Murray, la lunga rincorsa del numero 1
by Marco Di Nardo Lunedì, 7 novembre 2016. Una data che rimarrà per sempre nella storia del tennis: Andy Murray diventa il 26esimo giocatore ad occupare la prima posizione del Ranking ATP, da quando questo è stato adottato per la prima volta nel 1973. Una lunga rincorsa quella del britannico, che da tanti anni è uno dei protagonisti principali della scena mondiale, e che già tante volte aveva disputato delle grandi annate tennistiche, pur non riuscendo ad avere quella continuità che è fondamentale per diventare il numero 1. Tutto è iniziato nella seconda parte del 2008, quando un giovanissimo Andy stupisce il mondo del tennis conquistando i quarti di finale a Wimbledon, mettendo a segno una incredibile rimonta negli ottavi contro Richard Gasquet, recuperando uno svantaggio di due set e un break, con il francese che arriva a servire per il match sul 5-4 del terzo parziale prima di subire il rientro di Murray. Da quel momento in poi i progressi dello scozzese sono costanti, e nel giro di pochi mesi arrivano il primo titolo in un Masters Series, a Cincinnati, e la prima finale Slam, persa a New York contro Roger
Federer. Murray si qualifica quindi per la Tennis Masters Cup di Shanghai a fine anno, facendo di tutto per vincere il suo girone da imbattuto, e ci riesce superando Andy Roddick, Gilles Simon e Roger Federer, ma lo sforzo fatto per battere lo svizzero per 7-5 al terzo parziale, a qualificazione già ottenuta, gli sarà fatale: Andy è l'unico giocatore ad approdare alle semifinali senza aver perso alcun incontro - l'altro girone viene vinto da Djokovic, ma con due vittorie e una sconfitta - il giocatore britannico è però troppo stanco e viene sconfitto al penultimo atto da Nikolay Davydenko. Ad ogni modo, Murray chiude l'anno al numero 4 del mondo, e sembra essere il più in forma di tutti in vista del 2009. All'inizio della nuova annata, Andy dichiara infatti come obiettivo stagionale la conquista del suo primo torneo dello Slam, e le premesse sembrano essere le migliori. Al Capitala World Tennis Championship 2009, prima edizione del torneo di esibizione che si gioca ad Abu Dhabi in apertura di stagione, Murray batte prima Federer in semifinale e poi Nadal in finale, conquistando il titolo; la settimana dopo supera ancora Federer a Doha, e vince il torneo battendo Roddick in finale. Sembra quindi essere lo scozzese il
principale favorito per l'Australian Open, ma la beffa arriva proprio a Melbourne, in cui viene sconfitto agli ottavi di finale da un Fernando Verdasco più in forma che mai. Quella che doveva essere la stagione del sorpasso sui rivali, diventa un'annata abbastanza negativa, visto che il 2009 sarà l'unico caso in cui Murray non raggiungerà nemmeno una finale Slam dal 2008 al 2013 compresi. Tuttavia, nel mese di agosto, grazie anche ai risultati ottenuti nel finale del 2008, Andy raggiungerà la posizione numero 2 del ranking ATP, persa quasi subito, visto che a fine anno sarà ancora numero 4. Quello raggiunto ad agosto, sarà il suo best ranking ancora per tanti anni… A partire dal 2010, la conquista del primo Slam diventa quasi un'ossessione per Murray, che torna a disputare una finale proprio in quella stagione, all'Australian Open, perdendo contro Federer come era successo agli U.S. Open 2008. L'anno successivo, il 2011, Andy è ancora in finale in Australia, ma perde di nuovo, in questo caso contro Djokovic. Il dato sorprendente, in negativo, è che in 3 finali Slam, Murray non ha conquistato nemmeno un set, uscendo sconfitto sempre in 3 parziali: non ci sono dubbi, lo scozzese soffre mentalmente i grandi appuntamenti, sono troppi anni che i britannici aspettano una vittoria in uno Slam, che manca da Fred Perry nel 1936. Tra il 2008 e il 2011 Murray conquista infatti due Masters Series/Masters 1000 in ogni stagione, è uno dei tennisti più costanti, ma quando si tratta di competere negli Slam, non riesce proprio a trovare la zampata vincente, schiacciato dalla pressione di un popolo che non aspetta altro che il suo successo. All'inizio del 2012 Murray è ancora considerato l'anello debole dei Fab-4, il Ringo Starr dei Beatles: fa parte dell'élite, ma gli altri 3
(Djokovic, Nadal, Federer) vengono prima di lui, e solo un successo importante può cambiare la situazione. La svolta sembra arrivare a Wimbledon, dove Andy raggiunge la sua quarta finale Slam. Per la terza volta il suo rivale è Federer, e in questa occasione Murray riesce finalmente a conquistare un set, il primo. Il successo è vicino, ma non troppo: lo scozzese si fa rimontare, e a conquistare la vittoria è lo svizzero, al suo settimo trionfo sull'erba londinese. Arriva quindi l'ennesima delusione, ma un mese dopo si torna a Wimbledon per giocare le Olimpiadi di Londra 2012: non è uno Slam, ma qualcosa di molto simile, e Murray batte Djokovic in semifinale, prima di prendersi la rivincita in finale su Federer, per conquistare una medaglia d'oro che vale quanto un trionfo Major. Il successo permette ad Andy di acquistare molta fiducia, quella che forse gli era sempre mancata per conquistare uno Slam, e infatti agli U.S. Open arriva il successo che alla Gran Bretagna mancava da 76 anni: lo scozzese batte Djokovic in una incredibile finale di 5 set, e conquista il primo Slam britannico da Fred
Perry nel 1936.
campo solo nel 2014.
Tutto è cambiato, o quasi. La doppietta Olimpiadi-U.S. Open ha fatto dimenticare le tante sconfitte maturate negli anni precedenti, e nel 2013 è tempo di conquistare anche Wimbledon, 77 anni dopo l'ultimo successo britannico, sempre del solito Fred Perry. Andy non ha più paura dei grandi appuntamenti, e nella finalissima non dà scampo a Djokovic, superandolo in 3 set, per quello che è il suo secondo Slam della carriera. Cosa manca ormai nella bacheca di Murray? Solo conquistare la prima posizione nel ranking, ma sembra essere questione di qualche mese: Ivan Lendl, allenatore dello scozzese, afferma che il suo allievo è il numero 1 "morale" dalla seconda parte del 2012 alla prima metà del 2013, ed in effetti i risultati sembrano dargli ragione. Ma dopo la sconfitta nei quarti di finale agli U.S. Open subita contro Stan Wawrinka, Murray si ferma. Un infortunio alla schiena che il giocatore britannico si porta dietro da molto tempo, lo costringe ad operarsi, e a tornare in
Dopo l'operazione, arriva la stagione più difficile per Andy, che in tutto il 2014 non riesce ad ottenere alcuna finale negli Slam (solo una semifinale al Roland Garros), e nemmeno una semifinale nei Masters 1000. A fine anno Murray è numero 6 nella classifica mondiale, dopo essersi qualificato miracolosamente per le ATP World Tour Finals di Londra, dove comunque porta a casa solo una vittoria e due sconfitte, tra cui quella contro Federer con l'incredibile score di 0-6 1-6. Nel 2015 però una buona preparazione invernale, che nel 2014 era stata chiaramente disturbata dall'operazione, dà i suoi frutti, e Andy è subito competitivo, raggiungendo la finale all'Australian Open, dove tuttavia viene sconfitto da Djokovic. Dopo aver riportato la Gran Bretagna al successo in uno Slam nel 2012, e a quello di Wimbledon nel 2013, in questa stagione Murray rende ancora felice il suo popolo trascinando la squadra britannica di Coppa Davis ad un incredibile trionfo, maturato in finale grazie alla vittoria sul Belgio. Nonostante non abbia vinto alcun titolo Slam, il 2015 è il primo anno in cui Andy chiude la stagione al numero 2 della classifica mondiale. Per chiudere il cerchio, manca solo la vetta del ranking. Ed eccoci al 2016. Djokovic sembra essere il Re incontrastato, ha vinto 3 Slam nel 2015, e inizia il nuovo anno vincendo l'Australian Open, i Masters 1000 di Indian Wells e Miami, e poi quello di Madrid. E Murray? Lo scozzese è lontanissimo dal serbo, ha perso la finale in Australia, è stato eliminato al terzo turno nei primi due Masters 1000, e ha perso ancora in finale a Madrid. Come se non bastasse, la finale del Roland Garros vede ancora Novak e Andy a
giocarsi il titolo, con l'ennesima vittoria del serbo. Poi arriva Ivan Lendl, che aveva già allenato lo scozzese nel periodo delle due vittorie Slam, e che torna sulla sua panchina per la parte di stagione che si gioca sull'erba. Murray vince immediatamente il torneo del Queen's, ma quando a Wimbledon Djokovic viene eliminato al terzo turno, il giocatore britannico capisce che qualcosa può cambiare: l'occasione è troppo grande, Andy non se la fa scappare, e batte Raonic in finale, conquistando il suo terzo titolo dello Slam. Ma Djokovic è ancora lontano, ha comunque vinto due Slam su tre, anche se lo scozzese è l'unico ad aver raggiunto tre finali. Nel post-Wimbledon, poi, Murray salta il Masters 1000 di Cincinnati, in cui vince proprio Novak, ristabilendo le distanze. In più, il torneo Olimpico non dà punti per il ranking, per cui non c'è possibilità di recuperare punti a Rio. Eppure è proprio
questo il torneo in cui forse si decide la stagione: Djokovic perde al primo turno contro del Potro, e Murray conquista il titolo, diventando il primo tennista della storia a vincere due medaglie d'oro in singolare alle Olimpiadi. Non ci sono punti in palio, è vero, ma questo risultato lascia il segno. Il serbo sembra non essere più tranquillo come prima, ha qualche problema fisico (un lieve infortunio al polso) e anche qualche situazione che lo turba al di fuori del tennis, o almeno questa è l'impressione; dall'altra parte, Murray è in ottima forma e ha una grande fiducia data dai recenti successi. Novak salta il torneo di Cincinnati, Andy lo gioca e raggiunge la finale, recuperando qualche punto in classifica. Ma agli U.S. Open la rincorsa sembra nuovamente fermarsi, quando Murray viene eliminato ai quarti di finale da Nishikori, e Djokovic usufruendo di ben tre ritiri dei suoi rivali conquista la finale: se vince il titolo, il
numero 1 è praticamente sicuro di restare in vetta fino al termine della stagione. Ma Novak non è più il cannibale del 2015 e della prima parte dell'anno, viene sconfitto da Wawrinka, e i giochi in classifica restano aperti. Il resto è storia recente, Andy vince il torneo di Pechino, il Masters 1000 di Shanghai, l'ATP 500 di Vienna, e ancora il Masters 1000 di Parigi; Djokovic non è più lo stesso, nervoso e falloso in campo, e non conquista più nemmeno una finale. Il momento del sorpasso è arrivato: la sconfitta del serbo ai quarti di finale di Parigi contro Marin Cilic, e il contemporaneo approdo in finale di Murray, maturato grazie al forfait di Raonic in semifinale, regalano a Andy l'unico grande traguardo che mancava alla sua carriera. Il numero 1 chiude il cerchio, dopo una lunghissima rincorsa iniziata addirittura nel 2008.
Con 8 titoli vinti nel 2016, tra cui Wimbledon, le Olimpiadi e 3 Masters 1000 (Roma, Shanghai e Parigi), Andy Murray ha meritato pienamente il raggiungimento di questo traguardo, la prima posizione del ranking ATP, che dovrà difendere alle ATP World Tour Finals di Londra, in cui Djokovic tenterà di riprendersi immediatamente lo scettro di numero 1. In ogni caso, con 3 titoli dello Slam, 2 titoli Olimpici, e il raggiungimento del primo gradino del Ranking, il palmarés di Murray ha già raggiunto un prestigio paragonabile a quello dei grandi campioni che hanno caratterizzato questa epoca del tennis.
Andy Murray e il successo tardivo: la paternita', Lendl e Delgado le chiavi by Gatto Luigi Il torneo di Parigi Bercy, sancendo il sorpasso di Andy Murray su Novak Djokovic, rientra in una delle settimane più storiche dell'Era Open. A 29 anni e 5 mesi lo scozzese è diventato appena il secondo giocatore più "anziano" di sempre a diventare numero uno per la prima volta, collocandosi nella speciale classifica solamente dietro a John Newcombe, che nel lontano 1974 raggiunse per la prima volta nella sua vita la prima posizione mondiale una settimana dopo aver compiuto 30 anni. Sono epoche diverse, stili di gioco altrettanto diversi: uno dal classico tennis serve and volley d'attacco, l'altro dal più moderno tennis a tutto campo, seppur con un'attitudine da difensore nato. Eppure ci sono delle analogie. "Il meglio deve ancora venire", aveva detto il neo numero uno al mondo dopo la vittoria di Wimbledon quest'anno. Tutto si aspettava tranne che tale traguardo, che gli toglie la nomea dell'eterno secondo, grazie alla capacità di approfittare del calo nello stesso anno sia di Federer che di Nadal. Facile però attribuire i demeriti agli altri, più interessante e corretto analizzare i tanti meriti di Murray. Tre le chiavi del perché abbia espresso un tennis così proficuo a 29 anni, lui che è nel circuito ormai da un decennio, quindi con tanto tennis alle spalle: 1) la paternità. Sembrava che la nascita della piccola e "innocente" Sophia avesse condizionato lo scozzese. Due brutte
eliminazioni ad Indian Wells e Miami avevano fatto presagire una stagione su terra rossa opaca, invece la tranquillità familiare, lui che più volte ha sottolineato come abbia sofferto e non poco la separazione dei genitori da piccolo, lo ha aiutato a riordinare le idee, a non pensare solo al tennis che non è più la priorità. 2) L'altra causa del mese di marzo disastroso poteva essere rappresentata da Jamie Delgado. Assunto ufficialmente dopo l'Australian Open, alzi la mano chi non aveva dubitato sull'utilità di questa scelta, a cominciare dal fatto che
avesse poca esperienza nel circuito come coach avendo allenato in vita sua solo Gilles Muller. E invece avere un amico-connazionale con cui lavorare settimana dopo settimana gli ha dato tranquillità. Lo ha seguito praticamente ovunque Delgado, nonostante il ritorno di Ivan Lendl, un po' nell'ombra in questo finale di stagione visto che non si vede nei tornei dal lontano US Open. Ma poco importa, Lendl per questa stagione ha già fatto il suo compito: doveva dargli sicurezza e carica positiva quando contava, ossia dopo l'ennesima batosta
al Roland Garros contro Novak Djokovic. E ci è riuscito alla perfezione. Tornando al discorso dell'età, Murray non è di certo il primo ad esprimere il suo miglior tennis nella fase tardiva della sua carriera. È stato Stan Wawrinka a dare inizio al trend: entrambi hanno raggiunto il loro picco intorno ai 29 anni, un'età fino a qualche anno fa considerata ormai come l'ultima fase di carriera. E invece Wawrinka, che compirà 32 anni il prossimo marzo, sta confermando che col passare degli anni la maggiore consapevolezza nei propri mezzi batte la teoria del numero al contrario di quanto successo negli scorsi decenni: i più giovani ad appendere la racchetta al chiodo oltre a Bjorn Borg (26 anni, autentica eccezione) sono stati Marcelo Rios e Marat Safin (29 anni), Kafelnikov, Jim Courier, Andy Roddick e Stefan Edberg a 30 anni, Pete Sampras, Kuerten e Boris Becker a 32 anni, ma va sottolineato come tutti fossero già in declino da diverso tempo. Andy Murray, 30 anni il prossimo 15 maggio, sembra avere tutti i presupposti per continuare a guardare tutti dall'alto per diverso tempo. A parte un Novak Djokovic attualmente in crisi d'identità, nessun rivale al momento sembra poter puntare alla prima posizione mondiale. Ma vedere come i Fab Four mantengano una longevità più duratura rispetto al passato dà ancor più valore a un'epoca unica che ora premia dopo anni la pazienza e la continuità di Andy, il quale di questi tempi tre anni fa era reduce da un'operazione alla schiena che metteva dubbi sul resto della sua carriera. I fantasmi sono stati scacciati via, e il suo presente è più gratificante che mai.
E' ancora giusto parlare di FabFour?
record, dando vita a lunghe battaglie degne dei fasti del passato che rispondevano ai nomi di John McEnroe (guardando Federer) e Bjorn Borg (guardando Nadal).
Le Atp Finals di quest'anno ci hanno riservato uno spettacolo insolito: l'assenza contemporanea in questa competizione da parte sia di Rafael Nadal che di Roger Federer, ovvero i due mostri sacri che hanno fondato la rivalità per antonomasia in questi anni e che hanno reinventato il tennis degli ultimi dieci anni.
Le due assenze di quest'anno non riguardano solo la qualità del gioco che indubbiamente è scesa e che ha scatenato prima il dominio di Novak Djokovic e adesso quello di Andy Murray senza però scordarci dei vari exploit compiuti dal cavallo pazzo Stanislas Wawrinka che ha all'attivo tre Major vinti -, quanto anche ad una condizione fisica che non sembra più la stessa per entrambi, senza scordare
by Giorgio Giannaccini
Due totem che hanno riscritto un'epoca e che hanno macinato record su
come il peso degli anni si faccia sentire sempre di più. Nadal, complice un gioco fondato sul proprio fisico, non è nuovo a grandi e lunghi infortuni, ma l'impressione è che questa volta non sia più lo stesso giocatore che tante volte trionfò in passato. Federer, dal canto suo, ha invece qualche anno in più rispetto all'iberico, e le sue 35 primavere non fanno ben sperare, probabilmente il prossimo anno sarà l'ultima possibilità per veder trionfare nuovamente lo svizzero nell'amata erba di Wimbledon, e se non ce la
farà, è difficile pensare che ci sarà un'altra possibilità per agguantare il record che a nessuno è mai riuscito: quello, cioè, di vincere Wimbledon 8 volte in singolare. Due infortuni che hanno condizionato l'ultima stagione tennistica, con Rafa che nonostante fosse rimasto ottavo nella Race di fine anno, ha dovuto cedere il suo posto all'austriaco Dominic Thiem visto che i problemi fisici non gli permettevano nemmeno di rientrare per il prestigioso torneo di fine anno, mentre Federer, oltre a non giocare le Finals, è anche uscito per la prima volta dalla top ten dopo 14 anni in cui stava stabile là dentro, questo per ben 734 settimane consecutive, di cui 302 da numero uno. Certo, l'assalto per tornare top ten ripartirà da gennaio, data in cui Roger tornerà in campo, d'altronde c'è ancora il record di Connors da battere, issato sopra a tutti con ben 819 settimane in top ten. Numeri a parte, questo non ci deve distrarre dal fare una riflessione seria: visto e considerato che sembra realmente che i vari Federer e Nadal abbiano ormai dato il meglio, e vista l'egemonia,
prima assoluta di Nole Djokovic, ed ora quella (molto più fragile) di Andy Murray, senza scordare i discontinui lampi di genio dell'altro svizzero Stanislas Wawrinka che gli hanno fatto vincere la bellezza di tre prove del Grande Slam, è ancora opportuno parlare di FabFour? Sebbene la Next Generation non sia ancora esplosa nonostante vanti i vari e talentuosi Nick Kyrgios, Alexander Zverev e Dominic Thiem, è anche vero che ormai i reali giocatori che stanno dominando il tennis mondiale, e quindi anche le prove del Grande Slam, sono, in primis, Novak Djokovic e Andy Murray che hanno dimostrato negli anni di
avere un rendimento mostruoso come continuità, un gradino sotto troviamo Stanislas Wawrinka, genio discontinuo ma che, ridendo e scherzando, ha fatto suoi ben tre Major, ovvero un Australian Open nel 2014, il Roland Garros nel 2015 e infine quest'anno gli Us Open, successi che non possono far altro che proiettare l'elvetico nel novero dei 3 migliori tennisti al mondo. Giusto sarebbe dunque parlare ora non più di FabFour ma di FabThree, e aggiungere nella lista delle possibile sorprese per la vittoria in un Major nell'anno venturo Juan Martin del Potro, primo su tutti, che è tornato a grandi livelli
quest'anno, e se il maledetto polso sinistro reggerà potrà prendersi diversi soddisfazioni, in più un'altra sorpresa potrà essere Marin Cilic, che durante l'ultima annata ha mostrato sprazzi di un tennis sublime, gli stessi che nel non lontano 2014 gli fecero vincere gli Us Open contro Kei Nishikori.
Altre sorprese, in vista del prossimo anno, non sembrano profilarsi, a meno che la Next Generation non decida di fare dieci passi in avanti (cosa che attualmente è utopico pronosticare) o, meglio ancora, i due vecchi leoni, Federer e Nadal, non tornino a ruggire, ma sarà difficile, molto difficile...
vedremo chi l'avrà vinta!
Andy Murray, ovvero il coronamento di una carriera by Giorgio Giannaccini
E' inutile negare che questo fine 2016 abbia regalato agli spettatori del tennis mondiale una visione inusuale quanto insperata: la conquista del trono mondiale di Andy Murray. E sì, sembra ieri quando a inizio stagione, in quel di Melbourne, il povero Andy aveva perso nuovamente una finale Slam contro il cannibale Novak Djokovic, e ci si stava seriamente interrogando se la cura Mauresmo fosse realmente una medicina oppure un mero palliativo da assumere vista l'assenza del magico guru Ivan Lendl, ovvero colui che aveva reso Andy Murray un vincente. Nessuno, invece, si sarebbe aspettato che questa sarebbe stata la migliore stagione tennistica dello scozzese, se non addirittura l'annata della definitiva consacrazione. Una costanza che ha durato tutto l'anno e che ha battuto finanche quella di Djokovic, additato a inizio stagione come d'altronde anche in quella scorsa come colui che poteva seriamente
compiere per la terza volta nella storia il Grande Slam, impresa finora riuscita solo al mitico Rod “Rocket” Laver addirittura due volte nella sua carriera: la prima nel 1962 da dilettante e la seconda nel 1969 da professionista. Il rendimento del britannico, come detto, quest'anno è stato impressionante: tre finale su quattro nei tornei dello Slam, per ordine a Melbourne, a Parigi e a Wimbledon (dove ha trionfato per la seconda volta in carriera), senza dimenticare l'oro olimpico a Rio de Janeiro (anche questo il secondo in carriera) cosa non di poco conto, ma soprattutto i grossi miglioramenti ottenuti sulla
terra battuta che lo ha visto, appunto, tra i protagonisti della stagione sul rosso con una semifinale a Montecarlo persa contro Nadal, una finale ottenuta e poi persa contro Nole Djokovic a Madrid e infine la vittoria a Roma agli Internazionali d'Italia. E se Murray si è poi distratto a Flushing Meadows perdendo ai quarti contro il nipponico Nishikori, pazienza, le successive quattro vittorie filate prima a Bejing, poi nel Masters 1000 di Shangai, poi nel 500 di Vienna e infine al Masters 1000 di Parigi-Bercy, insieme all'improvviso declino di Djokovic, hanno completato il capolavoro dello scozzese, con la
qualificazione alle Atp Finals di Londra da numero 1 del mondo. Non male per chi veniva etichettato fino all'anno prima come l'eterno perdente, come il FabFour minore, come il talento svogliato che aveva vinto secondo alcuni quasi a caso i suoi due Slam e l'oro olimpico a Londra (scordandosi forse che aveva anche trascinato l'anno scorso la Gran Bretagna alla vittoria della Coppa Davis con 11 vittorie su 11 partite giocate, eguagliando il record detenuto da John McEnroe e Mats Wilander). Insomma, ci ha pensato il duro lavoro di Andy Murray a far rimangiare le parole dette e scritte da quegli addetti ai
lavori che per anni avevo criticato eccessivamente il talento di Dunblane. Scontato, inoltre, dire che il coautore di questa impresa sia stato proprio quell'Ivan Lendl che pochi anni fa aveva sbloccato il suddito di sua maestà dall'effige di eterno perdente, infatti l'illustre binomio si era aggiudicato prima gli Us Open del 2012, poi Wimbledon 2013 e infine l'oro olimpico di Londra giocato sempre a Wimblendon nel 2013 . Dopo la separazione, Murray era praticamente rimasto senza mezzi termini a secco di vittorie dei tornei del Grand Slam. La cura Lendl è stata a dir poco
immediata, arrivato in mezzo alla stagione 2016 durante il torneo del Queen's, Murray dapprima si è aggiudicato il tradizionale torneo londinese organizzato ad hoc in preparazione a Wimbledon sconfiggendo Milos Raonic in tre set grazie a una straordinaria rimonta, e immediatamente dopo si è aggiudicato anche Wimbledon sconfiggendo sempre Raonic in tre set combattuti e mai messi in discussione, ma soprattutto ha interrotto il digiuno Slam, facendolo proprio a casa sua, nel torneo, almeno per lui, ma un po' anche per tutti gli appassionati, più importante dell'anno. Non è tutto, Andy, grazie alla
vittoria di Parigi-Bercy che lo ha consacrato numero 1, oltre ad essere divenuto così il ventiseiesimo giocatore che è salito nel trono mondiale del ranking Atp durante l'Era Open, è anche il tennista più “anziano” a diventarlo a 29 anni compiuti. Inoltre, c'è un'ulteriore ciliegina sulla torta in casa Murray: Jamie, il fratello maggiore di Andy, oltre che aver formato col fratello la coppia d'oro della nazionale britannica di
doppio in Coppa Davis, si è fatto appunto valere quest'anno nella sua specialità, infatti il Murray più grande ha dapprima il vinto gli Australian Open di doppio maschile in coppia col brasiliano Bruno Soares, poi la coppia ha ripetuto l'impresa Slam anche agli Us Open, vittorie che hanno consacrato Jamie come nuovo numero uno in doppio per 8 settimane. Ora che invece
cominceranno le Atp Finals i due Murray, in gara in due specialità diverse, avranno un obiettivo comune: vincere. Andy lo dovrà fare per difendere la corona da numero 1 al mondo, Jamie per la gloria di un altro titolo prestigioso in una annata, anche per lui, fantastica. Vedremo chi dei due la spunterà.
Che cosa ti succede Ferrer?
anche che il gioco di Ferru è basato essenzialmente sulla prestanza e sulla preparazione fisica.
Sembra che siano passati i giorni migliori in casa Ferrer, infatti il gladiatore spagnolo è apparso a dir poco in ombra in quest'ultima stagione tennistica.
Un calo, insomma, quasi fisiologico, contando anche che il tennis moderno, oggi in scena, è un tennis che sostanzialmente logora gli atleti tra un calendario molto fitto dell'Atp e un gioco fondamentalmente esasperato e basato sulla potenza fisica dei singoli atleti.
by Giorgio Giannaccini
Dopo essere stato ininterrottamente negli ultimi sei anni stabile in top ten, quest'anno il tennista iberico è incredibilmente sprofondato fuori dai top 20 (n°21 per la precisione nel ranking Atp), complice la non più giovanissima età, che ha inciso profondamente visto
Ferrer, che è stato per molti anni un esempio globale per impegno e costanza, è stato anche il top ten più basso degli ultimi dieci anni,
nessuno infatti è entrato in top ten con un'altezza pari o inferiore all'1.75 del valenciano, gli unici top player in questi anni sotto il metro e ottanta sono stati prima Nikolay Davydenko e poi Kei Nishikori, entrambi alti comunque un po' più di Ferrer, grazie al loro 1.78. Già l'anno scorso Ferrer aveva dichiarato come cominciasse a sentire il peso degli anni e dunque come era stato costretto a rivedere la preparazione atletica e di conseguenza la programmazione dei tornei. Eppure, malgrado quest'anno abbia giocato un numero non eccessivo di
tornei (23 più un turno di Coppa Davis dove ha disputato due singolari), lo score globale delle partite giocate recita 36 partite vinte a fronte di 22 perse, un risultato veramente misero se lo confrontiamo con quello dell'anno precedente dove poteva vantare ben 55 partite vinte e 16 perse (con 5 titoli vinti, quest'anno invece zero!). Un calo insomma che comincia a farci pensare che questo potrebbe essere un suo addio definitivo nel tennis ad alti vertici o, peggio ancora, che la carriera di Ferrer cominci ad andare verso la fine.
Ferru indubbiamente è stato poco fortunato a livello mediatico in patria: nonostante sia stato un modello di agonismo per tutto quello che ha ottenuto in campo, e sebbene possedesse un fisico minuto e nemmeno così tanto talento cristallino, la sua determinazione ha fatto innamorare per anni gli appassionati di tennis, mostrando che anche un operaio dello sport può raggiungere grandi livelli, eppure un certo Rafael Nadal ha sempre oscurato il valenciano, almeno in Spagna, logico che il pubblico iberico fosse più attratto da quel mostro sacro che sulla terra rossa ha vinto tutto e ribaltato ogni record esistente (un po' come in Svizzera l'aurea del più forte di tutti i tempi, Roger Federer, ha oscurato per anni il valore di Stanislas Wawrinka, fenomeno sbocciato purtroppo in tarda età). I risultati raggiunti da Ferrer in carriera sono a dir poco fenomenali se pensiamo al reale tasso tecnico del tennista spagnolo: nel torneo dello Slam per lui meno congeniale come superficie, ovvero l'erba di Wimbledon, ha raggiunto
come miglior piazzamento i quarti di finale per due anni di seguito (2012 e 2013), non male se pensiamo che tra i quattro Major questo è quello dove è andato peggio. David infatti ha raggiunto due volte le semifinali agli Australian Open, questo nel 2011 e 2013, stessa cosa ha fatto anche agli Us Open, con due semifinali giocate nel 2007 e nel 2012, senza però scordare la finale persa al Roland Garros contro Rafael Nadal nel 2013 e l'altra finale, quella alle Atp Finals, persa nel 2007 contro Roger Federer. Il tutto collimato con il best ranking da numero 3 del mondo ottenuto l'8 luglio 2013, ovvero subito dopo l'unica finale Slam raggiunta al Roland Garros e i quarti giocati a Wimbledon. Unico neo, se così vogliamo definirlo, della carriera, sono senz'altro le Olimpiadi, infatti nel torneo olimpico il miglior piazzamento di Ferrer è il terzo turno nel 2012, un torneo, si può dire, che non è stato mai congeniale al gladiatore valenciano. I risultati invece di quest'anno sono piuttosto deludenti: a parte un buon quarto di finale conquistato
a inizio anno agli Australian Open e perso contro Murray, al Roland Garros, il torneo dove in carriera ha fatto meglio, ha deluso perdendo inspiegabilmente agli ottavi contro Thomas Berdych, non proprio uno specialistica del rosso, mentre a Wimbledon si è arreso al secondo turno contro l'erbivoro Nicolas Mahut senza conquistare un set, e agli Us Open ha ceduto inerme a un redivivo Juan Martin del Potro.
Inoltre la tabella dei tornei vinti quest'anno recita zero, come anche le finali disputate, sopravvive solo un misero score di sei semifinali giocate e tutte perse. Uno sprofondare che ci fa veramente pensare che siamo ormai giunti quasi alla fine della storia tennistica di Ferrer, ma sicuramente, dovesse avverarsi questa triste profezia, nessuno cancellerà le sue antiche imprese sul campo, nessuno
potrà cancellare i trionfi di un ragazzo che ha così amato il tennis da arrivare dove tanti, con gli stessi mezzi, non sono mai giunti. E sicuramente un po' mancherà a tutti Ferru, lui e quella ostinata determinazione che lo ha reso un piccolo eroe del tennis mondiale.
Rafael Nadal manca di fiducia in se stessi, proprio come te I migliori giocatori di tennis sembrano avere la massima sicurezza di sè, e si comportano anche come tale; ma, oltre le apparenze, la cosa può
mancanza di sicurezza. Non aveva quella sensazione di confidenza e fiducia in se stessi, pur sapendo che verrà ricordato nei libri di storia come uno dei migliori giocatori che il mondo abbia mai partorito. Quindi se a volte ti passa per la mente che sei l’unico che manca di sicurezza, ricorda che perfino il miglior giocatore al mondo ha dei problemi a riguardo. La differenza è su come vengono gestiti questi problemi. I professionisti sanno che è possibile dover vincere diverse
essere completamente diversa. Stanno anche affrontando incertezza e dubbi: il tennis è uno sport di fortuna, certi giorni ti senti come se non potessi sbagliare un colpo neanche volendolo, e altri dubiti anche di riuscire a arrivare nell’altra metà del campo. Il 14 volte campione del Grand Slam Rafael Nadal è stato particolarmente al centro dell’attenzione quest’anno a causa della sua
partite prima che la sensazione di fiducia in se stessi possa tornare. È anche importante ricordarsi che avere molta sicurezza non porta sempre a buone performance. C’è una linea molto sottile fra l’avere molta fiducia in se stessi e avere un ego troppo ingombrante. Nel caso in cui ci si sovrastima e sopravvaluta, spesso ci si ritrova non
by Adam Blicher
abbastanza preparati, o si potrebbe diventare un po’ troppo spacconi riguardo le proprie performance. Perciò abbiamo bisogno di ridefinire il nostro concetto di confidenza in se stessi. Sta tutto nel modo in cui ci si allena, nel modo in cui ci si prepara. La vera chiave è la tua volontà di seguire il piano di gioco nonostante qualsiasi emozione o pensiero passi per la testa durante la partita. Dobbiamo ricordarci che l’atteggiamento di
controllare queste sensazioni, ma tutto ciò che è in suo potere controllare riguarda la preparazione prima della partita, e la porterà avanti con una estrema attenzione ai dettagli. L’atteggiamento di sicurezza è, appunto, una delle cose che si possono controllare nella preparazione prima di una partita. È come mangi, come dormi, come pianifichi il gioco con il tuo coach. Non hai bisogno di avere una immensa fiducia in te stesso per avere l’opportunità di giocare
sicurezza viene prima della sensazione stessa. Questa sensazione infatti arriva spesso solo dopo una buona performance. Non sempre, ma piuttosto spesso. Quindi la sensazione di ‘essere sicuri di sè’ è una sorta di bonus. Quando Rafael Nadal parla di mancanza di fiducia in se stesso, non c’è assolutamente alcun dubbio che sta parlando di questa sensazione di fiducia. Rafael sa che non può
bene. Aiuta, ma non è una necessità. Ricorda che la cosa più importante è comportarsi in modo sicuro. L’atteggiamento di sicurezza viene prima della sensazione.
2017: un'annata da ricordare by Federico Mariani
Dopo una stagione sonnolenta e mutilata dall’assneza-presenza di Federer e Nadal, il 2017 promette spettacolo: gli ultimi acuti di Roger e Rafa, il nuovo re Murray, il riscatto di Djokovic, la rinascita di Delpo, la next generation più matura e tanto altro Mentre il 2016 si presta a guadagnare l’archivio con la nomea sul groppone di “anno di transizione” dove gli sbadigli hanno superato le emozioni, il 2017 - ancora ovviamente in fase embrionale - pare in possesso di tutti i requisiti per diventare esplosivo, probabilmente la stagione più scintillante dell’ultimo lustro. C’è tutto l’occorrente per far stropicciare gli occhi agli spettatori: gli ultimi assalti di Federer e Nadal, il nuovo Murray, Djokovic a caccia di riscatto (e della vetta), i giovani campioncini pronti all’esplosione e i comprimari scalpitanti per essere scritturati come protagonisti. L’ULTIMO GIRO DEGLI IMMORTALI. Federer&Nadal, Nadal&Federer. Si parte e si torna sempre da loro e per loro. A loro si chiedono gli ultimi acuti per rendere indimenticabile il 2017, anche a loro va imputata la mutilazione del 2016. L’abbandono delle scene nel post-Wimbledon dell’elvetico somiglia più a un ritiro ascetico per ponderare l’ultimo assalto. Sarà probabilmente l’ultimo anno del più grande, ma non sarà certamente una sorta di triste tour d’addio stile-Kobe Bryant per raccogliere i tributi in quegli angoli del globo mutati per sempre dopo la sua venuta. Per la natura dell’uomo-Federer è verosimile credere che abbia una mano
vincente, altrimenti avrebbe preferito il calare del sipario. Pressoché lo stesso discorso può valere per Nadal, troppo brutto per essere vero nel 2016. Come Roger, anche il mancino di Manacor ha deciso di fermarsi, ragionare, recuperare e pianificare con calma l’anno che verrà. Scelta quanto mai saggia visto che l’alternativa era quella di rastrellare figuracce in giro per il tour. Rafa chiaramente ha cinque anni di vantaggio su Federer, ma sulle spalle grava un chilometraggio simile e appesantito dai guai fisici. MURRAY NUMERO UNO, DJOKOVIC PER IL NUMERO UNO. Sull’altro versante sarà affascinante vedere come Andy Murray saprà relazionarsi col nuovo status di leader, una veste inedita e cucita addosso per la prima volta a 29 anni suonati. La prima piazza mondiale avrà riempito di fiducia il serbatoio del ragazzo di Dunblane, ma probabilmente ha riacceso nuove mire in Djokovic, mire sopite da una leadership talmente solida da apparire agli occhi dello stesso Nole come noiosa, banale, scontata.
LA TORRE. A fianco a ciò che resta dei Fab Four, merita un capitolo a parte Juan Martin Del Potro, il vero uomo in più per il 2017. Non solo la Torre di Tandil dal suo rientro (parziale) nel 2016 ha dimostrato di saper battere tutti i più forti a tutte le latitudini, ma forse di ancor maggiore rilievo è l’unico in grado di scaldare cuore e animi degli appassionati mondiali. L’unica luce, mediatica e non, in fondo a un tunnel in cui impera un apparente senso di abbandono. A metà febbraio Delpo era inchiodato alla posizione numero 1045, dopo neanche nove mesi rieccolo tra i primi 40 del mondo con un ranking che a breve gli riconsegnerà lo status di testa di serie negli Slam. Se solo la Dea bendata da sempre perversamente crudele coi suoi polsi decidesse di placare le sue ire, avremmo un nuovo commensale alla tavola dei Fantastici, uno al quale il tennis deve aggrapparsi come farebbe un naufrago con una tavola in mezzo all’Oceano. YOUNG GUNS. Last but not least, i giovani rampanti che nel 2016 hanno rimpinguato curriculum e ranking e nel 2017 dovranno
staccarsi definitivamente dalla rampa per il primo decollo. Sono due i candidati per un posto tra i grandissimi, i due che tra tutti hanno dimostrato più stoffa, personalità e talento. Si tratta, banalmente, di Alexander Zverev e Nick Kyrgios. Il tedesco ha chiuso in 24sima posizione - con una puntata al numero 20 mentre termina col career high il 2016 dell’australiano stabilito alla tredicesima piazza. A questi due ragazzi si chiede lo step in più specialmente dove e quando serve che nel tennis si riduce alle prove del Grande Slam. A loro vanno poi aggiunti Dominic Thiem e Lucas Pouille ‘93 il primo, ‘94 il secondo tra i migliori nella stagione che volge al desio: l’austriaco ha disputato una prima parte di stagione da extra-terreste per poi spegnersi lentamente anche se il bottino accumulato nei primi sei mesi gli ha comunque garantito la prima partecipazione alle Finals londinesi. Una rivelazione, invece, il transalpino, ennesimo prodotto sfornato dalla meravigliosa scuola francese che non incassa uno Slam dagli anni ’80 con Noah, ma che d’altra parte conta quattro giocatori tra i primi 20 e sette tra i primi 50. In questo contesto, infine, dovranno sapersi ritagliare spazi importanti i vari Nishikori, Raonic, Dimitrov, Tsonga, Berdych, comprimari o presunti tali che in regime d’anarchia potrebbero trovare gli acuti giusti. Insomma, dopo un deludente e sonnolento 2016, il 2016 deve forzatamente essere la stagione del riscatto, dello spettacolo, dei fuochi d’artificio. Al momento appare tutto confuso, con ruoli mischiati e poco definiti come è logico che sia, ma a ben vedere è legittimo attendersi grandi cose perché il 2017 deve essere un’annata da ricordare.
WTA: il momento più basso? by Federico Mariani
Cibulkova trionfa nelle Finals orfane di Williams, Sharapova e Azarenka. Kerber chiude l’anno da numero uno. Si è mai vista un’annata peggiore di questa? La fine dell’anno è la più giusta e ovvia sede di bilanci. Da Singapore Dominika Cibulkova manda i titoli di coda del 2016 vincendo a sorpresa la kermesse di fine anno dopo aver perso le prime due partite del round robin contro Kerber e Keys. La vittoria in due set all’ultima giornata e la contestuale sconfitta dell’americana contro la numero uno del mondo permettono in extremis alla slovacca di avanzare alle semifinali e poi vincere il titolo. La formula permette questo genere di intrecci, si sa, e non ci si può scandalizzare per questo, seppure pare opportuno concordare per chi si professa contro tale format tremendamente ostile all’aureo meccanismo del tennis secondo il quale “vinci
e vai avanti, perdi e vai a casa”. Lo svolgimento e l’esito delle Finals di Singapore, tuttavia, forniscono l’assist per disquisire sulla salute del tennis di vertice poiché involontariamente rappresentano una nitida fotografia di quanto visto durante l’anno. Gianni Clerici dalle colonne di Repubblica sentenzia:” non ho mai visto una numero uno come la Kerber, né annate peggiori di questa nella Wta”, parole dure, durissime, sostenute dal peso dell’autorità di cui lo Scriba gode ma forse non sbagliate, anzi. Risulta, a ben vedere, impossibile tacere sulla mediocrità dell’attuale vertice Wta a partire dal punto più alto, oggi rappresentato da Angelique Kerber al numero uno del
mondo. La tedesca chiaramente merita tale posizione per quanto fatto vedere durante i 12 mesi: i successi a Melbourne e New York, la finale a Wimbledon, l’argento ai Giochi Olimpici e il titolo a Stoccarda, ma più in generale per la continuità di rendimento di assoluta costanza se soppesato col resto della ciurma. Appare, tuttavia, altresì solare che più fattori esterni alla Kerber hanno concorso per farle ottenere la leadership. In primo luogo la presenzaassenza di Serena Williams, basti pensare che l’americana ha preso parte nel 2016 ad appena 7 tornei - 3 se togliamo i quattro Slam (ovverosia lo swing nordamericano Indian WellsMiami e Roma) vincendone 2 (Wimbledon e Roma). Di
contro, Kerber ha giocato 21 tornei (sette volte tanto) vincendone 3 con altre 5 finali perse. L’americana in un anno orribile per lei ha fatto registrare l’84.2% di vittorie, mentre Angie appena il 71.4%. è chiaro che giocando molti più match (quasi il doppio, per l’esattezza 81 contro 44) è molto più facile inficiare la percentuale di vittorie, ma è altrettanto chiaro che i numeri del 2016 di Kerber non sono da prima giocatrice del mondo. Facendo un paragone col circuito Atp per restare nella più stretta attualità, la mancina di Brema ha numeri molto vicini a quelli di Nishikori e Raonic, rispettivamente quinto e quarto del ranking maschile. Non è ovviamente soltanto
l’annata della Williams il problema del tennis di vertice. Alla presenza a mezzo servizio di big Serena, si aggiungono assenze o presunte tali di altri pezzi da novanta del circuito. La squalifica per doping di Maria Sharapova ha lasciato il circus femminile orfano di una campionessa che in campo ma anche e soprattutto fuori è un traino non solo importante, ma determinante per tutto il movimento. A ciò va aggiunta Vika Azarenka che tra i soliti up&down di condizione è rimasta incinta a luglio saltando, dunque, la secondo metà di 2016 e giocando in stagione meno di 30 partite, che sono comunque bastate per vederla trionfare a Indian Wells e Miami, successi che fanno comprendere una
volta di più il devastante potenziale della ragazza di Minsk, sicuramente maggiore rispetto alla totalità della top-ten (Serena esclusa ovviamente). A completare un quartetto straordinario che paradossalmente avrebbe potuto comporre un girone delle Finals, si aggiunge Petra Kvitova. La ceca, falcidiata da infortuni e condizioni fisiche tutt’altro che ottimali per buona parte dell’anno, ha concluso il 2016 vincendo 16 delle ultime 18 partite trionfando a Wuhan e nel Wta Elite Trophy di Zhuhai Il quadro generale che ne risulta è allarmante, drammatico per i più pessimisti (o semplicemente realisti). Spesso si confonde l’equilibrio con lo spettacolo. Per esserci spettacolo l’equilibrio è una componente fondamentale, ma ci si deve arrivare grazie alla qualità e non alla mediocrità. Le Finals, così come la quasi totalità del 2016 targato Wta, sono state incerte, equilibrate e combattute ma mediocri. Lo scenario attuale del tennis maschile ha il sinistro aspetto di ciò che ne sarà senza Federer e Nadal, ma pur facendo meno clamore la situazione della Wta appare oggi di maggiore criticità.
US Open lo Slam più imprevedibile! Wimbledon? Fin troppo scontato by Beatrice Gollini
La superficie più imprevedibile è l’erba di Wimbledon? Assolutamente no! Stando alle statistiche Slam degli ultimi anni il torneo meno pronosticabile è quello giocato sul cemento degli Us Open. Un mostro sacro del tennis come Rafael Nadal è riuscito ad entrare nell’albo d’oro di New York solo dopo aver già conquistato 8 Slam su 3 diverse superfici (1 Australian Open, 5 Roland Garros e 2 Wimbledon) mentre per Federer e Djokovic il trionfo a Flushing Meadows ha sancito la vittoria Slam sulla terza superficie differente, ovvero prima di Parigi ma solo dopo Wimbledon e Australian Open (2 successi a Londra e 1 a Melbourne per lo svizzero, 2 in Australia ed 1 in Inghilterra per il serbo). Diverso il discorso per Andy Murray che negli Stati Uniti ha ottenuto, nel 2012, il primo successo Slam, però, a differenza dei colleghi sopracitati, allo scozzese mancano ancora i titoli su 2 superfici tra le 4 disponibili (la terra del Roland Garros ed il cemento dell’Australian Open). LA SVOLTA DOPO L’EGEMONIA FEDERER Ad aver un feeling particolarmente positivo, tra i giocatori in attività, con il cemento di New York è indubbiamente Roger Federer. Lo svizzero per 5 anni consecutivi, dal 2004 al 2009, non ha trovato pane per i suoi denti negli Stati Uniti, anche se per “colpa” del Roland Garros non è riuscito a completare né nel 2004, né nel 2006 e né nel 2007 il Grande
Slam. A dare la svolta ed a rendere imprevedibile il cemento degli Us Open è stata la vittoria di Del Potro su Federer nel 2009. Da quel giorno lo svizzero non ha più vinto a New York, arrivando in finale solo nel 2015, ma non è tutto. Nessun giocatore è più riuscito a ripetersi consecutivamente, solo Rafa Nadal e Nole Djokovic hanno vinto due volte ma a distanza di diversi anni (lo spagnolo nel 2010 e 2013 mente il serbo nel 2011 e nel 2015). A Wimbledon, invece, nessuno ha saputo tener testa ai Fab Four: Federer, Nadal, Djokovic e Murray si sono alternati nell’innalzare la coppa
del vincitore. Nel torneo più importante di Londra nessuno è riuscito a dare del filo da torcere ai suddetti quattro campioni, solo Andy Roddick impensierì Federer nel 2009 lasciando la vittoria allo svizzero solo al quinto set 16-14. Al Roland Garros solo in 3 sono riusciti a spodestare il re di Parigi Rafael Nadal: Roger Federer, Stan Wawrinka e Novak Djokovic. Anche in Australia nell’albo d’oro compaiono i “soliti” nomi: dopo il dominio targato Federer è arrivato quello di marchio Djokovic interrotto solo da Wawrinka e Rafael Nadal mentre Andy Murray si è fermato ben 5 volte in finale. DA 20 ANNI WIMBLEDON E' SCONTATO
MENTRE FLUSHING MEADOWS SMENTISCE I PRONOSTICI Anche se può sembrare incredibile possiamo definire Wimbledon come lo Slam più prevedibile. Negli ultimi 20 anni, ovvero a partire dal 1996 compreso, solo 8 giocatori hanno vinto il titolo a Londra (Krajicek, Ivanisevic e Hewitt 1 volta ed in più occasioni Sampras, Federer, Nadal, Djokovic, Murray). In Australia e all’Open di Francia, sempre a partire dal ’96, si sono alternati nell’albo d’oro 11 giocatori: a Melborune hanno trionfato Becker, Sampras, Korda, Kafelnikov, Agassi, Johansson, Federer, Safin, Djokovic, Nadal, e Wawrinka, mentre a Parigi sono arrivati al successo Kafelnikov, Kuerten, Moya, Agassi, Albert Costa, Ferrero, Gaudio, Nadal, Federer, Wawrinka e Djokovic. Agli US Open ben 13 tennisti hanno trionfato ma il punto, forse, più interessante riguarda il fatto che è l’unico torneo nei quali i top player negli ultimi 10 anni hanno lasciato spazio ai giocatori meno quotati come Marin Cilic e Juan Martin Del Potro. Amanti del betting, quindi, fatevi sotto. Se volete rischiare e puntare su un outsider o su una sorpresa fatelo in occasione degli Us Open.
L'AEREO PERSO by Cristiano Chesi
21 dicembre 1988, un aereo della Pan Am sta decollando dall'aeroporto di Heathrow direzione New York. A bordo ci sono 259 persone, mentre altre 2 hanno deciso di cancellare quel volo e su quell'aereo non ci saliranno mai. Una è Mats Wilander, l'altra è sua moglie Sonja. Un'ora più tardi quell'aereo esploderà in aria, dentro una valigia anziché calzini scompagnati e monotoni souvenir di turisti americani di ritorno da Londra, c'è una bomba piazzata da un ufficiale dell'intelligence libica, che anni più tardi per questo verrà incarcerato e poi liberato per un tumore alla prostata. Mats Wilander apprende della notizia in albergo, mentre spolvera con la mente i suoi sette grande slam, i suoi 32 tornei ATP, le tre coppe Davis e la sua apparentemente inattaccabile prima posizione nel ranking mondiale. Quando vedi la morte in faccia e ne delinei le forma e le caratteristiche, quando lei si mette in mezzo tra te e tutto ciò che ti circonda, incluse la carriera, gli affetti, i soldi e le ambizioni, quando vedi che la tua vita intera sta per essere avvolta e ingoiata definitivamente dal suo manto, inevitabilmente qualcosa inizi a riconsiderare. Ti guardi indietro e vedi solo campi da tennis, rossi, blu, verdi. C'è anche un po' di giallo, ma quelle sono le palline. Con uno sguardo più approfondito vedi anche camere d'albergo, ristoranti, aeroporti, e, appunto, aerei.
Hai 24 anni e nella vita non hai visto altro. I genitori li incontri tre volte l'anno, e ora ti dicono che tuo padre, che al massimo senti al telefono tra un allenamento e una partita, ha un linfoma e potrebbe morire presto. C'è di più, tua moglie sta pensando di lasciarti. E' questo il 1989 di Mats Wilander, uno che pochi mesi prima è scampato ad uno degli incidenti aerei più tragici della storia, conosciuto come la strage di Lockerbie. Wilander il 16 gennaio del 1989 era il numero 1 al mondo, due anni dopo era il numero 81, tre anni dopo il numero 232. A 29 anni, l'età di Novak Djokovic, è arrivato al 575. Novak, come Wilander, a 24 anni era numero 1, con una carriera costellata di slam e tornei di ogni livello vinti in ogni dove. Due carriere simili, pur se in tempi diversi e con un tennis diverso, ma fondamentalmente due carriere di due campioni assoluti che a 24 anni
sempre un Mats Wilander pronto ad uscire fuori. La vita non è perfetta per nessuno, la vita è patologica, e poco importa se sei un operaio in cassa integrazione o un campione di tennis milionario, prima o poi il tuo aereo con la bomba nella stiva decollerà, e che tu sia a bordo o meno ne pagherai le conseguenze. Noi non sappiamo, e non ci interessa, sapere cosa c'è scritto sulla fusoliera dell'aereo del campione serbo, ma sappiamo che forse anche lui si è voltato e ha visto troppi campi e troppe palline. E' lui che dichiarò che la sua eliminazione da Wimbledon fu causata da problemi di carattere personale, che lui disse risolti. si trovavano in cima al mondo. Potrebbe qualcuno oggi immaginare Djokovic al numero 575 della classifica ATP? No, anche perché Novak non ha perso nessun volo con a bordo una bomba a orologeria e non ha visto la morte in faccia mentre spolverava i suoi trofei. Anche la sua vita è pregna di campi da tennis e palline gialle, hotel e aeroporti, ma se non vedi la morte in faccia ti va bene così. Alla fine è quello per cui sei stato costruito, giocare a tennis, punto. Poco importa se i soldi che hai guadagnato basterebbero a farti vivere da nababbo per il resto della tua vita coltivando solo hobby e portando a giro il cane, tu devi giocare a tennis. Così ti hanno detto, e tu esegui, a suon di contratti milionari con gli sponsor e organizzatori che pur di averti ad una esibizione si vendono la casa. Però, nella vita c'è sempre un però, ed in ognuno di noi, compreso il buon Novak, c'è
L'esito dei tornei che ha giocato dopo ci fa sospettare che questo non sia vero. Si vocifera di problemi con la moglie, di tradimenti, di un attrice indiana che si sarebbe messa in mezzo. O forse c'è di più, molto di più, ma a noi non interessa. Sicuramente c'è che il campione serbo ha visto qualche crepa nei campi che calca ogni giorno, che gli ha fatto forse ricordare le crepe dei campi dove si allenava da bambino, in una Serbia dilaniata da quelle bombe che hanno risparmiato lui come risparmiarono Mats Wilander. Forse sta realizzando che la vita non è solo campi da tennis e palline gialle, ma che a volte è bello anche coltivare un hobby e portare a giro il cane. Wilander se ne accorse per una bomba in una valigia, Djokjovic forse ancora no, ma il Pan Am 103 non cadde subito, e tutti pensavano di arrivare a casa felici, con i loro calzini scompagnati e i loro monotoni suovenir londinesi.
L'aspettativa del tuo colpo by Federico Coppini
In tanti anni di lavoro mi sono sempre preoccupato di tecnica e tattica con i miei allievi, fossero bambini o adulti non trovavo grandi differenze perché' i concetti erano gli stessi, la cultura del gioco era scarsa e le loro aspettative completamente sballate rispetto alla realtà'. Vi siete mai chiesti perché' chiunque vada a lezione con il maestro riesca a palleggiare sempre, piu' o meno bene, mentre nella partita non arriva quasi mai al terzo scambio?
Prendiamo un esempio classico: allenamento diagonale, quante palle sbagliate? Poche vero? È se vi capitasse di dover scambiare con l'avversario sulla diagonale in doppio, quante ne sbagliate? La realtà dice che: - il maestro ti rimanda sempre la palla bene anche quando voi la gestite male
- il maestro anche se ti gioca palle diverse voi riuscite a sbagliare poco - il maestro ti aiuta a rimanere attento nell'esercizio - nella partita la condizione emotiva conta molto - le variabilità in una partita sono tante Tutto vero ma voi però' non avete mai riflettuto su quello che spesso e' molto scontato: nel palleggio non sbagliate perché e' la parola stessa che vi aiuta!!!! PALLEGGIARE SIGNIFICA......SCAMBIARE.... Io allievo, nell'allenamento specifico diagonale, sono cosciente che devo ridare la palla al mio maestro e quindi la mia aspettativa sarà' la
classica palla interlocutoria, definita dal sottoscritto "Transizione". Ora dovreste chiedervi: - quante palle giocate di transizione? - quante palle giocate di transizione quando lo scambio si allunga? - quante palle giocate di transizione dalla vostra riga di fondo?
Dal bambino di 9/11 anni ad un adulto di 50/60 anni tira un dritto da fondo campo a pieno regime secondo voi quale aspetto tattico ripone nel suo colpo? Transizione....? No assolutamente no...il risultato sarebbe quello di non farla prendere all'avversario: quello che ormai viene chiamato "winner". A tutti noi piacerebbe giocare sempre colpi imprendibili per l'avversario ma questo non e' possibile da tante zone del campo. Vedere Federer o Sharapova colpire a tutto braccio da fondo campo non significa che la loro aspettativa sia un vincente ma solo un colpo di transizione ad una velocita' nettamente superiore alla vostra. Scelta giusta? Problema tecnico? Ma se in
palleggio non sbaglio mai può' essere un problema tecnico? Datevi una risposta e capirete perchÊ fate tanti errori in gara rispetto al palleggio... Provare...per credere...!!!!!
L'importanza del crossover step nel recuperare la posizione by Federico Coppini
Uno degli aspetti che più differenziano il giocatore di club dal giocatore professionista è sicuramente il gioco di gambe. Nel professionista, infatti, la tecnica è ormai ben consolidata, per cui il fatto di arrivare sulla palla in condizioni di miglior equilibrio sul maggior numero di palle possibile è un fattore che realmente fa la differenza tra il vincere o il perdere. Per questo motivo, nella varie Accademie sparse per il mondo dove i pro si allenano, esistono veri e propri programmi basati sul footwork, dove creare l'automatismo a determinate sequenze di passi permette di essere più reattivi nell'andare verso la palla e nel recuperare posizione ottimale in campo dopo aver giocato ogni singolo colpo. Il tennista amatoriale naturalmente non necessita per forza di un lavoro così "scientifico" sul proprio gioco
di gambe, ma è altresì vero che "rubare" alcuni passi dai professionisti può essere molto produttivo per il proprio rendimento in campo. Quello che ti propongo oggi è uno dei passi più utilizzati nel recupero della posizione dopo un colpo molto "largo", in cui dovrai essere molto rapido per rientrare verso il centro, a copertura di uno spazio molto ampio che avrai lasciato scoperto per effetto del colpo avversario. Lo analizzeremo dalla parte del diritto perché per esperienza so che, a livello coordinativo, è più semplice da apprendere, ma devi tenere conto che la stessa cosa si può attuare anche
dalla parte del rovescio. Il passo in questione è IL PASSO INCROCIATO (CROSSOVER STEP) e come modello per questa dimostrazione si è gentilmente prestato …. Roger Federer! Analizziamo quindi questo video in slowmotion del grande Roger e prestiamo molta attenzione a cosa accade dopo il colpo in corsa di diritto. Come si vede chiaramente dal filmato, dopo il colpo in corsa, il giocatore esegue un passo con il piede posteriore che ha il duplice scopo di bloccare la corsa ad uscire dal rettangolo di gioco e rimettersi prontamente fronte alla rete.
A questo punto iniziando il rientro con il passo incrociato (il piede posteriore, che aveva precedentemente bloccato la corsa, incrocia davanti all'altro piede), Roger riparte verso il centro del campo con molta più rapidità rispetto al rientro a scivolamento laterale (i classici saltelli), guadagnando così una posizione più idonea di copertura del campo. Questo tipo di movimento, se sufficientemente allenato ed automatizzato, risulta eccezionalmente efficace su recuperi di posizione dopo colpi molto "larghi" dell'avversario, e permette di ottimizzare le energie aumentando le performance durante i match. Quello che devi fare quindi è cercare di ricordarti di eseguire il passo incrociato di rientro ogni volta che sarai andato a giocare un colpo all'estremità del campo e ben presto, una volta automatizzato all'interno del tuo schema motorio, tutto il tuo gioco ne risentirà positivamente.
Allenamento - Attenti a non esagerare by Federico Coppini Nel mondo dello sport, esistono determinate categorie di atleti, che scelgono di allenarsi in modo autonomo. Molti di loro, improvvisano la seduta di lavoro, secondo la compagnia di amici, o in base ad altre considerazioni poco scientifiche. Alcune volte, la supermotivazione del singolo, porta a strafare e quindi a lavorare in modo esagerato rispetto alle proprie possibilità di recupero. La situazione che potrebbe originarsi, è nota con il nome di Superallenamento (Overtraining). COME ESPRIMERE IL POTENZIALE SPORTIVO IN MODO COMPLETO. Nel progettare un piano di allenamenti, sia per un ciclo intero, che per uno settimanale o per una singola seduta, vanno considerati i tempi di lavoro e quelli di recupero in modo preciso, al fine di evitare sovraccarichi eccessivi o sessioni tanto leggere da non essere in grado di stimolare nessun adattamento dell'organismo. Eseguire un piano annuale, almeno mentalmente, è importante: soltanto così, infatti, è possibile preventivare e considerare la stagione (di circa 7-8 mesi) che si andrà ad affrontare, tenendo conto soprattutto del fatto che, non potendo rendere al massimo per tutta la stessa, sarà necessario dare più importanza a certi appuntamenti ed organizzare di conseguenza i propri allenamenti, affinché risultino sempre positivi. Un buon allenamento è quindi dato dalla giusta miscela di alcune variabili come il carico, l’affaticamento e il recupero. Il carico dipende dal tipo di esercizi che
vengono effettuati, dall'intensità e dalla quantità o durata di questi. L'affaticamento è dovuto specialmente alla riduzione e all'esaurimento delle riserve energetiche utilizzate per effettuare un esercizio. Il recupero è la condizione necessaria per consentire il ripristino delle riserve energetiche e la rigenerazione di complessi fattori psicofisici dovuti alla stanchezza eccessiva. II tempo di recupero indica il tempo necessario all'organismo, nel suo complesso, per ritornare alle condizioni iniziali. Vi sono diversi tipi di recupero: all'interno della seduta di allenamento, tra le sedute di allenamento, tra i diversi cicli di allenamento durante un'intera stagione di attività sportiva. Possiamo anche individuarne due tipi di carico: esterno, che rappresenta un parametro di allenamento evidente e uguale per tutti; interno, che rappresenta un valore soggettivo di risposta al carico esterno stesso. Allenarsi semplicemente in modo duro può
allenamenti con indicati diversi dati: la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa, il numero dei chilometri percorsi durante la singola seduta, alcuni commenti personali di condizione psicologica e fisica, i tempi di recupero, ecc...
risultare poco utile, ma anche un allenamento di scarsa intensità non modifica affatto le qualità metaboliche e quindi le prestazioni, di un atleta. E necessario allora allenarsi ad un livello di intensità ideale e personale, in modo tale da adeguare ogni seduta allenante, microciclo, macrociclo e piano annuale, ad un valore strettamente personale. Ma se è facile accorgersi che ci si allena poco, è più difficile accorgersi in tempo che si sta esagerando. I parametri fisiologici più frequentemente presi in considerazione per diagnosticare il sovrallenamento, sono rappresentati da sempre, in quanto di facile controllo, dalla misurazione al mattino e alla sera della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa in situazione di riposo. Dalle loro alterazioni si può evidenziare uno stato di sofferenza dell'organismo. Risulta quindi importante tenere un diario degli
IL DECALOGO DEL RECUPERO 1. Il recupero è individuale, così come l'allenamento. soggetto possiede capacità personali di sostenere determinati carichi allenanti e di recupero. 2. Stabilite di massima un piano annuale di lavoro con finalità ed obiettivi. 3. Eseguite una buona ricerca del tono funzionale, riscaldamento; un adeguato recupero tra i vari esercizi proposti durante la seduta e un buon defaticamento. 4. E’ importante conoscere, almeno in linea generale, il modello teorico di funzionamento dello sport che pratichiamo, per determinare così l’impegno energetico muscolare e stabilire in modo preciso i periodi di carico e quelli di scarico, allenamenti e recupero. 5. Non è un valido allenamento quando sentendosi in forma ci si sfianca in una seduta allenante molto di più del solito, perché il giorno dopo non si riuscirà ad eseguire il lavoro prefissato. 6. E’ necessario avere coscienza del lavoro che si sta svolgendo. 7. Utilizzate, quando possibile, delle tecniche di rigenerazione psicologiche, fisioterapiche, pedagogiche e alimentari (dieta equilibrata e supplementazione). 8. Bisogna avere un adeguato numero di ore di sonno (7-8 circa). 9. Eseguite con regolarità dei controlli ematici (ogni 4 mesi). 10. Non abbiate paura di riposare, al massimo si rende un po’ di meno ma le sensazioni psicologiche saranno nettamente migliori. Ed anche quando vi sentite stanchi in modo non normale, riposate a volte bisogna averne il coraggio.
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Sparlarsi addosso distrugge la concentrazione e la prestazione
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by Federico Coppini Durante una partita di tennis è molto facile vedere e sentire uno dei due avversari che comincia a parlare contro se stesso e a mostrare comportamenti (scuotere sconsolato la testa o agitare la racchetta come fosse un bastone) che denotano la presenza di una condizione emotiva negativa, esasperata e che danneggia la concentrazione sul gioco successivo. Queste scenette avvengono più raramente fra giocatori professionisti proprio
perché sono stati allenati a gestire con efficacia i momenti di stress agonistico. Sono invece frequenti fra i giovani e soprattutto sono molto diffuse tra quei tennisti magari anche dotati tecnicamente ma che non hanno capito che giocare un match non è solo una questione di forza fisica e di tecnica. Per giocare bene a tennis, quale che sia il
proprio livello, bisogna volere e sapere ragionare e questo diventa molto difficile se dominano stati d’animo di rabbia o di svalutazione di se stessi. Altrimenti non si sa dove dirigere l’attenzione. Tutti vogliono vincere, consista il premio in centinaia di migliaia di euro o in un aperitivo al circolo, e nel momento in cui s’inizia il primo scambio la tensione emotiva comincia a crescere e se non si agisce per controllarla, già al primo 15-0 per l’avversario si avrà l’occasione di iniziare a tormentarsi, distraendosi dal gioco. Il tennis mette a dura prova le convinzioni di ognuno: non si può pareggiare come nel calcio, non si può scaricare la responsabilità sui compagni di squadra, non si può incolpare il
destino, sono infatti troppi i colpi che bisogna mandare fuori per perdere una partita. Bisogna accollarsi la responsabilità di come si sta giocando e ragionare per fare qualcosa di diverso sin dai primi momenti di caduta dell’attenzione. La questione è, quindi, fare qualcosa diverso, facile a dirsi quando si guarda qualcun altro
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giocare ma più difficile quando si deve applicare questa semplice regola a se stessi. Questo atteggiamento positivo lo si costruisce innanzitutto diventando il principale tifoso di sé e non il principale denigratore. Il tennista dopo un errore deve fare sempre due cose per ritornare a essere focalizzato sul gioco: incoraggiarsi + darsi una semplice istruzione tecnica che permetta di evitare di ripetere l’errore precedente. Solo in tal modo sarà concentrato sul gioco. La partita è come una battaglia, in cui per sopraffare il nemico bisogna avere fiducia nelle indicazioni ricevute dal proprio comandante, che in questo caso siamo noi stessi.
Certamente ci possono essere eccezioni a questo modo di agire ma proprio perché tali devono essere rare. Quindi incoraggiarsi è necessario per mantenere un livello elevato di concentrazione e di controllo delle emozioni mentre l’istruzione tecnica serve a indicare al tennista cosa/come fare per spendere in modo efficace questa energia mentale.
Se in campo non si dimostra un atteggiamento di questo tipo, la mente del tennista sarà come una barca a vela senza il timoniere, preda cioè del gioco dell’avversario. AI tennisti suggerisco di stabilire a priori una checklist di cose da fare e a cui prestare attenzione quando si trovano in difficoltà: 1. Cosa fare quando la prima di servizio non entra. 2. Cosa fare quando voglio conc 3. ludere troppo in fretta il gioco. 4. Cosa fare per ridurre la mia rabbia o delusione di quel momento. 5. Cosa voglio dirmi per incoraggiarmi. 6. Qual è il suggerimento tecnico per me + importante in questo periodo.
Grande novità in casa Babolat che con la nuova Pure Strike è riuscita a creare un telaio che crea un buonissimo compromesso per giocatori di livello intermedio ed avanzato. Per quanto riguarda le caratteristiche del telaio, da subito si può notare la differenza rispetto al precedente modello degli anni precedenti. Rafforzata in alcuni punti chiave appare quindi più stabile e solida. Durante il test sul campo abbiamo potuto notare fin dai primi colpi una buona maneggevolezza dell’attrezzo, con cui non si fatica a produrre velocità, senza rinunciare alla precisione. Per quanto riguarda il modello con
Nuova Pure strike: combinazione di potenza e controllo
by Carlo Cazzaniga
schema di incordatura 16x19, abbiamo notato una buona predisposizione a produrre rotazioni, anche se bisogna avere un braccio ben allenato. Ottima anche la sensibilità sotto rete dove si mantiene una buona precisione. Al servizio il binomio tra potenza e precisione aiuta molto in uno dei colpi di apertura fondamentali nel tennis moderno. In merito alle innovazioni introdotte, possiamo notare la tecnologia Hybrid Frame che vede l'utilizzo di una forma ellittica leggermente squadrata del telaio. Inoltre la nuova Strike presenta anhe la nuova tecnologia Babolat FSI Power, che aumenta l’ampiezza di spazio tra le corde orizzontali per offrire una risposta più
vivace ed orientata al controllo. CARATTERISTICHE TECNICHE: Composizione: Graphite Lunghezza: 685 mm/ 27 in Peso: 305 g / 10.8 oz Ovale: 630 cm2/ 98 sq. In. Bilanciamento: 320 mm RigiditĂ : 70 ra Corde: 16x19