Tennis World Italia n. 35

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Djokovic, possibile il Grande Slam? by Marco Di Nardo Il successo ottenuto a Parigi ha permesso a Novak Djokovic di diventare il quinto giocatore a realizzare il Career Grand Slam nell'Era Open. Il serbo è anche diventato in questo modo il primo giocatore da Rod Laver nel 1969, a vincere i quattro tornei Major consecutivamente, pur non essendo riuscito a realizzare l'impresa all'interno dello stesso anno: Djokovic ha infatti iniziato la serie vincendo Wimbledon 2015, per poi proseguire con U.S. Open 2015, Australian Open 2016 e appunto Roland Garros 2016, per quello che viene definito il non-calendar year Grand Slam. Era inoltre dal 1992 con Jim Courier, che nessuno riusciva a vincere i primi due Slam della stagione (Australian Open e Roland Garros), e a questo punto è lecito chiedersi se Novak possa essere in grado di realizzare la più grande e difficile impresa, ossia il Grand Slam, riuscito nell'intera storia del tennis solo a Don Budge nel 1938 e a Rod Laver nel 1962 e 1969. Djokovic ha affermato che nulla è impossibile, anche se per ora preferisce non pensarci e godersi il momento positivo. Di sicuro l'eventuale successo a Wimbledon lo avvicinerebbe alla grande impresa in maniera così importante da rendere impossibile a quel punto non pensarci in vista degli U.S. Open. Ma oltre ad avvicinarlo al Grande Slam, un eventuale quarto trionfo a Wimbledon gli permetterebbe di ottenere, anche in caso di una successiva sconfitta agli U.S. Open, dei prestigiosissimi primati. Intanto nessuno vince i primi tre Slam della


stagione proprio da Rod Laver nel 1969; inoltre sarebbe eguagliato il record di Rafa Nadal, unico giocatore della storia a vincere tre Slam su tre diverse superfici nello stesso anno (lo spagnolo nel 2010 vinse Roland Garros su terra, Wimbledon su erba e U.S. Open su cemento); infine la vittoria a Wimbledon permetterebbe a Djokovic di conquistare il quinto titolo dello Slam consecutivo, che sarebbe il record assoluto nell'Era Open, e la seconda prestazione nella storia dopo i sei successi consecutivi di Budge tra il 1937 e il 1938. Passando però all'argomento più importante, ossia l'eventuale realizzazione del Grande Slam, questa appare essere davvero un'impresa troppo grande nel tennis moderno, anche per un Djokovic che sta dimostrando di essere uno dei migliori tennisti della storia. Soprattutto perché il serbo viene già da quattro successi Slam consecutivi, e questo significa che per completare il Grande Slam dovrebbe arrivare a sei trionfi consecutivi, proprio come fece Don Budge (Wimbledon e U.S. Open 1937, poi il Grande Slam nel 1938), in un periodo in cui però il tennis era ancora diviso tra dilettanti e professionisti. Se è vero che Djokovic in questo momento parte favorito in tutti i tornei dello Slam che gioca, realizzare un serie del genere sembra essere troppo anche per lui. La statistica non è certamente dalla sua parte, anche se guardando le cose in maniera più concreta, mancano "solo" due tornei per conquistare questo obiettivo storico.




Nadal non trionfa, ma torna Re sulla terra by Marco Di Nardo Il forfait al Roland Garros è certamente stato un brutto colpo, soprattutto a livello mentale, per Rafael Nadal, in un periodo nel quale aveva ritrovato la fiducia necessaria per potersi giocare il titolo a Parigi. Nei primi due turni dell'Open di Francia 2016, il maiorchino aveva infatti dimostrato di essere, almeno in apparenza, nelle migliori condizioni fisiche e mentali, e di poter competere contro chiunque, Djokovic, Murray e Wawrinka compresi: 6-1 6-1 6-1 a Samuel Groth, 6-3 6-0 6-3 a Facundo Bagnis. Appena 9 giochi persi in due partite, la metà rispetto ai 18 persi da Novak Djokovic nei primi due round del torneo, mentre Murray e Wawrinka avevano lasciato per strada rispettivamente 4 e 2 set, e di conseguenza un numero complessivo di giochi nettamente più alto. Poi il momento più difficile, con il riacutizzarsi di un infortunio al polso che lo aveva tormentato dal Masters 1000 di Madrid, e la decisione di ritirarsi dall'evento che è il più importante per il tennista spagnolo. In questo modo l'assalto al decimo titolo al Roland Garros è terminato prematuramente, nonostante Rafa non abbia perso alcun match sul campo. Una grande delusione, non ci sono dubbi, ma a guardare i numeri, nella stagione sulla terra rossa europea, Nadal ha dimostrato di essere tornato il Re sulla superficie che gli ha permesso di diventare uno dei migliori tennisti della storia. Andiamo quindi ad esaminare i risultati ottenuti dai 3 migliori giocatori del 2016 nella stagione sulla terra rossa europea, ossia da



Monte-Carlo in avanti, senza quindi considerare i tornei sudamericani che si sono giocati prima dei Masters 1000 sul cemento nordamericano. Novak Djokovic: Masters 1000 Monte-Carlo: primo turno, 0 vittorie e 1 sconfitta Masters 1000 Madrid: vincitore, 5 vittorie e 0 sconfitte Masters 1000 Roma: finale, 4 vittorie e 1 sconfitta Roland Garros: vincitore o finale, 7 vittorie e 0 sconfitte o 6 vittorie e 1 sconfitta Totale: 16 vittorie e 2 sconfitte (se vincerà il Roland Garros), 15 vittorie e 3 sconfitte (se perderà la finale) Percentuale di successo: 88,9% o 83,3% Andy Murray: Masters 1000 Monte-Carlo: semifinale, 3 vittorie e 1 sconfitta Masters 1000 Madrid: finale, 4 vittorie e 1 sconfitta Masters 1000 Roma: vincitore, 5 vittorie e 0 sconfitte Roland Garros: vincitore o finale, 7 vittorie e 0 sconfitte o 6 vittorie e 1 sconfitta Totale: 19 vittorie e 2 sconfitte (se vincerà il Roland Garros), 18 vittorie e 3 sconfitte (se perderà la finale) Percentuale di successo: 90,5% o 85,7% Rafael Nadal Masters 1000 Monte-Carlo: vincitore, 5 vittorie e 0 sconfitte ATP 500 Barcellona: vincitore, 5 vittorie e 0 sconfitte Masters 1000 Madrid: semifinale, 3 vittorie e 1 sconfitta Masters 1000 Roma: quarti di finale, 2 vittorie e 1 sconfitta Roland Garros: secondo turno e forfait, 2 vittorie e 0 sconfitte Totale: 17 vittorie e 2 sconfitte Percentuale di successo: 89,5%


Come si può vedere, nonostante gli sia sfuggito il decimo titolo parigino, durante la stagione sulla terra rossa europea Rafael Nadal ha avuto una percentuale di successo migliore rispetto a quella di Novak Djokovic, anche nel caso in cui il serbo dovesse battere Andy Murray nella finale del Roland Garros. Il giocatore britannico invece, in caso di successo a Parigi, avrebbe la migliore percentuale in assoluto (90,5% contro l'89,5% di Nadal), mentre se dovesse essere sconfitto in finale, cederebbe il trono proprio a Nadal, che diventerebbe il tennista più vincente sulla terra anche nel 2016. Ma anche nel caso in cui Murray vincesse Parigi, resterebbe di Nadal la più lunga striscia di vittorie consecutive sul rosso in questa stagione, con le 13 ottenute tra Monte-Carlo, Barcellona e Madrid, contro le 12 di Andy tra Roma e Roland Garros (se appunto vincesse il torneo), e le 9 di Djokovic tra Madrid e Roma. Inoltre non si possono dimenticare il nono titolo ottenuto sia a Monte-Carlo che a Barcellona da Rafa, sempre più nella storia dopo aver vinto proprio per 9 volte anche al Roland Garros. Considerando tutti questi numeri, appare davvero difficile non considerare Nadal il Re della terra rossa anche in questo 2016. La cosa più importante per lo spagnolo in questo momento è tornare al 100% della condizione fisica per poter competere a Wimbledon e alle Olimpiadi. Per il decimo successo al Roland Garros, potrà riprovarci nel 2017, e partendo da statistiche e sensazioni di questo 2016, nulla appare impossibile per Rafa, nonostante il passare delle stagioni riduca progressivamente le sue possibilità.




Roland Garros, time to Forget by Valerio Carriero

“L’anno prossimo sarò pronto a tutto”. Potrebbero essere le parole di uno studente che ha evitato per un soffio la bocciatura salvandosi in extremis e che si promette di non ripetere gli stessi errori in futuro. No, più banalmente sono dichiarazioni di Guy Forget, il direttore del Roland Garros nell’edizione probabilmente più sfortunata della storia del tennis recente a livello Slam. Pioggia, polemiche degli spettatori e, ultimo ma non per importanza, un livello di gioco tutt’altro che esaltante. Insomma, non proprio “l’esordio” ideale per Forget, per il primo anno alla direzione del secondo Major stagionale. Abbiamo parlato di ‘sfortuna’, non potrebbe definirsi diversamente un periodo di 15 giorni condizionato da continui diluvi, ma… “La fortuna aiuta gli audaci”, si dice. Nella buona riuscita di un torneo, probabilmente, non è così. Tuttavia, di sicuro, la fortuna aiuta chi ha il coraggio di investire. È innegabile, il Roland Garros è lo Slam meno al passo con i tempi. Né luci, né tetto e così partite incomplete anche sullo Chatrier. Un problema, quello riguardante l’illuminazione artificiale, già sollevato negli anni precedenti e in particolare da Wawrinka nel 2012, costretto a tornare in campo il giorno successivo per terminare il suo match con Tsonga poi perso al quinto. Gilbert Ysern, allora direttore del torneo, rispose in maniera criptica: “è una questione molto delicata ma non bisogna giocare per forza di sera, e un potenziamento delle luci sarà effettuato in futuro, nel 2017”.


Potrebbe essere quindi questo il primo passo verso l’ammodernamento di un evento anni luce in ritardo rispetto non solo agli altri Major, ma anche a tornei minori. In attesa della copertura sul campo principale ­ non prima del 2020, forse, chissà, vediamo… - qualche migliaio di chilometri più a Est si disputava il Challenger di Prostejov con campo centrale dotato di tetto. Mentre nella capitale francese veniva cancellata un’intera giornata ­ quella di martedì 30 maggio -, in Repubblica Ceca il padrone di casa Vesely poteva tranquillamente evitare gli straordinari. Non è stato così invece per alcuni giocatori della parte alta del tabellone, tra cui il campione Novak Djokovic, costretti a scendere in campo per tre giorni consecutivi. I problemi del Roland Garros partono comunque da lontano, da un sito minuscolo se paragonato agli altri Slam (8,5 ettari contro i 17 di Melbourne, i 18 di Wimbledon e i 18.5 di New York) e un ampliamento sempre rinviato: “Magari con i soldi per l’Olimpiade del 2024”. È ancor di più strano quindi, per un impianto così piccolo, vedere spalti semivuoti per un quarto di finale maschile come Thiem-Goffin, o uno Chatrier quasi deserto per Stosur-Pironkova, probabilmente un ammutinamento per una scelta a dir poco infelice degli organizzatori. Gli stessi sono finiti nell’occhio del ciclone per un mancato rimborso dopo Djokovic-Bautista Agut, durato poco più di 2 ore prima dell’ennesima interruzione, lunghezza sufficiente per non restituire il 50% del costo dei biglietti ai poveri spettatori, cui poco ha convinto la spiegazione di Forget: “La decisione di sospendere o di riprendere il gioco spetta soltanto al supervisor Stefan Fransson. Il rispetto per il gioco ha sempre preso la precedenza. Ieri il match è stato sospeso alle 16:54 con la possibilità di poter giocare altre 4 ore. Speravamo che il gioco riprendesse e Meteo France aveva


previsto che la pioggia avrebbe dato tregua 40 minuti più tardi”. Insomma, “fortunatamente è finita” verrebbe quasi da pensare. Il bilancio è pesantemente negativo anche sotto il punto di vista dello spettacolo. In uno Slam senza Federer ai nastri di partenza e che ha visto il doloroso ritiro di Nadal dopo due turni, ci sono stati pochissimi spunti tecnici: salviamo solamente la conferma di Thiem, entrato in top 10 prima di pagare il tour de force al cospetto di Djokovic in semifinale ­ e la bella storia della Bertens, approdata tra le migliori quattro del torneo prendendosi la rivincita su quel tumore alla tiroide che tanto l’aveva fatta tribolare qualche anno fa. Certo, in qualche modo al Roland Garros 2016 si è scritta la storia e non solo in negativo. Le due finali, per motivi diversi, lasceranno un’eredità pesantissima agli annali di questo sport con il virtuale passaggio di testimone da Serena Williams a Garbine Muguruza, e con la valanga di primati targati Novak Djokovic grazie al suo primo titolo parigino con cui, in un colpo solo, rompe la maledizione, completa il Career Slam e diventa detentore di tutti i 4 Major contemporaneamente, impresa mai riuscita dopo Laver. “L’anno prossimo sarò pronto a tutto”. Ce lo auguriamo, magari ripartendo da quel beffardo sole che si è affacciato timidamente durante la premiazione del torneo maschile, quando ormai egoisticamente serviva a poco. Nel frattempo è tempo di voltar pagina al più presto e riordinare le idee: it’s time to Forget.



Parigi 2016: anteprima del futuro by Federico Mariani L’edizione 2016 del Roland Garros può, suo malgrado, coincidere con l’inizio di una nuova era. Dopo tanto (troppo) tempo trascorso nella speranza di un agognato ricambio generazionale valido e ­ contestualmente ­ nel terrore di un tennis senza Federer e Nadal, lo Slam parigino sbatte in faccia agli appassionati un torneo senza i più amati. Roger non si è presentato a Bois de Boulogne saltando un Major come non accadeva sostanzialmente da sempre, dal 1999, con in mezzo 65 presenze consecutive ai nastri di partenza. Il compare Rafa si è, invece, ritirato in corso d’opera con un forfait dettato dall’ennesimo infortunio che, con trenta candeline sulla torta e un fisico oltremodo usurato, fa intravedere l’anticamera del baratro (sportivo). Insomma, quanto visto al Roland Garros potrebbe rappresentare l’anteprima di ciò che sarà del circuito in un tempo tutt’altro che lontano, anzi più vicino di quanto si ritiene nell’immaginario comune. Ma cosa sarà del circuito maschile nell’era post-Federer&Nadal? Quanto perderà il tennis dopo il ritiro dei due campionissimi? Ci sarà qualcuno in grado di raccoglierne l’eredità non solo tecnica ma soprattutto carismatica? Difficile, anzi forse impossibile rispondere oggi con un certo grado di fiducia su quesiti che affliggono l’intera Atp e che insidiano di incognite un circuito che ha vissuto nell’ultimo decennio una straordinaria età dell’oro, basti pensare che degli otto tennisti nella storia

capaci di conquistare tutte le prove dello Slam, ben tre appartengono alla stessa generazione. Si può, però, provare a ipotizzare ciò che sarà. È ragionevole ­ e se vogliamo anche comodo ­ credere che l’Atp possa ripercorrere il cammino tracciato dalla NBA nei primi anni del terzo millennio. Grazie a Michael Jordan il basket americano ha vissuto un vero e proprio boom passando dall’essere il fratello minore di baseball e football fino a diventare un fenomeno planetario con un’identità culturale e sociale ben marcata. È auspicabile uno stesso percorso per il tennis che, da sport di nicchia (o poco più) qual era, si è trasformato quasi in uno sport popolare aprendo le sue frontiere a una fetta di pubblico sempre crescente. Tale crescita clamorosa può esistere soltanto se supportata e promossa dai campioni che ­ in campo e fuori ­ hanno la possibilità di attrarre


nuovi appassionati. Tutto ciò è avvenuto con Federer e Nadal, grazie a Federer e Nadal che non si sono limitati a mostrare in campo cose inedite, si sono spinti oltre. Sono stati (e sono) talmente forti da far avvicinare con fervore anche chi il tennis lo masticava poco. Sono stati (e sono) meravigliosamente diversi da aver creato attorno alle loro figure due fazioni che sfociano spesso e volentieri nel più vivo e viscerale del tifo. Una componente che fa storcere il naso ai puristi del Gioco ma che, pragmaticamente parlando, ha portato soldi, molti soldi, e attenzioni provenienti da ogni latitudine della terra. La tesi che si intende avvalorare tramite questo ragionamento si basa sul fatto che se prima erano in 10 a seguire il tennis e oggi quei 10 sono diventati 100, in un domani senza ovviamente Federer e Nadal i 100 non

torneranno 10. Forse non saranno più 100, ma verosimilmente saranno 85-90, non certo 10. Questo perché quell’enorme nuova fetta di neofiti che si è innamorata del tennis nell’ultimo decennio si è nel frattempo fidelizzata, assuefatta, e non abbandonerà. Federer e Nadal hanno accompagnato il tennis in una nuova dimensione facendo la fortuna (economica ed emozionale) di questo sport. I tennisti di oggi e soprattutto di domani possono, dunque, partire con una base di popolarità solidissima, impensabile fino a qualche stagione fa. Non si può dare responsi su ciò che sarà a livello tecnico e carismatico, ma è a ben vedere sciocco attendersi di rivivere i fasti dell’età odierna così come sarebbe sciocco abbandonare la nave quando Roger e Rafa non saranno più al timone.


Servizio e Risposta 0-30 by Alex Bisi Infosys Atp ha condotto un’interessante indagine sulla next generation, i giovani che saranno il futuro del circuito tennistico maschile. L’Atp ha presentato la campagna #NextGen a Indian Wells per promuovere i giovani che saranno il ricambio generazionale dei FabFour. In particolare son state prese in analisi due frangenti particolari di gioco, cercando di capire se ci sono più

possibilità vincere la partita quando chi serve va sotto 0-30 o quando vanno avanti in risposta. In questo primo scorcio di stagione, i Top8 , in situazione di 0-30 sul loro sevizio, riescono a mantenerlo per il 50% delle volte, mentre i giovani solo il 37. In situazione di 0-30 su risposta, i Top8 conquistano il break nel 38% dei casi, mentre solo il 26 per la #NextGen. Dall’analisi emerge che Alexander Zverev,Elias Ymer, Yoshihito Nishioka, Nick Kyrgios, Kyle Edmund, Thanasi Kokkinakis,Quentin

Halys e Andrey Rublev, siano più bravi a mantenere il servizio in situazione di svantaggio. Borna Coric,Hyeon Chung, Taylor Fritz, Jared Donaldson e Francis Tiafoe son più abili ad aggiudicarsi il break. Interessante notare che Kyle Edmund ha una percentuale più alta di Murray nella particolare casistica di mantenimento del servizio in situazione di svantaggio. Donaldson e Chung hanno invece una percentuale di break a segno più alta del numero uno del ranking, Novak Djokovic,46 contro 41.


Zverev è nei primi 4 posti in entrambe le categorie, con percentuali migliori di Davide Ferrer in situazione di svantaggio, e di Thomas Berdych in situazione di break. SERVIZIO 1 Kyle Edmund 50 2 Nick Kyrgios 45 3 Quentin Halys 44 4 Alexander Zverev 42 5 Elias Ymer 41 6 Taylor Fritz 38 7 Hyeon Chung 35 RISPOSTA T1 Jared Donaldson 46 T1 Hyeon Chung 46 3 Alexander Zverev 37 4 Borna Coric 36 5 Taylor Fritz 35 6 Frances Tiafoe 30 7 Andrey Rublev 26


La next generation può attendere! by Giorgio Giannaccini Tanti e nuovi talenti all'orizzonte che crescono e fanno risultato, eppure sono sempre i vecchi a dominare, che siano i FabFour come Stanislas Wawrinka. Almeno così ha recitato l'ultimo Roland Garros vinto finalmente ­ e fin troppo atteso ­ da Nole Djokovic che si è tolto un macigno dalla scarpa che ultimamente diventava pesantissimo. Il torneo, definito da alcuni dei maggiori addetti ai lavori, tra i peggiori Roland Garros di sempre, ha avuto due defezioni illustri: la prima di Roger Federer che, causa quel maledetto menisco lacerato e operato, dopo una tapina figura a Roma, ha deciso saggiamente di non partecipare per prepararsi meglio il torneo per lui più importante, Wimbledon; seconda defezione importante invece è stata quella che ha scosso realmente il torneo, quella cioè di Rafael Nadal, che dopo aver superato senza alcun problema i vari Sam Groth e Facundo Bagnis in totale scioltezza, ha poi

dovuto salutare il torneo, causa un polso sinistro che se non fosse stato a riposo totale per due settimane si sarebbe rotto nel giro di due giorni. Insomma, c'era spazio per la next generation, c'era spazio ­ senza più due dei maggiori vincitori dell'ultimo decennio ­ per ritagliarsi una fetta importante del torneo, ma non è stato così. Cominciamo da Nick Kyrgios: il novello McEnroe, per talento e temperamento, ha sbagliato. Al terzo turno, cioè quando il gioco comincia a farsi duro, con una partita particolarmente sottotono, svogliata e indolente, si è fatto sconfiggere da un redivivo Richard Gasquet che non ha

concesso nemmeno un set all'australiano. Decisamente una prestazione troppo negativa, soprattutto se consideriamo che i pronostici del match erano rivolti tutti a favore del giovane di Canberra. Meglio Alexander Zverev, che dopo aver battuto, concedendo un set, nei primi due turni, ai vari Herbert e Robert, si è poi dovuto inchinare al poco più maturo Dominic Thiem al terzo turno, dopo avergli strappato il tie break del primo set si è poi fatto rimontare per 6-3 in tutti gli altri set del match. L'austriaco dal magnifico rovescio a una mano è stato senz'altro la maggiore sorpresa del Roland Garros, come testimonia la sua marcia che si è incrociata


anche con quella di un'altra speranza del tennis mondiale, il belga David Goffin. Il fiammingo, classe '90, è stato autore di un ottimo torneo che lo ha portato alle soglie della top ten con la posizione numero 11 del ranking mondiale. Un cammino autoritario che lo ha visto battere avversari per nulla semplici, basti pensare al terzo turno vinto per il rotto della cuffia contro il talentuoso ma cavallo pazzo Nicolas Almagro, o il turno successivo vinto contro l'eccentrico ma bombardiere Ernest Gulbis, mina vagante per chiunque, se in giornata. Con queste credenziali si era presentato in uno scontro faccia a faccia con Thiem. Timing e visione dal campo

da un parte, dall'altra potenza ma anche creatività. Ne è venuto fuori uno strabiliante scontro che ha visto per il primo set fino a quasi tutto il secondo set, prevalere il belga che poi, al risveglio dell'austriaco, è dovuto soccombere alla maggior gittata di fuoco e spregiudicatezza del rivale che ha così ribaltato l'incontro: dal 6-4 in suo sfavore nel primo set, si è poi aggiudicato un secondo set equilibratissimo per 7-6(7) e i restanti parziali per 6-4 6-1, in cui Goffin non ne poteva davvero più. Si era arrivati così alla designazione delle semifinali: da una parte il nostro eroe Dominic Thiem contro il mostro sacro Nole Djokovic, dall'altra parte del tabellone invece il FabFour

Andy Murray contro il detentore del titolo Stanislas Wawrinka. Tre semifinalisti su quattro della vecchia guardia, dato molto più che indicativo, una certezza, oseremmo dire. Nella semifinale dei veterani ha poi prevalso Murray, e con lui la sua maggiore regolarità ed esperienza nei match di altissimo livello che, insieme alla vittoria a Roma di quest'anno, ne fanno ormai un giocatore eccelso anche sulla terra battuta. Nell'altra semifinale Dominic Thiem ha ricevuto una lezione di tennis dal numero 1 del mondo: un 6-2 6-1 6-4 che ha palesato la maggiore forza di Nole Djokovic oltre a mostrare come, nonostante gli ancora amplissimi margini di miglioramento di Thiem, la distanza fra i due sia ancora incolmabile. Molta la potenza fra dritto e rovescio per l'austriaco, tra cui anche diversi e pregevoli vincenti ottenuti in partita, ma che costituiscono pur sempre un gioco troppo a sprazzi per demolire un muro come il serbo. Il resto è storia: come dicevano i pronostici Nole ha poi regolato Murray e si è concesso il trionfo più bello, la terra di Parigi. I Major, insomma, sono ancora roba per la vecchia guardia, e la next generation può ancora attendere!


Albert Ramos, un premio alla carriera by Giorgio Giannaccini

E finalmente venne l'ora di Albert Ramos, un ragazzo qualsiasi che ha avuto la sfortuna di nascere in Spagna, terra, negli ultimi 15 anni, di fenomeni se non grandi giocatori. E per lui, ragazzo né bello né particolarmente talentoso, fino a poco tempo fa c'erano soltanto le briciole. Ma cominciamo dal principio: Albert Ramos-Vinolas, ragazzo spagnolo classe '88, residente a Mataro, è un classico regolarista della scuola iberica. E' mancino, alto ma longilineo (1.88 per 80 kg), e basa tutto il suo gioco sulle rotazioni esasperate in top spin, non certo - direte - un giocatore per cui uno paga il biglietto, ed anzi un timido comprimario se non un'eccelsa vittima sacrificale per qualsiasi big nei tornei dell'anno. Lui ne sa qualcosa visto che nel lontano 2012 venne stracciato nel tempio di Wimbledon da un particolarmente ispirato Roger Federer. Un umiliante 6-1 6-1 6-1 che fece vedere doppio se non triplo a Ramos oltre a farlo ritornare, dopo poco, di pessimo umore in spogliatoio. Già, proprio nel 2012, in una delle migliori stagioni di Ramos nel circuito Atp, nella stagione cioè che lo vide disputare la prima (e unica) finale in carriera, persa il 15 aprile, in quel di Casablanca, contro un buon Pablo Andujar che lo batté, pur tribolando nel finale di match, per 6-1 7-6(5). Insomma, un buon giocatore che tocca più volte la top 50 ma che, andando a stringere,


più di lì non va, un giocatore senza né arte né parte, concludendo, un'eterna comparsa. Il buon Ramos non ne fa un dramma, d'altronde lui gioca a tennis da quando ha 5 anni, e se non fosse stato cosciente di questo avrebbe smesso anzitempo di giocare a tennis. Però qualche soddisfazione se la prende, mietendo qualche scalpo illustre. Nel 2010 nel torneo Atp 500 di Barcellona sconfigge il numero 12 al mondo Fernando Gonzalez, giocatore per niente facile da affrontare sul rosso in quel periodo, conquistandosi così il terzo turno prima di perdere contro Ernest Gulbis. Nel 2012 batte al terzo set Richard Gasquet nel Masters Series di Indian Wells e accede al terzo turno, sempre nel 2012, ma questa volta al Masters di Miami, batte il connazionale serve and volley, numero 15 del mondo, Feliciano Lopez. Non è tutto, l'anno dopo, sempre a Miami, batte prima l'argentino, numero 14 Atp, Juan Monaco e poi l'ex numero 4 del mondo James Blake, ma al quarto turno verrà fermato dall'austriaco Jurgen Melzer. A Barcellona, sempre nello stesso anno, ripete il suo stato di forma: liquida il gigante Jerzy Janowicz e il nipponico Kei Nishikori, prima di essere estromesso dal più nobile degli spagnoli, Rafael Nadal. Nel 2015 compie finalmente la più attesa delle vendette immaginabili: in quel di Shangai, nel prestigioso e danarosa Masters Series, batte per 7-6(4) 2-6 6-3 uno spento Roger Federer, ma poco importa, battere il Re del tennis mondiale non è cosa da ogni giorno, anche se, nella partita successiva, l'iberico verrà sconfitto da Tsogna, ma il transalpino faticherà non poco, e con un sospirato ma vincente 76(6) 5-7 6-4 piegherà finalmente Ramos. Poi, qualche giorno fa, il suo capolavoro, compiuto nella patria dei regolaristi, i quarti di


finale al Roland Garros. Al primo turno, a dire il vero, Ramos, ha qualche difficoltà con l'argentino Horacio Zeballos, buon giocatore ma ancora lontano dalla sua forma migliore, ma il sudamericano a un certo punto si sgretola e con un buon 6-3 4-6 7-5 6-0 Ramos lo batte. Al secondo turno il compito è ancora più facile contro il numero 166 del mondo, un altro argentino, che risponde al nome italianeggiante di Marco Trungelliti, e con lui i dilemmi sono ancora minori, basta un secco 6-3 6-4 7-5 per sbatterlo fuori dal torneo, ma da qui in poi cominceranno i veri capolavori. Al terzo turno fa fuori in una lotta al quinto set il promettente americano Jack Sock: perso il primo set al tie break ramos vince i successivi due per 6-4, Sock pareggia i conti con, a sua volta, un 6-4 in suo favore nel quarto, prima che Ramos rimetta in chiaro le cose al quinto set, grazie sempre a un 6-4 che sancisce di fatto la fine di una partita combattutissima. “Un premio alla carriera” dice perentoriamente Federico Ferrero a fine telecronaca sul canale di Eurosport, “il riconoscimento a un ragazzo che seriamente ha sempre lavorato, se lo merita”, aggiunge concludendo il collegamento. E già, un prestigioso ottavo di finale che vale tantissimo per un giocatore come Ramos, infatti i quarti sembrano un'utopia visto che alla prossima partita si ritroverà difronte quel gigante di Milos Raonic, bombardiere e talento che detiene la poltrona numero 9 del ranking Atp. No, Ramos non ci sta, il suo vero regalo alla carriera se lo devo ancora fare, deve ancora firmare il suo vero capolavoro. Finito il riscaldamento, il canadese ci capirà poco di quella partita contro Ramos. Tra corsa, rotazioni, tenacia e coraggio, Ramos tramortisce Raonic; non serve a nulla il servizio del canadese che quel giorno non è più devastante ma anzi fa acqua da tutte le parti: con un netto e meritato 6-2 6-4 6-4 Ramos si prende l'ovazione del pubblico parigino. Non ci crede nemmeno lui, un quarto a Parigi... da sogno! Poco importerà se la partita successiva Stanislas Wawrinka interromperà la favola bella, e riporterà la carriera di Ramos alla solita e noiosa tirannia dove vince sempre il più forte. Ramos ha comunque completato il suo capolavoro, e quel quarto di finale, ottenuto nella cattedrale dei regolaristi, non glielo scucirà più nessuno di dosso, nemmeno un freddo 6-2 6-1 7-6(7) in favore dell'elvetico che solo per quel giorno non avrà il valore di una vittoria.



Aspettando Wimbledon, la Francia inaugura il suo Giardino (sognando un torneo ATP) by Niccolò Inches Deauville - La febbre da erba sale sempre di più, con il torneo di Wimbledon che andrà in scena a breve (27 giugno-10 luglio). Ciò accade anche in Francia, paese ospitante del Campionato del Mondo su terra rossa - il Roland Garros - ma i cui rappresentanti con racchetta si sono sempre espressi con maggior efficacia sui prati: Richard Gasquet doppio semifinalista a Church Road, così come JoWilfried Tsonga autore di una clamorosa eliminazione di Roger Federer nel 2010. Senza dimenticare le gesta della campionessa di

Wimbledon 2006 Amélie Mauresmo, la finale di Cédric Pioline persa da Sampras (‘97), la “semi” di Henri Leconte nell’86, fino allo specialista tutt’ora in attività - e fresco n.1 del mondo in doppio - Nicolas Mahut, interprete “erbivoro” di tutto rispetto e reduce della storica maratona con John Isner ai Championships 2010. La Voglia di Erba dei francesi pare aver finalmente trovato una valvola di sfogo: il merito è del duo Grégory Brussot e Martin Besançon, che mercoledì 9 giugno hanno inaugurato nella città di Deauville (Normandia) il primo circolo interamente in erba nella storia del tennis francese, alla presenza del Presidente della Federazione transalpina Jean Gachassin. Prima di quelli del “Lawn Tennis Club” della città, infatti, su tutto il territorio esagonale era rintracciabile solo il campo (blindatissimo) dell’Ambasciata di Gran Bretagna a Parigi. Gli amanti del genere ne


avranno presto a disposizione ben 14, aperti ad iscrizioni annuali o anche per prenotazioni one shot, alla modica cifra di 40 euro l'ora. L’iniziativa dei due, a loro detta, fu stimolata da un titolo del quotidiano sportivo “L’Equipe” del 2007: “Campi in erba, perché no?”. Et voilà: il risultato sono 4 campi già utilizzabili, un terreno pronto ad ospitarne, un altro in preparazione per la zollatura e un Centrale che potrebbe ospitare un giorno degli eventi di rilievo: “Questa di Deauville è una sfida straordinaria”, ha esclamato Gachassin, “Il circolo sarà certamente presente sulla lista dei candidati ad ospitare un week-end di Coppa Davis o Fed Cup. Poi, certo, dipende dalle scelte del Capitano”. L’obiettivo dichiarato, o in ogni caso il “Sogno” di questi due Frères Lumière du Gazon, è farne nel giro di qualche stagione il teatro di un


torneo Challenger o di un Atp 250. Nel frattempo, come affermato dal responsabile della Lega regionale Olivier Halbout, “In una terra di grande tradizione su terra battuta come la Normandia, questo circolo non può che essere una ricchezza, per i giovani soprattutto (...) Si possono organizzare dei veri e propri stage su erba con i tecnici federali e potrebbero aprirsi finestre importante per eventuali competizioni giovanili, regionali e non”. Per non parlare dell’appeal internazionale: “I giocatori che vogliono prepararsi a Wimbledon possono venire qui”, ha aggiunto Gachassin, e Halbout gli ha fatto eco evocando “L’interesse di altre leghe” per lo sfruttamento dei campi. Nell’attesa, il match tra l’ex top 50 Marc Gicquel e l’attuale n°230 Atp Axel Michon ha aperto un mini-torneo di esibizione che vedrà impegnati anche Jérémy Chardy e Quentin Halys, impegnati recentemente al Roland

Garros. Anche Tennis World Italia, presente all’inaugurazione, ha avuto l’opportunità di provare in anteprima i prati di Deauville, resi purtroppo umidi e scivolosi dalle nuvole del Nord della Francia. “L’erba è tagliata tra gli 8 e i 10 millimetri”, ci ha spiegato Besançon, specificando come il circolo preveda “Due tipi di terreni. Uno, quello previsto peraltro per il Centrale, realizzato con il contributo dei tecnici del torneo inglese del Queen’s; l’altro, per il quale ci siamo appoggiati sull’expertise della società francese Natural Grass, è caratterizzato dal cosiddetto “sostrato fibrato”, con aggiunta di sabbia, che ne accentua la permeabilità permettendo un rapido riutilizzo in caso di pioggia”. Il circolo, inoltre, si avvale di 2 “giardinieri” a tempo pieno - che assicurano 1-2 “tosate” al giorno - e di una terza persona a supervisionare i lavori: una sorta di green keeper, come nel golf.


Proprio il golf, per stessa ammissione dei fondatori, rappresenta il business model di riferimento, almeno per i primi anni di vita del Lawn Tennis Club Deauville. Nonostante un terzo del budget sia assicurato dalle collettività locali, i già 23 partner privati rendono il circolo un laboratorio che fonde tennis e impresa, anche grazie alla presenza di sale conferenze, ristorante e boutique. Tappa forse obbligata per assicurare una crescita ancor più rapida di questo “microcosmo in erba”, con il quale il movimento francese intende massimizzare le potenzialità dei propri esponenti sul verde - e, magari, attrarre ulteriori attori internazionali. Sul Roland Garros non ci sarà ancora il tetto, ma (almeno) si muove qualcosa nel tennis transalpino.


Roger Federer deve parlare by Riccardo Zuliani

Se ci si fosse fermati alle apparenze, quell’esibizione sarebbe risultata assolutamente e inequivocabilmente brutta. Il fatto è che le apparenze sono tutto per qualcuno. Per qualcun altro invece sono molto di più. Sono la sostanza di un evento. E questo qualcun altro era colui che aveva presenziato al match di Roger Federer. A dire il vero, erano in tanti ad assistere, e nessuno di questi si era fermato alle apparenze. Ovviamente. Il concetto, per intenderci, è che l’incontro era stato davvero orribile, una di quelle cose per cui non si sa bene perché nel tennis non possano andarsene a casa in due, perché debba per forza esserci un vincitore, perché in sostanza si siano sborsati tutti quei quattrini per assistere a stecche, palle scentrate, addirittura mancate, praticamente un errore gratuito dietro l’altro, un disastro colossale, oggettivamente non una partita, l’olocausto del colpo vincente. Però c’era in campo Federer. Il che non è cosa da poco, considerando che c’era in campo il “dio del tennis”. È bene ricordare che la religione è stata pensata in modo tale per cui anche quando non si riceva apparentemente nulla di buono dal proprio dio, in questo dio si continui a credere, e forse ancor più di prima. Perché ci sta mettendo alla prova. Ecco. Spesso le persone che vanno a vedere Federer (perché vanno a vedere Federer), non si rendono conto che quella che, secondo loro, dovrebbe essere una prova dello svizzero, è invece una prova tutta loro, di cui

Federer è, per così dire, giudice, spettatore. In più sensi, tra l’altro. Nel primo senso per quanto si è or ora fatto capire, perché la gente va a vedere Federer, ma spesso Federer è così diverso dal Federer che ci si aspettava, che non si è visto realmente Federer, se non a tratti, e tutto il resto va dimenticato, e va dimenticato nel tempo in cui un ballboy lancia al giocatore la pallina che sarà protagonista del punto successivo. Quei tratti in cui Federer è realmente Federer, quelli sono gli unici attimi che si intagliano in modo radicale nelle anime degli spettatori, piccole fibre che andranno a costituire il vero tessuto contemplativo delle persone. Nessuno si accorge degli errori di Federer, il tempo è fermo ogni volta che lui non fa ciò che un dio deve fare, ma quando riprende ad elargire la sua grazia ed i suoi doni, allora viene adorato in maniera totale, crescente,


commovente. L’atmosfera del santuario fa si che ogni segno divino sia il grande segno, e tutto il resto semplice incapacità umana di capire e vedere. Di vedere oltre. L’altro senso per cui la gente che va a vedere Federer per vedere Federer non vedrà Federer, e non lo giudicherà, è il fatto che in campo attraverso di lui si mostra il gioco del tennis nella sua scarnificata purificata e nuda essenza, senza che interprete alcuno si faccia carico della sua creazione. Federer quando incarna il tennis incarna il tennis, si dimentica di sé stesso, di tutto ciò che è stato e sarà, di tutti i suoi affetti, di tutto ciò che lo ha portato a trovarsi lì, esce da sé stesso, e si siede tra il pubblico, ad ammirarsi, invero anche lui. Nel momento in cui il tennis entra in campo Federer esce, la sua biografia se ne va, e rimane solo lo spettacolo di un movimento perfetto e disinteressato, che colpisce non per fare il punto - il disinteresse è totale verso

l’ottenimento del risultato -, e che il punto lo farà ugualmente, perché non si tratterà più di sopraffare un avversario, ma di condurlo con sé, di prenderlo per mano e renderlo partecipe di quel grande movimento a cui si è data vita, lì, in quel campo, in quel momento. L’avversario di Federer collaborerà con Federer perché si realizzi il grande spettacolo, e il tennis prenda il posto sul palco, sotto la ribalta, per un qualche breve istante che sarà appena precedente all’istante successivo, e collegato con esso, senza che gli errori e ciò che di umano rientrerà in campo a fare da intermezzo tra i due istanti potranno rendere meno omogeneo e coerente l’arabesco che sta venendo a vita. È l’ultimo istante di bellezza, in qualsiasi momento avverrà, con un qualsiasi numero di momenti perfetti ad esso precedenti, renderà concluso il tessuto, ed armonioso, e grande. Le persone che hanno assistito, avvertono con lucifera profondità ciò che era mancato loro sino a quel momento, ossia quel momento stesso. Se gli arbitri, se gli avversari, se il pubblico non dovessero essere vincolati alle proprie leggi naturali (quelle per cui esiste una cosa chiamata “punto”; e per cui ad un ”punto” deve seguire necessariamente un altro “punto”; che esiste una forma di apprezzamento-ringraziamento - di tale “punto” che avviene mediante gestualità quali l’applauso) il balzo di Federer e della pallina che lo segue - e non il contrario - potrebbero continuare ininterrottamente, ascendere al cielo, levitare sopra le teste degli spettatori anche spazialmente, oltre che sostanzialmente, ed irradiare grazia dall’alto, come il sole. Come il sole. Il fatto che comunque ci sia un pubblico e un edificio di leggi che tentino di ostacolarlo o, per lo meno, di inquadrarlo, non fa altro che


accentuarne l’immensa raffinatezza stilistica: come il poeta, che solo quando è forzato dal metro riesce a spiccare balzi estetici di così rara levatura, così l’elvetico si fa carico di tutte le pressioni provenienti dall’esterno, dagli avversari, dal mondo, per farne un tessuto intricatissimo entro le cui smagliature potersi inserire e ,poi, venirne fuori, rituffarcisi dentro con scomparse intermittenti e poi, ecco, di nuovo sgusciare fuori da luoghi inaspettati, con movimenti vertiginosi. E non è un caso se quando puoi assistere alle sue apparizioni, le traiettorie e i movimenti della pallina non hanno alcun rilievo, dal momento che tutto ciò che ti basta è seguire le vibrazioni sinuose del suo corpo, la cui causa e conseguenza dirette non sono altro che i tragitti della sfera. Con Federer si può ritagliare un’inquadratura che copra l’avversario e il campo e tutto il resto, tranne che lui, e ti racconterà ugualmente, senza tralasciare nulla- anzi, mostrando qualcosa in più rispetto a quanto la visione di un campo dall’alto potrebbe rivelarti-, la storia di quella partita, la storia del tennis. E, soddisfatti, tutti, si potrà tornare alle proprie case, alle proprie vite, come se nulla fosse stato, come se tutto fosse stato, dimentichi di essere stati giudicati dal dio del tennis, inconsapevoli della sua bontà che tutti accetta e tutti perdona e tutti lascia passare, ignari di aver superato, tutti, una grande prova, sicuri che dietro alla vita, oltre la vita, se non altro, c’è il grande tennis, e c’è Roger Federer. E, pur pensando sia tutto lì, è tutto qui. Tra poche righe redatte da chi a quell’evento non presenziò. Del resto, Federer quella partita l’aveva persa.



Ma quella sfera laggiù che vedi volteggiare in aria, tu credi sia una pallina o un Rovescio? by Riccardo Zuliani Rispetto a quel dritto che stai eseguendo laggiù in fondo dall’altra parte del campo, ho da dirti molto. In primis, è bellissimo. E’ bellissimo il gesto che il tuo corpo sta mettendo in scena, l’orchestrata strutturazione di una figura omogenea ed armoniosa composta da miriadi di segmenti, fasci e “pezzi”, la collimazione di propulsioni normalmente indipendenti e ora, per l’occasione, riunitesi per fare fronte comune ad una Grande richiesta di Uniformità. Eterogeneità che s’irradia in tutte le sue sfaccettature grazie ad un’implosione dei fini, Specificità che si colgono tutte con una sola occhiata. E’ uno sguardo d’insieme. Ma come fai? Ti ho lanciato (non ho altri verbi per denotare la lampante carenza artistica della mia esecuzione) la pallina con una tal violenza e precisione

che il tempo perché compiessi un gesto anche semplicemente coordinato era pressochè nullo. Proprio in virtù di questa mancanza temporale, tu ti sei fatto un baffo della sua coordinazione e ti sei dato alla danza sinuosa. Se non ci fosse la pallina che arriva in quel modo, tu non compiresti nulla del genere, non ne saresti capace. Ma la pallina c’è, e sta giungendo, è l’esito di un mio rovescio, è dunque una pallina-rovescio, è il mio rovescio che ti sta arrivando. Diciamo il retaggio del mio rovescio, che lo serba tutto contratto e sintetizzato in sé. Di certo, non è solo una pallina quella che ti si sta

avvicinando. E’ un rovescio lungolinea, è il gesto di un braccio che si blocca sul lato sinistro per non permettere all’impatto con la pallina di fiondarla in direzione incrociata, ossia in direzione eguale ma di verso opposto rispetto a quella in cui m’era giunta. Ricordo che il rovescio fu l’ultimo colpo che aggiunsi al mio repertorio, nell’unico senso per cui una frase di questo tipo possa avere un senso: fu il passaggio dalle due mani con cui lo eseguivo inizialmente all’unica con cui lo fissai poi per sempre, a costituire l’ultima aggiunta al mio bagaglio tecnico. Un fondamentale che arrivò dopo non solo tutti gli altri


fondamentali, ma addirittura in seguito all’arrivo di colpi assolutamente accessori quali il recupero di pallonetto sotto le gambe, la veronica (la quale fu aggiunta più per la dolcezza del nome che non per reale utilità, anzi, specifichiamo, la quale era già presente da sempre come unica e spontanea via di fuga da situazioni volatilmente scomode Ma che poi , in seguito alla scoperta del nome con il quale si designava un gesto uguale ma non Imparato come tale, fu re-imparata, identica, ma veronica, dunque diversissima) ), la smorzata con taglio all’indietro, la battuta da sotto (ancestralmente presente

nelle corde emotive e tennistiche di ognuno, essa riceve il suo reale battesimo solo quando utilizzata dopo aver imparato il canonico servizio dall’alto, utilizzata perché scelta e non perché Unica possibilità ,dunque ). Imparai il rovescio ad una mano per il semplice fatto che mi dava l’idea di essere un gesto tecnico esteticamente più gradevole- al tempo non sapevo che l’eleganza del gesto dipende dall’eleganza del gesto, e che il gesto è sempre unico ed irriproducibile, slegato dalle basi con le quali lo si sostanzia, tutt’al più agevolato da certe componenti più

“aerodinamiche” e “leggere”, forse più disponibili all’evento creativo, all’inserimento di quel quid in più, totalmente personale, con cui renderlo effettivamente Pregiato. Avevo investito sudore e nervi su quel rovescio, sull’alleggerimento di quel rovescio. Avevo lavorato assiduamente per concedermi la possibilità futura di essere elegante con più semplicità, d’ottenere con pochi sforzi la bellezza che con tanti sforzi a monte m’ero lasciato in eredità. Alla fine le mie fatiche avevano ottenuto i loro buoni risultati, a fronte di tanti insuccessi sul campo derivanti da un colpo decisamente poco


funzionale. Una volta stabilizzato il suo assetto, tornarono anche i risultati, e anzi tornarono con molta più frequenza e qualità di quanto non accadesse ai tempi in cui le due mani mi davano tanta stabilità e praticità, ma poca facilità estetica. E questo cammino di funzionalità e bellezza che a braccetto si spartivano i bottini mi ha condotto sino a qui, a questo torneo, a questa finale. E’ decisamente il palcoscenico più importante cui i miei movimenti del braccio destro (ok, quello sinistro qualcosa fa, ma nulla di attinente alla simbiosi

braccio-racchetta-colpo che caratterizza l’altro) mi hanno condotto. Il mio rovescio, soprattutto, mi ha portato qui. La mia storia, condensata tutta in questo colpo che non è uno ma la possibilità d’esistere di centinaia di colpi, mi ha tenuto la mano nel tragitto che arriva ad oggi, ad ora. Nell’ultima mia esecuzione, nell’ultimo mio rovescio, si nascondono tutti i rovesci ad una mano che l’hanno preceduto e, con cambio di paradigma, tutti i rovesci a due mani che hanno preceduto quelli ad una. Dietro a quest’ultimo colpo, ci sono tutti i miei colpi, tutte le mie partite,

ogni mia emozione provata in campo ed incisa sul mio gesto motorio Interiore, quel colpo archetipico che non è un dritto, non è un rovescio ma precede e accompagna ogni dritto e ogni rovescio che io esegua, dall’inizio della mia carriera sino ad ora. Quel moto silente e compatto che agisce nei recessi più nascosti del mio animo e che permette al mio corpo di tentarne una riproduzione, sempre comunque imperfetta, sempre differente. La racchetta che sta dentro, ben più pervicace e duratura di ogni Wilson abbia mai tenuto in mano.


Tu, dall’altra parte del campo, stai per venire investito da una storia lunghissima, un racconto che solo considerando la mia biografia si estende per rade e pianure tra le più estese ci sia dato modo di osservare in questo mondo, ma che se aprisse squarci su tutte le vicende di sua competenza non basterebbe una storia della letteratura per riprodurne un’eco. Perché quello che ti sta arrivando, caro avversario, è l’ultimo e più recente esito della Grande storia cui stiamo partecipando. Una storia che coinvolge tanto i piani alti quanto quelli più bassi, Una manifestazione Spirituale che ha a che fare solo di sfuggita con l’evento mediatico e puramente umano che ne tenta la diffusione e congelazione, una striatura che ad ognuno non è lecito ma naturale compiere, ogni qual volta aderendo alla trama che lo sovrasta ne smuove i fili, ne allunga il tessuto, compromette il senso stesso della sua adesione. Ti sta arrivando, in altri termini, la tua stessa storia, il motivo per cui ti trovi di là a colpire. Non ti scuote un poco il fatto che ciò che stai per andare ad impattare con la

tua racchetta, la tua violenza, la tua fantasia, sia la ragione stessa per cui ti trovi su questo campo? Sei di là per colpire, per far collidere la tua protesi sportiva con il gioco che stai giocando, tutti quello che lo hanno giocato e lo stanno giocando, me fra tutti, anni ed anni di tornei, classifiche, trionfi, gioie, lacrime, lustri fatti tanto di circoli provinciali quanto di eventi dalla risonanza mediatica mondiale, Grandi campioni e piccoli amatori, stecche e vincenti. Stai per far vibrare la giustificazione per cui ti trovi qui, e questa scossa cambierà le sorti della partita, della tua carriera, della Storia. Sei sul punto di compiere un gesto che

segnerà per sempre coloro che vorranno praticare questa disciplina e il modo che avranno per farlo, sei lì lì per decidere del tuo futuro e di quello altrui, e, non posso tacerlo, la tua posizione d’attesa è tra le più belle che mi sia mai stato dato di ammirare. Sei semplicemente perfetto nel tuo movimento di recupero storico, nell’avvicinamento che la tua persona sta compiendo per inserirsi all’interno di un processo che in ogni caso l’attirerebbe a sé. Perché, per quanto tutto quanto evocato sia compresso all’interno della pallina ad aria compressa, tutto ciò andrebbe a coinvolgerti e inglobarti nel suo perimetro


anche se non ti riuscisse di impattare la piccola sfera pelosa. Forse allora non sta tanto nel modo oggettivo con cui pieghi le gambe, abbassi la spalla, allunghi il braccio sinistro come ad indicare che sì quella è proprio la storia che vuoi raccontare, non un’altra, la testa lievemente voltata a lato, il braccio destro inclinato a formare un angolo retto tra omero ed ulna; non sta tanto in questo assetto geometricamente impeccabile e stilisticamente ineccepibile la grandezza del tuo movimento, quanto nel fatto che tu con ardore, dignità e rispetto non indietreggi, ti immetti nel corso che le cose stanno prendendo e cerchi di farlo in bello stile, anzi, proprio in virtù del tuo avvicinarti ad un bagaglio di memorie così fitto non puoi che farlo in modo particolarmente raffinato, una sorta di provino inconsapevole cui ti sottoponi e dal quale esci a pieni voti nel momento stesso in cui scegli di abbracciare la storia. Se vuoi farlo, non puoi che farlo bene. E considerando la grandiosità della tua movenza attuale, non posso che prevedere un felicissimo quanto vincente incontro con la pallina.

Sei semplicemente strabiliante, così impassibile a svolgere il tuo compito nonostante le pressioni di così tante sorgenti, imperturbabile nel bel mezzo della tempesta più terribile. Certo, a quel punto passerai la palla, mi demanderei il compito di aderire o meno a tutto ciò che è stato ed è, mi sottoporrai allo stesso sovrastante cimento, e io dovrò sapere reagire, ancor meglio, agire. Solo che a quel punto il peso della storia potrà essere così pressante ed insopportabile da spingermi ai ripari, da farmi desistere dal rimettere ancora una volta la questione in gioco, o mi

potrà far credere di avere possibilità di scelta e di mutamento del suo corso mentre in realtà non farà altro che blandirmi per fagocitarmi all’interno delle sue spire. Tutto sta nel vedere se io risponderò o meno alla tua azione. Ma è così bella, così giusta, perché non sedermi semplicemente a terra per contemplarla e farmi sommergere da un’onda oceanica che avrà la dolcezza di un rivolo montano, la freschezza della sorgente e la speranza di un esito sempre da scoprire?



I recenti Internazionali d'Italia e il Roland Garros hanno fornito un quadro piuttosto indicativo della situazione del tennis italiano di oggi: qualcosa deve cambiare. Difficile per un paese che per sua natura nel passato storico è stato diviso fra guelfi e ghibellini, e infatti pare che nemmeno oggi questo status quo possa alterarsi e che quindi si possa risanare l'Italtennis da spaccature interne. Da una parte assistiamo al “tradimento” della Giorgi, colpevole di aver abbandonato la nave come Schettino, o ancor peggio di aver abbandonato la Nazione. Dall'altra parte siamo sempre più consapevoli che è mancato un ricambio generazionale in

L'Italtennis sempre più in giù by Giorgio Giannaccini

questi anni nei nostri tennisti. In campo femminile dopo il ritiro di Flavia Pennetta non ci sono più giovani di prospettiva, ci affidiamo alla solita Sarita Errani che a dire il vero sembra in fase calante, alle tenace Karin Knapp fin troppo tormentata dagli infortuni, e a Robertina Vinci, che si è guadagnata la top ten quest'anno ma che sappiamo bene che si ritirerà a fine anno o, al massimo, lo farà entro due anni, e poi più nulla, escludendo Camila Giorgi. Non meglio i maschietti: sembrava ieri quando Andreas Seppi era quel promettente ragazzo che poteva fare un po' di più, e invece ora è un atleta maturo dalla media classifica che più di


così non potrà fare; Simone Bolelli, grande promessa mancata, dopo la famosa litigata con la Federazione Italiana non si è più ripreso da quella batosta morale e non ha più raggiunto la posizione numero 36 del ranking Atp che aveva agguantato con coach Pistolesi e anzi sono ormai diversi anni che viaggia ai margini della top 100 e difficilmente tornerà a quei livelli; Fabio Fognini sembra invece aver fallito il momento magico in cui sembrava deciso e pronto per entrare in top ten; Paolino Lorenzi invece sembra aver raggiunto fin troppo nella sua carriera da umile gregario, nato nel circuito Challenger, è poi riuscito ha conquistare addirittura la top 50; infine ci sono i giovani Thomas Fabbiano e Marco Cecchinato, entrambi hanno assaggiato la top 100 ma ancora non sappiamo la loro vera cilindrata tennistica. Tornando piuttosto agli Internazionali d'Italia di quest'anno i numeri sono piuttosto crudi: 9 sono gli eliminati al primo turno, fra cui Sara Errani e Fabio Fognini. Opera di eliminazione che però è stata completata al secondo turno: infatti il sopravvissuto in campo maschile, Andreas Seppi, ha pagato dazio della condizione fisica non ottimale, e se già è stato un miracolo superare al primo turno un mediocre Vasek Pospisil solo con la forza di volontà con un tiratissimo 7-6 7-6, contro Gasquet si è infranta per 6-3 6-4 l'ultima speranza azzurra, mentre tra le donne Robertina Vinci, che aveva usufruito di un bye al primo turno, si è poi lasciata sconfiggere, praticamente all'esordio, dalla giovane speranza britannica Johanna Konta con un nettissimo e schiacciante 6-0 6-4. Insomma, difficile fare peggio di così. Il Roland Garros non va poi così tanto meglio del torneo di Roma: i maschietti vengono tutti eliminati al


primo turno, resistono piuttosto le donne, ovvero la “traditrice” Camila Giorgi e la combattiva Karin Knapp, che battono rispettivamente la francese Alize Lim, numero 156 Wta, con il punteggio di 6-3 6-2 e la bielorussa Victoria Azarenka, per ritiro, quando il punteggio era di 6-3 6-7 4-0 a favore dell'azzurra. Il secondo turno, ormai tutto rosa, è agrodolce: una Camila Giorgi che appare fisicamente sempre più esile si arrende piuttosto nettamente all'olandese Kiki Bertens per 6-4 6-1, Karin Knapp invece, forte della sua tempra combattiva, batte la lettone Anastasia Sevastova per 6-3 6-4. Ma al terzo turno la favola italiana si spegne: l'unica italiana rimasta in gioco cede di schianto alla kazaka Yulia Putinseva in un'ora e 14 minuti con un misero 6-1 6-1, e con lei la stagione dei tornei su terra battuta europea certifica di essere stata un

incubo vero per gli italiani. A questo dobbiamo anche aggiungere che i tennisti italiani, sia in questi anni sia in tutte le epoche passate, hanno sempre raggiunto i maggiori risultati tra tutte le superfici nella terra battuta, e un risultato del genere è doppiamente preoccupante. Si può ancora dire che va tutto bene? Non sarebbe forse l'ora di fare mea culpa e cambiare qualcosa all'interno della Fit? L'Italia se non cambierà all'interno difficilmente potrà fare meglio, e Binaghi potrà ancora negare la realtà dei fatti? Staremo a vedere.



La fascite plantare: un disturbo comune tra i tennisti by Rodolfo Lisi

All'interno del mio sesto libro sul tennis, dal titolo "Patologie degli arti inferiori nel tennista" (Aracne Edizioni, www.aracneeditrice.it, euro 10), ho affrontato le più comuni patologie degli arti inferiori del giocatore di tennis (Figura copertina) Tra queste, la fascite plantare. La fascite plantare (o entesite plantare o talalgia posteriore), spesso accompagnata da una calcificazione (sperone calcaneare) a livello della apofisi mediale della tuberosità calcaneare (in sede di inserzione della fascia), è una comune patologia del piede e frequentemente secondaria a sovraccarichi meccanici diretti od indiretti.

L’eccessiva tensione della fascia sulla sua inserzione calcaneare — in stazione eretta o in deambulazione — determina reazione infiammatoria e dolore, dapprima elettivamente prossimale e puntiforme e successivamente esteso distalmente sino alla porzione predigitale della struttura. E ciò, a maggior ragione, se si configurano condizioni statiche (piede cavo, piede piatto, piede lasso, brevità dell’achilleo), minore mobilità della sottoastragalica e

condizioni dinamiche (sovraccarico funzionale da iperattività, acuto o cronico; errate modalità di training nello sportivo; discinesia del passo da cause disfunzionali e neurologiche) o anatomiche associate (obesità o anche semplice sovrappeso; deformità congenite o secondarie a traumatismi come negli esiti di frattura). Il paziente presenta dolore nella regione mediale del calcagno soprattutto al mattino e all'inizio della deambulazione dopo riposo. Con il movimento, il dolore può sparire ma


ripresentarsi in stazione eretta o successivamente a deambulazione prolungata. In una seconda fase, il dolore è costante sotto carico e può essere di grado elevato. È opportuno considerare — oltre alla storia clinica del paziente che indaga pregresse patologie che possono aver influito distrettualmente sui sintomi — il sovrappeso, l’appoggio e la deambulazione, che andranno opportunamente corretti per ottenere una risoluzione duratura dei sintomi. L’esame obiettivo identifica il punto del dolore: la palpazione e la digitopressione aggravano i sintomi. Non vi è solitamente edema degno di nota; se presente, la tumefazione è localizzata alla parte posteriore del piede e piuttosto circoscritta. È necessario — in caso di fascite plantare — eseguire esame radiologico del piede destro e sinistro sotto carico nelle due proiezioni standard, associando anche la valutazione assiale del calcagno. Qualora si sospetti un disallineamento che coinvolga strutture sovrastanti e si ripercuota distalmente, bisogna coinvolgere anche bacino, anca e ginocchio nello screening radiografico. L’ecografia è di grande ausilio nella valutazione di calcificazioni associate, dell’integrità e delle caratteristiche strutturali della fascia, della presenza di nodularità o tumefazioni. L'esame è indolore, ripetibile e privo di effetti collaterali, per cui si delinea come test strumentale di prima scelta nella diagnostica. TAC e RMN verranno eseguiti solo su dubbi particolari (rispettivamente per una migliore valutazione strutturale ossea e per una visualizzazione accurata dei tessuti molli; in alcuni casi è indicato anche l’utilizzo di mezzo di contrasto) così come esame scintigrafifio (patologie intrinseche all’osso, talvolta pluridistrettuali). La terapia infiltrativa a base di cortisonici è da ritenersi applicabile solo se limitata a brevi periodi di tempo (somministrazione una tantum). Diversamente, il rischio di rottura

della fascia è elevato: il cortisone “richiama” l’acqua, provocando imbibizione del tessuto fifiroso, i legami idrogeno del collagene si allentano e l’aponeurosi plantare, pertanto, diventa relativamente più cedevole. I farmaci possono essere utilmente applicati per via mesoterapica, associando antinfiammatori o semplice soluzione fisiologica, dato che uno dei principali effettidi quest’ultima metodica presenta meccanismi d’azione reflessogeni, stimolati dalla pressione del farmaco sulle strutture dell’ectoderma. Ovviamente, le terapie strumentali sono impiegabili contro il dolore. Le onde d’urto — da più parti considerate il trattamento d’elezione — esercitano azione antinfiammatoria, antalgica e di rivascolarizzazione. Il ricostituirsi strutturale e metabolico del tessuto connettivo si avvale di una dieta ricca in vitamine e sali minerali, ridimensionando al contempo l’assunzione di alimenti di origine animale (la diminuzione delle protei-ne animali riduce l’acidità del sangue e la produzione di radicali liberi


promuovendo, appunto, il fisiologico turn­over rigenerativo). È sempre imperativo valutare l'appoggio statico e dinamico del piede tramite podogramma che, unitamente ai dati rilevabili alla semplice radiografia, può orientare verso l’utilizzo contestuale di ortesi plantari a correzione e sostegno di appoggi errati. Trattandosi molto spesso di una disfunzione del sistema achilleo­plantare, abnormemente in tensione di frequente nei piedi cavi, il ricorso ad esercizi di allungamento del complesso mio­ tendino­fasciale è vivamente caldeggiato. Ad esempio, il soggetto — in ortostatismo —è invitato a comprimere una pallina da tennis sotto la pianta del piede fino alla sensazione di leggera dolenzia (Figura 2) così da “desensibilizzare” le fibre fasciali in base al principio secondo cui la stimolazione ripetuta possa ridurre il pool di mediatori algogeni locali e/o la soglia di eccitabilità neuronale centrale e periferica. È ragionevole, poi, proporre alcuni esercizi di rinforzo, riferiti a distretti quali l’arto inferiore, il cingolo pelvico e la stessa colonna vertebrale, affinché il movimento del piede avvenga con le dovute sinergie e sincronie in accordo ad un ormai imperante, e del tutto condivisibile, approccio globale verso l’intera catena cinetica.



Leadership by Nick Bollettieri

In tutta la mia vita, sono stato molto fortunato ed ho potuto fare tantissime cose, tra cui anche paracadutismo a West Point , per il mio 80 ° compleanno. Un viaggio in Iraq e in Afghanistan per parlare alle nostre truppe, volare con i famosi Blue Angels in un sofisticato F-18. Il mio pilota era Scott Beare, siamo diventato molto amici ed abbiamo condiviso pensieri e opinioni sulla leadership . Parliamo un po ‘ del ruolo di un leader iniziando con alcuni paragrafi del libro del tenente Scott Beare e di Michael McMillan "The Power of Teamwork:, Ispirato dagli Angeli Blu". Il ruolo di un leader comporta grande onore e responsabilità. Ora concentriamoci su quelli che non possono essere un leader: 1) un leader che che cerca sempre scuse 2) Rimane in secondo piano e si nasconde dietro una scrivania Sia Kenneth Blanchard e Spencer Johnson M.D. Ph.D. pensano che una leadership efficace inizia dal cuore: "Il tuo cuore controlla la tua motivazione, i tuoi intenti e il tuo carattere di leader" . Hanno

spiegato che "I manager potrebbero porre obiettivi e poi sparire, fino al fallimento. Oppure intervenire,fare confusione e poi sparire ancora, pensando di essere grandi leader”. Ho aperto l'Accademia nel 1976 con 6 a 8 allenatori, insieme al mio amico Mike Depalmer. Credetemi, non sapevo molto di come si conduce una Academy ma c'erano alcune semplici regole che avevo imparato, rapidamente, quando ero un paracadutista.

1) Abbiamo sempre seguito la procedura che un ufficiale o un sergente devono condurre il lancio ed essere gli ultimi a saltare. Ero un ufficiale e capii perché di questa regola. Mi permetto di condividere una storia con te: Una volta, durante una esercitazione particolare, ero il primo. Durante il sorvolo di zona di lancio, , un giovane non ufficiale era seduto accanto a me e mi chiese se stavo per saltare. Con calma ho risposto “Sì”, anche se ero spaventato a morte, ma sapendo il mio ruolo di leader, sapevo che dovevo


dare fiducia. Lui rispose: "Se tu salti, io salto.” 2) Quando la nostra Accademia ha cominciato ad espandersi, mi sono reso conto di quanto fosse importante che ognuno riceva il credito per il lavoro fatto, lavorando come un team. Non importa quello che alcuni pensano, la mia esperienza mi ha insegnato che i leader di successo conoscono il potere del lavoro di squadra, attingendo forza da ognuno del team. Un mio caro amico , Marilyn Nelson , ed ex amministratore delegato della Società Carlson mi ha spiegato che nella loro società tutti sono importanti,

non importa quale sia il loro ruolo. In chiusura , un leader deve essere quello che accetta il successo o il fallimento e non cambia il ruolo di leader. PS . Non c'è dono più grande per i dipendenti di una semplice pacca sulla spalla .


Lavora Duro, lavora in modo Intelligente by Federico Coppini Chiunque legga regolarmente i miei post, saprà quanto mi appassionano tre cose: il tennis, lo UFC e la musica. In particolare, quella di Noel Gallagher. Sapete anche che sono fermamente convinto del fatto che nello sport si ottiene in base a ciò che si dà, e lo stesso nella vita. Non esistono al mondo due atleti che dimostrino ciò che penso, più di Conor McGregor e Ronda Rousey, le due star più grandi dello UFC in questo momento.

Ronda Rousey ha difeso il suo titolo UFC in appena 34 secondi nella sua ultima lotta, a seguito dei precedenti tre incontri durati 14 secondi, 16 secondi e 1 minuto e 6 secondi. Si trattava di incontri per il titolo mondiale contro i migliori del mondo e ciò dimostra perché Sports Illustrated ha votato lei come atleta più dominante al mondo. Conor McGregor è esploso sulla scena dello UFC due anni fa e ha infranto ogni record dello sport lungo il suo percorso verso l’Interim Featherweight Championship mondiale del mese scorso. Molti direbbero che questi

due atleti sono nati così, ma ciò di cui questa gente non si rende conto è che probabilmente non esiste un atleta sul pianeta che lavori più duramente di Rousey e McGregor. È vero che ogni atleta nello UFC ha impiegato migliaia di ore di lavoro estenuante per arrivare all’organizzazione mondiale delle arti marziali miste (MMA). Per diventarne uno dei principali atleti, bisogna essere eccellenti in ogni sport di combattimento. Pugilato, wrestling, jiu jitsu, muay thai, per nominarne solo alcuni. E come i loro livelli di abilità sono fuori dalla media, lo stesso di può dire della loro forma fisica. Ciò che divide Rousey e McGregor dagli altri è la loro


ossessione per le MMA. Si tratta di qualcosa che non possono mettere a tacere. Ronda è famosa per il valore incredibile del suo lavoro a partire dai tempi in cui è diventata la prima donna statunitense a vincere una medaglia Olimpica nel judo. Ha trasferito quell’etica di lavoro per diventare la miglior donna al mondo nelle arti marziali miste, con molti esperti che la reputavano vent’anni avanti rispetto ai suoi rivali. Dice “Sono pessima in quanto a riposo. Ho un problema, un giorno difendo la mia cintura e due giorni dopo sono già in palestra. Non so cosa farci.” In merito alla sua ultima avversaria Bethe Correia, ha detto “ho

fatto migliaia di esperienze che questa ragazza non può aver minimamente fatto da quando ha deciso che le MMA erano una forza ad adesso. Non mi raggiungerà mai.” Conor ha affermato in diverse interviste “la mia ossessione è il movimento” e anche di essere “ossessionato dal gioco” ed è conosciuto come uno che passa ore a studiare i movimenti sia degli umani sia degli animali nel loro habitat naturale. Come Rousey, McGregor non è molto bravo a riposare. “È tutto ciò a cui penso. 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Mi alleno tutto il giorno qui e mi sposto in diverse palestre e quando la sera tardi arrivo a casa la mia adrenalina è ancora a mille per cui spesso mi alleno con la mia ombra in camera mia. Per arrivare ad un livello alto, credo serva questa ossessione.” La sua ragazza da otto anni, Dee Devlin, ribadisce il punto dicendo “lui non ha hobby, non gioca a golf. Tutto quello che fa fuori dall’allenamento è correlato all’allenamento, come correre. Per lui è difficile anche guardare un film. Concentrarsi su qualcosa [che non sia relativo alla lotta o al movimento] per due ore è

una cosa difficile per Conor.” Tom Egan, amico e compagno d’allenamenti di McGregor commenta “questa è la sua vita. È tutto ciò che ama fare. Dopo aver battuto Dennis Siver, fondamentalmente ci siamo procurati un po’ di cibo e siamo andati in palestra. È il nostro hobby.” L’altra cosa che mi impressiona di questi due lottatori è la loro incrollabile sicurezza e fiducia in sé. Sebbene tutti i lottatori in qualunque sport di combattimento abbiano bisogno di sentirsi incredibilmente fiduciosi in un ambiente in cui c’è un serio rischio di infortunio, Rousey e McGregor hanno una fiducia in loro stessi che non ho mai visto prima, su un altro livello rispetto al 99% degli altri atleti e che trovo veramente di grande ispirazione. Da dove arriva questa sicurezza? Semplice. Dalla preparazione, ore ed ore dedicate a migliorare la loro arte e a sviluppare le abilità, la mentalità, il movimento, la tecnica, ecc.... Quando ogni momento è dedicato a diventare il migliore, lavorando ore, vivendo e respirando il gioco, togliendosi ogni giorno dalla propria comfort zone, non


c’è spazio per il dubbio. C’è un modo di dire nel mondo della lotta ‘allenati duramente, combatti facilmente’ e Muhamed Ali diceva sull’allenamento “non mollare. Soffri ora e vivi il resto della tua vita da campione.” Nonostante Rousey e McGregor siano molto diversi nel modo in cui si incentivano (Ronda parla molto all’interno dell’ottagono mentre Conor urla molto, è sfacciato ed è molto all’avanguardia con la sua sicurezza e la debolezza che vede negli avversari. È il suo parlare sporco alla Muhamed Alì e il fatto che è sostenuto da tutto quello che ha detto fino ad ora, che ha giocato una parte così

grossa nel portare lo UFC ad un pubblico più mainstream nel Regno Unito.), a mio avviso sono entrambi eccezionali modelli per qualunque aspirante atleta per via del loro lavoro etico e la devozione sconcertanti. È questo lavoro etico e la devozione che hanno mandato molti uomini e donne ai vertici del campo da loro scelto. Troppi da menzionare in questo articolo. Molti, molti nomi che avete sentito probabilmente spesso e molti altri che non avete mai sentito affatto. Per dire giusto un paio di atleti che hanno raggiunto l’apice del loro sport: primo, Roger Federer. Federer è ampiamente considerato come il più grande tennista

di tutti i tempi, giocando un livello di tennis consistente, magnifico, così bello che vi verrebbe da pensare che abbia un dono divino, che sia un genio del tennis per nascita. La verità è che Federer ha lavorato duramente. Dall’età di quattro anni ha passato ore ed ore guardando il tennis in tv. E nonostante quello fosse il suo sport preferito, ha giocato molto a calcio e squash fino ai 12 anni. Questo lo ha aiutato a diventare l’atleta incredibile che è oggi e probabilmente il migliore a muoversi che si sia mai visto sui campi. Non c’era altro ce volesse diventare se non un campione di tennis. Un altro che è stato


recentemente descritto come il miglior tiratore di punizioni di sempre dalla leggenda brasiliana Roberto Carlos, è David Beckham. Come Federer, è facile pensare che sia nato con quel piede destro magico ma Beckham ha passato ogni minuto possibile esercitandosi con le punizioni, i calci d’angolo e i cross quando era un ragazzino. Si è allenato per ore ed ore con suo padre finché è diventato professionista, quando invece rimaneva molto dopo che i suoi compagni del Manchester Utd erano andati a casa, esercitando i suoi tiri a palla morta. Sia Federer sia Beckham erano ossessionati dai loro sport preferiti ed erano ostinati a farcela nel diventare grandi. Questo nonostante lo scetticismo dei loro insegnanti di scuola. Ci inganniamo quando questi maestri della loro arte fanno sembrare tutto così facile. Quando Federer fa sembrare il suo diritto così semplice, pensiamo sia dovuto ad un talento naturale. Quando Michael Jordan faceva sembrare tutto così facile, doveva essere per il suo talento naturale. In realtà, Federer ha colpito milioni di dritti e ha speso centinaia di ore lavorando sul gioco di piedi, perfezionando il proprio movimento. E nel

caso di Jordan, nessuno avrebbe potuto prevedere che grande star sarebbe diventata dopo esser stato scartato dalla squadra di pallacanestro della scuola quando aveva 15 anni. È stato il lavoro duro e caparbio in seguito all’esclusione che ha reso Jordan la leggenda che è. Ha notoriamente detto una volta “Ho sempre creduto che se si lavora duramente, il risultato arriva. Non faccio le cose con incertezza. Perché so che se lo faccio otterrò risultati incerti.” Ed un’altra volta “certa gente vuole che le cose accadano, altri desiderano che accadano, altri le fanno accadere.” Attenendoci sempre ad aspetti della vita che amo, vi farò altri due esempi dal mondo della musica, Jimi

Hendrix e Noel Gallagher. Jimi Hendrix è considerato il più grande chitarrista di sempre da molti musicisti. Di nuovo, se chiedete all’uomo medio, vi dirà che deve aver avuto un talento divino. Ma come Rousey, McGregor, Federer e Beckham, Jimi Hendrix era ossessionato. Ossessionato dalla chitarra, dicendo “la musica è la mia religione” e “il mio obiettivo è di diventare una cosa sola con la musica. Dedico semplicemente la mia intera vita a questa arte”. Si dice che non abbia mai e poi mai riposto la sua chitarra e persino che se la portasse in bagno. Noel Gallagher, assieme a John Lennon, Paul McCartney e Pete Townshend, è uno dei miei cantautori preferiti di tutti i tempi. Proprio il mese


scorso, parlando del suo talento musicale in un’intervista, ha detto “posso tranquillamente dire che non ho avuto vantaggi nella vita, se non altro la fortuna mi è stata decisamente avversa e se oggi sono dove sono è solo grazie alla sola forza di volontà. Credo che nella vita, se si è sufficientemente realisti, si può ottenere ciò che si vuole” aggiungendo “le mie ispirazioni e i miei obiettivi erano di diventare la più grande rockstar al mondo [e ce l’ho fatta] grazie alla semplice determinazione”. Ogni esempio di cui ho fatto menzione supporta il lavoro che Daniel Coyle mostra nel suo libro “The Talent Code” dove sfata il mito secondo il quale il talento è qualcosa con cui i nascono i grandi bensì è qualcosa che i grandi

hanno guadagnato attraverso il duro lavoro e l’esercizio profondo. Nessuno nasce campione. I campioni lavorano incredibilmente duro, intelligentemente, incessantemente. McGregor ha detto dopo aver vinto la cintura Interim Featherweight il mese scorso “Credo onestamente che non ci sia una cosa come il farsi da sé. Credo che non esista. Nel mio caso no di certo.” Questi atleti e musicisti mostrano la tenacia, la persistenza e la risolutezza necessarie per diventare i migliori. Nel caso di giovani atleti però, questa risolutezza deve essere nutrita. Come ho detto molte volte nei precedenti post, è estremamente importante che i futuri Federer e Beckham non rimangano legati ad uno sport e proprio come Federer,

pratichino vari sport fino ai 12 anni. Sebbene siano necessarie ore di duro, intelligente, profondo allenamento per arrivare ai vertici, i benefici di praticare più sport in giovane età e l’atleticità generale che questo comporta, sono ugualmente importanti. Ciò che è altrettanto importante, e che ogni atleta e musicista qui menzionato possiede, è avere una mentalità in crescita e la capacità di non aver paura di fallire. Tutto il duro lavoro nel mondo non sarà sufficiente se avete una mentalità fissa e avete paura di fallire. Perciò lavorate duro, lavorate con intelligenza, mantenete una mentalità in crescita e NON ABBIATE PAURA DI FALLIRE.



Questa canotta grazie a un tessuto con tecnologia climachill, simile al mesh che utilizza puntini in alluminio argentato all’interno del tessuto, allontana il calore garantendo massima freschezza anche nei match più lunghi. I pannelli in mesh migliorano la ventilazione; il taglio aderente ed elasticizzato segue i movimenti del corpo. L’intera struttura è realizzata con poliestere riciclato che ha un minore impatto sull'ambiente e permette di ridurre le emissioni. Prezzo di listino 55.00€

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Ad accompagnare la canotta abbiamo questa gonna da tennis che asseconda perfettamente i movimenti del tuo corpo anche negli scambi più rapidi. Creata insieme alla canotta per alcune fra le migliori giocatrici del mondo come Garbine Muguruza e Caroline Wozniacki, utilizza la tecnologia climacool fresca e ventilata che allontana l'umidità dalla pelle quando le partite si fanno più intense. Il girovita elasticizzato assicura un'ampia libertà di movimento. Prezzo di listino 55.00€


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La nuova collezione “Tournament Crew di New Balance per Milos Raonic” include anche i pantaloncini “Tournament Short”. Realizzati in tessuto elasticizzato ultra leggero, questi pantaloncini presentano un tassello e carré posteriore in mesh, per garantire una traspirabilità eccellente. Il tessuto increspato a strisce elasticizzato e ultraleggero realizzato con materiale 88% nylon e 12% Spandex; assicura una liberta di movimento invidiabile. Prezzo di listino € 55.00


Adidas e Y-3 a Parigi con innovazione by Edoardo Di Mino Anche quest’anno Adidas e Y-3, dato il successo dello scorso anno, hanno deciso di rinnovare in vista del prossimo Roland Garros la loro collaborazione. La nuova collezione trae inspirazione dal camouflage tipico degli anni '40 e '50 con l’intento di far sentire a proprio agio chi lo indossa e distrarre l’avversario. Ma andiamo a vederle nel dettaglio. Cominciamo dalla linea femminile, la canotta sfoggia un moderno design dalle linee pulite. Caratterizzata da una struttura in tessuto climalite antiumidità con motivo grafico accattivante, offre una vestibilità ottimale grazie alle fasce di supporto sulla parte anteriore e posteriore. Anche la gonna realizzata con tessuto climalite antiumidità presenta un rivestimento in mesh per una silhouette femminile. Sulla gamba sinistra è in mostra il logo Roland Garros. La polo della collezione maschile, caratterizzata da una confortevole struttura in jersey con zip da ¼, sfoggia un look casual e un accattivante design grafico con pannelli in tinta unita. I pantaloncini dotati di tecnologia di ventilazione climacool, garantisce freschezza e comfort sfoggiano, come per il modello femmile, grafiche Y-3 sulla gamba sinistra. Realizzate in collaborazione con Yohji Yamamoto, queste scarpe da tennis offrono prestazioni di alto livello e uno stile unico. La struttura Barricade offre massima stabilità e tutta la flessibilità di cui ogni giocare ha bisogno per effettuare cambi di direzione rapidi e movimenti aggressivi. La tecnologia Boost garantisce un ritorno di energia imbattibile, all'insegna della leggerezza e della velocità.


Graham Williamson, Senior Director di Adidas, spiega:

"Abbiamo progettato la nuova collezione in modo da ridurre al minimo le distrazioni per i giocatori. Il risultato è una massima funzionalità per l’atleta senza sacrificare lo stile" Lawrence Midwood, direttore del design Y-3 racconta: "Siamo stati onorati di poter far parte della collezione Roland Garros anche quest'anno, e di avere l'opportunità di creare qualcosa di veramente speciale per uno dei più grandi stadi del tennis. Il nostro obbiettivo è quello di rompere gli schemi dell’abbigliamento tennistico ormai troppo predefiti cercando invece l’eccellenza a livello funzionale e visivo."


Progettata per il giovane tennista emergente Alexander Zverev, Head ha presentato in edizione speciale un restyling in chiave giovane della rinomata serie SPEED. Ispirata alla serie di racchette Graphene XT Speed, questa edizione limitata si distingue per il suo design originale. Presenta infatti un design moderno e fresco caratterizzato da colori metallici satinati, che garantiscono all’attrezzo quel giusto di cattiveria. Dal punto di vista tecnico, come la sorella maggiore, la SPEED LIMITED EDITION 2016 vanta le migliori tecnologie. Parliamo della rivoluzionaria tecnologia Graphene XT, che permette di spostare la massa nei punti più strategici della racchetta per ottenere un migliore trasferimento dell’energia e un gioco ancora più veloce. Il peso senza corde è di 300g, mentre lo

La collezione Head Speed Limited edition 2016 per la nuova generazione by Carlo Cazzaniga schema corde 16/19 permette di giocare con ancora più spin. Una racchetta che si rivela maneggevole e facile da “muovere” per creare facilmente rotazioni e grande potenza di gioco. La consigliamo al tipico agonista di nuova generazione che vuole regalarsi velocità, potenza e versatilità, ma anche a giocatori di livello intermedio grazie alla già citata maneggevolezza che ne facilita l’utilizzo. DATI: PESO (SENZA CORDE): 300 g / 10.6 oz CORDA CONSIGLIATA: 16/19 AREA TESTA: 645 cm² / 100 in² MISURA GRIP: 1-5 BILANCIAMENTO (S. CORDE): 320 mm / 1 in HL LUNGHEZZA: Standard, 685 mm / 27 in PROFILO: 22 mm








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