Tennis World Italia n. 33

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Maria Sharapova, tra dubbi e veritĂ by Valerio Carriero


Lunedì 7 marzo, Maria Sharapova annuncia sui suoi social una conferenza in diretta mondiale. L’annuncio è di quelli seri, c’è poco spazio anche per scherzare e immaginare “solo” una nuova campagna pubblicitaria. Rumors di ritiro, di gravidanza per altri. Non resta che aspettare l’ora X, le 21 italiane, scandite da un interminabile conto alla rovescia sul canale Youtube dedicato all’evento. Finalmente le immagini da Los Angeles, Maria si fa attendere ancora qualche lunghissimo minuto, poi si presenta davanti al microfono pronunciando delle parole destinate a cambiare la storia della sua carriera, e probabilmente anche quella del tennis. “Sono stata trovata positiva ad un controllo antidoping durante gli Australian Open”. Un fulmine a ciel sereno nel mondo sportivo, da subito spaccato in accusa e difesa anche alla luce della spiegazione della siberiana. La causa sarebbe il meldonium, farmaco utilizzato dall’ex nr.1 al mondo da dieci anni ma entrato tra le sostanze proibite nel nostro sport solamente dal 1 Gennaio 2016, ammettendo di non aver letto la mail della Wada del 22 dicembre. Semplice negligenza, o forse qualcosa in più?

Nella confessione della Sharapova sono presenti infatti parecchie ombre. Innanzitutto è difficile pensare ad un’ingenuità tale del suo foltissimo team, ignorando un avviso così importante: una mail da cui dipende la carriera e la reputazione non può essere saltata alla stregua di una pubblicità poco interessante. La russa ha poi affermato di assumere il farmaco come prevenzione del diabete, ma questo manca tra le indicazioni del meldonium, perlopiù anti-ischemico e un modulatore metabolico, con l’effetto di migliorare la contrattilità del cuore e la resistenza agli sforzi in campo sportivo. Inoltre, il “mildronate” è in commercio solamente nei Paesi dell’ex URSS, tanto da inguaiare parecchi atleti russi: dall’oro olimpico Elistratov di short-track al campione del mondo Kulizhnikov, passando per Bobrova e Vorganov, con tantissimi altri casi ancora in sospeso. Il comune denominatore è sempre il meldonium e obiettivamente diventa difficile credere ad una così elevata coincidenza di atleti con gli stessi disturbi fisici tali da giustificare l’uso del farmaco… Perché credere dunque alla bella siberiana?


Innanzitutto per la sua confessione: a prescindere dal giudizio su buonafede o malafede, Sharapova ha avuto il coraggio di assumersi ogni responsabilità (“io” ho ignorato la mail, “mia” è la colpa) senza appigliarsi a giustificazioni, con un linguaggio del corpo ­ restando in ambito tennistico ­ che ben si sposava con il suo stato d’animo. In caso contrario, l’Academy potrebbe farci un pensierino per i prossimi Oscars… Mentre i suoi principali sponsor scappano (da Nike a Porsche) Maria trova l’alleato Head che rinnova addirittura il contratto, suscitando la furia del collega di azienda Murray: “Se assumi un farmaco senza averne bisogno è giusto che paghi”, ha tuonato lo scozzese. Ma è davvero così? L’inventore del meldonium ha spiegato che questa sostanza protegge dagli sforzi fisici estremi, paventando addirittura morti in campi ora che il farmaco è catalogato come “doping”. Allo stesso tempo la Sharapova si è nuovamente difesa dopo il clamore suscitato dalle sue dichiarazioni, ribadendo di non aver assunto il mildronate con il chiaro intento di migliorare le prestazioni. Quale senso avrebbe per un’atleta del suo calibro perseverare con l’assunzione del farmaco sapendo di poter essere presto beccata in virtù delle nuove regole? Utilizzando il vecchio adagio “il doping è sempre un passo avanti rispetto all’anti-doping”, Masha avrebbe potuto trovare un “nuovo” metodo… In attesa della sentenza e di conoscere l’entità della squalifica, c’è comunque tanto di cui discutere: la conferenza di Miami ha forse lasciato più domande che risposte.





Djokovic: quali altri record? by Marco Di Nardo Ormai è inutile negarlo. Negli ultimi 5 anni il tennis ha avuto un dominatore capace di scalzare dalla vetta del mondo giocatori come Roger Federer e Rafael Nadal, che fino al 2010 avevano dato vita ad una delle più appassionanti rivalità della storia di questo sport. Parliamo ovviamente di Novak Djokovic, il giocatore che dopo aver individuato nell'intolleranza al glutine il suo problema principale, dal 2011 ha cambiato dieta eliminandolo e in questo modo dimenticando tutti i disturbi fisici che lo avevano tormentato fino a quel momento. Da quella stagione in avanti il tennista serbo è diventato l'uomo da battere, e in questo 2016 cercherà di confermare ancora una volta il suo primato. Intendiamoci, non si può dire che dal 2011 al 2015 la situazione sia stata sempre la stessa: tra un'annata ed un altra le cose sono spesso cambiate, e Djokovic non è stato sempre il numero 1 della classifica, ma in un certo senso si è sempre avuta la sensazione che fosse lui il più difficile da

battere per chiunque. Le stagioni del vero dominio sono infatti state soltanto la prima e l'ultima di questo quinquennio (2011 e 2015), mentre nel 2013 Novak fu costretto addirittura a cedere il primo posto nella classifica di fine anno a Rafael Nadal. Anche nel 2012 per qualche mese Djokovic fu scavalcato nel ranking da Roger Federer, pur riuscendo alla fine a chiudere al numero 1, mentre nel 2014 nonostante un bilancio "normale" negli Slam (un quarto, una semifinale, una finale e una vittoria), riuscì a prendersi senza grossi problemi il primato a fine stagione.

Ad ogni modo, in questi cinque anni Djokovic è riuscito a battere molti record, e i suoi numeri iniziano ad avvicinarsi a quelli dei più grandi campioni della storia del tennis, tanto che qualcuno inizia già a considerare il serbo come uno dei migliori di sempre, se non addirittura il migliore in assoluto, o comunque colui che a fine carriera sarà considerato il G.O.A.T. (Greatest Of All Time). Probabilmente un azzardo considerarlo tale, almeno in questo momento, anche perché la carriera del giocatore serbo è ancora pienamente in corso di svolgimento, molto lontana dalla sua fine.


Quali sono invece i records che Djokovic deve ancora battere, e che potrebbero davvero permettergli di diventare il miglior giocatore di sempre? In questo articolo andremo ad analizzare i più importanti, cercando poi di pronosticare se e in quanto tempo Novak potrebbe batterli o almeno eguagliarli. Titoli nei tornei dello Slam Tra tutti i primati, probabilmente quello che più conta per qualunque tennista, è il numero di titoli vinti complessivamente nei tornei dello Slam. Come tutti sappiamo, è un record che appartiene ormai da qualche anno a Roger Federer, capace di arrivare a quota 17. Djokovic al momento è

fermo a 11, e ha quindi bisogno di vincerne almeno altri 6 per eguagliare il primato: questo perché lo svizzero è ancora in attività e potrebbe a sua volta vincere altri titoli, consolidando il suo record. Molti esperti sostengono che il serbo possa riuscire a batterlo senza grossi problemi, andando ad una media di 2 Slam a stagione nei prossimi tre anni. Pronostico personale: Djokovic non batterà questo record. Pur avendo in questo momento un tennis superiore a tutti i suoi rivali, negli Slam ha dimostrato di non saper sfruttare tutte le occasioni che gli si presentano, in particolare al

Roland Garros, torneo che ancora non ha mai vinto. Potrebbe forse eguagliare Federer se lo svizzero non vincesse altri Slam. Quarti di finale consecutivi nei tornei dello Slam Altro record che appartiene a Federer è quello dei quarti di finale consecutivi conquistati nei tornei dello Slam. L'elvetico ne ha raggiunti 36 tra il 2004 e il 2013, fermando la sua serie iniziata a Wimbledon 2004, con la sconfitta al secondo turno nello stesso torneo di 9 anni dopo. Djokovic in questo momento ha una serie aperta di 27 quarti consecutivi, ed è quindi abbastanza vicino al record assoluto.


Pronostico personale: il serbo batterà questo record. Ovviamente dovrà farlo proseguendo la serie attualmente aperta, perché non riuscendo a farlo in questo modo, diventerebbe poi impossibile ripetere una striscia così lunga. Ma sembra davvero difficile che qualcuno possa batterlo prima dei quarti in uno Slam nei prossimi 3 anni. Titoli alle ATP World Tour Finals Ennesimo record appartenente a Federer è quello dei titoli vinti alle ATP World Tour Finals di fine anno, a cui partecipano i primi 8 giocatori della classifica della stagione in corso di svolgimento. Lo svizzero ha vinto questo evento per 6 volte, realizzando tre doppiette nel 2003-2004, 2006-2007 e 2010-2011. Djokovic ha già battuto il record di titoli consecutivi alle Finals, vincendo per 4 anni di fila dal 2012 al 2015; ma come numero di titoli complessivi il serbo è arrivato "solo" a quota 5 (vincendo anche nel 2008), e quindi ha bisogno di un'altra affermazione per raggiungere il record di Roger. Pronostico personale: Novak batterà questo record entro il 2019, vincendo almeno

due delle prossime quattro edizioni del torneo. Anche se Federer dovesse vincere un altro titolo alle Finals (sarebbe il numero 7), per Djokovic resterebbe comunque possibile battere il record arrivando a 8 titoli complessivi. Titoli nei tornei Masters 1000 Finalmente un primato che non appartiene a Roger Federer. Il giocatore ad aver vinto il maggior numero di titoli nei tornei Masters 1000 è Rafael Nadal, che ne ha vinti 27. Djokovic, con 26 successi, è molto vicino al maiorchino. Nadal cercherà però di consolidare il suo primato in questa stagione nei Masters 1000 che si giocheranno in primavera

sulla terra rossa (MonteCarlo, Madrid e Roma), dove storicamente è quasi imbattibile. Pronostico personale: probabilmente Djokovic vincerà uno dei due Masters 1000 primaverili sul cemento (Indian Wells o Miami), quindi se Nadal non vincerà l'altro, il serbo avrà eguagliato il record. Difficile dire se poi Novak sarà anche in grado di superare lo spagnolo: dipenderà più da Nadal che da Djokovic. Se Rafa riuscirà a vincere almeno un Masters 1000 prima del Roland Garros, a quel punto avrà la fiducia per vincerne altri e il record resterà suo. In caso contrario, Djokovic batterà il


record entro fine stagione. Numero di stagioni totali e consecutive terminate al numero 1 Il primato di stagioni sia totali che consecutive terminate al primo posto del ranking ATP, appartiene a Pete Sampras, che è stato il numero 1 per 6 anni consecutivi tra il 1993 e il 1998. Djokovic al momento è fermo a quota 4 stagioni in totale e 2 consecutive, essendo stato il numero 1 nel 2011, 2012, 2014 e 2015. Confermando il primato quest'anno, sarebbe molto vicino all'americano, almeno per quanto riguarda il numero totale di annate terminate al numero 1. Pronostico personale:

Djokovic riuscirà ad eguagliare Sampras (ma non a superarlo) per quanto riguarda il numero totale di stagioni concluse al numero 1, terminando in vetta due delle prossime tre annate (compresa quella in corso). Di conseguenza è impossibile che riesca ad eguagliare Pete per quanto riguarda il numero di stagioni consecutive da numero 1, essendo al momento in serie da sole 2 stagioni sulle 4 totali chiuse al primo posto in classifica. Numero di settimane complessive trascorse al numero 1 Il prossimo primato torna ad essere nelle mani di Roger Federer. Parliamo del maggior numero di

settimane trascorse al primo posto della classifica mondiale, con lo svizzero che è arrivato addirittura a quota 302. Djokovic al momento è quinto in questa graduatoria, con 185 settimane da numero 1. La buona notizia per il serbo è che Federer difficilmente riuscirà a ritoccare il suo record, non avendo più la continuità per tornare al primo posto in classifica all'età di quasi 35 anni. Dipenderà quindi solo da Novak. Pronostico personale: Djokovic non riuscirà a battere questo primato. Le settimane che lo dividono da Roger sono ancora troppe. Per battere questo primato dovrebbe probabilmente anche superare quello delle stagioni terminate al numero 1, appartenente, come abbiamo detto, a Pete Sampras (6). Appare davvero difficile che possa farcela. Conclusioni Concludiamo quindi con un riepilogo dei pronostici fatti per quanto riguarda i records che Djokovic potrebbe battere nei prossimi anni. I primati che riuscirà a superare sono quelli dei quarti di finale consecutivi nei tornei dello Slam, e quello dei titoli vinti alle ATP World Tour Finals. Per


quanto riguarda il numero di stagioni complessive concluse al numero 1 della classifica, riuscirà ad eguagliare ma non a battere il record di Pete Sampras (quello di stagioni complessive, mentre quello delle stagioni consecutive resterà sicuramente nelle mani di Sampras). Non riuscirà invece a superare il numero di titoli dello Slam di Federer, e le settimane trascorse in vetta alla classifica, altro primato appartenente allo svizzero. Infine l'incognita più grande, quella dei titoli Masters 1000: dipenderà da quanti titoli di questa categoria riuscirà a vincere Nadal prima del Roland Garros 2016. Se lo spagnolo ne vincerà almeno uno, il primato resterà suo, altrimenti verrà superato da Djokovic entro la fine di quest'anno.





Jelena Ostapenko by Alex Bisi

La vittoria a Melbourne di Angelique Kerber ha confermato che se non vince Serena, in tante se la possono giocare, e ci sono alcune giocatrici molto giovani che promettono bene. Una di queste è Jelena Ostapenko, lettone, classe 1997, come Belinda Bencic, che ha raggiunto a Doha la finale del torneo cedendo in 3 set a Carla Suarez Navarro. Amante della danza, che ogni tanto pratica ancora, è uno dei prospetti più interessanti del panorama Wta. Prodotto dell’accademia di Bollettieri, Jelena è dotata di un’ottimo rovescio bimane che usa per imporre il suo gioco, e l’ha portata finora a conquistare sette titoli in singolare nel circuito Itf. Il 2015 è l’anno dell’esplosione, dopo aver ricevuto una Wild card a Wimbledon, al primo turno estromette Carla Suarez Navarro con un perentorio 2-0, ma esce il turno successivo per mano di Kiki Mladenovic. Altre buone prestazioni in due Itf, poi ad Instanbul, tenta la strada delle qualificazioni agli UsOpen raggiungendo il main draw, vincendo contro Kuwata, Glushko e Bellis. Vvince il primo turno contro Annika Beck, ed esce il secondo per mano di Sara Errani dopo aver vinto il primo set 6-0. Dopo lo Slam americano gioca il torneo di Quebec City dove raggiunge la prima finale in carriera senza però riuscire a vincere, battuta dalla Beck che si prende la rivincita del match


di New York. Ora la diciottenne è numero 41 in classifica, dimostrando nonostante la giovane età di esser pronta per i palcoscenici piÚ importanti.


Il (futuro) Dominatore by Federico Mariani

Prima Buenos Aires, poi Acapulco passando per Rio. 13 vittorie su 14 match, due titoli conquistati (il quarto ed il quinto in carriera) e una semifinale tra terra e cement. In mezzo i trionfi con Nadal, Ferrer, Dimitrov e Tomic. Questo è il febbraio di Dominic Thiem. Una rampa di lancio lunga venti giorni che proietta il talento austriaco alla posizione numero 14, anticamera della top ten che ora dista meno di 300 punti. Se non fosse bastato il tris di vittorie accompagnate da un talento puro messe in scena nel 2015 (Gstaad, Umago e Nizza), i due squilli targati 2016 hanno il sordo suono della conferma per Thiem, oggi più di ieri una certezza nel domani del tennis mondiale. In uno scenario futuro in cui fioccano le incognite, il classe ’93 deve ritagliarsi un ruolo da protagonista assoluto. Senza aver paura d’esagerare, diviene ora quasi obbligatorio parlare di top five, specie in un ottimo di medio/lungo periodo dove le alternative ­ eccetto rarissimi casi ­ non sembrano per nulla superiori a Thiem, anzi. La somiglianza tecnica con Stan Wawrinka è piuttosto notevole. Come Stan, Thiem ha bisogno di spazio e tempo per poter sciorinare il suo repertorio e quindi la terra battuta diventa l’habitat naturale. Come Stan, la velocità di braccio del ragazzo di Wiener Neustadt è sensazionale con due fondamentali di rara pesantezza ed un servizio che ­ se in


giornata ­ risulta intrattabili per i rivali. Come Stan, il rovescio è il pezzo più pregiato dell’artiglieria: pur non rispondendo appieno ai canoni estetici più classicheggianti, il rovescio dell’austriaco eseguito con una disarmante naturalezza ha un’efficacia pazzesca e, nella sua variante lungolinea, è semplicemente uno spettacolo mozzafiato. Alle caratteristiche tecniche, va aggiunta un’attitudine alla lotta ed una mentalità vincente piuttosto infrequente data l’età. Sei finali giocate in carriera con cinque vittorie. Dodici tie break disputati in questo scampolo di 2016 con nove successi. A Buenos Aires ha superato Nadal prima ed Almagro poi al tie break del terzo set. Sempre in Argentina ha girato la partita di secondo turno contro Elias grazie al tie break del secondo set vinto per 9-7 cancellando con un ace il matchpoint del rivale. Considerando il 2016 Thiem ha vinto tutte le sfide protratte al set decisivo per un rotondo (e significativo) 7-0. Numeri che sono la polaroid di un carattere forte, di una personalità spiccata, di un ragazzo che è pienamente consapevole dei propri mezzi e che su di essi ha una sconfinata fiducia. Altrimenti non batti Nadal al tie break del terzo dopo aver salvato un matchpoint (impresa riuscita solo altre sei volte contro lo spagnolo, quattro delle quali con un Rafa non ancora ventenne). Di Stan, tuttavia, Dominic mantiene anche i difetti. Pecche da limare che, però, considerata l’età possono allo stesso modo rappresentare ampi margini di miglioramento. Due gli aspetti principali da migliorare: la troppa lontananza dalla linea di fondo in primis, l’efficacia della risposta in secondo luogo. Come detto in precedenza, Thiem ha bisogno di spazio e tempo per rendere nel migliore dei modi.


Spazio e tempo che non sono un problema sulla terra, ma che lo diventano su superfici più veloci dove non si può attendere due metri dietro la baseline per ordire le trame di gioco. E’ per questo che se Thiem vuole ambire al gotha del tennis ­ dove il suo talento lo obbliga a puntare ­ deve imparare ad avanzare la sua posizione in campo di almeno un metro. Elemento imprescindibile per competere ai massimi anche sul veloce, dove sostanzialmente si consuma la grossa fetta della torta Atp, dove si edificano le classifiche dei top ten, dove ballano i punti pesanti. L’eccessiva arretratezza in campo, così come la risposta spesso troppo remissiva, sono ad oggi un limite che impedisce all’austriaco di competere coi migliori su erba ed a livello indoor dove sì è importante avere un ottimo servizio, ma dove forse è ancora più rilevante non peccare di passività. Quando Thiem comanda il gioco diventa inarrestabile, mentre la fase difensiva resta poderosa sulla terra ma decisamente meno altrove. Relazionato a Wawrinka, Thiem è in netto vantaggio: è più avanti nel ranking rispetto alla versione ventitreenne dell’elvetico, ha conquistato più titoli (già 5) e dà un’idea di maggiore solidità, forza sia mentale che fisica,

di quanto lasciava trasparire Stan sei, cinque, ma anche quattro o tre anni fa. C’è, per ora, un’unica falla nel sistema-Thiem, una falla peraltro abbastanza inspiegabile: il deficitario ruolino di marcia nei tornei dello Slam. Appena quattro partite vinte Major nel 2015, solo un ottavo di finale come miglior risultato (New York 2014), sono troppo poco specie se relazionato ai risultati negli altri tornei. Troppo poco anche in relazione alla spropositata forza fisica del ragazzo che ha nella resistenza e nell’esplosività qualità indiscusse, per alcuni versi uniche, e che quindi dovrebbe trovare nella lunga distanza dei tre set su cinque un fedele alleato. Tracciare oggi i limiti di ciò che potrebbe essere un ragazzo di ventitré anni è un’impresa ardua. Visto il talento che sgorga purissimo nell’arsenale di Thiem, la serietà assoluta con cui si approccia al tennis, lo straordinario bagaglio fisico oltreché tecnico e l’esperienza di un coach come Gunter Bresnik a guidarlo, risulta ora estremamente difficile pensare che l’austriaco possa non entrare nei primi cinque del mondo o restare a secco di Slam. E’ senz’altro nata una stella, ma sarebbe riduttivo e sciocco accorgersene solo ora.



Sorelle d'Italia: la generazione d'oro del tennis femminile by Valerio Carriero 17 agosto 2009, una data storica nel tennis femminile italiano e destinata a cambiare le sorti di un’intera generazione. Quel lunedì Flavia Pennetta diventava la prima azzurra a valicare quella sorta di “Muro di Berlino” ed entrare ufficialmente in top10, culmine di un’estate indimenticabile in termini di risultati. Eppure, come si suol dire, il meglio doveva ancora venire. Sull’onda del successo della brindisina, un’escalation formidabile. A poco meno di un anno di distanza, sul rosso di Parigi, arrivava addirittura il primo Slam in campo femminile targato Francesca Schiavone, che diventava la seconda italiana ad entrare tra le dieci migliori del circuito, e la prima in assoluto ad accedere alle Finals in singolare con la nuova formula, sfiorando uno storico bis al Roland Garros nel 2011 e cedendo solamente in finale a Li Na. Ma era sempre ed ancora la terra francese a far sognare un’altra delle nostre, quella Sara Errani che si arrese nel 2012 solo al cospetto di una Maria Sharapova a caccia del suo personale Career Slam e da allora stabilmente ai piani alti del ranking, galleggiando tra top 10 e top 20. All’appello come in ogni “band” che si rispetti mancava però una quarta protagonista. La più “sofisticata” del gruppo, con quel tennis tanto difficile da mettere in pratica quanto da contrastare nei periodi di massima forma.

Parliamo ovviamente di Roberta Vinci, spesso banalmente considerata come gregario in una nazionale che ha sollevato al cielo per 4 volte tra 2006 e 2013 la Fed Cup (con una finale persa nel 2007), o semplicemente una delle due “Cichis”, binomio formato con la Errani fino alla passata stagione, con tanto di Career Slam in doppio portato a termine. No, Roberta è molto di più: dopo aver faticato a tenere il passo delle altre “sorelle” ed essersi avvicinata alla top10 nel 2013, la Vinci sembrava aver riposto nel cassetto un sogno sempre più difficile da raggiungere. Eppure, anche per lei il meglio doveva ancora arrivare. Dopo una prima metà di 2015 disastrosa, la tarantina ritrovava il feeling con le vittorie sul cemento americano e a Flushing Meadows compiva forse la più grande impresa del terzo millennio: batteva Serena Williams e volava in finale Slam, la prima per lei, da giocare contro l’altrettanto strepitosa Pennetta. Un cerchio che idealmente si chiudeva, che andava aldilà della sconfitta patita contro la brindisina con


cui aveva incrociato la racchetta dai tornei regionali durante l’infanzia. L’ultima tessera del puzzle doveva ancora essere piazzata, quel traguardo a lungo inseguito ed ora improvvisamente più abbordabile. Alla vigilia del suo 33° compleanno Roberta riceveva l’ufficialità della top10, regalandosi e regalando al tennis azzurro la quarta tennista capace di tagliare questo traguardo e con almeno una finale Slam all’attivo. Un vero e proprio miracolo comprensibile forse solamente alla luce di paragoni con altri Paesi: escludendo le super-potenze USA, Russia e Repubblica Ceca, solo la Germania (grazie alla Kerber agli scorsi Australian Open) può vantarne quattro. Sono indietro infatti nazioni del calibro di Francia, Spagna e Serbia (quota tre), Romania e Belgio (a due) e via discorrendo. Insomma, si può realmente parlare di Italia tra le grandi potenze nel tennis femminile degli anni 2000? Assolutamente sì: due

campionesse Slam in singolare e tre finaliste, tre ex nr.1 in doppio (Pennetta in coppia con Dulko, Errani-Vinci) ed un totale di sei Major in questa specialità, quattro Fed Cup. E ancora, per due volte abbiamo avuto in classifica due azzurre contemporaneamente in top 10 (nel 2010 con Schiavone e Pennetta e qualche settimana fa con ancora Flavia ­ seppur ritirata ­ e Vinci, settimana in cui si poteva vantare anche Sara Errani al nr.17, facendo lievitare il conto a tre italiane nella top20). Cosa chiedere di più? Forse un ultimo desiderio… Le Finals anche per Roberta Vinci, l’unica delle quattro magnifiche sorelle a non aver ancora assaporato il prestigioso palcoscenico. E per ora la Race non impedisce di sognare…


Francesca, Sara e Roberta: il rinascimento azzurro by Giorgio Giannaccini Mentre l'Italia è orfana della sua Flavia Pennetta, diventata campionessa a pochi mesi dal ritiro alle competizioni agonistiche, e vede faticare il suo più grande talento Camila Giorgi, le veterane rimaste in competizioni non ci stanno al declino. Francesca Schiavone, Sara Errani e Roberta Vinci hanno pensato bene di riprendersi un acuto che da un po' di tempo mancava, e in pochi giorni tutte e tre si sono fatte da sole un bel regalo. Il 14 febbraio la Vinci batte la giovane promessa Belinda Bencic in quel di San Pietroburgo sul cemento, per 6-4 6-3, regalandosi quella maledetta top ten che per troppe volte aveva solamente sfiorato e, questa volta, non più ragazzina l'ha finalmente raggiunta a coronamento di una buonissima carriera che l'ha vista anche dominare il mondo, insieme all'altra Cichi (ora odiata) Sara Errani, nella specialità del doppio. Inoltre Roberta ora gioca davvero bene, corre di più, ha meno paura nei momenti cruciali del match, e non ha perso l'amore per il gioco di tocco. Poi il 20 febbraio è il turno di Sara Errani, la più giovane delle veterane. Non più tra le prime dieci, anche lei in declino, seppure lieve. Da tempo ci aveva fatto capire che prima del talento ci vuole la forza di volontà per ottenere qualcosa nella vita, specialmente sportiva. Nel torneo di Dubai, dopo aver cominciato zoppicando al primo turno contro la Zheng vincendo 7-5 6-3, ha poi liofilizzato la

Shvedova nel secondo turno per poi soffrire contro Madison Brengle, riuscendo a battere la statunitense numero 60 del mondo solo al terzo set per 6-4. Da lì un crescendo, con la semifinale vinta contro la non facile Elina Svitolina, più giovane e numero 21 del mondo, regolata per 6-4 6-4, e una finale stravinta, dove la ceca Strycova è stata sgretolata per 6-0 6-2. Un trofeo nel cemento di Dubai che ha ridato fiducia a Sarita, sempre e per sempre combattiva ma fino a quel momento meno lucida, agonisticamente parlando, rispetto al passato. Il giorno dopo è stata la volta di Francesca Schiavone. Era da un po' che la Leonessa non ruggiva. Dopo i successi in Fed Cup, il Roland Garros vinto e l'altro perso in finale, in molte si sarebbero ritirate, lei no. Aveva ancora voglia di combattere nonostante stesse ormai in declino. Diremo di più, era uscita anche tra le prime cento del mondo, un'onta a cui Francesca ha


voluto rimediare. E Rio de Janeiro è stato il teatro giusto per ricominciare. In un torneo che non le ha propinato avversarie imbattili (la giocatrice piÚ alta a livello di classica che ha incontrato era Mariana Duque-Marino, numero 81 del mondo), lei ha dovuto comunque lottare molto per aggiudicarsi quello che un fortunato sorteggio le aveva dato. Al secondo turno batteva appunto la DunqueMarino in una sfida tiratissima finita al terzo set, con un 7-5 finale in favore dell'azzurra. Il turno successivo si faceva ancora piÚ tosto contro l'olandese Cindy Burger, addirittura 187 del ranking Wta. Dopo un primo set perso 6-3, Francesca si arrampicava al tie-break del secondo set dopo aver controbrekkato l'avversaria per ben due volte di fila mentre quella serviva per il match (sul 5-4 e 6-5), e poi tornava a ruggire come una volta. Salva prima un match point e poi si aggiudica il tie break 8 a 6. La pratica viene rimandata al terzo set, ma è ancora Francesca a ruggire, e di nuovo si


impone definitivamente 6-3. Una facile semifinale vinta contro Petra Martic per 6-3 6-3, è solo il preludio a un'altra battaglia che ci sarà in finale contro l'americana Shelby Rogers. In un match a dir poco strano, dove Francesca perde il primo set 6-2, c'è un'improvvisa scintilla italiana che in poco tempo divampa in fuoco. La Leonessa fa suo il secondo set con lo stesso punteggio: 6-2. E così sarà anche il terzo set, ovviamente per la nostra Francesca. Un ritorno tanto atteso, nella sua superficie amata: la terra. Un ritorno improvviso, che la fa rientrare fra le prime cento, ovvero nel tennis che conta. Ovvero un nuovo messaggio della Schiavone a tutto il circuito, un grido che sta ad avvisare che la vecchia campionessa non è ancora finita... “Francesca c'è!”. A questo però c'è anche da dire che la truppa azzurra sentirà la mancanza in campo del

valore della Pennetta in Fed Cup, che rimarrà sicuramente una perdita ingente. Certamente anche Camila Giorgi avrà un ruolo importante, soprattutto per ringiovanire e ringiovanire il gruppo della nostra squadra che ora non è più brillante e vincente come negli anni scorsi, è lei il nuovo talento che dovrà guidare la nazionale. Anche il ritorno di Karin Knapp dall'infortunio sarà importante in ottica nazionale, avendo un tassello di una certa esperienza e qualità a disposizione. E' chiaro che l'Italia in gonna sta ancora aspettando ­ e sarebbe anche ora ­ nuove campionesse o quantomeno dei nuovi giovani talenti, ma nel frattempo che attendiamo, le vecchie non hanno intenzione di mettersi da parte.



Camila, che succede? by Giorgio Giannaccini Qualcosa non torna in casa Giorgi. Non è certamente l'eliminazione al primo turno degli Australian Open, dove tra l'altro Camila si è arresa valorosamente a Serena Williams per 6-4 7-5, ma è tutto il resto. Un inizio di stagione sicuramente non facile quello del 2016, con 5 sconfitte e 3 vittorie (escludendo la Fed Cup), senza scordare il misterioso

forfait dato a Doha. Mentre le altre tenniste italiane più “anziane” stanno cercando di riprendersi la gloria passata e vincono tornei per far passare in secondo piano il ritiro della campionessa Slam Flavia Pennetta - prossimamente sposa di Fabio Fognini - la Giorgi non riesce a fare l'ulteriore salto di qualità richiesto, in primis dalla sua giovane età, ma soprattutto dal suo enorme talento. L'ex numero 1 di doppio, Roberta Vinci, ha appena vinto San Pietruburgo ed è finalmente entrata, dopo tanti anni, in top 10; Sara

Errani sta cercando di scuotersi dal lungo sonno che l'ha eclissata fuori dalle prime dieci e recentemente ha fatto suo il torneo di Dubai; Francesca Schiavone con uno scatto di orgoglio si è aggiudicata lo scettro di Rio De Janeiro, riconquistando così la top 100, mentre per Camila nulla è cambiato. Eppure le ultime notizie di Camila Giorgi fuori dal campo erano state molto liete: risale infatti al 22 dicembre scorso la notizia del fidanzamento tra la Giorgi e il tennista recanatese Giacomo Miccini, ormai ex grande speranza del tennis azzurro. Fonti


indiscrete, tra l'altro, avrebbero visto proprio Camila, durante la famosa settimana di Doha - nella quale appunto diede forfait -, a Recanati in compagnia di Miccini. Chissà se questo possa testimoniare un sintomatico stato di stanchezza della Giorgi che ha voluto così prendersi una settimana di pausa, in compagnia del fidanzato, per staccare dallo stress delle competizioni a cui è sottoposta quasi ogni giorno. Tralasciando per un momento l'ipotesi di un'attuale appannamento psico-fisico, il ranking non

piange ma certamente non brilla neanche con la posizione numero 45 della classifica Wta. Mentre l'Italia tennis femminile scopre le sue campionesse in tarda età, i giovani talenti non riescono ad emergere. Eh sì, perché Camila è classe '91, e se è vero che in campo maschile parleremo ancora di un giovane talento, così non è in campo femminile dove sappiamo che le atlete maturano ed esplodono prima dei maschi e, ovviamente, si ritirano anche prima. Qui rischiamo ­ non ce lo auguriamo ma è giusto porci il dubbio ­ di non arrivare mai alla definitiva consacrazione, e dobbiamo anche capire il perché. Probabilmente è quel suo modo di giocare che preclude totalmente un piano B, ovvero sparare a tutto, dritto, rovescio e battuta, senza porsi limiti. Ciò, sia chiaro, ha portato buonissimi risultati come la posizione numero 30 al mondo e gli scalpi illustri di Maria Sharapova, Victoria Azarenka e Caroline Wozniacki, ma il suo talento merita sicuramente un posto nel novero delle dieci

migliori tenniste al mondo, senza dubbio. Ed forse qui che troviamo i limiti di papà Sergio, coach che ha avuto grandi meriti ma che ora dimostra anche delle consistenti crepe nel gioco inculcato alla figlia, a cui non può riparare. Spesso è stato dipinto come un padre-padrone di origine freudiana e leddiana, ma non crediamo sia così. Difficile vedere quell'omino dalla folta chioma bianca come un dispotico padre, piuttosto parliamo di un uomo umile che si è improvvisato personal trainer, coach, finanziatore e procuratore della figlia, facendo mille sacrifici e non avendo mai dato nulla per scontato per sopravvivere e guadagnarsi il pane quotidiano. Ma quest'uomo ­ questo buon uomo ­ ora dovrebbe abbandonare il timone di comando e lasciarlo a qualcuno che possa completare il gioco di Camila. Non tanto tecnicamente o fisicamente (entrambi le doti ci sono nella Giorgi) quanto tatticamente. E' qui che la giovane italo-argentina fin dagli esordi ha sempre latitato. Il tennis non è solo talento, forza bruta e corsa, ma anche ­ permetteteci di


dire ­ intelligenza e tattica. E finché Camila Giorgi non introdurrà nel suo bagaglio tennistico anche quest'ultimo e decisivo fattore, non potrà mai esprimere il suo potenziale che madre natura le ha dato

- al cento per cento. Diversi giocatori hanno fatto dell'intelligenza tattica il loro miglior dono: pensiamo a Fabrice “The Magican” Santoro, all'umile ma lavoratore Rainer Schüttler, al vecchio pluricampione svedese Mats Wilander o alla

smilza ma efficacissima polacca Agnieszka Radwanska. Tutti a dimostrare che l'intelligenza è un dono, figurarsi quando la si può anche abbinare a grandi doti tecniche... che può venir fuori? La vera Camila Giorgi!


Nuovi talenti cercasi! by G. Giannaccini L'ultima partita di Coppa Davis ha chiaramente mostrato una cosa, ovvero il mancato rinnovamento generazionale della nostra nazionale di tennis. Partiamo dal principio: con la mancata presenza sia di Roger Federer che di Stanislas Wawrinka la partita contro la Svizzera era praticamente già vinta in partenza. Persino il forfait improvviso del numero 1 azzurro Fabio Fognini, causato da un infortunio agli addominali, non metteva in discussione il pronostico del match che rimaneva appunto nettamente schiacciante. Il risultato è stato che il livello di tennis espresso da entrambe le squadra, in quel di Pesaro, nel match di Coppa Davis, è stato davvero basso. D'altronde lo stesso pubblico in tribuna non è stato poi così numeroso. Se pensiamo inoltre che tra i due singolaristi del nostro team c'era Paolo Lorenzi, un ragazzo a dir poco eccezionale per quello che ha conseguito in carriera, avendo a disposizione pochissimi mezzi tecnici, davvero modesti, capiamo tutto.

Parliamo infatti di un giocatore sì con un best ranking da 49 del mondo, ma anche con un gioco che non prevede grande spettacolo e nemmeno naturalezza nei colpi. Solo una grande abnegazione e voglia di lavorare ha contraddistinto la carriera di Lorenzi. Il gioco e i colpi, se li andiamo ad analizzare, sono forse da giocatore con classifica da 200 del mondo o giù di lì. Forse ­ non ci voglia male Lorenzi - un giocatore un po' troppo modesto per rappresentare il secondo singolarista dell'Italia in Coppa Davis.


Se dall'altra parte ci mettiamo un Andreas Seppi non in formissima, ecco che il nostro team non è poi così forte, al contrario di quello che il nostro capitano non giocatore, Corrado Barazzutti, si è lasciato sfuggire dopo la vittoria del doppio azzurro che sanciva il 3-0 dell'Italia e quindi il passaggio del turno: “In Davis, sulla terra, siamo tra le due squadre più forti del mondo”. Certo, la partita è filata via in modo liscio, con la vittoria a risultato acquisito anche del debuttante Marco Cecchinato e la seconda di Paolo Lorenzi contro il quarto giocatore del team svizzero, tale Antoine Bellier . Un avversario, insomma, di due livelli sotto se non tre. Ma prendiamo realisticamente come ipotesi che la Svizzera avesse potuto portare solo uno dei suoi due fenomeni, siamo sicuri che avremmo passato il turno? Difficile crederlo. L'Italia, escluso Fognini che può essere competitivo contro tutti ­ quando non gli parte il cervello ­, non sembra avere un degno erede. Seppi non è più un giovincello dalle belle speranze, ma un giocatore solido a cui non puoi certo chiedere di vincere la Davis. Simone Bolelli è invece un talento immenso, che però contro un avversario fra i primi cento può perdere con chiunque. E all'orizzonte non si vedono nuovi talenti. E' pur vero che in questo momento ha fatto una buonissima crescita Marco Cecchinato (tra l'altro ora indagato per aver truccato un incontro), entrando nei primi 90 del mondo, ma da qui a dire che diventerà il futuro della nazionale italiana in Coppa Davis ce ne passa. Matteo Donati è invece un profilo interessante,

ma è ancora presto per capire il suo destino, e poi non si vede davvero nient'altro all'orizzonte. Thomas Fabbiano a breve farà 27 anni e con i suoi 173 centimetri è difficile ipotizzare che possa fare un improvviso salto di qualità. Di Federico Gaio e Giacomo Miccini si sono perse le tracce, a maggior ragione, però, con il secondo. Il recanatese naviga vicino alla posizione 1000 del ranking Atp e sembra difficile che possa diventare qualcuno nel tennis che conta, mentre invece Gaio, decisamente più in là con la posizione 216, sembra forse ancorato a una carriera a quei livelli. Poi c'è il nodo Gianluigi Quinzi: mentre le nuove leve come Thanasi Kokkinakis, Borna Coric, Nick Kyrgios ma anche quel tale Hyeon Chung - che aveva battuto in finale a Wimbledon juniores - ora stanno dimostrando al ranking Atp chi sono, lui dove stai? Dopo aver nuovamente cambiato coach, visti i continui fallimenti tennistici degli ultimi tempi,


ci si chiede se le velleitĂ del marchigiano, senza dubbi assoluto talento del tennis italiano, possano realmente avverarsi. Nel frattempo la classifica piange con la posizione numero 433, e a noi ci accompagna il sospetto se questo giovane ventenne non sia l'ennesimo grande talento italiano che non sboccerĂ piĂš.


Juan Carlos Ferrero: "Ai ragazzi insegno che senza il duro lavoro non si arriva da nessuna parte" Intervistiamo Juan Carlos Ferrero che ci racconta la sua quotidianità allenando i ragazzi della sua accademia, e se si vede allenatore di un tennista nel futuro. Juan Carlos Ferrero ci apre le porte della sua accademia, la JC Ferrero Sport Equelite Academy. Ci riceve e ci racconta dettagliatamente la sua vita quotidiana, dato che il ragazzo di Onteniente vive all’interno dell’accademia e spesso si allena con i suoi giocatori, ai quali può dare preziosi consigli derivanti dall’esperienza di un ex-numero 1 del mondo. Juan Carlos, mi incuriosisce vedere che a differenza di altre Accademie conosciute, tu vivi al suo interno, giusto? Ci sono molte accademie con nomi di tennisti professionisti, ma senza un lavoro consistente, il nome non serve. JCFerrero-Equelite, oltre al lavoro di grandi coach professionisti come Toni (Antonio M. Cascales) o Samuel López, ha la possibilità di avermi qui tutti i giorni. Che io viva nella struttura, conosca e possa consigliare i giocatori, che possa allenarmi e giocare partite con loro... Logicamente è un plus che non offre nessun’altra accademia. Questo sarà uno dei motivi per i quali molti ragazzi scelgono di allenarsi ad Equelite, no? Sapere che tu sarai li, osservandoli, dandogli consigli, il tuo appoggio... Sicuramente influisce, ma preferisco che

vengano, e considero che molti lo fanno, per chi siamo. Lavoriamo da più di 25 anni, e la lista di giocatori che son passati per l’accademia, senza contare solo il sottoscritto, è impressionante. Abbiamo sempre buoni giocatori e giocatrici, e questo è ciò che la gente deve valorizzare. Per rimanere con noi, devono valorizzare come li trattiamo e seguiamo, tanto a livello sportivo che personale. Qui da noi vengono seguiti molto bene. Cos’è che più ti piace nel poter lavorare con bambini? Non lavoro molto con i bambini, ma le volte in cui entro in campo con i più piccoli, è stupendo vedere il loro desiderio di giocare a tennis e rispondere alle domande che mi fanno. Per loro è come un’avventura, e se li aiuti a viverla si appassioneranno allo sport. Sono difficili da gestire a volte? Ogni persona ha un suo particolare carattere. In più abbiamo ragazzi che affrontano un’epoca


difficile: la pubertà, con tutto ciò che ne deriva. Alcuni devono anche gestire una pressione maggiore di quella che dovrebbero avere alla loro età. Bisogna stargli vicino e aiutarli per quanto possibile. Che consigli dai a quei giocatori che sognano di arrivare in alto un giorno? Gli dico che senza duro lavoro non si arriva da nessuna parte. In più gli chiedo umiltà. Con l’arrivo di tenniste come Carla Suarez o Garbiñe Muguruza, hai notato un incremento di ragazze che vogliono essere tenniste rispetto al passato? Sinceramente, non tanto. È una cosa che accade ormai da tempo nel tennis maschile: abbiamo avuto una generazione irripetibile di giocatori e giocatrici, con più di 10 Top100 e 2 o 3 Top10 da parecchi anni, e questo non si sta ripercuotendo nelle scuole tennis di base. Bisogna avvicinare più giovani praticanti al tennis, con progetti come il Circuito open Promesas o lo Street Tennis che stiamo

realizzando da anni, ma portarli ad un livello nazionale. Com’è il tipico giorno di Ferrero in accademia? Cerco sempre di far colazione nella nostra caffeteria. È dove facciamo il punto della situazione degli ultimi avvenimenti, e dove posso incontrare chiunque abbia bisogno di me. Dopodichè passo per i campi, in cui si stanno già allenando i nostri giocatori, e a partire da qui la mia giornata può variare considerevolmente. Cerco sempre di incorporarmi in campo con qualche gruppo almeno una volta a settimana e, se riesco, ogni pomeriggio vado in palestra insieme ai ragazzi che stanno terminando la loro giornata di allenamento. Cosa ti rende più orgoglioso della tua accademia? Avere ottenuto, solo con i nostri sforzi e nessun tipo di sovvenzione o aiuti, un centro di allenamento che oggi è conosciuto nel mondo del tennis. A livello sportivo, chiaramente, vincere il Roland Garros e raggiungere la prima posizione mondiale. A livello personale, posso dire che il mio massimo orgoglio è aver formato una famiglia insieme ad Eva e nostra figlia Vega. Come si decide mettere in piedi un’accademia come questa? È tutto nato spontaneamente. Non ho creato l’accademia, ma ci sono cresciuto dentro, e questo è un altro punto che ci differenzia dalle altre accademie di prestigio. Toni (Cascales) creò l’accademia per me e gli altri ragazzi: giocavamo bene, ma vivevamo lontano, e dovevamo viaggiare un paio d’ore tutti i giorni tra casa e campi per poter allenarci. Così, iniziammo a vivere qui: 6/8 giocatori e 3/4


impiegati, in una casetta con palestra e appena due campi da tennis. Crescendo, iniziai a progredire e vincere tornei, quindi decisi di investire nell’accademia. Quando mi ritirai, decisi di continuare a vivere al suo interno e aiutare i ragazzi a raggiungere i propri sogni, come il gruppo di persone ancora presenti che al tempo aiutarono me. Il Paddle è uno sport che sta andando forte in Spagna, e tu ne sei un assiduo praticante. Date lezioni di Paddle o lo avete previsto in un futuro? Non direi assiduo. Ho giocato alcuni tornei perchè sono molto competitivo e volevo continuare a sentire l’agonismo in qualche modo. Come ho giocato tornei di paddle, ho giocato e giocherò tornei senior di tennis. Per quanto riguarda l’accademia, abbiamo un buon complesso di campi da paddle, nei quali diamo lezioni e giochiamo varie competizioni.

Tra i ragazzi che si allenano nella tua Accademia, credi che ci sia qualcuno di grande potenziale? Abbiamo vari giocatori con molto potenziale. L’accademia ha un numero limitato di giocatori residenti proprio per garantirne il massimo sviluppo tennistico, mantenendo alta la qualità a discapito della quantità. Abbiamo un buon gruppo Junior, alcuni di loro hanno punti ATP ed un buon ranking. Sono convinto che l’anno prossimo vedremo salti di qualità importanti e qualche ingresso nei Top200/300. Inoltre, abbiamo un promettente gruppo under16. A parte Nicola Khun, che ha già ricevuto importanti riconoscimenti internazionali, alleniamo Carlos Sánchez e Rafa Izquierdo. Entrambi spagnoli quindicenni, son stati finalisti del Master Marca under 16 e sono nel Top5 nazionale della loro categoria. Anche tra le ragazze abbiamo buone giocatrici, ma sono ancora troppo giovani per avere nomi in


evidenza. Insegnare ai giovani non ha risvegliato in te la voglia di essere un coach nel futuro? È un’attività che mi attira e che sarà nei miei piani futuri, ma con calma. Ho già avuto e avrò esperienze molto positive con Nico Almagro e altri giocatori dell’accademia, così come ne ho avute da capitano della squadra UCAM (università di Murcia), che compete nella serie più alta del campionato spagnolo a squadre. Ti vedi ad esempio allenando un giovane e portando ai più alti livelli? Certamente, ma come ti dicevo, non c’è alcuna fretta.


Perché è importante capire quando si commette un errore tattico? by Federico Coppini Capire gli errori tattici é il primo passo per operare scelte migliori per il futuro:se non comprendo il mio errore non posso fare scelte nuove Perché evitare gli errori tattici sono importanti? Capire e operare scelte tattiche più produttive fa innalzare molto repentinamente il livello del proprio gioco:già la semplice presa di coscienza dell'errore contribuisce notevolmente a evitare di ricaderci Questa é una sostanziale differenza con l'errore tecnico dove il prendere coscienza di cosa si sbaglia é solo il primo passo per correggerlo,poiché occorre poi tanto lavoro in allenamento per modificare l'abitudine sbagliata. Altri vantaggi del comprendere l'errore tattico Può dare spunti molto produttivi per l'allenamento e per trovare nuove strategie di gioco. Come riconoscere un errore tattico visibile da un errore tecnico Dopo un errore domandatevi sempre: Ero in equilibrio e ben piazzato sulla palla avversaria? SI˜ : probabile errore tecnico NO : probabile errore tattico di presunzione

In relazione della posizione dell'avversario e con le mie attuali capacità tecniche ho preso la decisione giusta? SI : errore tecnico NO : errore tattico (presunzione o scarsa capacità di analisi della situazione) Se ho preso la decisione errata: cosa avrei dovuto fare = feedback utile molto importante! E per l'errore tattico nascosto? E il più difficile da comprendere perché ,come detto sopra, non é visibile (e non comporta la perdita del punto),ma é una scelta errata che mi comporta uno svantaggio nello scambio Da notare che in uno stesso scambio possiamo commettere molti errori di scelta


Come comprendere un errore di scelta Capire quando si sta sbagliando scelta tattica senza un riscontro visibile non é sempre facile a meno di un aiuto esterno. Un buon metodo "fai da te" parte da un lavoro di autoanalisi fatto a tavolino: 1) Utilizzate le vostre esperienze personali di gioco e trovate le situazioni in cui gli avversari vi creano spesso difficoltà tattiche (In che zona di campo mi trovo? Che tipo di palla mi giocano?) 2) Spendete un pò di tempo per capire quale potrebbe essere un colpo che dovrebbe essere tatticamente corretto giocare nella particolare situazione (con le vostre attuali capacità

tecniche) e quale sarebbe la direzione giusta per rendere il colpo il più efficace possibile 3) Provate e riprovate ad applicare nelle vostre partite queste vostre decisioni tattiche "ideali" finché non saranno automatizzate ed entreranno a fare parte del vostro schema mentale In conclusione migliorare a tennis non vuol dire solo giocare meglio il diritto o il servizio,vuole dire soprattutto pensare meglio in ogni situazione che il gioco ci pone davanti e ,siccome le situazioni nel tennis sono molteplici, questo vuole essere uno spunto di quanto potete migliorare il vostro gioco semplicemente...pensando!


L’IMPORTANZA DI GUARDARE OLTRE LA SUPERFICIE DEL COMPORTAMENTO LEGATO ALLA PARTITA by Federico Coppini Contesto, Forma, e Funzione... Ci sono tre fattori da considerare quando si sviluppa la comprensione del comportamento di un giocatore durante una partita: - Contesto- il Contesto è la situazione in cui di solito si presenta il comportamento. Se, per esempio, un particolare comportamento si presenta solo in determinate situazioni della partita. - La Forma- La Forma è ciò che vediamo del comportamento. Quindi, per esempio, un giocatore che si arrende quando perde, un giocatore che gioca male sotto pressione, o un giocatore che si arrabbia quando non rispetta le aspettative. - Funzione ­ la Funzione è il motivo del comportamento. Quando guardiamo al comportamento attraverso lenti funzionali ci chiediamo ripetutamente, “Perché il giocatore fa così?” “Quale potrebbe essere il motivo per cui accade?” Quando osserviamo in maniera approfondita il comportamento del giocatore durante una partita spesso notiamo che simili forme di comportamento possono avere molte diverse funzioni. È la funzione che è importante da

capire per il giocatore se vogliono essere in grado di regolare il loro comportamento. Prendiamo in considerazione un giocatore che si arrende quando perde. La funzione del comportamento potrebbe essere una mancanza di motivazione per giocare bene. Ma spesso incolpiamo ingiustamente la scarsa motivazione. Forse sono colti di sorpresa nei loro stessi pensieri come “Non c’è niente che possa fare” e agiscono impotenti. O possono anche evitare il dolore che provano quando effettivamente perdono dopo avere dato il loro meglio. In queste occasioni la stessa forma di comportamento ­arrendersi- è causata da diverse funzioni. Contrariamente, una funzione può essere vista in molte forme. Per esempio, la funzione di un giocatore che normalmente riduce ed evita stati di difficoltà interna di ansia e dolore che


prova durante e dopo una performance scarsa può essere visto nella forma di rabbia, arrendersi, scarsa concentrazione, e inventare scuse. Più vediamo partite attraverso una lente funzionale più saremmo efficaci nell’identificare la causa e nel mantenere i fattori che contribuiscono a un pattern comportamentale che è sempre il primo fattore per regolare le azioni competitive. Uno sguardo alla Funzione dell’allenatore e del comportamento genitoriale È importante anche sviluppare consapevolezza delle funzioni del nostro stesso allenare e dei comportamenti genitoriali. Per esempio, so che quando ho urgenza di comunicare la mia frustrazione a un giocatore, ci possono essere diverse funzioni del suo comportamento. In alcuni casi potrei fare la scelta consapevole di motivare il giocatore arrabbiandomi. Ma la rabbia spesso serve altre funzioni, potrei essere

colto nel giudicare la prestazione del giocatore come “non va abbastanza bene, dovrebbero fare molto meglio”. oppure la rabbia potrebbe servire erroneamente a ridurre il sentimento di imbarazzo e rabbia che provo verso la scarsa prestazione del giocatore. E questa sfida è spesso da genitori che provano in maniera naturale le emozioni più forte quando guardano i giocatori sfidarsi. Quindi è anche importante per allenatori e parenti di monitorare le loro sensazioni, se vogliamo aumentare intenzionalmente le nostre interazioni con i giocatori. Cambiare comportamento, specialmente quando è abituale, è difficile per giocatori, allenatori, e genitori. Ma può essere fatto in maniera efficace quando si tiene d’occhio alla comprensione delle funzioni dei comportamenti.


“Training for the match?...Training is the match!” Il giocatore e la “sua” partita by Federico Coppini Così come il giusto approccio alla vita di tutti i giorni ti allena agli eventi futuri, l’allenamento quotidiano eseguito con costanza e tenacia ti rende più pronto alle sfide che ogni gara, diversa da un’altra, comporta. Seguendo tale linea di pensiero, ogni palla giocata con disattenzione o sufficienza in allenamento potrà avere come diretta conseguenza un punto perso in gara, ovvero un “errore” tecnico, tattico, mentale o di altra natura, corrispondente al tipo di “disattenzione”, voluta o meno, mostrata in una precedente seduta di allenamento riguardo l’aspetto relativo all’errore commesso. L’attenzione o la disattenzione, l’impegno o la lascivia, e quant’altro attenga le doti personali che occorrono al giocatore per sostenere dei matches, sono appunto “personali”. È lui che decide se e come profondere le sue energie ed immetterle nella situazione di gioco, così come, anche di conseguenza, soltanto lui, che la vive in prima persona, può spiegare la partita. L’analisi vera e accurata, insomma definitiva, del match può avvenire soltanto quando è finito e l’esito è deciso. Allora non si può aggiungere nulla, se non delle ultime considerazioni e dei buoni propositi per rendere meglio nei matches successivi. La dicotomia di fondo, prevalente, che spesso regge il gioco, è però quella che si stabilisce tra il giocatore, cioè la persona direttamente interessata (con le proprie abilità, paure,

certezze…), e l’esterno (popolato da genitori, allenatore, pubblico…), dimenticando che solo il primo può veramente “sentire” (e di conseguenza razionalizzare per esprimerle) le “vibrazioni” o i “flussi di energia” che intercorrono tra lui e la palla ogni volta che la colpisce, quindi spiegare cosa ha provato in quel preciso momento, in quel dato punto, in presenza di determinate condizioni ambientali, vivendo pertanto una particolare dimensione psico-fisica che ha deciso l’esito finale del colpo. Il giocatore vive la “sua” partita, oggettiva nella sua soggettività, immune a qualsiasi opinione o tentativo di analisi esterni, che in realtà lasciano il tempo che trovano. Vai avanti, gioca le infinite partite della tua vita finché non ne sarai sazio, sicuramente mai se sei un vero giocatore. Ed evolviti nel tempo e nello spazio, sviluppando le potenzialità che man mano scopri di possedere. Approfondisci la conoscenza di te stesso e leggerai meglio ogni partita così come ogni istante della tua vita.



La forza nel Doppio by Umberto Longoni

Se qualcuno vi chiedesse quale tipo di giocatore sia un buon doppista, vi verranno in mente certe caratteristiche tecniche : ottimo servizio e incisiva risposta, buoni fondamentali, veloce conquista della rete, pregevole gioco al volo e senso della posizione. Sono d’accordo ma, come al solito, sottolineo gli aspetti psicologici: per prima cosa, direi che un buon doppista ama giocare il doppio e non lo considera un ripiego. Gli piace fare parte di un team,

sebbene composto di soli due elementi, è portato a condividere e a comunicare. In effetti, i tennisti di club spesso credono che nel doppio uno più uno debba fare due. Invece può accadere che la somma dei due giocatori sia quattro, perché la coppia è armonicamente complementare e così unita che ciascuno supplisce alle lacune dell’altro ed esalta i pregi del compagno. Oppure la somma dei giocatori può avvicinarsi allo zero, perché i due non si “trovano”, perché non sono fatti per il doppio, o perché il loro gioco viene reciprocamente sminuito

dalle caratteristiche tecniche individuali. O magari, tra i due, sussistono incomprensioni o c’è uno che sottolinea ogni errore del compagno e così quest’ultimo annega in un mare di insicurezze. Del resto, nei doppi di tennis club le coppie formate da un “persecutore” e da una “vittima”, sono frequenti: l’avete notato anche voi? La luna di miele, di sale e di fiele Specialmente a basso e medio livello, comunque, vi sono fasi nella coppia che tendono a ripetersi se le cose in campo non vanno bene o se la coppia non è


ben assortita. Quando il match inizia, tra i due partners di doppio, di solito è un’autentica luna di miele. Ai primi errori, si dicono “Scusa”, “Peccato, bravo lo stesso”, “Ma no...avrei sbagliato anch’io”, “Non fa niente”, “La colpa non è tua ma è mia...”, e altre sviolinate che avrete sentito infinite volte. Poi, appena la coppia incomincia a trovarsi “sotto” nel punteggio, il tono cambia, l’atmosfera si fa densa ed inizia la luna di sale, con le reciproche critiche e recriminazioni, prima in modo soffuso e contenuto, poi sempre più aperte e astiose. Infine, specialmente se ci si

approssima alla sconfitta, si può scivolare nella fase estrema, quella della luna di fiele: la coppia scoppia totalmente, nel senso che ormai entrambi giocano un solitario singolo mandandosi regolarmente a quel paese, criticandosi ferocemente a parole o in modo inequivocabile tramite i messaggi del corpo e i gesti d’impazienza. Quando il doppio dà il meglio Invece il doppio funziona quando la coppia sa mantenere stima e rispetto reciproco anche nei momenti bui. Quando ci si continua a dare fiducia e sostegno nonostante le difficoltà, allora aumentano le possibilità di fornire una buona prestazione. Ricordate e tenetene conto nei confronti del vostro compagno: una condizione essenziale per giocare bene in doppio è sentirsi liberi. Liberi di osare quando se ne presenta l’occasione, liberi di sbagliare o di commettere un doppio fallo. Questa libertà può consentirla soltanto l’altro componente della coppia con il suo atteggiamento disteso, tranquillo, tollerante e sempre volto al sostegno, ad incoraggiare e non a

criticare. Purché anche voi, per primi, vi comportiate nel medesimo modo! Il bisogno del contatto fisico Non è un caso se i professionisti che giocano il doppio, o comunque le coppie di buon livello, cercano il contatto fisico ( si danno il “cinque”, si pongono una mano sulla spalla, ecc.) e le parole: lo fanno continuamente, dopo ogni punto , e non ha importanza se il punto sia stato vinto o perso. Lo fanno per comunicarsi scelte tattiche e strategie, ma soprattutto per sostenersi a vicenda perché sanno che l’armonia di squadra e il reciproco sostegno sono le armi che possono farli vincere. Lo fanno perché uno ha sempre bisogno dell’altro, anche se l’altro fosse in giornata negativa. Provate anche voi ad assumere questo atteggiamento: indipendentemente dal vostro tasso tecnico, diventerete doppisti più forti e molti vi vorranno per compagno




TENNIS E SALUTE LOMBALGIA: UN FENOMENO INSIDIOSO SOPRATTUTTO NEI GIOVANI TENNISTI by Adriano S.


Più del 50% dei giovani tennisti ha sofferto di lombalgia, un fenomeno insidioso in particolar modo durante la crescita e la cui progressione può anche essere silente fino alla prima manifestazione dolorosa. L5 è la vertebra più frequentemente interessata, ma se protrusioni ed ernie sono le 'protagoniste' indiscusse nell'età adulta, spesso e in particolar modo nei giovani la lombalgia è dovuta a stiramento di legamenti e muscoli o a sindrome da overuse con infiammazione delle faccette articolari, potendo esser correlata persino a fenomeni di spondilolisi e spondilolistesi.

Particolare attenzione infine alle patologie imitatrici: basta ad esempio una lieve distorsione alla caviglia ad indurire un'intera catena cinetica. Si induriranno i peronieri, a seguire il bicipite femorale, poi l'apparato muscoloscheletrico del bacino e tutto si ripercuoterà sul tratto lombosacrale. Inoltre, escludere sempre patologie importanti, come neoplasie o calcolosi, che a loro volta possono comportare dolore cronico imitatore: look outside the box!

Un recente studio (Campbell et al) pubblicato sul Journal of applied biomechanics conferma come l'iperlordosi che accompagna certi movimenti sia deleteria per i giovani tennisti: l'iperestensione di cui necessita il servizio in kick, le rotazioni del busto nel diritto open stance e nel rovescio bimane, sono tutti movimenti che comportano un disallineamento delle faccette articolari L4L5, uniti a un deficit nella rotazione interna dell'anca, con un meccanismo simile a quanto avviene per il dorso con la spalla. Pertanto, per quanto riguarda il parere medico, sono movimenti che andrebbero evitati almeno fino ai 12 anni, quantomeno nei ragazzi a rischio...Movimenti poco fluidi, allenamento eccessivo, lunghi viaggi (col perdurare della posizione seduta) sono altri fattori predisponenti. Da un interessante studio (Journal of science and medicine in sports, Correja et al) è emerso che i giocatori sintomatici per lombalgia hanno in comune una muscolatura addominale deficitaria, minore attivazione dei muscoli estensori e minore co-contrazione muscolare: tutti fattori che potrebbero evitare al tronco di scaricare sullacolonna i traumatici movimenti di torsione a cui è sottoposto durante la pratica del tennis. E' questo un tema che andrebbe pertanto approfondito nella preparazione atletica dei giovani tennisti.

Premesse - E' importante anche per i ragazzi controllare i valori di Vitamina D e limitare ciò che può peggiorare una predisposizione. - Una camminata lenta, che funge da vero e proprio stretching dinamico, è semplice e salutare, sia prima che dopo l'esercizio fisico. - Non esiste una cura definitiva, non esistono miracoli e la risposta alle terapie è soggettiva. Prevenire è sempre meglio che curare. - Ci vogliono in media 6 settimane per un recupero completo dopo un evento acuto. - Evitate stregoni e i non professionisti del settore!

Terapie

PREFERIBILMENTE NO corticosteroidi SI acquaterapia manipolazioni infiltrazioni mesoterapia agopuntura oppiacei yoga ginnastica posturale superfici percettive 14° Congresso Mondiale della STMS







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