventato non solo il più grande evento sportivo che si festeggia ogni anno, ma anche uno dei più alti eventi sociali. L'atmosfera del club fa che è anche uno dei tornei più apprezzati per i giocatori del circuito. Le entità hanno festeggiato il suo centenario nel 1999, diventando il club più titolato dei

di tennis spagnoli come Conchita Martinez, Arantxa Sanchez, Rafa Nadal, Carlos Moya, Albert Costa, Javier Sánchez, Alberto Berasategui, Felix Mantilla, Julian Alonso Tomas Carbonell, Francis Roig o Galo Blanco. Il trofeo Conde de Godo è stato progettato nel 1953 da gioiellieri Soler Cabot. Realizzato in argento sterling con un peso di 13 kg, la sua base è rovere americano. Il trofeo è stato completamente rinnovato dai gioiellieri J. Roca, aumentando la dimensione del database per registrare su di esso i nomi di tutti i vincitori del torneo. Il tempo di realizzazione di questa gioia è impostato a circa 800 ore e il prezzo è un valore di circa 36.000 €.

Stefania Grosheva


Madrid che fu Il torneo di Madrid di marca Ion Tiriac è un evento molto giovane

Nato nel 2002, la sua storia può contare su appena 13 edizioni, tutte incluse nella magnifica serie dei 9 Masters 1000 (prima del 2008 conosciuti come Masters Series). Dal 2002 al 2008 il torneo si è disputato nella vecchia Telefonica Arena (oggi Madrid Arena), in autunno, sul cemento indoor. Dal 2009 Tiriac ha ottenuto un passaggio più consono per le caratteristiche della nazione ospitante, spostarsi in primavera sulla terra rossa. A farne le spese fu lo storico torneo, di grande tradizione (e dalle buonissime strutture) giocato ad Amburgo, fino ad allora solido evento di riferimento del panorama internazionale. “Meno nobile” per un discorso storico rispetto a Montecarlo e Roma, ma anche per via delle condizioni di gioco (più anomale, in altura, differenti rispetto al Roland Garros), Madrid può però contare sulla straordinaria forza economica del business-men rumeno, che ha di fatto costruito un impianto all’avanguardia, ben

superiore a Montecarlo e in linea, se non meglio organizzato ancora, rispetto al torneo romano. Il reale problema del torneo, lasciando da parte l’aspetto piuttosto freddo delle strutture (una scatola di metallo, insomma non è il massimo), è la location. I campi infatti sono situati a San Fermin, un quartiere periferico della capitale, molto tetro. Non voglio dire malfamato perché forse è troppo, ma sicuramente uno dei quartieri meno nobili della città. E’ assolutamente naturale che l’affluenza di pubblico non sia straordinaria, che i campi siano mezzi vuoti anche nei turni finali. Non è invitante, non puoi fare nient’altro che vedere i match. Il Foro Italico (uno dei posti più belli del mondo per giocare a tennis) ha un altro tipo di richiamo, per alcuni esclusivamente estetico, che di tennis c’entra ben poco. In questo Roma avrà un vantaggio probabilmente insuperabile ne dai soldi ne da nient’altro rispetto a Madrid. Ma torniamo alla storia. Il mio intento è quello di rievocare forse il più grande match che si sia mai giocato alla Caja Magica, nelle 6 edizioni disputate fino ad oggi. Anche se è giusto sottolineare come “più grande match” non sia sinonimo di “miglior match”, perché a mia


discrezione non fu un match eccezionale dal punto di vista della qualità, anzi, a tratti anche soporifero, ma l’equilibrio, la lotta, lo straordinario livello nelle fasi conclusive compreso l’incredibile epilogo e i record battuti, lo eleggono senza dubbio al “match del torneo”. Piccolo preambolo, balziamo indietro di 5 anni e analizziamo la situazione che si presentava agli albori di maggio 2009 : Nadal è il n°1 del mondo (come oggi). All’epoca si pensava, incontrastato. Ormai saldamente in sella al posto del vecchio (seee, come no… aveva solo 27 anni) Roger Federer, detronizzato su tutti i campi : sul rosso (Roland Garros 2008), sul verde (Wimbledon 2008) e sul blu violaceo del cemento australiano

(Australian Open 2009). La cosa piuttosto buffa, con un fondo di verità sia ben chiaro, è che pensando al 2009 si idealizza il peggior Nadal della carriera o quasi, quando poi vai a vedere e invece ti accorgi (non io, ma gli altri) che firmò la sua miglior partenza stagionale mai realizzata. Australian Open, Indian Wells, Montecarlo, Barcellona, Roma e 40 partite vinte su 43 giocate. Mica male il ragazzo. Djokovic è la 4° forza mondiale – giocatore già brillantemente affermato, già sverginato nelle prove del Grande Slam (Australian 2008), vincitore di un Masters e 4 Masters 1000. Era uno degli uomini di punta per i grandi tornei, anche se dietro le due fuoriserie (Federer e Nadal). Il serbo e Murray erano stati gli unici a dimostrare di poter fare partita pari con il duo di testa in maniera costante. Insomma, ragazzo già arrivato (tempo due anni e arriverà del tutto). La partenza del match (ore 15 sotto un sole pieno) vede un Nadal piuttosto falloso. Nel suo primo turno di servizio, sul 30-15, il primo grande scambio del match (25 colpi) lo vede tirare un dritto abbastanza comodo in rete. Non da lui. Il doppio fallo successivo consegnerà il break in apertura al serbo. Djokovic vola sul 3-0 e poi sul 6-3 in un anonimo primo set. Non sembra una di quelle partite che possano concludersi in maniera epica. 50 minuti molto soft, con parecchi errori e poco spettacolo.


“Meno nobile” per un discorso storico rispetto a Montecarlo e Roma, ma anche per via delle condizioni di gioco, Madrid può però contare sulla straordinaria forza economica. Lo spagnolo poi indossa un orrida polo bianca con macchia gialla ad altezza spalle, il serbo risponde con un’uniforme più da clown che da tennista. Una maglietta viola richiamata dalle scarpe, anch’esse viola total. In soldoni, spesso il tennis ha visto di meglio. Nel secondo set è Djokovic quello che più si avvicina a fare il break e a staccarsi. Sull’1-1 lo annusa ma è sul 4-4 che lo assapora totalmente. Spalle al muro, 15-40, Nadal si inventa due magie : una prima vincente al corpo e uno strepitoso slice a uscire da sinistra, degna di una punizione di Platini. Il livello sale finalmente, e con esso tutta la partita. Lo spagnolo si salva e rimanda Djokovic ad inseguire, almeno nel set. Con un ottimo punto di costruzione, chiuso con uno smash vincente, il serbo chiude un lottato 10° game e porta il punteggio sul 5-5, senza concedere palle set, quando l’orologio segna 1:55 di gioco. La qualità è presente, ma rimane a sprazzi, buoni colpi, qualche errore, parecchia intensità : Nadal ha bisogno di 11 minuti per assicurarsi quantomeno il tie-break. Il punto con cui chiude la pratica vede uno di quei suoi inconfondibili topponi di dritto, questa volta steccato in maniera clamorosa, ricadere magicamente nei pressi della riga, destabilizzando il rovescio di Djokovic, comodamente affossato in rete. La reazione di Nole è un applauso ironico, molto stizzito. A Roma si dice “je rode”, e il pubblico lo inonda di fischi.


Per la cronaca, il serbo ha mancato una terza palla-break, anche in questo caso annullata da una fantastica prima al centro di Nadal. Non un ace, ma quasi. Sul 5-6 30-40 Djokovic riesce ad annullare un set-point con una coraggiosa propulsione a rete, supportata da un discreto rovescio lungo linea come biglietto da visita. Il passante di Nadal è in rete. Nole porta il secondo set al tie-break vincendo gli ultimi, intensi, 3 punti del game. Il match ha abbondantemente superato le due ore di gioco. Va detto che entrambi (più lo spagnolo però) sforano in maniera perentoria i 25 secondi. L’arbitro non fa nulla, come del resto tutti i suoi colleghi fino a qualche tempo fa. Il primo punto è uno di quelli che fanno male. Nastro e palla che muore nei pressi della riga, firmato isolano di Manacor. Quattro punti più tardi (3-2 Nadal) arriva il primo mini-break della contesa, effettuato dal n°1 mondiale, con uno strepitoso dritto vincente dal centro del campo che spizzica la riga laterale. Successivamente, un altro

sensazionale punto di 20 colpi (forse il più bello del match fino ad allora) decide in pratica il tiebreak. Nadal si porta sul 5-3 dopo un classico gioco di angoli e contro angoli tra il proprio dritto e il rovescio di Nole, chiuso con un dritto incrociato anomalo (sulla riga) che prende in contropiede il serbo, già pesantemente sballottato in recupero sulla parte sinistra. Dopo un tie di 12 punti, si va un set pari. Il time segna 2h25m. Quando Nadal vince il primo punto del terzo set (in risposta) con un altro straordinario dritto vincente sulla riga, forse ci si potrebbe attendere l’ineluttabile. Ovvero che l’inscalfibile forza fisica (proprio inscalfibile?... vedasi poche

settimane più tardi) e mentale dell’orco spagnolo prenda il soppravvento su un avversario che aveva visto vicino il traguardo, ma che doveva ricominciare tutto da capo. Probabile crollo? E invece no. Nole non molla. Tiene il servizio e conduce tutto il terzo set, grazie al fatto di partire lui in battuta. Nel quarto gioco brekka lo spagnolo e vola 3-1. A quel punto il serbo tende la mano al rivale : un banale errore in palleggio e un doppio fallo riportano sotto sullo 0-30 Nadal, che sul 30-30 si inventa una smorzata in contropiede, dopo 32 colpi. Quando arriva il contro-break il time segna le 3 ore di gioco. Da allora la partita, senza particolari sussulti, si


avvia al rush finale. E’ un match più combattuto che bello come anticipato, anche se il finale è altamente pirotecnico. Quando Nadal si appresta a servire sul 5-6 sono passate 3h34m. Ed è in quel momento che la qualità sale in maniera sensibile. Complice il punteggio e l’intensità, le emozioni sono tante. Sul 40-40 – con lo spagnolo di nuovo spalle al muro – il fuoriclasse di Manacor si inventa un'altra giocata delle sue : fenomenale rovescio lungo linea, dopo essersi difeso strenuamente in contro balzo un colpo prima, e splendida chiusura al volo. Nel punto precedente era stato Nole a issarsi sulla parità dopo un fenomenale (è proprio il caso di dirlo) rovescio incrociato –

sulla riga – tirato 3 metri dietro la linea di fondo. Dopo 3h40m la partita verrà decisa dal tiebreak. Durerà 21 minuti. Parte Nole con l’ace, sotto uno sguardo divertito e compiaciuto di Manolo Santana, direttore del torneo. Per la prima edizione nella Caja Magica non si poteva augurare di meglio, almeno in termini di lotta. Una risposta non controllata e un dritto maligno uscito di poco mandano Nadal sul 2-1. Una gran prima – con conseguente chiusura di dritto – e una risposta non controllata (uno a testa, palla al centro) riportano Djokovic sul 3-2. Il sesto punto vede un braccio di ferro di 17 colpi, culminato in uno splendido tracciante di rovescio dello spagnolo, che incrociando diventa imprendibile per l’avversario. Si gira sul 3-3. Già si inizia a parlare di match dell’anno. Dopo quattro punti trasvolabili (rimarcabile però un'altra grande prima a uscire di Nadal sul 4-5) si arriva al 5-5. Chi fa il punto va a match-point. E’ uno scambio a ritmi contenuti, nella quale è Nole a sfoderare il primo dritto pesante che Rafa non riesce a controllare con il rovescio. Ed è lo stesso Nole a poter servire ora sul 6-5 la palla del match. 3h51m. Punto epico : la prima di servizio non troppo angolata del serbo rischia quasi di far steccare Nadal in risposta. Live sembrerebbe game, set and match.



La cruda sensazione della diretta ci dice o che la palla muoia in rete o che sia un facile boccone da chiudere. E invece la palla ricade a metà campo, nella cosiddetta terra di nessuno. Insidiosa, maligna. Nole con il rovescio non è in posizione comodissima ma riesce lo stesso a incrociare in modo fantastico. Sembra fatta. Nadal con uno scatto felino la arpiona con il suo ormai famoso gancio sinistro e la mette in lungo linea, nella zona scoperta del campo. Ma è corta. Nole recupera. Da li inizia una lotta feroce di 16 colpi. Il 14° è un'altra magia : Nadal arriva appena in tempo su un dritto inside-in del serbo e con una forza spaventosa nelle gambe riesce a sfoderare dal cilindro un tracciante incrociato per poi chiudere al colpo successivo con un grandioso dritto vincente che termina negli ultimi 10 centimetri di campo. L’effetto visivo di quest’ultimo dritto è inquietante : uno schiaffo proverbiale alla pallina, con un carico di spin decisamente alto.

Non l’ha colpita, il movimento è stato talmente completo e violento, che sembra quasi l’avesse presa, sparata e accompagnata con tutta la forza tipico di un ceffone. Stadio in delirio. La bandana di Nadal ormai è quasi prossima a cadere, si tiene per miracolo tra i capelli in completo disordine dell’arrotino. Si gira, 6-6. Nel tredicesimo punto è come vedere due leoni – feriti – in gabbia, che si menano con tutte le forze rimaste. Ancora, chi vince il punto va a match-point. Tra nastri, righe, recuperi ormai allo stremo delle forze : dopo 20 colpi è Nadal a sbagliare, condotto da un pesante dritto di Nole. Match point numero 2 per il serbo. 3h55m. Sarà quello il punto del match.

Su una debolissima seconda palla di servizio, lo spagnolo deve subire la risposta aggressiva di Djokovic, ma il match non finisce. Inizia uno scambio di 19 colpi nel quale Nole fa almeno 4 recuperi prodigiosi, tra spaccate a destra e sinistra. Nadal ha la classe, la forza e il coraggio di tirare prima un rovescio incrociato sulla riga (uno dei colpi più sottovalutati del tennis odierno) e poi un uno-due – quello finale – nello stesso angolo. L’ultimo dritto, in contropiede, è vincente. Da applausi. Nello scambio, lo spagnolo aveva anche steccato un rovescio che per un nonnulla oltrepassò la rete.


Per il serbo la vendetta arriverà sullo stesso campo, due anni dopo, quando si vide all’opera uno dei giocatori più on-fire di sempre, in condizioni psicofisiche strepitose. Ma questa è un'altra storia. La Caja Magica giustamente in delirio, di nuovo. 7-7. Con una prima vincente, Nadal va a matchpoint (il primo per lui) che Nole annulla alla grande con una insana smorzata di rovescio e conseguente passante in contro balzo di dritto che termina in campo. 8-8. La partita ha giustamente risvolti epici. Nadal salva un altro match-point, il terzo, sul 8-9, causa una risposta profondissima di Nole che termina lunga di un dito. 9-9 si rigira di nuovo. Scoccano le 4 ore. Ed è adesso che Nadal vince la partita. Con un altro dei suoi prodigi. Dopo aver servito una prima in sicurezza (eufemismo), sfodera un dritto vincente in lungo linea al secondo colpo, in completo recupero da destra, con quell’effetto tipico che sembra poter uscire ma poi rientra. 10-9.

Il punto successivo chiude le 4h02m di partita (il 3-setter più lungo della storia, superato solo 3 anni dopo dal Federer-Del Potro olimpico). Una buonissima prima e un paio di colpi decisi del serbo non bastano, Nadal trova il pertugio giusto e lo infila con un lungo linea imprendibile. Nadal si sdraia a terra e perde la bandana. Nella confusione un bimbo entra in campo e abbraccia il torero, appena dopo Djokovic. Quest’ultimo esce in lacrime. Un match combattutissimo, memorabile e strepitoso nel finale, ma non cosi bello nel complesso. Non il match dell’anno. La battaglia di Amburgo (2008, stessi due giocatori contro) fu molto più feroce, seppur forse senza le emozioni finali.


Madrid tra magia e realtà di Remo Borgatti

Aquì Hay Magia. Questo lo slogan che ha accompagnato la 13esima edizione del Mutua Madrid Open

In realtà, visti i risultati vien da pensare che il patron Ion Tiriac (sempre più latitante da quando il geniale esperimento della terra blu di due anni orsono è stato sacrificato agli dei del tennis) e Manolo Santana abbiano ingaggiato il celebre illusionista David Copperfield, dato che i ritiri eccellenti hanno fatto più notizia dei presenti. l primo a dare forfait è stato Novak Djokovic, infortunato. Poi ci ha pensato Mirka, dando alla luce Leo e Lenny, a privare il torneo della presenza del marito Roger Federer. Infine, in corso d’opera, anche la numero uno del mondo WTA Serena Williams ha rinunciato a difendere il doppio titolo conquistato nel biennio 2012/13, vittima di un malanno alla coscia sinistra. Ma in fondo, agli spagnoli interessa soprattutto che i loro beniamini facciano più strada possibile e allora eccoli accontentati dalla resurrezione annunciata di Rafa Nadal, dalla conferma del solito David Ferrer e dalla sorpresa (ma non troppo) Bautista-Agut.

Per non parlare di Feliciano Lopez, approdato ai quarti dopo due battaglie con Delbonis e Youzhny e grazie al ritiro di Thiem. Proprio il giovane austriaco, classe 1993 e proveniente dalle qualificazioni, si è reso protagonista della più grossa sorpresa del torneo maschile estromettendo il vincitore di Australian Open e Montecarlo, Stanislas Wawrinka, in una delle tante calde serate madrilene di questa edizione. Così, mentre Nadal faceva terra bruciata nella metà superiore del tabellone e approdava in finale cedendo appena 19 giochi in quattro partite, dalla parte bassa emergeva Kei Nishikori, reduce dal trionfo di Barcellona. Il giapponese, decima testa di serie, si sbarazzava negli ottavi del bombardiere Milos Raonic in due tie-break e, soprattutto, piegava in semifinale la resistenza di David Ferrer nel match del torneo, durato quasi tre ore e concluso con il punteggio di 76 57 63 al decimo match-point. Concluso nella tarda serata del sabato, l’incontro metteva però a dura prova la schiena di Nishikori che pagava il giorno dopo lo sforzo sostenuto. Avanti di un set e un break, il nipponico calava alla distanza e faceva felici i


C’è bisogno di qualcosa che rivitalizzi il torneo, anche se al momento è difficile dire cosa.

dodicimila del Santana in delirio per il recupero di Nadal. Dopo aver vinto 62 il primo set ed essere stato avanti 42 nel secondo, Kei subiva una serie di sette giochi e sul 30 del terzo era costretto al ritiro. Tutto è bene ciò che finisce bene, dunque, e il Mutua Madrid Open si aggrappa una volta di più al suo idolo nell’anno in cui si è avuta la sensazione che il torneo stia progressivamente perdendo di prestigio. Il pubblico, frenato anche dai prezzi dei biglietti, ha preso d’assalto i campi secondari nelle prime giornate ma sul centrale si è visto in massa solo per le partite di Nadal. Troppo poco per un evento che vorrebbe essere, ed è, di caratura mondiale. Nonostante l’assenza ormai cronica di Vika Azarenka e il ritiro nei quarti di Serena, il torneo femminile è stato vario e vivace. Alla fine l’ha spuntata Maria Sharapova, finalista nel 2013 e recente vincitrice a Stoccarda. La mucca, come lei si definiva su questa superficie, è sempre più a suo agio sulla terra e anche a Madrid ha dato un saggio del suo carattere aggiudicandosi tre dei sei incontri sostenuti al set decisivo. Dopo il debutto soft contro la Koukalova, è stata la statunitense McHale al secondo turno la prima avversaria a metterla alle corde, perdendo solo 64 al terzo parziale. Negli ottavi, sul campo 2 (intitolato ad Arantxa Sanchez Vicario), la siberiana si è imposta a una Stosur decisamente


in palla per 64 63 per poi tornare sul centrale ed avere la meglio in rimonta sulla cinese Li (26 76 63). In semifinale Maria ha regolato 61 64 Agnieszka Radwanska, sopravvissuta a tre match-point contrari al secondo turno contro la Kuznetsova dopo essersi imposta all’esordio alla giovane Eugenie Bouchard. Nei quarti la polacca si è trovata di fronte un’altra campionessa di domani, la francese Caroline Garcia reduce dalle qualificazioni, che l’ha severamente impegnata ma contro la Sharapova tutto ciò che ha saputo produrre è stata una parziale reazione nel secondo set. Accreditata della quarta testa di serie, la rumena

Simona Halep ha evidenziato i suoi enormi progressi (nel 2013 giocò grazie alla wild-card che sempre Tiriac riserva ai connazionali) conquistando la finale nella metà superiore del tabellone. Anche lei, come la vincitrice, ha dovuto saltare un paio di ostacoli insidiosi nella corsa verso il traguardo. Sia la tedesca Sabine Lisicki (negli ottavi) che l’ex campionessa del torneo Petra Kvitova (in semifinale) le hanno strappato il set d’apertura ma alla lunga Simona ha fatto valere la sua eccellente condizione fisica. In finale invece la situazione si è capovolta ed è stata la Halep, dopo una partenza a razzo, a subire la personalità di una Sharapova via via sempre più fiduciosa e incisiva. Perso il primo set 61, la tigre ha cambiato marcia e ha finito per prevalere 62 63 nei restanti. Più ombre che luci nel torneo degli italiani, salvati dalla vittoria in doppio delle chicas Errani-Vinci. In singolare, sono state le stesse azzurre di Fed Cup a regalare i maggiori sorrisi pur non avendo superato la soglia degli ottavi di finale. Dopo dieci giorni di tennis intenso, è calato il sipario sulla Caja Magica. Il moderno e imponente impianto edificato nella zona sudovest della capitale riaprirà i battenti solo tra un anno. Troppo poco.



I miei internazionali di Alex Bisi

Djokovic il nuovo cesare

Venerdi 16 maggio 2014, ore 5.00 della mattina, la sveglia suona, ma è una di quelle levatacce che affronto molto volentieri. Devo prendere un treno per Roma, appena il tempo di infilare i panini nello zaino che il mio passaggio è già fuori ad attendermi, oggi non si lavora, si respira Tennis! Il treno è in perfetto orario, e alle 9.30 siamo già dentro Il Foro. Arriviamo con gli addetti ai lavori,hostess bellissime, e Stewart della federazione. Un sopralluogo per vedere che gadget recuperare appena apriranno i vari stand e poi ci dirigiamo dove arrivano i giocatori,sembra che nulla si

muova, quando appare dal nulla Ana Ivanovic, che si ferma per qualche autografo e per farti capire che vista da un metro sembra disegnata con la matita, tanto è bella. Aspettiamo ancora un po’, passa Seppi anche lui prodigo di firme e foto per tutti, poi decidiamo di andar a vedere se riusciamo a vedere qualche allenamento interessante. Troviamo la chichi Roberta Vinci che è sempre un piacere veder giocare, il tempo di mangiar un paio di panini che decidiamo di avviarci verso il centrale per il primo big match di giornata, quello della nostra Sara Errani. Il pubblico è caloroso con la nostra portacolori,


Sara, che risponde alla grande e fa suo il terzo parziale e vola in semifinale tra l’ovazione dei suoi tifosi che affronta un avversario ostico come la cinese Li Na. Le prime battute del match non fanno presagire nulla di buono, la vincitrice degli Australian Open sembra giochi con il freno tirato e che stia prendendo le misure alla nostra Sara, che si sa però è una gran combattente. E proprio con la tenacia che la contraddistingue approfitta dei tanti errori dell’avversaria e fa suo il primo set. Il pubblico si gasa, ma nel secondo parziale Li NA alza il livello del suo gioco e rimanda tutto al terzo set,c’è tensione sugli spalti, e il centrale si riempie per sostenere la nostra Sara, che risponde alla grande e fa suo il terzo parziale e vola in semifinale tra l’ovazione dei suoi tifosi. Io scappo fuori a fine match per veder l’allenamento di Nole, ma ahimè arrivo a

così giusto il tempo di ber una birra e far quattro chiacchere con qualche amica, che si rientra per vedere Dimitrov-Haas. Purtroppo vediamo poco match,il tedesco si ritira, unica nota positiva è che Djokovic-Ferrer inizierà in perfetto orario e non correrò il rischio di dover uscire prima per prendere il treno. Son molto ansioso di veder Djokovic dal vivo essendo suo tifoso, e il match non delude le aspettative. I due giocano alla grande,Ferrer risponde ad ogni colpo di Nole, e lo mette in grande difficoltà,ciononostante è il serbo che si aggiudica il primo parziale. Mentre prendo fiato,noto stranamente tanti posti vuoti nella tribuna,dove io avrei voluto sedere per vedere i giocatori da dietro,ma che la biglietteria mi dava come settore esaurito.


Si pianifica già il prossimo anno con l’obbiettivo di rimanere almeno due giorni,la voglia di tennis è veramente tanta e le giornate come questa non fanno che aumentarla. Ma il match riparte e non c’è tempo per pensare ad altro,Ferrer non ha intenzione di mollare, e vederlo dal vivo, ti rendi conto di quanto corra. Lotta e a suon di vincenti porta Djokovic al terzo. Il meteo fa un po’ le bizze, piove un po’ ma nulla di grave,niente viene interrotto, e nel terzo set Nole, qualche sbavatura a parte, prende in mano il gioco e chiude il match con ovazione generale del pubblico. Ahimè questo è il segnale che bisogna uscire e prender la strada della stazione,un ultimo giro per i campi e poi via con i mezzi verso Termini. Sul treno io e i miei due compagni di viaggio, nonostante la stanchezza riviviamo ogni momento della giornata, come bambini che non vogliono smettere di giocare per andar a dormire.


Caroline Garcia, finalmente ci siamo? di Alessandro Varassi A Madrid la giovane francese ha incantato, conquistando i quarti di finale nell’importante torneo Mandory, e confermandosi ad alti livelli dopo il successo di Bogotà

Torniamo indietro di 3 anni, precisamente alla tarda primavera 2011. A Port d’Auteill si stanno disputando gli Internazionali di Francia, quelli che incoroneranno alla fine Na Li, in finale sulla nostra Francesca Schiavone, per capirci. In tabellone, per il secondo Slam di fila, ottiene una wild card una giovane ragazza francese: si chiama Caroline Garcia, è nata il 16 Ottobre 1993 a Saint Germain-en-Laye, la stessa città di Amelie Mauresmo, e viene accompagnata da tante aspettative sul suo conto, anche se per molti è una perfetta sconosciuta. Non lo sarà più quando al secondo turno incontra sul Philippe Chatrier sua regina Maria Sharapova. Accolta sul campo centrale da un misto di curiosità e scetticismo, Garcia fa sudare la bella siberiana per due set, trovandosi avanti per 6-3 4-1, a soli 2

game quindi da una clamorosa vittoria. L’esperienza di Masha ha però la meglio, e alla 18enne transalpina restano solo gli applausi del pubblico di casa, oltre alla consapevolezza di poter essere una protagonista del mondo WTA. E torniamo a bomba ai giorni nostri. Alla Caja Magica di Madrid si disputa uno dei 5 Mandatory, i tornei appena sotto agli Slam per importanza nel circuito WTA. La giovane Caroline, che nel frattempo si è fatta grande, è la vera sorpresa della manifestazione, battendo tra le altre l’ex top ten Sara Errani negli ottavi, e conquistando i quarti contro Aga Radwanska. Una vittoria, quella contro l’italiana, decisamente meritata, mettendo in mostra un ottimo tennis molto solido da fondo, non disdegnando qualche sortita a rete. L’esperta Sarita era riuscita a rimontare il primo set perso nell’angusto campo 5 dell’impianto madrileno, e nel terzo conduceva addirittura per 2-0. “In realtà nei primi 2 giochi del terzo mi ha regalato tutto lei, con molti errori, io mi limitavo a ributtare la pallina di là” confesserà nel post partita la Errani, ma ciò non fa altro che confermare la


forza della francese, capace di uscire fuori vittoriosa da un match quasi segnato, contro una top player della terra rossa. I quarti di finale non avranno un esito così fortunato, ma anche la polacca Radwanska avrà di che sudare per 3 set prima di avere ragione della francese, che ferma ad 11 la striscia di vittorie consecutive per la transalpina. Prima dell’importante torneo della capitale spagnola, infatti, la Garcia aveva festeggiato il primo titolo in carriera nel circuito maggiore, a Bogotà, dove ha sconfitto in finale l’ex numero 1 del mondo, Jelena Jankovic, battuta per la prima volta dopo due precedenti in cui la francese si era arresa lasciando sul piatto dei match point non concretizzati.

Che il 2014 fosse l’anno della definitiva svolta lo si era capito in Fed Cup. Nel 3-2 con cui la Francia condanna gli USA alla sconfitta in Fed Cup, la mano della Garcia è decisiva, con le due vittorie in singolare contro Keys e Stephens, e il decisivo contributo in doppio con la Razzano. Amelie Mauresmo (sua capitana e sua concittadina) e Mary Joe Fernandez, coach degli USA, confermano in coro: “La Garcia è stata il vero ago della bilancia della sfida”. La Francia, che guardava preoccupata al circuito WTA specie dopo l’abbandono di Marion Bartoli, sembra tirare un sospiro di sollievo. La ragazza si farà, come aveva vaticinato tra gli altri anche Andy Murray nel 2011, e la nostra Francesca Schiavone dal Foro Italico qualche settimana fa: “Ha molti colpi nel suo repertorio ed è attenta a tutto. A 20 anni è molto più avanti di me alla sua età” ha ammesso la Leonessa d’Italia. Il ranking la pone al momento tra le prime 50 giocatrici del mondo, ma è destinato a migliorare ulteriormente, se quello intravisto in questa primavera 2014 verrà confermato. All’ombra della Tour Eiffel già si leccano i baffi…



Elena Baltacha di Marco Avena

Elena Baltacha, atleta dotata di grande etica del lavoro e spirito di competitività

Era la notte di domenica 4 maggio quando il mondo del tennis ha ricevuto la tragica notizia della scomparsa di Elena Baltacha, atleta dotata di grande etica del lavoro e spirito di competitività - come la definì anche Judy Murray, mamma di Andy - che è stata portata via da un brutto male all'età di 30 anni. Fin da quando aveva 19 anni, la tennista britannica di origine ucraina soffriva di una malattia epatica cronica (la colangite sclerosante primitiva, ndr) che l'aveva sempre condizionata, anche se non le aveva impedito di continuare a praticare il suo sport preferito. Proprio la sua forza fisica era stata l'arma migliore con cui combattere questo male contro cui tuttora non sono ancora stati trovati rimedi. Elena, ritiratasi il 18 novembre 2013, dopo essere stata per diverse stagioni la miglior giocatrice britannica, nello scorso mese di gennaio aveva scoperto durante un controllo clinico di avere una grave forma di cancro al fegato che in pochissimo tempo se l'è portata via.

“Siamo straziati oltre ogni parola per la perdita della nostra bella, talentuosa e determinata Bally - ha dichiarato Nino Severino, ex marito e allenatore di Elena -. Era una persona incredibile che con il suo spirito ispiratore, il calore e la sua gentilezza ha toccato così tante persone”. Elena Baltacha aveva dedicato anima e corpo al tennis e quando aveva dovuto fare un passo indietro dal tour a causa dei suoi guai fisici non aveva comunque smesso di stare nell'ambiente e di dedicarsi a racchette e palline. La Elena Baltacha Academy e i suoi 70 ragazzi erano immediatamente diventati una delle sue priorità. Figlia di un ex calciatore e di una ex eptathleta, entrambi sovietici, Elena ha sempre vissuto a contatto con il mondo dello sport e ha conosciuto la Gran Bretagna nel 1988, proprio quando il padre Sergei si trasferì – primo calciatore della storia dell'Unione Sovietica – in Inghilterra all'Ipswich Town. Cresciuta nella cittadina scozzese di Perth e poi nella più piccola Paisley, si fece conoscere al grande pubblico britannico nell'estate del 2002 quando, a Wimbledon, sconfisse la sudafricana


In tanti, addetti ai lavori e non, hanno pianto la scomparsa di Elena mandando messaggi di cordoglio o scrivendo semplicemente pensieri sui social network Amanda Coetzer, mentre il 2010 fu forse il suo anno migliore grazie a due successi sulla cinese Li Na e una sull'azzurra Francesca Schiavone, allora detentrice del titolo del Roland Garros. Elena Baltacha raggiunse proprio quell'anno la sua migliore posizione in classifica, la 49ª e, seppur essendo stata una tennista di secondo piano, fu capace di far breccia nel cuore dei suoi connazionali grazie all'impegno e la dedizione che mise nel trascinare la Gran Bretagna in Federation Cup dove chiuse la sua avventura con un bilancio di 33 vittorie e 16 sconfitte. Curiosamente la sua grande rivale in Gran Bretagna, ma anche la compagna con cui difendeva a spada tratta i colori dell'Union Jack in Fed Cup, era un'altra immigrata, quella Anne Keothavon originaria del Laos da dove i genitori

erano scappati durante la guerra. Due nomi, Baltacha e Leothavon, che gli amanti britannici del tennis avevano col tempo imparato a conoscere e ad amare. In molti si sono già attivati affinché la sua memoria non venga dimenticata e il suo ricordo sia uno sprone a cercare fondi per curare il cancro: la Lawn Tennis Association (la federazione britannica, ndr) ha già annunciato che verrà organizzato il “Rally for Bally”, una raccolta fondi sulla falsariga di quanto successo lo scorso anno al Queen's con il “Rally Against Cancer”: tre doppi misti verranno giocati domenica 15 giugno, rispettivamente al Queen's, a Eastbourne e a Birmingham, e tra coloro che hanno già dato la loro disponibilità ci sono Martina Navratilova, Tim Henman e Greg Rusedski.


Serena Williams e il bisogno di riposo di Alessandro Varassi La sconfitta a Charleston contro Jana Cepelova ha spinto la numero 1 del mondo a prendersi qualche settimana per riposare

Chi l’ha incrociata a Charleston, non ha potuto fare a meno di notarlo. Serena Williams, numero 1 del mondo e reduce dal trionfo di Miami, era stanca, molto stanca. La campionessa in carica del torneo sulla terra verde ha abdicato incredibilmente all’esordio, contro Jana Cepelova, che ha così conosciuto il suo momento di gloria. I più si sono chiesti: poteva Serena davvero pensare di mettere in bacheca il settimo titolo in Florida, e poi volare a Charleston per inseguire il suo terzo successo consecutivo alla Family Circle Cup? La risposta, facile dirlo ora dopo quello che è successo, è no. La stessa Serena ha dato pieno credito alla Cepelova, capace di attaccare la numero 1 del mondo da ogni lato del campo, ma in conferenza stampa non si è tirata indietro: il viaggio da Miami si è fatto sentire, ed è stato uno dei fattori che possono spiegare la sconfitta. “Sono stanca, ho bisogno di alcune settimane di stacco, dove non devo pensare al tennis ma a

ricaricarmi. Sto dando il massimo da un paio di anni, sono un po’ affaticata” ha ammesso Serena. Sì, ha bisogno di un break la numero 1 del mondo, chiamata a stravincere ogni volta che scende in campo. Quando uno spettatore, o un addetto ai lavori, la vede giocare, non tiene contro probabilmente di tutto quello che c’è dietro: allenamenti, viaggi e tutto ciò che serve per permetterlo. “Mi prendo qualche momento di vacanza, devo staccare la spina, respirare a fondo, non ho avuto abbastanza tempo neanche nella off season. Ho subito iniziato gli allenamenti, ho riposato davvero poco nelle ultime 2-3 stagioni. Ne ho bisogno, specie per la stagione sulla terra”. Dove difende i principali tornei del circuito: Madrid, Roma e il Roland Garros. Da quando è tornata in pista, nel 2011, dopo aver rischiato di chiudere anzitempo la carriera, Serena ha giocato ben più di quanto facesse da giovane. In queste 2 stagioni, la Williams è tornata numero 1 del mondo, ha vinto due medaglie d’oro alle Olimpiadi (singolo e doppio), e 4 prove dello Slam. Cosa le manca?


“Mi prendo qualche momento di vacanza, devo staccare la spina, respirare a fondo, non ho avuto abbastanza tempo neanche nella off season" Probabilmente, non solo un periodo di riposo nel brevissimo tempo, ma anche un piano di medio-lungo periodo, per dosare le forze e continuare ancora per qualche anno ad essere l’assoluta dominatrice del circuito WTA. Ai primi di Maggio, nella splendida cornice della Caja Magica di Madrid, vedremo se Serena aveva solo bisogno di staccare un po’ la spina, o se è l’inizio della parabola discendente di una delle più grandi tenniste della storia.


Jelena Jankovic e Alisa Kleybanova di Franca Angelini Giocano il doppio per lo stesso motivo, disputare qualche partita in più e migliorare il gioco a rete. Una specie di extra allenamento ma meno noioso

Poco in comune A guardarle da fuori non sembra esserci troppo in comune fra le due. La serba con quel suo atteggiamento di chi ama farsi notare, una che quando è in campo sembra dire “gioco mi diverto e voglio fare spettacolo”. A volte anche con un pizzico di dramma, il che non guasta. “JJ”, come viene chiamata da chi le vuol bene (fans compresi) è una perfezionista «Non sono mai soddisfatta del mio gioco. Quando esco dal campo ho sempre la sensazione che potevo fare molto meglio. Credo sia la mia natura. Non dico mai ho giocato bene. Penso sempre che la mia avversaria

abbia giocato molto meglio e che io sia stata forse un pizzico fortunata». La russa è invece una ragazza che ha vinto la partita più difficile, sconfiggendo il linfoma di Hodgkin 6-0 6-0, come ha scritto sul suo sito quando ha annunciato il suo ritorno al tennis dopo una battaglia di due anni (in questa aiutata dallo staff dei medici dell’ospedale di Perugia, dove è stata curata). Con il quarto di finale ottenuto a Stoccarda (ha anche battuto Petra Kvitova, testa di serie numero tre), Alisa Kleybanova è tornata nella top 100 (al numero 87). Un altro passo verso il suo obiettivo: la Top-20.


«Il mio sogno...» «Sento che sto diventando più veloce, più forte fisicamente, più resistente. Non ho bisogno di cercare motivazioni speciali. Per me scendere in campo è ogni volta un sogno che diventa realtà. Semplicemente, mi piace il solo fatto di poter giocare ogni giorno, giocare tornei ed essere nella élite. Io amo questo sport e in allenamento do sempre il 100%. E so che se continuerò con questo spirito i risultati arriveranno. Già ora gradualmente stanno migliorando. Ci saranno dei brutti giorni, ma questo capita a tutte. Io provo a non preoccuparmi e questo mi aiuta». Al Porsche Tennis Grand Prix di Stoccarda, nel

fronte nei quarti. Ha vinto la Jankovic, ma la serba che in genere ama parlare soprattutto di sé, ha mostrato grande rispetto per la sua compagna di doppio e amica. «Non è mai facile giocare contro qualcuno che conosci così bene. Alisa è una splendida persona e una gran giocatrice. Non è mai bello quando dobbiamo giocare contro. Anche se siamo due professioniste, io voglio vincere, lei vuole vincere È un po’ strano. Anche perché il giorno dopo giochiamo dallo stesso lato del campo. No, non è mai facile». Una coppia nata per caso Una coppia di doppio nata per caso. Racconta Alisa: «A Doha ci allenavamo insieme il primo giorno del torneo, e Jelena non aveva nessuno con cui giocare il doppio. Me lo ha chiesto, ho accettato». Dopo Doha, Dubai e Stoccarda... Ora hanno deciso di giocare insieme per il resto della stagione. «Con Jelena c’è sempre stato una grande rispetto. Giocare accanto a lei è divertente, in campo ridiamo molto. Anche quando qualcosa va male nessuna delle due se la prende e continuiamo a giocare con il sorriso sulle labbra. Per tutte e due è chiaro che il nostro obiettivo è il singolo, mentre il doppio è solo per divertimento.


Il risultato ovviamente è importante ma senza alcuno stress» Parafrasando il titolo di una commedia, “Ti ho scelto come compagna di doppio per allegria”. Anche perché, diciamoci la verità, una Jankovic che non si diverte non è facile da vedere. «Pensate che mi ci impegni a esser così come sono?», ci chiede la serba mentre si fa una (altra) bella risata. «È nella mia natura. Anche quando sto rispondendo alle domande dei giornalisti, per me è solo divertimento. Questo è il mio modo di essere, anche se non ci sono le telecamere intorno. Se voi veniste con me al ristorante o fuori dal campo da tennis mi conoscereste un po’ meglio e vedreste che io sono così. Sono frizzante e mi piace parlare… A volte senza senso». Grande risata della Jankovic e di tutti i presenti. «Avere dei bei momenti, far ridere la gente, diffonde della buona energia, ecco io penso che sia la cosa più importante». Andrea Petkovic con cui la Jankovic ha giocato il doppio a Charleston conferma:

«Il bello di Jelena è che lei è esattamente così come la vedi. Con lei non ci sono trucchi o sorprese». «Come Sara e Roberta...» La russa è meno estroversa di Jelena, anche perché sarebbe difficile esserlo di più... «In genere io non parlo molto con le altre tenniste fuori dal campo. Dopo gli allenamenti e le partite tutte abbiamo i nostri impegni. Ma con Jelena ci alleniamo spesso insieme, scherziamo molto e ci sosteniamo a vicenda. Ci piacerebbe creare uno spirito di squadra come quello fra Sara Errani e Roberta Vinci». La Jankovic non perde occasione per sottolineare

le qualità della sua amica Alisa. «Ha mostrato quanto sia forte. Ed è motivo di ispirazione per gli altri il fatto che lei sia riuscita a tornare dopo una malattia così grave. Ed è ancora più eccezionale che sia qui a competere a un livello così alto, contro tutte noi». E poi le parole che non ti aspetti, ma sono belle da sentire: «Io sono molto orgogliosa di lei. Sono una sua grande fan. Faccio il tifo per lei ogni volta che gioca contro le altre. La sostengo in tutto. È una ragazza deliziosa, una persona eccezionale e questo, almeno secondo me, è più importante che essere una grande giocatrice».


Intervista ad Ana Ivanovic di Stefano Semeraro

Una ex n. 1 del mondo con due gambe da modella e due occhi verdi così, non si trova tutti i giorni

Ana Ivanovic arriva allo stand Rolex al Foro Italico e riesce a strappare i fotografi dal campo da tennis dove il divo Federer si sta allenando e persino da quello di paddle dove Totti sfida Mancini. Ma è tutt'altro che una diva, Ana, anche se tutti la trattano così. Gentile, sorridente, ironica, per nulla spocchiosa. La fuoriclasse della porta accanto. «Il rapporto con la Rolex funziona perché è impostato su una base comune», spiega lei, «è un marchio raffinato, ma da loro mi sento trattata come una di famiglia. Sono valori in cui mi riconosco».

Ana, lei è la più bella tennista del mondo... «Be', grazie, sono lusingata...». Prego. La bellezza a volte può essere un problema. Può falsare il rapporto con la realtà? «Non per me. Anche perché sul campo io cerco di dare il meglio come tennista, e credo la gente lo apprezzi. È vero che qualcuno può farsi condizionare, ma io sono molto genuina, alla mano».


E' tutt'altro che una diva, Ana, anche se tutti la trattano così. Gentile, sorridente, ironica, per nulla spocchiosa A Roma sempre solo semifinali, la prima nel 2010. «È un torneo che amo moltissimo. Amo Roma, la gente, l'atmosfera: forse per questo mi metto troppa pressione e non arrivo mai sino in fondo. Ci vado vicina, però. Chissà se prima o poi...». Lei è molto emotiva... «Sì, e a volte mi aiuta, altre mi danneggia. Ma io sono fatta così, sono una molto passionale, non mi posso cambiare». È anche appassionata di psicologia: difficile analizzare se stessi? «Dal di fuori sembra tutto più semplice. È vero che mi piace la psicologia, e leggo anche molti libri sull'argomento. Penso anche molto a quello che mi capita, a volte troppo. A volte è meglio non riflettere e seguire l'istinto». Le tenniste sono più stressate dei colleghi maschi: vero? «Sì. La gente vede solo il lato glamour del nostro lavoro, invece è un mestiere molto duro, fatto di viaggi e tanto stress. E le ragazze spesso trasformano lo stress in conflitti fra di loro».


Batte spesso le italiane, a Roma è toccato a Karin Knapp... «Non so, di certo non voglio male alle italiane! Ma forse loro non amano molto il mio gioco». Anche lei sembra così dolce, ma in campo sbrana. Dottor Ana e Miss Ivanovic? «Sempre. Sono una grande agonista, odio perdere. E mi arrabbio anche se gioco a backgammon con il mio coach e a carte con mio fratello». Batte spesso le italiane, a Roma è toccato a Karin Knapp... «Non so, di certo non voglio male alle italiane! Ma forse loro non amano molto il mio gioco». Cosa deve fare un uomo per conquistarla? «Essere sicuro di se stesso. Divertirmi, farmi ridere. Non mi piace chi fa lo sbruffone o si intimidisce troppo.

L'importante è sempre essere se stessi: io sono una che apprezza l'onestà». Lei non ne ha bisogno, ma che armi usa per sedurre? «Le stesse. Non cerco mai di essere quella che non sono. Anche perché la verità alla fine viene sempre a galla» Oggi è meglio il tennis femminile o quello maschile? «Quello femminile: ci sono tante giocatrici che possono vincere, tante rivalità di qualità al vertice. Non siamo solo glamour e gonnellini». Come si fa a battere Serena Williams? In Australia le è riuscito...


Bella e in forma, anche troppo: ci racconta la sua dieta? «Non mangio mai né fritti né dolci..." «È potentissima, bisogna essere aggressivi, ma non troppo perché se fai tanti errori è finita. Facile, no?». La vostra generazione cresciuta sotto le bombe ha fatto grande la Serbia del tennis. Dopo lei e Djokovic chi c'è? «Il tennis oggi è lo sport più popolare in Serbia, siamo pieni di giovani talenti, ma mancano le strutture, e rischiamo di perderli. Però anche i bambini di oggi sono tosti». Bella e in forma, anche troppo: ci racconta la sua dieta? «Non mangio mai né fritti né dolci...»

Mai? «Be', chi ci crederebbe? (e fa un gesto molto italiano, ndr). Qualche volta mi concedo la Nutella. Però se devo sgarrare preferisco pizza o spaghetti: amatriciana o cacio e pepe» La politica la attrae? «Per carità, è una cosa che proprio non mi interessa. Il mio amico Djokovic invece ha le qualità giuste». Cosa vede nel suo futuro? «Tre o quattro bambini, quando avrò smesso. E un impegno nella moda».


Berdych è pronto per i top-4 di Stefania Grosheva

"Si tratta di mettere assieme tutti i pezzi, ma il puzzle è davvero complesso"

"Si tratta di mettere assieme tutti i pezzi, ma il puzzle è davvero complesso"- dice Tomas Berdych ironicamente, com’egli considera la dimensione e la complessità della sua ambizione di entrare nei top-4 del tennis mondiale con un’ iniziale vittoria di Grand Slam come partenza. Il numero 5 dell’ ATP sorride e vede il futuro nel miglior modo possibile, entro i primi 4. "Devi essere estremamente professionista ", dice Berdych." Questo è quello che mi serve per ottenere il meglio dal mio tennis. Berdych è altrettanto rapido per riconoscere la feroce unità dei giocatori più importanti del mondo che si sforzano di mantenere sia la loro supremazia o per rompere il vecchio all'avanguardia e nomina Stanislas Wawrinka, che è diventato il nuovo detentore del Grand Slam in Australian Open. Berdych aveva perso contro Wawrinka in quattro set in semifinale. "Ero molto vicino contro Stan", confessa suspirando a 'The Guardian'. "C'erano tre tie-break".

"Stan ha dato a tutti noi una nuova speranza e nuova energia", dice Berdych. "Ha dimostrato che è possibile. Dal 2005, ci sono stati pochissimi giocatori che hanno vinto un Grand Slam, oltre a quei quattro [negli otto anni e mezzo che separano l’ Open 2005 di Francia e l’innovazione australiana di Wawrinka, solo Juan Martín del Potro, che vinto l'US Open 2009, ha rotto il monopolio che ha visto gli altri 34 tornei del Grand Slam condivisi tra le 'quattro grandi']. Incredibile". "Ma ora è assolutamente giusto dire che si sta aprendo, ed è per questo che non mi sento stanco dopo 12 anni [nel tour]. Ho un nuovo impulso e sono molto vicino. Ho bisogno di energia extra per lavorare di più e ottenere maggiore risultati perché so che anche Andy [Murray] si è preso molto tempo per vincere il suo primo Slam". Murray, dopo numerose finali perse, ha vinto l' US Open nel 2012 e Wimbledon l'anno scorso. Berdych sottolinea che l'assunzione di Murray di Ivan Lendl "è stato davvero un grande fattore. Conosco bene a Ivan e sicuramente ha avuto una grande influenza su Andy.


Ivan non li ha insegnano nulla di nuovo tecnicamente, ma psicologicamente ha fatto tanto" Ora che lui e Lendl si sono separati, Murray ha il difficile compito di scegliere il suo prossimo coach. "Non importa se si tratta di un grande nome o un ragazzo più ordinario", dice Berdych. "Andy potrebbe scegliere qualcuno molto diverso. Ma hanno bisogno sicuramente della giusta alchimia, psicologicamente". "Quando vedete qualcuno allenare Federer si pensa: Ha pagato il ragazzo a Roger per imparare da lui? Ma è molto bello perché quando Roger era giovane, Stefan era il suo idolo.

Questo è un esempio della strana chimica di cui abbiamo bisogno. Non sto dicendo che Stefan non può dargli uno o due consigli, ma ,in realtà, cos'è che si può dire a un ragazzo che ha vinto 17 Grand Slam? Si tratta solo di chimica e Roger può dare un passaggio". Berdych è stato allenato dal 2009 da Tomas Krupa, un altro ceco. "Era nella top-100 del doppio e classificato circa 250 in single, ma ha allenato Radek Stepanek quando era al meglio della sua condizione, al numero 8, e adesso lui è con me. Molte volte mi vengono rivolte, se cerco i nomi di allenatori e sì, c'è ancora una finestra per questo. Sono aperto a questo". Berdych era arrivato agonizzante vicino ad una vittoria importante nel 2010, quando ha battuto Federer e Djokovic a Wimbledon. "E poi c'è Rafa in finale..." - dice con un sorriso macabro, ricordando la sua perdita deludente contro Nadal. Wimbledon offre ancora la migliore speranza di diventare un campione. "Si. Ma sto ridendo perché mi ricordo con tanta fatica nei miei primi anni sull'erba. Poi la mia prima finale di Grand Slam è stata Wimbledon! Quindi tutto è possibile. Ma l'erba è cambiata in modo significativo e si può muovere molto più facilmente. Esso è adatta al mio gioco, in questo momento.


Parlando di questo momento nella sua carriera pensa che "adesso c'è più di una possibilità. L'anno scorso ho giocato Queen's per la prima volta ed è andata molto bene. Quindi, sono contento di tornarci quest'anno. Non so se vogliono sentir questo a Wimbledon, ma l'erba a Queen's è molto migliore ". Parlando di questo momento nella sua carriera pensa che "adesso c'è più di una possibilità. Estremamente difficile, ma se diventa la realtà che un giorno io sollevo un grande trofeo che può valere cinque loro, la sensazione sarà ancora più speciale. Penso di poter vincere uno Slam. Questo è il mio obiettivo principale e se potessi sceglierne uno, allora, avrebbe dovuto essere Wimbledon. Ma, onestamente, vorrei vincere qualcosa".



Jiri Vesely classe 1983 di Vanni Gibertini Il tennis non è più uno sport per teenager, è risaputo. Serve gavetta, tanta gavetta, e Jiri Vesely, classe 1993, non si è davvero tirato indietro

Il tennis non è più uno sport per teenager, è risaputo. Serve gavetta, tanta gavetta, e Jiri Vesely, classe 1993, non si è davvero tirato indietro, nonostante il suo grande curriculum da juniores che nel 2011 lo ha visto aggiudicarsi gli Australian Open e arrivare in finale agli US Open. Nel 2012 il mancino di Priban, una cittadina non lontana da Praga, è statp ingoiato dal girone infernale dei tornei Futures, nei quali ha ottenuto risultati lusinghieri (cinque vittorie, di cui quattro sulla terra battuta), anche se le vittorie nei Challenger si sono fatte aspettare. Il ragazzo però non aveva ancora finito di crescere,

se è vero che nel giro di un anno ha aggiunto 4 cm alla sua già ragguardevole altezza, arrivando a toccare i 198 cm e rendendo il servizio mancino un’arma di tutto rispetto. Così, nel 2013 arriva il salto di qualità che al termine della stagione gli varrà il premio dell’ATP “Stars of Tomorrow” (Stelle di Domani): dopo la vittoria in due Futures israeliani a gennaio, ecco il primo titolo Challenger, a Mersin in Turchia, cui fa seguito qualche settimana dopo l’affermazione a Ostrava, in finale sul belga Steve Darcis. La classifica, che all’inizio dell’anno era poco sopra la trecentesima posizione, migliora a vista d’occhio fino ad arrivare al n.126 a fine


La tranquillità e il sorriso (enormi e bianchissimi i suoi denti) con cui parla della chance avuta, rivela la consapevolezza che non si è trattata dell’occasione della vita, piuttosto del primo approccio al tennis che conta e che lo vedrà tra i protagonisti.

maggio. Le qualificazioni superate al Roland Garros e un terzo Challenger vinto a Braunschweig gli valgono l’ingresso nei primi 100, evento che lui ricorda come uno dei più significativi della sua carriera. Il resto è storia recente: i primi match in Davis, a risultato acquisito, a fianco dei campioni delle ultime due edizioni Berdych e Stepanek, e il 3° turno a Indian Wells perdendo 64 al terzo da Murray una partita che avrebbe anche potuto vincere, se non fosse stato colto da crampi alla fine del match. «Credo che il problema muscolare che ho avuto alla fine non sia dipeso solamente dalla stanchezza fisica», ha spiegato Vesely dopo il match con il campione di Wimbledon, «ma anche e soprattutto dalla necessità di rimanere concentrato su ogni punto in un match così lungo (l’incontro è durato quasi tre ore; ndr). Non ho molta esperienza contro i Top 10: l’anno scorso agli US Open quando mi sono allenato con Andy ero così preoccupato di sbagliare che non l’ho fatto allenare come avrebbe voluto. Stavolta ovviamente sono andato in campo per vincere, ma quando sono arrivato a condurre 4-2 nel secondo e nel terzo mi sono irrigidito e ho perso una grande occasione. Credo sia meglio prendere quanto di buono ho saputo fare in questo match e guardare avanti».


Intervista a Wawrinka di Federico Coppini

Stan l’instancabile, l’incredibile, ce l’ha fatta una volta di più

Stan l’instancabile, l’incredibile, ce l’ha fatta una volta di più. In quattro mesi ha riscritto la sua Storia da tennista “campione ma non troppo” e dopo il primo Grand Slam in Australia, si è aggiudicato anche il primo Masters 1000 della sua carriera. Lo scorso anno prima dell’avvento del nuovo coach, Magnus Norman, quella di Wawrinka sembrava una carriera rivolta verso il viale del tramonto e invece Stanislas ha affrontato una stagione irripetibile, raggiungendo livelli da record. Una vera e propria rinascita tennistica che gli ha permesso di raggiungere obiettivi insperati. Monte-Carlo ha regalato una giornata importante alla Svizzera, e anche una finale diversa da qualsiasi altra.

In campo abbiamo visto giocare due amici, non due rivali. Roger è sembrato felice di potersi congratulare con lei alla fine della partita... «Sì, è stata una giornata speciale per la Svizzera. È raro vedere nello sport tanto rispetto reciproco. Io e Roger siamo amici, dentro e fuori dal campo, ma quando giochiamo contro è ovvio che cerchiamo entrambi di vincere. Abbiamo pranzato insieme prima del match, e alla fine negli spogliatoi abbiamo parlato e riso assieme. È quello che facciamo sempre, anche in Coppa Davis. Giocare con Roger è stato come disputare un “Challenge personale”. Non nego, comunque, che per uno come me, con il mio carattere, se vincere una partita è sempre difficile vincerla contro di lui, lo è ancora di più». Vincere partite del genere, si dice, aggiunge sicurezza e autostima. Sarà stato così anche per lei, supponiamo, al di là del piacere di vincere il torneo che apre la stagione sulla terra rossa. «Me ne ha data tanta. Mi sono reso conto di come sono diventato forte mentalmente e fisicamente.


Sono riuscito a giocare bene a tennis e ho battuto tutti gli avversari. Per me era importante fare del mio meglio dopo la Coppa Davis, dovevo essere pronto a giocare delle dure partite e a lottare con tutto me stesso. Monte-Carlo me ne ha dato l’opportunità». Dopo aver vinto l’Australian Open, si aspettava di vincere il primo Masters 1000 così presto? «Non mi sembra vero e non me lo aspettavo. Sono davvero felice di aver vinto un Master 1000 così velocemente dopo il mio primo Slam. Quando sono arrivato a Monte-Carlo, mi ero detto che questo torneo per me era un test,

sapevo che stavo giocando un buon tennis ma avevo un tabellone difficile e non ci pensavo. In campo però mi sono mosso bene e ho giocato con grande potenza riuscendo a battere tutti i miei avversari». Dopo l’Australia ha giocato così così... Negli Stati Uniti ci è sembrato abbia avuto un calo nel rendimento. In Coppa Davis, invece, ha stentato all’inizio, poi ne è uscito fuori dimostrando di essere in recupero di forma. «Dopo aver vinto uno Slam è sempre difficile confermare i risultati. A Indian Wells e Miami non ho giocato delle buone partite e sono uscito negli ottavi. La Davis per me è di grande importanza e il mio obbiettivo è di giocarla al massimo. Giocare in casa al fianco di Roger, contro il Kazakhstan, è stato duro per me soprattutto i primi due giorni. Poi sono stato felice della vittoria che mi ha dato quella spinta per arrivare bene a giocare il primo torneo sulla terra rossa». La stagione è cominciata da soli quattro mesi e lei ha già vinto più di tutti. Oggi è considerato un campione e un vincente. Ma prima non era così. Ci può dire cosa è cambiato in lei? «Il cambiamento in me c’è stato lo scorso anno,


quando per la prima volta ho raggiunto i quarti di finale al Roland Garros, la finale a Madrid e la semifinale allo U.S. Open. È stato lì che ho realizzato che potevo battere tutti gli altri tennisti. È quello che sto tentando di fare quest’anno e per ora mi sembra di farlo bene. Sono stupito di dove sono arrivato, ma non sono sorpreso del mio gioco e del modo con il quale vinco certe partite». Non sappiamo quante volte le abbiano chiesto se aveva mai pensato di poter arrivare tra i primi quattro della classifica... Ora che c’è, ne vogliamo parlare? «Penso che i grandi, i “fab-four” saranno sempre loro: Rafa, Novak, Roger e Andy. Hanno vinto tutti i tornei più importanti, e questo non può essere cambiato. Nonostante oggi vi sia qualcosa di diverso nella classifica, le statistiche parlano da sole: loro hanno vinto tutto e lo hanno fatto per molti anni».

Lei è sempre stato molto modesto, è una persona con i piedi per terra. Da dove vengono tanta saggezza e questa educazione esemplare? «Sono una persona semplice, cresciuto in una fattoria da due genitori che hanno lavorato nel sociale, occupandosi di persone diversamente abili. Conoscere certe realtà ti fa capire quali siano le cose importanti della vita e questo mi ha fatto stare sempre con i piedi per terra. Ho imparato ad avere rispetto per tutti, è fondamentale e soprattutto mi sono reso conto di quanto sono fortunato». Quali consigli importanti le ha dato

Magnus Norman per affrontare al meglio la stagione sulla terra? «Il lavoro con Norman è iniziato dallo scorso anno, poco prima di Estoril e quello che abbiamo cominciato allora lo continuiamo a fare adesso. Non mancano gli allenamenti intensi, ma molto del lavoro è dedicato al mantenimento della concentrazione». C’è anche il numero 1 fra gli obiettivi. In fondo, non è lontano. Ci ha mai pensato? «Certo, a tutti piace sognare… In questo momento però devo rispondere di no. Sono troppo lontano da questo obiettivo, quello che


"Bisogna giocare e vincere quasi tutti i tornei per arrivare al numero uno. È troppo presto per pensare a una cosa del genere" oggi è il numero uno del mondo lo scorso anno ha vinto due Grand Slam e cinque Masters 1000. Bisogna giocare e vincere quasi tutti i tornei per arrivare al numero uno. È troppo presto per pensare a una cosa del genere». Due parole sulla semifinale di Coppa Davis, la Svizzera a settembre dovrà affrontare l’Italia. «Ritengo la Coppa una competizione importantissima, l’ho sempre detto, ed è ovvio che ci piacerebbe molto battere l’Italia e andare in finale. Sapete com’è... In fondo, noi abbiamo solo due giocatori, anche se piuttosto forti... Mentre l’Italia ne ha diversi tra cui Seppi e Fognini che a Napoli hanno giocato molto bene. In ogni caso, è un evento abbastanza lontano. Ci penseremo a tempo debito».


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Intervista a Magnus Norman di Jan Stanski

“Il coach è come un dottore!” nelle zone settentrionale e orientale. Abbiamo 10 allenatori a tempo pieno che viaggiano con i giocatori e sono decisamente orgoglioso del nostro programma. Le nostre strutture però non sono così grandiose e attualmente stiamo pianificando di costruire un nuovo centro tennistico con circa 14 campi indoor e 10 outdoor, palestra, alloggi e ristorante.

Cosa pensi dello stato del tennis svedese nel mondo? Quali sono le tue previsioni per i prossimi anni? Credo che il tennis svedese abbia visto il fondo. Stiamo risalendo di nuovo. Ci sono più junior che stanno iniziando a lavorare duro e con alcuni buoni risultati. Comunque non sta andando bene come un po’ di anni fa. Norman, Edberg, Enqvist. Grandi nomi sul campo in passato. Ora nel box dell’allenatore. Come mai? Spero non sia perché non abbiamo nient’altro da fare… ahah. No, ad essere davvero onesti non lo so proprio. Gli svedesi sono molto affidabili in generale e grandi lavoratori e credo che forse questi siano due fattori importanti. Come sono gli allenamenti nella tua accademia di tennis “Good to Great”? Quali sono i programmi per il futuro? Al momento abbiamo circa 40 giocatori da diverse parti d’Europa concentrati maggiormente

Hai un tuo modello di allenatore che ti piace seguire o imitare in qualche modo? Imito ogni coach dell’accademia. Imparo da loro. Abbiamo un misto di ex giocatori ed altri allenatori. Giovani e meno giovani. È davvero affascinante. Parlo anche molto con il mio caro amico Thomas Johansson. Quali sono gli obiettivi di Stanislas Wawrinka che hai preparato per il futuro? L’obiettivo è essere il più preparato possibile per tutti gli eventi nei quali giocherà. Ha vinto un Grande Slam, un Master 1000 e un ATP 250 quest’anno ma sento proprio che vuole di più. Il tuo giocatore – Stanislas Wawrinka si è unito all’élite dei concorrenti avendo il


titolo del Grande Slam e anche dell’ATP Master. Ha già battuto icone del tennis – Novak Djokovic, Roger Federer, Rafael Nadal. Qual è la cosa principale che ha cambiato nel suo gioco per ottenere risultati così grandiosi nell’ultimo periodo della sua carriera? Credo che la cosa principale sia stata il suo approccio mentale. Ora crede in se stesso un po’ di più, penso. Ha innalzato un po’ il suo livello minimo grazie alla stabilità mentale. Siamo anche stati in grado di prepararlo bene per tutti gli eventi e poi non ha avuto infortuni. Credo abbia un grande team attorno.

Un grande medico che si prende cura del suo corpo. Un grande fitness trainer che ammiro davvero e un grande agente che pensa a lungo termine. C’è stata qualche storiella divertente con Stan? Molte storie divertenti. Ma essere un coach è un po’ come essere un dottore. I tuoi pazienti sono i giocatori. Quello che viene detto tra te e il tuo giocatore rimane tra voi. Si tratta di fiducia. Stan è comunque un uomo molto umile con una grande prospettiva nella vita. È un uomo di famiglia col quale mi capisco molto bene fuori dal campo poiché sono padre anch’io di due bambini.


Alex Dolgopolov di David Cox

Ora sono abbastanza forte da competere regolarmente ai vertici

Pochi spettacoli nello sport mondiale sono tanto magnifici quanto il campo centrale del Montecarlo Country Club, la terra color mattone che contrasta nettamente con le acque scintillanti del Mediterraneo sullo sfondo. Si tratta di un’ambientazione da campioni e mentre discutiamo dell’instabile equilibrio di potere al vertice del gioco maschile con questa vista tra le più panoramiche sullo sfondo, Alexandr Dolgopolov mi racconta d’essere fermamente convinto di poter raggiungere gli alti ranghi negli anni a venire. Dolgopolov, noto come “The Dog” nel suo team, è cresciuto nella sua natia Ucraina ma da quando è divenuto uno dei primi 25 del mondo, risiede nel paradiso fiscale di Monaco, assieme a compagni fissi d’allenamento come Novak

Djokovic e Viktor Troicki. Uno dei giocatori più piacevoli da guardare del circuito, non si è mai certi di sapere cosa farà Dolgopolov tale è la ricca varietà di colpi nel suo arsenale e la profondità della sua immaginazione. Ma nonostante il posto numero 13 nella classifica mondiale per due anni, il più alto in carriera, sente di aver reso finora al di sotto delle proprie possibilità. “Penso di essere sempre stato abbastanza bravo mentalmente”, spiega. “Ogni volta scendo in campo e gioco la mia partita contro chiunque dall’altra parte. Non ho mai pensato a chi c’è dall’altra parte, anche se si trattava di Rafa o Novak. No, credo di non essere sempre stato forte fisicamente o abbastanza concentrato”. Dolgopolov soffre del disturbo genetico detto Sindrome di Gilbert dall’età di 12 anni, che lo porta spesso ad improvvisi viaggi in ospedale senza preavviso. Da adolescente, si rifiutava di accettare che ci fosse qualcosa che non andava in lui e ora rifiuta di accettare che tutto questo abbia avuto un impatto sulla sua carriera. “Capita solo qualche volta l’anno e ci sono dieci mesi da giocare per cui sono stati di più i miei


problemi – non essere al 100% per tutta la partita e tutte quelle piccole cose che ora credo di saper gestire meglio.” Attualmente si classifica appena fuori dai primi 20 ma in questa stagione crede finalmente di essere in procinto di iniziare ad infilare buone prestazioni con regolarità. Ha battuto Fabio Fognini e David Ferrer senza perdere un set sulla terra di Rio de Janeiro prima di arrivare alla finale a fine febbraio, ed è stato ancor più impressionante durante la sequenza dei Master ad Indian Wells e Miami. Ha sbalordito Rafael Nadal, Fognini e Milos Raonic arrivando in semifinale in California prima di battere Stanislas Wawrinka

raggiungendo i quarti di finale a Miami. Le differenze tra i primi 5 e i primi 20 sono determinate da inezie e al suo meglio Dolgopolov crede di potersi accompagnare ai migliori del mondo. “Ho migliorato la concentrazione e alcune cose tecniche e ora sono totalmente impegnato con il tennis”, dice. “Diventare più forte mi aiuta ad evitare infortuni e significa che sono capace di giocare a tennis più a lungo ed essere tra i più forti negli scambi prolungati.” Dopo uno screzio agli inizi della sua carriera, ora Dolgopolov lavora nuovamente col padre, l’uomo che gli ha insegnato il gioco quando era giovanissimo e che lo capisce meglio di chiunque altro. “Mi conosce da tutta la vita, quindi il mio gioco non è nuovo per lui,” dice. “Sa esattamente di cos’ho bisogno per diventare un giocatore migliore.” Il trionfo di Wawrinka agli Australian Open e al Master di Montecarlo il mese scorso hanno ispirato molti di quei giocatori che precedentemente avevano dubbi sulla loro capacità di battere gente come Djokovic e Nadal nei tornei maggiori. Comunque Dolgopolov dice di non aver mai sofferto di mancanza di fiducia. “Non so,” riflette. “Io non credo che la vittoria di Wawrinka abbia cambiato veramente qualcosa.


“Ho migliorato la concentrazione e alcune cose tecniche e ora sono totalmente impegnato con il tennis” Tutto è com’è sempre stato. Forse alcuni ragazzi pensano improvvisamente di avere un’opportunità di vittoria. Io non la penso così. Ovviamente i primi quattro sono forti ma non dureranno per sempre. Sta venendo il tempo per una nuova onda di giocatori venturi ed è normale così. Non credo abbia a che fare con Wawrinka. È normale che alcuni nuovi giocatori prima o poi emergano. La vecchia generazione non può durare per sempre”. Dolgopolov sente che presto potrebbe essere il suo momento, specialmente ora che negli ultimi diciotto mesi la sua battaglia con la Sindrome di Gilbert è arrivata ad un rovesciamento.

“Sono in contatto con il mio dottore a casa che mi aiuta con la sindrome e so abbastanza bene cosa devo o non devo fare”, dice. “È una cosa alquanto nuova e i dottori normali non sanno bene cosa fare. Ma non ho avuto problemi nell’ultimo anno circa e mi è stato detto che a volte va via nell’invecchiare e non si ripresenta mai più. Ma non è stata fatta molta ricerca su questa condizione e anche gli specialisti non hanno abbastanza informazioni da darmi sul fatto che io sia completamente pulito o meno. Sto solo gestendo la situazione e vedo dove mi porta. Spero non ritorni più.”


Jérémy Chardy di Dario Torromeo

Questa è la storia di un dritto incrociato che ha rapito undicimila spettatori sul Centrale al Foro Italico

Questa è la storia di un dritto incrociato che ha rapito undicimila spettatori sul Centrale al Foro Italico. Li ha ammutoliti e poi li ha costretti ad applaudire, perché un colpo così si vede raramente e va omaggiato anche se mette in ginocchio Roger Federer, l’idolo di tutti. Un colpo che Jérémy Chardy racconterà ai nipotini. Ripeterà la narrazione di quei pochi secondi mille volte, la farà diventare un tormentone che si porterà piacevolmente dietro per tutta la vita. «Mi ricordo quella volta che…». Sconfiggere un mito Non tutti gli uomini di sport hanno la fortuna di

sconfiggere un mito. Soprattutto quelli come Jérémy Chardy, uno che non ha avuto molti picchi in carriera. Ha vinto a Stoccarda nel 2009. Poi ha messo assieme qualche successo su uomini di classifica importante e un buon andamento che lo ha tenuto tra i primi 50 del mondo. Senza però mai sconfinare nella zona privilegiata, quella dei Top 20. Ma il 14 maggio dell’anno 2014 il bel giovanotto con un accenno di barba e una splendida fidanzata, ha tirato fuori dal cilindro quel colpo vincente. E quelli sono momenti che non dimentichi più. Tra gli sport che seguo con maggiore passione,


Quel match avrebbe dovuto vincerlo da solo contro undicimila oltre al tennis c’è la boxe. Mi avranno raccontato mille volte la notte del 9 aprile 1964, quella in cui il futuro campione del mondo dei pesi medi Carlos Monzon chiudeva l’ultimo capitolo della sua seconda vita. Niente paura, ce ne sarebbero state altre due. Carlos perdeva contro Alberto Massi, un giovanotto di 24 anni che gli amici di Rio Cuarto chiamavano Pirincho. Lui gli aveva regalato con spregio un altro soprannome: “el gordo”, il ciccione. Avevano combattuto a Cordoba. Monzon era più alto e più bravo, ma aveva perso. Alberto del Carmen Massi, all’epoca faceva il cameriere. Sarebbe diventato muratore e successivamente fuochista su una nave. Era stato campione militare e aveva vinto i primi due match da professionista.

Niente di speciale, il record di fine percorso l’avrebbe confermato. Giovane, inesperto e senza grandi potenzialità. La vittoria contro il santafesino sarebbe stato il ricordo più bello di una carriera senza lampi. Se lo sarebbe portato dietro per sempre, non l’avrebbe mai lasciato. «Yo le gané a Carlos Monzón». L’avrebbe scritto anche sul biglietto da visita, se solo ne avesse mai avuto uno. Jérémy Chardy ha un record sportivo decisamente migliore di quello di Alberto Massi. Ma credo che quel momento magico non lo dimenticherà mai. «È stato il più bel colpo di difesa della mia carriera». Si giocava il tie break decisivo, Roger andava al servizio con il match point sulla racchetta. Chardy rispondeva, Federer incrociava con il


Jérémy avrebbe voluto fare l’attore, adorava e adora il cinema. Ha semplicemente rimandato il progetto a fine carriera Il francese ci arrivava in allungo e piazzava un dritto incrociato da applausi. Punto, pari. Per qualche secondo il pubblico romano era dalla sua parte. L’unica volta in tutta la partita. Quel match avrebbe dovuto vincerlo da solo contro undicimila. L’alchimista L’avventura di Jérémy Chardy il tennista comincia con un libro. Il regalo del coach Frederic Fontang il giorno in cui si è visto presentare il giovanotto all’Accademia di Pau. “L’Alchimista” di Paolo Coelho, la storia di un giovane pastore che insegue i sogni in terra straniera per poi scoprire che il tesoro che cercava l’aveva in casa. Era un invito neppure troppo celato. L’invito a cercare dentro se stesso la risposta ai propri sogni. Con Jérémy non serviva neppure insistere tanto. Lui aveva sempre scelto il calore del clan, l’amore della famiglia. Viaggiava, girava il mondo per giocare a tennis ma poi tornava sempre a Boeil Bezing: Pirenei Atlantici, nella zona dell’Aquitania nel sud est della Francia. Il suo universo aveva pochi abitanti. Mamma, papà, fratello, sorella e nonno. Una famiglia benestante, banchieri papà Guy e il fratello Thierry. Jérémy avrebbe voluto fare l’attore, adorava e adora il cinema. Ha semplicemente rimandato il progetto a fine carriera. Ha cominciato a giocare a tennis a sei anni. Da quattro a quattordici ha fatto anche il calciatore nei


campionati giovanili della zona. Poi ha imboccato la strada che gli sembrava più sicura. Campione junior a Wimbledon, finalista di categoria agli US Open e stagione 2005 chiusa al numero 4 del mondo. A quel punto era inevitabile il grande salto. I francesi hanno scoperto questo giovanotto al Roland Garros del 2008. Sotto di due set contro il numero 7 dell’Atp, l’argentino David Nalbandian, ha rimontato e vinto. È stato il primo successo contro un Top 10, un bel colpo per lui che stazionava 138 posizioni sotto il rivale sconfitto. Benvenuta popolarità E adesso, a 28 anni compiuti, ha finalmente incontrato i suoi quindici minuti di popolarità. Ha cambiato molte città nella sua vita. Oggi abita a Liegi e il coach si chiama Magnus Tideman. Ha una fidanzata di 23 anni, Alizé Lim. Anche lei gioca a tennis, si muove attorno al numero 150 della Wta.

Assieme hanno passato un turno nel doppio misto del Roland Garros edizione 2013, anche se in quei giorni sono finiti sui giornali per un’altra storia. Maria Sharapova, la diva di ghiaccio, aveva messo su Twitter un post un po’ snob: “Devo guardare più tennis al Roland Garros. Ieri non avevo idea di chi fosse Paire, oggi non so chi sia Chardy. Devo migliorare la mia conoscenza di questo sport”. Alizé Lim le aveva prontamente replicato con un altro Twitter: “Sembra proprio che dovresti...” E aveva aggiunto una copia della classifica mondiale in cui si poteva leggere: “26 Benoit Paire, 27 Jérémy Chardy, 28 Grigor Dimitrov”.

Insomma, il fidanzato di Masha era dietro ai due francesi... Un buon tennista, senza risultati da star. Ecco chi è Jeremy Chardy. Qualcuno lo riconosce nei ristoranti di Parigi, molti non sanno chi sia. Qualche tifoso lo applaude, qualcuno arriva a chiedergli in ricordo i calzini con cui ha appena giocato. Ma si sa, i fan non sempre fanno richieste normali. Se dovesse ripetere l’exploit a Parigi nel prossimo Roland Garros è meglio che si prepari al peggio... La fortuna di trovare Federer Prima di approdare a Roma, il 2014 non era stato un anno fortunato per lui. Negli ultimi


Il Centrale vedeva un solo uomo in campo, aveva occhi soltanto per Roger Federer. Arrivava addirittura a festeggiare con un boato un doppio fallo di Jérémy sette tornei aveva rimediato due eliminazioni al primo turno e cinque al secondo. Poi eccolo sulla terra rossa del Foro. Il Centrale vedeva un solo uomo in campo, aveva occhi soltanto per Roger Federer. Arrivava addirittura a festeggiare con un boato un doppio fallo di Jérémy. Brutta cosa. Meglio non pensarci su e andare avanti. Dopo ventotto game si arrivava al tie break e lo svizzero si portava avanti 6-5. Match point e servizio. Sembrava finita. Un’altra bella partita, un’altra occasione buttata via. Chissà cosa passava nella testa di Chardy. Non guardava neppure per un secondo sugli spalti. Già sapeva cosa avrebbe visto. Non certo amore, ma volti che esprimevano la speranza che sbagliasse la

risposta, che lasciasse andare avanti il campione. Solo nell’arena. Uno contro tutti. Improvvisamente tirava fuori il coniglio dal cilindro, quel dritto incrociato difensivo che segnava il punto, lo riportava in parità, annullava il match point e lo spingeva verso il più grande successo della sua storia sportiva. Non so se sul suo biglietto da visita scriverà “J’ai battu Federer”, ma sono certo che non dimenticherà mai quel tiepido pomeriggio romano.


Nadal in difesa di Marco Di Nardo Dopo un 2013 da record, per Rafa Nadal la situazione inizia a diventare molto impegnativa. I risultati abbastanza negativi in questo avvio di stagione, lo costringono a giocare in difesa fino al finale di stagione sul cemento asiatico.

Sembrava non dovesse essere in discussione il primato in classifica di Rafael Nadal, almeno fino agli US Open. Grazie ad un 2013 pieno di successi, il maiorchino si era assicurato un vantaggio in classifica non indifferente all'inizio di questo 2014, con la possibilità di allungare ulteriormente, visto che nella passata stagione non aveva giocato né l'Australian Open né il Masters 1000 di Miami, e non aveva vinto il torneo di Monte-Carlo, in cui si era invece sempre imposto dal 2005 al 2012. Purtroppo un avvio non esaltante nella nuova annata tennistica, lo costringe invece a doversi difendere da subito, e a farlo per diversi mesi, dagli attacchi di Novak Djokovic, Stanislas Wawrinka e Roger Federer, tutti alla ricerca della prima posizione nel ranking Atp. Del resto sarebbe stato troppo attendersi che Nadal potesse ripetere i fantastici successi del 2013, anno in cui ha conquistato addirittura cinque Masters 1000 e due Slam, partecipando

solo a tre dei quattro tornei più importanti al mondo. Però un buon avvio di stagione gli avrebbe almeno permesso di poter giocare con più tranquillità in questa parte dell'annata tennistica in cui deve difendere tantissimi punti. Dall'Atp 500 di Barcellona fino agli US Open, l'unico torneo in cui Rafa potrà guadagnare punti sarà infatti Wimbledon, dove lo scorso anno perse addirittura al primo turno. A Londra lo spagnolo dovrà cercare di raggiungere almeno la finale, risultato che gli consetirebbe di ottenere 1190 punti importantissimi per la classifica, o un successo che gliene regalerebbe addirittura 1990, perché tra Barcellona, Madrid, Roma, Roland Garros, Canada, Cincinnati e US Open, non potrà conquistare nemmeno un punto, dovendone difendere ben 8500 su 8500 disponibili, avendo vinto tutti questi tornei nel 2013. La situazione di Nadal è quindi abbastanza complicata, visto che Djokovic è a circa 2000 punti di distanza, e Wawrinka e Federer hanno pochi punti da difendere rispetto al maiorchino. Ciò che preoccupa di più non è però il numero di punti da difendere, che non può fare paura più di tanto a un fenomeno come Nadal, ma la situazione di forma dello spagnolo.


Gli unici due successi stagionali del 13 volte vincitore nei tornei del Grande Slam sono infatti arrivati a Doha (Atp 250) e Rio de Janeiro (Atp 500) Gli unici due successi stagionali del 13 volte vincitore nei tornei del Grande Slam sono infatti arrivati a Doha (Atp 250) e Rio de Janeiro (Atp 500), quindi in tornei non di primissimo livello, mentre nei grandi appuntamenti sono arrivate tutte sconfitte molto dure per motivi diversi. All'Australian Open, quando Rafa aveva la possibilità di diventare il primo giocatore dell'Era Open a vincere per almeno due volte tutti i tornei Major, è stato sconfitto in finale senza poter praticamente giocarsi il successo per problemi fisici; a Indian Wells, dove difendeva il titolo, ha perso addirittura al terzo turno da Dolgopolov; a Miami è stato sconfitto in finale, ma subendo una vera e propria lezione di tennis, senza mai dare l'impressione di poter vincere, contro il principale rivale Novak Djokovic; infine a Monte-Carlo è arrivata forse la sconfitta più sorprendente, in un torneo che aveva vinto per otto volte consecutivamente, e in cui raggiungeva la finale da nove anni, nei quarti di finale contro David Ferrer, che non lo superava sul rosso addirittura da dieci anni. Tutte queste delusioni vanno unite al fatto che Djokovic sta giocando in maniera impressionante, ha vinto i Masters 1000 di Indian Wells e Miami, ed è stato fermato solo da Federer e da un infortunio nelle semifinali del Principato di Monaco, mentre Stanislas Wawrinka si sta dimostrando sempre più competitivo, e dopo il sorprendente successo


la prima posizione di Nadal sembra essere in discussione, e solo tornando vicino ai livelli del 2013 potrà manterere la vetta del ranking Atp fino alla fine dell'anno in Australia, ha saputo ripetersi proprio a Monte-Carlo, conquistando il suo primo successo in carriera a livello di Masters 1000. Senza dimenticarsi di Federer, che ha già battuto due volte (su tre confronti diretti) Djokovic in questa stagione, ha raggiunto due finali nei Masters 1000 (Indian Wells e Monte-Carlo), e sembra aver ritrovato la forma migliore. Per questi motivi la prima posizione di Nadal sembra essere in discussione, e solo tornando vicino ai livelli del 2013 potrà manterere la vetta del ranking Atp fino alla fine dell'anno. Il maiorchino ci ha comunque già stupiti in diverse occasioni, e non è da escludersi che possa riuscirci anche questa volta.


Ricordando la prima vittoria di Nadal nel Grande Slam di Princy Jones

Nove anni sono passati dall’inizio dell’era di Rafael Nadal. A 27 anni è ancora affamato di titoli!

A 12 anni, quando ha affrontato il dilemma di scegliere tra i due amori della sua vita – calcio e tennis – Rafael Nadal ha scelto il secondo. A quanto dice, quella è stata una delle decisioni più ardue con cui si è dovuto confrontare in vita. Sette anni più tardi, quando per la prima volta ha posato le labbra (anzi, il morso) sul trofeo degli Open di Francia, quella scelta si è dimostrata giusta. Quella domenica sera del 5 giugno 2005 è stata testimone dell’inizio di una nuova era nel tennis. Sono passati nove anni, il giovane cavaliere che ha conquistato la polvere rossa del Roland Garros quel giorno, ora è diventato Le Roi de

l’Argille (Il Re della Terra) – avendo registrato un record di otto titoli sulla sua superficie preferita. Rafael Nadal, l’enfant terrible, ha preso d’assalto il mondo con il suo stile di gioco non convenzionale. La folla amava il muscoloso spagnolo dai capelli lunghi che ostentava i suoi prominenti bicipiti in magliette senza maniche. Ma non è solo per la sua stravaganza che ha monopolizzato le luci della ribalta. A differenza di Andre Agassi, Nadal non era uno showman, lasciava invece parlare la propria racchetta. Il mondo guardava con stupore quando il muscoloso adolescente rispondeva anche ai colpi più impossibili con una potenza


Prima dell’arrivo di Rafael Nadal, Roger Federer aveva attorno a sé un’aura d’invincibilità immensa, anche da due o tre metri dietro la linea di fondocampo. Le sue risposte cariche di potenza e di un effetto pazzesco rendevano i suoi colpi imprevedibili per gli avversari. Era difficile comprendere le sue mosse, per non parlare del batterlo su una superficie dai rimbalzi alti come la terra. Davide che ha ucciso Golia Prima dell’arrivo di Rafael Nadal, Roger Federer aveva attorno a sé un’aura d’invincibilità. Non erano molti nel circuito a poter fermare il genio. Quando Nadal ha battuto Federer – 6-3, 4-6, 64, 6-3 – alle semifinali degli Open di Francia nel 2005, quel momento è diventato uno spartiacque nel tennis, dando il via ad una delle più affascinanti rivalità nella storia di questo

Da quel momento in avanti, Nadal è diventato il nome più temuto del circuito, specialmente per Federer. Mentre giocatori come Marat Safin e Andy Roddick mancavano di forza mentale nei confronti del maestro svizzero, Nadal non mostrava alcun segno di paura mentre sfidava Federer. Il Guardian allora scrisse: “Questa sarà di sicuro una delle più grandi rivalità dei prossimi anni”. Avevano ragione, dopo nove anni, la rivalità continua. “Mi ci è voluto un set per rendermene conto. Non sono contento della mia performannce. Non sento che lui sia stato tanto migliore rispetto a me. Avevo la chiave per batterlo ma non ero al meglio. Sono deluso ma non ho intenzione di distruggere lo spogliatoio. Il mio desiderio di


vincere qui è ancora enorme”, diceva Federer dopo la sconfitta. Federer si sbagliava. Nadal era un giocatore migliore di lui, e lo è ancora, quando si tratta di campi in terra. Lo svizzero dovette aspettare altri quattro anni per vincere finalmente il suo unico Roland Garros – quella volta, anche la fortuna fu dalla sua parte, poiché Nadal subì una sconfitta scioccante per mano di Robin Soderling al quarto turno. Il lavoro fu più facile per Federer senza la sua nemesi sul suo cammino. Fino ad ora, Federer non è mai stato in grado di far cadere il suo arci-rivale agli Open di Francia.

Rafa e il mito La grande vittoria al Roland Garros aveva catapultato Nadal nella fama. Il teenager annientatore aveva tanti fan quanti critici. Il suo stile anomalo e i modi peculiari sul campo erano un divertimento per i media, tuttavia molti di quei tic irritavano gli avversari. Il suo schema di abitudini da disordine ossessivo compulsivo sul campo, lo rendevano soggetto a prese in giro da parte della stampa – la disposizione precisa delle bottigliette d’acqua vicino alla sedia, tirarsi i pantaloncini, evitare di camminare sulle righe, allineare i calzini, ecc., lo rendevano unico tra i suoi compagni. Per non parlare dei tanti miti sull’essere mancino – uno di questi era che il suo allenatore e mentore Toni Nadal lo spingeva a giocare mancino per renderlo indomabile nel circuito tennistico. Secondo Nadal, è solo un’altra storia inventata dai media. Nadal è ambidestro – scrive, come anche gioca a golf e basket con la mano destra; giocando a calcio, si affida al piede sinistro, molto più forte. Lo stesso succede anche quando gioca a tennis. Guarda caso è stato dotato del controllo con entrambe le mani. L’ultimo campione adolescente Nadal è stato il secondo giocatore più giovane a vincere il Roland Garros, dopo il 17nne Michael


La gente spesso si chiede perché Rafa morda i suoi trofei. È stata semplicemente un’improvvisazione durante la sua prima vittoria all’ATP di Montecarlo, che poi è diventata un successo immediato Chang nel 1989. Dopo la vittoria sensazionale del 19nne nel 2005, nessun altro adolescente maschio è diventato campione di un Grande Slam fino ad oggi. L’attesa continua. Nei nove anni che sono seguiti, Nadal è riuscito ad aggiungere a proprio nome altri 12 titoli. A 27 anni, ha ancora molti altri anni davanti, forse può anche eclissare il formidabile record di Federer di 17 Grandi Slam. Ma le cose non sono sempre andate alla grande per il campione. Ci sono stati molti casi in cui si è quasi deciso a ritirarsi a causa dei continui infortuni. La durezza del suo stile di gioco ha messo in dubbio la sua longevità come professionista. Gli infortuni hanno avuto un grosso peso sulla sua carriera nel 2009 e nel 2012.

Nadal ha dimostrato che tutte le previsioni erano sbagliate in entrambe le occasioni, vincendo altri Slam e rompendo in tal modo tutte le condanne quando si parla di resistenza. “Resistenza: è una parola grossa. Continuare fisicamente, non mollare mai e avere a che fare con tutto quello che mi capita, senza permettere alle cose buone e a quelle cattive – i grandi colpi o quelli deboli, la buona sorte o quella cattiva – di mandarmi fuori strada. Devo rimanere centrato, niente distrazioni, fare quello che devo fare in ogni momento”. (Da: “RAFA. La mia storia”).



Non ho l'età di Adriano S. Con l'estate 2014 in arrivo si riaprirà uno dei temi più discussi degli ultimi anni: ce la farà Rafael Nadal a superare il record di 17 Slam vinti in carriera da Roger Federer?

Dando per scontato almeno uno Slam all'anno (inutile dire quale...) a rimpinzare la bacheca dello spagnolo, fermo a 13 Major, sono in molti a credere che l'impresa possa riuscire a Rafa. Il maiorchino inoltre, dal primo titolo ottenuto da giovanissimo al Roland Garros nel 2005, ogni anno ha sempre portato a casa almeno un titolo del Grand Slam. Ma la maledetta domenica vissuta in Australia con Wawrinka rischia di pesare come un macigno sulla sua rincorsa. L'infortunio alla schiena ha infatti smorzato lo strapotere fisico di Nadal, che dopo aver perso la grande occasione di un Career Grande Slam 'bis', dovrà fare i conti, mai come quest'anno, anche

con un ritrovato Novak Djokovic, alla ricerca del suo primo Career Grande Slam in quel di Parigi. E pensare che il giorno dopo la netta vittoria agli Australian Open contro Roger Federer, ripensando anche all'estate americana del 2013, appariva quasi scontato che l'impresa del sorpasso record potesse davvero presto avvenire. Ma schiena, Melbourne e Djokovic non sono gli unici problemi per Rafa. Roger Federer sembra essersi ritrovato, dopo aver sconfitto i problemi alla schiena che lo attanagliavano nel 2013, e potrebbe alzare ancora l'asticella in quel di Wimbledon.


Un puzzle di difficile risoluzione per Nadal, di fronte alla sfida del millennio Ad aggiungersi a questo, i numeri: nessuno ha infatti mai vinto più di 5 slam oltre i 27 anni, nella storia del tennis. Ecco la speciale classifica: 5 slams = Rod Laver (30+) 5 slams = Roger Federer (30+) 5 slams = Andre Agassi (30+) 4 slams = Ken Rosewall (30+) 4 slams = Ivan Lendl 4 slams = John Newcombe (30+) 3 slams = Pete Sampras (30+) 3 slams = Jimmy Connors (30+) 2 slams = Rafael Nadal 1 slam = Arthur Ashe (30+) 1 slam = Boris Becker 1 slam = Guillermo Vilas 1 slam = Andres Gomez (30+)

1 slam = Stanislas Wawrinka Nadal, con già all'attivo 2 slam sopra il limite di 27 anni, secondo questa statistica avrebbe a disposizione soltanto altri 3 centri, avendo vinto lo scorso anno proprio dopo aver compiuto gli anni sia il Roland Garros che gli Us Open. Oltre a ciò, va detto che l'età biologica del King of Clay per eccellenza non corrisponde a quella del suo fisico, logorato da una carriera comunque lunghissima e gravata da vari infortuni. Tutto questo mette quindi insieme un puzzle di difficile risoluzione per Nadal, di fronte alla sfida del millennio. Quel che è certo è che in caso di obiettivo centrato, persino la figura da GOAT universalmente condivisa nel nome di Roger Federer, sarebbe messa quantomeno in discussione...


Nessuno tocchi il mio regno di Alessandro Varassi L’ennesimo successo di Serena Williams a Miami conferma la tradizione che vuole alcuni big essere i veri dominatori di determinati tornei.

Il successo contro Na Li al Sony Open è stato il settimo per Serena Williams a Miami: la numero 1 del mondo si conferma dominatrice assoluta a Key Biscayne, il torneo in assoluto dove l’americana ha trionfato più volte in carriera. Un feeling straordinario con la Florida, dove conta 3 successi consecutivi tra 2002 e 2004, e le doppiette 2007-2008 e 2013 e 2014. Se aggiungiamo le due finali 1999 e 2009, il piatto è completo. Nessun altro tennista, uomo o donna, ha vinto così tante edizioni della manifestazioni (Andre Agassi è fermo a 6, Steffi Graff a 5). Non è comunque un caso isolato: nella storia del tennis ad altissimi livelli, ci sono altre situazioni in cui un tennista è diventato una sorta di regnante di un torneo, iscrivendo più e più volte il suo nome nell’albo d’oro.

Facciamo una carrellata tra passato, più o meno remoto, e presente. Rafael Nadal – Masters 1000 Montecarlo: il torneo nobile per antonomasia è stato un vero e proprio principato del maiorchino per le edizioni che vanno dal 2005 al 2012. A rompere l’egemonia ci ha pensato Novak Djokovic nella passata stagione, battendo Nadal in finale. Ma un record di 48 vittorie su 50 match giocati, e 8 titoli, da il senso del dominio: che sia prossima una entrata nella famiglia Ranieri? Martina Navratilova – WTA Championships: quello che per molti è un vero e proprio quinto Slam, vede Martina finalista in 14 edizioni in totale, di cui 10 consecutive tra 1978 e 1986 volte. 8 i titoli totali a cui si sommano anche 12 in doppio! Il Madison Square Garden era casa sua, per entrare dovevi chiederle il permesso. Bjorn Borg – Roland Garros: prima dell’avvento di Nadal, il Re di Parigi. 6 vittorie totali, di cui 4 di fila tra 1978 e 1981, prima del


clamoroso ritiro. Un bilancio totale di 49 match vinti e 2 sconfitte, migliore anche di quello a Wimbledon, altro feudo svedese in quegli anni. Tres bon, monsieur Bjorn! Chris Evert - Roland Garros: tanti i record dell’americana, prima giocatrice a vincere 1.000 incontri in carriera, e una imbattibilità stratosferica sulla terra (125 match tra 1973 e 1979). 7 le affermazioni a Parigi, ma potevano essere ben di più, se si pensa che saltò le edizioni 1976, 1977 e 1978, quando non aveva rivali su clay. Oltre alle 7 affermazioni, ulteriori due finali, e solo nel 1988 si è fermata prima delle semifinali. Una Nadal femminile degli anni ’70.

Steffi Graf – Wimbledon: tra le 22 prove dello Slam vinte, la maggior parte, 7, arrivano da Wimbledon, dove tra 1987 e 1996 conquista 7 titoli e 1 sconfitta in finale. Il primo trionfo, del 1988, coincide con l’annata magica del Gold Slam, quando abbina i successi nei 4 tornei dello Slam all’oro olimpico di Seoul, consegnandosi all’immortalità. Regina. Roger Federer – Wimbledon: il Roger dei bei tempi ne affila 5 di seguito, tra 2006 e 2007. Ci pensa Nadal, in una ormai epica finale nel 2008, a rompere il record, comunque ulteriormente migliorato con le vittorie 2009 e 2012 e fermo a 7 trionfi. Il giocatore più elegante per il torneo più affascinante. Serve aggiungere altro? Pete Sampras – Wimbledon: da un re dell’erba londinese ad un altro. Pistol Pete detta legge tra 1993 e 2000, con 7 titoli in 8 anni. L’unico intoppo nel 1996, quando cade nei quarti di finale contro il futuro vincitore, Richard Krajcek. Inavvicinabile il suo servizio sul grass, chiedere tra gli altri a Jim Courier, Goran Ivanisevic, Cedric Pioline, Boris Becker, Andre Agassi e Pat Rafter. Nell’edizione 2001, la sconfitta agli ottavi contro Roger Federer è secondo alcuni, ed a ragione a giudicare poi dagli eventi, il passaggio dello scettro di padrone


Nella storia del tennis ad altissimi livelli, ci sono altre situazioni in cui un tennista è diventato una sorta di regnante di un torneo di Wimbledon. Tra 1993 e 2009, 13 delle 17 edizioni sono state vinte da loro due. E quel match acquista ancora più significato, ancora oggi. Rafael Nadal – Roland Garros: se non fosse per Robin Soderling, nello storico match dell’edizione 2009, saremmo di fronte al giardino di casa Nadal. Davvero incredibile la striscia di affermazioni del maiorchino a Parigi: 8 trofei in bacheca, 59 match vinti, e l’unico ko nel match contro lo svedese, nell’edizione che consegnò il Grand Slam career a Federer, e segnò uno stop di diversi mesi per il maiorchino. Anche nelle annate meno fortunate, il cartellino l’ha sempre timbrato finora. Chiamatelo Nadal Garros.

Martina Navratilova – Wimbledon: tra tutti i tornei dello Slam, è quello dove lascia maggiormente il segno: 9 titoli di singolare, 7 di doppio, 4 di doppio misto. Una sequenza di successi che inizia con la vittoria del 1976 nel doppio femminile, e si chiude con il doppio misto del 2003. Delle 9 affermazioni in singolare, ben 6 sono consecutive, a cavallo tra 1982 e 1987, striscia interrotta da Steffi Graf con le vittorie in finale nel 1987 e 1988. Mai nessuna come Martina, inimitabile.



Guai a darli per finiti di Adriano S. Troppo spesso nel tennis, nello sport in generale, il passatempo preferito di appassionati, ma anche e soprattutto dei media, è parlare di crisi per atleti rinomati che attraversano momenti di difficoltà.

Troppo spesso nel tennis, nello sport in generale, il passatempo preferito di appassionati, ipercritici, puri troll, ma anche e soprattutto dei media, è parlare di crisi per atleti rinomati che attraversano momenti di difficoltà. E perchè no, anche darli per finiti. La storia continua però a bacchettare, tornando ad essere riscritta dai diretti interessati, come a redarguire i loro 'persecutori'. Gli esempi sono infiniti. Scomodando altri sport, si può spaziare da una Pellegrini a un Valentino Rossi, ma anche rimanendo in ambito tennistico, bisogna per forza di cose restringere il cerchio. L'esempio più eclatante rimane quello

di Pete Sampras, derelitto in quel di Wimbledon e relegato a perdere con uno sconosciuto alla sua ultima apparizione nel suo giardino. L'americano, dato per finito, si tolse lo sfizio dell'ultimo Slam 2 mesi più tardi a New York... Roger Federer è l'esempio contemporaneo più rilevante. Dato per finito 1, 2, 3, mille volte, ma sempre pronto a riscrivere il libro di storia, a redimere i peccati altrui a colpi di bacchetta magica. La stessa Serena Williams, data per finita dopo i gravi problemi di salute pochi anni fa, è tornata più forte che mai.


In Italia c'è particolare maestria nel tiro a bersaglio, nel gioco al massacro. Rafael Nadal? La sua carriera fu messa in discussione fin da giovane. Troppi i problemi fisici. Troppo poco per arginarlo, alla luce dei fatti... Novak Djokovic ha dovuto sentirne tante a febbraio, prendendosi anche un periodo di pausa per rifiatare, sommerso dalle critiche persino in patria. Il double Indian Wells-Miami ha sedato gli animi. In Italia c'è particolare maestria nel tiro a bersaglio, nel gioco al massacro. Francesca Schiavone, in ovvio declino, ne ha dovute leggere di cotte e di crude. In risposta ha comunque portato in cascina sempre almeno un titolo all'anno, dopo la finale bis al Roland Garros. Flavia Pennetta stava addirittura per ritirarsi.

Ora è una delle giocatrici di punta nel tour femminile. Fabio Fognini ha dovuto subire miriadi di insulti negli anni. Ora il carro del vincitore è affollatissimo...La vittoria Davis di Andreas Seppi sul britannico Ward, è stata appellata come dovuta: ma cosa sarebbe successo in caso di sconfitta del numero 2 azzurro? 'Il solito Seppi'...Difficile credere che l'altoatesino non abbia pensato alle conseguenze, ai condor già appostati alle pendici del Vesuvio. Grande impresa aver sfidato e vinto pressioni e paure, dopo un inizio 2014 complicato. Ma sono Roberta Vinci e Sara Errani gli obiettivi principali dei facili, scontati detrattori in questa prima metà di stagione. Io non mi lamenterei, evidentemente porta bene...



Intervista a Roanic di Fabrizio Fidecaro

Un gigante affabile che ti prende gentilmente a mazzate Che cosa ti resterà di questa fortunata settimana romana, al Foro Italico? «Tante emozioni positive. Sono felice, mi porterò dietro ciò che ho fatto qui e cercherò di fare ancora meglio al Roland Garros».

Milos Raonic è in grado di tirare bombe a velocità siderale, con il servizio e non solo, ma anche, se è il caso, di inventarsi deliziosi ricami: il tutto senza mai scomporsi, rimanendo ben pettinato come fosse un crooner di oltre mezzo secolo fa, e denotando in ogni gesto una sincera nobiltà d’animo. Il suo carattere pacato, che contrasta singolarmente con lo stile di gioco arrembante, emerge sia negli incontri sul campo – ma solo tra uno scambio e l’altro… – sia in quelli con la stampa, nel corso dei quali è solito mantenere un invidiabile aplomb. Lo si è visto anche al Foro Italico, dove ha raggiunto una brillante semifinale, impegnando allo spasimo Novak Djokovic prima di cedere al terzo. Appari sempre tranquillo, ti capita mai di infuriarti? «Può capitarmi di essere molto arrabbiato, ma è una cosa che non aiuta. Quindi cerco di restare calmo».

Quarti a Madrid, semifinale a Roma: sulla terra hai compiuto progressi enormi. Su quali aspetti ritieni di essere migliorato di più? «Penso di essere migliorato non solo su questa superficie, ma in generale. Nei movimenti, alla risposta. E anche nel modo in cui gestisco le situazioni difficili. Per me la questione principale era capire che cosa dovevo fare in certi particolari momenti, perché l’anno scorso avevo buttato via varie partite mancando di concretezza. Ora ho una visione più chiara e so di poter trovare dentro di me le risposte che cerco». Che cosa ritieni invece di dover aggiustare per compiere il passo successivo e arrivare a vincere i grandi tornei sul rosso? «Sento che sto migliorando in modo costante, ma devo continuare a farlo un po’ in tutto.


«Un mio grande obiettivo è qualificarmi per le Atp World Tour Finals. E anche ottenere risultati importanti negli Slam» Il servizio, la risposta, il piano mentale e quello fisico, c’è tanto margine in ogni aspetto». Anche se pensi di doverlo migliorare ancora, già ora il tuo servizio è un’arma quanto mai efficace… «Certo, tenere i miei turni di battuta mi consente di avere maggiore libertà e allo stesso tempo genera un po’ di sconforto nei miei avversari. Io cerco di approfittarne. È una situazione che vivo spesso». Che traguardi ti sei posto per quest’anno? «Un mio grande obiettivo è qualificarmi per le Atp World Tour Finals. E anche ottenere risultati importanti negli Slam».

È vero che ti sei candidato per entrare nell’Atp Council (il comitato di rappresentanza dei giocatori, di cui il suo allenatore Ivan Ljubicic è stato presidente, ndr)? «Sì. È bene sapere che cosa stia realmente accadendo. È un organismo un po’ troppo vecchio, tanti aspetti cambiano con il tempo e al suo interno vorrei portare la voce delle generazioni più giovani». A questo proposito, negli ultimi tempi la generazione più giovane, di cui tu, Dimitrov e Nishikori siete gli esponenti di punta, sta cominciando a ottenere risultati importanti. Che cosa è cambiato in voi?


«La nostra generazione è senz’altro valida, ma non credo che il fenomeno sia qualcosa di limitato ai miei coetanei....» «La nostra generazione è senz’altro valida, ma non credo che il fenomeno sia qualcosa di limitato ai miei coetanei. Dopo anni in cui a vincere i tornei più importanti sono stati ogni volta gli stessi tre o quattro fuoriclasse, vedere Stanislas Wawrinka trionfare in Australia e poi ripetersi a Monte-Carlo è stato d’ispirazione. Sentire di essere al livello dei migliori è qualcosa che ti regala grande fiducia. Credo che Stan sia stato la chiave di volta. Secondo me non si tratta di un discorso generazionale, ma tutto è partito da lui».


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Una Race da film di Marco Di Nardo

La classifica stagionale mette in risalto il grande equilibrio che c'è stato in questa prima parte di stagione.

Che il 2014 potesse essere una stagione di grande incertezza non era facile da prevedere. Dopo un 2012 caratterizzato dall'assenza di Nadal per tutta la seconda parte dell'annata, il 2013 sembrava infatti aver ristabilito i valori in campo, con il duopolio Nadal-Djokovic a comandare un tennis più fisico che tecnico. Eppure ora le cose sembrano essere cambiate, e i primi quattro mesi dell'anno hanno regalato un spettacolo incredibile, con tante grandi sorprese e molti protagonisti diversi a lottare per le primissime posizioni. Guardando la Race to London, la classifica che tiene conto solo dei risultati ottenuti nell'annata

tennistica in corso, si osserva una lotta furiosa per la conquista del primo posto, che comprende ben cinque giocatori. I primi quattro sono vicinissimi, con Wawrika, Djokovic, Federer e Nadal, in questo ordine, racchiusi in appena 670 punti dopo il torneo di Barcellona. Poi c'è Berdych ad inseguire, distante 730 punti da Nadal. Questo significa che lo spagnolo, almeno per il momento, non è riuscito a fare la differenza dove negli anni passati era sempre riuscito, su quella terra rossa che ancora non gli ha regalato nemmeno una semifinale in questo 2014. La più grande sorpresa è però Stan Wawrinka, appunto numero 1 della Race, che


Altro grande protagonista di questi mesi è stato Grigor Dimitrov incredibilmente può addirittura puntare allo scettro di numero 1 del mondo. Se il primo successo Slam in carriera ottenuto in Australia poteva essere considerato il classico exploit dell'outsider, Stanislas con il trionfo di MonteCarlo ha dimostrato che il suo tennis fatto di grandi accelerazioni con entrambi i colpi da fondo campo, potrebbe dare fastidio anche ai migliori per tutto l'arco della stagione. Uscendo poi dal quadro dei primissimi, sorprende il sesto posto di Kei Nishikori, che sta attraversando un momento di forma incredibile. Il nipponico ha infatti vinto già due tornei, essendosi imposto nell'Atp 250 di Memphis e nell'Atp 500 di Barcellona, e ha impressionato anche nel Masters 1000 di Miami, dove ha eliminato Dimitrov, Ferrer e

raggiungendo le semifinali. Se non si considera la sconfitta di Delray Beach contro Teymuraz Gabashvili, arrivata per infortunio sul punteggio di 2-4 nel primo set, il giapponese ha vinto 17 delle ultime 18 partite giocate, e in totale può comunque vantare un score di 22 vittorie e 4 sconfitte. Altro grande protagonista di questi mesi è stato Grigor Dimitrov, numero 8 della stagione, che dopo aver raggiunto i quarti di finale all'Australian Open, andando anche relativamente vicino al colpaccio contro Nadal, ha vinto l'Atp 500 di Acapulco, vincendo cinque tie-break su altrettanti disputati, e l'Atp 250 di Bucharest, senza cedere alcun set.


Sta rientrando bene anche Almagro, ora numero 18 della Race, che dopo un difficile 2013, e un inizio di stagione complicato dalla mancata partecipazione all'Australian Open, dove difendeva i quarti di finale, ha ottenuto una serie di buoni piazzamenti. Sta rientrando bene anche Almagro, ora numero 18 della Race, che dopo un difficile 2013, e un inizio di stagione complicato dalla mancata partecipazione all'Australian Open, dove difendeva i quarti di finale, ha ottenuto una serie di buoni piazzamenti. Prima le due semifinali negli Atp 250 di Vina del Mar e Buenos Aires, poi la finale a Houston (altro Atp 250), e ora l'ottima semifinale nell'Atp 500 di Barcellona, battendo per la prima volta in carriera Rafa Nadal, grazie ad un terzo set fantastico in cui ha vinto tutti i punti tranne uno sulla seconda di servizio del maiorchino, dopo aver rimontato un set di svantaggio.

Infine da segnalare il 24esimo posto di Santiago Giraldo, che ha ottenuto a Barcellona la sua seconda finale Atp in carriera, la prima a livello di Atp 500, e sogna un posto nel tennis di altissimo livello. Davvero tante quindi le sorprese in questi primi mesi del 2014. La speranza è quella di continuare ad assistere a tanto equilibrio, con una stagione che potrebbe diventare memorabile.


Lo spettacolo ritrovato di Marco Di Nardo

Il mondo Wta sta ritrovando equilibrio e spettacolo, dopo due stagioni caratterizzate dal dominio di Serena.

Nel 2012 aveva infilato una serie impressionante di vittorie, aggiudicandosi Wimbledon, Olimpiadi, US Open e Wta Tour Championships, mentre lo scorso anno si era ripetuta vincendo Roland Garros, US Open e Wta Tour Championships, e chiudendo la stagione con appena quattro sconfitte. In questa prima parte del 2014, invece, Serena Williams ha avuto più problemi del previsto, e in questo modo dopo due stagioni di completo dominio della statunitense, il circuito Wta è tornato ad essere molto spettacolare ed incerto. Basta osservare la classifica stagionale per rendersi conto del ritrovato equilibrio nel circuito

femminile. A comandare la Road to Singapore c'è infatti Li Na, migliore giocatrice di questi primi mesi del 2014. La cinese è stata in grado di vincere il primo torneo della stagione, a Shenzhen, prima di ottenere il suo secondo titolo dello Slam in carriera all'Australian Open, perdendo un solo set nel terzo turno contro Lucie Safarova, e superando in finale Dominika Cibulkova. Con la semifinale raggiunta a Indian Wells e la finale di Miami, Li Na è riuscita poi a mantenere il suo primato stagionale, e il secondo posto nella classifica mondiale. In seconda posizione annuale troviamo invece la finalista dell'Australian Open, Dominika


Agnieszka Radwanska, che ha saputo costruirsi la sua classifica attraverso tanti buoni piazzamenti Cibulkova, che può essere considerata la grande sorpresa ad altissimi livelli di questo 2014. La slovacca a Melbourne ha compiuto una vera e propria impresa, superando una dopo l'altra Sharapova, Halep e Radwanska, ma non si è fermata, ottenendo altri importanti risultati come il successo ad Acapulco, i quarti a Indian Wells, la semifinale a Miami e la finale a Kuala Lumpur. La terza piazza è occupata da Agnieszka Radwanska, che ha saputo costruirsi la sua classifica attraverso tanti buoni piazzamenti: dopo aver battuto la doppia detentrice del titolo Victoria Azarenka all'Australian Open, e aver perso poi in semifinale, la polacca ha infatti raggiunto la semifinale a Doha, la finale a Indian Wells, i quarti a Miami e la semifinale a

Katowice. Serena Williams, questa la vera novità dell'anno, è solo quarta, nonostante i due successi ottenuti a Brisbane e Miami. All'Australian Open l'americana si è fatta sorprendere agli ottavi di finale da Ana Ivanovic, mentre due sorprendenti sconfitte sono arrivate da Alize Cornet nella semifinale di Dubai, e soprattutto da Jana Cepelova nel primo turno di Charleston, curiosamente entrambe con il punteggio di 6-4 6-4. Saranno ora i prossimi grandi tornei a dirci se quello di Serena è stato solo un periodo di sbandamento. Al quinto posto c'è la rivelazione del 2013 Simona Halep, che dopo i sei titoli vinti lo scorso anno, sta continuando a convincere, e ha già portato a casa il torneo di Doha, battendo


Flavia Pennetta, che sta rendendo meno doloroso il calo di Errani e Vinci, almeno per quanto riguarda il singolare Errani, Radwanska e Kerber, oltre agli ottimi piazzamenti all'Australian Open (quarti di finale) e a Indian Wells (semifinali). Grande notizia per il tennis italiano è invece la sesta posizione stagionale di Flavia Pennetta, che sta rendendo meno doloroso il calo fisiologico di Errani e Vinci, almeno per quanto riguarda il singolare. La brindisina ha avuto un avvio di 2014 incredibile, in cui ha conquistato il più importante successo della sua carriera a Indian Wells, superando in semifinale la numero 1 del seeding Li Na e in finale Agnieszka Radwanska. Uscendo dalle prime 10, da segnalare al numero 11 Eugenie Bouchard, autentica novità di questo 2014, con la semifinale conquistata all'Australian Open. La canadese potrebbe essere una delle principali alternative alle Top-10 in questa stagione, che si sta rivelando davvero combattuta e difficile da pronosticare. Anche il tennis femminile sta tornando spettacolare, la speranza è quella di continuare ad assistere a questo grande spettacolo che ci ha regalato i primi mesi del 2014.


Kazakistan di Marco Avena

I soldi non comprano la felicità, ma sicuramente possono aiutare.

I soldi non comprano la felicità, ma sicuramente possono aiutare. E la felicità in questo caso è quella del Kazakistan tennistico. Già, perché in un paese dove fino a un ventennio fa questo sport era quasi pura “utopia”, figlio del capitalismo occidentale, oggi c'è una nazionale che di recente ha nuovamente sfiorato la qualificazione alla semifinale di Coppa Davis dove si sarebbe trovata di fronte l'Italia. A sbarrare la strada dei kazaki ci ha pensato niente popò di meno che la Svizzera di Roger Federer e Stanislas Wawrinka: il 3-2 con cui gli elvetici hanno faticosamente passato il turno ha destato ulteriore curiosità intorno a una nazionale che fino a qualche tempo fa non frequentava le alte sfere del tennis mondiale e che in poco tempo è salita agli onori delle cronache – conquistando 3 volte i quarti di finale di Davis negli ultimi 4 anni – anche e soprattutto grazie a tennisti che kazaki non sono, ma che lo sono diventati. Come?

Semplice, grazie al denaro: i quattro più importanti esponenti del tennis del Kazakistan, Andrey Golubev, Mikhail Kukushkin, Evgeny Korolev e Alekandr Nedovyesov, non sono nati ad Astana e dintorni, ma sono russi i primi tre e ucraino il quarto. Il primo è nato a Volzskij, il secondo è originario di Volvograd, il terzo proviene da Mosca e il quarto è di Alushta. Hanno sposato la causa kazaka convinti dai potenti mezzi del magnate Bulat Utemuratov, personaggio dal patrimonio stimato intorno a 1,5 miliardi di dollari, presidente della Federtennis locale e grande amico di Nursultan Nazarbayev, il Presidente della Repubblica del Kazakistan che è grande appassionato di tennis e che desiderava tanto bruciare le tappe in questo sport e potersi cullare una nazionale vincente. Proprio dal duo Utemuratov-Nazarbayev è nata l'idea di mettere su una squadra che potesse competere con le più importanti potenze del tennis mondiale. Esperimento riuscitissimo visti i risultati ottenuti dalla squadra guidata da capitan Doskarayev. Esperimento che vanta però anche un pizzico di Italia in mezzo visto che Golubev vive e si allena a Bra dove in passato ha


lavorato insieme allo staff di Massimo Puci che lo portò fino al numero 33 del ranking ATP, è considerato un braidese a tutti gli effetti e ha convinto l'intera spedizione kazaka a preparare l'ultimo sentitissimo impegno di coppa nelle strutture messe a disposizione dal Match Ball Bra, uno dei più importanti circoli del panorama piemontese. Alla vigilia dell'impegno contro la Svizzera, il presidente del club, Domenico Dogliani, aveva sostenuto a gran voce gli sforzi kazaki: “Sono contento e orgoglioso che Andrey abbia caldeggiato la candidatura del Match Ball di Bra quale sede per la preparazione della nazionale kazaka alla sfida contro la Svizzera di Federer e

Wawrinka – aveva dichiarato. Il fatto che la federazione del Kazakistan abbia scelto la nostra struttura in vista di un appuntamento così importante è l'ennesima testimonianza dell'assoluto valore delle nostre strutture e la conferma dell'importanza dei lavori di ampliamento e ammodernamento realizzati nel corso degli anni”. Poco male che il Kazakistan non sia riuscito ad approdare per la prima volta nella sua breve storia alle semifinali del torneo. Ci riproverà più agguerrito che mai, magari sostenuto da nuovi sforzi di Utemuratov e Nazarbayev. In fin dei conti, se un keniano come Wilson Kipketer è diventato uno dei più forti mezzofondisti di sempre nell'atletica sotto la bandiera danese – solo per citare un esempio – perché i russi Golubev, Kukushkin, Korolev e l'ucraino Nedovyesov non potrebbero riuscire ad alzare al cielo l'insalatiera della Davis con indosso la tuta del Kazakistan? I soldi non comprano la felicità, ma sicuramente possono aiutare....



Roma contro Madrid di Alessandro Varassi

Pubblico e tradizione contro strutture e investimenti

La conferenza stampa di fine Internazionali BNL d’Italia, come ogni anno, è stata l’occasione per il presidentissimo della FIT, Angelo Binaghi, per tracciare il bilancio di una manifestazione che ha riscosso un successo clamoroso in questo 2014: quasi 176mila spettatori, e un incasso che sfiora gli 8 milioni di euro. Ben oltre anche le più rosee aspettative, con il picco nella giornata del mercoledì, con 30mila appassionati a gremire il Foro Italico. Binaghi è stato esplicito, di fronte alla stampa: “L’ATP deve aiutarci a soddisfare la fame di tennis degli italiani, chiediamo ci venga concesso di allungare il torneo a 10 giorni”. Il famigerato mini slam, quindi, di cui si parla da quasi 2 anni: un calendario rivoluzionato, dove troverebbero spazio 5 tornei simili, per tabellone e durata, ai 4 tornei maggiori (Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e Us Open). La questione, premessa, è tutto meno che chiara, dal momento che l’ATP, almeno ufficialmente, non ha mai espresso alcuna indicazione, se si esclude una fantomatica lettera, mai resa

interamente pubblica, inviata agli organizzatori, in cui si parla di una sorta di competizione tra il torneo romano e quello di Madrid per garantirsi questo ambito riconoscimento nel periodo pre Roland Garros. Anche lo stesso Binaghi è stato piuttosto criptico sulla vicenda, limitandosi a sottolineare come Roma, secondo lui, abbia ormai definitivamente superato Madrid, e meriti quindi questo upgrade, che comunque, essendo stato compilato già il calendario 2015, potrebbe al massimo partire nel 2016. “Tutti hanno il tennis, solo noi abbiamo Roma” è stato lo spot di questi Internazionali, e come dargli torto: il torneo del Foro può infatti vantare una location unica, all’interno della città più bella del mondo. Ma basta questo a garantirsi la palma di mini slam, o quella sbandierata da più parti di quinto torneo più importante del mondo, dietro solo ai 4 Slam? Ion Tiriac, padre padrone del Mutua Madrid Open, solo 1 anno fa non voleva sentire ragioni: “Noi abbiamo un torneo WTA di categoria Mandatory, Roma no. A suo tempo non ha neanche partecipato alla gara per aggiudicarselo. Madrid ha pagato per un torneo combined di 12 giorni, sta pagando anni per quello anche se al


L’istrionico rumeno suggeriva quindi a Roma di acquistare, per esempio, i diritti di Montecarlo, e di spostare la data in Aprile: Maggio è di Madrid, e non possono certo esserci due mini slam ravvicinati, specie così a ridosso del Roland Garros.

momento ne dura solo 8: l’upgrade gli è stato promesso e lo otterrà”. L’istrionico rumeno suggeriva quindi a Roma di acquistare, per esempio, i diritti di Montecarlo, e di spostare la data in Aprile: Maggio è di Madrid, e non possono certo esserci due mini slam ravvicinati, specie così a ridosso del Roland Garros. Proviamo a fare un rapido confronto su quelli che sono le caratteristiche delle due manifestazioni in gara. Resa televisiva. La moderna struttura della Caja Magica, secondo alcuni troppo fredda (visivamente parlando), è in realtà un gioiellino di funzionalità, avendo 3 campi coperti, e un collegamento con la sala stampa immediato. Quel che lascia un po’ a desiderare è però la resa televisiva di giorno, tanto che nel 2012 il magnate rumeno provò la famosa e chiacchierata terra blu, soprattutto per eliminare questo problema. Cosa che in realtà riuscì, ma suscitò le ire dei giocatori, Nadal e Djokovic su tutti, che mal si trovavano su quella strana superficie; obbligatorio quindi il ritorno al mattone rosso tritato, con buona pace dei telespettatori. Roma da questo punto di vista, almeno di giorno, è sicuramente un passo in avanti, essendo i campi baciati dal sole; qualcosa perde la sera (quando invece Madrid migliora notevolmente) con una luce troppo soffusa, televisivamente parlando.


Pubblico. La differenza a livello di spettatori è stata abissale in questo 2014: le tribune quasi sempre piene del Foro Italico opposte allo spettacolo talvolta desolante della Caja Magica sono un dato oggettivo, ma ci sono varie possibili concause che lo spiegano. L’assenza di Novak Djokovic e Roger Federer su tutte ha spinto molti a stare lontani dal torneo (immaginate Roma senza i due campioni). Ma anche il fatto che in Spagna già si disputano gli ATP di Barcellona e Valencia è un fattore da tenere fortemente in considerazione: da noi l’appassionato che vuole vedere qualcosa più di un challenger, o di un ITF femminile (data la recente scomparsa di Palermo), deve rassegnarsi a mettersi in viaggio e

farsi qualche giorno a Maggio al Foro Italico, oppure espatriare. Strutture. Pur con il fascino e la storia del Foro, ripulito negli ultimi anni in modo da tornare più razionalista, le strutture di Roma, messe a disposizione dei fortunati giornalisti e conoscenti presenti, non sembrano paragonabili. La distanza tra campi secondari e sala stampa non è roba da poco, e ha fatto sì che diversi reporter presenti se ne lamentassero, come pure del segnale della connessione internet non sempre ottimale. Problemi che a Madrid non si riscontrano, essendo la struttura nuova e moderna. Il Manolo Santana e gli altri due campi principali della Caja Magica sono poi dotati di tetto mobile, che consente quindi di non avere problemi di programmazione legati al meteo. Il Centrale del Foro Italico presenta un colpo d’occhio splendido quando è pieno (cosa, ripetiamo, quasi sempre successa nel 2014), ed anche superiore a quello del Santana, ma ha al tempo stesso dei difetti da limare. La mancata copertura è stata una occasione persa, e speriamo recuperata il prima possibile, per renderlo un vero gioiellino; la cabina stampa, dove trova spazio spesso anche chi cronista non è, è in realtà una serie di container posizionati in alto, non si sa se temporaneamente, e se a causa di un errore di progettazione (argh!).


Condizioni di gioco. L’altura di Madrid è problema ben noto. Ce lo hanno confermato recentemente Sara Errani e Roberta Vinci, dopo il torneo di doppio vinto alla Caja Magica: “Ce ne accorgeremo quando giocheremo sul livello del mare, a Roma. Qui la palla viaggia molto più veloce”. Ed in effetti, il limite della capitale spagnola sembra legato proprio a questo. Un torneo preparatorio a Parigi deve offrire le stesse condizioni del Roland Garros: Roma è fortunata da quel punto di vista, Madrid parte ad handicap, dato che un tennista dovendo scegliere quale torneo usare come warm up per lo slam parigino non ha dubbi, pur con le migliori facilities che ha a disposizione in Spagna (discorso che può essere allargato anche ai cronisti presenti in loco, per quel che può valere).

manifestazioni, consentendo ai tennisti di non dover fare autentici tour de force, e magari alla fine a dover “mollare” uno dei due. Il combined di Oieras, per esempio, ben si presterebbe ad inframmezzare le due kermesse. La sfida tra Roma e Madrid è quindi in corso: l’edizione 2014 è stata vinta dal nostro torneo, ma la guerra, se così si può chiamare, è ancora lunga. La sensazione è che Tiriac abbia punti di forza difficilmente attaccabili, su tutti il torneo femminile di più alto livello e una struttura nel suo complesso decisamente superiore. Roma, che ha la tradizione e un pubblico “affamato”, dovrà lavorare sulle strutture, in primis un campo

Calendario. In ultimo, la scelta ATP di mettere uno dopo l’altro due Masters 1000 con condizioni così diverse lascia abbastanza perplessi. Una settimana di stacco gioverebbe ad permanente al posto del Grandstand, davvero bruttino, e una sala stampa più moderna, magari gestita, già nel pre torneo, come avviene negli altri Masters 1000; non ultimo, servirebbe upgradare il torneo WTA. In questo caso, nonostante i soldi e i contratti di Madrid, il torneo della Capitale non avrebbe nulla da temere, e, forte anche dei pareri entusiastici degli inviati dell’ATP, potrebbe davvero ospitare (nel caso il calendario venga davvero modificato) un torneo quasi a livello del Grand Slam, con buona pace di Ion Tiriac e dei suoi dobloni.



Parigi - il povero slam da 25 milioni di Laura Saggio Il Roland Garros abbatte la quota dei venticinque milioni di euro, un montepremi da record per lo Slam parigino, ma non basta

La rincorsa del Grand Slam di Parigi a un ricco montepremi non si arresta. In questa edizione (25 maggio - 8 giugno) il torneo principe sulla terra rossa, avrà il prize money più alto di sempre: venticinque milioni di euro. Una quota importante che consente al torneo francese di ridurre, ma non colmare, il gap che lo divide dai suoi ben più ricchi cugini-rivali del circuito. Il montepremi del Roland Garros, precisamente 25.018.900 euro, ha avuto un incremento di 3 milioni rispetto all'edizione dello scorso anno. Nello specifico, aumenta di 1,65 milioni di euro il premio per la vittoria nei singolari maschile e femminile. In crescita anche i premi destinati ai

giocatori eliminati nel corso del torneo: il primo turno prende 24.000 euro (+3.000 rispetto al 2013); il secondo turno 42.000 euro (+7.000 rispetto al 2013); il terzo turno 72.000 euro (+12.000 rispetto al 2013); gli ottavi di finale 125.000 euro (+30.000 rispetto al 2013); i quarti di finale 220.000 euro (+30.000 rispetto al 2013); le semifinali 412.500 euro (+37.500 rispetto al 2013); i finalisti 825.000 euro (+75.000 rispetto al 2013). Una crescita dunque costante e spalmata in tutte le fasi del torneo, che registra però un picco superiore per i giocatori che usciranno al secondo e terzo turno e agli ottavi di finale (+20-25%).


Infatti, per esempio, anche se per l'edizione 2016 lo Slam francese arriverà ad avere un montepremi di 32 milioni di euro, il cugino straricco US Open sarà pronto a chiudere la partita con un vincente da 50 milioni di dollari per il 2017: un confronto impari. Come confermato da Gilbert Ysern, direttore del torneo parigino,“si tratta di un sensibile progresso che rientra nel piano elaborato dal Roland Garros per il quadriennio 2013-2016, diretto principalmente per i giocatori e le giocatrici eliminati nella prima settimana”. Certamente anche chi succederà quest'anno a Rafael Nadal e Serena Williams, aggiudicandosi il titolo, non avrà comunque da reclamare, visto che incasserà un premio superiore del 10% rispetto a quello della passata edizione. Nonostante questi sforzi progettuali di 'allineamento economico' (ai più 'nobili' Wimbledon, Australian Open, US Open) messi in campo dalla gestione del torneo parigino, il Roland Garros non sembra però (ancora) togliersi l'appellativo di 'povero'.


Roland Garros - chi ci arriva meglio? di Marco Di Nardo Il dominio "rosso" di Rafa Nadal sembra essere finito, e ora sono in molti a pensare di poter battere lo spagnolo sulla sua superficie preferita

Per la prima volta dopo tanti anni, non c'è alcuna certezza alla vigilia del più importante torneo di tennis su terra battuta al mondo, il Roland Garros. Il vincitore di otto delle ultime nove edizioni dello Slam parigino, Rafael Nadal, non è nella sua forma migliore, e tutti sono pronti a strappargli dalle mani quel titolo che gli ha permesso di diventare negli anni il più grande giocatore di sempre sulla polvere di mattone. Intendiamoci, non si può non considerare il maiorchino uno dei principali favoriti, se non il favorito numero 1 anche in questa stagione. Nelle scorse edizioni però nessuno avrebbe potuto nemmeno immaginare un'eliminazione di Nadal prima della finale, cosa che infatti non è mai successa ad esclusione del 2009, e lo spagnolo partiva sempre con un discreto vantaggio su tutti, riuscendo poi a confermare la sua posizione di principale favorito dal 2005 al 2008 e dal 2010 al 2013. Quest'anno invece non ci si potrebbe stupire più di tanto nel vedere Nadal fuori in un quarto di finale o in una semifinale.

I numeri e i risultati non mentono quasi mai, e se Rafa sul rosso quest'anno ha vinto solo i tornei di Rio de Janeiro e di Madrid, perdendo tre partite, cosa che non gli era mai successa dal 2005 in avanti, un motivo ci sarà. L'unico anno in cui era sorto qualche dubbio sulla superiorità di Nadal su questa superficie era stato il 2011, in cui il maiorchino aveva perso contro Djokovic sia la finale di Roma che quella di Madrid. Ma in ogni caso si sapeva che Rafa se non avesse vinto, sarebbe stato superato solo dal serbo in finale. Alla fine Novak non raggiunse nemmeno l'ultimo atto e per Nadal diventò più semplice conquistare quello che fu il suo sesto sigillo parigino. Anche nella scorsa stagione qualche piccolo dubbio era sorto nella testa di qualcuno, visto che lo spagnolo era stato sconfitto sempre da Djokovic in finale a Monte-Carlo. Poi però aveva vinto Barcellona, Madrid e Roma, e al Roland Garros era arrivato nuovamente con i favori del pronostico. Quest'anno le cose sono andate diversamente. Nadal ha perso sul rosso contro tre giocatori differenti: a Monte-Carlo, dove aveva sempre raggiunto la finale nelle ultime nove stagioni, ha perso contro David Ferrer ai quarti di finale; a


Barcellona, dove aveva sempre vinto il torneo nelle ultime otto edizioni a cui aveva preso parte (nel 2010 non giocò), è stato sconfitto da Nicolas Almagro, che non lo aveva mai battuto prima, ancora ai quarti di finale; a Roma ha perso invece la partita che avrebbe potuto dargli grande fiducia, nella finalissima contro Novak Djokovic. A queste tre sconfitte va aggiunto il fatto che nel trionfo di Madrid Rafa non ha convinto: non ha infatti dovuto battere nessuno dei migliori, e nella finale contro Kei Nishikori, dopo essere stato indietro per 2-6 2-4, solo i problemi fisici del nipponico gli hanno permesso di ribaltare l'esito finale, che altrimenti sarebbe stato probabilmente in favore del rivale.

Oltre ai problemi di Nadal ci sono poi degli avversari più agguerriti che mai. Stanislas Wawrinka, la rivelazione di questo 2014, ha vinto a Monte-Carlo, e pur avendo perso all'esordio a Madrid e agli ottavi a Roma, potrebbe essere davvero pericoloso per tutti. Djokovic è il giocatore più in forma del momento, e il successo di Roma potrebbe dargli quella sicurezza in più in vista delle fasi finali dello Slam francese. Murray ha giocato molto bene nella capitale italiana, e sembra finalmente pronto a combattere per un risultato importante anche sulla terra battuta. Federer, Ferrer, Berdych e Tsonga, pur partendo leggermente indietro potrebbero essere alcuni dei protagonisti principali. Per Nadal sarà quindi molto difficile conquistare il suo nono titolo al Roland Garros, e sarà davvero interessante vedere chi riuscirà a sfruttare questa situazione di incredibile equilibrio, in cui nulla sembra essere scontato. Se in finale arrivassero Wawrinka o Murray, non sarebbe poi così sorprendente...


Roberto Baustista-Agut il nuovo protagonista di Marco Di Nardo A 26 anni compiuti sta finalmente riuscendo a trovare una buona continuità lo spagnolo Roberto Baustista-Agut, che sta tentando la scalata nel tennis che conta

Non è giovanissimo, ma per il tennis contemporaneo non è certamente da considerare tra i veterani. Classe 1988, con i suoi 26 anni Roberto Bautista-Agut ha ancora molte stagioni davanti a sé per tentare di raggiungere un posto nel tennis d'élite. Lo spagnolo. dotato di un tennis un leggermente diverso da quello che normalmente giocano i suoi connazionali, ha appena raggiunto il suo best ranking di numero 28, e al Roland Garros sarà per la prima volta testa di serie in un Major, visto che gli è stata assegnata la 27sima posizione nel seeding parigino. Colpi piatti ma molto sicuri da fondo campo, Bautista ha nel servizio e nel gioco di

volo i suoi punti deboli, ma è capace di giocare bene su tutte le superfici. Pur preferendo la terra rossa, la sua unica finale Atp l'ha infatti conquistata lo scorso anno sul cemento di Chennai, superando addirittura il numero 6 del mondo Tomas Berdych nei quarti di finale, prima di perdere nell'atto conclusivo contro Janko Tipsarevic. Anche sull'erba l'iberico ha dimostrato di trovarsi a suo agio, conquistando sempre nel 2013 i quarti di finale a sHertogenbosch e giocando un ottimo match contro il numero 4 del mondo David Ferrer al secondo turno di Wimbledon, perdendo in quattro set dopo oltre tre ore di lotta.


Gli ultimi successi di Roberto sono arrivati tra il luglio e l'agosto del 2012, con la doppietta nei Challenger di Orbetello (terra rossa) e Pozoblanco (cemento), superando tra gli altri Tommy Robredo. A partire dal 2013 Bautista ha quindi deciso di abbandonare il circuito minore, per giocare esclusivamente a livello Atp, e la sua classifica non ne ha risentito, come spesso capita a chi è abituato a giocare nel circuito Challenger. Lo spagnolo è infatti riuscito a stabilizzarsi tra la 40esima e la 60esima posizione per tutta la scorsa stagione, uscendo raramente al primo turno e mantenendo un buon rendimento con grande regolarità. Se si pensava però che Bautista avesse già raggiunto il massimo che il suo tennis potesse regalargli, questa prima parte del 2014 ha smentito tutti. Pur non confermando la finale di Chennai, lo spagnolo è infatti riuscito a scalare tante posizioni in classifica, ottenendo il suo primo risultato di livello a Auckland, dove è stato fermato solo in semifinale da John Isner.

All'Australian Open è poi arrivato quello che fino a questo momento è il più importante risultato sul cemento ottenuto da Bautista: l'incredibile successo per 7-5 al quinto set sul numero 5 del mondo Juan Martin del Potro al secondo turno, gli ha infatti permesso di arrampicarsi fino agli ottavi di finale, dove è poi stato superato da Grigor Dimitrov in quattro parziali. Altro importante risultato per il giocatore di Castellon de la Plana è poi arrivato al Masters 1000 di Indian Wells, dove ha superato per la seconda volta in carriera Tomas Berdych (in questo caso in veste di numero 5 del mondo) al secondo round, e ha perso agli ottavi di finale in tre set contro Ernests Gulbis. Nell'altro Masters

1000 nordamericano, a Miami, ha invece superato un top-20 come Jerzy Janowicz e ha perso al terzo turno contro Fabio Fognini. In questo modo Bautista si è presentato molto bene alla stagione sul rosso, dove ha sorpreso per la facilità con cui ha saputo dominare un Top-80 come Lukasz Kubot nel primo turno del torneo di Barcellona, annichilendolo con un nettissimo 6-1 6-0, prima di essere eliminato al turno successivo da Kei Nishikori. Al Masters 1000 di Madrid è poi arrivato il miglior risultato della carriera per Roberto, che è riuscito a superare uno dopo l'altro Robredo, Verdasco, Kubot e Girlado,


La terza posizione nel ranking spagnolo non sembra cosĂŹ lontana conquistando una fantastica semifinale prima di essere confitto da Rafa Nadal per 6-4 6-3. La sconfitta subita all'esordio nel Masters 1000 di Roma non ha comunque ridimensionato le ambizioni di Bautista Agut, che con il suo ranking di numero 28 al mondo sta tentando una fantastica scalata che potrebbe portarlo nella Top-20 mondiale. In questo momento gli spagnoli che lo precedono in classifica sono Nadal (1), Ferrer (5), Robredo (18), Almagro (22), Verdasco (25) e Lopez (27). La terza posizione nel ranking spagnolo non sembra quindi cosĂŹ lontana.


Il tennis in numeri di Roby Marchesani

1 - I titoli vinti sul rosso da Dimitrov e Nishikori in carriera (entrambi il 27 aprile, espugnando rispettivamente Bucarest e Barcellona). - I match vinti da Fognini a Madrid in tutta la sua carriera (nel 2008) - Le semifinali raggiunte da Dimitrov nei Masters 1000 – ottenuta nell’edizione di Roma 2014 2 - i tornei vinti da Klizan nella sua carriera professionistica (San Pietroburgo 2012 e Monaco 2014), entrambi i titoli ottenuti battendo Fabio Fognini in finale

- le semifinali raggiunte da Raonic nei Masters 1000 - le semifinali di David Ferrer nel Masters 1000 di casa, quello spagnolo (dopo il 2010, quando fu fermato da Federer, quest’anno è stato eliminato da Nishikori in un match memorabile) 3 - I trionfi di Novak Djokovic al Foro Italico. Il serbo ha conquistato gli Internazionali d’Italia in 3 occasioni (e curiosamente a cadenza triennale). Nel 2008 ha battuto sul Pietrangeli Stanislas Wawrinka, mentre nel 2011 e 2014 ha ottenuto lo scalpo di Rafael Nadal nel centrale.


- i successi di Alexandr Dolgopolov contro Fabio Fognini quest’anno, su 3 confronti diretti. A Rio (6-1 6-1), a Indian Wells (6-2 6-4) e Madrid (7-5 4-6 6-3) 4 - le finali perse da Roger Federer a Montecarlo (2006,’07,’08,’14) – le prime tre da Nadal, l’ultima da Wawrinka. - i tornei vinti da Rafael Nadal a Madrid (2005,’10,’13,’14) – la prima nella Telefonica Arena indoor, le ultime 3 alla Caja Magica - le sconfitte consecutive di Rafael Nadal contro Novak Djokovic. La battuta d’arresto nella recente finale agli Internazionali d’Italia va ad aggiungersi a Pechino 2013 (6-3 6-4), al Masters 2013 (6-3 6-4) e Miami 2014 (6-3 6-3). Tutte finali.

l’ultimo a inserirsi in questo club, ma è il primo a tagliare tale traguardo per il suo paese nell’Era Open. Gli altri 4 giocatori giapponesi ci riuscirono tutti nel periodo di poco antecedente e di poco successivo alla seconda guerra mondiale. 6 - le partecipazioni necessarie a Tommy Haas per tornare a vincere un match al Foro Italico. Dopo la finale del 2002, persa da Agassi, il tedesco tornò a Roma 5 volte senza mai vincere un partita. Quest’anno, alla 6° partecipazione dal 2002, rompe l’incantesimo negativo, battendo Seppi.

5 - i giapponesi entrati nella Top10 mondiale in tutta la ultracentenaria storia tennistica. Kei Nishikori con la finale raggiunta a Madrid è - i set consecutivi persi da Nadal contro Djokovic, serie interrotta a Roma con la vittoria del primo set. Gli scontri diretti di Pechino, Masters e Miami erano finite tutte in straights set per il serbo. 7 - i QF di Gulbis nei Masters 1000, l’ultimo raggiunto a Madrid quest’anno. - le finali vinte in successione da Novak Djokovic nei Masters 1000, con questa di Roma 2014. E’ il suo record personale, battendo il precedente che si era fermato a 6 nel suo leggendario 2011.


L’ultimo capace di batterlo in una finale Masters 1000 è stato Roger Federer a Cincinnati nel 2012, da allora non ha più perso le successive 7 finali giocate : Shanghai 2012, Montecarlo 2013, Shanghai 2013, Bercy 2013, Indian Wells 2014, Miami 2014 e Roma 2014. Il record assoluto è detenuto da Federer e Nadal in coabitazione, a quota 9. 8 - i mesi passati dall’ultimo successo di Nadal su Djokovic. Era la finale degli US Open, che andò a coronare un estate leggendaria per il maiorchino.

9 - i titoli vinti sulla terra rossa da Maria Sharapova, con l’ultimo conquistato a Madrid 10 - le sconfitte di Almagro contro Nadal, prima della sua vittoria a Barcellona. - i match pointi necessari a Kei Nishikori per estromettere David Ferrer a Madrid, in SF L’ultimo game durato 18 minuti ha visto lo spagnolo annullarne 8 prima di arrendersi. 13 - le finali vinte da Novak Djokovic nell’ultimo anno e mezzo (su 15 disputate) - la serie positiva di Fognini in Germania, conclusa dalla sconfitta con Klizan a Monaco di Baviera. 17 - le sconfitte consecutive di Tomas Berdych contro Nadal, l’ultima a Madrid nei QF. Dopo il famoso QF sempre a Madrid nel 2006, in cui i due vennero quasi alle mani a fine match, il ceko non ha vinto più un match con il maiorchino. Solo 3 set strappati su 40 giocati.


67 - le partecipazioni necessarie a Stanislas Wawrinka per vincere il suo primo Masters 1000, a Montecarlo. 44 - i titoli vinti da Novak Djokovic nella sua carriera, eguagliando Thomas Muster nell’Era Open - i set consecutivi vinti da Nadal in Catalogna, prima di esser fermato da Almagro nei QF 52 - le semifinali vinte consecutivamente (!) da Rafael Nadal sulla terra rossa, a fronte di un'unica sconfitta, partita nell’ormai preistorico 2003. Questo mese ha aggiunto la 51° e la 52° tra Madrid e Roma (Bautista Agut e Dimitrov i battuti).


n째 p


Atp 2015 - l'erba cresce di Laura Saggio L'ATP ha reso noto il calendario per la stagione 2015, tra le diverse novità, spicca la scelta di mettere in programma più i tornei sull'erba.

Uno swing sull'erba di tre settimane. Il calendario ATP del 2015 sarà ricordato come il più “verde” di tutti i tempi. Nello specifico si giocheranno sessantadue tornei divisi per trentuno Paesi, attraverso sei Continenti. E per la prima volta nella storia del tennis, la stagione sull'erba inizierà l'8 giugno (il giorno seguente la finale del Roland Garros) con il doppio appuntamento a 's-Hertogenbosch in Olanda e a Stoccarda. I tornei di Halle e del Queen's, in programma la settimana successiva, muteranno il loro status da ATP 250 ad ATP 500 e aumenteranno del 75% la quantità di punti assegnati ai giocatori

durante la parte di stagione giocata sull'erba. All'interno di queste novità, troviamo anche il torneo di Nottingham (che arriverà ad avere un tabellone di 48 giocatori, rispetto ai 28 delle passate stagioni) che prenderà il posto di Eastbourne e precederà di una settimana il lord verde, Wimbledon. Infine l'ultimo appuntamento che chiuderà la stagione sull'erba sarà ospitato il 13 luglio da Newport. “Il fatto di aver esteso la durata della stagione sull'erba è sicuramente un fatto positivo” - ha dichiarato Chris Kermode, presidente ATPaggiungendo in seconda battuta: “a noi spetta il compito e l'impegno di garantire la varietà del


Insieme agli Stati Uniti, la Cina diventerà la prima nazione che ospiterà un torneo per ogni categoria: ATP World Tour 250 (Shenzhen), ATP 500 (Pechino) e Masters 1000 (Shanghai). gioco e delle superfici durante tutto l'arco della stagione, e in questa direzione, l'aumento del numero dei tornei sull'erba segna un grande passo in avanti”. Proprio a confermare questo intento, volto a garantire varierà di gioco e superfici, l'ATP ha deciso di allestire un bando per assegnare il “posto disponibile” ad una città europea che inserirà il proprio torneo sulla terra rossa fra il 27 aprile e il 4 maggio 2015, prima dei 1000 di Madrid. Inoltre, un ulteriore cambiamento, che punta sempre in questa direzione, interessa il primo torneo di Rio. A riguardo, l'ATP ha già dichiarato che nel 2015 il torneo di Rio (in programma da 16 al 22 febbraio) verrà inserito fra i 500, affiancato

dai tornei di Buenos Aires e San Paolo, già presenti in Brasile. Un'ultima novità da rilevare nel circuito ATP riguarda la Cina, che nel 2015 entrerà a pieno titolo nell'elité del tennis mondiale. Infatti, insieme agli Stati Uniti, la Cina diventerà la prima nazione che ospiterà un torneo per ogni categoria: ATP World Tour 250 (Shenzhen), ATP World Tour 500 (Pechino) e ATP World Tour Masters 1000 (Shanghai). Un anno ricco di sorprese dunque il 2015, che vedrà inevitabilmente l'erba regina corteggiare il suo Re, l'indiscusso numero 1 dell'ultimo decennio sull'erba, che potrà sfruttare i punti e il calendario favorevole per risalire, e chissà forse chiudere al top, la propria eccezionale carriera.


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Donna e coach, sarà possibile? di Franca Angelini

“Non ci sarebbe la Wta se non ci fosse stata Billie Jean King”?

Quante volte è stato scritto... “Non ci sarebbe la Wta se non ci fosse stata Billie Jean King”?. Lei che ha permesso alle giocatrici di oggi di guadagnare milioni di dollari impugnando una racchetta e che si è sempre battuta per avere parità di montepremi ed esposizione mediatica fra uomini e donne, questa volta ha mollato un ceffone virtuale proprio alle tenniste dichiarando: «Le giocatrici stanno facendo un grande errore a non assumere più coach donna». Ai tempi di Billie Jean, gli uomini, e chiunque fosse coinvolto nel tennis, non avevano molta considerazione del tennis femminile e ancora di

meno dell’idea di allenare delle ragazze. Ma con il passare degli anni, l’aumento della popolarità di questo sport è cresciuto al punto da promuoverlo nello sport femminile più popolare e pagato. Per crederci basta considerare il numero di tornei giocati, le ore di copertura televisiva e la quantità di euro e dollari investita dagli sponsor. Nella classifica di Forbes, quella degli atleti più pagati al mondo, le uniche donne presenti sono tenniste. Se sei una ragazza, il tennis è lo sport che ti può far diventare ricca. E dove c’è denaro non c’è pregiudizio che tenga: allenare delle giocatrici per molti allenatori era diventato economicamente interessante.


Ma per una donna coach? «Ho allenato Tim Mayotte e un paio di altri giocatori, ma nessuno chiede a noi donne di allenare», ha raccontato la King a Russel Furrer di BBC Sport. «È un grande errore perché noi siamo una grande risorsa, dovrebbero chiedercelo. Invece, nessuna viene da me e mi dice “Mi aiuteresti con il mio gioco?”, l’ultima a chiedermelo è stata Martina Navratilova negli ultimi anni della sua carriera di singolarista». Nel mondo ATP solo Mikhail Kukushkin e Denis Istomin hanno una allenatrice, rispettivamente la moglie e la mamma. Mentre Llodra quando ha avuto per qualche mese al fianco Amelie Mauresmo ha raggiunto i quarti al Queen’s e

vinto Eastbourne. Se non stupisce più di tanto che gli uomini siano allenati da uomini, può invece suonare un po’ strano che nella Wta, fra prime 30 giocatrici, solo la russa Elena Makarova ha al suo angolo una coach, Evgenia Manyukova. Mentre Martina Hingis prosegue con brevi consulenze per varie giocatrici (Wickmaier, Putinseva, Pavlyuchenkova) e anche se in modo non ufficiale con Sabine Lisicki (forse più come partner di doppio che come vero coach). La francese Natalie Tauziat dopo aver lavorato con la stellina nascente della Wta Eugenie Bouchard, segue ora l’altra canadese Wozniak. Per le giocatrici di vertice è ancora più raro e quando capita si tratta di tenniste russe con coach russe, come è stato per Olga Morozova che ha allenato Dementieva e Kuznetsova. Quest’ultima ha poi vinto Parigi con Larisa Savchenko nel suo angolo. Per Kuznetsova non è soprendente che le allenatrici siano spesso russe. La mette sul patriottico: «Le nostre nonne avevano cura dei figli e mentre con una mano giravano la zuppa, nell’altra tenevano il fucile. In Russia le donne hanno sempre avuto una vita dura, è per questo che hanno un carattere forte e sanno affrontare qualsiasi situazione». Perché sono cosí poche? Le risposte girano sempre intorno a tre motivi: questione culturale,


scelta di vita e anche per fattori economici. Il motivo culturale è la ragione principale per la King. «Ci è stato insegnato che non siamo brave in queste cose. Siamo cresciute vedendo il mondo attraverso gli occhi degli uomini. Si può dire che è un bene o un male – non importa – ma il punto è che questo è il modo in cui percepiamo il mondo, perché gli uomini hanno scritto la storia e deciso anche cosa si sarebbe visto in tivvù». Martina Navratilova che ha spesso fatto la voce tecnica per Tennis Channel sottolinea come lei sia stata allenata da alcune «delle più grandi menti del tennis». Billie Jean King è fra queste. «Perciò a meno che io non sia una stupida, dovrei essere capace di trasferire questa conoscenza». Invece racconta come una volta sia stata scartata da una possibile collaborazione, con la motivazione di non aver mai allenato prima. Mentre Murray, sottolinea Martina, ha voluto come coach Lendl anche se l’excecoslovacco non aveva mai allenato.

Stessa cosa quando Roddick chiese a Connors di lavorare con lui. Anche Martina Navratilova si schiera per un problema culturale. «Come potevano sapere che io non fossi in grado di farlo?», e aggiunge, «Gli uomini hanno più credito. Loro devono dimostrare che non sanno allenare, piuttosto che il contrario». E se c’è di mezzo un problema culturale vuoi che non si trovi un professore universitario che ci abbia fatto sopra uno studio? Eccolo: Jeffrey Gerson, professore alla Università del Massachusetts Lowell «Ci sono molti aspetti non attraenti nella vita di un coach per una donna, ma anche per un uomo.

Però gli uomini non hanno il ruolo tradizionale del prendersi cura della famiglia. Alcuni uomini aiutano a casa ma sono le madri quelle che passano più tempo ad averne cura»... Dite, avevamo davvero bisogno di un professore americano per saperlo? Sul blog american Women Who Serve, Diana Dees scrive: “Io credo che ci sia del sessismo, in un modo molto più ampio e più profondo di quanto qualcuno potrebbe pensare. Se un uomo lascia la sua famiglie e viaggia per lavoro è considerato un buon padre, ma se lo fanno le donne, sono considerate cattive madri”.


Per Tracy Austin invece dipende più da una scelta di vita. L’ex n.1 per alcuni anni ha allenato delle juniores come coach della federtennis Usa. «Ho tre figli che hanno bisogno della mia attenzione, ho provato a continuare ad allenare ma solo part-time. Si viaggia troppo se hai una famiglia». Allenare significa avere la valigia in mano per nove mesi l’anno. E se sei una exgiocatrice e per tutta la tua vita non hai fatto altro che viaggiare, e pensi a una vita diversa, non c’è dubbio, l’idea di fare il coach non è particolarmente attraente. Sono poche le donne che allenano a tempo pieno. Fra le top 100 forse se ne trovano dieci. Una di queste è Biljana Veselinovic: «Non è facile, più di 35 settimane lontane da casa, è dura se hai una famiglia. Specialmente per chi è madre con bambini piccoli. Come ci si riesce? Hai bisogno dell’aiuto di nonni, mariti, babysitter per cucinare e badare ai bimbi». La Vaselinovic ha lavorato 5 anni con Srebotnik, tre con Lucie Safarova, per qualche mese anche con Nadia Petrova e per 8 anni è stata capitana di

Forse la questione del tempo da passare lontano dalla famiglia può spiegare come mai poche lavorino nel circuito Wta, mentre molte, soprattutto ex-giocatrici con un passato di successo, abbiano invece accettato il ruolo di capitano di Fed Cup: Mauresmo per la Francia, e come lei M.J. Fernandez (Usa), Rittner (Germania), Devries (Belgio), Molik (Australia), Concita Martinez (Spagna) e Anastasia Miskyna (Russia). La Fed Cup impegna poche settimane l’anno e può dare grandi soddisfazioni. Un perfetto compromesso. Judy Murray è il capitano di Fed Cup per la Gran Bretagna. La mamma di Murray ha instaurato con le sue giovani giocatrici un rapporto di fiducia e rispetto,

senza diventare per loro una seconda madre. Le “mamme ufficiali” potrebbero non gradire... Così, almeno, si sussurrava per la fine della collaborazione fra Elena Dementieva e Olga Morozova. Dopo che la bella Elena aveva raggiunto due finali di Slam nello stesso anno, a sorpresa la loro collaborazione terminò e da quel momento la russa scelse solo uomini, quando non era la madre stessa a farle da coach. Judy Murray vorrebbe provare a cambiare qualche cosa nel mondo degli allenatori: «Noi donne coach siamo praticamente 1 a 10 con i coach di sesso maschile, ed è un qualcosa cui mi piacerebbe molto provare a rimediare».


Una donna dovrebbe riuscire a relazionarsi meglio con le emozioni e le difficoltà che affrontano le giocatrici e la presenza di più donne all’angolo delle tenniste, secondo Richard Williams, papà di Serena e Venus, sarebbe positivo per l’ambiente diminuendo la presenza di padri violenti. In effetti, ancora non si è sentito il caso di una mamma cui la Wta abbia vietato di avvicinarsi alla figlia durante lo svolgimento di un torneo, mentre sono sempre stati dei padri ad alzare le mani sulle figlie. I casi più famosi? Dokic, Pierce, Rezai... Altro aspetto sottolineato da papà Williams: ci sarebbero meno rischi di vedere una relazione fra coach e tennista trasformarsi in un una relazione

sessuale. «Abbiamo visto i danni provocati dagli uomini su queste giovani donne, più di quanto una donna coach potrebbe mai fare, in qualsiasi circostanza». Con Williams è d’accordo anche la Navratilova: «Vi sono troppi coach coinvolti in relazione sentimentali con le giocatrici. Forse può aiutarle nel breve periodo, ma certamente farà male a lungo termine. Quella fra coach e giocatrice non è una relazione alla pari. Il coach è una figura di autorità e molte ragazzine spesso non hanno ancora 18 anni». Poi ci sono aspetti difficili da spiegare ma che fanno parte della psicologia femminile: una donna può essere fin troppo sensibile, e alcune giocatrici preferiscono un allenatore solo perché con lui è più difficile arrabbiarsi. Per fortuna non tutte la pensano così. La russa Galina Voskobeva è passata dalla posizione 621 alla 49 con accanto Alina Jidkova: «Può capitare che ti alzi la mattina e non ti senti carina. Una donna ti capisce, un uomo pensa che sei pazza». Oltre a tutte queste ragioni, c’è anche una limitata offerta di lavoro dovuta a una questione puramente economica. L’americano Brad Gilbert (ha allenato Agassi, Roddick e Murray ora è commentatore Tv) sottolinea come gli uomini si allenino senza problemi con gli altri giocatori, mentre le ragazze preferiscono un allenamento specifico.


L'arte dell'insegnamento di Andrea Guarracino

Aspettare il momento giusto per dispensare il sapere, senza disperderlo nel vento dell’oblio.

C’era una volta, molti anni fa, una scuola di tiro con l’arco diretta da un grande maestro zen. Un giorno si presentò alla scuola un giovane allievo. Egli si recò dal maestro dicendogli : “buongiorno maestro sono venuto per la mia prima lezione di tiro con l’arco, che cosa devo fare oggi ?“. Il maestro lo guardò con attenzione e disse: ”benissimo, questo è l’arco,queste sono le frecce, quello lì in fondo è il bersaglio, prova a colpirlo “. Il giovane, entusiasta di poter subito provare a tirare le frecce, si reca davanti al suo bersaglio provando per più di un’ora a colpirlo, ma malgrado tutti i suoi sforzi non riesce neanche una volta a centrarlo. Esausto riporta tutto al maestro, che gli da appuntamento per il giorno seguente. Il giovane si ripresenta ancora l’indomani davanti al maestro zen dicendo: “buongiorno maestro sono venuto per la mia seconda lezione, oggi che cosa mi aspetta?“. Il maestro lo osserva ancora più attentamente del giorno precedente e gli dice: “benissimo prendi quest’arco e queste frecce e prova a colpire il

secondo bersaglio lì in fondo”. Il giovane prova ancora per più di un’ora a colpirlo senza riuscirci neanche questa volta. E questa storia si ripete nelle successive lezioni. La decima volta il giovane si presenta per la lezione e disperato si rivolge così al maestro: “maestro la prego mi aiuti, sono molte ore che provo a colpire il bersaglio, ma non sono ancora riuscito a colpirlo nemmeno una volta, la prego, la prego, la prego, mi dica come posso fare a riuscirci”. Il maestro prontamente gli risponde: “ impugna l’arco in questo modo, tendi la freccia in quest’altro modo, rilassati, fai un bel respiro e scocca il tiro”. Il giovane si reca immediatamente davanti al bersaglio e, seguendo alla lettera i consigli del suo maestro, scocca il tiro: centro perfetto. Entusiasta corre dal maestro esclamando: “maestro è fantastico ho fatto un centro perfetto, ma perché non mi detto subito come fare?“. Il maestro lo osserva attentamente e con calma serafica gli risponde: “ se ti avessi detto subito come fare, non lo avresti mai fatto “. Ecco è tutta qui l’arte per trasmettere la conoscenza, aspettare il momento giusto per dispensare il sapere, senza disperderlo nel vento dell’oblio.



Se sarai felice vincerai di Stefano Massari, Mental Coach

Non sarai felice perché vincerai, ma vincerai perché sarai felice.

La scorsa settimana ho guardato la finale del torneo di Charleston tra la Petkovic e la Cepalova. Mi piace guardare il tennis giocato su terra verde. Il colore del campo, per me abituato al rosso argilla dei terreni nostrani, ha qualcosa di onirico e surreale. La cosa che mi ha colpito di più, tuttavia, non è stato il verde della terra e neppure il buon tennis delle due finaliste. Sono rimasto incantato dal discorso finale di Andrea Petkovic, da quel sorriso bello come il riposo di un viaggiatore che ha fatto molta strada, dalla sua voce netta, pulita, con un timbro quasi mascolino. Mentre parlava, Andrea, reggeva un mazzo di fiori e lo faceva senza grazia, quasi fosse la prima volta che le capitava, eppure anche questo gesto statico e un po’ goffo aggiungeva onestà e

verità a quanto stava dicendo. Si è prima di tutto congratulata con l’avversaria e il suo tono non aveva niente di formale o dovuto. Ha ricordato che la Cepalova, che ha solo vent’anni, si è presentata a Charleston da sola, senza sponsor e dunque senza coach né parenti al seguito e si è detta ammirata da tanto coraggio. Si è poi rivolta ai suoi familiari e al suo coach per ricordare, senza perdere il sorriso, i momenti più difficili, quelli in cui i suoi numerosi infortuni l’hanno tenuta lontana dalle competizioni e fatta sprofondare in classifica. Infine, ha ringraziato gli organizzatori di quello che ha definito uno dei più bei tornei del mondo ed anche in questo frangente, quando il contenuto è risultato banale anche ai miei occhi ormai persi, è stata semplice e affettuosa. Colpito da tanta spontaneità e, lo ammetto, da tanta bellezza, sono andato a cercare notizie su di lei ed ho trovato, in diversi articoli, quello che senza sapere sapevo, quello che senza neanche trasformare in pensiero avevo tuttavia intuito e riconosciuto.


Il successo come processo, come percorso professionale, ma prima di tutto umano.

Nata in Bosnia 23 anni fa, Andrea riparò in Germania con i genitori durante la Guerra dei Balcani. Brava a scuola, è tuttora iscritta alla facoltà di Scienze Politiche. Nonostante diversi infortuni, che la hanno fatta precipitare dal nono posto della classifica mondiale nel 2011 a oltre il centesimo nel 2012, è oggi di nuovo tra le prime quaranta tenniste del mondo. Sembra che, dopo le Olimpiadi del 2016, voglia abbandonare il tennis e iscriversi a una famosa scuola di giornalismo, diventare giornalista e poi, forse, entrare addirittura in politica per fondare il partito che non c’è, ovvero quello che fa gli interessi dei popoli e in particolare dei giovani. Suona la chitarra e la batteria e dice che questo strumento, allenando la coordinazione, le serve anche per giocare meglio a tennis. Ama Goethe, genio della scrittura, e Che Guevara, genio del combattimento. Sono in molti a ritenere che, se Andrea si fosse dedicata esclusivamente al tennis, avrebbe raggiunto vette ancora più alte. Tuttavia, a chi la pensa così, lei risponde che, se non avesse fatto tutte queste cose, non sarebbe mai diventata una buona tennista. “Sono il tipo di persona” dice “che ha bisogno di allenare non solo il corpo ma anche la mente e l’anima.” Il lavoro di coaching che svolgo con gli sportivi, soprattutto quelli giovani, è una quotidiana dimostrazione del fatto che Andrea Petkovic, pur avendo soltanto 23 anni, è già molto saggia.


Perché chi riesce ad avere una vita anche fuori dal campo, vale a dire un rapporto decente con la scuola e con il mondo del sapere (che non sono la stessa cosa), interessi come la musica, oppure il cinema o la pittura o il mare o la fotografia, dei buoni amici e se possibile un amore, è prima di tutto una persona più felice ed in secondo luogo anche un atleta migliore. Rileggendo le interviste di Andrea, sembra emergere come un filo: quello del senso, del significato. Penso alla sua ammirazione per il coraggio della giovanissima Cepalova, a Charleston senza sponsor, parenti o allenatori e mi viene naturale collegarla con il desiderio, o forse dovrei dire vocazione, di Andrea di occuparsi dei giovani e di dare risposta

alle loro domande più profonde attraverso il giornalismo e la politica. Per opposizione, mi vengono in mente alcuni genitori che, nella smania di vedersi realizzati attraverso il successo dei figli, li spingono a dedicarsi al tennis in maniera ossessiva, monotematica. So bene che, se si guarda oltre a questo non proprio sano processo di identificazione, si vede il grande amore di un padre o di una madre. Questo amore, tuttavia, si esprime rimbalzando dalla parte sbagliata, quella dei risultati, della pressione sulla vittoria e dunque dell’ansia. Allora il tennis diventa non solo la cosa più importante della vita ma addirittura l’unica e dunque un’esperienza che invece di arricchire, toglie, priva. Gli atleti che, come Andrea, allenano l’anima e non solo il corpo, hanno un grandissimo vantaggio rispetto agli altri. Perché riescono a far tesoro sul campo delle competenze acquisite altrove (magari suonando la batteria), e a scuola o in famiglia o sul lavoro delle competenze che maturano sul campo da tennis. Nel sorriso di Andrea Pektovic, che arriva dal dolore degli infortuni, dalla lotta per risalire attraverso i tornei minori e dunque da notti passate in alberghi con le pareti scrostate e i rubinetti sgocciolanti e da partite giocate su terreni che paiono trappole per caviglie, c’è un nuovo concetto di successo.


L'infortunio di Amanda Gesualdi L’Atleta è prima di tutto un essere umano, con emozioni, sensazioni, un infinito mondo interiore in continuo mutamento e assestamento

L’Atleta è prima di tutto un essere umano, con emozioni, sensazioni, un infinito mondo interiore in continuo mutamento e assestamento. Se siamo centrati ed in equilibrio, la possibilità di incorrere in infortunio o incidenti è praticamente nulla, diversamente, la eventuale mancanza di stabilità psico-fisica ci renderà più soggetti a problematiche come contratture, strappi, malesseri di varia natura. Non esiste il caso o la “sfiga”, ma tutto si muove secondo le leggi della natura di cui l’uomo è parte integrante. Va anche considerato che, non tutti ci ammaliamo delle stesse cose, e non tutti ci contraiamo negli stessi gruppi muscolari, è

questo accade perché ognuno di noi è unico! L’INFORTUNIO è la via scelta dalla natura per inviarci un messaggio: ”Attenzione qualcosa non va! Fermati e riconsidera ciò che stai facendo e ciò che dovresti fare!” Da un infortunio si impara sempre qualcosa. Nella vita il ciclo delle vittorie e delle sconfitte, delle conquiste e delle rinunce è una costante alla quale non possiamo opporci. In caso d’infortunio o di crisi, è bene accettare l’ostacolo come si accetta un evento naturale: bisogna metterlo a frutto e considerarlo un’opportunità per riflettere su se stessi, sulla propria attività sportiva e sul come la stiamo vivendo in questo preciso momento storico.


Un incidente sconvolge nel profondo l’universo in cui vive l’atleta, oltre ad apportare una deficienza fisica, favorisce l’insorgere di una complessa serie di stati d’animo: insicurezza, depressione, rabbia, timore, tensione, ansia e panico. II momento doloroso che accompagna e segue un infortunio costituisce un’occasione per rivedere le tecniche d’allenamento, intendendo e includendo anche la strategia, la preparazione fisica e mentale, l’alimentazione. Un incidente sconvolge nel profondo l’universo in cui vive l’atleta, oltre ad apportare una deficienza fisica, favorisce l’insorgere di una complessa serie di stati d’animo: insicurezza, depressione, rabbia, timore, tensione, ansia e panico. Queste risposte psicopatologiche all’infortunio creano a loro volta stress, rendendo ancora più acuta la sofferenza fisica. Gli atleti infortunati passano attraverso cinque fasi di elaborazione del trauma fisico subito. La prima fase è quella della negazione. “No a me non può succedere”, “Non c’è problema, non è così grave”.

Ben presto però si deve affrontare la realtà: l’infortunio ha minato la possibilità di impegnarsi al meglio o addirittura d’impegnarsi del tutto. Ecco che bruscamente subentra la seconda fase: la rabbia. “Dannazione! Perché proprio a me? Perché proprio adesso?” A questo punto, spesso sopravviene il panico, e quindi la sofferenza si intensifica. Segue una fase di “contrazione”, in cui si fanno voti “se guarirò, non farò mai più la tal cosa….” nella speranza di far cessare il dolore. Subentra allora una fase di depressione. Ci si rende conto che non c’è nulla da fare, che non si potrà competere: il rischio in questo frangente, è di chiudersi in se stessi, di autocompatirsi. La vera guarigione di solito coincide con la fase di


L’infortunio crea un terreno fertile per lo stress e la frustrazione. accettazione “Mi sono infortunato, ma la vita continua”, “Tornerò più forte di prima, ce la farò!”. Tuttavia, prima di giungere a questo punto, la mente passa dall’una all’altra delle prime quattro fasi. L’infortunio crea un terreno fertile per lo stress e la frustrazione. Per sfuggire alla paura, concentratevi sugli aspetti positivi della vostra vita. Pensate a quegli atleti che, pur essendosi trovati nella vostra stessa condizione, non soltanto sono guariti completamente, ma sono anche tornati a gareggiare e a vincere. Un infortunio è anche un’opportunità da sfruttare in piena consapevolezza: vi consente infatti di riposare, magari recuperando alcuni aspetti della vostra vita che avete trascurato a causa di un rigoroso programma di allenamento. La convalescenza è un momento ideale per valutare la vostra vita in modo obiettivo: rivedete le mete che vi siete prefissi di raggiungere, ridefinite e confermate le priorità. Provate a vedere il bicchiere mezzo pieno ed assaporate la libertà dall’impegno costante di ottenere buoni risultati. Se modificate il punto di vista da cui guardare la vostra crisi, le sensazioni di tensione e di disagio diminuiranno, facilitando così il processo di guarigione. Non opponetevi agli inevitabili cicli negativi, bensì accettateli. Subire una perdita, (che riguardi il lavoro, l’amicizia, la casa, l’amore) significa dover attraversare le cinque fasi: negazione, rabbia, contrattazione, depressione,


Guarire significa diventare consapevoli. Significa allargare le proprie prospettive, smettere di guardare indietro. accettazione. Datevi il tempo di esplorare ognuna di esse. Non potete saltarle o affrettare il processo della guarigione. Per una guarigione totale, ovvero sia nel soma che nella psiche, è fondamentale un lavoro di coaching costante! Guarire significa diventare consapevoli. Significa allargare le proprie prospettive, smettere di guardare indietro, rimanendo intrappolati nel passato, ma vivere nel presente, tenendoci di riserva un sogno per il futuro. Cambiare l’immagine di noi stessi è il nostro vero compito. Nel corso della nostra vita, abbiamo la possibilità di “morire” e “rinascere” tante volte.


Djokovic pubblica il Suo libro! Vuoi sapere di cosa si racconta? di Stefania Grosheva

Se sei un fan di questo giocatore, già puoi andare in libreria a trovare "Serve to win", il libro scritto per il tennista serbo

Il tema principale del libro è il trattamento della sua dieta e dei suoi segreti, poiché in base ad esso, lo ha aiutato a "fare la differenza nella mia carriera e nella mia vita". Il serbo ha dato vita al suo regime nell'arco di diversi anni per " trovare il cibo giusto per il corpo di un atleta", come indica in premessa. La fondazione della sua dieta è basata principalmente sulla eliminazione del glutine. Un aspetto nutrizionale che gli esperti non ha mai fatto troppa enfasi, che sta cominciando a cambiare da un paio di anni, in vista di alcuni studi sulla dieta in materia e la sua divulgazione che i personaggi pubblici fanno.

Un 'boom' che si è trascinato per l'industria alimentaria, come testimonia l'aumento delle vendite di prodotti senza glutine nelle grandi catene dei supermercati. La maggior parte di queste indagini riguardano il mangiare cibi con un alto indice glicemico. La 'dieta delle stelle', così chiamata perché l'hanno fatta personaggi famosi come Lady Gaga, Kim Kardashian ,Gwyneth Paltrow ,Victoria Beckham e Rachel Weisz, è simile a quella del glutine, anche se non sono intolleranti al glutine. Quelli che lo praticano non solo evidenziano le sue proprietà di perdita di peso, ma anche i cambiamenti positivi nel benessere fisico e


"Questa dieta mi ha permesso di sentirmi più leggero, più sano e più concentrato" mentale. Djokovic, ora aggiunge che "aiuta a migliorare le prestazioni atletiche". "Questa dieta mi ha permesso di sentirmi più leggero, più sano e più concentrato", ha aggiunto il giocatore. Fornire la consulenza necessaria per raggiungere il peso corporeo ideale è uno degli obiettivi del servire per vincere, seguendo il piano proposto per il giocatore, si può arrivare a realizzare " in solo 14 giorni". Tuttavia, la perdita di peso non è l'unica sfida che mira a contribuire al suo libro. Suggerimenti per ridurre lo stress e rimanere in forma con altri esercizi fisici sono altri temi proposti da Djokovic dalla sua esperienza personale. Visto da fuori, tutti sapevamo che Nole conduce uno stile di vita sano, ma non i suoi segreti. Ora li possiamo conoscere.


La racchetta del futuro di Francesca Cicchitti

Una racchetta di ultima generazione che rivoluzionerà il mondo del tennis

Sarà capitato anche a voi, e chissà quante volte, di uscire dal campo dopo aver giocato una partita a tennis, e di chiedervi quale sia il vostro “vero”, “effettivo” livello di gioco. E se e quanto siete migliorati... E che cosa altro potreste fare per affinare, perfezionare, crescere le vostre capacità tennistiche. Ora una risposta rapida e certificata è possibile, e va oltre le vostre sensazioni e i complimenti che potreste ricevere. Basta avere lo strumento giusto. La nuova racchetta della Babolat, la casa francese che dal 1875 è uno dei leader mondiali del settore. Comincia la rivoluzione. Una racchetta di

ultima generazione che rivoluzionerà il mondo del tennis. Dicono questo della "Babolat Play Pure Drive", e per quanto ci riguarda il primo aggettivo per definirla è “incredibile”. Una racchetta del futuro, una racchetta “connessa col mondo”, in grado registrare tutti i colpi durante una competizione o semplicemente durante un allenamento, per poi rianalizzarli e poter migliorare la propria tecnica. La "Babolat Play Pure Drive" è nei negozi di attrezzature sportive italiani dal 19 maggio scorso, e gli Internazionali hanno fornito l’occasione per pre- sentarla. Schierati i vertici dell’azienda francese, con in testa Eric Babolat,


Ci sono voluti dieci anni di studio, ricerche e di test, prima che la Babolat arrivasse a presentare ufficialmente la “Play presidente e direttore generale, e Riccardo Pietra presidente Babolat Italia, mentre Adriana Serra Zanetti (che fu n.38 WTA) è stata invitata per raccontare la sua esperienza. È stata una delle prime a testare la racchetta, anche con gli allievi della sua scuola tennis. Ci sono voluti dieci anni di studio, ricerche e di test, prima che la Babolat arrivasse a presentare ufficialmente la “Play”. Circa 50 ingegneri hanno lavorato al progetto, senza contare gli innumerevoli tennisti che hanno fatto da “cavie”. Adesso la racchetta è pronta per essere utilizza e il suo funzionamento è molto semplice. All'interno del manico è stato introdotto un sensore che una volta acceso raccoglierà tutte le attività svolte dal giocatore: la potenza del tiro, le zone di impatto della palla sull'ovale, il tipo di colpi effettuati, dritto, rovescio, smash, volée, l'effetto dato alla palla, il tempo di gioco effettivo e quello totale, la tecnica, la resistenza, l'energia e la durata degli scambi. Rivedere e analizzare quello che il sensore ha registrato, è possibile tramite un’applicazione scaricata sul proprio dispositivo elettronico, che può essere uno smart-phone, un iPad o un computer (applicazione valida sia per apple, sia per android). I dati registrati vengono riversati mediante connessione bluetooth o cavo USB, poi sarà possibile vedere come si è giocato e migliorare il proprio livello.


Con le racchette connesse, la storia del tennis sta per vivere una grande svolta E un giorno saremo tutti connessi «Con le racchette connesse, la storia del tennis sta per vivere una grande svolta», dice convinto Eric Babolat. «E la prima al mondo è Babolat Play. Sono certo che in un prossimo futuro, tutte le racchette da tennis saranno connesse». La raccolta dei dati per analizzare il proprio gioco e la propria tecnica è un nuovo concetto nel tennis, che però è già presente in altri sport: come ciclismo e discipline podistiche, che si sono evoluti grazie alle tecnologie di “quantificazione individuale”. «Nel tennis, come in altri sport, condividere e confrontare le proprie esperienze grazie a strumenti digitali, diventerà la norma», sostiene Eric Babolat. «Noi forniamo informazioni obiettive che consentono ai giocatori di interpretare le proprie


La Babolat Play ha anche un risvolto “social” La Babolat Play ha anche un risvolto “social”. È possibile infatti iscriversi alla "Community" per poter confrontare il proprio livello con quello degli altri giocatori, con degli amici, persino con i grandi campioni come Nadal, Tsonga e Li Na. Sfidarsi provoca effetti positivi: aumenta l'entusiasmo, la voglia di migliorare e quindi ci si sente più motivati. Si è scelta la Pure Drive, per iniziare, poiché tra le varie racchette Babolat è quella più versatile. «Ma in futuro», dice Eric Babolat, «non è escluso che metteremo il sensore anche negli altri modelli». Le specifiche della racchetta "Babolat Play Pure Drive", sono identiche a quella standard, cioè quella priva di sensore: ovale 645 cm2, peso 300 gr., misure grip 1-5. Il prezzo di listino è di € 399.



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